Gli LHRH-analoghi nelle donne in età premenopausale

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Gli LHRH-analoghi nelle donne in età premenopausale
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Periodico
di aggiornamento
professionale
per il Ginecologo
Oncologia
Gli LHRH-analoghi nelle donne in età
premenopausale con carcinoma mammario
Clinica quotidiana
Inquadramento diagnostico nella sindrome
dell’ovaio policistico
Endocrinopatie
Cause frequenti ma spesso
non diagnosticate di osteoporosi secondaria
Diagnostica
Risonanza magnetica fetale:
quale ruolo nella diagnosi prenatale?
N
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ommario
Periodico di aggiornamento professionale
per il Ginecologo n. 4
Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007
presso il Tribunale di Milano
Editore
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Del Mastro, Cristina Eller-Vainicher, Maurizio
Guido, Antonio Lanzone, Lucia Manganaro,
Marta Nucci, Luigi Ricciardi, Anita Romiti,
Daniela Romualdi, Giovanni Scambia, Luciano
Sterpellone, Valeria Tagliaferri, Mauro Tintoni
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Periodico
di aggiornamento
professionale
per il Ginecologo
Oncologia
Gli LHRH-analoghi nelle donne in età
premenopausale con carcinoma mammario
Clinica quotidiana
Inquadramento diagnostico nella sindrome
dell’ovaio policistico
Endocrinopatie
Cause frequenti ma spesso
non diagnosticate di osteoporosi secondaria
Diagnostica
Risonanza magnetica fetale:
quale ruolo nella diagnosi prenatale?
Scienza e società
di Luciano Sterpellone
Clinica
Oncologia
Gli LHRH-analoghi nelle donne in età
premenopausale con carcinoma mammario
Clinica quotidiana
Inquadramento diagnostico nella sindrome
dell’ovaio policistico
15
di Maurizio Guido, Daniela Romualdi, Luigi Ricciardi, Simona De Cicco,
Valeria Tagliaferri, Giuseppe Campagna, Antonio Lanzone
Endocrinopatie
Cause frequenti ma spesso non diagnosticate
di osteoporosi secondaria
Chiuso in tipografia
18 febbraio 2010
di Cristina Eller-Vainicher, Iacopo Chiodini
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di Lucia Del Mastro
Stampa
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Diagnostica
Risonanza magnetica fetale:
quale ruolo nella diagnosi prenatale?
25
di Annafranca Cavaliere, Mauro Tintoni, Anita Romiti, Marta Nucci,
Lucia Manganaro, Giovanni Scambia
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cienza e società
di Luciano Sterpellone - Roma
Il medico che costruì
la “Colonnata” del Louvre
Fratello del più noto Charles Perrault (autore di favole famose come Cappuccetto rosso, Cenerentola, Il
gatto con gli stivali), Claude Perrault - stimatissimo
medico della Parigi del Seicento - aveva il pallino dell’architettura. Tale era la sua competenza che, divenuto Membro dell’Accademia delle Scienze, presentò un progetto nientemeno che per la costruzione di
quella che sarebbe divenuta la grandiosa Colonnata
del Museo del Louvre di Parigi. Non era facile vincere un concorso di tale portata, anche perché uno dei
concorrenti era nientedimeno che il Bernini, il quale
era stato sollecitato dallo stesso re Luigi XIV e addirittura fatto venire da Roma con una carrozza dorata. Il Bernini era tra l’altro inviso a Perrault, il quale
arrivò a scrivere nelle sue Memorie che una costruzione come quella progettata dal Bernini sarebbe stata “una vergogna per la Francia”. Evidentemente prevalse il senso di grandeur dei francesi (era meglio dare gloria a un francese che non a un italiano), per cui
vinse il progetto del nostro medico, nonostante le
malelingue che correvano sul suo conto, anche in versi: “Voi siete, lo confesso, un medicastro inetto,/ e in
compenso non siete un abile architetto!”
Ci fu chi aggiunse: “Se si chiama il medico (per costruire il Louvre), vuol dire che l’architettura sta male in gambe...”.
4
I “loti d’oro”
È ancora possibile vedere nella Cina moderna
qualche donna molto anziana che cammina arrancando con fatica su piedi pressoché inesistenti, solo piccoli rigonfiamenti al termine della gamba. L’usanza millenaria (specie presso i ceti più
elevati) di bloccare lo sviluppo dei piedi nelle
bambine creando i cosiddetti “loti d’oro”, fu
saggiamente abolita in tutto il Paese dopo la Rivoluzione di Mao.
La deformazione dei piedi veniva iniziata quando la bambina aveva compiuto i sette anni di
età: si applicavano delle fasce molto strette che
rialzavano il calcagno e abbassavano le dita, le
quali si piegavano progressivamente sulla pianta. Ne risultava un piede equino-varo, acuminato, corto e incurvato. I “loti d’oro” erano il simbolo della bellezza femminile, senza il quale nessuna ragazza bene avrebbe mai sperato di trovare un marito o di entrare a Corte. E per il cinesino che aveva una tale moglie era quello uno
status-symbol, in quanto dimostrava che lui era
in grado di mantenere la propria moglie, la quale non sarebbe altrimenti potuta andare a lavorare. E forse in cuor suo pensava anche che in
quelle condizioni le sarebbe stata alquanto laboriosa qualche scappatella...
Uno strumento
molto scomodo
L’invenzione dello stetoscopio da parte del francese
Théophile Laënnec non fu accolta da unanime entusiasmo dalla classe medica. In primo luogo molti (evidentemente i più... svagati), con poca voglia di apprendere la nuova più raffinata tecnica di auscultazione “indiretta”, lo bollarono come un “buffo inutile
gingillo”, inviso oltretutto per essere un tantino ingombrante, tanto che alcuni ricorsero all’espediente
di tenere il nuovo strumento nell’interno dei larghi
cappelli di moda a quel tempo.
Un atteggiamento così negativo si ammorbidì gradualmente non tanto perché i medici si convinsero
dell’utilità diagnostica dello stetoscopio, quanto perché capirono che era un “igienico intermediario tra
sé e i pazienti”, i quali di solito non facevano dell’igiene personale un serio problema quotidiano. Da parte loro, questi si mostravano spesso indispettiti dall’“assalto” perpetrato dal medico, che affondava impietosamente nelle loro carni il “ligneo cilindretto”. Successivamente però si convinsero che “quel diabolico
istrumento” poteva giovare alla propria guarigione
perché rendeva “più bravo” il medico. Questi, a sua
volta, nella sua imperdonabile astuzia specie quando
del tutto incapace di distinguere un soffio da un rantolo, per far dimostrare la propria valentia esibiva orgoglioso l’ultimo modello di stetoscopio, roteandolo
platealmente dinanzi al naso del paziente.
Un medico filosofo
A rigor di termini John Locke fu un ...”quasi” medico, nel senso che arrivò molto vicino alla laurea, senza tuttavia addottorarsi: ciononostante, al suo tempo
il grado di preparazione da lui raggiunto negli studi
della Medicina era sufficiente per esercitare la professione, tant’è che Locke fece il medico per vari anni,
non disdegnando di praticare anche interventi di piccola chirurgia e scrivendo alcuni testi rimasti nella bibliografia scientifica, Respirationis usus e De Arte medica. Come si ricorda, il “quasi-medico” Locke è stato uno dei più grandi filosofi della seconda metà del
XVII secolo, sostenitore della tesi che la mente è tabula rasa¸ e che tutto il suo successivo contenuto è
frutto dell’esperienza interna ed esterna dell’individuo. Pur dedicandosi poi interamente alla filosofia, la
sua frequentazione della Medicina non è stata tuttavia vana: in quasi tutte le sue opere, per esempio nel
Un patrono
per i Radiologi
Dopo l’affermarsi della Radiologia tra le discipline mediche, gli esperti si trovarono momentaneamente in una grossa difficoltà: chi eleggere patrono dei radiologi.
Il problema non era in alcun modo legato ad una carenza di santi, bensì
al fatto che molti di essi erano già patroni di altri
specialisti, e che non si poteva sceglierne qualcuno “a caso”, perché - secondo la tradizione secolare - doveva sempre avere una qualche attinenza con la disciplina in questione. Sant’Apollonia, per esempio, era stata eletta protettrice dei
dentisti in quanto durante il martirio le erano stati estirpati tutti i denti. Santa Lucia era patrona
degli oculisti per via della derivazione latina (lux)
del suo nome, San Sebastiano degli infettivologi
in quanto le frecce che lo trafissero simboleggiano le malattie infettive, San Biagio degli otorini
per il miracolo compiuto nell’asportare una grossa spina dalla gola di un bambino. S. Aureliano
protegge invece dalle malattie delle orecchie poiché il suo nome deriva da aures, e i SS. Cosma e
Damiano sono patroni di tutti i medici in quanto
loro stessi medici.
E i radiologi? Per i radiologi fu alla fine individuato (poi confermato da Pio XII) San Michele Arcangelo, condottiero delle milizie celesti nelle battaglie contro le forze dell’inferno: ergo, la vittoria
della luce sulle tenebre, proprio come avviene con
i raggi X. Nessuna meraviglia, del resto. I termini
santo, saint ecc. derivano tutti dal latino sanare,
e il corrispondente Heilig tedesco proviene anch’esso dal verbo heilen, che vuol dire guarire.
famoso Saggio sull’intelletto umano - dove prende spesso di petto il Neoplatonismo -, non mancano frequenti accenni all’arte medica e alla conquista della salute: “La mia salute - scrive - è la
sola amante che ho lungamente corteggiata ed è
un’amante così riservata che mi bisognerà, credo,
tutto il resto de’ miei giorni per ottenere una sua
grazia e mantenerla di buon umore”.
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ONCOLOGIA
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G
G
li LHRH-analoghi nelle donne
in età premenopausale
con carcinoma mammario
Dal trattamento adiuvante nelle giovani donne affette da carcinoma
mammario alla preservazione delle fertilità: un’analisi delle evidenze
pubblicate in letteratura e dei quesiti posti dalla clinica pratica quotidiana.
Lucia Del Mastro
Oncologia Medica A, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro - Genova
A
distanza di anni dalla loro introduzione nel trattamento
del carcinoma mammario, gli
LHRH-analoghi (LHRH-a) sono ben
lungi dall’aver mostrato tutte le loro potenzialità, anzi, una valutazione approfondita delle modalità
d’impiego di questi principi attivi
nella pratica quotidiana fa scaturire più domande che risposte dando così un forte impulso alla ricerca in questo specifico setting patologico.
LHRH-a: da soli
o con tamoxifene?
6
La prima questione da affrontare
riguarda l’impiego degli LHRH-a in
monoterapia oppure in associazione a tamoxifene per il trattamento adiuvante del carcinoma mammario in stadio iniziale nelle donne in età premenopausale. Secondo i dati più recenti scaturiti dallo
studio ZIPP, a un follow-up mediano di 12 anni, in questa particola-
re tipologia di pazienti la terapia
con LHRH-a si è dimostrata in grado di ridurre, a lungo termine, il rischio di recidiva neoplastica e di
morte. Lo studio ha arruolato
2.710 pazienti assegnate random
a quattro bracci di trattamento:
controlli (476), solo tamoxifene
(879), solo goserelin (469) e, infine, terapia di combinazione con
tamoxifene e goserelin (882). I tre
diversi protocolli di terapia endocrina sono stati somministrati solo per due anni e tutti si sono dimostrati in grado di incrementare
la sopravvivenza libera da eventi
(recidiva, nuova neoplasia, decesso) rispetto a quanto rilevabile nei
controlli, ma senza differenze significative tra di loro (figura 1).
I benefici della monoterapia con
LHRH-a sono risultati simili a quelli ottenibili con il solo tamoxifene;
tuttavia, analizzando l’interazione
tra questi due farmaci, è stato evidenziato un consistente beneficio
per l’LHRH-a nelle donne non trat-
tate con tamoxifene (rischio di
eventi -33%; rischio globale di
morte -29%; rischio di recidiva 34%; rischio di morte per ca mammario -29%) mentre nelle pazienti in terapia con tamoxifene l’aggiunta dell’LHRH-a ha comportato solo un vantaggio marginale e
statisticamente non significativo
(rischio di eventi -8%; rischio globale di morte -10%; rischio di recidiva -9%; rischio di morte per ca
mammario -11%). Gli autori del
trial hanno anche valutato le differenze di rischio assoluto associate al trattamento con goserelin nelle donne che avevano assunto o
meno il tamoxifene, rilevando un
beneficio sostanziale riguardante
tutti e quattro gli end-point considerati (tutti gli eventi, ossia recidiva, nuova neoplasia o morte; morte per tutte le cause; recidiva neoplastica; morte per carcinoma
mammario) nelle pazienti non trattate con tamoxifene; in particolare, analizzando la sopravvivenza li-
ONCOLOGIA
bera da eventi a 15 anni di followup, per ogni 100 donne non trattate con tamoxifene gli eventi registrati nelle pazienti che avevano
assunto l’LHRH-a sono stati circa
14 in meno rispetto a quanto osservato nelle donne che non l’avevano assunto; al contrario, analizzando la coorte di donne in terapia con tamoxifene tale differen-
za si riduce a meno di 3 (tabella 1).
In definitiva, il follow-up a lungo
termine ha documentato che goserelin e tamoxifene hanno un’efficacia sovrapponibile; nelle donne che non avevano assunto tamoxifene il trattamento con
l’LHRH-a ha comportato benefici
significativi in termini di sopravvivenza e ricorrenza neoplastica,
N
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G
Figura 1 Valutazione dei diversi outcome per ciascuno dei quattro gruppi di trattamento
Controlli
70
60
60
% pazienti decedute
70
50
40
30
p<0,001
20
10
0
N. a rischio
Controlli
Tamoxifene
Goserelin
Entrambi
C
0
476
879
469
882
5
10
15
Anni dalla randomizzazione
283
613
326
649
178
367
206
408
p<0,001
60
50
40
30
20
10
N. a rischio
Controlli
Tamoxifene
Goserelin
Entrambi
0
0
476
879
469
882
5
10
15
Anni dalla randomizzazione
300
639
338
669
193
396
223
432
35
58
41
50
20
B
p=0,0037
40
30
20
10
0
N. a rischio
Controlli
Tamoxifene
Goserelin
Entrambi
33
53
40
49
Entrambi
50
20
70
% pazienti con ricorrenza
Goserelin
% pazienti decedute per ca mammario
% pazienti con eventi
A
Tamoxifene
0
5
10
15
Anni dalla randomizzazione
476
879
469
882
382
733
395
747
242
473
262
500
20
44
71
45
62
D
70
p=0,0036
60
50
40
30
20
10
N. a rischio
Controlli
Tamoxifene
Goserelin
Entrambi
0
0
5
10
15
Anni dalla randomizzazione
476
879
469
882
382
732
394
747
240
473
262
500
20
44
71
45
62
Gli outcome considerati sono: morte, recidiva o nuova neoplasia (A); morte per ogni causa (B);
recidiva di carcinoma mammario (C); morte per carcinoma mammario (D).
Hackshaw A et al, J Natl Cancer Inst 2009
7
ONCOLOGIA
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Tabella 1 Goserelin vs no goserelin: differenza del rischio assoluto di eventi (punti percentuali)
Trattamento
No tamoxifene (n=945)
Differenza
Number
di rischio assoluto
needed
(IC 95%)
to treat
Tutti gli eventi (recidiva,
nuova neoplasia, morte)
5 anni
10 anni
15 anni
-10,7 (-14,7 a -6,0)
-12,8 (-17,7 a -7,0)
-13,9 (-19,4 a -7,5)
Tamoxifene (n=1.761)
Differenza
Number
di rischio
needed
assoluto (IC 95%)
to treat
9
8
7
-1,9 (-5,1 a 1,4)
-2,5 (-6,8 a 1,8)
-2,8 (-7,7 a 2,0)
53
40
36
Modificata da: Hackshaw A et al, J Natl Cancer Inst 2009
mentre nelle pazienti in terapia con
tamoxifene l’aggiunta dell’LHRHa è risultata associata a un beneficio potenziale marginale su questi outcome.
8
Una metanalisi
d’importanza critica
Le informazioni più importanti circa il ruolo degli LHRH-a utilizzati in
monoterapia oppure in associazione a tamoxifene derivano da una
recente metanalisi di Cuzick et al2
che aggiorna e affina i dati scaturiti da un precedente lavoro del
20053, con l’obiettivo di fare il punto circa l’impiego di questa classe
terapeutica come trattamento
adiuvante in donne in età premenopausale affette da neoplasie
mammarie endocrino-responsive.
Lo studio ha incluso solo trial che
hanno utilizzato LHRH-a (sono stati esclusi i lavori che hanno contemplato l’ablazione ovarica chirurgica o radiante) e sono state
considerate solo le donne affette
da carcinoma mammario endocrino-responsivo, incluse quelle in premenopausa, anche se di età superiore ai 50 anni.
Come noto, la precedente metanalisi del 20053 aveva documentato un chiaro beneficio per l’abla-
zione o la soppressione ovarica, sia
in termini di recidiva di malattia che
di mortalità correlata al carcinoma
mammario, quando essa veniva
utilizzata da sola come trattamento adiuvante nelle pazienti in età
premenopausale. In accordo con
questi riscontri, il nuovo lavoro conferma che, rispetto all’assenza di
trattamento, gli LHRH-a, da soli,
risultano vantaggiosi, perlomeno
in termini di ricorrenza di malattia,
sebbene la differenza rilevata non
raggiunga la significatività statistica, fatto che potrebbe essere correlato allo scarso numero di pazienti arruolato in questi tipi di trial
(figura 2).
In ogni caso, le ripercussioni favorevoli più importanti in termini di
recidiva di malattia e di mortalità
per carcinoma mammario, rispetto ai controlli (no terapia sistemica), sono state evidenziate quando gli LHRH-a venivano associati
al tamoxifene (figura 3).
Infine, mettendo a confronto le
performance del tamoxifene in monoterapia vs il trattamento combinato tamoxifene e LHRH-a, la metanalisi dimostra che quest’ultimo
tipo di approccio comporta solo
un piccolo beneficio in termini di
sopravvivenza post-recidiva, un da-
to che peraltro conferma quanto
scaturito dallo studio ZIPP. Tuttavia, il ricorso alla terapia di combinazione è importante poiché è noto che la somministrazione del solo tamoxifene in donne in età premenopausale induce un innalzamento dei livelli di estradiolo sierico e che i picchi estrogenici possono essere associati a un aumento consistente della tossicità del
farmaco in questa tipologia di pazienti (figura 4)4.
LHRH-a e inibitori
delle aromatasi:
quali risultati?
L’impiego di un trattamento adiuvante con inibitori delle aromatasi (IA) in associazione agli LHRH-a
nelle donne in età premenopausale affette da carcinoma mammario endocrino-responsivo in stadio
precoce trova il suo razionale nella constatazione che nelle pazienti in terapia con LHRH-a il passaggio dal trattamento di combinazione con tamoxifene a quello con
IA determina una riduzione dei livelli estrogenici5. Questi riscontri
trovano una conferma ulteriore nei
risultati di un recente lavoro di Ros-
ONCOLOGIA
Figura 2 Beneficio clinico dell’LHRH-agonista
Probabilità di recidiva (%)
vs nessuna terapia sistemica
Nessuna terapia sistemica
LHRH-agonista
HR 0,72; IC 95% 0,49-1,04; p=0,08
50
40
30
20
10
0
0
N. a rischio
No terapia sistemica
LHRH-agonista
171
167
2
3
146
155
4
5
106
121
6
7
75
85
8
9 10
43
50
28
34
Nessuna terapia sistemica
LHRH-agonista
HR 0,82; IC 95% 0,47-1,43; p=0,49
50
Probabilità di morte
dopo recidiva (%)
1
40
30
20
10
0
0
N. a rischio
No terapia sistemica
LHRH-agonista
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10
Anni dalla randomizzazione
171
167
171
165
140
144
104
104
63
70
41
49
LHRH-agonists in Early Breast Cancer Overview group, Lancet 2007
si et al che ha messo a confronto
le associazioni letrozolo/triptorelina versus tamoxifene/ triptorelina
evidenziando nel gruppo di pazienti randomizzate alla combinazione con l’IA una riduzione dei livelli plasmatici di estradiolo più spiccata rispetto a quanto osservabile
nel gruppo tamoxifene/triptorelina; in entrambi i gruppi è stata evidenziata anche una riduzione dei
livelli di FSH ed LH, sebbene nelle
pazienti trattate con letrozolo i livelli di FSH siano risultati più elevati di quelli ottenuti con tamoxifene (figura 5)6.
Per quanto concerne il ruolo della
terapia adiuvante con anastrozolo in donne in premenopausa affette da carcinoma mammario ormono-responsivo trattate con
LHRH-a, gli unici dati di confronto
con tamoxifene attualmente disponibili derivano da un recente studio di Gnant et al7 che, dopo tre
anni di terapia, non ha evidenziato alcuna differenza significativa
tra i due diversi tipi di approccio
farmacologico in termini di sopravvivenza globale e di sopravvivenza libera da malattia. Va tuttavia
N
O
G
Figura 3 Beneficio clinico dell’LHRH da solo o con tamoxifene vs nessuna terapia sistemica
N. pazienti
No sist ± LHRH
No sist ± (LHRH+Tam)
338 (122; 54)
407 (119; 55)
Recidiva
Morte dopo recidiva
-28,4 (-50,5 a 3,5) p=0,08
-17,8 (-52,8 a 42,9) p=0,49
-58,4 (-72,9 a -36,0) p<0,0001 -46,6 (-70,5 a -3,4) p=0,04
Recidiva
Morte dopo recidiva
No sist ± LHRH
No sist ± LHRH
No sist ± (LHRH + Tam)
No sist ± (LHRH + Tam)
0,5
0,7
1
1,4
Modificata da: LHRH-agonists in Early Breast Cancer Overview group, Lancet 2007
9
ONCOLOGIA
N
O
G
Figura 4 Livelli di estradiolo plasmatico prima e durante l’impiego di tre diversi regimi terapeutici
1.000
E2 (pg/ml)
500
400
300
LHRH-agonista
LHRH-agonista + tamoxifene
Tamoxifene
200
100
0
Pre
6
12
20
28
34
40
1
2
3
Settimane
4
5
Anni
Klijn JG et al, J Natl Cancer Inst 2000
Figura 5 Letrozolo/triptorelina vs tamoxifene/triptorelina: valutazione dei livelli ormonali
dopo 6 mesi di terapia
Ormone
Tamoxifene + triptorelina
Letrozolo + triptorelina
Mediana
Range
interquartile
Mediana
Range
interquartile
p
17-ß-estradiolo, pg/ml
7,95
<5-43,9
<5
<5-24,5
0,0008
FSH, mU/ml
2,65
0,9-26,5
10,8
2,2-99,7
<0,0001
LH, mU/ml
0,3
0,1-1,2
0,2
0,1-46,2
0,0005
Progesterone, ng/ml
0,29
0,06-0,67
0,32
0,06-0,8
0,07
25
40
30
20
10
0
10
30
FSH mU/ml
17-β-estradiolo (pg/ml)
50
20
15
10
5
Tamoxifene
+
triptorelina
Letrozolo
+
triptorelina
0
Tamoxifene
+
triptorelina
Letrozolo
+
triptorelina
Modificata da: Rossi E et al, J Clin Oncol 2008
ONCOLOGIA
rilevato che questo lavoro ha una
potenza statistica insufficiente a
documentare sia l’esistenza di
eventuali benefici, sia la presenza
di eventuali svantaggi correlati all’associazione tra LHRH-a e anastrozolo: a questo proposito, per
esempio, è stato osservato un numero più elevato di recidive a distanza rispetto a tamoxifene (41
vs 29).
Considerate tali premesse viene
spontaneo chiedersi se gli LHRH-a
siano in grado di assicurare a tutte le donne in età premenopausale la completa soppressione della
funzione ovarica. I dati pubblicati
dall’International Breast Cancer
Study Group (IBCSG)8 hanno di-
mostrato che il trattamento con
questi principi attivi è associato alla comparsa di amenorrea nella totalità delle pazienti sopra i 40 anni, mentre una quota molto ristretta di soggetti più giovani potrebbe non rispondere in modo adeguato alla terapia. Uno studio condotto su 299 pazienti in età premenopausale affette da carcinoma mammario alle quali è stato
somministrato un
LHRH-a ogni tre mesi per due anni ha evidenziato il conseguimento dell’amenorrea in più del 95%
della casistica, nonché un 7% di hormonal escape (livelli
di estradiolo superiori a 30 pg/ml in due
valutazioni consecutive). È quindi possibile che il trattamento non sia in grado di indurre una completa soppressione della funzione ovarica in un’esigua
percentuale di pazienti in età pre-
menopausale. In queste condizioni, la somministrazione di un IA
potrebbe essere in grado di stimolare la funzione ovarica residua al
punto di ripristinarla.
È pertanto ipotizzabile che la combinazione tra IA e LHRH-a potrebbe rivelarsi dannosa nella ristretta quota di pazienti che non raggiungono una soppressione ovarica completa nel corso della te-
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Sono necessari ulteriori
studi per valutare
il ruolo dell’associazione
tra IA e LHRH-a.
rapia con LHRH-a. Di conseguenza, prima di utilizzare quest’associazione nella pratica clinica quotidiana è necessario attendere i risultati di studi che confrontino le
Figura 6 Potenziali meccanismi degli LHRH-analoghi nella protezione dalla tossicità ovarica
indotta da chemioterapia
Ciclofosfamide
(e altri agenti alchilanti)
Atresia
follicolare
Aumentato
reclutamento di
follicoli primordiali
E2
Inibina
FSH
LHRH-a
Blumenfeld Z, Oncologist 2007
11
ONCOLOGIA
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Tabella 2 Chemioterapia + LHRH-a versus sola chemioterapia:
outcome dopo 8 mesi di trattamento
Outcome
Gruppo di studio
(chemioterapia + LHRH-a)
N=39
Controlli
(chemioterapia)
N=39
p
35 (89,6%)
27 (69,2%)
4 (11,4%)
8,3±2,10
7,6±2,34
279±23,32
6,3±1,01
13 (33,3%)
10 (25,6%)
21 (66,6%)
15,2±5,31
16,3±2,43
75,43±18,98
3,7±1,21
<0,001*
<0,001*
<0,001*
<0,009*
<0,004*
<0,001*
<0,004*
Mestruazione
Ovulazione
POF
FSH sierico (mlU/ml)
LH sierico (mlU/ml)
E2 sierico (pg/ml)
P sierico (ng/ml)
POF=insufficienza ovarica prematura
*Un valore di p <0,05 è significativo
Badawy A et al, Fertil Steril 2009
performance delle due terapie di
combinazione - LHRH-a/tamoxifene versus LHRH-a/IA - su una
vasta casistica di donne in età premenopausale.
LHRH e preservazione
della funzione ovarica
Numerose pazienti affette da carcinoma mammario sviluppano la
malattia in età giovanile e devono
quindi affrontare il problema della potenziale perdita
o riduzione della fertilità associata ai trattamenti antineoplastici. Poiché questi ultimi colpiscono preferibilmente i tessuti
caratterizzati da un
turn-over cellulare
elevato, si ritiene che
l’induzione di uno
stato di quiescenza
durante la chemioterapia sia in grado di ridurre il danno provocato da
quest’ultima a livello ovarico. La
validità di tale approccio è supportata da consistenti evidenze scatu-
rite, innanzitutto, da studi preclinici9,10; del resto, come evidenziato da Blumenfeld, sono stati individuati svariati meccanismi attraverso i quali questi farmaci potrebbero assicurare la protezione ovarica, quali l’inibizione della secrezione di FSH (figura 6), la diminuzione della perfusione utero-ovarica, l’attivazione dei recettori ovarici del GnRH con riduzione dell’apoptosi e la protezione delle cellule staminali germinali (GSCs)11
indifferenziate.
Risultati promettenti
sul ruolo degli LHRH-a
nella preservazione
della funzionalità ovarica.
12
Per quanto concerne la sperimentazione clinica effettuata in questo particolare setting, sono disponibili almeno 12 studi, quasi tutti
non randomizzati, che hanno va-
lutato il ruolo degli LHRH-a nella
preservazione della funzionalità
ovarica in corso di chemioterapia
con risultati promettenti: preservazione ovarica ottenuta nel 91%
della casistica versus il 41% osservato nei controlli con il 19% di gravidanze nelle pazienti trattate12.
Questi riscontri trovano ulteriori
conferme nei risultati dei principali studi di fase II condotti su donne affette da carcinoma mammario trattate con chemioterapia adiuvante e LHRH-a che documentano una ripresa dell’attività ovarica
nel 67-96% dei casi, con un tasso
di gravidanze a termine del 38%13-16.
Per quanto riguarda i trial randomizzati, al momento sono disponibili i dati scaturiti da due lavori
di dimensioni campionarie molto
piccole: il primo, di recente pubblicazione ha messo a confronto
la chemioterapia in associazione
agli LHRH-a con la sola chemioterapia in 78 pazienti affette da
carcinoma mammario, evidenziando una differenza molto spiccata
a favore della terapia in associazione con LHRH-a17. Tuttavia lo
ONCOLOGIA
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Tabella 3 Studio ZORO: popolazione arruolata
Goserelin
Controlli
N
Età - anni
• Mediana (range)
ER e PR
• Negativi
Premenopausa
Grado
• II
• III
Linfonodi
• Negativi
• Positivi
studio non è esente da pecche
sotto il profilo qualitativo: nel
gruppo di controllo, per esempio,
la percentuale di pazienti giovani
che riprende l’attività mestruale
risulta sorprendentemente bassa
(tabella 2)17.
Il secondo studio randomizzato è
stato presentato in occasione dell’ultimo meeting dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO).
Si tratta di un lavoro condotto
esclusivamente in pazienti affette
da carcinoma mammario ormonorefrattario (tabella 3) randomizzate a ricevere una chemioterapia
adiuvante o neo-adiuvante contenente antracicline/taxani con
%
N
35,0 (26-44)
%
38,5 (29-47)
30
30
100,0
100,0
30
30
100,0
100,0
8
21
27,6
72,4
6
23
20,7
79,3
19
10
65,5
34,5
15
11
57,7
42,3
(n=30) o senza goserelin (n=30)
somministrato almeno 2 settimane prima dell’inizio della chemioterapia e poi ogni 4 settimane sino al termine dell’ultimo trattamento chemioterapico18.
L’end-point primario è stato il riscontro di una funzionalità ovarica normale a 6 mesi di distanza
dall’ultimo trattamento chemioterapico (due cicli mestruali consecutivi entro 21-35 giorni ed entro
5-8 mesi dal termine della somministrazione dell’LHRH-a). Va tuttavia rilevato che il tempo scelto per
la valutazione della funzione ovarica potrebbe essere troppo precoce; è infatti noto che il suo ripristino può realizzarsi anche a un anno di distanza o più dal termine
della chemioterapia. L’analisi dei
risultati non ha evidenziato alcuna
differenza significativa in termini
di protezione ovarica nei due bracci di trattamento (70% goserelin
+ chemioterapia vs 56,7 sola chemioterapia; p=0,4219).
Le prospettive future
Questi riscontri non possono, ovviamente, essere considerati l’ulti-
ma parola sul ruolo degli LHRH in
termini di preservazione della funzione ovarica, in quanto sono attesi i risultati provenienti da studi
di fase III di dimensioni campionarie molto consistenti.
• SWOG 0230: si propone di valutare l’efficacia del trattamento con goserelin in donne affette da carcinoma mammario ormono-refrattario in stadio precoce, tutte candidate a chemioterapia adiuvante.
• PROMISE GIM6: è uno studio
multicentrico italiano che ha arruolato 282 pazienti affette da
carcinoma mammario ormonosensibile o ormono-refrattario in
stadio I-II-III, tutte candidate a
terapia adiuvante o neo-adiuvante. Le pazienti sono state randomizzate a due gruppi di trattamento: chemioterapia + triptorelina vs solo chemioterapia.
L’end-point dello studio è il ripristino della funzione ovarica a 1
anno di distanza dal termine dell’ultimo ciclo chemioterapico, valutato in base all’attività mestruale e alla misurazione dei livelli ormonali.
13
ONCOLOGIA
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Per quanto riguarda le altre metodiche di salvaguardia della fertilità
nei pazienti neoplastici, nonostante le raccomandazioni ASCO19 abbiano incluso tra le tecniche di provata efficacia la criopreservazione
degli embrioni attribuendo, invece, alla soppressione ovarica un
ruolo ancora in fase sperimentale,
tutte le strategie rivolte alla preservazione della fertilità andrebbero
considerate ancora sperimentali,
poiché in ciascuna di esse esistono aree di incertezza che devono
essere chiarite mediante studi ad
hoc. Per quanto riguarda la criopreservazione, per esempio, esistono problemi di sicurezza legati
alla necessità di impiegare tecniche di stimolazione ovarica in donne con neoplasie ormono-sensibili. Infine, la criopreservazione e la
soppressione ovarica mediante
LHRH-a non si escludono a vicenda e le prospettive future puntano
molto sulla possibilità di combinare queste strategie allo scopo di
aumentare le probabilità di intervenire con successo, assicurando
il ripristino della funzionalità ovarica alle giovani donne affette da
carcinoma mammario e candidate alla chemioterapia adiuvante.
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CLINICA QUOTIDIANA
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I
nquadramento
diagnostico nella sindrome
dell’ovaio policistico
Una sindrome solo apparentemente “facile” da inquadrare in modo corretto
poiché la sua eterogeneità clinica e, soprattutto, biochimica può complicare
notevolmente l’iter diagnostico che, a tutt’oggi, non risulta ancora suffragato
in modo ottimale dall’imaging diagnostico.
di Maurizio Guido1,2, Daniela Romualdi1, Luigi Ricciardi1, Simona De Cicco1, Valeria Tagliaferri1,
Giuseppe Campagna1, Antonio Lanzone1
1 Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente - Policlinico A. Gemelli - Roma
2 Divisione di Ostetricia e Ginecologia - Policlinico di Abano Terme (Padova)
L
a sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è uno dei disturbi endocrinologici osservabili con maggior frequenza nella popolazione
femminile e rappresenta la principale causa di sterilità anovulatoria. La malattia ha un’incidenza stimata intorno al 5% ed è responsabile del 90% dei quadri di
iperandrogenismo1-2. L’estrema
eterogeneità clinica e biochimica
della sindrome ha reso necessaria
l’elaborazione di criteri diagnostici comuni e ben definibili. Un passo avanti in questa direzione proviene dalla Consensus Conference svoltasi a Rotterdam nel 20033
che definisce la PCOS in base alla presenza di almeno due dei seguenti riscontri:
• oligo e/o anovulazione;
• segni clinici o biochimici di iperandrogenismo;
• diagnosi ecografica di policistosi ovarica.
Iperandrogenismo:
dalle origini…
I meccanismi responsabili del quadro di iperandrogenismo rilevabile nella PCOS sono ancora oggetto di discussione. Tuttavia, le caratteristiche a cui attribuire maggiore importanza sono l’iperplasia delle cellule teco-stromali che
circondano i follicoli in arresto evolutivo e l’aumento dell’area stromale. Come noto, infatti, la produzione ovarica di androgeni si
realizza fisiologicamente nelle cellule stromali, mentre la loro conversione in estrogeni avviene all’interno del follicolo grazie all’attività dell’enzima aromatasi. Nella PCOS, invece, questa tappa è
alterata in quanto la stimolazione cronica indotta dall’LH comporta l’ipertrofia della componente stromale e quindi un’eccessiva
produzione di androgeni4.
... all’iperinsulinemia
Un ulteriore dato laboratoristico
caratteristico della PCOS è la riduzione dei livelli di SHBG (Sex
Hormones Binding Globulin), una
beta-globulina sintetizzata dal fegato la cui produzione è stimolata dagli estrogeni e inibita dagli
androgeni e i cui livelli plasmatici
sono inversamente correlati all’insulinemia. La SHBG è il carrier di
tutti gli ormoni sessuali dotati di
un gruppo idrossilico in posizione 17, rappresentati, principalmente, dal testosterone, dal diidrotestosterone (DHT) e dall’estradiolo. Una riduzione plasmatica
dell’SHBG comporta quindi un aumento della quota di androgeni
liberi e biologicamente attivi.
Un’altra importante entità fisiopatologica emersa in letteratura
da oltre un decennio è la frequente associazione tra PCOS e iperin-
15
CLINICA QUOTIDIANA
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16
sulinemia5. In molte pazienti si rileva, infatti, uno stato di insulinoresistenza e di iperinsulinemia che,
quando presente, contribuisce notevolmente ad aumentare la gravità del quadro clinico. È noto,
inoltre, che l’obesità, ossia il segno clinico di tipo metabolico più
vistoso, è riscontrabile in circa il
30-70% di soggetti con PCOS,
con ampia variabilità a seconda
della popolazione considerata6.
Nella donna affetta da PCOS e da
un eccesso di grasso corporeo si
realizzano diversi effetti, tra i quali la comparsa di una marcata insulino-resistenza. L’insulina avreb-
gravi. I segni clinici causati da
un’aumentata produzione di androgeni sono vari, ma molto ben
definiti. Infatti, queste pazienti
giungono solitamente all’attenzione del ginecologo per problemi come irsutismo, acne, irregolarità mestruali e ipofertilità.
Irregolarità mestruali
Le alterazioni del ciclo mestruale
sono rilevabili in oltre la metà delle pazienti con iperandrogenismo.
In genere si tratta di forme di oligomenorrea con mestruazioni che
compaiono ogni 35-40 giorni circa, sebbene talvolta gli intervalli
intermestruali siano
ancora più lunghi, poIperinsulinemia,
tendo arrivare a una siinsulino-resistenza ed obesità: tuazione di vera e proamenorrea in cirl’importanza delle alterazioni pria
ca il 30% dei casi. Una
caratteristica dei cicli
metaboliche.
mestruali di queste pazienti è l’anovulazione
be anche un effetto diretto sulcronica, dovuta a un meccanismo
l’ovaio, stimolando la produzione
combinato tra l’iperandrogenismo
di androgeni attraverso un’azione
e l’inappropriata secrezione delle
sul citocromo P450c17 ovarico7. Si
gonadotropine (LH, FSH), che perviene a creare così un circolo viziodono le loro caratteristiche di pulso tra iperinsulinemia e iperandrosatilità determinando uno squiligenismo nel quale uno contribuibrio ovarico nella secrezione di
sce al mantenimento dell’altro, con
estrogeni e progesterone8-9.
possibili ripercussioni cliniche rapIrsutismo
presentate da un marcato peggioInteressa fino al 60% delle pazienramento della sintomatologia.
ti con iperandrogenismo e si manifesta con eccessiva crescita di
Manifestazioni
peli in regioni del corpo normalcliniche
mente glabre. Cute e follicoli piliferi sono infatti dotati di recetLe manifestazioni cliniche della
tori per gli androgeni e gli estroPCOS e, in generale, degli iperangeni: il meccanismo attraverso cui
drogenismi, possono essere moll’iperandrogenismo porta alla
to eterogenee, concretizzandosi
comparsa di irsutismo è la conin un insieme di disfunzioni ormoversione del testosterone nella sua
nali responsabili di quadri che spaforma attiva, il diidrotestosterone
ziano dalla completa asintomati(DHT) tramite l’azione dell’enzicità fino a forme conclamate e
ma 5-reduttasi.
Obesità (BMI >25)
Il 30-70% delle donne affette da
PCOS presenta obesità, soprattutto di tipo androide (rapporto
vita/fianchi >0,8) che in oltre il
70% dei casi risulta associata a
un aumento dei livelli di trigliceridi, delle LDL e dell’insulina. Un
importante ruolo nella comparsa
dell’obesità sembra infatti essere
giocato dalla presenza di una condizione di iperandrogenismo e di
iperinsulinismo che si accompagna quasi sempre a insulino-resistenza, situazioni riscontrabili sia
nelle pazienti obese, sia in quelle
affette da PCOS, anche in maniera indipendente dal peso10.
Iter diagnostico
• Anamnesi: rappresenta la fase
primaria della procedura diagnostica perché, se correttamente
eseguita, consente di orientare
l’attenzione su una situazione
patologica o un’altra. Queste pazienti spesso hanno alle spalle
una lunga storia clinica e frequentemente giungono all’attenzione del ginecologo su consiglio di altri specialisti come dermatologi ed endocrinologi.
• Esame obiettivo: ha lo scopo di
valutare e quantificare i segni cli-
CLINICA QUOTIDIANA
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Figura 1 Iperandrogenismo: algoritmo diagnostico
Segni clinici di iperandrogenismo da causa ovarica o surrenalica
Verificare i livelli di T, DHEA-S, 17(OH)P
Verific
Se DHEA-S >4 mc
mcg/ml
Se 17(OH)P
7(OH)P >200 ng/dl
Se 17(
17(OH)P
( ) <200 ng/dl
ACTH test
est post-soppr
post-soppressione
con DXM
Risposta
normale
È esclusa
l
l’iperplasia
surrenalica da
deficit enzimatico
Risposta
anomala
Risposta
anomala
Quadro
di PCOS
È presente
t
l’iperplasia
surrenalica da
deficit enzimatico
Risposta
anomala
Se PRL
>25 ng/ml
È esclusa
l’iperplasia
surrenalica
da deficit
enzimatico
Probabile
iper-PRL
disfunzionale
o da adenoma
ipofisario
17(OH)P=17-idrossiprogesterone; DHEA-S=deidroepiandrosterone-solfato; DXM=desametasone;
PCOS=sindrome dell’ovaio policistico; PRL=prolattina; T=testosterone.
nici di iperandrogenismo (irsutismo, acne, seborrea, alopecia),
nonché la presenza di obesità
attraverso la determinazione del
BMI e la distribuzione del grasso corporeo con il calcolo del
rapporto vita/fianchi (WHR).
Valutazione del quadro
ormonale…
La valutazione ormonale di base
prevede il dosaggio (da eseguire
preferibilmente 2-4 giorni dopo
la mestruazione) di LH, FSH, estra-
diolo, androstenedione, testosterone, 17(OH)P, DHEA-S, cortisolo, THS, f-T3, f-T4 e prolattina. Saper interpretare i risultati di questi esami permette spesso d’identificare, o perlomeno sospettare,
l’eziologia dell’iperandrogenismo.
Nei centri specializzati è possibile
l’esecuzione di test di stimolo della funzione ormonale per ottenere dati più precisi e affidabili. Uno
dei più utilizzati è il test di stimolo all’ACTH con soppressione mediante desametasone che permet-
te di verificare l’esistenza di deficit enzimatici surrenalici e quindi
di differenziare l’iperandrogenismo a componente ovarica da
quello surrenalico11 (figura 1).
In ogni caso, è bene ricordare che
uno studio mnemonico di tutte le
possibili alterazioni ormonali risulta abbastanza inutile, poiché in
molte situazioni il quadro ormonale può essere la risultante di più
concause o può non essere dirimente ai fini di una diagnosi certa. È invece molto più utile rive-
17
CLINICA QUOTIDIANA
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18
dere e tenere bene a mente i meccanismi responsabili della regolazione dell’assetto ormonale femminile, in modo da essere in grado di individuare quelli responsabili della comparsa di quadri endocrinologici non fisiologici.
derare per la diagnosi di PCOS. Le
to stimolo può essere fatta atclassiche alterazioni da riscontratraverso il calcolo dell’area intere sono le seguenti:
grata oppure valutando la som• ovaie accresciute di volume, conmatoria della secrezione insulitenenti un aumentato numero
nemica dopo carico glucidico.
(>10) di piccoli follicoli (diametro
Da un punto di vista diagnostitra i 2 e gli 8 mm circa) disposti
co, nella PCOS è comunemente
principalmente sotto la corticale
riscontrabile un’iper-risposta in… e metabolico
ovarica a formare l’aspetto di una
sulinemica all’OGTT nella prima
Considerate le recenti acquisiziocorona di rosario;
fase (0-60 min) della curva.
ni che riguardano i meccanismi
• Clamp euglicemico iperinsuline• presenza di uno stroma ovarimico: rappresenta il gold stanco maggiormente rappresentametabolici della PCOS, appare
fondamentale approfondire quedard per la misurazione dell’into e di aspetto iperecogeno dosulino-resistenza. Il test consiste
vuto a una maggiore densità13
sti aspetti attraverso la valutazio(figura 2).
ne delle tolleranza glucidica.
nell’aumentare artificiosamente
• Insulinemia basale: è espressioi livelli circolanti di inne della secrezione ormonale
sulina mantenendo
Valutare le diverse
“tonica”.
l’euglicemia median• Curva da carico orale con 75
te un’infusione co“anime” della sindrome
grammi di glucosio (OGTT):
stante di glucosio. La
è l’unica via
esprime la reazione insulinemiquantità di glucosio
ca in risposta a un carico glucinecessaria per bilanper una diagnosi corretta.
dico e dipende soprattutto dalciare l’azione insulila riserva pancreatica e dal catanemica è espressioSebbene tali criteri siano ancora i
bolismo epatico. È inoltre possine della sensibilità periferica alpiù diffusamente utilizzati, non
bile, perlomeno in parte, diffel’insulina12.
sono universalmente riconosciuti
renziare la quota pancreatica da
Ruolo dell’imaging
come il gold standard per la diaquella epatica, valutando anche
ecografico
gnosi ecografica di PCOS, fondail peptide-C che dovrebbe rapL’aspetto ultrasonografico delle
mentalmente perché esiste una
presentare la sola produzione
ovaie costituisce attualmente uno
considerevole sovrapposizione fra
pancreatica. La determinazione
dei principali elementi da consiil reperto ultrasonografico di nordella secrezione insulinemica sotmalità e quello di ovaie policistiche per ciò che riguarda il numero dei follicoli e le dimensioni delFigura 2 Immagine ecografica della PCOS
l’ovaio; di conseguenza, non è mai
stato individuato un cut-off affidabile con una sensibilità e specificità soddisfacenti. Inoltre, esiste una condizione anatomicamente simile alla PCOS denominata ovaio multifollicolare, espressione fisiologica di uno stato di
immaturità funzionale dell’ovaio,
tipico delle ragazze subito dopo
il menarca. La distinzione tra queste due condizioni non è, però,
sempre così netta, tanto che non
di rado quadri di ovaio multifollicolare vengono classificati come
CLINICA QUOTIDIANA
PCOS. Recentemente sono state
avanzate numerose proposte per
aumentare l’attendibilità della diagnosi ultrasonografica di PCOS e
uno dei criteri prospettati è il rapporto tra l’area stromale iperdensa e l’area totale dell’ovaio. Questo parametro può essere facilmente valutato senza dover ricor-
rere a tecnologie aggiuntive rispetto all’ecografia standard. Con
un cut-off di 0,34 il rapporto area
stroma/area ovaio ha dimostrato,
in diversi studi, una sensibilità e
una specificità del 100% nella diagnosi di PCOS, con una variabilità operatore-dipendente di circa
il 5% circa14.
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19
ENDOCRINOPATIE
N
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G
C
ause frequenti ma spesso
non diagnosticate
di osteoporosi secondaria
Le forme di osteoporosi secondaria nella donna sono oggi molto
più frequenti di quanto si potesse pensare e di quanto non fosse stato
inizialmente stimato. Queste condizioni sono tuttavia curabili
con la risoluzione della patologia di base; da qui l’importanza
di un corretto inquadramento del paziente e la prescrizione degli esami
di screening in tutti i soggetti con osteoporosi.
Cristina Eller-Vainicher, Iacopo Chiodini
UO Endocrinologia e Diabetologia, Fondazione Ospedale Maggiore IRCCS - Milano
I
20
l termine “osteoporosi secondaria” indica, come noto, la perdita di massa ossea dovuta a patologie specifiche o all’assunzione di farmaci e non al normale
processo d’invecchiamento.
La prevalenza di osteoporosi secondaria, pur non essendo nota
con precisione, è stimata attestarsi intorno al 30% nelle donne in
postmenopausa e raggiunge il 5080% negli uomini1,2. Le cause di
questa condizione sono molteplici, potendo spaziare da fattori di
tipo iatrogeno o nutrizionale, a
patologie che coinvolgono svariati organi o apparati (tabella 1)2.
È importante ricordare che, secondo le linee guida dell’OMS, la densitometria ossea rappresenta l’indagine d’elezione per la diagnosi di osteoporosi e per la stima del
rischio di frattura. Tuttavia, la diagnosi clinica può essere raggiun-
ta solo dopo una diagnosi differenziale con altre malattie che possono determinare un quadro clinico o densitometrico simile all’osteoporosi e dopo aver indagato, con un’anamnesi accurata ed
esami biochimici, la presenza di
altri fattori che possono influenzare il rischio di frattura.
per l’età e/o stato menopausale o
fratture da fragilità in presenza di
livelli di massa ossea nei limiti di
norma per l’età. Ne deriva quindi
l’importanza di un corretto inquadramento del paziente in quanto
il riconoscimento delle forme di
osteoporosi secondaria, se correttamente diagnosticate e trattate
con un’idonea terapia
eziologica, può portare
a una reversibilità nella
maggior parte dei casi.
D’altra parte l’impostazione di trattamento terapeutico in un paziente
in cui non sia stata diagnosticata una forma di
osteoporosi secondaria
può portare a una mancata risposta alla terapia o, addirittura, a un
danno in termini di perdita di massa ossea e d’incremento del rischio
di frattura.
La terapia eziologica
dell’osteoporosi
secondaria
è spesso risolutiva.
La presenza di una forma di osteoporosi secondaria va ipotizzata in
tutti i pazienti, ma soprattutto nei
soggetti con forme di osteoporosi molto superiori a quelle attese
ENDOCRINOPATIE
spetti clinici mirati, può essere necessario procedere sin dall’inizio
con indagini di laboratorio di II livello (linee guida SIOMMMS).
Principali
endocrinopatie
Ipercortisolismo subclinico
Di estrema rilevanza quindi anche
gli esami, considerati di I e II livello, necessari per l’esclusione di
malattie che possono determinare quadri clinici o densitometrici
simili all’osteoporosi e condizioni
causanti osteoporosi secondaria
(tabella 2). In taluni casi, per so-
Il termine “ipercortisolismo subclinico” o “ipercortisolismo asintomatico” è stato recentemente
introdotto per definire una condizione di alterata secrezione dell’asse ipofisi-surrene indicativa di
uno stato di ipercortisolismo, in
assenza dei classici segni o sinto-
mi della sindrome di Cushing. La
forma subclinica di ipercortisolismo ha una prevalenza stimata di
circa 0,8/1.000 nella popolazione
generale3, nettamente superiore
a quella della sindrome di Cushing; tuttavia, la prevalenza è
probabilmente sottostimata proprio a causa dell’assenza di un
quadro clinico specifico.
L’ipercortisolismo subclinico, generalmente, è dovuto alla presenza di un adenoma surrenalico,
spesso di riscontro occasionale durante una procedura di imaging
eseguita per cause indipendenti
(incidentaloma surrenalico).
Questa condizione è stata asso-
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Tabella 1 Condizioni associate all’osteoporosi
Malattie endocrine
• Ipercortisolismo conclamato e subclinico
• Ipogonadismo
• Iperparatiroidismo primitivo
• Ipertiroidismo
• Iperprolattinemia
• Diabete mellito di tipo 1 e 2
• Acromegalia
• Deficit di GH
Malattie ematologiche
• Malattie mielo- e linfoproliferative
• Mieloma multiplo
• Mastocitosi sistemica
• Talassemia
Malattie apparato gastroenterico
• Epatopatie croniche
• Morbo celiaco
• Malattie infiammatorie croniche gastrointestinali
• Gastrectomia
• Intolleranza al lattosio
• Malassorbimento intestinale
• Insufficienza pancreatica
Malattie renali
• Ipercalciuria idiopatica
• Acidosi tubulare renale
• Insufficienza renale cronica
Malattie reumatiche
• Artrite reumatoide
• LES
• Spondilite anchilosante
• Artrite psoriasica
• Sclerodermia
Farmaci
• Glucocorticoidi
• Ciclosporina
• Diuretici dell’ansa
• Ormoni tiroidei a dosi oppressive in postmenopausa
• Anticoagulanti
• Chemioterapici
• Anticonvulsivanti
• Agonisti e antagonisti GnRH
Altre condizioni
• Broncopneumopatia cronico ostruttiva
• Anoressia nervosa
• Fibrosi cistica
• Emocromatosi
• Trapianto d’organo
• Tossicodipendenza
• Immobilizzazione prolungata
• Grave disabilità
21
ENDOCRINOPATIE
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Tabella 2 Osteoporosi secondaria: iter diagnostico-differenziale
Esami di I livello
Esami di II livello
Ves
Emocromo completo
Elettroforesi proteica
Calcemia
Fosforemia
ALP
Creatininemia
Calciuria 24h
AST, ALT
TSH, FT4
PTH
25OH vitamina D
Cortisolo dopo test di Nugent*
Testosterone (nei maschi)
Elettroforesi proteica urinaria
Ab antigliadina, endomisio e transglutaminasi
* Test di Nugent: dosaggio cortisolo ematico ore 8:00, dopo assunzione sera precedente, ore 23:00,
desametasone 0,5 mg 2 cps per os.
22
ciata a una serie di conseguenze
tipiche, anche se non specifiche,
dell’ipercortisolismo conclamato
quali l’obesità, il diabete mellito,
l’ipertensione, l’osteoporosi e le
fratture4. Inoltre, in un recente
studio è stata evidenziata, nei soggetti affetti da ipercortisolismo
subclinico, oltre ad una riduzione
della densità minerale ossea
(BMD) e a un’aumentata prevalenza di fratture vertebrali5 una riduzione della qualità dell’osso associata a un aumento del rischio
di frattura per valori di BMD più
elevati di quelli attesi6.
Per contro, è noto come le fratture osteoporotiche possano essere la prima manifestazione di
un quadro di ipercortisolismo subclinico, altrimenti asintomatico.
Un recente studio ha suggerito
che la prevalenza d’ipercortisolismo subclinico, in pazienti ambulatoriali con osteoporosi conclamata e senza altre cause di osteoporosi secondaria, possa essere
addirittura di circa il 10%7.
Ciò suggerisce la necessità di considerare sempre la possibile presenza di questa patologia di fronte a un paziente con osteoporosi
Osteoporosi secondaria: procedure
Che cosa fare
■
■
■
■
■
Anamnesi
Valutazione fattori di rischio
Esami di I-II livello
Radiografia colonna dorsale-lombare
Supplementazione con calcio e vitamina D
Che cosa non fare
■ Non sospettare cause secondarie di osteoporosi
■ Iniziare terapia per osteoporosi subito dopo diagnosi densitometrica
■ Non eseguire supplementazione con calcio e vitamina D
conclamata e senza evidenti cause secondarie, anche se non presenta alcun segno suggestivo di
ipercortisolismo.
La possibile presenza di ipercortisolismo subclinico dovrà essere
valutata, in questi soggetti, mediante il dosaggio del cortisolo
ematico dopo test di soppressione con desametasone a basse dosi (test di Nugent; per modalità di
esecuzione vedi tabella 2).
ENDOCRINOPATIE
Ipertiroidismo
Il termine ipertiroidismo indica un
eccesso di ormoni tiroidei in circolo conseguente a un’aumentata attività ormonosintetica da parte della tiroide (morbo di Basedow, gozzo uni- multinodulare
tossico); tuttavia l’aumento degli
ormoni tiroidei può essere anche
dovuto ad assunzione di farmaci
contenenti ormoni tiroidei (tireotossicosi factizia) o alla liberazione massiva di ormoni tiroidei per
processi infiammatori o degenerativi della tiroide.
L’eccesso di ormoni tiroidei induce un aumento dell’attività sia degli osteoblasti, sia degli osteoclasti, che determina un aumento
del turnover osseo. Il turnover osseo è sbilanciato a favore dei processi di riassorbimento e conduce quindi alla perdita di massa ossea. I soggetti con tireotossicosi
presentano una BMD ridotta e un
rischio di frattura aumentato. Il ripristino di una normale funzione
tiroidea è associato a una normalizzazione dei valori di BMD e a
una riduzione del rischio di frattura8.
L’ipertiroidismo è frequentemente presente anche nella sua forma subclinica (livelli di TSH soppressi, in presenza di normali livelli di ormoni) e i risultati di una
recente metanalisi hanno dimo-
strato, anche in questa forma di
ipertiroidismo sia endogeno, sia
esogeno, una riduzione della massa ossea che interessa, tuttavia,
solo le donne in età postmenopausale9. Non sono univoci, invece, i dati sull’aumento del rischio
di frattura9. È importante ricordare che nella forma subclinica, cioè
non da sintomi clinici, la valutazione della funzionalità tiroidea
va eseguita, come
valutazione di base,
anche nei soggetti
che non hanno un
quadro clinico suggestivo per questo tipo di patologia.
Lo screening della
funzione tiroidea nei
pazienti con osteoporosi prevede l’esecuzione unicamente del
dosaggio del TSH, mentre la valutazione dei livelli degli ormoni tiroidei liberi (FT4 e FT3) e/o di altre
indagini è indicata solo in presenza di valori alterati di TSH.
cranio e da tumori bruni. Attualmente, il quadro classico è di raro riscontro e i pazienti che ne sono affetti presentano tipicamente una riduzione della BMD, in
particolare a livello dei siti più ricchi di osso corticale (avambraccio
e femore) rispetto ai siti ricchi di
osso trabecolare (colonna vertebrale), associato a un aumento del
rischio di frattura. Tuttavia, pur in
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La frattura vertebrale
può essere il primo segno
di ipercortisolismo
subclinico.
Iperparatiroidismo
primitivo
L’iperparatiroidismo primitivo10 con una prevalenza che raggiunge il 3-4:1.000 nelle donne in postmenopausa - rappresenta, dopo il diabete mellito e le tireopatie, la terza patologia endocrina
per frequenza. Solitamente, da un
punto di vista clinico è asintomatico ed è caratterizzato dalla presenza di elevati livelli di calcemia
e da livelli elevati o inappropriatamente normali di PTH.
In passato la complicanza ossea
tipica era rappresentata dal quadro di osteite fibrosocistica, caratterizzata dal riassorbimento subperiostale delle falangi distali, da
un aspetto a “sale e pepe” del
considerazione del maggior coinvolgimento dell’osso corticale rispetto a quello trabecolare, la maggior parte degli studi ha mostrato
un aumento del rischio di frattura
anche a livello vertebrale.
Conseguentemente a intervento
di paratiroidectomia è stato dimostrato, da studi randomizzati, un
incremento della BMD. La misurazione della BMD rappresenta
quindi una parte fondamentale
dell’inquadramento dei pazienti
affetti da iperparatiroidismo primitivo e dovrebbe essere eseguita a livello della colonna, femore
e radio ultradistale. Il grado di perdita di massa ossea riflette spesso il grado di severità dell’iperparatiroidismo ed è quindi utile per
porre l’indicazione all’intervento
chirurgico di paratiroidectomia.
È di estrema importanza ricordare che, così come nella popolazione generale, anche nei soggetti
affetti da iperparatiroidismo primitivo è frequente la presenza di
23
ENDOCRINOPATIE
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ipovitaminosi D; in questi soggetti la mancata replezione del
deficit, prima della valutazione
dei livelli di calcio e PTH, può portare alla mancata diagnosi di
iperparatiroidismo primitivo in
quanto l’ipovitaminosi D può
mascherare l’ipercalcemia franca. Bisogna però anche ricordare che livelli di PTH inappropriatamente normali (nel range alto
di norma), in presenza di elevati livelli di calcemia, non devono
fare escludere la presenza di iperparatiroidismo primitivo. Inoltre,
un recente studio ha mostrato
come livelli inappropriatamente
normali di PTH siano di frequente riscontro nei soggetti giovani
(<50 anni) affetti da iperparatiroidismo primitivo familiare nell’ambito di neoplasia endocrina
multipla di tipo 1 (MEN1)11.
Data la prevalenza di questa patologia, la sua presenza andrà
esclusa in tutti i soggetti affetti da
osteoporosi e una particolare attenzione andrà prestata ai soggetti che presentano storia di nefrolitiasi in anamnesi.
Conclusioni
Le forme di osteoporosi secondaria sono oggi molto più frequenti di quanto inizialmente stimato e possono essere curate in
modo efficace con la risoluzione
della patologia di base. Di conseguenza, esami di screening sono indicati in tutti
i soggetti con osteoporoSiti internet di riferimento
si; esami di secondo e ter• www.siommms.it sito della Società
zo livello devono essere inItaliana di Osteoporosi,
vece riservati a quei sogdel Metabolismo Minerale
getti con osteoporosi di
e delle Malattie dello Scheletrico.
entità non giustificata sul• www.iofbonehealth.org
la base dei fattori di rischio
sito della International
e, ovviamente, nei soggetOsteoporosis Foundation.
ti in cui gli esami di I livel• www.uptodate.com
lo facciano ipotizzare la
sito a pagamento per iscritti.
presenza di cause secondarie di osteoporosi.
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DIAGNOSTICA
N
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G
R
isonanza magnetica
fetale: quale ruolo
nella diagnosi prenatale?
Uno strumento di approfondimento diagnostico in grado di colmare
eventuali aree d’incertezza scaturite dall’indagine ecografica,
ma da utilizzare in modo mirato, ossia solo in casi selezionati e focalizzando
l’attenzione su un ambito d’indagine estremamente specifico.
di Annafranca Cavaliere, Mauro Tintoni, Anita Romiti, Marta Nucci, Lucia Manganaro1, Giovanni Scambia
Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente - Policlinico “A. Gemelli” - Roma
1Dipartimento di Scienze Radiologiche, Policlinico Universitario “Umberto I”, Sapienza Università - Roma
L
a risonanza magnetica (RM) fetale è stata introdotta nei primi anni Ottanta e ha acquistato
un ruolo di crescente importanza
nella valutazione delle gravidanze a rischio. Essa è infatti considerata una metodica di terzo livello per lo studio delle patologie
fetali complesse, dopo l’ecografia ostetrica di screening e quella
specialistica eseguita in centri di
secondo livello. Inizialmente, il lungo tempo di acquisizione delle immagini richiedeva l’immobilizzazione fetale attraverso la curarizzazione mediante cordocentesi o
la sedazione materna, tuttavia,
l’introduzione delle sequenze ultrafast, pesate essenzialmente in
T2, ha permesso di ovviare a tale
necessità.
Fin dall’inizio, la RM è stata applicata soprattutto allo studio del sistema nervoso centrale (SNC) fetale e anche attualmente le principali indicazioni per la sua esecu-
zione in gravidanza sono le malformazioni del SNC; a queste si
sono aggiunte le patologie del distretto cervico-toracico, alcune
anomalie addominali e le malformazioni urinarie.
L’assenza di effetti teratogeni dell’esame eseguito in epoca prenatale è ormai un dato accertato: allo stato attuale non sono state dimostrate conseguenze dannose
per il feto con campi di esposizione uguali o inferiori a 1,5 Tesla e
la RM è consigliata a partire dal
secondo trimestre di gravidanza,
quando un’ecografia preliminare
risulta inadeguata o inconclusiva
ai fini diagnostici.
Le uniche controindicazioni comuni alla RM in generale, possono essere la presenza di dispositivi elettromagnetici o la claustrofobia, a
cui a volte è possibile ovviare attraverso la sedazione materna;
l’American College of Obstetricians
and Ginecologists (ACOG) racco-
manda di non utilizzare la RM nelle fasi precoci della gravidanza,
soprattutto nel primo trimestre,
in considerazione degli ipotetici
effetti dannosi che il surriscaldamento causato dal forte campo
magnetico può provocare sulle
cellule in rapida moltiplicazione.
In genere, la RM viene eseguita dopo la diciottesima settimana di gestazione a causa di problemi di risoluzione spaziale che pongono
numerosi limiti tecnici. Di conseguenza, l’ecografia è più accurata
per diagnosi sub-millimetriche, soprattutto negli esami eseguiti con
sonde ad alta frequenza nel primo
trimestre (come la misurazione della translucenza nucale o NT); per
la RM, infatti, la massima risoluzione in termini di voxel è ancora pari a 0,8 x 0,8 x 3,0 mm.
Resta tuttavia da considerare un
“difetto” comune a entrambe le
metodiche, ossia lo specialista addetto all’esecuzione dell’indagi-
25
DIAGNOSTICA
N
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ne. Il radiologo, infatti, non possiede un background di medicina
fetale e non è solitamente un esecutore quotidiano di ecografie
prenatali come accade all’ostetrico, che, per contro, non ha le abilità e le conoscenze anatomiche
(in particolare neuroanatomiche)
in diagnostica per immagini possedute dal primo1.
Sistema nervoso
centrale
26
Le anomalie cerebrali fetali costituiscono circa il 9% di tutte le alterazioni isolate e si manifestano
nel 15,9% delle malformazioni
multiple. Proprio grazie all’alta risoluzione delle immagini, ottenibile soprattutto nel secondo e nel
terzo trimestre, la RM può identificare cambiamenti nelle caratteristiche del SNC anche di dimensioni estremamente piccole. Gli
scopi dello studio RM in questo
particolare ambito sono fondamentalmente due:
• valutare la crescita del cranio fetale (utilizzando i parametri biometrici), nonché lo sviluppo delle strutture cerebrali del feto e
la loro relativa maturazione;
• valutare le strutture encefaliche
(cervelletto, corpo calloso ecc.).
Lo studio del SNC è stata la prima e, resta a tutt’oggi, la più importante indicazione alla RM fetale2. Le principali applicazioni in
tale distretto riguardano la precisazione diagnostica nei casi di: sospetta ventricolomegalia fetale,
anomalie della fossa cranica posteriore e agenesia del corpo calloso (in forma isolata o accompagnata da altre anomalie cerebrali). La RM risulta invece meno sensibile degli ultrasuoni nella valutazione delle calcificazioni intra-
craniche e dei plessi corioidei,
mentre riesce a fornire maggiori
informazioni sulle patologie di natura ischemico-emorragica oppure correlate ad anomalie della girazione o a processi infettivi. Questa metodica ha inoltre acquistato un suo ruolo nella diagnosi differenziale delle lesioni espansive
indeterminate riscontrate all’esame ecografico (cisti malformative, tumorali)3. Attualmente, essa
non viene eseguita in presenza di
un esame ultrasonografico normale in una popolazione a basso
rischio, sebbene, per quanto riguarda lo studio del SNC, le due
tecniche risultino complementari
e non esclusive. La RM, pertanto,
rappresenta un valido ausilio nella diagnosi, nel counselling alla
coppia e nella gestione clinica pree post-natale delle anomalie del
SNC fetale.
Distretto cranio
cervico-toracico
La RM consente di diagnosticare
e valutare numerose alterazioni
del cranio e del collo fetale, come, per esempio, la palatoschisi,
la retrognazia, la micrognatia, la
craniosinostosi, il cefalocele, le
anomalie vascolari, la macroftalmia e, in genere, le malformazioni oculari. Anche il riscontro ecografico di masse cervicali costituisce un’indicazione all’approfondimento mediante RM; in questi
casi, l’esame dovrà precisare,
quando possibile, i rapporti della
massa con la trachea e con l’eventuale sviluppo intratoracico.
A livello toracico, patologie quali la malformazione adenomatoide cistica, il sequestro broncopolmonare, l’ernia diaframmatica e
altre anomalie a carattere com-
pressivo, compreso l’oligoanidramnios severo, possono compromettere lo sviluppo del parenchima polmonare residuo e quindi rendersi responsabili di ipoplasia polmonare che rappresenta la
prima causa di mortalità neonatale. In questi casi, la RM fetale
può apportare maggiori informazioni di tipo strutturale e prognostico. Infatti, riuscire a quantificare la crescita e lo sviluppo del parenchima polmonare consente allo specialista di prevedere le possibilità di sopravvivenza, nonché
di programmare sia il timing del
parto, sia eventuali interventi d’urgenza nelle prime ore di vita del
neonato.
Le Congenital High Airway Obstruction Syndromes (CHAOS), pur
costituendo un gruppo di patologie di più raro riscontro, rappresentano un’indicazione primaria
all’esecuzione dell’esame RM se
sospettate ecograficamente.
In definitiva, se si sospetta o si riscontra una patologia con ripercussioni sul polmone fetale, la RM consente di valutare il grado di compromissione polmonare, l’estensione della malattia, i suoi effetti
sulle strutture circostanti e il volume polmonare residuo4.
Addome
Solitamente le patologie addominali non richiedono un approfondimento diagnostico con la RM
poiché, in linea di massima, un
esame ecografico di secondo livello è in grado di risolvere numerosi quesiti. Tuttavia, la caratterizzazione RM delle masse adddomino-pelviche può risultare più
accurata rispetto all’indagine ultrasonografica e può fornire maggiori informazioni riguardanti le
DIAGNOSTICA
loro ripercussioni sugli organi adiacenti5.
I difetti della parete addominale e
le ostruzioni intestinali alte non richiedono solitamente l’impiego
della RM se non in casi complessi.
Per quanto riguarda le atresie anorettali, la RM presenta le stesse limitazioni dell’esame ecografico;
in alcuni casi lo studio con sequenze T1 pesate senza e con soppressione del segnale adiposo può offrire un ausilio per lo studio dell’intestino. La presenza di meconio determina una caratteristica
iperintensità del lume intestinale,
più accentuata nelle anse distali.
Contrariamente a quanto avviene con l’ultrasonografia, la RM fetale non consente di valutare
eventuali calcificazioni all’interno
del cavo addominale - come quelle osservabili, per esempio, in seguito a perforazione e a peritonite meconiale - oppure in sede epatica nelle patologie infettive.
Le anomalie renali, ureterali e vescicali associate a severo oligoanidramnios sono difficili da valutare ecograficamente. In questi
casi, la RM riesce a evidenziare la
presenza dei reni e della vescica
fetale, escludendo così l’agenesia
renale e altre anomalie.
La RM può offrire un corretto inquadramento diagnostico anche
nelle patologie ostruttive.
Sindromi
malformative
Spesso un feto può presentare
malformazioni che coinvolgono
più organi; la loro ricerca ecografica richiede un importante e difficoltoso lavoro diagnostico, caratterizzato da più rilevazioni e dal
rischio di non riuscire a evidenziarle precocemente. Inoltre la po-
sizione fetale e l’habitus materno
possono non consentire una completa e corretta valutazione delle
alterazioni presenti. In alcuni casi, la RM fetale può essere di ausilio diagnostico anche in questo
contesto.
Nuove applicazioni
• Distretto placentare: il ricorso
alla RM sta diventando ormai
routinario per lo studio della placenta e delle patologie a essa
correlate, soprattutto se di
stampo vascolare (trombi intervillosi, invasione placentare,
ematomi retroplacentari o sottocoriali); i reperti evidenziati,
inoltre, correlano bene con le
diagnosi istologiche6. Non va
infine dimenticato, che questo
esame ha anche la capacità di
datare l’epoca del sanguinamento.
• Cuore e grossi vasi: l’uso della
RM in questo specifico contesto è stato finora ostacolato dalle peculiarità della morfologia
cardiaca e dai limiti tecnologici
delle attuali sequenze. Il cuore
è stato pertanto considerato il
“buco nero” della RM fetale.
Tuttavia, un recente lavoro di
Manganaro et al, ha dimostrato la possibilità di riconoscere i
principali distretti anatomici e
patologici del sistema cardiovascolare attraverso la RM con sequenze SSFP (steady-state free
precession)7; esse permettono
inoltre di visualizzare dinamicamente (cine-RM) il distretto cardiaco e quindi di valutare la contrattilità delle camere cardiache,
anche se in maniera ancora poco attendibile. Secondo questi
Autori, la RM fetale consentirebbe d’identificare le principa-
•
•
•
•
li patologie congenite morfologiche del distretto cardiaco; l’ulteriore vantaggio apportato dalla RM cardiaca fetale sarebbe
quello di consentire una valutazione accurata delle numerose patologie extracardiache che
spesso si associano alle cardiopatie congenite. Tuttavia, al momento, i lavori pubblicati in tema di applicabilità della RM fetale alla valutazione delle cardiopatie congenite, condotti su
casistiche sufficientemente ampie, sono veramente pochi.
Gravidanze gemellari: la RM potrebbe risultare utile in presenza di trasfusione feto-fetale
(TTTS)8, di gravi malattie materne, di traumi o morti endouterine di un gemello.
Sindromi genetiche: in questo
contesto, la RM potrebbe essere utilizzata per rassicurare i genitori di precedenti feti affetti,
anche in presenza di un reperto ecografico normale.
Infezione da CMV: questa patologia, trasmessa al feto nel
30-40% dei casi di infezione
primaria materna e con prognosi avversa quando occorsa nella prima metà della gestazione,
comporta spesso lo sviluppo di
lesioni cerebrali (dilatazioni ventricolari, cisti subependimali, microcefalia e calcificazioni periventricolari) ben evidenziabili
mediante ecografia e RM. Rispetto a quanto osservabile con
la sola ecografia, il ricorso all’approfondimento mediante
RM comporta un aumento della sensibilità e della specificità
diagnostica, nonché del valore
predittivo negativo dell’indagine; le due tecniche risultano
complementari e non mutuamente esclusive.
Restrizione della crescita intrau-
N
O
G
27
DIAGNOSTICA
N
O
G
terina (IUGR): un recente articolo di Estroff9, uno dei pochi
pubblicati in merito, ha evidenziato il ruolo della RM fetale nelle gravidanze complicate da
IUGR; in particolare, la spettroscopia con tecnica di risonanza
magnetica (RMS) offrirebbe
l’opportunità di evidenziare
cambiamenti del metabolismo
fetale tipicamente associati a
questa condizione; inoltre, la
RM volumetrica dovrebbe fornire misurazioni più precise di
quelle ottenibili ecograficamente, nonché informazioni sul volume placentare10.
Conclusioni
Sebbene l’ecografia ostetrica rappresenti la modalità diagnostica
di riferimento durante la gravidanza, la RM fetale sta diventando
sempre più utilizzata e diffusamente accettata come metodo
diagnostico complementare. Questa tendenza è documentata anche dal rapido aumento degli studi di coorte che riflette sia il sempre maggiore interesse nei confronti di questa metodica, sia il
crescente numero di indicazioni
all’esame.
L’ecografia continua a essere l’indagine di scelta nello screening
prenatale e nella precisazione diagnostica di secondo livello; sebbene i suoi risultati dipendano dall’abilità e dall’esperienza dell’operatore, essa è economica, rapida,
priva di rischi per il feto ed eseguibile a qualsiasi epoca gestazionale anche al letto della paziente11.
Anche la RM fetale è una tecnica
operatore-dipendente, ma in minore misura rispetto all’indagine
ecografica. La selezione di sequenze ottimali e l’interpretazione delle immagini selezionate richiede
infatti conoscenza dell’anatomia
e delle patologie fetali, esperienza e capacità di discriminare tra
artefatti e vera patologia.
Considerare la RM fetale un esame “total body” è sicuramente
un errore; al contrario, essa deve
essere mirata e giustificata per evitare un utilizzo non corretto dell’indagine che potrebbe comportare numerosi errori diagnostici;
infatti, la tecnica di acquisizione
prevede una corretta impostazione dei piani che è una condizio-
ne assolutamente indispensabile
per una valutazione delle strutture in esame. In altre parole, il radiologo deve sapere cosa andare
“a cercare”. Le uniche eccezioni
che consentono valutazioni più
generali sono precedenti gravidanze con gravi malformazioni o
particolari situazioni in cui l’habitus materno limita l’esame ecografico.
Un’applicazione che stenta a decollare, purtroppo, è la combinazione di ecografia 3D/multiplanare associata alla RM: la possibilità di studiare in collaborazione le
stesse strutture fetali secondo piani praticamente sovrapponibili,
rappresenterà l’approccio diagnostico ideale per rendere le due tecniche necessarie e complementari alla precisazione diagnostica.
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11. Chung R, Kasprian G, Brugger PC et al. The current state and
future of fetal imaging. Clin Perinatol 2009; 36, 3: 685-99.
GESTODIOL 20/30
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE.
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA.
Principi attivi: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:
ogni compressa contiene 20 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di
Gestodene. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite:
ogni compressa contiene 30 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di
Gestodene. Eccipienti: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse
rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. GESTODIOL
30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio
monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere
paragrafo 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero, di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati.
4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL.
Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni.
Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui
non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà
un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTODIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo
giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale). È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno
ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In
caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato.
La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone (mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a
rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione
di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso. Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda
alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può
iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non
sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il
parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più
tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di
barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole si deve escludere una gravidanza oppure la donna deve attendere la comparsa della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica
la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne
ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man-
cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella
gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima
compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che
deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad
assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la
possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e
tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non
vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una gravidanza. Settimana 2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se
ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora.
Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare
un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana
3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione
anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a
una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di
usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra
le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della
seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima
di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita. In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non
influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura
per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se
la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o
ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non
oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che
si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale. L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del
consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali
compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore
sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia
intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva
(questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I
contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la
prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso. • Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi
venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o
in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici (angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza
di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante), iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da
micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). •
Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni
concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. •
Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi
o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali
combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali
combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della paziente e che venga esclusa una gravidanza. Sulla base delle controindicazioni
(vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico, se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il
foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i
contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente, valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione
o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno
che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC
per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato alla gravidanza, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che
nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per
lo più alla dose di 30 μg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno di 50 μg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi orali combinati contenenti 30 μg di etinilestradiolo in combinazione con
desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 μg di etinilestradiolo e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV
è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel con meno di 50 μg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20
casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 1020 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno
di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi
in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi
è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso
di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale; • in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • immobilizzazione prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i
contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4
settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa
deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es.
fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento
dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente, soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia; • obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • ipertensione; • valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva
(ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età
relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o
gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o
meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; •
cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della
vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento
molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”. Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono: diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e
anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania (che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia, carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento
adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio associato alla gravidanza è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di
COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito
un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC
ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato
dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di
diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di
meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le
utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro
della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento
superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del
cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a
una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista
clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici
benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti
severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da
ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa. Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in
molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere
l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno,
l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno
nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la gravidanza che con l’uso
di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate.
Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o
prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico; sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un
effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante
l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari
problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non
devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni),
del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma,
specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con
tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni
plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta. L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi
paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo 4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà
verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia),
particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la
possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si
verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una
patologia maligna o di una gravidanza. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse. Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo 4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono
state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da
sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da
sospensione, è necessario escludere la gravidanza prima di proseguire l’assunzione del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione.
Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone, carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina, topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime
2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per
almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di
insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il
meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a breClassificazione
sistemica organica
Comune (da=1/100
a <1/10)
Patologie del sistema nervoso
Cefalea
Nervosismo
Irritazione oculare quando
si portano lenti a contatto
Disturbi della vista
Patologie dell’occhio
Patologie dell’orecchio e del labirinto
Patologie gastrointestinali
Patologie della cute
e del tessuto sottocutaneo
Disordini del metabolismo
e della nutrizione
Patologie vascolari
Patologie sistemiche e condizioni
relative alla sede di somministrazione
Disturbi del sistema immunitario
Patologie dell’apparato riproduttivo
e della mammella
Disturbi psichiatrici
Nausea
Acne
Emicrania
ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali, devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale, ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene
assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione. Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il
numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la
confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per
le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario
considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL
non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia
e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per
almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei
contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina) o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali. Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità
epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto), per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche, i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato durante la gravidanza. In caso di gravidanza durante l’assunzione di GESTODIOL
sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno
evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne
che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della gravidanza, né effetti
teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante la gravidanza. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte
materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono
essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in
genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari.
GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza (>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera-
Non comune (da=1/1000
a <1/100)
Raro (da=1/10000
a <1000)
Corea
Vomito
Iperlipidemia
Ipertensione
Otosclerosi
Colelitiasi
Cloasma
Tromboembolia venosa
Eventi tromboembolici arteriosi
Aumento ponderale
Ritenzione idrica
Sanguinamento irregolare
Amenorrea
Ipomenorrea
Tensione mammaria
Alterazioni della libido
Depressione
Irritabilità
Molto raro
(<1/10000)
Lupus eritematoso
Alterata secrezione vaginale
Pancreatite
pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in
donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa,
vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare. • Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della
cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro
della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella.
Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i
paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non
c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice
ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC
possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative
(illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene.
Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente
e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La
biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2%
del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 5070% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente
aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina. Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo. Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene
viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato. I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto
di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate. La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG
che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo
di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale
l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio, è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02%
della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen-
te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il
98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato
determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo.
L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di
metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con
glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg.
Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico,
con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in
un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa 1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del
30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con
etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo
come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali
possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti.
Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non
hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti
all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo
della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio
monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco, Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la
conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21
compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le
confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO.
EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano.
8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO.
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M
GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M
GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite,
6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M
9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE.
2 ottobre 2007
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007