Moby Dick - Cap.132

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Moby Dick - Cap.132
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Herman Melville – Moby Dick – cap. 132
IL NARRATORE AUDIOLIBRI
PRESENTA
MOBY DICK
di
Herman Melville
Lettura di Piero Baldini
Traduzione di Alberto Rossatti
Capitolo 132 • LA SINFONIA
Era una giornata limpida, di un blu acciaio. I firmamenti dell'aria e del mare si
distinguevano appena in quel diffuso azzurro; soltanto l'aria pensosa aveva una purezza e
dolcezza trasparenti, un che di femmineo, e il mare robusto e virile si gonfiava in ondate
lunghe, poderose, lente, come il petto di Sansone nel sonno.
Qua e là, in alto, scivolavano le ali, bianche come la neve, di piccoli uccelli immacolati:
erano i teneri pensieri dell'aria femminea; ma avanti e indietro negli abissi, laggiù nel blu
senza fondo, si avventavano maestosi Leviatani, pesci-spada e squali: e questi erano i
pensieri forti, tormentosi, assassini di quel mare virile.
Ma il contrasto, così profondo nell'intimo, si rivelava all'esterno solo in ombre e
sfumature. Quei due sembravano una cosa sola; e solo il sesso, per dir così, li
distingueva.
Arriva, come un regale zar e sovrano, sembrava che il sole donasse quell'aria gentile al
mare baldanzoso e rollante, come la sposa allo sposo. E sulla linea che cingeva
l'orizzonte, un moto soave e tremulo – tanto spesso visibile qui all'Equatore - rivelava la
fede appassionata e palpitante, le ansie amorose con cui la povera sposa offriva il suo
grembo.
Rattrappito e contorto, nocchiuto e solcato di rughe, macilento ma fermo e ostinato, gli
occhi vividi come carboni ancora ardenti tra le ceneri della rovina, l'inflessibile Achab si
fece avanti nel chiarore del mattino, alzando l'elmo scheggiato del ciglio verso la fronte di
leggiadra fanciulla del cielo.
Oh, infanzia immortale e innocenza dell'azzurro! Invisibili creature alate che folleggiano
intorno a noi! Fanciullezza soave dell'aria e del cielo! come eravate dimentiche del dolore
chiuso e contorto del vecchio Achab!
Ma così ho visto le piccole Miriam e Marta, elfi dagli occhi ridenti, folleggiare spensierate
attorno al vecchio padre, giocando con la cerchia di ciocche bruciacchiate che gli
spuntano intorno al cratere spento del cervello.
Dal portello Achab traversò lentamente la coperta, si chinò sulla fiancata e osservò come
la sua ombra affondasse nell'acqua sempre più al suo sguardo quanto più cercava di
penetrarne la profondità.
Ma i soavi aromi di quell'aria incantata parvero alla fine dissipare, per un attimo, il morbo
che gli infettava l'anima. Quell'aria lieta, felice, quel cielo seducente, finirono per colpirlo e
carezzarlo; la terra matrigna, così a lungo crudele – ostile - ora gettava braccia amorose
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attorno al suo collo ostinato, e pareva singhiozzare di gioia per lui, come per qualcuno
che, per quanto caparbio e traviato, lei avesse ancora il cuore di salvare e benedire.
Di sotto al cappello tirato sugli occhi, Achab lasciò cadere una lacrima nel mare: e tutto il
Pacifico non conteneva ricchezze eguali a quella misera goccia.
Starbuck vide il vecchio; lo vide appoggiarsi pesantemente alla murata; e gli parve di
sentire dentro il fedele cuore lo smisurato singulto che irrompeva dal centro di tutta quella
serenità. Attento a non toccarlo e a non farsi notare, venne a metterglisi accanto e restò lì.
Achab si voltò.
«Starbuck.»
«Signore?»
«Ah, Starbuck! Ė un vento dolce, dolce, e dolce anche il cielo. In un giorno come
questo... della stessa soavità di questo... ho colpito la mia prima balena... un ramponiere
di diciott'anni! Quaranta... quaranta... quarant'anni fa! Quarant'anni di continua caccia!
Quarant'anni di privazioni, e pericoli, e tempeste. Quarant'anni sul mare spietato! Per
quarant'anni Achab ha lasciato la terra serena, per quarant'anni ha fatto guerra sugli orrori
dell'abisso! Proprio così, Starbuck: di questi quarant'anni non ne ho passati tre a terra.
Quando penso alla vita che ho fatto, e che desolazione di solitudine è stata, alla fortezza
murata e chiusa dell'isolamento di un capitano, che lascia ben poco adito a qualunque
moto di tenerezza della verde regione di fuori... oh, stanchezza! Oh, peso! Schiavitù
africana del comando solitario!... quando penso a tutto questo, solo appena sospettato,
mai prima d'ora avvertito così acutamente... e come per quarant'anni mi sono nutrito solo
di cibo secco e salato... giusto emblema dell'arido nutrimento della mia anima!... mentre il
più povero di terra ha avuto frutta fresca quotidiana, e ha spezzato il pane fresco del
mondo in luogo delle mie croste ammuffite... lontano, interi oceani lontano da quella sposa
bambina che sposai più che cinquantenne e salpai l'indomani per il Capo Horn, lasciando
un'impronta sola nel cuscino nuziale... sposa? Sposa?... vedova, piuttosto, di un marito
vivo!
Sì, Starbuck, quella povera ragazza, io l'ho resa vedova il momento che l'ho sposata; e
poi, la pazzia, il delirio, il sangue ribollente e il ciglio fumante con cui per migliaia di volte il
vecchio Achab ha ammainato, per dare una caccia furiosa e schiumante alla sua preda...
più demonio che uomo!... sì, sì! quarant'anni di pazzia... pazzo..., un vecchio pazzo è stato
questo vecchio Achab!
Perché questa contesa della caccia? Perché sfinire e paralizzare il braccio al remo, al
ferro e alla lancia? Quanto più ricco e migliore è Achab ora?
Guarda. Oh, Starbuck! non è duro che con questo pesante fardello che porto, mi sia
stata strappata di sotto una povera gamba?
Qua, scosta, scosta questi vecchi capelli: mi accecano, e pare che pianga. Ciocche così
grigie non crescono che dalla cenere!
Ma sembro davvero molto vecchio, tanto, tanto vecchio, Starbuck? Mi sento stanco da
morire, curvo e ingobbito come fossi Adamo che dai tempi del Paradiso va barcollando
sotto il cumulo dei secoli.
Dio, Dio, Dio!... spaccami il cuore... sfondami il cervello!... Beffa! Beffa! amara e mordace
beffa di questi capelli grigi, ho vissuto forse abbastanza gioia da doverli portare e da
parere e sentirmi così insopportabilmente vecchio?
Avvicinati, Starbuck, fammi guardare dentro un occhio umano. È meglio che fissare il
mare o il cielo, meglio che fissare lo sguardo in Dio.
In nome della terra verde! In nome del focolare lucente! Questo è lo specchio magico,
marinaio: nel tuo occhio vedo mia moglie e il mio bambino. No, no, resta a bordo, a
bordo!... non ammainare con me, quando Achab, che è segnato, darà la caccia a Moby
Dick.
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Non devi correre quel rischio. No, no! non con quella casa lontana che ti vedo
nell'occhio!»
«Oh capitano! Mio nobile capitano! Grande vecchio cuore, dopo tutto! Perché mai
qualcuno dovrebbe dare la caccia a quel pesce maledetto? Via con me! Fuggiamo da
queste acque di morte! Torniamo a casa! Moglie e bimbo, anche Starbuck ce l'ha ...
moglie e bimbo della sua fraterna e gioconda giovinezza, come i tuoi, signore, sono moglie
e bimbo della tua vecchiaia amorevole, nostalgica, paterna! Via! andiamo via!... lasciami
invertire la rotta in questo stesso istante! Con quanta gioia, con quanta contentezza, o mio
capitano, fileremmo scorrevolmente sulla nostra rotta per rivedere la nostra vecchia
Nantucket! Io credo, signore, che anche lì, a Nantucket, ci sono giornate miti e azzurre
come questa!»
«Ci sono; ci sono. Le ho viste... certi giorni d'estate, la mattina. Verso quest'ora... sì,
adesso è l'ora della siesta... il bambino si sveglia tutto vispo, si mette a sedere nel letto e
la madre gli racconta di me, di questo vecchio cannibale, che sono lontano sull'oceano,
ma che tornerò presto per farlo ballare di nuovo.»
«Ma è la mia Mary, la mia Mary questa! Ha promesso che avrebbe portato il mio
bambino, ogni mattina, sulla collina, perché fosse il primo a scorgere la vela del padre!
Sì, sì, basta! È deciso! Puntiamo su Nantucket! Venite, capitano, studiate la rotta e
andiamo! Guardate, guardate! Il viso del bambino alla finestra! La mano del bimbo sulla
collina!»
Ma Achab aveva distolto lo sguardo: si scosse come un albero malato, e gettò a terra il
suo ultimo frutto incenerito.
«Che cos'è mai, quale cosa indicibile, imperscrutabile e inumana è questa; quale signore
e padrone nascosto e ingannatore, quale tiranno crudele e senza scrupoli mi comanda,
perché io, contro ogni affetto e desiderio naturale, debba continuare a spingermi, a
serrarmi e schiacciarmi di continuo; preparandomi senza posa a fare ciò che nel profondo
del cuore non ho mai osato nemmeno pensare?
È Achab, Achab? Sono io, Dio, che alzo questo braccio, oppure chi è?
Ma se il gran sole non si muove da sé, e non è che un fattorino del cielo; se neanche
una stella può ruotare se non per una forza invisibile; come può dunque battere questo
piccolo cuore, e questo piccolo cervello pensare, se non è Dio a creare quel battito, quel
pensiero, quella vita, e non io?
Perdio, marinaio, ci fanno girare e girare in questo mondo, come quell'argano lì, e il Fato
è la manovella.
E intanto, guarda! Guarda quel cielo sempre sorridente e questo mare insondabile!
Guarda! Guarda! Vedi quel tonno? Chi gli ha messo in testa di inseguire e azzannare
quel pesce volante?
Dove vanno gli assassini, marinaio? Chi deve giudicare, quando il giudice stesso è
trascinato alla sbarra?
Ma il vento è dolce, dolce, e dolce è il cielo, e ora l'aria è profumata come se spirasse da
una remota radura; devono aver tagliato il fieno chi sa dove sotto i pendii delle Ande,
Starbuck, e i mietitori dormono in mezzo al fieno tagliato di fresco.
Dormono? Ma sì, per quanto ci affatichiamo, tutti alla fine dormiamo su un campo.
Dormiamo? Sicuro, e arrugginiamo tra il verde, come le falci dell'anno scorso buttate per
terra e dimenticate in mezzo all'erba non ancora tagliata ... Starbuck!»
Ma l'ufficiale se n'era andato, bianco per la disperazione come un morto.
Achab traversò il ponte per dare un'occhiata dall'altra parte, ma trasalì vedendo,
nell'acqua, il riflesso di due occhi sbarrati. Fedallah era appoggiato, immobile, alla stessa
ringhiera.
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