Aprirsi a sé per aprirsi al mondo – Roberto

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Aprirsi a sé per aprirsi al mondo – Roberto
Aprirsi a sé per aprirsi al mondo – Roberto Panzanelli
APRIRSI A SÉ PER APRIRSI AL MONDO
Cantare: pratica tanto adoperata nel profano quanto nel sacro. Le trasmissioni in tv dove si canta, le
canzoni alla radio ormai non più quantificabili. Non c’è bisogno di aggiungere altro, per il profano.
Ma si canta anche perché si prega (chi canta prega due volte, diceva S. Agostino), si canta per
conoscere sé stessi, si canta per provare un benessere profondo. Questo riguardo il sacro.
Ma le stesse canzoni della radio, molte delle quali bagaglio culturale comune, non è vero che siano
tutte superficiali ed insignificanti. Per ognuno ci sono canzoni cariche di emozioni e di valenze
simboliche. Il solo ascoltarle muove emozioni dentro. Il riproporle con la propria voce può anche
commuovere.
Il canto esiste fin da quando l’uomo ha trovato necessario il raccogliersi con sacralità attorno al fuoco.
Chi è solito cantare canzoni con la chitarra o con il karaoke ha già scoperto quella vena aurifera
apportatrice di libertà. Questa vena può essere coltivata ed approfondita.
Una sensazione abbastanza comune di chi all’improvviso, magari da adulto, sente l’esigenza di
cantare è quella che dentro sembra tutto facile e naturale, ma quando porta fuori tutto diventa più
difficile. Il canto è diverso da come credevamo. La pratica porta sì a dei miglioramenti, ma questi
sono lievi. Arriva piuttosto a farci scontrare contro un muro.
Il muro si erge perché la voce, a prescindere dal canto, ha un grande potere. Entra nelle molecole di
chi ascolta, le fa vibrare, le rimette in sesto. Chi fa sentire la propria voce è come se facesse un
massaggio intenso e delicato a chi ascolta. Questo avviene a prescindere dal contenuto della voce e a
prescindere dal canto stesso. E’ sufficiente allungare una vocale, anche senza intonarla, per scoprire
questo potere massaggiante della voce. Occorrono le intenzioni giuste, ovviamente, ed il contesto
adatto per fare un massaggio vocale efficace, ma è possibile scoprirlo.
E’ questo potere che imbarazza. E’ la non consapevolezza della magia della voce, e quindi la difficoltà
a gestirla, che fa il muro.
Per rompere il muro la prima cosa è fare esperienza del potere massaggiante della voce. Imparare a
gestire la voce magica, questa naturale ed infinita fonte di benessere che tutti noi abbiamo. Già questo
crea delle brecce nel muro. Con le pratiche a voce libera è possibile sperimentare ed imparare a
gestire la voce magica. Perché le pratiche a voce libera? Perché è opportuno che il canto sia svincolato
da codici e riferimenti, affinché si provi la pienezza del benessere profondo. Perché prima di
comunicare con la voce si sperimentano passaggi graduali di contatto con l’altro, tramite respiro e
movimento spontaneo. Perché l’essere nella performance sposta subito le intenzioni su un piano che
non è quello della comunicazione profonda, quindi è opportuno rimanere svincolati.
Ma la vera rottura del muro avviene quando si sperimenta la cosiddetta voce fuori dal coro. E’ una
voce che tutti possediamo dentro, che possedevamo senz’altro da bambini, che qualcuno ha
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mantenuto anche negli anni e che qualcun altro negli anni ha inibito. E’ una voce carica di frequenze
metalliche, frizzanti, pungenti. E’ una voce per alcuni versi animalesca. E’ la voce che supera la
barriera del vento, della distanza, dell’orchestra. E’ la voce che penetra il muro dappertutto e perciò lo
abbatte definitivamente. E’ la voce dell’assertività. E’ una voce non necessariamente gridata, anche se
il grido aiuta a scoprirla.
Ri-scoprire la voce animalesca per qualcuno è immediato, per qualcun altro è più laborioso. La
gestione di questa voce è per tutti inevitabilmente un’esperienza intensa. E’ la voce dei cantanti quelli
bravi i quali sono tali perché sanno gestire questa esperienza intensa.
Fare esperienza sul massaggio vocale e sulla voce dell’animale interiore aiuta a trovare la libertà di cui
il canto ha bisogno, di cui noi abbiamo bisogno. Le pratiche di queste voci non è detto che debbano
essere trasportate al canto stesso, non occorre cantare pensando di fare un massaggio o cercando
mentalmente la voce dell’animale interiore. Le pratiche sono efficaci in sé. Preparano il corpo e
l’anima. Quando si canta ci si deve dimenticare di tutto per darsi all’espressività e alla comunicazione.
La conquista della libertà nel canto corrisponde ad un recupero della fisiologia vocale naturale.
Corrisponde alla riscoperta della nostra vera voce, della voce che ci spetta di diritto perché la natura
ce l’aveva fornita da piccoli e la natura la vuole ancora sentire. Ri-scoprire la voce è come ritrovarsi su
binari facili di cui si era persa la traccia. Il lavoro è sul respiro, sul corpo e sull’espressività (è utile
muoversi, danzare, ma anche scrivere). Il lavoro può essere più o meno intenso, più o meno lungo.
Ma quando si intraprende, se davvero si è intrapreso, non interessa sapere se i tempi siano più o
meno lunghi, perché in ogni momento il cammino è profondamente fertile. E intensamente piacevole.
Quello che sul piano pratico sembra una conquista, sul piano mentale risulta una semplificazione.
Quando si è sul cammino della ri-scoperta della propria voce cantare è un aprirsi a sé perché
concedersi ad un’esperienza di contatto con l’altro significa mettersi in gioco, significa lasciar morire
qualcosa di noi, liberarsi di un gruppetto di cellule morte che cercano il ricambio. Aprirsi a sé, perciò,
significa favorire questo processo di ricambio, di cui la vita ha bisogno. Per questo si canta fin dalla
nascita, fina dai fuochi e dalle caverne. Ed è automatico scoprire che l’aprirsi a sé è aprirsi al mondo,
perché la scintilla che muove il tutto è il nostro stesso metterci in gioco. Il nostro lasciar cadere le
barriere, che imprigionavano noi e il mondo.