Animali domestici: nel Regno Unito i rettili battono i cani

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Animali domestici: nel Regno Unito i rettili battono i cani
Numero Speciale
Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi
Anno IV – n. 246  martedì 30 dicembre 2008
Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma • Direttore responsabile: Enrico Fontana • Editore: undicidue srl, via del Portofluviale, 9/a - Roma • Stampa: Rotopress, via E. Ortolani, 33 - Roma
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Le meraviglie delle nuove specie
Ogni anno biologi e naturalisti rinvengono esemplari di animali mai visti prima: solo nell’ultimo anno centinaia di straordinarie scoperte
Tanzania,
Brasile, Congo,
Nuova Guinea,
Asia e Australia
i luoghi
protagonisti
degli ultimi
eccezionali
ritrovamenti
da parte degli
scienziati
 a pagina 2 
Una biodiversità preziosa
È necessario un alto livello di protezione per lasciare il più possibile gli habitat incontaminati
Andrea Drudi
[email protected]
Proteggere
la natura
2
Africa,
uno scrigno
di tesori
3
L
a scoperta di nuove
specie animali avviene quasi sempre in
angoli remoti del pianeta
che, in quanto tali, riescono
a garantire un’adeguata tutela alla biodiversità grazie
alla loro posizione geografica strategica. Spesso però
questi luoghi sono a rischio
antropizzazione che mette
in pericolo il territorio e le
specie che vi abitano. In altri
casi invece si trovano all’interno di aree protette dove
esiste un alto livello di tutela
della biodiversità.
Il Cerrado con i suoi 716mila
ettari è la seconda area protetta per dimensioni in
Brasile e la distribuzione
geografica di alcune specie
è limitata a quest’area: la
loro sopravvivenza dipende
quindi dalla nostra capacità di mantenerla intatta.
L’enorme distesa verde del
Cerrado un tempo copriva
un’area grande quanto metà
del continente europeo. Da
tempo, però, ampie porzioni di savana vengono convertite in piantagioni a una
velocità doppia di quanto
avviene in Amazzonia, con
il risultato che vegetazione e
fauna autoctona rischiano in
molti casi di scomparire per
sempre.
Anche le foreste sui monti
Nguru (in Tanzania), uno
dei luoghi meno esplorati
della Terra, dove di recente
della Tanzania è stato protetto grazie a parchi e riserve naturali, ma nonostante
l’impegno dello Stato per la
preservazione delle specie,
molte zone e molti animali
sono in pericolo a causa della crescente deforestazione.
Il Borneo, dove sono state
scoperte nuove specie ani-
Spesso gli hot spot si trovano
all’interno di aree protette, ma ciò
non è sempre sufficiente. Bisogna
fare i conti con gli interessi
della popolazione locale
e con il crescente disboscamento
sono state scoperte 17 nuove specie di rettili e anfibi,
rischiano di essere distrutte.
Infatti, questo habitat è minacciato dalle popolazioni
indigene che vivono ai margini della foresta e che preferiscono abbattere e bruciare
gli alberi per trasformare la
regione in coltivazioni di
mais, patate e altri ortaggi. Il
38,4 per cento del territorio
mali, tra cui particolari tipi
di leopardo e rinoceronte,
costituisce un ambiente ancora incontaminato. Infatti,
di recente, i ministri dei tre
governi del Borneo hanno
firmato un’importante Dichiarazione per la conservazione e la gestione sostenibile del cuore del Borneo
e questo ha portato l’area sul
piano delle principali priori-
tà di conservazione globale:
si tratta di una superficie di
220mila km² del tutto incontaminata.
A marzo scorso il Congo ha
dichiarato l’istituzione della
seconda area umida protetta più grande del mondo. Si
tratta dell’area di “Grand affluents”, che include le zone
umide dei quattro principali
tributari del fiume Congo,
tra cui il Libenga e il Sangha,
e due aree costiere fondamentali per la migrazione:
Cayo-Loufoualeba e Conkouati-Douli. L’area complessiva
è di quasi 6 milioni di acri,
ed è abitata da 300mila persone. Un luogo d’incantevole bellezza che presenta al
suo interno altissimi livelli
di biodiversità.
Per tutelare la barriera corallina australiana, recente teatro di tantissime scoperte di
nuove specie, è in corso un
piano di tutela che prevede
una gestione più severa della pesca commerciale, per
tutelare gli squali e gli altri
gruppi di pesci protetti che
potrebbero erroneamente finire nelle reti dei pescatori
locali. 
Animali domestici: nel Regno Unito i rettili battono i cani
La sofferenza
vive in gabbia
3
Secondo i calcoli della British federation of herpetologists, riportati dal Telegraph, in tutto il Regno Unito
sono più di 8 milioni gli anfibi e i rettili considerati come
animali domestici, mentre i cani sarebbero soltanto 6,5
milioni. E la crescita del numero di questo tipo di animali è così rapida che in pochi anni potrebbe superare i 9 milioni di gatti del Paese, decretando così la
vittoria dei rettili come animali domestici più popolari.
I rettili, infatti, sono economici, non hanno bisogno di
moltissime cure e non sporcano come altri animali più
impegnativi. I calcoli sono stati fatti in base all’analisi delle vendite di cibo per rettili (insetti e topi): dal
2004, quando si stimava che i rettili fossero 5 milioni,
il numero di grilli venduti in Gran Bretagna è raddoppiato da 10 a 20 milioni alla settimana. Nello stesso
periodo, il numero delle locuste è più che quadruplicato, fino ad arrivare a un milione a settimana. Sono
cresciute vertiginosamente anche le vendite di roditori congelati: oltre ai roditori allevati a questo scopo
nel Regno Unito e in Europa, ne sono stati importate
dai Paesi extraeuropei circa 3,5 tonnellate ogni mese.
Le cinque specie più popolari sono i i gechi leopardo,
i draghi barbuti, i serpenti del grano, i pitoni reali e
le tartarughe di Hermann. Altre specie molto richieste
sono il serpente colubro, il camaleonte dello Yemen e
il geco ciliato. Quest’ultimo è stato riscoperto solo nel
1994, poiché si pensava fosse estinto da molti anni. I
nuovi dati includono anche gli anfibi, soprattutto rane,
salamandre e rospi, anche se ricoprono solo il dieci per
cento del totale.
Rispettiamo
la vita
Cristina Morelli
Mentre l’essere umano continua a disboscare le più grandi
foreste esistenti e a devastare
le più belle zone della Terra,
il regno animale ci sorprende
con la scoperta di nuove specie
negli angoli più remoti del pianeta. Questa notizia dovrebbe
farci riflettere sui nostri comportamenti e soprattutto sul
rispetto che dovremmo avere
nei confronti di tutti i viventi
che insieme a noi compiono
quel “meraviglioso viaggio”
che è la vita. Viviamo in un
paradosso continuo. Da una
parte abbiamo il problema
del randagismo che affolla
i canili a causa del costante
abbandono dei nostri compagni a quattro zampe (e non),
quasi sempre coincidente con
i periodi di vacanza, quando
il nostro amico diventa un
ingombrante peso di cui sbarazzarci; dall’altra, assistiamo
all’incremento della vendita
di animali sempre più lontani
da quelli cosiddetti d’affezione. Infatti, stanchi ormai del
solito cane o gatto, riteniamo
“indispensabile” possedere un
animale che appartenga a specie esotiche o selvatiche: anfibi, rettili, roditori, ecc. nella
speranza di riacquistare, forse,
attraverso il controllo su ciò
che ci circonda, quell’armonia
e quel rispetto che abbiamo
perso ormai da troppo tempo. Cresce il numero di rettili
e anfibi come animali domestici nel Regno Unito, che addirittura arrivano a superare
la presenza dei cani nelle famiglie inglesi. Dietro a scelte
come quella di costringere un
essere vivente con caratteristiche etologiche completamente
diverse dalle nostre, facendolo
vivere in un habitat così diverso da quello in cui è nato, si
nasconde il nostro profondo
egoismo e l’ignoranza più bieca, che ci allontana sempre di
più dal significato vero della
nostra esistenza. Laboratori di
sperimentazione continuano
a infliggere sofferenze atroci
in nome delle cose più varie,
tra cui gli interessi economici, tranne sicuramente che in
nome della scienza. Eppure le
maggiori riviste scientifiche
hanno ormai indicato nuove tecnologie a disposizione
della ricerca basate su metodi
alternativi più efficaci e meno
costosi, che potrebbero risparmiare migliaia di vite, sacrificate ogni minuto, nell’indifferenza generale. Così come gli
zoo, gli acquari e i circhi continuano a speculare sulla pelle di
innocenti creature, rinchiuse
in spazi angusti e non conformi alla loro natura nel nome
della cosiddetta “educazione”,
che nulla ha a che fare con la
vera conoscenza del mondo.
Che educazione può essere
quella che insegna ai nostri figli un mondo falso, che mostra
animali dietro alle sbarre solo
per il nostro perverso divertimento? Mi auguro ancora che
gli “umani” si ravvedano e che
il cammino indicato da molti
(anche se sempre troppo pochi) illuminati ci induca a un
cambiamento del nostro modo
di vivere. Partendo dal rispetto
di ogni vita su questo pianeta
non possiamo che giungere
al rispetto di noi stessi, alla
consapevolezza che vivere nel
rispetto di tutto ciò che ci circonda è l’unica vita che vale la
pena di essere vissuta.
2
martedì 30 dicembre 2008
Il record del 2008 va all’Australia
Una ricerca svolta nel Pacifico ha permesso di conoscere l’esistenza di coralli, meduse, crostacei e pesci sconosciuti fino a poco tempo fa
dalla prima
È
sempre boom per le
nuove scoperte di specie animali. Nel 2007
secondo i ricercatori della
rivista Nature ne sono state
trovate 700 nuove e anche il
2008 si avvia a essere un anno
prolifico in questo senso. Negli ultimi mesi, infatti, si sono
verificate una serie di scoperte interessanti in diverse
parti del mondo. In Tanzania
Michele Menegon, ricercatore del museo di Scienze naturali di Trento, ha scoperto 17
nuove specie di rettili e anfibi
dopo oltre due mesi trascorsi nelle remote foreste sui
monti Nguru, uno dei luoghi
meno esplorati della Terra.
Una spedizione composta
da scienziati brasiliani, insieme ai colleghi della Ong
americana Conservation international, hanno scoperto
una rarissima lucertola senza zampe e almeno altre 14
specie mai studiate finora
durante una spedizione nel
Cerrado, la savana tropicale del Brasile grande quasi
quanto metà Europa, considerata insieme all’Amazzonia
uno dei patrimoni della biodiversità mondiale. Le specie
scoperte sono molto diverse
fra loro: otto tipi di pesci, tre
rettili, un mammifero e un
uccello nano.
Nelle remote foreste del Congo, in una zona estremamente inaccessibile agli scienziati,
la spedizione del World conservation society e del Wwf
ha trovato sei nuove specie
animali, oltre a un tesoro di
biodiversità. Gli scienziati
hanno perlustrato la foresta
a ovest del lago Tanganika.
In due mesi sono stati trovati
una nuova specie di pipistrello, due di toporagno, un nuovo roditore e due di rane, ma
non solo: oltre agli animali
sconosciuti la regione si è rivelata una miniera di specie a
rischio. L’elenco delle colonie
rinvenute sembra tratto da
un manuale sulla biodiversità: scimpanzè e altri tipi di
scimmie, bufali, leopardi, ma
anche uccelli, rettili e anfibi. I
ricercatori hanno anche raccolto migliaia di campioni di
piante, di cui il 10 per cento
è risultato impossibile da
identificare da parte dei botanici della spedizione ed è
attualmente allo studio degli
esperti. «Se in così poco tempo abbiamo trovato sei nuove
specie - ha commentato Andrew Plumptre, che ha partecipato alla missione - si può
solo immaginare cos’altro ci
sia da scoprire».
I ricercatori del Conservation
international hanno scoperto 52 nuove specie di pesci
nel Pacifico, in una zona di
L’evoluzione si misura
anche con la resistenza
all’odore
Per gli esseri umani i profumi sono importanti. Per accettazione sociale, per essere più attraenti, come mezzo per
comunicare stati d’animo. Anche nel mondo vegetale e
animale i profumi sono un elemento la cui importanza è
fuori discussione. Le piante li usano per attirare gli insetti
impollinatori, gli animali per “marcare” il loro territorio
o per attirare o “annusare” un compagno con cui accoppiarsi. Ma il ruolo dell’odore nello sfruttamento di una
specie animale su un’altra, con tanto di fiore in mezzo a
fare da “arbitro” e capace persino di influenzare il patrimonio genetico di una delle specie animali interessate, è
sicuramente poco noto. I protagonisti di questo singolare
intrigo “animal-floreale” sono rispettivamente una bella farfalla di colore blu, la Maculinea, le formiche rosse e
una genziana dal nome comune assai curioso: la Gentiana pneumonanthe, che in Italia si trova nelle regioni del
Nord e sulle Alpi. La Maculinea depone le sue uova sulle
foglie di questa genziana, a sua volta frequentata da una
specie di formiche rosse. Dalle uova si sviluppa un bruco,
che inizia a emettere un odore che “inganna” le formiche
inducendole a credere che si tratti di una loro larva. Le formiche quindi “adottano” il bruco e iniziano a nutrirlo, trascurando completamente le vere larve di formica, che ne
fanno le spese. Ma la cosa più straordinaria, dimostrata da
studi recenti condotti dall’università di Copenaghen, è che
queste formiche possono sviluppare geneticamente una
sorta di resistenza a questo inganno, secernendo sostanze
chimiche che modificano l’odore del bruco di Maculinea,
mentre altre popolazioni di formiche, che invece vivono
in luoghi dove queste genziane sono assenti, non sono in
grado di diventare resistenti all’inganno. Inoltre è stato dimostrato che, generalmente, la “resistenza” non viene trasmessa dalle formiche rosse parassitate a quelle che non
lo sono state, anche se queste ultime occupano le stesse
aree in cui vegeta la genziana. Ma non basta. La capacità
di alterare l’odore del bruco può essere trasmessa solo nel
caso in cui una formica regina “non resistente” si accoppi
con maschi di colonie “resistenti” e non viceversa. Sembra complicato, ma non lo è: in altri termini, si proverebbe
che una specie può evolvere la resistenza a un determinato
fattore per essa negativo attraverso la trasmissioni di geni,
ma solo quando essi sono legati al sesso. Queste riflessioni appartengono al campo della biologia evoluzionistica e
aprono la strada a ulteriori, interessanti ricerche anche in
campo biochimico.
mare ritenuta tra le più interessanti e incontaminate
del mondo dal punto di vista
faunistico: si trova attorno
alla penisola di Bird’s Head,
all’estremità occidentale della
Nuova Guinea. In particolare,
i biologi marini hanno trovato 24 nuove specie di pesci,
20 di corallo e 8 di gamberi.
Un altro rapporto del Wwf,
denominato “First contact in
the greater Mekong”, ha riservato altre sorprese: un ragno
predatore grande come un
piatto (30 cm), un millepiedi
rosa shocking che produce
cianuro, una stupefacente
vipera verde trovata su una
trave di un ristorante di Khao
Yai, un parco nazionale nel
Nord della Thailandia. Sono
questi solo alcuni esempi del
tesoro biologico scoperto
Peter Trott del Wwf locale: «Si
tratta di una conquista scientifica
eccezionale. Ora dobbiamo
studiare quali cambiamenti nella
gestione dell’ambiente marino
saranno necessari per tutelare
questi animali»
dagli scienziati nell’immensa foresta del Mekong (4425
km) che attraversa l’Asia
meridionale. In questa zona
sono state censite, tra il 1997
e il 2007, circa 1.068 nuove
specie. Come già verificato
per il crotalo, non sono state
trovate tutte in zone inesplorate: un ratto che si pensava
estinto 11 milioni di anni fa è
stato rinvenuto dagli scienziati in un mercato locale a Thakhek, in Laos. Ma il record di
scoperte di quest’anno spetta
all’Australia. I risultati di una
ricerca durata quattro anni
hanno messo in evidenza
centinaia di nuove specie animali nella barriera corallina.
Coralli, meduse, crostacei e
pesci sono stati documentati
in un inventario che farà parte
del censimento mondiale della vita marina finanziato da
governi, Nazioni unite e organizzazioni ambientaliste e
che sarà pubblicato nel 2010.
Sono state scoperte in particolare 100 nuove specie di
squali e razze marine al largo
della costa orientale, che vanno ad aggiungersi alla grande
varietà di squali australiana,
la più ricca al mondo dopo
quella dell’Indonesia. Una di
esse, il Parascyllum elongatum, è così rara che l’unico
esemplare conosciuto è stato
trovato nello stomaco di un
altro squalo. «Si tratta di una
conquista scientifica eccezionale - ha dichiarato Peter
Trott, responsabile per la fauna marina del Wwf locale -.
Ora dobbiamo studiare quali
cambiamenti nella gestione
dell’ambiente marino saranno
necessari per proteggere questi animali».  A.D.
Proteggere la natura
Dai parchi degli Usa a quello del Gran Paradiso, la storia dei luoghi deputati alla tutela del pianeta
Simone Di Meo
[email protected]
U
no degli obiettivi principali
della protezione della natura è la conservazione della
biodiversità, intesa come insieme
delle forme di vita che popolano
la Terra. Fin dall’antichità l’uomo
ha tutelato parti di territorio, per
finalità e scopi non direttamente
riconducibili alla salvaguardia della
biodiversità. È il caso dei boschi sacri della civiltà mediterranea o della
cinta di Roma o ancora delle foreste appenniniche dell’Abetone e del
Parco nazionale delle foreste casentinesi, conservatisi anche grazie alla
presenza di eremi e monasteri che
ne scoraggiavano lo sfruttamento
pesante. L’istituzione di riserve di
caccia a opera di famiglie nobili ha
spesso permesso il mantenimento
in condizioni di elevata naturalità
di interi territori e la sopravvivenza di specie altrimenti estinte; basti
ricordare la storia del primo parco
nazionale italiano, il Gran Paradiso. Sono statunitensi i primi parchi
naturali nazionali: nel 1872 viene
istituito Yellowstone, nel Wyoming
e, poco tempo dopo, nel 1880, Yosemite, in California; le note a commento dell’atto legislativo istitutivo
dello Yellowstone sottolineano l’ampia approvazione in seno al Congresso e la massiccia mobilitazione
dell’opinione pubblica sensibilizzata verso la necessità di preservare le
bellezze naturali a beneficio dell’intera collettività nazionale, senza
distinzione di rango. In Europa nel
corso del Diciannovesimo secolo vi
sono state iniziative a favore di singole specie pesantemente sfruttate;
le prime leggi di protezione della
natura risalgono agli inizi del Novecento, ma è la Svizzera, nel 1914,
la prima nazione europea a realizzare un parco nazionale con criteri
e finalità di salvaguardia scientifica,
l’Engadina. Negli anni successivi si
susseguirono altre istituzioni in tutta l’Europa: in Italia, il Gran Paradiso nel 1922, il Parco d’Abruzzo nel
1923, il Circeo nel 1934 e lo Stelvio
nel 1935 per citare solo quelli definiti storici. I criteri istitutivi dei
parchi non sono uniformi: accanto a impostazioni quasi esclusivamente protezionistiche quali quella
dell’Engadina, ci sono quelle di tipo
paesaggistico-ricreative, negli Stati
Uniti, o di tipo misto in Inghilterra,
Germania od Olanda. I primi tentativi di uniformare i criteri di classificazione e giungere a una definizione
universalmente accettabile di parco
nazionale risalgono alle conferenze
di Londra del 1933 e di Washington
del 1940 ma, malgrado gli sforzi, il
panorama rimane estremamente
diversificato perché condizionato dalle politiche dei diversi Paesi,
ispirate a principi autonomi. Nel
1948 nasce l’Unione internazionale
per la conservazione della natura
(Iucn), organismo sovranazionale
di riferimento, cui viene affidato un
programma per la classificazione
delle aree protette. L’impostazione
che ne scaturisce, basata sulla contrapposizione uomo-natura permarrà a lungo, fino alla conferenza
mondiale sull’Ambiente tenutasi a
L’ultimo trentennio del secolo scorso ha posto
in primo piano la questione ambientale: da qui
numerosi accordi internazionali per la protezione
di specie animali e la Convenzione di Rio sulla
diversità biologica
Stoccolma nel 1972, quando si arriva finalmente ad associare i problemi della conservazione a quelli
dello sviluppo. L’ultimo trentennio
del secolo scorso ha posto in primo
piano la questione ambientale, l’aumento demografico, l’esaurirsi delle
risorse naturali, l’inquinamento e
i limiti di uno sviluppo incontrollato. Risalgono a quel periodo numerose convenzioni internazionali
per la protezione di specie animali;
ma l’atto più significativo rimane
la “Convenzione di Rio de Janeiro
sulla diversità biologica”, sottoscritta da 153 Paesi. In quegli anni cominciano a emergere i primi dubbi
sul concetto di protezione della natura basata esclusivamente sull’individuazione di isole di naturalità
nettamente separate dal resto del
territorio e precluse all’intervento umano. Comincia anche a farsi
strada la consapevolezza che la creazione di un’area protetta necessiti
di confini basati su criteri ecologici
e di studi più complessi e approfonditi che non la semplice definizione dei punti d’interesse. Solide basi
scientifiche e la consapevolezza che
proteggere la natura significa anche
tutelare l’ambiente di vita dell’essere
umano divengono i nuovi principi
ispiratori della protezione della natura e di un modello di sviluppo sostenibile che sappia farsi carico tanto delle componenti antropiche che
di quelle naturali. È per questo che
nascono aree a elevata biodiversità
come il Costa Rica o il Madagascar
e le riserve create sulle spiagge di
Lampedusa dove depone le uova la
tartaruga marina. 
martedì 30 dicembre 2008
Aumentano le torture
in nome della scienza
Scriveva il cardinale John Henry Newman: «C’è qualcosa
di pauroso, di diabolico nelle torture inflitte a chi non ci
ha mai fatto del male, non può difendersi ed è completamente in nostro potere». La sua affermazione, fatta alla
fine dell’Ottocento, è ancora oggi di straordinaria attualità e definisce al meglio la pratica tuttora messa in atto di
utilizzare gli animali per gli esperimenti scientifici. La Lav
(Lega anti vivisezione) ha lanciato una nuova denuncia
contro la vivisezione: sempre più cavalli, asini, bovini, suini, uccelli e pesci finiscono la loro vita in un laboratorio.
La denuncia nasce sulla base dei dati relativi al numero
degli animali utilizzati in Italia per fini scientifici e sperimentali durante i tre anni dal 2004 al 2006, resi noti, con
il solito ritardo, dal ministero del Welfare. Rispetto ai tre
anni precedenti, il ministero informa che sono stati utilizzati, a fini sperimentali, 221 tra cavalli e asini contro 90, più
di 8.000 maiali contro meno di 7.000, quasi 3.000 bovini
contro 1.500. A questo si aggiunge un notevole incremento
nell’utilizzo di uccelli (quasi 100mila contro 85mila) e pesci
(45mila contro 8.000). Naturalmente gli animali ancora più
rappresentati in questa vera e propria strage di cui pochissimi parlano, sono i roditori che, per mere ragioni di costo e maneggevolezza, vengono sacrificati a milioni. Tutto
questo accade in contrasto al fatto che le nuove tecnologie
mettono a disposizione della ricerca metodi alternativi assolutamente validati che potrebbero risparmiare centinaia
di migliaia di vite, sacrificate inutilmente su freddi banconi
di laboratorio. Il quadro è ulteriormente aggravato dalle
autorizzazioni in deroga, ovvero dalla possibilità di utilizzare cani, gatti e primati (non umani) o altre specie per
fini didattici e senza fare ricorso ad anestetici. Se pensiamo che, ancora oggi, vengono testati sulle cavie profumi,
unguenti e belletti e che detersivi e altri prodotti chimici
per la casa finiscono negli occhi di poveri animali, prima
che su piatti o pavimenti, dobbiamo renderci conto della
mostruosità che implica questo tipo di sperimentazione e
di quanto fossero vere le parole del cardinale Newman.
Africa, uno scrigno di tesori
In un continente ancora tutto da scoprire i ricercatori provano a classificare tutti i nuovi esemplari
Elida Sergi
[email protected]
I
l mondo della biodiversità è ancora uno scrigno pieno di tesori da
scoprire, alcuni del tutto
inaspettati, in un pianeta
dove tutto sembra indagato
e classificato. L’Africa in particolar modo è un continente ancora da scoprire.
Ci hanno provato a partire dallo scorso anno alcuni
studiosi, per mezzo di una
spedizione scientifica della Wildlife conservation
society Usa. I ricercatori
avrebbero scoperto 6 nuove specie di animali nell’Est
della Repubblica democratica del Congo, in una regione boscosa a ovest del lago
Tanganika, che gli scienziati
non raggiungevano da anni
a causa della sanguinosa
guerra che ha sconvolto il
cuore verde dell’Africa nera.
Gli scienziati americani, tra
gennaio e marzo, avrebbero
classificato 2 nuove specie
di rane, 1 di pipistrello e 3
di roditori. Inoltre, anche 4
nuove specie di mammiferi, cosa sempre più rara da
scoprire. La vita animale
sta quindi dimostrando di
Prima è toccato al Congo, con la
scoperta di 6 nuove specie, di recente
invece è stata la volta della Tanzania.
Qui Michele Menegon, ricercatore di
Trento, ha catalogato 97 nuovi gruppi
animali di cui alcuni sconosciuti
sopravvivere anche in quei
luoghi che per dieci anni
sono stati sconvolti da quella che nel continente viene
chiamata la “prima guerra
mondiale africana”, che ha
fatto più di quattro milioni
La sofferenza vive in gabbia
Secondo una ricerca della university of Guelph nello zoo gli elefanti muoiono più giovani che in savana
Redazione
[email protected]
T
utti li abbiamo visitati con gioia da bambini, e molti di noi
hanno accompagnato i propri figli a visitarli, magari spiegando
che tenere gli animali selvatici dietro
le sbarre di una gabbia o dentro un
recinto serve, oltre che a farli vedere
da vicino a chi non ha la possibilità di
fare un safari in Africa, anche a proteggere certe specie a rischio d’estinzione. Ma il diffuso luogo comune
che presenta molti zoo e zoo-safari
come una sorta di moderne “arche di
Noè” o di riserve protette ha ricevuto
un duro colpo da uno studio pubblicato sulla rivista Science. Una ricerca
dell’university of Guelph, condotta
su migliaia di elefanti ospitati negli
zoo di tutto il mondo, dimostra che
gli elefanti in cattività muoiono più
giovani degli elefanti che vivono liberi nella savana; e gli elefante nati
negli zoo, anziché catturati in savana
e poi trasportati in uno zoo, hanno
statisticamente la vita più breve di
tutti. Già si sapeva che gli elefanti
tenuti negli zoo, così come altre specie in cattività, soffrono di disturbi
comportamentali (il camminare
ossessivamente avanti e indietro,
casi di infanticidio) e segni di chiaro
stress fisico. Il nuovo studio, il primo
nel suo genere, rivela che la cattività danneggia non solo la salute degli
elefanti ma pure la loro longevità e la
loro capacità riproduttiva. Lo studio
smentisce infatti che la popolazione
degli elefanti negli zoo mondiali si
riproduca autonomamente, cioè con
un numero di nascite in cattività pari
a quello dei decessi, affermando che
soltanto la cattura di nuovi esemplari permette agli zoo di continuare
ad avere abbastanza elefanti. Il rapporto esorta i governi occidentali
ad approvare un bando alla cattura
e all’importazione di elefanti selvatici. E secondo il quotidiano Inde-
3
di vittime umane, distrutto
interi habitat e messo in pericolo numerose popolazioni di animali. Evidentemente
la guerra e la ferocia umana
non hanno raggiunto i 2.700
metri di altezza di questo
santuario della natura situato
vicino alle rive del Tanganika, ancora miracolosamente
intatto. Una regione già conosciuta dai ricercatori per
la sua biodiversità e dove vivono numerosi esemplari di
grandi mammiferi come bufali, elefanti, leopardi e scimpanzé. Dopo la spedizione e
le scoperte, i capi dei villaggi
locali si sarebbero detti favorevoli all’istituzione di un
parco naturale per proteggere l’ambiente e i suoi abitanti
umani e animali.
Diciassette nuove specie di
rettili e anfibi sono state invece recentemente scoperte in Tanzania da Michele
Menegon, ricercatore del
museo di Scienze naturali di
Trento. Dopo oltre due mesi
passati nelle remote foreste
sui monti Nguru, uno dei
luoghi meno esplorati della
Terra, sono state catalogate
97 specie tra le quali alcune
del tutto sconosciute.
Il record di stranezza (e di
bruttezza), a detta dello stesso ricercatore, è stato vinto
da un rospo di soli 4 cm interamente coperto di grosse
ghiandole, che producono
secrezioni tossiche, probabilmente utilizzate dall’animale come sistema antipredatorio. Ma queste specie
rischiano di estinguersi
ancora prima di essere conosciute dall’uomo. Questo
habitat, infatti, è minacciato
dalle popolazioni indigene
che vivono ai margini della
foresta e che preferiscono
abbattere e bruciare gli alberi per trasformare la regione
in coltivazioni di mais, patate e altri ortaggi. 
Le formiche killer
invadono l’Europa
pendent di Londra, che ne anticipa
il contenuto, questo atto di accusa
potrebbe valere anche per altri animali in cattività, come i rinoceronti
e i grossi carnivori. E nel mirino delle
critiche sono finiti anche i circhi. In
Italia queste notizie hanno convinto
alcuni sindaci a emanare ordinanze
con le quali si vieta l’insediamento
all’interno delle aree cittadine dei
tendoni circensi qualora sia previsto
l’utilizzo di animali negli spettacoli. Questi provvedimenti non sono
però semplici casi isolati, ma si pongono in linea di continuità con una
serie di prese di posizione, in primis
con quella del nostro Parlamento. Lo
scorso 30 luglio, infatti, con un’iniziativa parlamentare, il deputato Gabriella Giammanco, insieme ad altri
colleghi, ha presentato alla Camera
il progetto di legge 1564 dal titolo
“Norme per la graduale dismissione
dell’uso di animali da parte dei circhi
e per il sostegno dello spettacolo circense”. Si tratta di un disegno di legge
che mira a mettere fine alla presenza
di animali nelle gabbie e negli spettacoli circensi e che ha coinvolto e
sta coinvolgendo deputati di tutti gli
schieramenti, insieme alla Lega antivivisezione e all’Ente nazionale per la
protezione animali, che da tempo si
battono per difenderne i diritti. Secondo la nuova normativa le risorse
del Fondo unico per lo spettacolo andranno solo ai circhi e agli spettacoli
viaggianti che non utilizzeranno animali. Inoltre sarà precluso l’ingresso
nel nostro Paese di tutti i circhi stranieri che continueranno a utilizzare
gli animali nelle loro esibizioni.  Nel mirino anche i circhi: secondo una
proposta di legge presentata nel luglio
scorso in Parlamento otterranno fondi solo
i spettacoli itineranti che non utilizzeranno
animali per le loro performances
Ha già invaso Varsavia, Ginevra e la cittadina di Jena
in Germania: la nuova e più aggressiva specie di formiche da giardino, la Lasius neglectus, con ogni probabilità asiatica, sta lentamente colonizzando parchi
e giardini di mezza Europa annientando le specie autoctone nel loro ambiente. Un’invasione silenziosa,
ottimo esempio di quel fenomeno chiamato “bioinvasione”, che preoccupa sempre più biologi ed etologi. In
apparenza sono simili alle comuni formiche nere da
giardino, ma le Lasius neglectus hanno una struttura
sociale molto diversa. Le regine, infatti, non lasciano
la colonia per fondarne una nuova, ma si accoppiano
con i maschi della colonia d’origine, espandendola e
facendo crescere enormemente il numero di formiche
che scavano nel suolo per costruire nuovi nidi, finché
l’area non risulti popolata da una sorta di “supercolonia”. In pratica, una volta stabilitasi in un luogo, questa
specie riesce a imporsi senza grosse difficoltà sulle altre, dominando l’intera fauna locale.
Inoltre, queste formiche prosperano in ambienti urbani anziché in habitat naturali. In questo caso si tratta di
colonie altamente infestanti, dalle dieci alle cento volte
più numerose di quelle native europee, come si legge
in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Plos
One. La Lasius neglectus è onnivora e ben si adatta al
nuovo ambiente. Questa formica eurasiatica è arrivata
dalle nostre parti grazie all’uomo. Fu scoperta nel 1990
in Ungheria. Poi trasportata attraverso l’Europa probabilmente nella terra usata per far crescere le piante:
le sue colonie sono oggi presenti in oltre cento luoghi
fra Francia, Germania, Polonia e Belgio, riferisce Sylvia Cremer dell’università di Ratisbona in Germania,
tra gli autori dello studio. Gli esperti sono convinti che
sia solo questione di tempo: implacabile, rapida e quasi invisibile la formica invasiva colonizzerà ben presto
gran parte d’Europa.
SI RINGRAZIA LʼEDITORE PER LO SPAZIO CONCESSO
POCO DI BUONO.
' UN AVANZO DI GALERA.
QUESTʼUOVO E
SUA MADRE VIVE ANCORA IN GABBIA. CON ALTRE
MIGLIAIA DI GALLINE. DI COSA SIANO COLPEVOLI NON SI SA. QUALCOSA DI ORRIBILE VISTO COME LE
TRATTANO. AMMASSATE UNA SULL'ALTRA, NON POSSONO NEMMENO GIRARSI. PER IMPEDIRE CHE SI
AGGREDISCANO DEVONO ADDIRITTURA AMPUTARGLI I BECCHI. CREDI CHE POSSA NASCERE QUALCOSA
DI BUONO IN QUESTE CONDIZIONI? FAI QUALCOSA DI BUONO TU: NON COMPRARE UOVA DI GALLINE
ALLEVATE IN GABBIA.
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