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INTERVENTI CRONACA DI UN PAESE ANORMALE La riforma del falso in bilancio di DIEGO GRANATA con la collaborazione di ANDREA CAMPANA Ac si hoc iuris non unius hominis causa edixisses cautius composuisses. CIC., in Verr. II 1, 43, 120 A distanza ormai di un anno dall’entrata in vigore del decreto delegato che riforma l’illecito di false comunicazioni sociali, volerne ancora parlare potrebbe forse apparire il fazioso tentativo di proseguire sulla scia di quelle polemiche che hanno infiammato l’iter legislativo della novella in questione. Questo non è certamente il nostro proposito e ben ci guardiamo dal fomentare discussioni anche fin troppo accese. Piuttosto vorremmo offrire al lettore un’analisi il più possibile precisa e lucida della riforma del reato de quo, del quale tanto si è scritto e non sempre in maniera precisa. Prima però di affrontare l’analisi più tecnica, il lettore voglia permetterci una breve divagazione, utile però a inquadrare il quadro politico nel quale la riforma in esame è maturata, giacché, come sappiamo, il diritto penale, più di qualsiasi altra branca del diritto, ha da sempre costituito lo strumento di cui il princeps si è servito per orientare benevolmente il comportamento dei suoi sudditi. Il lettore non tema che lo si voglia annoiare con la corrispondenza da qualche repubblica centroamericana, poiché il paese anormale al quale ci riferiamo altri non è che l’Italia, una democrazia atipica, formalmente perfetta, che tuttavia ci consente di assistere ogni giorno a un nuovo miracolo italiano. Non sappiamo quali altri popoli possano assistere all’opera di un capo di 67 Governo in palese e continuo conflitto d’interessi (parafrasando un comico a noi caro: è sparito il conflitto so’ rimasti solo l’interessi), o vedere un’opposizione parlamentare in preda a un’accesa regressione infantile e tutta presa da girotondi e nascondini. E come omettere la presenza di novelli partigiani che, smarrita la memoria del ruolo istituzionale da essi rivestito, invitano a resistere... – giustificando così la loro supplenza rispetto a un potere politico illegittimo ancorché espressione della volontà popolare? Anche l’osservatore meno attento, di fronte a questo disincantato quadro, non può che temere per Montesquieu, che nel sepolcro starà rivoltandosi convulsamente; ma questa è la situazione politica del nostro paese, che ha dato alla luce il decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, che riforma l’intero titolo XI del libro V del codice civile. Innanzitutto preme osservare che suddetta novella non ha interessato le sole disposizioni relative all’illecito di false comunicazioni sociali, ma l’intero settore dei reati societari. Purtroppo l’analisi della dottrina e l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata pressoché unicamente sul falso in bilancio in ragione delle vicende processuali che coinvolgono personaggi facilmente identificabili, e ciò ha fatto perdere di vista alcuni aspetti meritori della riforma – come l’introduzione di una fattispecie riferita all’infedeltà patrimoniale, o la tanto agognata previsione, tra i presupposti della condotta di false comunicazioni, del bilancio consolidato, o ancora la tipizzazione normativa dei soggetti di fatto contenuta all’art. 2639 c.c., che ha così consentito l’incardinazione nel codice del criterio funzionalistico, peraltro invalso in giurisprudenza1. Forse i detrattori dell’attuale Governo sono stati ingiusti nell’attaccarlo indiscriminatamente, perdendo di vista aspetti positivi della novella in questione; sarà perciò necessario affrontare l’argomento che ha fatto gridare allo scandalo buona parte della dottrina. 1 Per una panoramica sulla questione della punibilità dei soggetti di fatto, nell’ambito di reati propri quali gli illeciti societari, si vedano F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale. Leggi complementari, vol. 1, I reati societari, bancari, di lavoro e previdenza, a cura di L. CONTI, Milano 1999, pag. 71; G. ESCOBEDO, I cosiddetti amministratori di fatto delle società anonime e il reato di quasi bancarotta semplice, in «La Giustizia Penale», III, 1933, pag. 685; M. LA MONICA, voce Reati Societari, in Enciclopedia del diritto, vol. 38, Varese 1987, pag. 960; M. ROMANO, Profili penalistici del conflitto di interessi dell’amministratore di società per azioni, Milano 1967. 68 Nel precedente dettato normativo l’illecito delle false comunicazioni sociali veniva contemplato all’art. 2621 n. 1 c.c.; ci si trova dunque tra le disposizioni del titolo XI del libro V del c.c., norme che nel loro insieme furono «per lungo tempo scarsamente applicate perché poco conosciute, e poco studiate perché, appunto, raramente applicate»2. Tuttavia tali norme hanno suscitato in tempi recenti un rinnovato interesse e tra le pieghe del codice le Procure della Repubblica hanno riscoperto l’accusa del falso in bilancio; è stata l’esperienza giudiziaria del decennio scorso a mettere in rilievo i difetti della fattispecie di false comunicazioni sociali, che, per la poca determinatezza dei suoi contenuti normativi, si prestava agevolmente a operazioni di “ortopedia interpretativa” ad opera di certa giurisprudenza pronta a esaltarne le virtualità espansive. L’esigenza dunque di provvedere a una riforma del falso in bilancio, e più in generale dei reati societari, era avvertita da tempo e già nel corso della XIII legislatura si erano avviati i lavori di revisione: entro una più generale riforma dell’intero diritto societario, venne infatti costituita la cosiddetta Commissione Mirone che produsse l’omonimo progetto. Esso tuttavia non vide l’approvazione delle Camere, essendosi ormai nell’ultimo scorcio della legislatura. L’esigenza di provvedere a una riscrittura del diritto societario era comunque pressante e, al principio della nuova legislatura, sia il Governo che l’opposizione presentavano alla Camera dei Deputati due disegni di legge, in larga parte ispirati al Progetto Mirone3. Su tale riforma si è però ben presto acceso lo scontro, e il casus belli è rappresentato da alcuni emendamenti (che si possono rinvenire all’art. 11 della legge delega 366/01 che appunto riguarda le false comunicazioni sociali) proposti da membri della maggioranza in Commissione Giustizia. Sebbene alcuni esponenti di Governo invochino una ideale continuità con il Progetto Mirone4, gli emendamenti all’originario disegno di legge hanno finito con il provocare una netta frattura rispetto al Progetto stesso. Andando con ordine, passeremo a esaminare sotto i vari profili il testo delle nuove disposizioni relative alle false comunicazioni sociali. Si 2 Così il compianto G. D. PISAPIA, Il reato di false comunicazioni sociali, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1964, pag. 768. 3 Rispettivamente A.C. 1137 (On. CASTELLI) e A.C. 969 (On. FASSINO). 4 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, seduta del 27 Luglio 2001, On. VIETTI. 69 fa riferimento a disposizioni, e dunque al plurale, poiché il legislatore ha provveduto a sdoppiare il precedente delitto in due distinte figure e rispettivamente l’art. 2621 c.c., che prevede un illecito contravvenzionale, e l’art. 2622 c.c., con la descrizione di una fattispecie delittuosa – la prima qualificata come reato di pericolo, l’altra invece configurata come reato di danno. Due norme che, identiche nella descrizione del fatto tipico, mutano il regime sanzionatorio in ragione del verificarsi o meno di un evento dannoso. La prima osservazione che ci sentiamo di formulare di fronte a questa strana duplicazione è cagionata dal ricorso allo strumento contravvenzionale, una opzione in forte contrasto con i criteri orientativi di scelta tra delitti e contravvenzione; non ci sembra infatti che le norme riguardanti le false comunicazioni sociali possano ascriversi alla categoria delle norme preventivo-cautelari, e che – tanto meno – riguardino la disciplina di attività soggette a un potere amministrativo5. Ancor più ci pare strano che l’ipotesi contravvenzionale in discorso colpisca sì con la perseguibilità d’ufficio, ma con la pena afflittiva meno grave, l’aggressione al bene giuridico della trasparenza del mercato; e ugualmente incongruente ci pare che il delitto ex art. 2622 c.c. sia legato all’evento di danno esclusivamente nei confronti dei soci o creditori, quando la falsità nelle comunicazioni sociali mette in pericolo interessi patrimoniali non del solo singolo individuo, ma gli interessi dell’intera collettività. Comunque sia, questa è stata la scelta del legislatore, confermata dallo strumento della perseguibilità a querela contemplata nell’ipotesi delittuosa, che finisce con il degradare le false comunicazioni sociali a delitto contro il patrimonio, quasi che si tratti di truffa; non si dimentichi poi che uno strumento di tal fatta rischia di prestarsi a usi strumentali e distorti6, sempre che la scelta ad opera del legislatore non riposi sulla scarsa litigiosità e correttezza nei comportamenti dei cittadini italiani, data la poca frequentazione delle aule di giustizia. Occorre inoltre osservare che il modello di tutela delineato rappresenta un unicum nel panorama legislativo dei paesi civili, poiché 5 A tal proposito si veda la circolare Pres. Cons. Min., 5 Febbraio 1986, in G.U. 18 Marzo 1986, n. 64. 6 Cfr. A. BARTULLI, Deregulation della tutela dell’informazione societaria, in Studi in onore di Guido Rossi, Milano 2002, pag. 1401. 70 anche la Spagna, dalla quale gli esponenti della maggioranza affermano di aver preso spunto7, ha adottato una struttura di illecito diversa dalla nostra tanto nella scelta di un reato di pericolo, in cui il verificarsi del danno rappresenta una circostanza aggravante, quanto nella perseguibilità, che è sì a querela, ma che consente la perseguibilità d’ufficio se a essere colpiti sono gli interessi di più di un soggetto8. Ci pare altresì discutibile la limitazione della punibilità, quale presupposto della condotta, soltanto alle relazioni, ai bilanci e ad altre comunicazioni sociali per le quali sussista un obbligo positivizzato di comunicazione, come se conferenze stampa, bilanci infra-annuali, lettere ai creditori e chiarimenti offerti in assemblea, a fronte di richieste dei soci, non siano comunicazioni ugualmente meritevoli di tutela alla stregua delle comunicazioni previste dalla legge9. Molto si è dibattuto in passato sull’elemento psicologico, sul significato cioè da attribuirsi all’avverbio «fraudolentemente» che lo descriveva e che il legislatore ha ritenuto di dover eliminare per cancellare qualsiasi possibile ricorso alla figura del dolo eventuale; il novellato elemento psicologico è costituito dall’intenzione di ingannare e dalla volontà di trarre un profitto ingiusto. Forse l’intentio decipiendi offre una buona possibilità di evitare la punizione di condotte incolpevoli, ma la volontà di trarre un profitto ingiusto rischia di lasciare impuniti quei falsi ispirati dallo scopo di trarre un profitto giusto10. Nei nuovi testi degli artt. 2621 e 2622 c.c. passa poi la tesi del falso quantitativo, che si evince innanzitutto nella necessità dell’alterazione sensibile della situazione economica, patrimoniale o finanziaria perché la falsità o la omissione sia punibile, quasi un sintagma premiale per quanti falsifichino in misura poco percettibile i bilanci. 7 Cfr. C. PECORELLA, Italia, paradiso off-shore?, in «Micromega», 2001 (4), pagg. 191-192. Su questo punto si vedano M. BARBERO SANTOS, Introduzione generale ai reati socioeconomici. I reati societari, in «Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia», 1997 (3), pag. 615; e F. MUNOZ CONDE, Derecho Penal. Parte special, Valencia 1996, pag. 459. 9 Interrogativi del genere vengono posti da A. ALESSANDRI, La legge delega n. 366 del 2001: un congedo dal diritto penale societario, in «Il corriere giuridico», 2001 (12), pagg. 1547 e ss.; R. BRICCHETTI, L. PISTORELLI, Punibili solo le notizie verso il pubblico o i soci, in «Guida al Diritto», 2002 (16), pag. 46. 10 Cfr. S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile e ostacolo alle funzioni della autorità di vigilanza, in «Diritto penale e processo», 2002 (6), pag. 680. 8 71 A chiusura del sistema il legislatore ha voluto escludere la punibilità tutte le volte in cui l’agente concreto, pur realizzando una condotta perfetta sotto tutti gli elementi dell’illecito de quo, si sia mantenuto al di sotto di due soglie di rilevanza riferite al reddito d’esercizio lordo e al patrimonio netto11; sembra che qui in sostanza si dica: Italiani, falsificate entro un certo tetto: maggiori saranno le dimensioni della vostra società tanto più grande sarà il falso consentito! Un ulteriore sbarramento alla punibilità si rinviene nella distribuzione del falso nelle valutazioni estimative, che – singolarmente considerate – non differiscano in misura superiore del 10% da quelle corrette. Anche l’uomo della strada, per nulla addentro alla scienza economico-aziendale, si avvede della possibilità di realizzare falsi di dimensioni considerevoli. Vogliamo chiudere con un ultima riflessione legata al problema del rapporto tra leggi e tempo, poiché il nostro legislatore torna a scivolare sulla solita buccia di banana: l’assenza di disposizioni transitorie, che ha aperto il dibattito se si verta in materia di successione delle leggi penali o di abolitio criminis. Per esser brevi, diciamo che la dottrina maggioritaria, confortata dalla giurisprudenza della Suprema Corte12, ritiene che negli elementi di eterogeneità, di specialità normativa e di profonda diversità di tutela, si evince che il disegno politico criminale del legislatore ha voluto realizzare l’integrale sostituzione di un tipo di illecito nuovo rispetto a quello precedente, e perciò non può che prendersi atto dell’avvenuta abolitio criminis per tutti i comportamenti posti in essere sotto la vigenza della predente disciplina13. Quali le conseguenze concrete è facile da prevedersi: chi in passato abbia commesso un falso con un dolo diverso da quello previsto nelle nuove norme o per importi inferiori alle soglie, potrà chiedere la cancellazione della condanna definitiva e già scontata dal casellario, recuperando così 11 Sulle soglie di rilevanza non abbiamo voluto infierire sul lettore, ma ci si permetta di segnalare una deliziosa e divertente querelle sviluppatasi su alcune riviste: G.E. COLOMBO, La moda dell’accusa del falso in bilancio nelle indagini delle Procure della Repubblica, in «Rivista delle società», 1996 (2), pag. 713; ID., Il falso in bilancio e le oscillazioni del pendolo, in «Rivista delle società», 2002 (4), pag. 421; A. CRESPI, Il falso in bilancio e il pendolarismo delle coscienze, in «Rivista delle società», 2002 (4), pag. 449; G. MARINUCCI, Depenalizzazione del falso in bilancio con l’avallo della SEC: ma è proprio così?, in «Diritto penale e processo », 2002 (2), pag. 137. 12 Cass. SS. UU., 9 Novembre 2002, in «Guida al diritto», 2002 (48). 13 Cfr. M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio, in «Cassazione penale», 2002, pag. 1276. 72 l’incensuratezza e facendo altresì venire meno tutte le pene accessorie; chi invece stia ancora scontando la pena potrà vedersela sospesa. Alla luce di queste sintetiche considerazioni, appare nitida la scelta compiuta dal legislatore verso una concezione quasi ottocentesca, radicalmente individualistica e liberista, che passa sopra alla tutela del mercato e di qualsiasi bene sia pur minimamente superindividuale; prevale dunque una concezione di mercato e di intervento penale nell’economia che non ci sentiamo di condividere e che frustra quei “semplici” che credono ancora nella correttezza dell’attività d’impresa. Del mercato e della sua trasparenza se ne sono dunque disinteressati tutti, facendo prevalere una visione meramente corporativa. Per quanto poi riguarda il problema se la norma sia malfatta perché ritagliata su vicende processuali ben precise, ci troviamo pienamente d’accordo con chi, senz’altro più autorevole di noi, evidenzia «una strategia legislativa mirata a soluzioni specifiche di casi e situazioni identificabili»14. Falso in bilancio, rogatorie e legittimo sospetto sono tutte leggi ad personam, che tradiscono un senso dello Stato prossimo allo zero, e che risultano peraltro inefficienti, poiché ritagliate su processi ben precisi, senza alcuna considerazione per la potenzialità deflagrante sull’intero sistema: un tentativo maldestro cagionato dall’incapacità di rispondere in altro modo alle oggettive aggressioni di certa parte della magistratura inquirente. 14 A. CRESPI, Il Falso in bilancio e il pendolarismo delle coscienze, cit., pag. 460; l’Autore condivide l’opinione espressa da G. BROGGINI, in Le rogatorie italo-svizzere alla luce della l. 5 ottobre 2001, n. 367, in «Cassazione penale», 2002, pagg. 116 e ss. 73