Tesina di maturità Analisi storica e critica della concezione filosofica
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Tesina di maturità Analisi storica e critica della concezione filosofica
Cosmologia Tesina di maturità Analisi storica e critica della concezione filosofica dell’Universo, dal pensiero biblico all’indeterminismo di Heisenberg di Jacopo Filippo Vignola 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 1 Cosmologia Dedicato ai miei genitori Così mi sono confrontato con scienziati e filosofi del passato: non volevo accontentarmi di quel che la storia insegnava, volevo superare come Ulisse “quella foce stretta dov' Ercule segnò li suoi riguardi”, non volevo sempre credere a quel che scrisse Aristotele, e neppure vagare per la sola “isola in mezzo al mare”, speravo di scoprire un giorno che relatività e indeterminismo fossero solo semplici rappresentazioni di una realtà ben più profonda… ... volevo approfondire. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 2 Cosmologia Scopo della ricerca Lo scopo di questa ricerca (tesina di maturità) è d‟indagare le molte concezioni dell‟Universo che l‟uomo ha sviluppato nel corso dei secoli. Il taglio della ricerca è filosofico-scientifico, con un approccio interdisciplinare comprendente le materie di filosofia, storia, fisica, scienze, letteratura italiana e civiltà greca. La Cosmologia, ovvero la storia della ricerca dell‟ordine universale che determina lo stato e i movimenti della Natura, richiede al lettore di dimenticare per un momento tutte le conoscenze e le più elementari esperienze quotidiane, per immedesimarsi nei panni di antichi filosofi, lontani nel tempo e nella cultura, e provare a ragionare come loro, per meglio apprezzarne le geniali intuizioni. In questa ricerca ho cercato di ricostruire i singoli passaggi logici che hanno portato l‟uomo, nel corso della storia, a contraddire maestri e antenati, in favore del progresso scientifico. Lo stesso progresso ha permesso, pensiero dopo pensiero, di indicare con certezza matematica, dove si colloca l‟uomo all‟interno dello spazio infinito, perché viene attratto verso il basso, e qual‟è il suo rapporto con tutto il resto della materia osservabile. Nelle pagine successive non si troveranno risposte a domande esistenziali (perché l‟uomo esiste, qual è il suo destino, …), ma solo i presupposti da cui poterle elaborare. premessa Presenterò la tesina alla commissione d‟esame in formato MULTIMEDIALE. Ho ritenuto necessario l‟uso dello strumento informatico per poter superare alcuni limiti d‟espressione che il supporto cartaceo impone. Parallelamente alla stesura del testo ho sviluppato un software dedicato su CD-ROM che permette di avere accesso a tutti i contenuti multimediali relativi alla cosmologia, tramite un unico menù interattivo. Ad ogni paragrafo della tesina corrisponde una scheda interattiva contenente, oltre al relativo testo, immagini storiche, pitture e ricostruzioni tridimensionali, video esplicativi e finestre scorribili. Da quest‟ultime è possibile consultare le citazioni originali complete che avrebbero altrimenti richiesto la stampa di numerose pagine. Per ogni filosofo preso in analisi, ho elaborato una ricostruzione a due e tre dimensioni del sistema cosmologico da lui ideato, rifacendomi alle descrizioni dei filosofi stessi o degli storici tramite i quali ne abbiamo avuto notizia. Sarà così più agevole distinguere le innovazioni reali dagli errori e dai paradossi. Infine, ho ricostruito graficamente attraverso il software Cabrì II plus*, alcuni principi fisici e astronomici poco conosciuti poiché superati dalle leggi moderne, ma fondamentali per il mio lavoro e per capire la storia della cosmologia. *Cabrì II plus è un programma sviluppato dall‟Université Joseph Fourier du Paris, che permette di tracciare ogni sorta di figura geometrica complessa, mantenendo costanti misure o proporzioni assegnate. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 3 Cosmologia “Io sono convinto che esista almeno un problema cui sono interessati tutti gli uomini dediti al pensiero. E‟ il problema della cosmologia. il problema di comprendere il mondo, compresi noi stessi e la nostra conoscenza in quanto parte del mondo” Karl Popper in “The Logic of Scientific Discovery”, 1959 Indice 1 LE ORIGINI 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 2 Anassimandro Anassimene Parmenide Filolao Platone Eudosso Aristotele 10 11 12 13 14 17 17 20 Eratostene Aristarco Apollonio Ipparco Ipparco Tolomeo 20 22 23 23 24 25 27 S. Agostino S. Tommaso d‟Aquino Dante Alighieri Caratteri dell‟universo aristotelico-tolemaico LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 5.9 5.9.1 5.9.2 5.9.3 6 10 IL CREAZIONISMO CRISTIANO 4.1 4.2 4.3 4.4 5 6 6 7 8 9 L’ELLENISMO 3.1 3.2 3.3 3.4 3.4 3.5 4 In Mesopotamia Secondo la Bibbia Nell‟Antico Egitto In Cina In India LA GRECIA CLASSICA 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 3 6 30 il Quattrocento Contesto storico e cause Niccolò Copernico La battaglia intorno a Copernico I Gesuiti e l‟astronomia Tycho Brahe l‟Infinità dell‟Universo Giordano Bruno Conseguenze La replica religiosa Il rapporto Uomo – Universo Dal rifiuto all‟accettazione 30 31 32 33 35 36 38 39 42 42 42 43 L’UNIVERSO GEOMETRICO 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 06/02/2007 27 27 28 30 45 Vita ed opere di Johannes Kepler Prima soluzione: l‟universo poliedrico Seconda soluzione: le orbite ellittiche Le tre leggi Il Sole come causa dei movimenti planetari Jacopo Filippo Vignola 45 46 47 47 49 4 Cosmologia 7 DALLA FILOSOFIA ALLA SCIENZA 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 7.6 7.7 7.8 8 50 51 53 56 58 60 62 63 64 Vita ed opere di Isaac Newton I problemi dell‟ottica Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna La Gravitazione Universale Conclusione L’IDEALISMO 9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 9.6 9.7 9.8 9.9 10 Vita ed opere di Galileo Galilei Scoperte tecnologiche Scoperte fisiche Scoperte astronomiche Dialogo sopra i due massimi sistemi Contro la Chiesa Contro gli Aristotelici Giudizi sull‟operato di Galileo LA FISICA CLASSICA 8.1 8.2 8.3 8.3 8.4 8.5 9 50 71 Vita ed opere d‟Immanuel Kant Introduzione Oggetto e fenomeno Estetica trascendentale Logica trascendentale L‟ “io penso” L‟isola in mezzo al mare Dialettica trascendentale Schema concettuale 71 73 73 74 75 76 77 78 79 LA FISICA MODERNA 80 10.1 Vita ed opere di Albert Einstein 10.2 Crisi della fisica classica 10.2.1 La velocità della luce 10.2.2 Il vento d'etere 10.3 Relatività ristretta 10.3.1 La luce non cambia mai velocità 10.3.2 La velocità della luce non si può sommare 10.3.3 Simultaneità relativa 10.3.4 La dilatazione dei tempi 10.3.5 La contrazione delle lunghezze 10.3.6 Spazio e tempo secondo Einstein 10.3.7 Massa = energia ! 10.4 Relatività generale 10.4.1 Il principio di equivalenza 10.4.2 La curvatura dello spazio 10.4.3 Conseguenze della Relatività generale 10.4.4 Storie di buchi neri 11 L’INDETERMINISMO 80 81 81 81 82 83 83 84 84 85 86 86 87 87 87 88 88 90 11.1 Introduzione 11.2 Evoluzioni della meccanica classica 11.2.1 Il meccanicismo di Laplace 11.2.2 Il concetto di causalità 11.3 La fisica quantistica 11.3.1 La meccanica statistica 11.3.2 La teoria dei quanti 11.3.3 Il modello atomico di Bohr ad orbite quantizzate 11.3.4 Il modello atomico degli orbitali di Schrödinger 11.4 L‟indeterminismo 11.4.1 Caduta delle leggi deterministiche 11.4.2 Il principio d‟indeterminazione di Heisenberg 11.5 L'universo quantistico 06/02/2007 64 66 67 68 69 70 Jacopo Filippo Vignola 90 90 90 91 91 91 92 93 94 95 95 95 96 5 Cosmologia 1 LE ORIGINI Le origini dell‟astronomia presso i popoli primitivi si confondono con quelle della civiltà e della religione. In alcuni paesi lo svolgersi dei fenomeni celesti ha suggerito, con la possibilità di prevederli, il concetto di legge naturale immutabile, aprendo così la via al passaggio da forme originarie di culto, quali il feticismo, il totemismo, l‟animismo, a credenze più complesse in divinità esterne al mondo terrestre e capaci di agire sopra di esso. Tra gli Israeliti si arriva direttamente sino al monoteismo. La molteplicità e l‟apparente indipendenza dei movimenti osservati nel cielo, porta al diffondersi di mitologie ricche di dei e di semidei: politeisti sono i Babilonesi, gli Egizi, i Cinesi, gli Indiani e gli stessi Greci, sino a quando la formazione di una coscienza filosofica e religiosa più progredita non conduce a riconoscere nell‟unità del cosmo un‟unica causa prima che in essa si rispecchia. 1.1 In Mesopotamia Le nostre conoscenze sulla matematica e sull‟astronomia della Mesopotamia si basano sulle iscrizioni delle migliaia di tavolette di argilla rinvenute nei luoghi che furono sede di antiche città. Le testimonianze appartengono a due periodi separati, il “babilonese antico” (1800-1600 a.C. circa) e il “seleucidico” (gli ultimi tre secoli prima di Cristo). Le conoscenze relative alla matematica si sono sviluppate nel più antico di questi periodi, in quanto i numeri venivano già rappresentati sotto forma di simboli, in un sistema decimale e sessagesimale. Nei testi più tardi del periodo seleucidico, troviamo lo “zero” per indicare un posto vuoto sessagesimale tra due altre cifre. L‟astronomia del periodo babilonese antico contempla solo l‟osservazione delle stelle più luminose. I testi più tardi, o seleucidici, comportano invece complicati sistemi di astronomia teoretica elaborati dai sacerdoti. Essi sono abituati a osservare il cielo da osservatori o templi a gradoni, di cui la biblica “torre di Babele” è un ricordo. Le loro osservazioni riguardano per lo più i movimenti dei “sette pianeti” conosciuti fin dai tempi preistorici: il Sole, la Luna e cinque corpi (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Ciascun pianeta sembra muoversi nel cielo, relativamente allo sfondo delle stelle. Si ritiene che i movimenti giacciono tutti entro una certa zona della sfera celeste, che ai fini del calcolo viene immaginata come un grande cerchio: lo Zodiaco (dal greco zodion, piccola figura di animale). Esso, in seguito, sarà diviso in dodici parti uguali dai babilonesi, ciascuna delle quali porta il nome di una costellazione corrispondente. Per la misura del tempo sono utilizzati i periodi della rivoluzione del Sole e della Luna. Le vicende mensili della Luna, più evidenti del corso annuale del Sole, servono per regolare il più antico calendario lunare. Questa divisione del tempo in funzione della Luna sarà conservata per fini religiosi. Tra il mese lunare e l‟anno solare non esiste nessuna relazione numerica naturale, tuttavia l‟astronomia babilonese viene spinta a svilupparsi anche per la necessità di trovare, attraverso una regola efficace, la connessione tra i calcoli lunari e quelli solari. Intorno al quinto secolo si stabilisce che 19 anni solari corrispondono a 235 mesi lunari, con l‟approssimazione della frazione di un giorno. 1.2 Secondo la Bibbia Creazione del mondo e dell’umanità (Genesi 1, 1-31) “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era disadorna e deserta: c‟erano tenebre sulla superficie dell‟abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: Vi sia luce! E vi fu luce. Dio vide che la luce era buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre . Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno. Dio disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e separi le acque dalle acque. E così avvenne: Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmanento. Poi venne sera, poi venne mattina: secondo giorno. Dio disse: Le acque, che sono sotto il cielo, si ammassino in una sola massa e appaia l‟asciutto. E così avvenne: le acque, che sono sotto il cielo, si ammassarono nelle loro masse e apparve l‟asciutto. Dio chiamò terra l‟asciutto e chiamò mare la massa delle acque. E Dio vide che ciò era buono. Dio disse: La terra verdeggi di verzura, di graminacee che producano semente e di alberi da frutto, che facciano sulla terra, ciascuna secondo la sua specie, un frutto contenente il seme. E così fu: la terra fece spuntare verzura, graminacee che producono semente, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno un frutto contenente un seme secondo la propria specie. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi venne mattina: un terzo giorno. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 6 Cosmologia Dio disse: Vi siano luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte e diventino segni per le feste, per i giorni e per gli anni e diventino luminari del firmanento del cielo per fare luce sulla terra. E così fu: Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande per il governo del giorno e il luminare piccolo per il governo della notte e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per fare luce sulla terra e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi venne mattina: un quarto giorno. Dio disse: Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi e volatili volino sopra la terra, sullo sfondo del firmamento del cielo. E così fu: Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi guizzanti di cui brulicarono le acque, secondo la loro specie e tutti i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono. E Dio li benedisse dicendo: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, i volatili poi si moltiplichino sulla terra. Poi venne sera, poi venne mattina: un quinto giorno. Dio disse: La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame e rettili e fiere della terra secondo la loro specie. E così fu: Dio fece le fiere della terra secondo la loro specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono. Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l‟uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le fiere che strisciano sulla terra. Poi Dio disse: Ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie di tutta la terra, e anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l‟alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi. E così fu. E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Poi venne sera, poi venne mattina: il sesto giorno”. La vittoria di Giosuè (Giosuè 10, 10-15) “Jahve li mise in rotta di fronte a Israele, che inflisse loro una grande sconfitta a Gabaon, li inseguì poi nella direzione della salita di Bethoron e li battè fino ad Azeka e fino a Makkeda. Ora, quando essi fuggivano innanzi a Israele ed erano sulla discesa di Bethoron, Jahve scagliò dal cielo sopra di loro, fino ad Azeka, grosse pietre che li annientarono. Ne morirono più per le pietre della grandine che non per la spada dei figli di Israele. Allora Giosuè parlò a Jahve, il giorno stesso in cui Jahve mise gli Amorrei nelle mani dei figli di Israele, e disse sotto gli occhi di Israele: O sole, fermati su Gabaon e tu, luna, sulla valle di Aialon!. Il sole si fermò e la luna restò immobile finchè il popolo non si fu vendicato dei suoi nemici. Non sta scritto forse nel libro del Giusto? Il sole restò immobile in mezzo al cielo e non si affrettò al tramonto quasi per un giorno intero. Non ci fu mai nè prima nè dopo un giorno come quello, quando Jahve ascoltò la voce di un uomo, perchè Jahve combatteva per Israele! Quindi Giosuè e tutto Israele con lui ritornò all‟accampamento di Galgala”. 1.3 Nell’Antico Egitto L‟astronomia egiziana era basata su miti e credenze religiose, come quella dei popoli asiatici. I monumenti della valle del Nilo attestano in epoche remotissime conoscenze significative di geometria applicata all‟arte delle costruzioni, in relazione all‟astronomia, come si rileva dalle tracce di orientamenti esatti delle piramidi, dei templi e di altri edifici secondo le direzioni cardinali eclittiche o secondo i punti di culminazione di stelle. Tale pratica rituale sarà usata anche fuori dell‟Egitto, ma nessuno la applica più largamente degli Egizi, dai quali l‟apprenderanno i Greci e i primi cristiani. Gran parte dell‟interesse astronomico degli Egizi coincide con l‟invenzione del loro calendario: e ciò per due ragioni distinte. Anzitutto la vita economica e sociale di quel popolo è dominata dalla periodicità delle variazioni di portata del Nilo: da cui la necessità di far dipendere le norme dell‟avvicendarsi delle occupazioni e dei riti religiosi da una conoscenza sicura dei periodi che riducono le inondazioni. Inoltre la conservazione del predominio sacerdotale sulla nazione e sugli stessi reggitori civili, i faraoni, è affidata a una dottrina occulta, della quale l‟astronomia è parte integrante. Pertanto il controllo sul calendario costituisce lo strumento più sicuro di dominio delle popolazioni della valle del Nilo. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 7 Cosmologia L‟Egitto ha in uso nella vita civile “l‟anno vago”. Esso è di 365 giorni. All‟anno tradizionale di 360 giorni, in uso nei tempi più antichi, vengono aggiunti i cinque giorni “epagomeni”, verosimilmente già nel quarto o quinto millennio avanti Cristo. Tuttavia, gli egiziani conoscono anche l‟anno solare o “fisso” costituito da 365 giorni e un quarto. La compresenza dei due calendari ha comportato problemi di datazione per i periodi più antichi. I sacerdoti egizi si servono di tre metodi per determinare la durata dell‟anno solare: il primo, tramite le osservazioni sull‟inizio delle inondazioni del Nilo; il secondo, basato sulla ricomparsa della stella Sirio all‟orizzonte orientale nel crepuscolo mattutino; il terzo, determinato dal passaggio del Sole per i cardini dell‟eclittica. Un particolare carattere della più tarda astronomia egiziana è il concetto dei trentasei decani (o decadi), una serie di costellazioni sorgenti a intervalli regolari, che servono a determinare il tempo durante le ore notturne. Ciò lascia supporre che l‟istituzione dei decani sia anteriore a quella dei cinque epagomeni, risultando quindi antichissima. Le stelle e i gruppi maggiori sono dedicati a divinità: Sothis (o Sirio ) a Iside, Orione a Osiride, Le Pleiadi, Le Iadi e altri astri a dei non bene identificati. Osservatori veri e propri a Dendera, a Thinis, a Menfi, a Eliopoli, attendono con regolarità a seguire il corso degli astri, costruendo le tavole del loro passaggio per l‟orizzonte. Per poter regolare i bisogni stagionali di una economia pastorale e agricola la determinazione dell'anno era di enorme importanza. Sia per la continuità delle accurate osservazioni che la precedettero, sia per la precisione con cui si stabilì la lunghezza esatta dell'anno, questa realizzazione può essere a buon diritto annoverata tra le più grandi gesta culturali della storia dell'umanità . I sacerdoti egiziani avevano già fissato un anno di 365 giorni verso il 4241 a.C. L'osservazione di due classi di fenomeni, associate al susseguirsi delle stagioni, hanno permesso una prima determinazione della lunghezza dell'anno. La prima si riferisce al percorso del Sole fra le costellazioni determinato mediante l'osservazione di stelle all'alba e al tramonto. L'altra si basa sull'osservazione della variazione dell'ombra dello gnomone. 1.4 Particolare del papiro di Wespatrashouty (Museé du Louvre, Parigi) Per la rappresentazione dei cosmo nell'antico Egitto si ricorreva alla figurazione del mitico, contrastato accoppiamento di Nut, dea dei cielo, coi fratello Geb, dio della terra. Nut, rappresentata curva su Geb steso a terra, è tenuta sollevata e distante da lui dal dio dell'aria. Spesso sul dorso arcuato di Nut compaiono le barche degli astri, e il suo corpo è cosparso o circondato da stelle. Questo dettagliato disegno si riscontra frequentemente anche su papiri del Nuovo Regno. In Cina I Cinesi raggiungono già in tempi molto antichi una concezione piuttosto elaborata dei fenomeni celesti, ma le loro conoscenze tendono a cristallizzarsi, così che altri popoli porteranno avanti la ricerca sul cosmo. Sotto la dinastia di Yao, nel secolo XXIV a.C., l‟osservazione sistematica del cielo è affidata a uomini preparati e scelti con cura, tenendo conto soprattutto dell‟acutezza di vista necessaria per tale funzione. Questa attività porta ad una prima importante classificazione delle costellazioni. La Cina risulta essere l‟unico paese che abbia istituito un vero e proprio “Tribunale astronomico”, al quale il sovrano deferisce direttamente la soluzione di importanti questioni connesse con la scienza e le sue applicazioni al bene generale. Una seconda fase nell‟opera di classificazione delle stelle risale alla dinastia Han, verso l‟anno 120 a.C. Rispetto alla sintesi di Tolomeo, che individua 48 costellazioni, gli aggruppamenti sono in generale più piccoli, giungendo a contare più di 300 costellazioni. Ad esempio, le due maggiori stelle della Lira formano la “Ricamatrice”; l„Orsa 06/02/2007 Yin e Yang, le due forze metafisiche supreme che, opposte e complementari l'una all'altra, determinano, con il loro alternarsi ciclico, l'origine dell'universo e l'equilibrio vitale Jacopo Filippo Vignola 8 Cosmologia Maggiore si identica con una “Casseruola” e anche le singole stelle dalla caratteristica configurazione prendono nomi speciali: Alfa è il “Perno del Cielo”, Beta e Y sono “Le Pietre Preziose”, Enne la “Luce Agitata”, Alfa e Beta dell‟Orsa Maggiore le “Sovrane del Cielo”. Benchè i cinesi si spingano nei loro viaggi in regioni dalle quali si possono scorgere astri non visibili sotto la latitudine di Pechino, non si hanno tracce di una loro descrizione del cielo meridionale. La loro attenzione è invece concentrata sulle variazioni di posizione del Sole, desunte piuttosto dall‟osservazione delle ombre durante il giorno, che non dall‟indagine sui gruppi di stelle. Il procedimento seguito dai Babilonesi e dagli Egizi, che ha permesso loro di progredire enormemente nel campo dell‟astronomia solare, cioè l‟osservazione del “Levare Eliaco” di alcune stelle, non viene seguito dai cinesi, i quali si attengono di preferenza alle misure meridiane delle ombre. La frequenza data alle osservazioni meridiane non si limita a quelle eseguite di giorno mediante gnomoni, ma si estende anche a osservazioni notturne. Sono i cinesi a precedere tutti gli altri popoli nell‟uso di strumenti per le osservazioni astronomiche e nautiche. Risale al XXII secolo a.C. circa l‟uso di clessidre a due recipienti sovrapposti, di tubi di puntata, di specchi concavi e convessi. Più recente è la conoscenza della polarità magnetica, con la conseguente applicazione alla costruzione della bussola e all‟uso di tale strumento per l‟orientamento delle navi. Gli astronomi cinesi del sec. XVII apprezzano le traduzioni dei testi europei fatte dai gesuiti, ma la loro scienza rimane stazionaria, senza contatti ulteriori con il movimento del pensiero occidentale e senza che le loro conoscenze costituiscano un corpo organico di dottrina. 1.5 In India La possibilità di un influsso reciproco delle antiche culture greca e indiana pare dimostrato. Si hanno tracce di derivazioni verbali fino al sec. XVII a.C., ma i rapporti diretti tra i due popoli hanno origine nel quarto secolo avanti Cristo; la mancanza di un‟astronomia australe viene determinata dalla migrazione di questo popolo da settentrione. Certamente, nelle terre più meridionali della penisola non avrebbe potuto nascere e rafforzarsi la credenza antichissima secondo la quale il Sud-Ovest è la regione dei Mani, della dea Nirrti e di Yama, dio della morte: regione ove il Sole “muore” e scende sottoterra. Molto presto si conoscono e si identificano con nomi le stelle e le costellazioni principali incontrate dalla Luna nel suo cammino mensile e che costituiscono lo Zodiaco degli Indiani: vi sono 28 gruppi (Nakshatra) di stelle percorsi dalla Luna lungo lo zodiaco; il luogo che la Luna piena occupa fra i Nakshatra definisce la stagione dell‟anno. Gli osservatori del cielo ricercano connessioni vere o supposte tra i movimenti degli astri e gli eventi terreni e umani: gli astrologi hanno un sistema di regole fisse per l‟interpretazione di ogni dato evento.Si crea inoltre un nesso tra i periodi astronomici e i cicli ideati per ragioni liturgiche e largamente applicati in ogni sistema filosofico e mistico indiano, mentre appare una tendenza a studiare le cose divine e umane da un punto di vista numerico. Altra caratteristica del pensiero indiano è il rapporto tra uso dei cicli e alternanza tra opposti, come nell‟alternanza del giorno e della notte. Giorni e notti di lunghezza differente sono formati con multipli dei giorni comuni: un mese di trenta giorni dà, diviso per metà del novilunio, il giorno e la notte dei Pitris, reggitori delle mansioni lunari: un anno di 360 giorni (Istituti di Manu) dà il giorno e la notte degli Dei, che incominciano rispettivamente all‟equinozio di primavera e a quello d‟autunno. 12.000 “anni degli dei” fanno un “kalpa” o giorno di Brahama, periodo che comprende tutta l‟evoluzione del mondo, creato ex-novo all‟inizio di ogni kalpa, e portato alla dissoluzione quando, con l‟addormentarsi di Brahama in una notte di uguale durata, il kalpa finisce. Fenomeni cosmici e astronomici stanno a separare tra di loro le varie suddivisioni di ogni kalpa, alle quali presiedono speciali divinità. Così i diluvi al termine di ognuno dei 14 „manavantra‟ nei quali il kalpa si suddivide: per ogni diluvio le differenti specie sono raccolte in un‟arca da un Manu, che diviene il reggitore del periodo successivo. Questo complesso sistema di cicli si trova descritto nel Mahabharata e nei Purana, antichi libri sacri. 06/02/2007 Shiva assume a livello cosmologico il ruolo di distruttore e, nello stesso tempo, rigeneratore del mondo, colui che dispensa la morte, ma anche la vita; nei templi a lui dedicati, la sua forza creatrice viene rappresentata sotto forma di fallo, linga, il principio maschile che, unendosi al principio femminile, yoni, determina la creazione primordiale concepita come annullamento di ogni dualismo nelle forme dell'assoluto universale. Jacopo Filippo Vignola 9 Cosmologia 2 LA GRECIA CLASSICA I primi greci ritenevano che la Terra fosse costituita da un disco circolare circondato dal grande Fiume Oceano, in perpetuo corso, e che sopra vi fosse la conca emisferica del cielo. Nelle opere di Omero appare chiaramente questo modello cosmologico ed è probabile che fosse universalmente accettato fino al VI secolo a.C. Questo modello pone immediatamente il problema di cosa accade alle stelle, al Sole e agli altri pianeti quando spariscono all'orizzonte occidentale. Anticamente i greci ritenevano che tutti i corpi celesti, dopo aver compiuto il loro percorso sulla semisfera celeste, si immergessero nei flutti di Oceano e girassero in qualche modo intorno all'orizzonte verso nord, riapparendo più tardi ad est al momento del loro sorgere. E‟ nel periodo della Grecia classica che l‟astronomia compie un importante salto qualitativo, presentandosi per la prima volta con un impianto “scientifico” e superando le motivazioni prevalentemente empiriche e la subordinazione al pensiero religioso che l‟aveva caratterizzata presso i popoli della Mesopotamia e dell‟Egitto. 2.1 Anassimandro (Mileto, 610 - 547 a.C.) Il fatto che a diverse latitudini le stelle visibili non sono le stesse, portava a distruggere la concezione di una Terra piatta. Infatti, dall'Egitto erano chiaramente visibili delle stelle che non potevano assolutamente essere viste dalla Grecia e, viceversa, alcune stelle circumpolari (ad esempio dell'Orsa Maggiore) che non tramontavano mai in Grecia, tramontavano se venivano osservate dall'Egitto. Queste osservazioni portavano necessariamente a presupporre perlomeno una qualche curvatura della superficie terrestre. Anassimandro fu il primo ad immaginare che la terra fosse curva. Egli riteneva però che la sua curvatura andasse solo nella direzione nord-sud. La Terra aveva quindi una superficie cilindrica. Questa ipotesi, oltre a spiegare la differenza di visibilità delle stelle tra la Grecia e l'Egitto, era anche adatta a conservare l'antico mito secondo cui il regno dei morti si trova molto lontano verso occidente. Tale cilindro inoltre, rimane immobile al centro del cosmo perché, trovandosi a eguale distanza tra tutte le parti non è sollecitata a muoversi da nessuna di esse. “La terra ha secondo Anassimandro la forma di un cilindro ed ha un‟altezza pari ad un terzo della larghezza. Alla nascita di questo mondo, l‟eterno generatore di caldo e freddo si è separato e da esso si è formata intorno all‟aria che circonda la terra una sfera di fuoco, come la corteccia intorno all‟albero; quest‟involucro sferico si è poi frantumato e le sue parti sono state racchiuse in vari cerchi, e così si sono formati il sole, la luna, gli astri.” (Plutarco, Stromata, citato da Teofrasto) “La Terra è sospesa e non è sostenuta da niente, ma rimane nella sua posizione perché è ad ugual distanza da tutte le parti. Quanto alla forma essa è incavata e rotonda ed è simile a una colonna di pietra; noi ci troviamo su una delle due facce e l‟altra sta dalla parte opposta. Gli astri sono un cerchio di fuoco distaccatosi dal fuoco cosmico e circondato d‟aria; ci sono però degli spiragli, delle aperture a forma di tubo, dai quali si vedono gli astri e perciò quando tali spiragli vengono ostruiti hanno luogo le eclissi. Anche la luna qualche volta è piena e qualche volta diminuisce, secondo che queste aperture sono aperte o chiuse. Il cerchio del Sole è 27 volte più grande di quello della terra e 18 volte più grande di quello della luna; più alto di tutti è il sole e più bassi i cerchi delle stelle fisse.” (Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium, I, 6, 1-7) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 10 Cosmologia 2.2 Anassimene (Mileto, 586 - 525 a.C.) Generalmente Anassimene viene collocato, insieme a Talete e ad Anassimandro, nel contesto dei "milesi", vale a dire i filosofi della città di Mileto, nella Ionia Minore: egli visse poco dopo il VI secolo a.C. e fu autore di un‟opera in prosa intitolata "Sulla natura". Anassimene pensa che il principio di tutte le cose sia l'aria, che opera a livello cosmico come a livello umano, cosicché essa dà origine e tiene in vita tanto gli uomini quanto l‟universo nel suo insieme. Per spiegare il processo di derivazione degli elementi (terra, acqua, fuoco) dall‟aria, egli fa riferimento a due processi contrari: la rarefazione e la condensazione. L‟acqua riscaldata, infatti, si trasforma in aria, e così via. In questa maniera, le trasformazioni del mondo vengono spiegate come trasformazioni dell‟aria, giacchè tutte le cose costituenti l‟universo non sono che aria in un diverso grado di densità. Anassimene è stato il primo a spiegare le differenze qualitative di tutti gli oggetti ed i fenomeni del mondo, attraverso differenze quantitative di materia. “Anassimene, figlio di Euristrato, era anche lui di Mileto. Poneva come principio l‟aria infinita, da cui si generano le cose che sono, che furono e che saranno, e gli dei e gli esseri divini, e tutte le altre cose derivano a loro volta da queste. Questo è il carattere specifico dell‟aria: quando essa è distribuita in modo assolutamente uniforme è indivisibile, ma si manifesta attraverso il freddo, il caldo, l‟umido e il movimento. Essa è sempre in movimento, e infatti, se non ci fosse il movimento, non si produrrebbero tutte le trasformazioni che hanno luogo. Per via di condensazione e di rarefazione assume diverse forme: quando si dilata fino a raggiungere un forte grado di rarefazione diventa infatti fuoco, e se invece si condensa diventa vento; addensandosi diventa nube, ad una densità ancora maggiore si trasforma in acqua e più oltre in terra; arrivata al massimo grado di condensazione diventa pietra. Così presiedono alla generazione i contrari, il caldo ed il freddo. La terra è di forma piatta ed è portata dall‟aria, allo stesso modo del sole, della luna e degli altri astri che sono tutti di natura ignea e che si sostengono sull‟aria a causa della loro forma piatta. Gli astri sono nati dalla terra, la cui umidità, sollevandosi dalla superficie terrestre e dilatandosi, ha prodotto il fuoco che levatosi in alto ha formato gli astri. Ma nella regione degli astri ci sono anche corpi di natura terrosa che ruotano assieme ad essi. Anassimene dice che gli astri non si muovono sotto la terra come gli altri suppongono, ma intorno alla terra, allo stesso modo che il berretto si avvolge attorno alla nostra testa. Il sole scompare alla nostra vista non perché passa sotto la terra, ma perché viene coperto dalle regioni più elevate di essa e anche a causa della maggior distanza da noi. Gli astri non riscaldano a causa della loro distanza.” (Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium, I, 7) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 11 Cosmologia 2.3 Parmenide (Elea, VI - V secolo a.C.) Secondo Teofrasto, fu Parmenide, seguace di Pitagora (570-597 a.C.), a ritenere che la prima volta che la Terra fosse sferica. Egli sosteneva che l'essere è immobile. Ammettiamo che si muova; una cosa è mobile quando si muove da una cosa ad un'altra; l'essere quindi si dovrebbe muovere verso qualcosa di diverso da se stesso . Ma il diverso dall'essere è il non essere , che non esiste: quindi l'essere è immobile. Tra le proprietà dell'essere Parmenide introduce anche il carattere finito di esso: infatti se fosse infinito sarebbe incompiuto e quindi mancherebbe di qualcosa; ma se manca di qualcosa vuol dire che non è ciò di cui manca. Anche la nozione di infinito quindi comporta una mescolanza contradditoria di essere e non essere . Per questo Parmenide paragona "ciò che è" (to on) ad una sfera compatta , la quale esprime nel miglior modo possibile il carattere di compiutezza e totalità che caratterizza l'essere . Ora cominciava ad essere immaginabile che le stelle e gli altri corpi celesti potevano continuare a percorrere orbite circolari sotto la Terra anche dopo il loro tramonto. [III] …e così rimane lì immobile; infatti la dominatrice Necessità lo tiene nelle strettoie del limite che tutto intorno lo cinge; perché bisogna che l'essere non sia incompiuto: è infatti non manchevole: se lo fosse mancherebbe di tutto… …Ma poiché vi è un limite estremo, è compiuto da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera di uguale forza dal centro in tutte le direzioni; che egli infatti non sia né un pò più grande né un pò più debole qui o là è necessario… [IV] (9) Conoscerai l'eterea natura e quanti astri sono nell'etere e della pura e tersa lampada del sole l'opera distruttrice, e di dove derivarono; e apprenderai l'errabondo agire della luna dal tondo occhio e la sua natura; conoscerai inoltre di dove la volta celeste che tutto circuisce nacque e come la Necessità guidandola la costrinse a osservare i limiti degli astri. (10) .......... come la terra e il sole e la luna e l'etere che tutto abbraccia e la celeste via lattea e l'olimpo estremo e la calda forza degli astri si mossero al nascere “Sulla Natura” di Parmenide d‟Elea 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 12 Cosmologia 2.4 Filolao (Crotone, 470- ? a.C.) Filolao di Crotone è un filosofo della scuola pitagorica, nato qualche decennio dopo Pitagora, verso il 470 a.C., vive sino alla fine del V. Sfugge alle persecuzioni e alla distruzione dei circoli pitagorici di Crotone e verso il 450 si rifugia in Grecia dove vive per lo più a Tebe. Nella storia del pitagorismo egli è il primo a diffondere le dottrine pitagoriche al di fuori della Grecia; è anche il primo fra i veri e propri adepti che pubblichi scritti, contravvenendo alla prescrizione del silenzio. Secondo Filolao l‟universo è una sfera e non comprende solo terra e astri, ma anche il principio formativo di tutto, l‟essenza delle cose, la volta celeste ed anche ciò che c‟è intorno. Questa concezione costituisce il più antico sistema astronomico non-geocentrico e verrà poi sviluppata dai neopitagorici nell‟età ellenistica e romana. Al centro dell‟universo è immobile un “fuoco” eterno (focolare dell‟universo, casa di Zeus, madre degli dei, vincolo, altare, misura della natura), attorno al quale si muove la Terra in orbita circolare. Sulla stessa orbita, sul fronte opposto, ruota l‟Antiterra, nascosta ai nostri occhi dalla massa della Terra stessa, che è sempre rivolta verso il Sole. La seconda orbita circolare è occupata dalla Luna, e la terza dal Sole. “I pitagorici dicono che nel centro dell‟universo c‟è il fuoco a cui ruota intorno l‟Antiterra, chiamata così perché opposta alla Terra. L‟Antiterra gira intorno al centro seguendo la Terra, ma non è veduta da noi a causa dell‟interposizione continua della mole terrestre (...) (Aetius, Philolaus) “I filosofi italici detti "'pitagorici'' sostengono la teoria del fuoco nel mezzo, e che la terra è un astro che, muovendosi in circolo intorno al centro, produce la notte e il giorno; suppongono anche un‟altra terra opposta a questa, l‟antiterra. Essi però cercano di adattare i fenomeni alle loro teorie e non il contrario. Ritengono che sia il fuoco a dover stare nel centro piuttosto che la terra perché quello è il luogo più nobile, dove deve essere custodita la parte più importante di tutto”. (Aristotele, De Caelo) “Alcuni pitagorici, fra cui Filolao, dicono che la luna è costituita da terra e per questo è abitata da animali e piante come la nostra terra; sono però più grandi e più belli; dicono infatti che gli animali che si trovano su di essa sono quindici volte più grandi e non espellono escrementi, e che il giorno è altrettante volte più lungo” (Aetius, Philolaus) Il Sole non era un corpo che emetteva luce da sé. Infatti il fuoco centrale avrebbe dovuto essere l'unico focolare di attività presente nell'universo. Il Sole era semplicemente un corpo vitreo e poroso che assorbiva la luce dal fuoco centrale e la rendeva visibile a noi. “Dice Filolao Pitagorico che il sole è di natura vitrea e porosa, assorbe il riflesso del fuoco che è nel cosmo e ne trasmette a noi la luce ed il calore”. (Aetius, Philolaus) Le successive orbite sono occupate dai 5 pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno), a cui segue l‟Olimpo ed un secondo fuoco eterno (fuoco purissimo, etere, anima, Dio), che funge da involucro dell‟universo. La parte più alta, quella dell‟involucro, in cui risiedono gli elementi nella loro purezza, la chiama ''olimpo''; quella sotto il giro dell‟olimpo, in cui sono disposti i cinque pianeti insieme col sole e la luna, la chiama ''cosmo''; infine la parte sublunare e circumterrestre, in cui si generano le cose mutabili, la chiama ''cielo”. (Aetius, Philolaus) Nel sistema di Filolao la terra impiega 24 ore per girare intorno al fuoco centrale; la luna impiega un mese sinodico, cioè 29 giorni e mezzo. E‟ nota la particolarità della luna di rivolgere sempre la stessa faccia verso l‟interno dell‟orbita, ed è forse da essa che Filolao trae il convincimento che anche la terra e l‟antiterra volgano sempre la stessa faccia al fuoco centrale. Inoltre era stato osservato che il Sole, la Luna ed i cinque pianeti si muovono di moto proprio da ponente a levante sul piano dello zodiaco, percorrendo successivamente le costellazioni zodiacali; con Filolao anche la terra diviene partecipe del moto rotatorio da occidente ad oriente intorno al fuoco centrale, secondo il circolo obliquo in modo simile alla Luna e al Sole. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 13 Cosmologia 2.5 Platone (Atene, 428-347 a.C.) Nell‟ultimo periodo del filosofare platonico, troviamo il tentativo di sciogliere il rigido dualismo fra mondo delle idee e il mondo delle cose, alla luce di una considerazione più unitaria della realtà. Il risultato di questo processo è il Timeo, in cui viene approfondito proprio il problema cosmologico e dell‟origine dell‟universo. [ Le citazioni in corsivo a seguire provengono tutte dal “Timeo” di Platone ] Per Platone due sono le realtà: il mondo delle idee, eterno, immutabile ed apprendibile con la sola intelligenza; e quello delle cose sensibili, che nasce, muore, si corrompe e si percepisce tramite l‟opinione. ''quello che sempre è e non ha nascimento, e quello che nasce sempre e mai non è. L‟uno è apprensibile dall‟intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l‟altro invece è opinabile dall‟opinione mediante la sensazione irrazionale, perché nasce, muore, e non esiste mai veramente”. Nel Timeo s‟introduce un terzo termine mediatore, il Demiurgo. Questa figura, anche chiamata “divino Artefice”, dotata d‟intelligenza e volontà, è posta in una posizione intermedia tra le idee e le cose. “Ma è difficile trovare il fattore e padre di questo universo, e, trovatolo, è impossibile indicarlo a tutti.” All‟inizio il mondo era solo un caos informe o una materia spaziale priva di vita, che Platone chiama Chora o Necessità. Il Demiurgo, essendo buono ed amante del Bene, ha voluto ordinare le cose del mondo ad immagine e somiglianza delle idee, comunicando loro una parte di perfezione dei modelli iperuranici (bisogna notare che il Demiurgo non crea dal nulla, ma plasma una materia preesistente). “Dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant‟era possibile, nessuna cattiva, prese dunque quanto c‟era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all‟ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello (...) componendo l‟intelligenza dell‟anima e l‟anima del corpo, fabbricò l‟universo, affinché l‟opera da lui compiuta fosse la più bella secondo natura e la più buona che si potesse (...) Quello che è nato deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma niente potrebbe essere visibile, separato dal fuoco, né tangibile senza solidità, né solido senza terra”. Per i suoi nobili scopi, il Demiurgo ha fornito le cose di un‟Anima del mondo, che vivifica ed ordina la materia. “L‟anima poi Dio non la fece dopo il corpo come noi che ora prendiamo a parlarne in ultimo, perché, dopo averli congiunti, non avrebbe lasciato che il più vecchio fosse governato dal più giovane. Ma noi che molto dipendiamo dalla sorte del caso, così anche a caso parliamo. Egli invece formò l‟anima anteriore e più antica del corpo per generazione e per virtù, in quanto che essa doveva governare il corpo, e questo obbedirle, e la formò di tali elementi ed in tal guisa”. Ha inoltre generato il tempo, come “immagine mobile dell‟eternità”. Il tempo è misurato dal movimento degli astri, attraverso i quali il Demiurgo forma e governa la scala gerarchica degli enti (da questo deduciamo l‟importanza che aveva l‟astronomia agli occhi di Platone). “Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché, generati insieme, anche insieme si dissolvano, se mai allora avvenga alcuna dissoluzione; e fu fatto secondo il modello dell‟eterna natura affinché le sia simile quanto più possa”. “Per le cose mobili dell‟universo crea il tempo, che consiste nella suddivisione in giorno, notte, mesi, anni. Tutte queste parti di tempo non hanno senso quando si riferisce all‟universo che è eterno, per cui non si parlerà né di vecchio né di giovane”. “...affinché il tempo fosse creato, furono fatti il Sole e la Luna e altri cinque astri, che si dicono pianeti, per distinguere e guardare i numeri del tempo”. “E tutto il resto fino alla generazione del tempo era stato compiuto a somiglianza del suo modello: ma il mondo gli era ancora dissimile in quanto che non ancora comprendeva dentro di sé tutti gli animali, che poi vi furono generati. Una volta creato il mondo decise di metterne quattro tipi di specie: la specie celeste degli dei la fece di fuoco, perché fosse splendida e bella da vedere. Per farla più simile all‟universo la fece rotonda”. Infine, le imperfezioni ed i mali del nostro mondo sono dovuti alla resistenza della materia all‟opera del Demiurgo. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 14 Cosmologia 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 15 Cosmologia 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 16 Cosmologia 2.6 Eudosso (Cnido, 408-355 a.C.) I greci, non possedendo nessuna teoria fisica sul perché i pianeti si muovono in orbite, si diedero da fare a immaginare modelli nei quali i corpi celesti si dovevano necessariamente muovere secondo orbite circolari. In questo modo veniva colmata la carenza di una teoria fisica e nello stesso tempo andavano d'accordo con l'idea della perfetta simmetria della sfera enunciata da Platone. Senza una teoria così semplice e geometrica, l'universo sarebbe apparso inesplicabilmente privo di leggi. Eudosso di Cnido fu il primo a elaborare matematicamente un sistema di sfere celesti. Il sistema delle sfere cristalline non era così semplice come comunemente si crede. Ci immaginiamo infatti, un semplice sistema di sfere concentriche ordinate nel seguente modo (partendo dal centro): sfera della Luna, sfera di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno e sfera delle stelle fisse. Secondo Eudosso invece, il modello era molto più complesso: soltanto le stelle fisse possedevano un'unica sfera. La Luna e il Sole, ad esempio, possedevano ben tre sfere ciascuno. Nel disegno a fianco, si vede un corpo celeste che si trova inserito in un sistema di tre sfere legate tra loro da vincoli di rotazione. Infatti la sfera interna (rossa), sulla quale è fissato il corpo celeste, ruota su se stessa attorno un asse vincolato alla seconda sfera (blu), la quale a sua volta ha l'asse di rotazione vincolato alla terza sfera (verde), più esterna. Solo in questo modo si potevano spiegare (in parte) i complessi movimenti dei pianeti. Con questo modello Eudosso, non solo spiegava i moti retrogradi dei pianeti, ma anche l'inclinazione dell'orbita dei pianeti rispetto a quella terrestre. Man mano che si venivano a scoprire maggiori dettagli sul moto dei pianeti, divenne necessario aggiungere altre sfere. Aristotele accettò in pieno la sua teoria, ma commise il grave errore di attribuire una realtà fisica alle sfere di Eudosso (cosa che egli non aveva mai pensato). Tale errore costrinse Aristotele a cercare di combinare i gruppi separati di sfere in un unico complicatissimo sistema meccanico di sfere concentriche legate le une alle altre. Per riuscire a dar spiegazione ai fatti, il suo sistema arrivò a prevedere un totale di oltre 55 sfere! 2.7 Aristotele (Stagira, 384-322 a.C.) Aristotele nasce a Stagira, una colonia greca nei pressi dell‟attuale Monte Athos. Allievo di Platone ad Atene, nel 342 diviene tutore del giovane principe Alessandro di Macedonia e rimane in Macedonia fino al 336. Torna in seguito ad Atene per intraprendere la professione di insegnante pubblico. Gli scritti di Aristotele spaziano su ogni regione della conoscenza. La maggior parte delle sue opere è composta durante il suo secondo soggiorno ateniese nei dodici anni che precedettero la sua morte. Perfezione e finitezza del cosmo Aristotele afferma che l‟universo fisico è perfetto, unico e finito. La perfezione del mondo è dimostrata da Aristotele con argomenti aprioristici (privi di qualsiasi riferimento all‟esperienza): invocando la dottrina pitagorica sulla perfezione del numero tre, afferma che il mondo, possedendo tutte e tre le dimensioni possibili (altezza, larghezza, profondità), è perfetto perché non manca di nulla. Se non manca di nulla è anche finito ed unico. L‟infinito infatti, è ciò che manca di qualcosa e a cui può essere sempre aggiunto qualcos‟altro. Ogni cosa esiste in uno spazio, con un centro, un alto, un basso, un limite. Nell‟infinito non è possibile determinare il centro, né l‟alto, né il basso, né i confini. “… e possiamo concludere che non c‟è attualmente, non c‟è mai stata, né ci potrebbe essere una pluralità di cieli. Ma questo cielo è unico, solo e completo” (De Coelo) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 17 Cosmologia Negazione del vuoto Per Aristotele, lo spazio è un “luogo”, ovvero quella limitazione di superficie che contiene un determinato corpo. Non esiste luogo, quindi spazio, in assenza di corpi materiali. Poiché tutti i corpi sono contenuti all‟interno dell‟universo fisico, al di là dell‟universo non può esserci alcuno spazio vuoto. Né può esistere una parte vuota all‟interno del tutto. “È chiaro inoltre che non c'è spazio, né vuoto, né tempo al di là del cielo ; poiché in ogni spazio c'è la possibilità della presenza di un corpo, e il vuoto si definisce come ciò che, pur non contenendo al momento alcun corpo, può contenerlo... Ma si è dimostrato che fuori del cielo non c'è né può venire ad esserci un corpo. (...)” (De coelo) Eternità del mondo Come totalità perfetta e finita, il cosmo è anche eterno. Questo significa che esso non ha avuto inizio né avrà mai fine. Ecco perché Aristotele, al contrario di Platone, non parla di cosmogonia. Insieme al mondo sono eterne anche tutte le forme sostanziali della materia, ovvero le specie animali, tra cui quella umana. Ma il tempo, inteso come misura del divenire, presuppone una mente che effettui la misura. Il tempo può essere colto quindi solo da quelle sostanze che possiedono un‟anima. Aristotele distingue quindi due differenti eternità: 1. l‟eternità del mondo, colta dall‟anima degli animali e intesa come qualcosa che si prolunga infinitamente nel tempo 2. l‟eternità degli astri (sostanze immobili), concepiti come entità fuori dal tempo, poiché prive di anima. “Da quanto è stato detto è chiaro perché la materia prima di tutto [la materia celeste] è eterna, non conosce né crescita, né diminuzione, non è soggetta ad invecchiamento, alterazione o altri cambiamenti. E come il discorso che abbiamo fatto testimonia in favore dei fenomeni, così i fenomeni depongono in favore del nostro discorso. Tutti gli uomini hanno qualche concetto degli dèi, e tutti quanti credono nelle divinità, siano essi barbari o Elleni, assegnano al divino la regione superiore, supponendo, ovviamente, che ciò che è immortale si congiunga strettamente a ciò che lo è del pari, e non potrebbe essere diversamente. Se dunque esiste qualcosa di divino, quello che abbiamo detto sulla sostanza corporea primaria [che è senza peso, indistruttibile, inalterabile ecc.] è ben detto. La verità di ciò risulta dall'evidenza sensibile, almeno a sufficienza per riscuotere l'assenso della fiducia umana; poiché per tutte le epoche passate, secondo le testimonianze trasmesse da una generazione all'altra, non troviamo traccia di cambiamento nel cielo esterno, sia nel complesso che in ciascuna delle parti che lo compongono. Sembra pure che il nome di questo corpo primo sia stato trasmesso fino ad ora dagli antichi. (...)” (De coelo) “Essi, credendo che il corpo primario fosse una sostanza differente dalla terra, dal fuoco, dall'aria e dall'acqua, diedero alla regione superiore il nome etere scegliendo questo titolo dal fatto che essa corre sempre ed eternamente.) (...)” (De coelo) I quattro movimenti Aristotele distingue quattro tipi fondamentali di movimento: 1. sostanziale, cioè la generazione e la corruzione 2. qualitativo, cioè il mutamento e l‟alterazione 3. quantitativo, cioè l‟aumento o la diminuzione 4. locale, ovvero la traslazione La traslazione dei corpi può avvenire a sua volta in tre modi: a. dall‟alto verso il centro del mondo b. dal centro verso l‟alto c. intorno al centro, o circolare Distingue inoltre tra movimenti naturali, rettilinei, per cui gli elementi conservano o raggiungono il loro stato di natura (terra, acqua, aria, fuoco), e movimenti violenti, dovuti a costrizioni, esercitate all‟esterno dei corpi, che li allontanano dalla loro direzione naturale. Aristotele ipotizza inoltre che qualsiasi oggetto lasciato a sé stesso, inizi spontaneamente a muoversi verso il suo luogo naturale e in breve tempo raggiunga una velocità costante su una direzione rettilinea (associa quindi alla caduta dei gravi un moto rettilineo uniforme). Deduce anche che il peso di un oggetto contribuisce a determinare la velocità di caduta e che questa deve essere proporzionale al peso dell‟oggetto e inversamente proporzionale al rapporto tra peso e resistenza. “lunga citazione dal De Motu, vedere versione interattiva della tesina” 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 18 Cosmologia Le sfere concentriche Aristotele, a differenza di Platone, risente di influenze pitagoriche nella sua cosmologia. In particolare egli, considerando il cerchio e la sfera come figure geometriche perfette, le pone a fondamento della struttura del mondo. Egli dedusse la sfericità della Terra da osservazioni empiriche. “La sua forma [della 'Terra] dev'essere sferica. Per capire quest'affermazione, dobbiamo immaginare la Terra in via di generazione.) (...) È evidente che se le particelle si muovono da tutte le direzioni in modo simile verso un solo punto, il centro, la massa che ne risulta dev'essere simile da tutti i lati ; poiché se tutt'intorno si aggiunge una quantità eguale, l'estremità deve trovarsi a distanza costante dal centro. La figura che così si ottiene è una sfera.” (De coelo) Anche la sfericità della Luna e degli altri pianeti è ricavata dalla diretta osservazione “la Luna che è sferica ci è dimostrato dai fenomeni che noi percepiamo con la vista, altrimenti non assumerebbe al crescere e al calare una forma per lo più lunata e una sola volta a forma di mezza luna, poiché se uno degli astri ha questa forma, e chiaro che anche gli altri saranno sferici”. “Ciò che è continuo ad un corpo sferico è di necessità anch‟esso tale, e per questo motivo il cielo sarà considerato sferico”. (De Coelo) La concezione geocentrica del cosmo è tratta invece da una deduzione logica. “in un corpo che si muove in circolo vi è di necessità una parte che rimane ferma, ed è quella che si trova al centro; mentre nel corpo circolare non c‟è nessuna parte che possa rimanere ferma, né in assoluto, né al centro”. (De Coelo) Era così condotto a considerare il cosmo come una serie di sfere concentriche con la Terra immobile nel centro (vedi disegno). Le orbite planetarie Per spiegare i complessi movimenti dei sette pianeti intorno alla Terra, Aristotele accettò il modello cosmologico di Eudosso, aggiungendo però numerose altre sfere (47 o 55) con assi differenti, così che l‟irregolare moto dei pianeti fosse determinato dal concorrere della rotazione di più sfere non coassiali. La concezione cosmologica Riassumendo, il cosmo aristotelico dev‟essere unico, perfetto, finito, eterno e sferico. I corpi che lo compongono devono inoltre essere limitati ai tre tipi di movimento locale. Aristotele divide allora il cosmo in due parti: a. il mondo sublunare, composto dalle quattro sfere dei luoghi naturali (terra, acqua, aria, fuoco) in cui i corpi si muovono di movimenti naturali rettilinei di ascesa e discesa verso i rispettivi luoghi. b. il mondo dei corpi celesti, ovviamente perfetti e dotati quindi di moto circolare uniforme, eterno ed immutabile. In questo mondo non si possono produrre moti violenti. Si susseguono ordinatamente le otto orbite circolari di: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, stelle fisse (etere). Al di là delle quali non c‟è nulla. Democrito vs Aristotele L'importanza storico-culturale della Fisica aristotelica è notevole. Da essa emerge infatti una immagine cosmologica che influenzerà per secoli la scienza occidentale. La vittoria di Aristotele e il trionfo della sua “mentalità” hanno tuttavia, come storico prezzo: 1) la sconfitta di Democrito, cioè del maggior sistema scientifico greco; 2) il ritardo della nascita della scienza. La contrapposizione fra Democrito e Aristotele, o meglio fra Democrito e la linea platonico-aristotelica, è netta e riguarda i punti essenziali della fisica. Per esempio, Democrito crede nel movimento degli atomi nel vuoto, arrivando ad intuire il basilare principio d'inerzia; Aristotele porta contro quest'ultimo una serie di argomenti da cui dovrà districarsi a fatica la dinamica scientifica moderna. Democrito crede che il movimento sia una proprietà strutturale della materia, Aristotele lo fa dipendere da qualcosa che esiste fuori della materia. Democrito, sulla scia dei naturalisti precedenti, da Talete ad Anassagora, ritiene che cielo e terra siano costituiti dalla stessa materia, proponendo quindi l'idea di un cosmo unitario ed omogeneo; Aristotele, rifacendosi ai Pitagorici e a Platone, 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 19 Cosmologia nonché alla mentalità comune, torna alla bipartizione gerarchica fra mondo celeste e mondo sublunare, immaginandoli costituiti di sostanze diverse, infrangendo così quell'unità dell'universo che in seguito la fisica moderna dovrà di nuovo ricostruire. Democrito crede in un universo “aperto”, costituito da una molteplicità di mondi, Aristotele crede ad un universo “chiuso”, limitato ad un solo mondo. Democrito cerca di ridurre le differenze qualitative dei fenomeni a differenze quantitative, ponendo le basi per una matematizzazione della fisica. Aristotele mette da parte questo tentativo, arenandosi in una fisica qualitativa che elimina il fondamento teorico di un'applicazione della matematica alla fisica (e su questo punto Aristotele compie un grave passo indietro anche rispetto a Platone). Tutte queste differenze si originano o confluiscono poi in quella che è la maggior diversità metodologico-filosofica dei due autori: Democrito si propone di spiegare il mondo mediante le sole cause naturali e meccaniche, Aristotele fa del ricorso alle cause finali una delle caratteristiche chiave della sua indagine fisica, basata sul principio che “la natura non fa niente senza scopo” e “tende sempre all'ottimo”. Come si può notare da questi esempi, alcuni dei grandi motivi che distanziano Aristotele da Democrito sono gli stessi che separano Aristotele dalla scienza moderna, che infatti, riprendendo e sviluppando molte intuizioni democritee, dovrà ingaggiare contro Aristotele, o meglio contro i suoi dogmatici seguaci, una lotta secolare. 3 L’ELLENISMO Con la nascita della scuola di Alessandria d‟Egitto, nel III secolo a.C., la tradizione filosofica e scientifica greca raggiunge i suoi risultati più alti. Tra le scienze più rappresentative della cultura ellenistica vi è l‟astronomia. Gli studi compiuti dagli scienziati della scuola, oltre a portare ad un significativo incremento delle conoscenze sul cielo e sugli astri, risultati ottenuti grazie allo sviluppo di strumenti e di metodi di osservazione tipici della scienza sperimentale, forniscono sistemi di idee e cosmologie che saranno considerati validi fin oltre la rivoluzione astronomica del Cinquecento. 3.1 Eratostene (Cirene, 273 circa - 192 a.C.) Eratostene di Cirene risiede e studia ad Atene, in seguito diventa direttore della biblioteca di Alessandria. Il suo risultato maggiore fu in campo geografico; un campo cui le conquiste di Alessandro Magno avevano offerto potente stimolo. Eratostene rivide cioè l'atlante del mondo disegnato da Diccarco di Messana per la propria Vita della Grecia, e, unendo le conoscenze matematiche all'osservazione dei raggi solari (quei raggi che colpiscono parti diverse della terra secondo angoli diversi), arrivò a determinare la circonferenza del globo con un alto grado di precisione. Egli fu il primo geografo sistematico, e la sua Geografia contribuì più di qualunque altro studio singolo a un'accurata delineazione della superficie terrestre. La misura della Terra Dai suoi studi era venuto a conoscenza del fatto che a Syene (l'attuale Assuan), a mezzo giorno del solstizio d'estate, il Sole si trovava proprio sullo zenith, tanto che il fondo di un pozzo profondo ne veniva illuminato, perciò un bastone piantato verticalmente in un terreno perfettamente pianeggiante non avrebbe proiettato alcuna ombra in terra. Invece ad Alessandria questo non succedeva mai, gli obelischi proiettavano comunque la loro ombra sul terreno. Ciò era già una dimostrazione pratica della rotondità della Terra. L'idea che la Terra dovesse avere una forma sferica era comunque già accettata. Questa convinzione scaturiva dall'osservazione delle eclissi di Luna durante le quali la forma dell'ombra terrestre appariva sempre come un arco di circonferenza. Eratostene perciò, per procedere con i suoi calcoli, ipotizzò la Terra perfettamente sferica ed il Sole sufficientemente distante da considerare paralleli i raggi che la investono. In oltre assunse che Alessandria e Syene si trovassero sullo stesso meridiano. Durante il solstizio d'estate calcolò l'angolo di elevazione del Sole ad Alessandria, misurando l'ombra proiettata proprio da un bastone piantato in terra, ricavando approssimativamente un valore di 1/50 di circonferenza (cioè 7° 12'). La distanza tra le due città, basata sui trasferimenti delle carovane, era stimata in 5.000 stadia (circa 800 Km, tuttavia il valore preciso dello stadium, usato a quell'epoca ad Alessandria, non è attualmente conosciuto). Perciò la circonferenza della Terra doveva essere di 50 * 5.000 = 250.000 stadia (circa 40.000 Km, valore straordinariamente vicino a quello ottenuto con metodi moderni: 40.075 Km). Una volta stabilito un valore per essa, il raggio terrestre si ricavava dalla nota relazione che lega la circonferenza ed il suo raggio. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 20 Cosmologia La figura mostra il procedimento seguito da Eratostene per calcolare la dimensione del raggio della Terra. In termini matematici, facendo riferimento alla figura, abbiamo: dove h :lunghezza del palo l :lunghezza dell'ombra proiettata dal palo sul terreno α :angolo di elevazione del Sole Poiché dove D:distanza tra Alessandria (punto A) e Syene (punto S), aventi per ipotesi lo stesso meridiano R:raggio della Terra, per ipotesi una sfera perfetta si ottiene Assunzioni del metodo Il metodo elaborato da Eratostene si basa su alcune assunzioni (alcune già enunciate), senza le quali sarebbe necessario introdurre delle correzioni alla procedura di calcolo affinché sia ancora valido: 1. la Terra è perfettamente sferica 2. il Sole è tanto distante da considerare paralleli i raggi su Alessandria e su Syene 3. le due città si trovano sullo stesso meridiano (in realtà esse differiscono in longitudine di 3°) 4. Syene è situata esattamente sul Tropico del Cancro (mentre effettivamente è a 55Km a Nord di esso) 5. la differenza angolare misurata ad Alessandria è di 7° 12' (mentre risulta di 7° 5') Le misurazione moderne La prima misurazione moderna fu tentata nel 1606 da W. Snell con una triangolazione nella pianura olandese. Dopo vari tentativi basati su distanze insufficienti, finalmente, finalmente nel 1669 l'Accademia di Francia organizzò la misura su una distanza di 112Km, che fornì il primo valore attendibile del grado di meridiano, che, tradotto in metri, fu di 111Km e 715m (con un errore del 0,54%). 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 21 Cosmologia 3.2 Aristarco (Alessandria d’Egitto, 310 - 230 circa a. C.) Aristarco di Samo insegnò ad Alessandria d‟Egitto dopo Euclide. Egli sviluppò l‟idea di Filolao, giungendo per primo all‟elaborazione della teoria eliocentrica. La Terra e tutti i pianeti ruotano in orbite circolari attorno a un fuoco centrale immobile, identificato con il Sole. Afferma inoltre che la terra ruota su se stessa. Dobbiamo ad Aristarco inoltre, il primo tentativo scientifico di determinare le distanze del Sole e della Luna dalla Terra e le loro dimensioni relative. Nel trattato “Sulla grandezza e sulla distanza del Sole e della Luna” (circa 260 a.C.), basato sull'ipotesi di un universo geocentrico, Aristarco asserisce che il Sole dista dalla Terra circa 19 volte la distanza Luna Terra. Egli sviluppa un ragionamento che gli permetterebbe di calcolare le dimensioni dei corpi celesti: quando la Luna presenta il primo e l'ultimo quarto, ossia quando vediamo solo metà della sua faccia illuminata dal Sole, l‟asse visivo che va dall‟osservatore terrestre al centro del disco lunare deve intersecare ad angolo retto l‟asse di illuminazione che va dal centro del disco solare al centro del disco lunare. Conoscendo le distanze relative del Sole e della Luna dall‟osservatore, si possono determinare le rispettive dimensioni di questi corpi, supponendo conosciute le dimensioni relative dei loro dischi quali appaiono ad un osservatore terrestre. In realtà la distanza Sole-Terra è quasi 400 volte superiore alla distanza Luna-Terra. Pur essendo i risultati di Aristarco distanti rispetto a quelli attuali, sono comunque migliori di quelli dei suoi predecessori. Inoltre il suo metodo è irreprensibile nella procedura ed il risultato è viziato da un errore di osservazione consistente nel misurare l‟angolo Luna - Terra - Sole in 87 gradi (mentre in realtà è di circa 89 gradi). Per giungere ad una valutazione reale della distanza del Sole e della Luna occorre la misura del raggio della Terra. Questo calcolo è dovuto ad Eratostene, contemporaneo di Aristarco. Il ragionamento matematico di Aristarco Indicati con S,T,L rispettivamente Sole, Terra, Luna, quando la Luna presenta il primo o l’ultimo quarto, l’angolo compreso tra le visuali del Sole e della Luna risulta uguale ad 87¡ circa, cioè LTS~87¡. Posti LT ed ST rispettivamente la distanza Luna-Terra e Sole-Terra, sapendo che sen3¡~1/19, Aristarco conclude che LT/ST~1/19. Avendo determinato il rapporto LT/ST, Aristarco sostiene che le grandezze della Luna e del Sole stanno nello stesso rapporto. Ciò deriva dal fatto che Sole e Luna hanno grandezze apparenti quasi identiche, ossia sottendono lo stesso angolo visti da un osservatore della Terra. Posto quindi Rl il raggio della Luna ed Rs quello del Sole, risulta Rl/Rs=1/19. Sulla base di questo rapporto, che esprime in particolare la grandezza del Sole rispetto a quella della Terra, Aristarco determina la grandezza della Luna rispetto a quella della Terra. In particolare ottiene l’approssimazione Rl=20/57Rt. Il calcolo matematico sviluppato allo scopo si basa sulla figura 2, che costituisce un modello geometrico di un’eclissi lunare. La figura 2 si disegna tracciando la tangente alle circonferenze di centro S e T (centro del Sole e della Terra) e ponendo A e B i rispettivi punti di contatto; su tale tangente si determina il punto C tale che LC sia parallelo a TB (L è il centro della Luna). Si tracciano poi EB e DC tali che siano paralleli alla retta passante per S,T,L. Dalla conseguente similitudine dei triangoli EAB e DBC, segue la proposizione DB/EA=DC/EB. Avendo Aristarco a disposizione il dato sperimentale secondo cui l’ampiezza dell’ombra proiettata dalla Terra alla distanza della Luna è 2 volte la grandezza della Luna, secondo la figura 2 risulta LC+2Rl. Sfruttando questa ultima uguaglianza e tenendo presente che i quadrilateri EBTS e DCLT sono parallelogrammi, la precedente proporzione (DB/EA=DC/EB) si trasforma nella seguente (Tr-2Rl)/(Rs-Rt)=LT/ST. Sapendo che LT/ST~1/19 ed Rs~19Rl, si ricava l’approssimazione Rl~20/57Rt. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 22 Cosmologia 3.3 Apollonio (Perga, seconda metà del III secolo a. C.) Apollonio di Perga visse dal 262 al 190 a.C. circa. Era noto nell‟antichità come “il grande geometra”. Ebbe una grande influenza sullo sviluppo della matematica, specialmente per la sua opera più famosa “le coniche” in cui introdusse termini matematici quali ellisse, parabola, iperbole, che continuano ad essere usati. Ma ad Apollonio è anche attribuito il merito di avere fatto conseguire notevoli progressi all‟astronomia matematica. Tolomeo dice nell‟Almagesto che Apollonio introdusse le costruzioni geometriche degli epicicli e degli eccentri per spiegare le anomalie. Secondo la terminologia introdotta dai matematici greci, si usavano le parole anomalia o anche inegualità per indicare qualunque irregolarità nei moti dei corpi celesti, rispetto al consacrato moto angolare uniforme e circolare. La spiegazione di Apollonio di tali anomalie è la seguente: L'orbita dei pianeti non è lineare ma è data dal moto in longitudine (ovvero il moto sul deferente, la circonferenza per la quale passano i centri di tutti gli epicicli) dell'epiciclo (cioè la circonferenza sulla quale si muove il pianeta di un moto detto in anomalia). Il centro dell'epiciclo si muove intorno alla Terra (lungo il deferente) nel periodo in cui il pianeta percorre l'intero cielo (anno sidereo). Si traccia una semiretta con origine dalla Terra (T) tale che intersechi l'epiciclo nei punti a e g, in modo che 1/2 ag sia rispetto a Ta nello stesso rapporto in cui si trovano tra di loro le due velocità lineari del centro dell'epiciclo e dell'astro sull'epiciclo. Quando il pianeta raggiunge il punto a le due velocità angolari viste da T saranno per breve tempo uguali ed opposte, e per questa ragione il pianeta diviene stazionario. Perciò il moto, per questa differenza di velocità, nell'arco di circonferenza da a a b (punto simmetrico di a rispetto alla retta per p1, in cui il pianeta risulta di nuovo stazionario), diviene retrogrado.Per mezzo della teoria degli epicicli è possibile definire anche il moto di un corpo, quale il Sole o la Luna, che si muove con velocità variabile ma senza mai divenire stazionario o retrogrado. In questo caso la direzione del moto sull'epiciclo deve essere opposta rispetto a quella sul deferente. 3.4 r : Ta = Ve : Vp 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 23 Cosmologia Ipparco (Rodi, circa 190 - 120 a.C.) Ipparco, nonostante abbia contribuito a far abbandonare la teoria eliocentrica di Aristarco, è considerato il più grande astronomo dell'antichità. Nacque a Nicea di Bitinia e visse per la maggior parte della sua vita a Rodi. Trascorse qualche tempo anche ad Alessandria d'Egitto. Le sue opere, che non sono giunte fino a noi, sono state tramandate da Tolomeo, suo grande ammiratore, che visse tre secoli dopo. Fra i suoi notevolissimi contributi all'astronomia sono da evidenziare i confronti sistematici e critici di antiche osservazioni con quelle da lui eseguite al fine di scoprire variazioni di piccole entità. Infatti Ipparco era uno studioso scrupolosissimo e inventò anche degli strumenti appositi per l'osservazione astronomica (come l'astrolabio e la diòttra). Riuscì a compilare un famoso catalogo delle stelle fisse, circa ottocentocinquanta, fornendo per ciascuna di esse la latitudine, la longintudine e lo splendore. Al fine di perfezionare i suoi calcoli astronomici, gettò le basi di quel ramo della geometria che più tardi si chiamerà trigonometria. Scopre la precessione degli equinozi, osservando lo spostamento delle stelle nel tempo e confrontando la posizione di circa 1.000 stelle da lui studiate con le osservazioni fatte da altri studiosi 150 anni prima. Egli dimostra che in un determinato tempo si verificano degli spostamenti delle distanze tra le stelle da punti fissi determinati, spostamenti spiegabili soltanto con la rotazione dell‟asse della Terra in direzione dell‟apparente moto diurno delle stelle. In conseguenza di ciò gli equinozi cadono ogni anno con un lieve anticipo. Egli sviluppa una propria teoria sul moto apparente dei pianeti basato sul movimento eccentrico: i pianeti disegnerebbero delle orbite circolari attorno alla Terra il cui centro non coinciderebbe con quello della Terra; questo secondo centro può essere rappresentato come se si muovesse in un cerchio. Gli studi accurati dei moti del Sole e della Luna gli permisero di determinare la lunghezza dell'anno solare in 365 giorni e 6 ore e a predire le eclissi con maggiore precisione di altri. Applicando un metodo fondato sull'osservazione di eclissi totali di Luna cercò di determinare la distanza sia della Luna che del Sole. Per la Luna ottenne un valore sovrastimato di appena il 7%, mentre per il Sole concluse che la distanza doveva essere pari a 1100 volte il raggio terrestre, mentre in realtà è 23500 volte. Nonostante questo grossolano errore Ipparco poteva comunque concludere che il globo del Sole doveva essere 5 volte più grande della Terra: affermazione rivoluzionaria se si tiene conto che al Sole, in genere, venivano attribuite le dimensioni del Peloponneso. Va tenuto presente che la misura risulta di notevole difficoltà a causa della piccolezza degli angoli in gioco, tanto che ancora all'inizio del 1600 i risultati di questa misura erano ancora piuttosto scarsi. Solo durante il 1700, usando metodi indiretti, si riuscì ad ottenere una misura precisa della distanza. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 24 Cosmologia 3.5 Tolomeo (Alessandria d’Egitto, 90 – 168 d. C.) Claudio Tolomeo elaborò la più compiuta sintesi astronomica e geografica e svolge le più notevoli ricerche sperimentali di ottica dell‟antichità. Formulò la regola della proporzionalità degli angoli di incidenza e di rifrazione (approssimativamente vera per gli angoli piccoli) e applicandola intuì che la luce di una stella, entrando nell‟atmosfera, viene deviata o rifratta in modo da apparire più vicina allo zenith di quanto lo sia realmente. L’Almagesto Scrisse un‟opera di enorme importanza scientifica che più tardi sarà riconosciuta come Almagesto. Questo nome deriva dall‟espressione greca “Megalé Mathematikè Syntaxis” cioè “Grande sintassi matematica”, usata anche nella forma superlativa “magisté syntaxis”, da cui la traduzione araba “Al-Magiste”, che divenne Almagestum in latino medioevale. Non si può sapere esattamente quale parte dell‟opera sia dovuta al merito personale di Tolomeo e quanto invece debba essere ascritto a quello dei suoi predecessori, come Ipparco, cosa che l‟autore stesso a volte fa intendere. E‟ probabile che anche alla teoria matematica planetaria egli apporti solamente gli ultimi perfezionamenti. Nell‟Almagesto Tolomeo presenta matematicamente le orbite apparenti dei pianeti. Egli tiene conto di tutti i movimenti planetari osservati, con una precisione di cinque secondi circa di arco in più di un occhio nudo. Questa teoria rimarrà immutata per ciò che riguarda la parte matematica anche dopo che Copernico ne modificherà il sistema teorico (1543). Solo dopo Keplero, nel XVII secolo, saranno apportate sostanziali modifiche, per poter tenere conto delle più esatte osservazioni di Tycho Brahe. La cosmologia Tolomeo presenta lo schema dell‟universo come un tutto unificato, situando la Terra all‟interno del cerchio principale delle orbite dei pianeti, ma in posizione eccentrica, mentre i pianeti compiono la loro rotazione intorno all‟equante, un punto situato a uguale distanza della Terra, ma dall‟altra parte del centro del cerchio (figura “b” a lato). Il risultato di questi studi è molto vicino a quello ottenuto da Keplero quindici secoli più tardi. Nell‟Almagesto sono utilizzati degli “epicicli”, cioè circoli descritti dai pianeti intorno a un punto ideale detto “equante”, il quale descrive a sua volta un circolo intorno alla Terra detto “deferente”, per spiegare la seconda variazione periodica della posizione di un pianeta (che realmente è causata dal movimento della terra intorno al sole), ma per i matematici è indifferente considerare ferma la Terra come Tolomeo, o il Sole come Copernico. L‟Almagesto è caratterizzato dalla maggiore preoccupazione di Tolomeo: quella di trovare una teoria matematica particolare per ogni pianeta. Ma quando giunge al problema di considerare il sistema planetario come un tutto, rileva che nessuna osservazione a lui nota può gettare molta luce su questo punto e qualsiasi ipotesi non potrebbe modificare di molto le sue conclusioni. Così egli ricade nella tradizionale considerazione che la velocità con la quale i pianeti si muovono provi la loro vicinanza; in questo modo egli sistema la Terra al centro, e la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e le Stelle fisse in orbite sempre più esterne. L‟Almagesto sarà tradotto in latino verso la fine del XII secolo (intorno al 1175) da Gerardo, monaco cremonese, quindi non potrà avere una diretta influenza sulla scienza dell‟Alto Medioevo. Al suo posto si diffonderà il più semplice schema dell‟universo tratto da Aristotele. Alla fine del Medioevo il conflitto tra la concezione aristotelica e quella tolemaica sarà destinata ad assumere grande importanza per la storia della scienza. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 25 Cosmologia Strumentazione L‟Almagesto contiene inoltre un particolareggiato e preciso elenco delle Stelle, adattato in parte da Ipparco. Infine vi sono descritti i principali strumenti utilizzati da Tolomeo nei suoi studi: - L‟ANELLO DI METALLO, utilizzato per l‟osservazione dell‟altitudine meridiana del sole. E‟ composto da un anello interno con due indicatori, collocato all‟interno di un altro anello graduato, posto verticalmente sul piano del meridiano; - UN BLOCCO DI LEGNO scorrevole su un lungo telaio con un foro su una delle due estremitˆ per applicarvi l‟occhio, in modo che facendo scorrere il blocco si possono misurare piccoli angoli e valutare la grandezza apparente del sole; - UN SEMPLICE ANELLO posto sul piano dell‟equatore, usato per determinare gli equinozi; - IL TRIQUETRUM (termine latino che significa triangolo) che serve per determinare il centro della Luna anche quando ne è visibile solo una parte. E‟ composto da un asse per mirare la Luna che viene inquadrata da un grosso foro all‟estremità inferiore, e ha il vantaggio che le graduazioni sono segnate su un‟asta dritta e quindi possono essere più facilmente determinate che non sulle scale circolari di altri strumenti; - L‟ASTROLABON ARMILLARE è il più importante strumento utilizzato da Tolomeo. Formato da una serie di anelli metallici inseriti l‟uno nell‟altro, il più interno dei quali porta un‟alidada (un indice mobile che, scorrendo su un cerchio graduato, permette di misurare l‟apertura di un angolo) con due piccoli fori (attraverso cui compiere le osservazioni) mentre il più esterno è fissato ad un pesante supporto; un asse di rotazione è parallelo all‟asse polare della terra, e un secondo asse è inclinato come l‟asse eclittica di 23,5 gradi rispetto a quello polare. Questo serve a misurare direttamente gli angoli, mentre con qualsiasi altro strumento meno complicato ci vorrebbero calcoli lunghi e complessi per trasformare i dati di altezza e di azimuth, o coordinate equatoriali, nelle coordinate eclittiche essenziali alla teoria. Con questo strumento, Tolomeo riesce anche a misurare il mondo “abitabile”; questi risultati sono riportati in un‟altra sua opera: la Geografia. Il Triquetrum di Tolomeo 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 26 Cosmologia 4 IL CREAZIONISMO CRISTIANO (Europa, III secolo a.C. – XIII secolo d.C.) I romani non forniscono un contributo originale alla scienza astronomica. Essi hanno una buona pratica di alcuni strumenti fondamentali come la meridiana, che conoscevano sin dal secolo III a.C., e che applicano al computo del calendario. Inoltre posseggono una considerevole abilità meccanica che permette loro di compiere e inquadrare osservazioni astronomiche fondamentali. Più significatica è l‟influenza dell‟astrologia che, seppur proibita ai tempi dell‟impero, ha una particolare diffusione tra i ceti popolari. A collegarsi alla ricerca astronomica alessandrina sono gli Arabi che, tramite gli scambi commerciali con gli Indiani, a partire dal secolo IX, possono utilizzare le loro conoscenze nell‟ambito dell‟aritmetica e dell‟algebra per riconsiderare le conoscenze dell‟Età ellenistica. Essi traducono e volgarizzano l‟opera di Tolomeo, trasmettendola all‟Occidente cristiano, mentre sviluppano l‟uso di particolari strumenti come l‟astrolabrio, uno strumento antico usato dai naviganti per determinare la posizione degli astri, sostituito in seguito dal sestante. Si tratta di un sistema per trasportare una superficie curva su una piana. Lo strumento consiste essenzialmente di una mappa circolare del firmamento che si fa ruotare attorno al polo nord, riposante su un piano celeste corrispondente alla visuale di un osservatore che si trovi ad una determinata latitudine. Questo strumento astronomico viene usato tra i secoli VII e XVI ed è di inestimabile valore per le ricerche astronomiche. Tra i maggiori astronomi arabi sono Al-Farghani e Al-Battani, vissuti nel secolo IX, che compilano sintesi dell‟Almagesto. Il filosofo Averroè sarà il mediatore del pensiero aristotelico tra la cultura araba e quella cristiana. Solo nel XIII secolo le opere di Aristotele e quelle di Tolomeo vengono conosciute in Europa, determinando la ripresa del pensiero occidentale. All‟interno delle università europee e degli ordini dei domenicani e dei francescani si sviluppa una riflessione su questi temi. Tra le personalità che propongono le prime sintesi astronomiche cristiane vi è il Sacrabosco, attivo a Parigi nel XIII secolo. 4.1 S. Agostino (Tagaste, 354 – Ippona, 430 d.C.) Al senso di ammirazione per il finalismo scoperto da Aristotele nell'universo, la tradizione cristiana medioevale fece corrispondere la svalutazione radicale dell'interesse per la natura e le sue leggi, bollato da Agostino come curiosità sviante l'uomo dal suo più alto compito di salvezza. Oppure s‟integrò l‟universo fisico in una dimensione simbolica, in cui l'opposizione fra Terra e Cielo acquistava un carattere teologicamente e moralmente decisivo. L'astronomia e la teologia si concatenarono inesorabilmente, elevando a posizioni religiosamente impegnative sia l'immobilità e centralità della Terra, che l'immutabilità e costanza dei cieli. “Quando poi vien posta la domanda che cosa dobbiamo credere in fatto di religione, non è necessario esaminare a fondo la natura delle cose, come fu fatto da quelli che i Greci chiamano physici; né bisogna inquietarsi per timore che i cristiani ignorino la forza e il numero degli elementi ; il moto, l'ordine e le eclissi dei corpi celesti; la forma dei cieli; la specie e la natura di animali, piante, sorgenti, fiumi e montagne; cronologie e distanze ; i presagi delle tempeste; e mille altre cose che quei filosofi hanno scoperto, oppure credono di aver scoperto... È sufficiente al cristiano credere che la sola causa di tutte le cose create, celesti o terrene, visibili o invisibili, è la bontà del creatore, il solo vero Dio ; e che nulla esiste, ad eccezione di Lui stesso, che non derivi da Lui la sua esistenza.” (da Agostino, Enchiridion ad Laurentium) 4.2 S. Tommaso d’Aquino (Roccasecca, 1221-1323 d.C) “È pertanto chiaro che la materia dei cieli non è, per sua intrinseca natura, suscettibile di generazione o corruzione, poiché è il tipo primario di corpo alterabile ed il più prossimo, nella sua natura, a quei corpi che sono intrinsecamente immutabili. Questa è la ragione per cui i cieli subiscono soltanto un minimo assoluto di alterazione. Il moto è il solo tipo di mutamento che essi subiscono e questo tipo di mutamento non modifica affatto la loro intrinseca natura. Inoltre, fra i tipi di moto che potrebbero avere, il loro è circolare e il moto circolare è il solo che produce un minimo assoluto di alterazioni, poiché la sfera, nel suo complesso, non cambia posto.” (da Tommaso d‟Aquino, Commentaria in Libros Aristotelis De coelo et mundo) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 27 Cosmologia 4.3 Dante Alighieri (Firenze, 1265-1321 d.C) Nella Divina Commedia di Dante troviamo sintetizzata la visione cosmologica medievale. Essa è una diretta derivazione della concezione aristotelica, in parte differente da quella tolemaica, filtrata attraverso la riflessione teologica di derivazione tomista, operata nella prima metà del XIII secolo da Tommaso d‟Aquino. Hanno inoltre esercitato una significativa influenza l‟opera di Alfragano, commentatore di Tolomeo, e le Etymologiae di Isidoro di Siviglia. Nella Commedia, e in particolare nella terza cantica, il Paradiso, gli elementi astronomici e cosmologici sono parte integrante della costruzione poetica. In numerosi luoghi del poema, l‟Autore presenta situazioni astronomiche ben definite e riconoscibili e ne indica gli influssi sui comportamenti e le sorti degli umani. Astronomia e astrologia sono fusi in un‟unica concezione, poetica ed esistenziale. Tutto è di forma sferica, la forma della celestiale perfezione. La Terra è una piccola sfera opaca, circondata da nove immense sfere concentriche, perfettamente trasparenti, in ciascuna delle quali si incastona, come una gemma in un anello di cristallo, un pianeta o una stella. La cosmologia medievale accettata dall'autore non fa distinzione, infatti, tra un corpo celeste che non emette luce, come un pianeta, e uno luminoso, appunto una stella. Perciò troveremo nella successione dei cieli, Luna e Sole insieme, essendo quest'ultimo un astro che come gli altri ruota intorno al nostro piccolo pianeta. E ciascuno di questi cieli, indifferentemente, verrà chiamato «sfera», o «spera», che sono sinonimi per la lingua medievale. La struttura del Paradiso è il più grandioso esempio di come il Creatore di tutto ciò che esiste diffonda la sua energia creativa ovunque, permettendole di manifestarsi in forma di pura luce. Tale luce si divide e si individua nelle infinite forme che da Lui procedono, ma al tempo stesso non perde mai la sua unità. Dio quindi crea tutto imprimendo istantaneamente movimento e luce a ciò che crea. Dall'Empireo dunque, luogo che non è un luogo, che è sempre esistito e sempre esisterà come sua sede eterna, il movimento della creazione passa al cielo detto Cristallino o Primo Mobile, nel quale l'unità dell'energia divina è ancora molto intensa, come intenso e veloce ne è il movimento circolare. Quindi, da questo cielo passa al successivo, detto delle Stelle Fisse: qui l'unità si scinde, per così dire, nelle innumerevoli luci delle stelle, che risplendono ciascuna con un'intensità diversa, perché diversa in ciascuna è la qualità con cui l'energia creativa si manifesta. Questo principio vale per tutto l'universo: non è il principio della quantità, ma quello della qualità a regolarlo, secondo il modello della creazione, che procede per differenze progressive nell'unità. Così le qualità delle stelle hanno influenza sul mondo terreno, attraverso il movimento dei sette cieli sottostanti. Nell'ordine, dall'alto verso il basso, ma anche dal più grande al più piccolo, nonché dal più veloce al meno veloce: cielo di Saturno, di Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio, e infine cielo della Luna. Il nostro pianeta, la Terra in cui nasciamo e viviamo fino al trapasso, nel sistema cosmico dantesco si guadagna la definizione di “mondo sublunare”. Davvero l'ultimo territorio della creazione, quello meno partecipe dell'energia divina, al contrario quello più fragile e soggetto alle influenze del male. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 28 Cosmologia Paradiso. Canto XXII Versi 133-150 Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch‟io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approbo che l‟ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo. Vidi la figlia di Latona incensa sanza quell‟ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa. L‟aspetto del tuo nato, Iperione, quivi sostenni, e vidi com‟ si move circa e vicino a lui Maia e Dione. Quindi m‟apparve il temperar di Giove tra „l padre e „l figlio; e quindi mi fu chiaro il variar che fanno di lor dove; e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo. Paradiso. Canto XXVIII Versi 22-39 Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che „l dipigne quando „l vapor che „l porta più è spesso, distante intorno al punto un cerchio d‟igne si girava sé ratto, ch‟avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; e questo era d‟un altro circumcinto, e quel dal terzo, e „l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo sé sparto già di larghezza, che „l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. Così l‟ottavo e „l nono; e ciascheduno più tardo si movea, secondo ch‟era in numero distante più da l‟uno; e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s‟invera. La Cosmologia nella Divina Commedia 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 29 Cosmologia 4.4 Caratteri dell’universo aristotelico-tolemaico (Europa, Medioevo) L‟universo precopernicano risulta dalla fusione di tre distinte componenti: la fisica aristotelica, l‟astronomia matematica di Tolomeo e la concezione cristiana del cosmo. In base alle loro teorie, l‟universo era: - unico, in quanto era pensato come il solo universo esistente - chiuso, poiché immaginato come una sfera, limitata dal Nono cielo, il primo mobile, e dal Cielo delle Stelle fisse, oltre il quale non c‟era nulla, nemmeno il vuoto, altresì fuori dal Cosmo si trovava soltanto “il regno dell‟onnipossente Iddio” - finito, dato che l‟infinito era solo un‟idea e non una realtà fisica - costituito di sfere concentriche, intese non come tracciati matematici, ma come solidi reali, su cui erano incastonate stelle e pianeti - geocentrico, in quanto al centro stava la Terra immobile - diviso in due zone qualitativamente distinte, la zona dei cieli, provvista di moto circolare uniforme, incorruttibile ed eterno, e il mondo sublunare, con i luoghi naturali dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco), dotati di moto rettilineo, con un principio ed una fine, atti ad originare i processi di corruzione. Questa visione astronomica appariva non solo conforme al buon senso comune, supportato dalla quotidiana constatazione dell‟immobilità della terra e del moto dei cieli, ma s‟adattava anche alla mentalità metafisica prevalente, portata a concepire il mondo come un organismo gerarchico e finalisticamente ordinato e disposto. La testimonianza dei sensi, l‟autorità di Aristotele, i teoremi della metafisica e la parola divina della Bibbia avevano quindi finito per convergere in una comune attestazione della validità assoluta del sistema tolemaico. 5 LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA La Rivoluzione astronomica, con cui prende avvio la Rivoluzione scientifica, rappresenta uno degli avvenimenti culturali più importanti della storia dell'Occidente, che hanno maggiormente contribuito al passaggio dall'età antico-medioevale all'età moderna. Generalmente si crede che tale rivoluzione sia dovuta, in sostanza, a Copernico. In realtà ciò è vero solo in parte, poiché Copernico, per esattezza, ha semplicemente dato inizio ad un processo di pensiero che ha coinvolto, al tempo stesso, astronomia, filosofia e teologia. Anzi, quella che comunemente continua a chiamarsi “la visione copernicana dell'universo”, più che essere il frutto del solo Copernico o di altri astronomi e fisici come Keplero e Galileo, è il prodotto di intuizioni e deduzioni teoriche che risalgono per lo più a Giordano Bruno, il vero filosofo della nuova visione del cosmo, che in parte sarà confermata dalla scienza successiva e che costituisce ancor oggi lo schema generale del “nostro” universo. Di conseguenza, l'intricato processo che forma la Rivoluzione astronomica – intesa soprattutto come un passaggio “dal mondo chiuso all'universo infinito” – non è soltanto un fatto astronomico e scientifico, ma anche un appassionante avvenimento filosofico, poiché attraverso i suoi due araldi principali (Copernico e Bruno) ha finito per mutare la visione complessiva del mondo che per secoli era stata propria dell'Occidente, segnando in profondità la cultura moderna. 5.1 il Quattrocento La rinascita del platonismo e dell‟ermetismo nel XV secolo, contribuiscono a mettere in crisi l‟immagine aristotelica di un cosmo chiuso con al centro la Terra. Il filosofo neoplatonico Niccolò Cusano sostiene - sulla base di presupposti di carattere teologico - che non può esserci né un centro fisso né un limite fisso dell‟universo, poiché ogni punto rispecchia l‟intero universo. Di conseguenza la Terra non può essere considerata il centro dell‟universo e neanche in quiete assoluta. Tuttavia nelle opere di Niccolò Cusano non si trova accanto a queste intuizioni di carattere puramente filosofico alcun tentativo di criticare dal punto di vista astronomico il sistema aristotelico-tolemaico. Importanti progressi nel campo dell‟astronomia matematica sono compiuti da Georg Peurbach e dal suo allievo Johann Müller, detto Regiomontanus, autori di un‟epitome dell‟Almagesto che ha una straordinaria diffusione, e di significativi contributi alla trigonometria. Gli studi di astronomia di Regiomontanus, come quelli di molti suoi contemporanei, non sono disgiunti da interessi di carattere astrologico: l‟esatto calcolo delle posizioni dei pianeti e dei moti delle comete è infatti indispensabile per operare previsioni astrologiche. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 30 Cosmologia 5.2 Contesto storico e cause Con l‟Umanesimo si fa strada la concezione che per sviluppare la conoscenza scientifica, non bastava tramandare gli insegnamenti degli antichi, ma occorreva anche studiare e osservare attentamente la natura, e soprattutto era indispensabile imparare a distinguere i dati dell'osservazione dalle convinzioni di tipo magico o religioso. La scienza moderna, al pari della cultura umanistica, non nasce nel vuoto, ma in un preciso contesto storico, caratterizzato dai mutamenti della struttura economica europea e dal nuovo tipo di società venutosi a creare. Esigenze tecniche In seguito alle scoperte geografiche, il ceto mercantile richiedeva alla scienza della tecnica, navi sempre più resistenti e veloci per solcare gli oceani. In seguito alla crescita economica, le monarchie europee riorganizzarono gli eserciti per espandere i confini, incentivando la ricerca di armi sempre più potenti. La cultura rinascimentale portò alla costruzione di capolavori architettonici, al miglioramento delle vie di comunicazione, alla stampa di migliaia di libri, ecc … Tutte opere che richiedevano nuove scoperte in campo tecnico, che i semplici artigiani non erano in grado di risolvere, appellandosi pertanto alle più profonde nozioni di matematica e fisica degli studiosi. Viene così superato per la prima volta il divario secolare tra scienze teoretiche e scienze pratiche. La nuova figura di scienziato tende, prima a studiare il fenomeno con il ragionamento e i calcoli, poi a concretizzare la sua teoria con la “sperimentazione”, ovvero con l‟applicazione pratica di quanto studiato. Nascono così affascinanti figure di scienziati, artisti e tecnici al tempo stesso, come Leonardo da Vinci. Il Rinascimento Il clima culturale ereditato dal Rinascimento è stata la seconda grande causa della nascita della Nuova Scienza. In sintesi: 1. la laicizzazione del sapere e la rivendicazione della libertà della ricerca intellettuale, ad opera della borghesia cittadina, ha permesso lo svilupparsi di nuove teorie 2. la traduzione di molte opere scientifiche e filosofiche dell‟antichità, ha permesso la rivisitazione di teorie obsolete, entrate ormai nell‟immaginario collettivo, qual‟era appunto la cosmologia. 3. la rivalutazione della natura e l‟interesse dell‟uomo a studiarla, ad opera dei naturalisti, ha posto le condizioni per uno studio più vasto e approfondito della natura. Gli scienziati Economia e cultura sono state le cause che hanno creato le condizioni favorevoli allo sviluppo di una nuova scienza. Individui dalla mente geniale e creativa sono stati poi capaci di tradurre in atto le possibilità offerte da tali condizioni. Sociologicamente parlando, questi individui non sono scienziati di mestiere, ma persone che coltivano le ricerche accanto alle loro professioni (ingegneri, architetti, medici, professori delle università tradizionali) oppure persone benestanti che possono permettersi di dedicarsi agli studi senza preoccupazioni economiche. E poiché le Università non saranno sempre favorevoli al nuovo sapere scientifico, esse si organizzeranno poco per volta in quelle istituzioni culturali alternative che sono le Accademie scientifiche. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 31 Cosmologia 5.3 Niccolò Copernico (Thorn, 1473 – Frauenberg, 1543) Una breve biografica Nicola Copernico (Nicolaus Koppernigk) nacque a Torun (Thorn) sulla Vistola il 19 febbraio 1473. Nel 1491 si iscrisse all'Università polacca di Cracovia dove, pur essendo destinato alla carriera ecclesiastica, mostrò una decisa inclinazione per l'astronomia e la matematica. A 23 anni si recò in Italia e trascorse cinque anni presso l'Univertità di Bologna (uno dei maggiori centri culturali d'Europa), dove lavorò sotto la direzione di Maria da Novara da cui apprese gli elementi di astronomia pratica. Nel 1550 andò a Roma e l'anno seguente tornò nell'Europa nord-orientale, a Frauenberg, dove fu insediato canonico per opera dello zio Lucas Waczenrode, vescovo di Ermland. Dopo pochi mesi dall'insediamento nella sua canonica, tornava ansioso in Italia, questa volta a Padova rimanendovi per altri cinque anni. Durante i dieci anni che trascorse complessivamente in Italia studiò legge, teologia, medicina, matematica, astronomia e i classici. Lo studio dei classici fu di importanza fondamentale poiché gli permise di leggere i lavori dei grandi astronomi greci nella loro lingua originale. Nel 1506, ritornando definitivamente in patria, Copernico poneva termine alla sua vita studentesca e si rititò nel castello di Heilsberg per prendersi cura del vecchio zio vescovo. Cominciava allora a pensare al suo nuovo sitema cosmogonico, gettando le basi del suo monumentale lavoro, De rivolutionibus Orbium Coelestium, che fu pubblicato soltanto 37 anni dopo, poco prima della sua morte. Copernico morì nell'anno 1543 all'età di settant'anni. Il secolo seguente fu denso di accese controversie sulla teoria copernicana. Il problema di Copernico L‟interesse del papato alla riforma del calendario e l‟influenza del neoplatonismo fiorentino, propugnatore di una mistica del Sole, del numero e della creatività naturale, indussero il polacco Niccolò Copernico a risolvere matematicamente il problema dei pianeti, eliminando soluzioni artificiose come epicicli (Eraclide) ed equanti (Tolomeo). Per chiarire l‟immagine del cielo, offrendolo un‟armonia prima sconosciuta, era conveniente porre il Sole al centro del sistema, fonte di vita e di luce per tutte le cose, e la Terra al suo posto, in movimento diurno su sé stessa ed annuo di rivoluzione intorno al Sole. Nonostante la ripresa delle intuizioni di Cusano, Copernico conservò molti tratti della cosmologia tradizionale (le sfere concentriche, l‟universo chiuso dalla sfera delle stelle fisse); ma a differenza dei predecessori rese conto delle conseguenze matematiche del moto terrestre con calcoli che, senza avere alla base ampie osservazioni, fornivano elementi sufficienti per distruggere l‟astronomia tolemaica. La circolarità dei moti celesti Secondo le convinzioni accettate dai tempi di Platone, i moti dei corpi celesti dovevano essere circolari o composti di moti circolari. Copernico accetta la circolarità del moto dei corpi celesti come un principio indiscutibile, aggiungendovi però una ragione di carattere pratico: soltanto un moto circolare, o composto di più cerchi, può rendere conto del movimento periodico delle figure celesti. Tolomeo aveva salvato la circolarità dei corpi celesti, ma non la loro uniformità, in quanto il moto presenta una velocità angolare uniforme ma non coincide col suo centro, perciò era necessario che i corpi celesti si muovessero di moto composto di moti circolari uniformi. La cosmologia copernicana La soluzione di Copernico al problema della causa dei moti celesti si fonda sugli assiomi seguenti: 1) Le orbite e le sfere celesti non hanno un solo centro 2) Il centro della Terra non è il centro del mondo, ma solo della gravità e dell‟orbita della Luna 3) Tutte le orbite ruotano intorno al Sole in quanto è posto al centro di tutte le cose 4) Il rapporto tra la distanza Sole - Terra e l‟altezza del firmamento è minore di quello tra il raggio terrestre e la distanza Sole-Terra, sì che questa è insensibile rispetto all‟altezza del firmamento 5) Qualunque moto si osservi nel firmamento, non appartiene ad esso ma alla Terra. Dunque la Terra, con gli elementi che la circondano, ruota di moto diurno sui suoi poli immutabili, mentre il firmamento e ultimo cielo rimangono immobili 6) Tutti i moti che vediamo nel Sole, si devono alla Terra e alla nostra orbita, con la quale ruotiamo alla maniera di qualsiasi altro pianeta intorno al Sole 7) Il moto retrogrado e diretto che si osserva nei pianeti non appartiene ad essi, ma alla Terra. Il moto di questa sola è sufficiente a spiegare tutte le ineguaglianze che si osservano in cielo 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 32 Cosmologia Conseguenze del pensiero copernicano Opera in sé non rivoluzionaria e frammista di antica e nuova astronomia, il De revolutionibus avrebbe stimolato una serie di sviluppi senz'altro rivoluzionari : la Terra era avvicinata formalmente a tutti gli altri pianeti; eliminati gli epicicli, si poneva una relazione diretta e fissa fra il posto dei pianeti nel sistema e l'ampiezza delle loro orbite. Successive osservazioni, confortando questa nuova descrizione matematica dell'universo, avrebbero attaccato non solo l'apparato di calcolo tolemaico, ma il principio della bipartizione fondamentale del cosmo aristotelico, richiedendo una diversa spiegazione dei moti planetari. Dal “De revolutionibus orbium coelestium” “lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina” 5.4 La battaglia intorno a Copernico (Europa, 1550-1633) La nuova astronomia si trovò però coinvolta, contro voglia, nel clima inquieto ed appassionato delle controversie e delle guerre di religione, che sconvolsero la Francia (1560-1598), l‟Olanda (1572-1609), la Germania (1618-1648) ed acuirono, nell‟Europa divisa fra controriforma cattolica, stabilizzazione luterana e radicalismo calvinista, la sensibilità verso i problemi dell‟ortodossia e dell‟interpretazione della Bibbia. Mentre alcuni esponenti di ordini religiosi, come i Gesuiti, entrarono in seno alla nuova astronomia, promuovendo osservazioni e ricerche, la drammatica alternativa implicita nel copernicanesimo spinse altri alla difesa degli interessi religiosi e morali minacciati. Esso divenne terreno di una battaglia che si protrasse fino al 1630 ed oltre: si trattava di ammettere la mobilità della terra, a costo di veder rovinare i capisaldi dell‟universo aristotelico-cristiano (specie il punto fondamentale della differenza tra Terra e Cieli); o di salvare a tutti i costi la verità della filosofia aristotelica e dell‟interpretazione letterale dei testi biblici, e respingere la mobilità della Terra come assurda. L’accusa La confutazione da parte della cultura tradizionale della teoria copernicana si articola in sei punti. 1) Se la Terra non fosse collocata nel centro del mondo, le eclissi di Luna non si spiegherebbero quando Sole e Luna non si trovano in luoghi opposti dello zodiaco, ciò che è in contraddizione con l‟esperienza degli astronomi, i quali insegnano che le eclissi avvengono quando la Luna è in opposizione col Sole, e mai altrimenti. 2) Il secondo argomento è tratto da Aristotele e da Regiomontano: tutti i gravi in caduta libera lungo il diametro del mondo incontrano la superficie della Terra secondo angoli uguali, in qualunque parte dell‟orbe discendano, di conseguenza essi tendono al centro della Terra; da ciò consegue che il centro della Terra e del mondo si identificano. 3) Il terzo argomento, tratto anch‟esso da Aristotele, pone la Terra al centro in quanto, “essendo pesantissima, deve tendere verso il luogo più basso; e questo dovendo essere il più lontano possibile dal cielo, non può essere collocato che nel centro del mondo”. Inoltre la Terra, „essendo il corpo più ignobile, dovette giustamente essere collocata nel centro, per non recar danno con la sua vicinanza agli altri corpi”. (De caelo) Alla prima parte di questa obiezione Copernico risponde con la sua definizione della gravità e con l‟ipotesi dell‟esistenza non di un unico centro di gravità, ma di una pluralità di centri; alla seconda aveva opposto la maggiore nobiltà del dentro rispetto alle altre parti dell‟universo, giustificando in tal modo la centralità del Sole. 4) Il quarto argomento è tratto da Alfragano e da Sacrobosco: tolti tutti i vapori, le nebbie e le esalazioni che possono impedire la nostra vista, in qualunque luogo della superficie della Terra ci troviamo, le stelle ci appaiono sempre della stessa grandezza, al sorgere, al tramonto, allo zenit: ciò che non sarebbe possibile se la Terra non fosse collocata al centro dell‟universo, esattamente equidistante da tutte le parti del cielo. 5) Il quinto argomento, desunto da Sarobosco, afferma che se la Terra non si trovasse al centro dell‟universo non si avrebbero sei segni dello zodiaco sopra l‟orizzonte e sei sotto. A questi due argomenti Copernico risponde rovesciando il ragionamento: dall‟osservazione che l‟orizzonte divide la sfera stellata in due porzioni esattamente uguali, e che lo stesso fa con lo zodiaco, sì che quando il diametro del cerchio dell‟orizzonte comincia per esempio nel Cancro a oriente, termina a occidente nel Capricorno, si deduce che il cielo è immenso a paragone della Terra e che la Terra è rispetto al cielo come un punto paragonato a un corpo e il finito all‟infinito. 6) Il sesto argomento è desunto da Tolomeo: se la Terra non fosse al centro dell‟universo, dovrebbe essere o nel piano del circolo equinoziale fuori dell‟asse del mondo (infatti se fosse sull‟asse del mondo e nel piano dell‟equatore si troverebbe nel centro), o sull‟asse del mondo fuori del piano equinoziale o, infine, né sul piano equinoziale né sull‟asse del mondo. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 33 Cosmologia La difesa Ai tempi di Copernico, l‟eliocentrismo può fondarsi solo su una serie di argomentazioni aventi un grado di probabilità più o meno elevato 1) Il movimento della Terra consente di spiegare tutte le apparenze che si osservano in cielo, comprese la precessione degli equinozi e le variazioni dell‟eccentricità. 2) La stessa diminuzione dell‟eccentricità del Sole si riscontra inalterata nell‟eccentricità degli altri pianeti. 3) I pianeti hanno i centri dei loro deferenti intorno al Sole come al centro dell‟universo. 4) La quarta ragione è di carattere filosofico e riguarda l‟uniformità del moto circolare rispetto al proprio centro e non a un punto introdotto arbitrariamente (come in Tolomeo). 5) Vi è poi la convinzione della semplicità ed economicità della natura. Senza la convinzione della razionalità e perfezione della natura, Copernico non avrebbe impegnato tutte le sue energie nella ricerca di una costituzione semplice ed esatta da applicare agli orbi celesti. Lo sprezzante sarcasmo di Lutero “La gente prestava orecchio ad uno sconvolto astrologo che si sforzava di mostrare che è la Terra a girare, non i cieli, o il firmamento, il Sole e la Luna ; come se qualcuno, seduto su un carro che si muove o su una nave, supponesse d'essere lui fermo, e che le terre e gli alberi lo oltrepassano... Questo pazzo vuole ribaltare l'intera scienza astronomica; ma la Sacra Scrittura ci dice che Giosuè comandò di fermarsi al Sole, e non alla Terra” (da Martin Lutero, Tischreden [Discorsi conviviali], 1539). Le ignoranti osservazioni di Bodin J. Bodin (1530-1596) fu uomo politico, procuratore di Enrico IV, e teorico della politica (Six Livres de la Republique, 1576); intelletto brillante e audace in questi campi, ma rigidamente conservatore in altri, quali l‟astronomia: “Nessun uomo nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, oppure dotato delle più elementari nozioni di fisica, potrà mai credere che la Terra, greve e tarda per il suo proprio peso e per la sua massa, si agiti su e giù attorno al suo centro e a quello del Sole; giacché, alla minima scossa della Terra, noi vedremo crollare città e fortezze, paesi e montagne. Un certo Aulico, cortigiano, mentre a corte, di fronte al duca Alberto di Prussia, un astrologo stava sostenendo l'idea di Copernico, rivolgendosi al servo che mesceva il Falerno, disse: 4 Attento che il vino non si rovesci! ». Poiché, se la Terra dovesse effettivamente muoversi, né una freccia lanciata verticalmente, né un sasso lasciato andare dalla cima di una torre cadrebbero perpendicolarmente, ma entrambi in avanti o all'indietro. (...) In ultima analisi, tutte le cose che trovano posizioni adeguate alla loro natura vi rimangono, come scrive Aristotele. E siccome la Terra ha avuto una posizione adeguata alla sua natura, non può esser fatta ruotare da altro moto che non sia il suo proprio”. (da Jean Bodin, Universae Naturae Theatrum). 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 34 Cosmologia 5.5 I Gesuiti e l’astronomia L'Osservatorio del Collegio Romano Sin dai giorni della su fondazione, avvenuta per opera di Gregorio XIII, il Collegio Romano era stato un luogo di profondi studi anche nel campo della matematica, della fisica e dell'astronomia. Qui il p. Clavio scrisse i suoi tre volumi in difesa del calendario gregoriano e si adoperò, insieme ai suoi confratelli, a confermare le scoperte sensazionali di Galileo e a convincere le autorità ecclesiastiche della loro esattezza. Qui il p. Scheiner aveva osservato con diligenza instancabile le macchie del Sole per scrivere la sua grande opera Rosa Ursina, adoperando per il suo cannocchiale la montatura equatoriale usata per la prima volta dal p. Grienberger. Qui il p. De Cottignies osservò le macchie su Giove e le grandi comete del 1664, 1665 e 1668. Qui finalmente lavorò come insegnante rinomatissimo il p. Boscovich, che eseguì per la prima volta in Italia una misura geodetica di un arco di due gradi, inventò il micrometro ad anello e propose un esperimento assai importante per la ricerca sulla natura fisica della luce. Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, sancita dal Papa Clemente XIV nel 1773, gli studi nel Collegio Romano furono affidati al clero secolare fino al 1824, anno in cui venne restituito alla direzione della ristabilita Compagnia di Gesù. L’Osservatorio astronomico del Collegio Romano (Roma), sulla Chiesa di S. Ignazio in due stampe d’epoca Padre Ricci e la Cina In una delle molte missioni religiose fondate dai Gesuiti in tutto il mondo, padre Matteo Ricci, dal 1600 in poi, lavoro` a stretto contatto con gli astronomi cinesi divulgando fra di essi le ultime e più importanti scoperte astronomiche occidentali (si era nel periodo della rivoluzione copernicana e dei primi utilizzi del cannocchiale di Galileo Galilei). Con Padre Ricci e con i Gesuiti l'astronomia occidentale divenne famosa e conosciuta in tutta la Cina a tal punto che, dopo una gara su chi, fra astronomi cinesi, arabi ed europei, fosse, con maggiore precisione, in grado di prevedere l'eclissi di Sole del 1629 (gara vinta da astronomi europei), l'imperatore decise, da quel momento, di affidare ai Gesuiti la compilazione, ma soprattutto la riforma, del calendario. A testimoniare questa grande fama raggiunta dai Gesuiti rimane ancora oggi a Pechino, vicino alla celebre piazza Tienanmen, un osservatorio astronomico intitolato a Matteo Ricci. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 35 Cosmologia 5.6 Tycho Brahe (Knudstrup, 1546-1601) Una curiosa biografia Nato in Danimarca, a Knudstrup, nel 1546, Tycho era figlio del governatore del castello di Helsingborg. Dopo aver compiuto gli studi a Copenaghen e in Germania, si interessò presto di astronomia e di astrologia. Possiamo già farci un'idea della sua particolare personalità da un fatto curioso: arrivò a sfidare a duello un compagno di studi che aveva osato mettere in dubbio le sue capacità matematiche. Ci rimise il naso che si fece poi ricostruire con una protesi in oro. Osservando nel 1563 una congiunzione di Giove e Saturno si rese conto che anche le più recenti e aggiornate tavole astronomiche (le Tabulae Prutenicae di Erasmo Rehinold) erano in errore di parecchi giorni. Cominciò a progettare e collezionare strumenti di osservazione sempre più imponenti fra cui un grande quadrante per osservazioni stellari e un globo celeste sul quale andava segnando le posizioni delle stelle confermando ancora l'imprecisione e la lacunosità delle misurazioni astronomiche fino ad allora eseguite. Il grande contributo di Tycho Brahe all'astronomia fu infatti soprattutto quello di imporre l'esigenza di misurazioni e osservazioni continue e sempre più precise, a differenza dei precedenti astronomi che, influenzati dalla concezione aristotelica, davano molta più importanza agli aspetti qualitativi che a quelli quantitativi. Nel novembre del 1572 compariva una stella molto luminosa nella costellazione di Cassiopea. Si trattava di una supernova. Tycho la osservò accuratamente nelle sue fasi di luce, notando che doveva essere molto più lontana della Luna. Infatti non presentava nessuna parallasse sensibile e quindi doveva appartenere al cielo delle stelle fisse. La cosa dovette suscitare un certo scalpore negli ambienti accademici, visto che si riteneva che tutti i corpi celesti appartenenti al cielo delle stelle fisse non avrebbero dovuto essere soggetti a mutazioni e corruzioni. Viaggiò parecchio in Germania e in Italia, pensando poi di andare a stabilirsi a Basilea con la famiglia. Il re Federico II, che era un protettore delle arti e delle scienze, per timore di perderlo gli fece un dono favoloso: gli conferì l'isola danese di Hveen con tutte le rendite che produceva e si impegnò a costruirgli un osservatorio a spese dello stato. Nacque così un grande edificio chiamato Uranjborg (castello del cielo), una singolare costruzione situata nel mezzo di un giardino quadrato circondato da mura come una fortezza e orientato con i vertici verso i quattro punti cardinali. Il castello possedeva torri di osservazione con tetti mobili, una biblioteca, un laboratorio di alchimia e altri locali di lavoro e di abitazione. Vi installò molti strumenti astronomici (sestanti, armille equatoriali, strumenti parallattici, orologi ecc.). Un secondo edificio, costruito da Tycho in seguito, fu chiamato Stjerneborg (castello delle stelle). Aveva la particolarità si essere in gran parte sotterraneo, probabilmente per porvi gli strumenti in posizioni più stabili che non sulle terrazze. I tetti di questi vani sotterranei erano a forma di cupola e le osservazioni potevano essere eseguite attraverso delle aperture praticate sulle cupole stesse. Visse a Uranjborg per vent'anni, durante i quali raccolse un'ampia collezione di dati che gli sarebbe servita in seguito per costruire il suo nuovo sistema cosmologico. La megalomania di cui soffriva lo portò presto a tiranneggiare i poveri abitanti dell'isola di Hveen con balzelli non dovuti e condanne per insolvenze. Si circondò persino di una incredibile "corte" con tanto di "nanobuffone" che pranzava sotto la tavola (vedi Big science ai tempi di Amleto di Gianbruno Guerriero in Le Scienze n. 344). Proprio per porre un freno a questa situazione, il successore di Federico II cominciò a limitarne gli appannaggi di cui godeva e Tycho, offeso, abbandonò l'isola e riprese le sue peregrinazioni per l'europa portandosi dietro la famiglia e i suoi numerosi strumenti. Finì alla corte di re Rodolfo II (personaggio altrettanto eccentrico) con l'incarico di Mathematicus imperialis. Nel 1600 incontrò Keplero nel quale Tycho sperava di trovare un fedele discepolo della sua teoria, ma il rapporto tra i due astronomi fu breve e insofferente. Tycho infatti morì nel 1601 senza riuscire a convincere Keplero sul suo sistema geocentrico. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 36 Cosmologia Il pensiero Tycho Brahe a differenza di Copernico è piuttosto un osservatore che un teorico. Il re gli aveva messo a disposizione un osservatorio molto attrezzato situato su un‟isola dove rimane per dieci anni. Più tardi, a Praga con Keplero, egli raccoglie osservazioni astronomiche che gli permettono di correggere le conoscenze tradizionali. Le sue informazioni sono le più ampie e accurate di quelle fatte fino ad allora. Egli non si preoccupa di dare vita ad una nuova teoria della conoscenza, ma di dare conto delle sue indagini sull‟evidenza sensibile. I risultati di Brahe si possono riassumere così: o Egli illustra il sistema planetario con la Terra al centro delle orbite della Luna e del Sole e al centro delle Stelle fisse. Il Sole ruota intorno alla terra in ventiquattro ore portando con sé tutti i pianeti. Dal punto di vista matematico il sistema risulta identico a quello di Copernico o Poiché le orbite del Sole e di Marte si intersecano, i due pianeti non potevano essere trasportati da sfere solide cristalline. La parola orbis non indica più la sfera, bensì l‟orbita o Nel 1502 osserva una nuova stella e nel 1577 riesce a determinarne il parallasse e a dimostrare che era molto più lontana della luna e perciò al di là della sfera del mondo “elementare”. Questo significa introdurre il principio di mutamento nella sfera considerata immutabile, contraddicendo quindi i principi aristotelici. o Formula l‟ipotesi che il movimento di una cometa possa essere “non esattamente circolare ma leggermente oblungo”. E‟ questa la prima ipotesi che il movimento di un corpo celeste possa seguire un‟orbita diversa da quella circolare. o Descrive con grande accuratezza le alterazioni del moto della luna (1599), che saranno poi spiegate dalle generazioni di astronomi successive. o Le sue molteplici osservazioni sui pianeti permettono a Keplero di rivelare la vera natura delle loro orbite. o Rettifica i valori di molti dati astronomici e in un‟opera pubblicata da Keplero (Praga 1602) determina la posizione di 719 stelle, che più tardi Keplero porterà a 1005. Da “Sui più recenti fenomeni del mondo etereo” “La macchina del cielo non è un corpo duro e impenetrabile pieno di diverse sfere reali, come finora è stato creduto dalla maggior parte degli uomini. Si proverà che esso si estende dappertutto, fluido e semplice, e non presenta in nessun luogo gli ostacoli che prima si credeva ; e il circuito dei pianeti è interamente libero, senza lo sforzo e la rotazione di alcuna sfera, essendo governato da una legge divinamente stabilita. (...) Non ci sono in realtà nel cielo delle sfere (...) quelle che gli autori hanno inventato per salvare le apparenze 2 esistono solo nella loro immaginazione, per comprendere nella mente i movimenti dei pianeti nei loro percorsi e secondo un'interpretazione geometrica risolverli con l'aritmetica in numeri. Così sembra futile sottoporsi alla fatica: di cercare di scoprire una sfera reale, a cui la cometa sarebbe unita, in modo che ruoterebbero insieme. Quei filosofi moderni sono d'accordo con la credenza quasi universale dell'antichità che sostiene come cosa certa e irrefutabile che i cieli sono divisi in diverse sfere di materia dura e impenetrabile, ad alcune delle quali sono uniti gli astri, così che ruotano con loro. Ma se anche non ci fosse altra prova, le stesse comete convincerebbero con la massima chiarezza che quest'opinione non corrisponde alla verità. Poiché già molte volte le comete sono state osservate, come risulta dalle osservazioni e dimostrazioni più certe, completare il loro corso nel più alto etere ; né si può in alcun modo provare che esse sono condotte circolarmente da alcuna sfera. (...) È probabile che le comete, proprio come non hanno corpi così perfetti e fatti per durare eternamente al pari delle altre stelle che sono vecchie quanto la creazione del mondo, così pure non conservino un corso eguale assoluto e costante nella loro rivoluzione ; è come se esse imitassero in certa misura la regolarità uniforme dei pianeti, ma non la seguissero completamente. Perciò la rivoluzione di questa nostra cometa intorno al Sole non sarà in tutti i punti squisitamente circolare, ma in certo modo oblunga, come nella figura comunemente detta ovoide ; oppure, procede secondo un percorso perfettamente circolare, ma con un moto all'inizio più lento, e poi gradualmente aumentato.” 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 37 Cosmologia 5.7 l’Infinità dell’Universo Il secondo momento della rivoluzione astronomica, il più radicale, avviene con “l‟apertura” dell‟universo: dal mondo chiuso di Copernico, al cosmo infinito di Bruno. Come sappiamo, l'idea della pluralità dei mondi e dell'infinità del Tutto ebbe origine presso i Greci. In particolare, essa era stata propugnata da Democrito e difesa appassionatamente da Lucrezio, nel suo capolavoro poetico-filosofico De Rerum Natura. Ma le concezioni infinitistiche degli atomisti erano state respinte dalla corrente “ufficiale” della scienza greca, che aveva accettato il modello aristotelico di un mondo finito. Nel Medioevo, il rigetto totale dell'atomismo e la sua assimilazione a “filone eretico” della cultura aveva decretato la definitiva sconfitta di ogni immagine astronomica alternativa a quella sanzionata dalla Chiesa. I primi dubbi intorno alla cosmologia finitistica greco-cristiana si possono ritrovare, come ha messo in luce la critica novecentesca, nell'ultima Scolastica e nell'occamismo. Ma il pensatore in cui, a cominciare dagli stessi Bruno, Keplero e Descartes, si è tradizionalmente individuata la prima affermazione dell'infinità del mondo è Cusano. Tale interpretazione, alla luce degli studi più recenti, non sembra essere completamente esatta, in quanto Cusano, pur negando che l'universo sia finito e racchiuso tra le mura delle sfere celesti, non ne afferma la positiva infinità. A ben vedere, il suo universo, più che infinito – attributo che egli riconosce solo a Dio – è “interminato” (interminatum). Di conseguenza, come nota Koyré (La Rivoluzione astronomica, Feltrinelli, 1966), “il suo mondo non è più il cosmo medioevale ma non è ancora affatto l'universo infinito dei moderni”. Altri due studiosi cui si è attribuita la tesi dell'infinità e dell'apertura dell'universo sono Stellato Palingenio e Thomas Digges, due studiosi del Cinquecento. Tuttavia, anche qui, l'attribuzione è dubbia. Infatti, pur negando in generale la finitezza della creazione di Dio, Palingenio afferma la finitezza del mondo materiale chiuso e circondato dalle sfere celesti. Perciò, come osserva conclusivamente Koyré, “E‟ il cielo di Dio, e non il suo mondo, che Palingenio afferma essere infinito” (op. cit., p. 28). L'inglese Digges sostituisce il diagramma copernicano del mondo con un altro, nel quale le stelle sono disposte sull'intera pagina, sia sopra che sotto la linea con la quale Copernico rappresenta la ultima sphaera mundi. Ma poiché egli considera l'orbe delle stelle fisse come la “Corte dell'immenso Iddio”, il suo extra-cosmo, più che un cielo astronomico, sembra avere le caratteristiche di un firmamento teologico (come già avveniva in Palingenio). I casi di questi due autori, se da un lato mostrano come i tempi fossero ormai maturi per una svolta, dall'altro lato rivelano il tentennamento degli intelletti di fronte all'esplicita affermazione dell'apertura e infinità del mondo. In realtà, come scrive Lovejoy (La grande catena dell‟essere, Feltrinelli, 1966), per quanto gli elementi della nuova cosmografia potessero aver già posto le loro radici in talune menti, è soltanto “Giordano Bruno che deve considerarsi come il rappresentante principale della dottrina di un universo decentrato, infinito ed infinitamente popolato poiché non solo egli predicò questa dottrina per l'Occidente d'Europa col fervore di un evangelista, ma diede anche per primo una compiuta enunciazione dei motivi grazie ai quali essa sarebbe stata poi accettata dal grosso pubblico”. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 38 Cosmologia 5.8 Giordano Bruno (Nola, 1548 - Roma, 1600) Vita e opere "D'ogni legge nemico e d'ogni fede": durante un gioco di società il giovane Giordano Bruno ricevette in sorte questo verso dell'Ariosto come previsione di un'avventura intellettuale che fece della sua vita il simbolo della critica ad ogni istituzione, della battaglia per la libertà di pensiero. Narra la leggenda che lo stesso filosofo amasse ricordare l'evento compiacendosi per la veridicità della profezia. Giordano Bruno nacque nel 1548 a Nola, in Campania, da una famiglia di modeste condizioni. Il padre, Giovanni, era un militare di professione e la madre, Fraulissa Savolino apparteneva ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Gli fu imposto il nome di battesimo di Filippo. Compiti i primi studi nella città natale, da lui molto amata e spesso ricordata anche nei lavori della maturità, nel 1562 si trasferì a Napoli dove frequentò gli studi superiori e seguì lezioni private e pubbliche di dialettica, logica e mnemotecnica presso l'Università. Entrò giovanissimo nell'ordine dei domenicani (1565) all'interno del quale si distinse subito per la spregiudicatezza intellettuale, attirando su di sé il sospetto di eresia. Riuscì comunque, nel 1572, a divenire lettore di teologia. Nello stesso periodo, andava approfondendo i suoi studi di filosofia e religione: dopo essere divenuto un profondo conoscitore dell'aristotelismo scolastico, si rivolse a quello "scientifico" dei grandi commentari arabi, soprattutto quelli di Averroé, che lo avevano lasciato del tutto insoddisfatto. Ne nacque una profonda avversione per l'aristotelismo tutto, che, sul versante teologico, lo spinse a studiare i testi, allora proibiti, di Erasmo da Rotterdam e, su quello naturalistico, ad avvicinarsi alle tesi neoplatoniche di Marsilio Ficino. Il suo rapporto con la religione era stato sin dall'inizio contrastato: insofferente alla crescente somma di miti e superstizioni che contaminavano la fede cristiana, egli vagheggiò a lungo un ritorno alla purezza del messaggio evangelico. Si dice che nella sua cella avesse eliminato ogni immagine di santi, ammettendo solo la presenza di un crocifisso. Fu proprio questo suo atteggiamento a procurargli un processo per eresia, probabilmente causato dalla denuncia di un confratello, preoccupato per le letture tutt'altro che ortodosse del frate nolano: gli scritti del sensista Bernardino Telesio, quelli del mago Paracelso, i testi ermetici e quelli, ancor più empi, del materialista Lucrezio. Temendo per al gravità delle accuse, Bruno lasciò il convento: fuggì prima a Roma e in altre città italiane, poi all'estero. Ginevra, Parigi, Oxford, Londra, Praga, Francoforte, Zurigo, lo accolsero nelle proprie università, nelle quali le lezioni infiammate di Bruno provocano aspre critiche e accesi entusiasmi. Dopo aver pubblicato i suoi testi in latino - rivolti esclusivamente ai dotti - e i non meno importanti dialoghi italiani, Bruno, su invito del patrizio veneziano Mocenigo, si recò a Venezia, dove fu prontamente arrestato dall'Inquisizione e inviato in carcere a Roma (1592). Di fronte al tribunale che istituì il celebre processo, difese appassionatamente la libertà del suo pensiero rispetto ad ogni verità rivelata. Affermò di non essersi mai espresso come teologo, ma "fondandomi solamente nelle raggioni filosofiche". Rifiutata sdegnosamente la richiesta di abiura, "stette nella sua maledetta ostinazione" sino al rogo, consumato in Piazza Campo de' Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, di fronte ad una folla che lo vide "morire martire e volentieri". Fra le opere più significative di Giordano Bruno ricordiamo "Le ombre delle idee" (1582), nella quale viene affermata l'assoluta corrispondenza tra le strutture del mondo sensibile e quelle del pensiero; i dialoghi italiani - "Della causa, principio et uno", "De l'infinito, universo e mondi", "Cena de le ceneri" - detti "metafisici" perché hanno per oggetto i principi che stanno alla base di tutte le conoscenze; i dialoghi morali "Lo spaccio della bestia trionfante" (1584), "De gli eroici furori" (1585) - in cui Bruno contrappone alle religioni positive una sorta di religione della natura che vede nell' universo una manifestazione divina. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 39 Cosmologia Astronomia e filosofia in Bruno Riprendendo Lucrezio (il cui manoscritto De Rerum Natura, scoperto nel 1417, aveva contribuito a diffondere le idee dell'atomismo antico) e forzando in maniera creativa Cusano, Bruno giunge ad una nuova visione dell'universo, che, si badi bene. non deriva da osservazioni astronomiche o calcoli matematici, in cui il filosofo fu poco versato e tecnicamente poco competente, bensì da una intuizione di fondo del suo pensiero – quella circa l'infinità dell'universo – alimentata dal copernicanesimo. L'idea che l'astronomo polacco fa balenare dinnanzi alla fervida immaginazione di Bruno, dando corpo alla sua preesistente intuizione dell'infinito, è la seguente: Se la terra è un pianeta che gira attorno al sole, le stelle che si vedono nelle notti serene 'e che gli antichi immaginarono attaccate all'ultima parete del mondo, non potrebbero essere tutte, o almeno in gran parte, immobili soli circondati dai rispettivi pianeti? Per cui l'universo, anziché essere composto da un sistema unico, il nostro, non potrebbe ospitare in sé un numero illimitato di stelle-soli, disseminate nei vasti spazi del firmamento e centri di rispettivi mondi? Di fronte a questi interrogativi Bruno, pur ammettendo che “non è chi l'abbia osservato” (De l'infinito universo et mondi), conclude razionalmente che “Sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che similmente circuiscono quei soli, come veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vicino” (ivi). Tuttavia questa convinzione, sebbene tragga la sua forza dal copernicanesimo, di cui il filosofo vuole sprigionare tutta la portata rivoluzionaria, viene immediatamente trasportata dal piano astronomico a quello metafisico. Infatti, nella mente vulcanica di Bruno immaginazione, astronomia e filosofia formano un tutt'uno, da cui scaturisce la medesima conclusione dell'infinità dell'universo, che viene dedotta dal principio teologico, già presente nell'ultima Scolastica, secondo cui il mondo, avendo la sua causa in un Essere infinito, deve per forza essere infinito. In altre parole, la creazione, per essere perfetta e degna del Creatore, dev'essere, essa stessa, infinita e straripante di vita. Da questa asserzione-chiave Bruno deriva il nuovo quadro dell'universo. Le tesi cosmologiche rivoluzionarie Possiamo sintetizzare le tesi di Bruno sull‟infinità e la composizione dell‟universo in cinque punti: 1) Abbattimento delle mura esterne dell’universo; ovvero la distruzione dell‟idea secolare dei “confini” del mondo, cui lo stesso Copernico era rimasto fedele, parlando dell‟ “ultima sphaera mundi”. Gli uomini, vivendo in città cintate, hanno immaginato anche il cosmo cintato. Bruno, con l‟entusiasmo del prigioniero che vede cadere le pareti del suo carcere, grida che le fantastiche muraglie celesti non esistono, poiché l‟universo è aperto in ogni direzione, e le stelle sono disperse in uno spazio senza fine. 2) Pluralità dei mondi e loro abitabilità; ossia il concetto di una pluralità illimitata di sistemi solari, che Bruno ritiene popolati da creature viventi, senzienti e razionali. Sono abitati tanto i pianeti del nostro mondo, quanto le costellazioni più lontane o gli abissi più remoti dell‟universo. Anzi, nel terzo dialogo del “De l‟infinito universo et mundi”, afferma che alcuni di questi mondi sono certamente più belli del nostro e con abitanti di gran lunga migliori della razza terrestre. Il presupposto teologico-filosofico che persuade Bruno circa la verità delle sue tesi è sempre lo stesso: “Così si magnifica l‟eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza dell‟imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli: non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti” (ivi, epistola dedicatoria) 3) Unificazione del cosmo; ovvero il superamento del dualismo astronomico tolemaico (mondo sopralunare e sublunare), con l‟unificazione del cosmo in una sola, immensa regione. Bruno dice infatti che Tolomeo si sbaglia nell‟affermare l‟esistenza di una parte più nobile del cosmo e di una meno nobile, poiché procedendo tutto dall‟unica mente e dall‟unica volontà di Dio, resta preclusa ogni discriminazione gerarchica fra le varie zone del creato. 4) Geometrizzazione dello spazio cosmico; si considera lo spazio come qualcosa di unico ed omogeneo, simile a sé stesso in tutte le sue parti. “Uno è il loco generale, uno il spacio immenso che chiamar possiamo liberamente vacuo”. Bruno accetta la disposizione dei pianeti di Copernico, ma la fissa all‟interno del vuoto infinito di Democrito e Lucrezio, un immenso contenitore di etere, che alloggia le cose. Si passa così dallo spazio finito e gerarchico di Aristotele, allo spazio infinito ed omogeneo di Euclide. Se infinito, l‟universo è anche acentrico, poiché in esso non esiste alcun punto assoluto di riferimento, essendo i riferimenti sempre relativi tra astro e astro. "Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto centro, o che il centro de l'universo è per tutto; e che la circonferenza non è in parte alcuna, per quanto è differente dal centro; o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella." (De l‟infinito universo et mundi) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 40 Cosmologia 5) Infinità dell’universo; idea prediletta di Bruno, quella che lo infiamma di un‟ebbrezza filosofica che lo riempie d‟entusiasmo e di passione, portandolo a ritenere l‟universo un Senza-limiti dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme… "Io dico l'universo tutto infinito, perché non ha margine, termine, né superficie. Dico l'universo non essere totalmente infinito, perché ciascuna parte che di quello possiamo prendere è finita, e de' mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da se esclude ogni termine, ed ogni suo attributo è uno e infinito. E dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente." (De l‟infinito universo et mundi) “La terza mostra il modo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinita la mole de l'universo, e che invano si cerca il centro o la circonferenza del mondo universale, come fusse un de' corpi particulari.” (La Cena de le ceneri, terzo dialogo) “Non è ragione alcuna, che, senza un certo fine ed occasione urgente, gli astri innumerabili, che son tanti mondi, anco maggiori che questo, abbino sì violenta relazione a questo unico. Non è raggione, che ne faccia dir più tosto trepidar il polo, nutar l'asse del mondo, cespitar gli cardini de l'universo, e sì innumerabili, più grandi e più magnifici globi, ch'esser possono, scuotersi, svoltarsi, ritorcersi, rappezzarsi, e, al dispetto de la natura, squartarsi in tanto, che la terra cossì malamente, come possono dimostrare i sottili optici e geometri, venghi ad ottener il mezzo, come quel corpo che solo è grave e freddo; il qual però non si può provar dissimile a qualsivoglia altro, che riluce nel firmamento, tanto nella sustanza e materia, quanto nel modo della situazione: perché, se questo corpo può esser vagheggiato da questo aria, nel quale è fisso, e quelli possono parimente esser vagheggiati da quello, che le circonda; se quelli da per se stessi, come da propria anima e natura possono, dividendo l'aria, circuire qualche mezzo, e questo niente meno…” (La Cena de le ceneri, quinto dialogo) Dal “De immenso et innumerabilibus” “lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina” Dal “De l’infinito, universo et mundi” “lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina” La “fredda” accoglienza delle tesi bruniane Bruno, partendo da intuizioni extrascientifiche, è approdato a risultati rivoluzionari, proiettati verso la scienza del futuro. Spetterà ai nuovi scienziati, dimostrare con la sperimentazione, la veridicità delle tesi bruniane. Ma se oggi possiamo apprezzare la concezione di Bruno per la sua “ispirata poesia”, ai suoi tempi apparve soltanto come il frutto di una mente esaltata. Anche i più grandi astronomi del tempo (Brahe, Keplero e Galileo) respinsero in parte o totalmente la pluralità dei mondi e l‟infinità dell‟universo, sia perché non erano state formulate seguendo un metodo scientifico, sia perché risultavano troppo rivoluzionarie. Keplero, ad esempio, negava la molteplicità dei mondi, ritenendo l‟universo qualcosa di unico e provvidenzialisticamente creato per l‟uomo ed i suoi bisogni. Galileo invece preferì non entrare proprio nella discussione, per non rendere più difficile la sua battaglia contro gli aristotelici. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 41 Cosmologia 5.9 Conseguenze La crisi profonda che Copernico prima e Bruno poi hanno fatto esplodere nel campo della visione generale del mondo può essere significativamente rappresentata dalle parole che l'astronomo polacco, in un dialogo di Giacomo Leopardi, intitolato Il Copernico (1827), rivolge al sole: “Voglio dire in sostanza, che il fatto nostro non sarà così semplicemente materiale, come pare a prima vista debba essere; e che gli effetti suoi non apparterranno alla fisica solamente: perché esso sconvolgerà i gradi della dignità delle cose, e l'ordine degli enti; scambierà i fini delle creature; e pertanto farà un grandissimo sconvolgimento anche nella metafisica, anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno o vorranno discorrere sanamente, si troveranno essere tutt'altra roba da quello che son stati fin qui, o che si hanno immaginato di essere”. 5.9.1 La replica religiosa Copernico e Bruno avevano esplicitamente negato il geocentrismo, dando numerose possibilità ai loro avversari di appellarsi alle Sacre Scritture. “Una generazione và e una generazione viene / eppure la Terra rimane sempre al suo posto” (Ecclesiaste, I, 4-5). “Fermati, o Sole, su Gabaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon” (Giosuè, X, 12). “Sulle sue basi fondasti la terra, / e starà immota negli evi degli evi” (Salmi, 104). In generale venivano contraddette palesemente quell‟insieme di credenze astronomiche che Dante aveva reso famigliari con la Divina Commedia. La reazione dei religiosi protestanti fu immediata, attraverso le parole di Lutero (vedi § 5.4) e di Melantone. La reazione dei cattolici invece, fu all‟inizio assente. Forse perché la Chiesa aveva problemi più gravi nel fermare il dilagare dell‟eresia protestante, o forse perché non si era resa conto, in un primo momento, della pericolosità delle nuove teorie. Soltanto con Bruno, la Chiesa riconoscerà il carattere rivoluzionario del suo pensiero, mettendo al rogo il suo autore e processando il collega Galilei. In particolare, la teoria di una pluralità di mondi abitati tendeva a suscitare delle difficoltà in relazione al principale tra tutti i dogmi: l'Incarnazione. Infatti se “l'intero commovente dramma dell'Incarnazione e Redenzione sembrava evidentemente presupporre un solo mondo abitato” (Lovejoy) come doveva essere interpretato, adesso, tale dogma? Si doveva forse presupporre, come si chiederà più tardi Thomas Paine, che “ogni mondo nella creazione infinita, avesse un'Eva, una mela, un serpente e/un Redentore?” (L'età della Ragione, 1794). La seconda persona della Trinità si era dunque incarnata di volta in volta su infiniti pianeti? Oppure gli ipotetici abitatori di altre plaghe dell'universo non avevano avuto bisogno di redenzione? Ma allora come poteva il loro cristianesimo coincidere con il nostro? Vi erano dunque tanti cristianesimi quanti i mondi? E inoltre non si era sempre detto, Bibbia alla mano, che i cieli sono stati fatti per l'uomo? Quindi se l'ipotesi della molteplicità e abitabilità dei mondi era esatta, alcune verità bibliche dovevano per forza essere abbandonate o essere interpretate in altro modo. Ma non si era sempre proclamato, e non era stato solennemente ribadito da parte del Concilio di Trento, che la “parola di Dio”, depositata nelle Scritture, aveva un unico, preciso e immutabile significato? Questa serie di interrogativi, od altri analoghi, che lo storico moderno è portato talora a trascurare, possedevano in realtà, nell'Europa cristiana del tempo, una forte valenza emotiva ed intellettuale, che spiegano resistenze e reazioni del mondo religioso contro i propugnatori di una visione cosmologica che aveva oggettivamente i tratti dell‟eresia e di cui il bruciato vivo Giordano Bruno era il demoniaco emblema. 5.9.2 Il rapporto Uomo – Universo Il copernicanesimo (includendo in questo termine anche le generalizzazioni bruniane) rappresentava dunque, e in modo radicale, ciò che è stata definita l'esperienza della diversità, poiché tramite essa l'uomo, analogamente a quanto era accaduto per le scoperte geografiche, veniva a contatto con una realtà diversa ed imprevista con cui doveva fare i conti, ma che non sapeva facilmente inquadrare e ridurre a qualcosa di già noto. Come l'esistenza di un nuovo continente e l'incontro con altre civiltà o culture aveva disorientato l'umanità europea, che si era trovata di fronte a tutta una serie di problemi teologici e filosofici relativi ai selvaggi, così, a maggior ragione, di fronte alla perdita del loro tradizionale posto nell'universo, gli individui si sentirono spaesati e diversi di fronte a loro stessi, scoprendo di essere, dice Leopardi, “tutt'altra roba” da 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 42 Cosmologia quello che avevano immaginato di rappresentare nel cosmo. Da ciò il trauma del nuovo e la caduta di certezze che investì, sia pure a diversi livelli di intensità, non solo la religione e la filosofia, ma anche la letteratura e la mentalità comune. Tipica, in questo senso, è la voce del poeta inglese Donne (1573-1631), che nella sua Anatomia del mondo (1611) scrive: ... la nuova filosofia pone tutto in dubbio L'elemento del fuoco è affatto spento; Si sono persi il sole e la terra, né ingegno d'uomo Può bene indirizzare a dove cercarli E allorché gli uomini cercano tanti nuovi mondi tra i pianeti e nel firmamento Confessano liberamente che questo mondo è finito; S'accorgono allora che questo s'è di nuovo polverizzato nei suoi atomi Tutto è in pezzi, ogni coerenza se n'è andata, Ogni giusto supporto e ogni relazione». Una lunga tradizione ha schematizzato il nuovo stato d'animo formatosi in seguito alla Rivoluzione astronomica con la nota tesi secondo cui il sistema tolemaico esaltava l'uomo, mentre quello copernicano lo umiliava. Ma se ciò fosse totalmente vero, non si spiegherebbe l'ebbrezza di Bruno nell'annunciare la nuova cosmologia. In verità la cosmografia geocentrica conteneva sia aspetti atti ad innalzare l'uomo, sia aspetti atti ad abbassarlo. Infatti quando si dice che il geocentrismo celebrava l'uomo, si dimentica che stare al centro del mondo, soprattutto per la mentalità medioevale, non era affatto, da un certo punto di vista, un motivo di onore. La terra era infatti la zona più lontana dall'Empireo e costituiva il fondo della creazione, tant'è vero che il sistema geocentrico, a voler essere precisi, era piuttosto “diabolocentrico”, cioè avente nel suo centro spaziale l'Inferno. Ed è in questo senso che Montaigne, esprimendo il punto di vista della vecchia astronomia, definiva la terra “lordura e melma del mondo” e Voltaire, ironico e frizzante come al solito, “la toilette dell'universo”. Queste puntualizzazioni non comportano tuttavia l'affrettata conclusione che la vecchia cosmologia servisse piuttosto a deprimere l'uomo, anziché ad inorgoglirlo. Infatti nell'astronomia pre-copernicana, soprattutto in quella medioevale, vi erano pur sempre altri elementi che potevano dare all'uomo un elevato senso della sua importanza nel cosmo. La Bibbia sosteneva ad esempio che i cieli erano stati creati per la terra e la terra per l'uomo (= finalismo antropocentrico). Sede dell'unico abitante razionale dell'universo, la terra era anche al centro degli avvenimenti più importanti del creato “al punto che una sola naturale follia d'una coppia ingenua, in Mesopotamia, poteva aver costretto con le sue conseguenze una delle persone della divinità ad assumere corpo umano e a morire sulla terra per la salvezza dell'uomo” (Lovejoy). Ora, se la distruzione del dualismo astronomico tolemaico e delle muraglie cosmiche poteva suggerire la promozione della terra a nobile astro dei cieli (Cusano e Bruno), giustificando l'euforia e i furori del filosofo di Nola, l'idea della molteplicità dei mondi e dell'infinità dell'universo poteva proporre l'immagine della terra come di un punto insignificante perduto nell'immensità del Tutto. Da questo punto di vista la voce più eloquente ed esistenzialmente significativa rimane quella di Pascal, che nei suoi Pensieri riesce a comunicare tutto il senso di angoscia, mistero, solitudine e piccolezza provato da certi intelletti di fronte all'idea di un universo infinito: “Vedo quegli spaventosi spazi dell'universo che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di quest'immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove... L'uomo, ritornato a sé, consideri quel che' è in confronto a quel che esiste. Si veda come sperduto in questo remoto angolo della natura; e da quest'angusta prigione dove si trova, intendo dire l'universo, impari a stimare al giusto valore la terra, i reami, le città e se stesso. Che cos'è un uomo nell'infinito?”. Del resto, già Keplero, parlando dell'infinito, aveva scritto che “... questo solo pensiero porta seco non so qual occulto orrore” (La nuova stella, 1606). 5.9.3 Dal rifiuto all’accettazione L'interpretazione religiosa del copernicanesimo Eppure, nonostante reazioni e scossoni vari, la nuova cosmologia finì per affermarsi, tant'è vero che dalla fine del Seicento divenne quasi “di moda”. Ciò non accadde certo grazie alla scienza, che per lungo tempo non possedette adeguati strumenti di verifica del nuovo quadro cosmologico. Per uno dei tanti paradossi di cui è piena la storia, quella visione, che aveva suscitato odio e disprezzo per Bruno, finì per affermarsi proprio grazie agli argomenti teologici già delineati dal Nolano. Infatti, l'angoscia cosmica e le difficoltà religiose furono superate in virtù dell'idea secondo cui un universo infinito risultava più “adatto” a rispecchiare l'infinita potenza di Dio. Se i cieli e la terra narrano la gloria del loro Creatore, che cosa meglio 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 43 Cosmologia di un cosmo infinito si prestava a celebrarla e magnificarla in tutta la sua grandezza? Tramite l'opera di filosofi, scrittori e poeti tale convinzione finì per radicarsi nella mentalità comune e per costituire l'asso vincente dei fautori della nuova astronomia. Dal filosofo neoplatonico Henry More (1614-1687), convinto assertore della cosmologia infinitistica, a Bernard Le Bovier de Fontenelle, il cui libro Entretiens sur la pluralité des mondes (1686) ha forse contribuito più di ogni altro a diffondere il nuovo schema astronomico presso le persone di media cultura, sino al poeta inglese Edward Young e ai suoi Night Thoughts (Pensieri notturni, 1745), troviamo continuamente ripetuto, in prosa e in versi, il medesimo concetto: l'immensità del creato è la più visibile testimonianza dell'Essere infinito che l'ha prodotto. L'eresia bruniana si era dunque capovolta in convincente ortodossia, spianando la strada, grazie a questo avvenuto recupero teologico delle tesi cosmografiche rivoluzionarie, al suo completo assorbimento nella cultura ufficiale. Si noti tuttavia come la Chiesa, nonostante tutto ciò, abbia continuato per circa due secoli a diffidare del copernicanesimo (nel 1757 venne ritirata la condanna contro gli scritti copernicani, nel 1822 venne permessa la stampa dei libri insegnanti il moto della Terra e nel 1835 venne tolto l'indice al De Revolutionibus). Ciò costituisce un ulteriore documento del carattere intellettualmente «traumatico» della rivoluzione astronomica moderna. L'interpretazione non-religiosa del copernicanesimo Nonostante l'avvenuto recupero religioso ed ottimistico della cosmologia moderna, nel pensiero europeo troviamo anche un altro filone, indirizzato a vedere nel copernicanesimo un simbolo non addomesticabile della caduta delle sicurezze metafisiche degli antichi e dei medioevali, ossia come la forma più radicale di quel disincantamento del mondo che per Weber è tipico dell'uomo moderno. A questo proposito si potrebbero citare due voci diversissime fra di loro ma a loro modo convergenti: Leopardi e Freud. Leopardi ha visto nel copernicanesimo una sorta di simbolo astronomico del fatto che la realtà non è finalisticamente disposta all'uomo, come invece favoleggiarono per lungo tempo gli antichi, che ritenevano questo granel di sabbia che è la terra, al centro dell'attenzione dei celesti. “Quando egli (l‟uomo) considerando la pluralità dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo ch‟è minima parte d‟uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza” (12 agosto 1823, Zibaldone) Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle, Cui di lontan fa specchio Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vòto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense, in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo ove l'uomo è nulla, Sconosciuto è del tutto; e quando miro Quegli ancor più senz'alcun fin remoti Nodi quasi di stelle, Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo E non la terra sol, ma tutte in uno, Del numero infinite e della mole, Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle O sono ignote, o così paion come Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio Che sembri allora, o prole Dell'uomo? E rimembrando Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte, Che te signora e fine Credi tu data al Tutto, e quante volte Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro Granel di sabbia, il qual di terra ha nome, Per tua cagion, dell'universa cose Scender gli autori, e conversar sovente Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi Sogni rinnovellando, ai saggi insulta Fin la presente età, che in conoscenza Ed in civil costume Sembra tutte avanzar; qual moto allora, Mortal prole infelice, o qual pensiero Verso te finalmente il cor m'assale? Non so se il riso o la pietà prevale. (Leopardi, La Ginestra, vv. 158-201) In questa strofa, appartenente alla poesia-sintesi del pensiero leopardiano, la voce del poeta ripiega in un colloquio interiore, suscitato dalla contemplazione del paesaggio e destinato a sfociare in una più profonda meditazione dell‟infinito. Ma rispetto al dolce smarrimento del “naufragar” del piccolo idillio “L‟infinito”, la vertigine cosmica trasmessa dall‟immensità dell‟universo accompagna qui una consapevolezza prima di tutto razionale. Alla ricerca del piacevole “indefinito” è subentrata infatti un‟attitudine più filosofica, per cui la percezione della propria nullità serve a negare definitivamente l‟antica supposizione della signoria dell‟uomo sull‟universo. Freud ha visto nel sistema tolemaico “un'illusione narcisistica”, cioè la proiezione, a livello cosmico, dell'amore infantile che l'uomo nutre per sé e che le metafisiche hanno contribuito ad alimentare, nel copernicanesimo, la prima grande umiliazione universale alla nostra specie (la seconda sarebbe quella del materialismo storico, il quale ha svelato, al di là dei paraventi ideali, i moventi economici della storia; la terza quella di Darwin, che ha accorciato le distanze fra l'uomo e il mondo animale; la quarta quella della psicoanalisi stessa, che ha mostrato come l'io dell'uomo non sia affatto il sovrano incontrastato della psiche, essendo per lo più manovrato da forze emotive ed inconsce). 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 44 Cosmologia 6 L’UNIVERSO GEOMETRICO "Per più di un secolo, attraverso le Tavole rodolfine, gli astronomi poterono calcolare con sufficiente esattezza le posizioni della Terra e dei vari pianeti intorno al Sole". (G. Abetti) "Durante tutta la sua vita egli si riferì alla pertinenza del ruolo che Copernico aveva attribuito al Sole con i toni entusiastici del neoplatonismo rinascimentale" (Th. S. Kuhn) "La convinzione di una struttura del mondo matematicamente definibile, che trovava la sua formulazione teologica nella credenza che nella creazione del mondo Dio fosse guidato da considerazioni matematiche, l'irremovibile certezza che la semplicità matematica si identifichi con l'armonia e con la bellezza, e infine l'utilizzazione della sorprendente circostanza che esistono esattamente cinque poliedri che soddisfano le più alte esigenze di regolarità e che devono pertanto avere necessariamente qualcosa a che fare con la struttura dell'universo: questi sono tutti sintomi inequivocabili della concezione del mondo pitagoricoplatonica, che appare qui più viva che mai. Era qui lo stile di pensiero del Timeo, che, dopo aver sedato il dominio dell'aristotelismo attraverso tutto il Medioevo in una tradizione continua, sebbene talvolta invisibile, prendeva nuovamente piede". (E.J. Dijksterhuis) 6.1 Vita ed opere di Johannes Kepler (Würtenberg, 1571- Ratisbona, 1630) Johannes Kepler nacque a Würtenberg il 27 dicembre del 1571, quasi un secolo dopo Copernico. Da ragazzo, per la sua malferma salute, fu avviato alla carriera ecclesiastica e nel seminario dell'Università di Tubinga si appassionò ai problemi astronomici. Si sentì subito attratto dalle teorie copernicane, che difese appassionatamente in pubbliche dispute. Ciò gli precluse la possibilità di continuare gli studi ecclesiastici e lo portò ad accettare, nel 1594, un modesto posto di insegnante di matematica a Graz. Nel 1596 pubblicò il “Mysterium Cosmographicum”, un'opera giovanile nella quale dimostrava che le distenze ineguali tra le sei orbite planetarie potevano essere determinate da cinque poliedri regolari. Quest'opera lo rese famoso e gli procurò l'amicizia di Tycho Brahe, allora matematico della corte imperiale di Praga. Nel 1600 Keplero fu espulso dalla Stiria perché protestante; lasciò Graz stabilendosi a Praga nel gennaio di quell'anno. Tycho gli offrì un posto come suo assistente, incaricandogli di rifare il calcolo dell'orbita di Marte, ma l'unione non doveva essere facile per Keplero dal punto di vista umano poiché, come egli stesso nota, Tycho era un uomo con il quale non si poteva vivere senza esporsi ai più grandi insulti. Dopo la morte di Tycho (1601) l'imperatore Rodolfo II lo nominò matematico di corte. Sul suo letto di morte Tycho implorò Keplero di non dimenticare il sistema che egli stesso aveva difeso, secondo cui il Sole gira attorno alla Terra e tutti gli altri pianeti si muovono attorno al Sole. Keplero promise che non lo avrebbe dimenticato e, sebbene fosse consapevole che tale sistema era di poco diverso da quello Copernicano, nei lavori successivi tenne fede a questa promessa. Senza il prezioso frutto delle osservazioni di Tycho, Keplero molto difficilmente avrebbe potuto determinare la vera natura delle orbite planetarie. Keplero arrivò a maturare l'ipotesi che le orbite potessero non essere circolari come si era sempre creduto. Enunciò quindi la sua prima legge che descrive la forma ellittica dell'orbita dei pianeti e poté elaborare la seconda legge che descrive le velocità del pianeta lungo la sua orbita ellittica. I risultati di questi studi, pubblicati nel 1609 (De motibus stellae Martis) furono poi estesi a tutti gli altri pianeti (Epitome astronomiae copernicanae). Alla morte dell'imperatore Rodolfo II (1612), Keplero insegnò matematica a Linz fino al 1626. In questo periodo, entusiasmato dalla scoperta del telescopio, si dedicò allo studio dell'ottica esponendo fra le altre cose, nella sua opera Dioptrica, il processo visivo dell'occhio e il fenomeno della rifrazione nell'atmosfera. Sempre in questo periodo (1618) pubblicò la sua opera preferita: Harmonices mundi, nella quale, oltre ad esporre la sua terza legge, metteva in relazione le leggi armoniche dei suoni con i movimenti dei pianeti. Nel 1626 fu costretto a lasciare l'Austria a causa delle persecuzioni contro i protestanti. Visse a Ulma, a Sagan e infine a Ratisbona, conducendo una vita difficile, piena di amarezze e di dolori. Nel 1627 pubblicò le Tabulae Rudolphinae, le nuove tavole fondamentali dei pianeti basate sul moto ellittico ed eliocentrico. Keplero dedicò l‟opera alla memoria di Tycho Brahe, per gratitudine al suo "difficile" maestro. Morì nel 1630 a Ratisbona. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 45 Cosmologia 6.2 Prima soluzione: l’universo poliedrico Al contrario del suo maestro T. Brahe, Keplero credeva molto nelle teorie di Copernico e al tempo stesso pensava che la natura fosse ordinata da regole matematiche che lo scienziato ha il compito di scoprire, un‟idea sostanzialmente platonica e pitagorica. Dato che Keplero credeva nella creazione divina del mondo, Dio diventa un matematico, che si serve di regole geometriche per porre ordine nel mondo. D‟altra parte, in accordo con lo spirito del tempo, non rinuncia a considerare i rapporti tra scienza e astrologia: attraverso i calcoli astrologici cerca negli eventi della sua stessa vita una verifica della teoria dell‟influsso dei corpi celesti. Perviene così a una prima soluzione (1596), in cui collega le sue riflessioni a convinzioni che gli vengono dalla tradizione (Pitagora e Copernico). Al centro del mondo starebbe il Sole, immagine di Dio Padre, dal quale deriverebbe luce, calore e vita. Il numero dei pianeti e la loro disposizione intorno al Sole obbedirebbero ad una precisa legge di armonia geometrica. Ci sono cinque solidi regolari possibili, i cosiddetti “corpi platonici” e ci sono solo cinque intervalli fra i sei pianeti che egli conosce. Secondo i calcoli di Keplero i cinque solidi regolari possono essere collocati tra le sfere dei pianeti in modo che ciascuno sia inscritto nella stessa sfera a cui era circoscritto il pianeta prossimo più esterno, secondo lo schema seguente: Sfera di Saturno Sfera di Giove Sfera di Marte Sfera della Terra Sfera di Venere Sfera di Mercurio Cubo Tetraedro Dodecaedro Icosaedro Ottaedro L‟universo poliedrico in una raffigurazione dello stesso Keplero (Mysterium Cosmographicum, 1596) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 46 Cosmologia 6.3 Seconda soluzione: le orbite ellittiche Tuttavia Keplero scopre ben presto di essersi sbagliato nel valutare la distanza dei pianeti dal centro della loro orbita e la struttura unitaria del sistema non può essere conservata. Malgrado il fallimento del suo primo tentativo, Keplero continua a ricercare la costituzione di un‟astronomia in cui le ipotesi siano sostituite da principi matematici dimostrabili. Esamina i rapporti tra le distanze dei pianeti e i loro tempi di rivoluzione intorno al Sole e gli appare chiaro che siccome i pianeti esterni si muovono troppo lentamente, quei tempi non sono proporzionali alla distanza. Egli suppone l‟esistenza di un intelletto motore all‟interno del sole che muove tutte le cose intorno a sé, ma soprattutto le più vicine, indebolendosi invece per le più distanti, a causa del diminuire della sua influenza. Quindi si dedica allo studio delle coniche. L‟idea delle parabole con due fuochi, uno dei quali all‟infinito, gli permette di avvicinarsi alla soluzione del problema. Fin dal 1604 Keplero si interessa alle sezioni coniche, che egli preferisce considerare come distribuite in cinque specie, tutte appartenenti ad un‟unica famiglia. Keplero formula per le coniche il principio di continuità. Dalla sezione conica formata da due rette che si intersecano, nella quale i due fuochi coincidono con il punto di intersezione, si passa gradualmente attraverso un numero infinito di iperbole via via che un fuoco si allontana sempre di più dall‟altro. Quando un fuoco è infinitamente lontano, non si ha più iperbole a due rami ma la parabola. Quando il fuoco, continuando a muoversi, passa al di là dell‟infinito e torna ad avvicinarsi dall‟altra parte, si passa attraverso un numero infinito di ellissi, fino a che, quando i fuochi tornano a coincidere, si raggiunge il cerchio. 6.4 Le tre leggi Prima legge (Astronomia nova, 1609) I pianeti si muovono intorno al Sole in orbite ellittiche e non circolari, aventi il Sole in uno dei fuochi. Keplero scoprì che, ovunque fosse il pianeta (P) nella sua orbita, si poteva ottenere in ogni momento la sua distanza dal Sole (F) per mezzo della seguente relazione: Ora, questa è la relazione per un punto di una ellisse avente il Sole in uno dei due fuochi. Il valore e rappresenta l'eccentricità dell'orbita cioè il rapporto FO/OL. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 47 Cosmologia L’ellisse L'ellisse è il luogo geometrico dei punti del piano, tali che la somma delle loro distanze da due punti fissi F' e F'' detti fuochi, è costante, cioè per qualsiasi punto P che appartiene all'ellisse, la somma delle lunghezze PF'+PF'' risulta sempre uguale. KL è l'asse maggiore, RS l'asse minore. O è il centro dell'ellisse. Se si fissano come assi cartesiani la retta che passa per i fuochi (asse delle x) e la perpendicolare ad essa che passa per il centro (asse delle y), l'equazione dell'ellisse è: dove a e b sono rispettivamente il semiasse maggiore (OL) e il semiasse minore (OR). Inoltre si ha: 2 2 c = √a – b dove c è la semidistanza focale OF''. L'eccentricità e di un'ellisse (e=c/a) è un valore minore di 1. Se la semidistanza focale è nulla (c=0), significa che i semiassi sono uguali (a=b) e quindi si ottiene una circonferenza di raggio r=a=b. Maggiore è l'eccentricità (e si avvicina a 1) tanto più "schiacciata" apparirà la forma dell'ellisse. Seconda legge (Astronomia nova, 1609) Il raggio vettore che congiunge un pianeta con il Sole copre aree uguali in tempi uguali. La velocità di ciascun pianeta lungo la sua orbita non è uniforme, ma cambia a seconda della sua posizione: il pianeta sarà più veloce nei pressi del perielio e più lento nei pressi dell'afelio. Nella simulazione, le aree rosse rappresentano tratti di orbita percorsi nello stesso intervallo di tempo e quindi sono uguali. Terza legge (Epitome astronomiae, 1618) Il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è lo stesso per tutti i pianeti. Dove P1 e P2 sono periodi di rivoluzione di due pianeti e a1 e a2 sono i semiassi maggiori delle loro orbite. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 48 Cosmologia 6.5 Il Sole come causa dei movimenti planetari Misticismo, matematica, astronomia e fisica – scrive il Dijksterhuis – sono strettamente, anzi inestricabilmente associati nella mente di Keplero. Nelle Armonie del mondo, egli parla di una frenesia divina e di un rapimento ineffabile nella contemplazione delle celesti armonie. E proprio nelle Armonie del mondo Keplero mostra più che altrove la sua fede nelle armonie, nell'ordine matematico della natura: e in questa armonia il Sole svolge un ruolo fondamentale. Nel quarto capitolo dell'Astronomia nova Keplero descrive il Sole come il corpo «che appare il solo adatto in virtù della sua dignità e potenza [a muovere i pianeti nelle loro orbite], e degno di diventare la dimora di Dio stesso, per non dire il primo motore». E nell'Epitome astronomiae copernicanae leggiamo ancora: «Il sole è il corpo più bello; è, in qualche modo, l'occhio del mondo. In quanto fonte della luce o lanterna risplendente, adorna, dipinge e abbellisce gli altri corpi del mondo [...]. Per quanto riguarda il calore, il Sole è il focolare del mondo al quale si riscaldano i globi nello spazio intermedio [ ... ] . Per quanto riguarda il moto, il Sole è la causa prima del moto dei pianeti, il primo motore dell'universo, a causa del suo stesso corpo [...]». C'è in Keplero una metafisica del Sole. I pianeti non si muovono più di moto naturale circolare; essi percorrono ellissi; e, dunque, da che cosa sono mossi? Ebbene, essi sono mossi da una forza motrice come quella magnetica, una forza emanata dal Sole. Siamo di fronte ad un'intuizione metafisica riguardante il mondo fisico, stando alla quale i pianeti percorrono le loro orbite spinti dai raggi di un'anima motrix che scaturiscono dal Sole. Questi raggi, pensava Keplero, agiscono sul pianeta; ma l'orbita del pianeta è ellittica; per questo i raggi dell'anima motrix che cadono su un pianeta a distanza doppia dal sole saranno la metà, e di conseguenza la velocità del pianeta risulterà dimezzata nei confronti della velocità orbitale da esso posseduta quando è più vicino al Sole. Keplero, insomma, suppose che «vi fosse nel Sole un intelletto motore capace di muovere tutte le cose intorno a sé, ma soprattutto le più vicine, indebolendosi invece per le più distanti a motivo dell'attenuarsi della sua influenza, dato che aumentano le distanze». La figura a lato chiarisce graficamente l'idea di Keplero. E, dunque, la "fede" neo-platonica a condurre Keplero alla sua seconda legge: egli credeva in una struttura matematica e semplice dell'universo e che il Sole fosse causa di tutti i fenomeni fisici. E su quest'ultima convinzione (influenzato anche dalla lettura del De Magnete che il medico inglese William Gilbert (15401603) aveva pubblicato nel 1600) Keplero abbozza appunto una teoria magnetica del sistema planetario. Egli parla della forza con cui la Terra attrae un corpo, e nell'introduzione all'Astronomia nova parla anche di una reciproca attrazione. E nelle note al suo Somnium (steso tra il 1620 e il 1630), egli attribuisce le maree «ai corpi del Sole e della Luna che attraggono le acque del mare con una certa forza simile a quella magnetica». Qualcuno ha voluto vedere in queste idee l'anticipazione della teoria gravitazionale di Newton. Con ogni verosimiglianza, le cose non stanno così. Certo è, però, che la sistemazione matematica del sistema copernicano e il passaggio dal moto circolare ("naturale" e "perfetto") a quello ellittico, poneva problemi che Keplero ha avvertito, enucleato e tentato di risolvere. Si tratta di problemi che, insieme ai risultati acquisiti, Keplero lasciava in eredità alla generazione che seguiva. Keplero scompare nel 1630, Galileo muore agli inizi del 1642. E in questo stesso anno nasceva a Woolsthorpe, nella contea di Lincoln, in Inghilterra, Isaac Newton, l'uomo che, raccogliendo i risultati ottenuti da Keplero e Galilei, era destinato a risolvere i problemi da loro lasciati aperti e a dare così alla fisica quell'assetto che noi conosciamo col nome di "fisica classica". 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 49 Cosmologia 7 DALLA FILOSOFIA ALLA SCIENZA Vincenzo Viviani, 8 gennaio 1642: “Con filosofica e cristiana costanza rese l‟anima al suo Creatore, inviandosi questa, per quanto creder ne giova, a godere e rimirar più d‟appresso quelle eterne e immutabili meraviglie, che per mezzo di fragile artifizio con tanta avidità e impazienza ella aveva procurato di avvicinare agl‟occhi di noi mortali” 7.1 Vita ed opere di Galileo Galilei (Pisa, 1564 – Firenze, 1642) 1564: Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio da Vincenzo e Giulia Ammannati. Il padre era una personalità eminente come musicologo e socio della "Camerata de‟ Bardi" 1581: Studia medicina all‟università di Pisa per obbedire al padre, ma la sua maggiore attenzione è rivolta agli studi di matematica e fisica. 1590: Ottiene la cattedra di matematica presso l‟università di Pisa. Scopre le leggi dell‟isocronismo del pendolo (osservando le oscillazioni di una lampada conservata nel Duomo della città). 1609: Costruisce, su modello olandese, un cannocchiale con cui inizia a scrutare i moti dei pianeti, scoprendo così i crateri i e le montagne della Luna. 1610: Scopre i 4 satelliti di Giove che denomina "Pianeti Medicei". Pubblica il "Sidereus Nuncius". Nello stesso anno è nominato primario matematico e filosofo del granduca Cosimo II. 1615: Lettera di Galilei a Benedetto Castelli (suo allievo e successore sulla cattedra di matematica a Pisa) dove Galilei, non tanto si difende personalmente dagli attacchi dei gesuiti del Collegio Romano, quanto afferma vigorosamente l‟indipendenza della Scienza dalla Fede. Egli proclama il massimo rispetto per l‟autorità religiosa delle Sacre Scritture, ma respinge energicamente ogni confusione fra ciò che è di materia di Fede e quello che è verità scientifica, prodotto di Ragione. Tale lettera, di cui copia autenticata giunge al S.Uffizio, gli procura una denuncia per eresia. 1616 febbraio 23: Il S. Uffizio condanna la teoria copernicana. Il cardinale Bellarmino ingiunge a Galilei di non professare né pubblicamente né privatamente tale dottrina. 1623: Esce il "Saggiatore", in cui Galilei polemizza col gesuita Orazio Grassi sull‟origine delle comete (le tesi del Grassi risultarono più prossime al veri di quelle di Galilei). Nello stesso anno viene eletto al soglio pontificio Maffeo Barberini, papa Urbano VIII, da cui Galilei si attende tolleranza per le teorie copernicane, riprende così a sostenere il copernicanesimo. 1632: Scrive il "Dialogo dei massimi sistemi", dove delinea i principi aristotelici del METODO SPERIMENTALE. 1633: Processo e condanna del S. Uffizio. Viene portato davanti agli strumenti di tortura, ma non sottoposto a tormenti. Decide di ritrattare le sue idee. Viene confinato ad Arcetri dove continua studi e ricerche. 1642: Muore ad Arcetri Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564 da Giulia Ammannati e Vincenzio Galilei, entrambi appartenenti alla media borghesia. Vincenzio, nato a Firenze nel 1520, ex liutista ed ex insegnante di musica, in passato era entrato in conflitto con la tradizione classica che attribuiva la consonanza tra tutti i suoni al controllo delle proporzioni numeriche ed aveva proposto idee proprie al riguardo. Era quindi ferrato in matematica, ma, intuendo le difficoltà pratiche che la professione di matematico presentava, spinse il figlio a studiare medicina proprio come un loro avo, quel Galileo Bonaiuti che nel XV secolo si era distinto nell'esercizio dell'arte medica ed in onore del quale un ramo della famiglia aveva preso il nome di Galilei. Galileo compì i primi studi di retorica, grammatica e logica nel monastero camaldolese di Vallombrosa ed entrò a far parte dell'ordine come novizio. La decisione non poté che contrariare Vincenzio, il quale, nutrendo appunto ben altri progetti per il figlio, lo fece tornare a Pisa e lo fece iscrivere a Medicina. I corsi della facoltà vertevano su Galeno e sui libri di scienza naturale di Aristotele, che costituirono i principali oggetti di critica da parte del giovane Galileo, sempre più attratto dalla matematica e dalla filosofia e sempre meno produttivo in veste di studente di medicina. Nel 1583 vi fu il suo incontro con Ostilio Ricci, un matematico probabile allievo di Tartaglia. Ricci era aggregato alla corte di Toscana e teneva le sue lezioni in volgare, come in volgare era scritto il testo di Euclide su cui basava i suoi corsi. Si trattava infatti della traduzione che ne aveva fatta lo stesso Niccolò Tartaglia, il quale, a differenza delle versioni latine, aveva chiarito la discrepanza esistente tra la teoria delle proporzioni di Eudosso e quella dell'aritmetica medievale, un chiarimento che si rivelò fondamentale per la formazione di Galileo. Le sue 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 50 Cosmologia prime indagini nel campo della fisica lo portarono, tra l'83 e l'86, a determinare il peso specifico dei corpi tramite un congegno chiamato 'bilancetta', simile ad un utensile già in uso presso i mercanti orafi. Nell'88 diede anche una prova della propria erudizione letteraria con delle lezioni su Dante tenute presso l'Accademia fiorentina. Nell'89, nonostante non si fosse laureato, grazie alla stima ed alla fama che si era guadagnato presso certe frange del mondo accademico ottenne la cattedra di Matematica all'Università di Pisa, un lavoro che gli assicurò l'indipendenza economica dal padre. A Pisa Galileo rimase 3 anni, durante i quali scoprì la legge di caduta dei gravi. Ma il periodo più sereno e fruttuoso della sua vita lo passò come insegnante di matematica presso l'Università di Padova, dove si trasferì nel 1592 e dove rimase per 18 anni. Qui continuò i suoi studi di meccanica e di astronomia, nell'ambito della quale abbracciò la teoria copernicana. Dal 1609 cominciò a perfezionare ed usare il cannocchiale come strumento per le osservazioni astronomiche. Il cannocchiale non era un'invenzione di Galileo (artigiani olandesi e italiani ne avevano già approntati diversi tipi) ma i miglioramenti che lo scienziato vi apportò inaugurarono l'epoca delle grandi scoperte astronomiche, di cui lo stesso Galilei diede annuncio nel Sidereus Nuncius (Ragguaglio astronomico) del 1610. I 4 maggiori satelliti di Giove, le montagne ed i crateri della Luna, le macchie solari, furono fenomeni fino ad allora sconosciuti che destarono meraviglia ed ammirazione tanto nel mondo accademico (Keplero riconobbe e confermò l'importanza delle scoperte di Galilei), quanto in certo ambiente politico (Cosimo dé Medici lo nominò matematico dello studio di Pisa), ma anche ostruzionismo ed astio da parte delle gerarchie ecclesiastiche (in particolare del cardinale Bellarmino) e degli aristotelici. Nel 1616 il Sant'Uffizio mise all'indice sia la cosmologia copernicana, sia le opere di Galileo, il quale venne convocato a Roma per giustificare le sue opinioni. Qui il suo tentativo di difendere le concezioni astronomiche copernicane (e le proprie) in quanto inoffensive nei confronti della Bibbia, venne respinto e lo scienziato fu intimato a non professarle più. Galileo continuò tuttavia ad approfondire ed ampliare i suoi studi e, nel 1623, compose in volgare il Saggiatore, nel quale polemizzava con il padre gesuita Orazio Grassi riguardo alla natura delle comete e a problemi di ordine metodologico. Sempre nel '23 salì al soglio pontificio Urbano VIII, un Barberini che si era dimostrato disponibile nei suoi confronti, tanto che proprio all'ex cardinale, spirito illuminato ed aperto ai discorsi scientifici, Galileo aveva dedicato il Saggiatore. Nel 1632 pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, un testo fondamentale per la scienza moderna in cui Galileo, sotto un'apparente neutralità, dava risalto all'astronomia copernicana a discapito di quella tolemaica. A causa dell'influenza di alcuni padri gesuiti, Urbano VIII ebbe allora un'involuzione e, nel 1633, Galileo venne processato e condannato al carcere a vita dal Sant'Uffizio, una pena da cui poté salvarsi solo abiurando le sue teorie. Il carcere a vita fu così commutato in isolamento, che Galileo scontò prima nel palazzo dell'Arcivescovado di Siena e poi nella sua villa di Arcetri. Morì a Firenze l'8 gennaio 1642, circondato da pochi allievi e nella quasi totale cecità. Galileo Galilei è stato formalmente assolto dall'accusa di eresia solo nel 1992, trecentocinquanta anni dopo la sua morte. 7.2 Scoperte tecnologiche Bilancia idrostatica Un tempo, i metalli preziosi venivano pesati sia in aria che immergendoli in acqua, per determinarne la gravità specifica (cioè il peso relativo ad un pari volume di acqua. All'età' di 22 anni, Galileo scrisse un piccolo trattato nel quale proponeva un metodo per rendere più precisa e quantitativa la misura, progettando un dispositivo detto bilancetta o bilancia idrostatica. Essa era costituita da un dispositivo a leva. Il braccio all'estremità' del quale andava fissato il contrappeso era avvolto in un filo metallico. Lo spostamento del contrappeso poteva essere determinato molto accuratamente contando il numero di spire del filo metallico lungo le quali si spostava. Galileo costruì la bilancetta solo molti anni più tardi, nel 1608. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 51 Cosmologia Termoscopio All'inizio del diciassettesimo secolo, non c'era alcun metodo per quantificare il calore di un corpo. Molti studiosi dell'epoca sapevano che l'aria si espande quando viene riscaldata. Il termoscopio fu ideato da Galileo all'inizio del 1600 ed era costituito da una piccola fiaschetta con il collo lungo e sottile, piena d'aria, posto a testa in giù entro una vasca piena d'acqua. Quando la fiaschetta veniva riscaldata, l'aria al suo interno si espandeva, e il livello dell'acqua nel collo scendeva, mentre quando l'aria si raffreddava, il suo volume decresceva e l'acqua saliva dalla vaschetta lungo il collo del fiasco. Negli anni successivi, il dispositivo venne perfezionato da Galileo e dai suoi amici Santorio Santorio e Gianfrancesco Sagredo, per includervi una scala numerica: si ebbe così il primo termometro ad aria. Contemporaneamente ed indipendentemente, altri studiosi europei misero a punto analoghi dispositivi. Si passò poi, intorno al 1630, ai termometri riempiti di liquido, ma fu solo nel diciannovesimo secolo che venne stabilita una scala universale di temperature, sulla base di alcune temperature base (quella di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione dell'acqua) da parte di D.G. Fahrenheit e A. Celsius. Telescopio Il telescopio e' stato uno degli strumenti più importanti nella rivoluzione scientifica del 1600, ed ebbe un ruolo di primo piano nell'affermarsi del sistema copernicano. Le proprietà che certi oggetti trasparenti hanno di aumentare e ridurre le dimensioni delle immagini erano note sin dall'antichità', ma solo alla fine del 1200 le lenti si diffusero in Europa. Esse venivano utilizzate come occhiali, per correggere i difetti della vista. Anche se forse era gia conosciuto in precedenza, il telescopio comparve per la prima volta nel 1608 in Olanda, dove venne presentata richiesta di brevetto da parte di H. Lipperhey e di J. Metius. Esso ingrandiva le immagini di un fattore tre o quattro. La notizia della sua invenzione si diffuse presto in tutta Europa, dove venne costruito ed utilizzato nel 1609 da vari scienziati per le osservazioni astronomiche. Galileo non fu dunque ne' l'inventore del telescopio, ne' il primo ad usarlo per questo scopo, tuttavia fu lui che compì le prime scoperte fondamentali di astronomia e che rese famoso lo strumento; egli costruì un telescopio ad otto ingrandimenti e lo presentò al Senato di Venezia nell'agosto del 1609. Più tardi, con uno strumento ancora più perfezionato, a 20 ingrandimenti, osservò la Luna e scoprì i satelliti di Giove. In seguito, altri studiosi costruirono strumenti altrettanto potenti e compirono osservazioni indipendenti, come quelle delle macchie solari . Un tipico telescopio galileiano, detto anche "cannocchiale", come quello usato dallo scienziato per osservare i satelliti di Giove, e' composto da due tubi, infilati uno dentro l'altro e alle cui estremità sono inserite due lenti: un obiettivo (cioè la lente che sta verso l'oggetto) piano-convesso, con distanza focale di 75-100 cm, e un oculare (la lente a cui si appoggia l'occhio) pianoconcavo con lunghezza focale di circa 5 cm. Il tubo dell'oculare può essere aggiustato per la messa a fuoco. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 52 Cosmologia 7.3 Scoperte fisiche Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali In quest'opera, scritta tra il 1633 e il 1636, Galileo tratta la resistenza dei materiali e alcuni argomenti di dinamica. L'opera è articolata, come il "Dialogo", in quattro giornate durante le quali gli stessi personaggi (Salviati, Simplicio e Sagredo) discutono di vari argomenti di fisica. Le prime due giornate sono scritte sotto forma di un vero e proprio dialogo, durante il quale vengono presentati incidentalmente molti esperimenti di fisica; nelle ultime due, invece, vengono trattati alcuni teoremi di dinamica con formalismo matematico. In quest'opera, Galileo dimostra la sua abilità nello svelare i paradigmi che stanno alla base dei fenomeni della fisica "quotidiana". Egli confronta per esempio la velocità del suono con quella della luce, il moto di caduta libera dei corpi col moto lungo un piano inclinato, le vibrazioni acustiche con gli intervalli musicali, il moto libero dei corpi con quello forzato (ad esempio quello dei proiettili). Egli cercò sempre di trovare il denominatore comune dei vari fenomeni, abbinando l'intuito per il fenomeno fisico con il rigore della sua descrizione matematica Isocronismo del pendolo Galileo era molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla questione del moto; egli incominciò fin da giovane ad analizzare criticamente la fisica aristotelica che gli era stata insegnata, attraverso la sperimentazione diretta sugli oggetti del proprio studio. Si dice che Galileo intraprese lo studio del moto del pendolo nel 1581, dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di Pisa, città nella quale compì gli studi universitari. Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è indipendente dalla sua ampiezza, fenomeno detto "isocronismo" del pendolo, e cercò di trovare le relazioni tra la lunghezza e il peso del pendolo e il suo periodo. In realtà, un pendolo è strettamente isocrono soltanto se le sue oscillazioni sono di piccola ampiezza, come fu scoperto da Huygens pochi decenni più tardi. Un pendolo poté quindi essere usato come strumento per misurare gli intervalli di tempo, trovando applicazione per esempio in medicina, come misuratore delle pulsazioni cardiache. Molti anni più tardi, nel 1641, Galileo propose l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli orologi, e ne abbozzò un progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo, e l'orologio a pendolo venne costruito solo nel 1657, da Christiaan Huygens. La caduta dei gravi Galileo studiò la fisica aristotelica all'università' di Pisa, ma cominciò subito ad analizzarla criticamente. Mentre gli aristotelici avevano un approccio di tipo qualitativo e filosofico nei confronti del mondo fisico, il quale veniva descritto per categorie e mai sottoposto a verifiche sperimentali, lo scienziato cercò di sviluppare un metodo di indagine quantitativo e matematico. Uno degli oggetti di indagine di Galileo riguardò il moto dei corpi materiali (detti "gravi"), in particolare quello dei corpi in caduta libera. Secondo la fisica aristotelica, il moto di un corpo è determinato dalle forze alle quali è soggetto; per un corpo in caduta, esse sarebbero il suo peso e la resistenza dell'aria. Quindi, secondo questa visione, un corpo lasciato cadere da una determinata altezza raggiungerebbe il suolo tanto più velocemente quanto maggiore è il suo peso. Galileo cominciò ad investigare criticamente questa ipotesi, come fecero prima di lui Giuseppe Moletti e Benedetto Varchi, i quali constatarono che corpi dello stesso materiale ma diverso peso, lasciati cadere dalla stessa altezza, raggiungono il suolo nello stesso tempo. Lo scienziato pensava dapprima che i corpi cadessero con una velocità uniforme caratteristica, che dipendeva non dal loro peso, bensì da una proprietà intrinseca detta “gravità specifica”. Durante gli anni in cui insegnava matematica all'Università' di Pisa (dal 1589 al 1592), egli cominciò ad esporre questa sua prima teoria sul moto dei gravi nel libro "De Motu", che però non pubblicò mai. Nei vent'anni successivi, Galileo accumula ulteriori esperienze e, nonostante non potesse utilizzare la pompa ad aria del Torricelli (per la messa a vuoto degli elementi) arrivò alla conclusione che tutti i corpi nel vuoto (cioè non soggetti alla resistenza dell'aria o di un altro mezzo materiale) cadono con accelerazione uniforme, indipendentemente dal materiale di cui sono composti, dal loro peso o dalla loro forma, e che la distanza che essi percorrono durante la caduta è proporzionale al quadrato del tempo impiegato per percorrerla. Galileo deve ora dimostrare questa sua teoria con la diretta sperimentazione. Molti dicono che Galileo salì in cima alla Torre di Pisa e tentò la dimostrazione, lasciando cadere gravi di ugual materiale ma diverso peso. Si tratta ovviamente di una leggenda, sia perché non è provata storicamente, sia perché sarebbe stato un esperimento basato ancora sull‟esperienza e non su prove scientifiche. Svolge invece il famoso esperimento del piano inclinato. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 53 Cosmologia Il piano inclinato Anche se non esistono documenti relativi a questo esperimento, sappiamo dell‟esistenza di un modellino di piano inclinato, che sarebbe servito a Galileo per dimostrare la sua teoria sulla caduta dei gravi. Galileo doveva misurare gli spazi percorsi da un grave ed il tempo impiegato; deve rendere misurabile le due grandezze e quindi fa avvenire la caduta non in verticale (sarebbe difficilissimo misurarla) ma su un piano inclinato artificialmente creato (maggior lentezza). Costruisce allora un grande apparecchio per riprodurre le esperienze di caduta lungo un piano inclinato. Un canaletto di legno è fissato su di un massiccio telaio triangolare. Il canaletto di legno doveva essere il più liscio possibile per ridurre l' attrito (eliminarlo é impossibile; Galileo vuole renderlo trascurabile). A cavallo del canaletto sono poste cinque staffe recanti altrettante campanelle. Nelle staffe sono imperniati dei martelletti che percuotono le campanelle al passaggio di una biglia nel canaletto. Ad un'estremità dell'apparecchio è appeso un pendolo. Tramite un apposito gancio esso viene posto in oscillazione nel momento in cui la biglia inizia la sua caduta lungo il piano. Posizionando convenientemente le campanelle e misurando i tempi tramite le oscillazioni del pendolo è possibile verificare che lo spazio percorso dalla biglia è proporzionale al quadrato del tempo di caduta. Anche se le misurazioni erano alquanto imprecise, Galileo riesce a constatare che il teorema (non l' ipotesi della velocità proporzionale al tempo) dello spazio percorso proporzionale al quadrato dei tempi é vero: in un secondo la biglia avrà percorso una distanza x; in due secondi una distanza x elevata a potenza, e così via. Galileo ritiene di poter dire che se il teorema é stato verificato, era vera anche l‟ipotesi; “se la conseguenza é vera, allora anche la premessa é vera” dice Galileo. Ma secondo i sillogismi aristotelici se la conseguenza é vera non é detto che anche la premessa sia vera (le rane sono vegetali, i vegetali sono verdi quindi le rane sono verdi: la conseguenza é giusta, ma la premessa no ! ). In effetti in logica é un grave errore credere che da conseguenza vera derivi premessa vera ; ma Galileo opera in ambito matematico: nelle espressioni algebriche, per esempio, guardando il risultato finale che spesso i libri danno si può capire se l' espressione é stata svolta correttamente ; però si può arrivare al risultato anche con procedimenti sbagliati ( ed é la critica logica che si muove a Galileo ): ma in matematica ( a differenza della logica ) le probabilità di arrivare a un risultato giusto svolgendo scorrettamente i calcoli sono bassissime; e lo stesso vale per Galileo: avendo a che fare con quantità, é praticamente nulla la possibilità che si arrivi al giusto partendo dallo sbagliato. Dalla verifica del teorema che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi impiegati posso quindi argomentare la veridicità dell' ipotesi che la velocità é proporzionale al tempo. Principio d’inerzia Sempre lavorando sul piano inclinato, Galileo osservò che mettendo sul canaletto una biglia di bronzo lanciata ad una certa velocità, se lanciata in salita andrà progressivamente diminuendo di velocità; viceversa, lanciata alla stessa velocità in discesa avrà un progressivo aumento di velocità. Chiaramente si accorse di come la accelerazione (se mandata in discesa) e la decelerazione (se mandata in salita) fossero tanto maggiori o minori a seconda dell' inclinazione del piano. Con il classico processo di estrapolazione (ricavare un dato sconosciuto tramite dati conosciuti) arrivò ad ipotizzare che in assenza assoluta di declinazione o inclinazione del piano (ossia in assenza di un fattore di disturbo che intervenga) la biglia dovrebbe proseguire all' infinito nel moto in cui la si mette. E' un esperimento mentale e non verificabile concretamente in primis perché ci vorrebbe un piano infinito per dire che la biglia prosegue in quel moto all' infinito ; e poi occorrerebbe un piano con attrito zero. Immaginando però un piano infinito e con attrito zero, allora si può capire come la biglia proseguirebbe a rotolare all' infinito. Concluse dicendo: “… se si impartisce a un corpo una velocità, questa sarà rigidamente mantenuta fintanto che non interverranno cause di accelerazione o decelerazione, condizione approssimativamente raggiunta solo su piani orizzontali su cui la forza d‟attrito è stata resa minima”. Ma questo enunciato è ancora incompleto, in quanto non è stato preso in considerazione il sistema di riferimento dell‟osservatore che studia il moto. Galileo affrontò questo problema per smantellare la concezione aristotelica secondo cui lo stato naturale di un corpo è lo stato di quiete rispetto alla Terra, la quale costituisce il centro dell‟universo e rappresenta quindi un sistema di riferimento assoluto, privilegiato, a cui riferire tutti i moti dei corpi. Egli riuscì a dimostrare che, se un dato fenomeno si verifica con certe caratteristiche sulla Terra, si ripeterà tale e quale anche rispetto ad un sistema di riferimento in movimento rispetto alla Terra. Per la corretta definizione della legge d‟inerzia, rimando al paragrafo 8.2 di Newton. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 54 Cosmologia Dal Dialogo sui massimi sistemi: “Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coperta di alcun gran naviglio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; slavi anche un grande vaso d'acqua e dentrovi dei pescetti; sospendasi anche in alto qualche secchiello, che goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza: i pesci si vedranno andar nuotando indifferentemente; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze siano eguali; e saltando voi, come si dice, a pie' giunti, eguali spazi passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, perché niun dubbio mentre il vascello sia fermo non debban succedere così, fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante qua e là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazi che prima, né perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso poppa che verso prua, benché nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorre verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso la poppa, che se voi foste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché mentre la gocciola è in aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la susseguente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i loro voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accadrà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che fossero stracche di tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lacrima d'incenso si farà un poco di fumo vedrassi ascendere in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte” Moto dei proiettili Nel "Dialogo intorno a Due Nuove Scienze", Galileo affronta il problema del moto dei proiettili. Prima di Galileo, si credeva che un corpo lanciato in direzione orizzontale, per esempio un proiettile sparato da un cannone, si muovesse in direzione orizzontale fino a quando non perdeva il suo "impeto", dopodiché cadeva verso terra, seguendo una traiettoria curvilinea che però non era ancora conosciuta. Galileo si accorse, durante lo studio del moto dei proiettili, che essi non sono soggetti soltanto alla forza che li spinge in direzione orizzontale, bensì anche alla forza di gravità, che li attira verso il basso. La prima componente agisce come una forza inerziale, nel senso che il corpo ad essa soggetto percorre una distanza in orizzontale che è proporzionale al tempo impiegato per percorrerla. La seconda invece provoca un moto uniformemente accelerato, cioè la distanza percorsa in verticale è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerla. Galileo dimostrò che la combinazione dei due moti orizzontale e verticale risulta nel moto del proiettile lungo un arco di parabola. La teoria delle maree Galileo cercò di spiegare il fenomeno delle maree non tramite l'influenza gravitazionale della Luna, dato che la teoria della gravitazione universale non era stata ancora formulata, bensì in modo puramente dinamico, nell'ambito della teoria copernicana del moto degli astri. Allo stesso modo in cui il moto dell'acqua all'interno di un vaso è condizionato dal moto del vaso stesso, così il moto degli oceani, secondo l'interpretazione galileiana, sarebbe condizionato dal moto della Terra. Secondo lo scienziato, nel suo moto combinato di rotazione e rivoluzione, la Terra sarebbe soggetta a rallentamenti ed accelerazioni periodiche del proprio moto di rotazione, con periodo di 12 ore. A causa della propria inerzia, i mari si solleverebbero perché "lasciati indietro" dalla Terra sottostante o viceversa. Questa teoria non è corretta: la causa reale delle maree è l'attrazione gravitazionale della Luna sulla Terra. Tuttavia, anche se a volte fu in errore, Galileo cercò di spiegare per mezzo dell'osservazione e della matematica i fenomeni osservati in natura, al posto di accettare l'interpretazione aprioristica della filosofia aristotelica. Questo rappresentò un passo avanti nella costruzione della scienza moderna. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 55 Cosmologia Il moto della Terra Galileo sviluppa tutta una serie di argomentazioni per dimostrare la possibilità del moto della Terra. Si propone di vedere se, nei corpi separati dalla Terra, si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale egualmente competa a tutti. Per determinare se la Terra si muova, è necessario ritrovare, per così dire, un‟immagine negativa di tale moto in tutti gli altri corpi dell‟universo. Un moto comune a tutti i corpi esterni alla Terra è la rotazione diurna, ossia quel moto apparente della volta celeste in virtù del quale tutti i corpi celesti compiono una rotazione da est a ovest in ventiquattro ore. Tale moto sarà, dunque, un‟apparenza, un‟immagine negativa della rotazione della Terra da ovest a est. E‟ praticamente dimostrato che un eventuale moto non influisce sul comportamento dei corpi che ne fanno parte, o che una tale influenza, se esiste, è pressoché insensibile; in secondo luogo l‟intenzione di Galileo è quella di far vedere che il moto diurno della Terra può considerarsi, in pratica, un moto inerziale, anche se sul nostro pianeta il solo piano veramente orizzontale è la superficie sferica. E‟ evidente come Galileo sfruttava le sue scoperte nel campo della dinamica, per dimostrare le sue teorie cosmologiche. Oggi sappiamo che è impossibile spiegare il moto dei corpi celesti con le leggi che governano la natura del nostro pianeta, ma diamo atto a Galileo di aver almeno provato a dare una qualche spiegazione scientifica alle sue teorie. Queste sue importanti intuizioni in campo astronomico, serviranno a Newton per formulare la legge di gravitazione universale. 7.4 Scoperte astronomiche Sidereus Nuncius In quest'opera, pubblicata nel marzo del 1610, Galileo descrisse la scoperta di 4 satelliti di Giove al cannocchiale; egli notò dapprima tre e poi quattro "stelline" vicino al pianeta, che sembrano seguirlo nel suo moto e che si spostano l'una rispetto all'altra. "Adi' 7 di gennaio 1610 Giove si vedeva col cannone (il cannocchiale) con 3 stelle fisse, delle quali senza il cannone niuna si vedeva". Non potendosi trattare, per questo motivo, di stelle fisse, l'unica conclusione possibile era che fossero dei satelliti di Giove: "...quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra...". Questa conclusione rappresentò una prova a sfavore della cosmologia tolemaica, che non ammetteva altro centro del moto oltre alla Terra, centro delle sfere celesti. L'astronomo volle dedicare la scoperta a Cosimo II de' Medici, allora Granduca di Toscana, com'e' scritto anche sul frontespizio dell'opera. “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l‟universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne‟ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola” (Il Saggiatore) Le comete Il primo fenomeno celeste che attrae la sua attenzione è probabilmente la cometa del 1577, mentre viene a conoscenza dell‟ipotesi copernicana il 5 settembre 1581 allo Studio di Pisa, se non prima. L‟attività di Galileo come astronomo inizia nel 1604, quando appare, nella costellazione del Serpentario, un nuovo corpo luminoso. Egli dimostra che non possiede un parallasse, cioè non si notano variazioni della sua posizione apparente nel firmamento, da qualunque punto lo si osservi. Il parallasse decresce col crescere della distanza e, ai tempi di Galileo, mentre quello dei pianeti è ben conosciuto, il parallasse delle stelle fisse è tanto piccolo, a causa della loro enorme distanza, da non poter essere rilevato con gli strumenti di misurazione dell‟epoca. Di conseguenza, il nuovo corpo celeste deve trovarsi nella remota regione delle stelle fisse, in quella zona esterna cioè, che Aristotele e la sua scuola avevano considerato come assolutamente immutabile. Fino ad allora si era ritenuto che le nuove stelle, come le meteore e le comete, si trovassero nelle meno elevate e meno perfette regioni dell‟universo, cioè in quelle più vicine alla Terra. Tycho Brahe dimostra che la nuova stella è al di là della Luna e Galileo gli succede nella lotta contro l‟idea di incorruttibilità e immutabilità dell‟universo, portando un colpo alla saldezza dello schema aristotelico. La luna Una volta costruito il telescopio, Galileo osservò come prima cosa la Luna; in particolare vide l' alba e il tramonto sulla Luna: osservò la metà chiara (quando vediamo la “mezzaluna “) e la metà scura e si accorse che laddove terminava la parte chiara c' erano puntini scuri e laddove terminava la parte scura c' erano puntini chiari: interpretò questa cosa in 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 56 Cosmologia modo corretto, come l' alba e il tramonto: quando sorge il Sole sulla Terra le prime cose illuminate sono le montagne; quando ancora su tutto il resto regna il buio, sulle vette delle montagne arriva già il sole; viceversa, quando tramonta il sole, prima arriva il buio sulle montagne e poi arriva anche su tutto il resto. Le chiazze scure nella parte chiara e le chiazze chiare nella parte scura della Luna erano quindi delle montagne: anche sulla Luna, quindi, ci sono le montagne come sulla Terra. Questa osservazione é estremamente importante perché fa cadere definitivamente l'idea di matrice aristotelica dell' eterogeneità tra mondo sublunare (il nostro, costituito dai 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco) e mondo celeste (quello al di sopra del nostro, costituito dall' etere, un materiale incorruttibile): la Luna, per definizione, doveva essere perfettamente sferica, priva di irregolarità per poter imitare la perfezione divina. Invece quello che vedeva Galileo era che la Luna, come la Terra, era fatta di materiale irregolare ed imperfetto; qualche anno prima anche Giordano Bruno, non per vie scientifiche, bensì per vie metafisiche, era arrivato allo stesso risultato. Le fasi di Venere Poi Galileo osserva le fasi di Venere; come la Luna, Venere presenta fasi: vedere le fasi di Venere equivale a vedere la verità del sistema copernicano perché di fatto esse testimoniano che Venere gira intorno al Sole e non alla Terra. Se l' osservazione della Luna fa cadere la diversità tra mondo terrestre e mondo sublunare, l' osservazione delle fasi di Venere fa vedere che quella di Copernico non era un' ipotesi matematica come quella di Tolomeo, ma una verità fisica. A partire da questo momento la Chiesa non può far altro che condannare la teoria copernicana, che pur da 50 anni era stata accettata I satelliti di Giove La terza osservazione che fa Galileo è intorno ai satelliti di Giove: sono un altro indizio a favore del sistema copernicano. All‟astronomo polacco era stato contestato in qualche maniera che il suo sistema cosmologico introduceva in maniera assurda due centri di rotazione (il Sole rispetto ai pianeti, la Terra rispetto alla Luna): se il mondo é finito, come dice Aristotele, come fanno ad esserci due centri? In un mondo finito ci dovrebbe essere un centro solo. Ma Galileo osserva che Giove é centro di rotazione dei suoi satelliti; quindi oltre al Sole, almeno un altro centro di rotazione deve esserci. La Via Lattea Quarta osservazione é quella della Via Lattea (la nostra galassia), la striscia bianca osservabile in cielo: puntando il telescopio vede che in realtà si tratta di stelle e ne deduce che le stelle non possono essere tutte alla stessa distanza, fissate sul cielo delle stelle fisse (come diceva Aristotele), ma che sono disposte in profondità le une rispetto alle altre: anche qui Giordano Bruno era arrivato per primo attraverso la filosofia. Saturno Secondo la cosmologia aristotelica, tutti i corpi celesti erano sferici e perfetti, ma le prime osservazioni di Saturno al telescopio costituirono una vera sorpresa. Dopo aver pubblicato il "Sidereus Nuncius", Galileo continuò ad osservare il cielo al cannocchiale nella speranza di fare nuove scoperte. Nel luglio del 1610, osservò Saturno quando era in opposizione. Il suo strumento non era abbastanza potente per distinguere gli anelli, ed essi gli apparirono come dei rigonfiamenti laterali del pianeta. Egli interpretò così questo aspetto: "....Saturno non è un astro singolo, ma è composto di tre corpi, che quasi si toccano, e non cambiano ne' si muovono l'uno rispetto all'altro, e sono disposti in fila lungo lo zodiaco, e quello centrale è tre volte più grande degli altri due...." Lo scienziato dette così al pianeta il nome di "Saturno tricoeporeo". In seguito, egli osservò anche che i corpi laterali erano scomparsi; infatti, durante il moto di Saturno nella sua orbita, il piano degli anelli cambia direzione rispetto alla Terra: quando essi si presentavano di taglio, non potevano essere visti al cannocchiale. In seguito, altri astronomi confermarono lo strano aspetto di Saturno e le sue variazione, ma fu solo nel 1659 che l'astronomo Christiaan Huygens lo spiegò con la presenza di un anello attorno al pianeta. Le macchie solari Le macchie solari sono regioni scure, di forma irregolare e variabile, sulla superficie del Sole. Sono visibili anche ad occhio nudo, sebbene l'osservazione diretta del Sole sia molto pericolosa. Le prime osservazioni delle macchie solari ad occhio nudo sono dovute ai Cinesi e risalgono almeno al 28 a.C. mentre il fenomeno non è noto in Occidente. Il loro studio sistematico cominciò subito dopo l'introduzione del telescopio in astronomia, da parte di Galileo, nel 1609. Lo scienziato compì una delle prime osservazioni delle macchie, insieme a Thomas Herriot, Johannes e David Fabricius e Christoph Scheiner. Il fatto che il Sole presentasse delle irregolarità sulla sua superficie e che il suo aspetto variasse nel tempo, era anch'esso una prova a sfavore della teoria tolemaica, secondo la quale ogni cosa appartenente al regno celeste era perfetta e immutabile. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 57 Cosmologia Arretratezza delle sue tesi Per alcuni versi Galileo rimane arretrato nel suo pensiero: pur avendo ammesso che i centri di rotazione sono più d' uno egli continua a sostenere la finitezza dell' universo (a differenza di Bruno che dall' idea di due centri di rotazione non aveva esitato a concludere che il mondo fosse infinito); Galileo continua inoltre, rimanendo fedele ad Aristotele, a sostenere che le orbite dei pianeti sono circolari, e non ellittiche (come aveva detto Keplero) o ovali (come aveva detto Brahe). 7.5 Dialogo sopra i due massimi sistemi Datazione, titolo e pubblicazione L‟elezione al pontificato di Urbano VIII nel 1623 fu una svolta molto importante per Galileo. Infatti il pontefice era un grande estimatore di quest‟ultimo. In questo modo Galileo poteva pubblicare libri che la chiesa non avrebbe voluto che pubblicasse. Nel 1624 pubblicò la Lettera A Francesco Ingoli, una risposta in forma di epistola a un intervento contro il moto della Terra recapitatogli nel 1616. Successivamente iniziò a progettare un opera complessiva, in forma di dialogo, in grado di andare contro ai peripatetici ma anche contro le obiezioni nate a riguardo del moto della Terra. L‟opera fu terminata nel gennaio del 1630. Il titolo doveva essere “Dialogo sopra il flusso e il reflusso del mare” per cercare di spiegare il fenomeno fisico delle maree che avrebbe successivamente chiarito il moto della Terra attorno al Sole. Ma per evitare la censura ecclesiastica decise di cambiare parte del proemio e le conclusioni. Inoltre il nuovo titolo fu “Dialogo di Galileo Galilei Linceo, dove ne i congressi di quattro giornate di discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano”. Nel 1632 grazie all‟imprimatur del papa l‟opera venne pubblicata. La scelta di Galileo di utilizzare il dialogo si rivelò una mossa importante sul piano comunicativo. Infatti scrivendo in lingua italiana e non in latino permetteva alla popolazione di comprendere le idee che sosteneva lo scienziato. Anche se questo dialogo riprende una tradizione platonica e rinascimentale, presenta comunque diverse innovazioni. E‟ infatti impostato su tre personaggi, due dei quali rappresentano i due sistemi contrapposti mentre il terzo non specialista contribuisce con osservazioni più colloquiali. In questo modo tende a catturare l‟attenzione di un pubblico più colto attorno ai problemi della nuova scienza. La chiesa, a causa del successo del libro, decise di esaminarlo per vedere se vi erano teorie a favore della teoria eliocentrica. Nel luglio del 1632 arrivò da Roma l‟ordine di sospendere la vendita del libro. Nel gennaio del 1633 Galileo fu costretto ad abiurare alle sue teorie. Struttura ed ambientazione del dialogo I tre personaggi del trattato sono: il nobile fiorentino Salviati, copernicano e appartenente alla cerchia degli amici di Galileo; il nobile veneziano Sagredo, molto vicino a Galileo e rappresentante di quel pubblico curioso ma non specialista; l‟aristotelico Simplicio. Si immagina che i tre personaggi si riuniscano per quattro giornate a Venezia nel palazzo di Sagredo sul Canal Grande, a discutere amichevolmente intorno alle ragioni a favore o contro il sistema eliocentrico. Galileo non fornisce l‟indicazione dell‟argomento principale affrontato in ciascuna di esse. Il colloquio si muove in modo apparentemente casuale con continue digressioni. Le quattro giornate La prima giornata si apre con una critica da parte di Salviati sul valore che gli aristotelici avevano attribuito al numero tre. Questo è solo un pretesto per criticare tutta la fisica aristotelica e soprattutto la distinzione fra Terra corruttibile e i corpi celesti immutabili e perfetti. La seconda giornata si apre con il discorso di Sagredo che, per andare contro alla sicurezza con cui Simplicio si affida agli scrittori del passato, racconta un aneddoto dello studioso di anatomia. Segue una discussione sul tema dell‟autorità del “mondo di carta" contrapposta alle esperienze del “mondo sensibile”. Poi la giornata prosegue con la discussione del moto diurno della Terra attorno al proprio asse. La terza giornata si apre con un invenzione scenica che conferma l‟ironia del Dialogo. Simplicio arriva tardi all‟appuntamento perché la sua gondola si è arenata a causa della bassa marea. Quindi la giornata prosegue trattando il problema delle maree e del moto della Terra attorno al Sole. La quarta giornata è dedicata all‟argomento del flusso e reflusso del mare che Galileo ritiene un elemento probatorio dell‟ipotesi copernicana anche se è Keplero che spiega le maree a causa dell‟influenza lunare. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 58 Cosmologia Contenuti In quest‟opera Galileo riassume tutto il suo pensiero cosmologico e scientifico, un insieme di concetti molto complessi, ma sobri e razionali, in cui si trovano le basi di una nuova disciplina, la dinamica. Nei Massimi Sistemi si propone di dimostrare la verità del sistema copernicano e la prima parte è sostanzialmente un‟analisi critica dei due libri del De Caelo di Aristotele. Lo scienziato introduce anche un concetto di gravitazione vicino a quello copernicano e mette in luce il fatto che la Luna e il Sole non sono inalterabili, ma che anzi la prima presenta numerose somiglianze con la Terra, che diventa un globo mobile e vagante come Giove e Venere. Ammettendo il moto della Terra e situando il Sole al centro dell‟universo, il moto del corpi celesti da oriente a occidente si rivela illusorio. L‟universo acquista una struttura architettonica razionale, mentre nel mondo tolemaico gli orbi planetari non avevano alcun rapporto tra loro. Ai tempi di Galileo, l‟attribuzione del moto diurno alla Terra rappresenta un grande vantaggio rispetto all‟astronomia tradizionale e il principio fondamentale, al fine della spiegazione del moto diurno e di tutti i fenomeni che accadono sulla Terra, è quello della composizione e dell‟indipendenza dei moti. Secondo questo principio un corpo, sollecitato contemporaneamente da due moti diversi, si muove secondo la risultante. In questo modo Galileo abbandona la concezione aristotelico-telemaica sulla gravità. La principale difficoltà contro l‟adozione del moto annuo della Terra, è il fatto che in tal caso si dovrebbe osservare anche qualche mutazione delle stelle fisse. La soluzione che Galileo dà di questo problema, è che l‟orbita della Terra è come un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse, di conseguenza insensibile risulta la sua proiezione sulla sfera. Per Galileo, nel sistema Terra-Luna-Sole, il legame che unisce tra loro i corpi non è un legame “materiale”; questo legame, come oggi sappiamo, è gravitazionale. L‟unica prova certa del moto della Terra è vista da Galileo nel fenomeno delle maree, il quale flusso consiste in una sorta di attrazione che la Luna esercita sull‟acqua mediante una forza derivante da un‟affinità di natura. L‟attrazione lunare tende a conferire al globo fluido una forma ellittica, con l‟asse orientato nella direzione della forza esercitata. Il periodo mensile e quello annuo si spiegano, a loro volta, mediante la posizione della Terra, della Luna e del Sole, nel corso del mese e dell‟anno. Galileo sembra rendersi conto che il legame che unisce i corpi celesti è di natura gravitazionale, ma egli non affronta mai i problemi tecnici dell‟astronomia tradizionale, non elabora una “teoria” planetaria, nemmeno nel caso dei “pianeti medicei” da lui scoperti. Il suo interesse è tutto per l‟astronomia “filosofica”, ossia per la cosmologia. “voi errate, signor Simplicio; voi dovevate dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità.Ma io non vi domando del nome, ma dell'essenza della Cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro... Ma non è che realmente noi intendiamo di più, che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proicente, o chi muova la luna in giro, eccettochè il nome". Linguaggio e stile Lo strumento letterario e l‟uso del volgare potevano consentirgli un‟operazione di politica culturale varia e complessa, come quella da lui tentata. Galileo perseguiva insomma un‟alternativa al latino della Chiesa e delle chiuse accademie dei dotti: un‟alternativa linguistica, letteraria, culturale. Egli si rivolge sia agli ambienti dei letterati e degli intellettuali, sia al mondo dei tecnici per creare un consenso alla sua proposta, anche se sa bene che è decisivo conquistare soprattutto i nobili e trovare un punto accordo con le autorità ecclesiastiche. Sola una prosa letteraria e scientifica, raffinata ed elegante, ma anche precisa e concreta, poteva essere all‟altezza di tale progetto. L‟aiutarono in ciò la formazione culturale fiorentina e i naturali agganci che essa conservava con la tradizione dell‟Umanesimo e di un classicismo moderato. La chiarezza cristallina e la forza argomentativi del ragionamento, unite però a una vivacità che respinge ogni schematica freddezza, esprimono un senso di calma superiorità. Non per nulla Galileo è un maestro dell‟ironia e amava uno scrittore aereo e ironico come Ariosto. L‟uso del dialogo è organico a una concezione processuale e problematica di verità. Quanto alla precisione della prosa galileiana, essa costituisce senza dubbio il primo grande modello di porsa scientifica moderna. Dalla matematica alla scrittura argomentativa, egli deriva quella nettezza espositiva che lo allontana, nonostante qualche occasionale analogia, dalle soluzioni barocche. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 59 Cosmologia 7.6 Contro la Chiesa Dobbiamo innanzitutto dire che Galileo era e si sentiva un buon cristiano e il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa fu ben diverso rispetto a quello di Giordano Bruno. Egli, a differenza del Nolano, é convinto della verità della Chiesa. Fu a partire dal novembre 1612 che la teoria copernicana venne proclamata eresia e anche le posizioni di Galileo vennero attaccate: sostenere l' eliocentrismo significava indubbiamente mettere in discussione la veridicità delle Scritture ; c' é infatti un passo nella Bibbia in cui Giosuè ordina al Sole di fermarsi ; se il Sole deve fermarsi é ovvio che é concepito in movimento ed é però altrettanto ovvio che questo é in contrasto con la teoria copernicana che lo vuole fermo al centro dell' universo. Galileo dovette così intraprendere la difesa delle sue teorie e lo fece in alcune lettere in cui affrontava la questione del rapporto scienza - Scrittura. Le sue sono e rimangono comunque posizioni ortodosse, di rispetto per la Chiesa. Galileo deve riuscire a fondare l' autonomia della ricerca scientifica, sciogliendola dal vincolo delle Scritture: il pensiero di Galileo é pervaso dalla convinzione che scienza e Scrittura abbiano un' unica fonte. Già Agostino, sosteneva che il Logos (intelligenza) fosse l' origine sia della ragione, sia della rivelazione e anche della creazione; riprendendo in parte queste idee di fondo Galileo arriva a dire che scienza e Scrittura hanno un' unica origine, quella divina. In altre parole, ciò che l' uomo scopre nella natura non può essere in contrasto con la rivelazione: il libro della Scrittura e quello della natura finiscono per essere la stessa cosa, quasi come se Dio volesse comunicare con l' uomo tramite la rivelazione e in più tramite tutto ciò che ci circonda: é come se Dio si fosse rivelato a noi parallelamente con questi due libri, quello della Scrittura e quello della natura. Tuttavia risulta incompatibile la contraddizione tra natura e Scrittura nel caso della teoria copernicana, da Galileo sostenuta e dimostrata autentica: la Scrittura dice che il Sole ruota intorno alla Terra, la natura dice invece che é la Terra a girare intorno a lui. Galileo cerca di risolvere il problema sottolineando come gli obiettivi del libro della Scrittura e quelli del libro della natura siano diversi. Il libro della natura ci insegna come é fatto il mondo, il libro della rivelazione (la religione) ci mostra invece come comportarci per ottenere la salvezza dell' anima: il libro della natura è portatore di un messaggio teoretico, quello della Scrittura di un messaggio etico - religioso. Non a caso Galileo ripeteva sempre: “la Scrittura non ci insegna come vada il Cielo, ma come si vada in Cielo ". Essendo diversi gli obiettivi, spiega Galileo, é evidente che la Bibbia per perseguire il suo abbia dovuto adattarsi alla mentalità delle persone dell' epoca per rivelare l' onnipotenza divina: se a quei tempi si pensava che il Sole girasse intorno alla Terra, per mostrare l' onnipotenza di Dio bisognava dire che egli era in grado di fermare il Sole. Non ha un valore teoretico quest' asserzione, ma solo etico: non dice come é il mondo, vuole solo dimostrare come Dio possa fare tutto. D'altronde nella Bibbia ci sono altre espressioni che fanno ben intendere come le finalità siano quelle di mostrare la potenza di Dio e non di spiegare come effettivamente sia il mondo; la figura stessa di Dio nella Scrittura é antropomorfica: si parla dell' occhio di Dio, della mano di Dio: non mi si vuol dire che Dio ha gli occhi o le mani ! La Scrittura arriva perfino a dire che Dio si pente: un pentimento presume un errore, ma é impossibile che Dio commetta errori. Quello della Bibbia, per Galileo, é un messaggio che non va preso alla lettera. Anche il non prendere alla lettera la Bibbia é comunque ortodosso e non va contro la Chiesa: la Bibbia, é risaputo, può essere letta con significati diversi e con diverse interpretazioni, lo faceva notare già Origene. Quindi quando si dice che Dio fa fermare a Giosuè il Sole, si vuole solamente sottolineare l'onnipotenza divina e non la struttura architettonica dell'universo. E' Dio che si é adattato al linguaggio degli uomini di allora ( che non sapevano che il Sole non girasse intorno alla Terra ) per farsi capire. Va senz' altro ricordato che Galileo scrisse le lettere in cui difendeva le sue teorie avvalendosi dell'aiuto di alcuni teologi cristiani, rappresentanti delle fasce più moderne del Cattolicesimo; sfruttò i loro suggerimenti per sostenere le sue posizioni contro la Chiesa più retrograda. Del rapporto di Galileo con la Scrittura ne parla lui stesso: “Se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori in vario modo: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbero non solo diverse contraddizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora ; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e mani e piedi e occhi, e non meno effetti corporali e umani, come d' ira, di pentimento, d' odio, e anco talvolta l' obblivione delle cose passate e l' ignoranza delle future... Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi é non 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 60 Cosmologia solamente capace, ma necessariamente bisognosa d' esposizioni diverse dall' apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell' ultimo luogo ". Nonostante Galileo si sia difeso correttamente e abbia dimostrato di non essere un eretico, la Chiesa continuò ad essergli ostile. Dobbiamo ricordarci che siamo nel pieno della Controriforma: dopo l' affermarsi del Protestantesimo e poi del Calvinismo, la Chiesa rispose alla Riforma luterana con una Controriforma, sostenendo sempre e comunque le stesse posizioni. In questo clima di riforme dottrinali, la Chiesa cattolica interpretò l‟operato di Galileo come un‟applicazione in campo filosofico della teoria religiosa propugnata da Lutero sul libero esame, secondo cui ognuno é libero di esaminare e di interpretare le Sacre Scritture da sé. Insomma, Galileo non si cura eccessivamente dei limiti teorici, molto precisi, imposti da papa Urbano VIII, ritenendo appunto che non valessero per il campo scientifico. Il Dialogo sui Massimi Sistemi da lui scritto incontra ben presto seri ostacoli per la pubblicazione; alla sua prima apparizione in pubblico, suscita l‟entusiasmo dei galileiani. Al contrario, i Gesuiti intuiscono subito il profondo significato culturale che prevale sugli stessi meriti scientifici dell‟opera e scatenano polemiche destinate a vincere ogni resistenza da parte del papa che, se dapprima era a favore dello scienziato, ora si sente tradito e diventa suo avversario. Nell‟ottobre del 1632 Galileo è convocato dall‟Inquisizione a Roma; nei lunghi mesi del processo, motivi teologici e culturali s‟intrecciano con la necessità della Chiesa di riaffermare pubblicamente la politica controriformista verso ogni eresia. Il pontefice rimane turbato dalle violente accuse formulate contro di lui, per aver favorito, con la sua politica antiasburgica, gli eretici protestanti, privilegiando il fattore politico rispetto ai vitali interessi religiosi della Chiesa cattolica e al suo impegno nella lotta all‟eresia. La condanna di Galileo diviene inevitabile. Il 22 giugno 1633, inginocchiato dinanzi alla “congregazione di solenne adunanza”, lo scienziato, ormai settantenne, pronuncia, dopo la lettura della condanna, la sua pubblica abiura. Seguono anni di lunghe meditazioni, nel quale Galileo porta a termine i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze; in questo testo, che i teologi stranamente non condannano, benché non siano meno copernicani dei Massimi Sistemi, la scienza moderna galileiana appare ormai come un fatto compiuto; nell‟opera si trova il suo nuovo universo governato da quelle precise leggi dinamiche che lo scienziato aveva così abilmente ricavato. La condanna del 1633 ...Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell'avvenire et essempio all'altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.° Off.° ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze. Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potemo e dovemo. Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti. L’abiura “Io Galileo figlio di Vincenzo Galileo di Firenze, dell‟età mia d‟anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la Repubblica Cristiana contro l‟eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl‟occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l‟aiuto di Dio crederò per l‟avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa […] E giuro che per l‟avvenire non dirò mai più, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa avere di me simil sospizione; Ma se conoscerò alcun eretico e che sia sospetto di eresia lo denonziarò a questo Santo Offizio, o vero all‟Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.” 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 61 Cosmologia 7.7 Contro gli Aristotelici Spesso si dice che Galileo si contrappone agli aristotelici della sua epoca perché mentre loro leggono il libro di carta, lui legge il libro della natura, scritto in caratteri matematici: “io veramente stimo il libro della filosofia esser quello che perpetuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi ; ma perché é scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto, non può esser da tutti letto: e sono i caratteri di tal libro triangoli, quadrati, cerchi, sfere, coni, piramidi ed altre figure matematiche, attissime per tal lettura ". Per poter interpretare questo libro e leggerlo, come per qualsiasi altro libro, bisogna impararne l‟alfabeto. L'alfabeto in cui questo particolare libro é scritto é l'alfabeto matematico; se prima di leggere questo libro fisico che é la natura bisogna conoscere l'alfabeto della matematica, allora per Galileo prima di studiare la fisica bisogna studiare la matematica. E' un' ottima rappresentazione del rapporto che Galileo ha instaurato tra matematica e fisica, rapporto che é sostanzialmente quello in vigore ai giorni nostri. Se è vero che Galileo si contrappone agli aristotelici prediligendo lo studio della natura alla lettura di libri, non é altrettanto vero che si contrappone all'aristotelismo in generale. Lo studio della scienza all'epoca era sostanzialmente studio di libri, senza verifiche e confronti sulla natura: l'anatomia dell'uomoera studiava sui libri, senza praticare la dissezione dei corpi (autopsia); ci si atteneva a quanto scritto dal medico Galeno, di età romana: era più importante ciò che si vedeva scritto rispetto a quello che gli occhi percepivano: già Leonardo da Vinci notò come ai suoi tempi si preferisse il richiamo all'autorevolezza di antichi scrittori piuttosto che una constatazione empirica personale. E' curioso come nel “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo“ad un certo punto compaia un aristotelico di nome Simplicio al quale Salviati (personaggio portavoce della teoria copernicana) fa notare razionalmente tramite una serie di passaggi come l'eliocentrismo funzioni perfettamente; Simplicio risponde che sono affermazioni bellissime e non esiterebbe ad accettarle se Aristotele non avesse detto il contrario. E' evidente come Galileo voglia qui sottolineare, tra l'altro, come ai suoi tempi ad opporsi all'eliocentrismo non fosse solo la Chiesa, ma anche la tradizione aristotelica (oltre, ovviamente, alla maggior parte della gente comune). Ma la polemica galileiana é rivolta non ad Aristotele (come invece aveva fatto Giordano Bruno), ma agli aristotelici della sua epoca, che stimano “il filosofare non tendere ad altro che al non si lasciar persuader mai altra opinione che quella d'Aristotile"; d'altronde Galileo é pienamente consapevole di come gli aristotelici del diciassettesimo secolo siano altra cosa rispetto al maestro Aristotele: i primi badano solo ai libri cartacei, Aristotele é interessatissimo all'esperienza: “Aristotele deride quelli che lasciano l'esperienze sensate, per seguire un discorso che può essere fallacissimo". Sarà invece Bacone a non fare differenza tra Aristotele ed aristotelici. Galileo, in risposta agli aristotelici che lo accusano di non prestar fede ai libri di Aristotele, risponde che se Aristotele potesse rivivere sceglierebbe senz' altro lui come suo discepolo e non tutti loro, eccessivamente legati ad una cultura di libri: "... ma gli ingegni vulgari timidi e servili, che altrettanto confidano, sopra l' autorità di un altro, quando vilmente diffidan del proprio discorso, pensando potersi di quella fare scudo, né più oltre credon che si estenda l' obbligo loro, che a interpretare, essendo uomini, i detti di un altr' uomo, rivolgendo notte e giorno gli occhi intorno ad un mondo dipinto sopra certe carte, senza mai sollevargli a quello vero e reale, che, fabbricato dalle proprie mani di Dio, ci sta, per nostro insegnamento, sempre aperto innanzi". In effetti Aristotele era molto più vicino a Galileo che non agli aristotelici, almeno nel modo di operare. Gli aristotelici infatti, invece di avvalersi dell' esperienza sensibile e della ragione (che secondo Galileo ha “podestà assoluta “), si affaticano solo “per salvar il testo d' Aristotile, come che il filosofare altro non sia che il solo procurar d' intender questo libro e sottilizzar per difenderlo dalle sensate e manifeste esperienze e ragioni in contrario". In effetti Aristotele era un grandissimo e attentissimo esaminatore della natura e ne sono prova le sue opere biologiche e “se a questi secoli fosse vivo, cangerebbe molte sue opinioni“. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 62 Cosmologia 7.8 Giudizi sull’operato di Galileo L’interpretazione di Mach E. Mach diede di Galileo l'immagine storiografica paradigmatica dell'approccio positivista: egli è il grande osservatore che esamina con puntiglio e minuzia i fatti deducendo rigorosamente da essi le leggi. Mach non pose in dubbio che veramente Galileo avesse compiuto le esperienze di cui si vantò, né dubitò che queste esperienze avessero avuto il ruolo fondante di tutta la scienza galileiana: «Galileo non ha formulato una teoria della caduta dei corpi, ma ha osservato e constatato senza idee preconcette il fatto del movimento di caduta». Nelle procedure dello scienziato pisano non vi è spazio per ambiguità, incertezze, errori: «il metodo di Galileo è facile, chiaro e assolutamente corretto». Per Mach Galileo fu inoltre pienamente consapevole della rottura che la sua opera aveva prodotto rispetto al passato. L’interpretazione di Koyré Dal punto di vista metodologico, gli “Studi galileiani” di Koyré (Ed. Einaudi, 1976) sono il primo esempio dei risultati conseguibili con un'analisi concettuale che mira a cogliere nei documenti storici le «intuizioni profonde» che Galileo, al di là dei tecnicismi, intende esprimere, intuizioni che non si possono cogliere separando artificialmente nella persona l'aspetto scientifico da quello filosofico e religioso. Così egli rifiuta l'interpretazione dello scienziato (e di tutta la scienza seicentesca) quale prodotto di un atteggiamento pratico-empirico che trova la sua origine negli ambienti tecnici (interpretazione di E. Mach). Su questo presupposto, ogni immagine baconiana della scienza moderna è respinta con parole assai dure («Bacone non ha mai inteso la scienza. È credulo e totalmente privo di spirito critico»). La grandezza di Galileo sta altresì in una profonda intuizione: la sostituzione dello spazio concreto della fisica pregalileiana con lo spazio astratto della geometria euclidea. Allo spazio fisicamente determinato della scienza antica e medievale, nel quale i corpi si muovono soggetti a influenze dipendenti da un ordinamento cosmologico, con luoghi naturali stabiliti in relazione alla loro natura materiale e con direzioni assolute, Galileo contrappone un puro spazio geometrico, il cui ordinamento non dipende dalla cosmofisica ma solo dai teoremi di Euclide. In questo spazio i corpi si riducono a figure geometriche che vengono dotate di gravità per consentire di introdurre il movimento. È questa intuizione profonda dello spazio che consente l'introduzione della matematica nella scienza e rende fruttuoso lo sperimentalismo. La trattazione dei testi galileiani mira a illustrare la tesi di fondo: viene esaltato il ruolo della teorizzazione su quello della sperimentazione alla quale non viene concesso alcuno spazio, arrivando anzi a dubitare che veramente Galileo perdesse tempo a condurre esperimenti. L’interpretazione di Cassirer In seguito il ruolo avuto da Galileo nella storia della filosofia è stato per molti anni vincolato all'interpretazione datane da E. Cassirer nel primo volume della sua Storia della filosofia moderna (1906, ed. it. 1978). Secondo Cassirer, Galileo ha avuto il merito grandissimo di bandire dalla scienza la ricerca delle cause, per concentrarsi sulle relazioni fenomeniche. Che la scienza, grazie a Galileo, sia passata dalla domanda "perché?" alla domanda "come?" è divenuto un luogo comune nella storia della filosofia e in quella della scienza. L’interpretazione di Wallace Un notevole approfondimento vi è stato negli ultimi anni sui rapporti tra Galileo e la cultura aristotelica del Cinquecento. W. Wallace ha ricollegato i primi manoscritti galileiani pervenutici ai corsi tenuti negli anni 1587-1592 dai gesuiti del Collegio romano, dimostrando che Galileo in quel periodo stava studiando seriamente i loro scritti. Sulla base di questa analisi Wallace ha sostenuto una visione nella quale vengono di molto attenuati gli aspetti rivoluzionari dell'impostazione galileiana: non solo Galileo apprese dai gesuiti le proprie conoscenze circa i caratteri del metodo ipotetico-deduttivo ma da quell'ambiente, caratterizzato da un aristotelismo moderno che voleva recuperare tanto Euclide quanto Archimede, imparò anche l'esistenza di una via matematica alla comprensione della natura. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 63 Cosmologia 8 LA FISICA CLASSICA “Io non so come il mondo mi vedrà un giorno. Per quanto mi riguarda, mi sembra di essere un ragazzo che gioca sulla spiaggia e trova di tanto in tanto una pietra o una conchiglia, più belli del solito, mentre il grande oceano della verità resta sconosciuto davanti a me. (Newton, Principia) “La natura e le leggi della natura stanno nascoste nella notte; Dio disse: Newton sia! e fu la luce” (Alexander Pope) Newton fu un alchimista, matematico, scienziato e filosofo inglese; pubblicò la Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687), dove descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale. Newton fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero del movimento dei pianeti. Egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche ma anche iperboliche e paraboliche. Newton fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta da tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l'ipotesi che la luce fosse composta da particelle. 8.1 Vita ed opere di Isaac Newton (Woolsthorpe, Lincolnshire, 1642 - Londra, 1727) Newton nacque a Woolsthorpe-by-Colsterworth, un paese nella contea del Lincolnshire. Suo padre morì tre mesi prima della sua nascita e, due anni dopo, sua madre andò a vivere col suo nuovo marito, lasciando suo figlio alle cure della nonna. Fu educato alla Grantham Grammar School. Nel 1661 si iscrisse al Trinity College di Cambridge dove aveva già studiato suo zio William Ayscough. All'epoca gli insegnamenti del college erano basati su quelli di Aristotele, ma Newton preferiva leggere le idee più avanzate di filosofi moderni come Cartesio, Galileo, Copernico e Keplero. Nel 1665 scoprì il teorema binomiale e cominciò a sviluppare una teoria matematica che sarebbe diventata il calcolo infinitesimale. Poco dopo che Newton ebbe conseguito la sua laurea nel 1665, l'università venne chiusa precauzionalmente contro una grave epidemia che andava diffondendosi. Durante i due anni successivi Newton lavorò a casa sul calcolo infinitesimale, ottica e forza gravitazionale. La tradizione vuole che Newton fosse seduto sotto un albero di mele quando una mela cadde sulla sua testa e questo gli facesse capire che la forza gravitazionale terrestre e quella celeste fossero la stessa cosa. Questa in realtà è un'esagerazione di un episodio narrato da Newton stesso secondo il quale egli sedeva ad una finestra della sua casa (Woolsthorpe Manor) e vide una mela cadere dall'albero. In ogni modo si ritiene che anche questa storia è stata inventata dallo stesso Newton più avanti negli anni, per dimostrare quanto fosse abile a trarre ispirazione dagli eventi di tutti i giorni. Uno scrittore suo contemporaneo, William Stukeley, registrò nelle sue Memoirs of Sir Isaac Newton's Life una conversazione con Newton a Kensington il 5 Aprile 1726, nella quale Newton ricordava "quando per la prima volta, la nozione di forza di gravità si formò nella sua mente. Fu causato dalla caduta di una mela, mentre sedeva in contemplazione. Perché la mela cade sempre perpendicolarmente al terreno, pensò tra se e se. Perché non potrebbe cadere a lato o verso l'alto ma sempre verso il centro della terra." Newton divenne un membro del Trinity College nel 1667. Nello stesso anno diffuse le sue scoperte nel De Analysi per Aequationes Numeri Terminorum Infinitas (Sull'Analisi delle Serie Infinite), ed in seguito in De methodis serierum et fluxionum (Sui Metodi di Serie e Flussioni), il cui titolo diede il nome al suo "metodo delle flussioni". 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 64 Cosmologia Newton e Leibniz svilupparono la teoria del calcolo infinitesimale indipendentemente ed usando notazioni differenti. Anche se Newton lavorò al suo metodo precedentemente a Leibniz, la notazione e il "Metodo Differenziale" erano migliori e vennero generalmente adottati. Nonostante il fatto che Newton appartenesse al gruppo dei più brillanti scienziati della sua epoca, gli ultimi venticinque anni della sua vita furono amareggiati da una disputa con Leibniz, che lo accusava di plagio. Fu eletto professore Lucasiano di matematica nel 1669. Questa carica lo esentò dal diventare un ecclesiastico per rimanere membro del college e prevenì il conflitto che ci sarebbe stato tra le sue idee antiTrinitarie e l'ortodossia della chiesa. Dal 1670 al 1672 egli si occupò ottica. Durante questo periodo egli studiò la rifrazione della luce, dimostrando che un prisma può scomporre la luce bianca in uno spettro di colori, e quindi una lente ed un secondo prisma possono ricomporre uno spettro di molti colori in luce bianca. Da questo lavoro concluse che ogni telescopio rifrattore avrebbe sofferto della dispersione della luce in colori, ed inventò il telescopio riflettore per aggirare il problema (più avanti, quando divennero disponibili vetri con diverse proprietà rifrattive, divenne possibile costruire lenti acromatiche). Nel 1671 la Royal Society lo chiamò per una dimostrazione del suo telescopio riflettore. Il loro interesse lo incoraggiò a pubblicare le note On Colour (Sui colori), che più tardi arricchì nel suo lavoro Opticks (Ottica). Quando Robert Hooke criticò alcune delle idee di Newton, egli ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico. A causa della paranoia di Newton, i due uomini rimasero nemici fino alla morte di Hooke. Nel suo Hypothesis of Light (Ipotesi sulla Luce) del 1675, Newton contò sull'esistenza dell'etere per trasmettere le forze tra le particelle. Newton era in contatto con Henry More, il seguace di Platone a Cambridge nato a Grantham, sull'alchimia, ed ora il suo interesse su questa materia rinacque. Rimpiazzò l'etere con forze occulte basate sulle idee Ermetiche sull'attrazione e repulsione tra particelle. John Maynard Keynes, che acquisì molti degli scritti di Newton sull'alchimia, disse che "Newton non fu il primo dell'età della ragione: fu l'ultimo dei maghi." L'interesse di Newton nell'alchimia non può essere isolato dai suoi contributi alla scienza. Se non avesse creduto nell'idea occulta dell'azione a distanza, attraverso il vuoto, probabilmente non avrebbe sviluppato la sua teoria sulla gravità. Nel 1679, Newton ritornò al suo lavoro sulla gravitazione ed i suoi effetti sulle orbite dei pianeti, in riferimento alle leggi del movimento di Keplero, consultandosi con Hooke e Flamsteed sull'argomento. Pubblicò i suoi risultati in De Motu Corporum (1684) che avrebbe formato in seguito i Principia. Nel 1687 pubblica il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (ora conosciuto come Principia) con l'incoraggiamento e l'aiuto finanziario di Edmond Halley. In questo lavoro Newton stabilì le tre leggi universali del movimento che non sono state migliorate per trecento anni. Egli usò la parola latina gravitas (peso) per la determinazione analitica della forza che sarebbe diventata conosciuta come gravità, e definì la legge della gravitazione universale. Nello stesso lavoro presentò la prima determinazione analitica, basata sulla legge di Boyle, sulla velocità del suono nell'aria. Con i Principia, Newton venne riconosciuto internazionalmente. Conquistò un circolo di ammiratori, incluso il matematico di origini svizzere Nicolas Fatio de Duillier, con il quale stabilì un'intensa relazione che durò fino al 1693. La fine di quest'amicizia portò Newton ad un esaurimento nervoso. Negli anni 1690 Newton scrisse numerosi opuscoli religiosi sulla interpretazione letterale della Bibbia. La fede di Henry More nell'infinitezza dell'universo ed il rifiuto del dualismo Cartesiano potrebbero aver influenzato le idee religiose di Newton. Un manoscritto che egli inviò a John Locke nel quale metteva in discussione l'esistenza della Trinità non fu mai pubblicato. I suoi lavori più tardi - The Chronology of Ancient Kingdoms Amended (1728) e Observations Upon the Prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John (1733) - furono pubblicati dopo la sua morte. Egli riteneva che le sue ricerche più impegnative le aveva dedicate agli studi delle cronologia antica. Egli dedicò molto tempo anche all'alchimia: in un'epoca in cui i principi della chimica non erano chiari egli cercava di indagare sulla natura delle sostanze rifacendosi a tradizioni ermetiche ed effettuando esperimenti successivamente relegati nella pseudoscienza dell'alchimia. Newton fu anche un membro del Parlamento dal 1689 al 1690 e nel 1701, ma il suo solo intervento registrato fu per lamentarsi di una corrente d'aria fredda e la richiesta che venisse chiusa la finestra. Newton si trasferì a Londra per prendere il posto di guardiano della Zecca Reale nel 1696, una posizione che ottenne con il patrocinio di Charles Montagu, primo conte di Halifax, poi fu Cancelliere dello Scacchiere. Si fece carico del grande programma di nuova coniazione delle monete inglesi, seguendo il cammino di Master Lucas (e favorendo la nomina di Edmond Halley a sovraintendente della zecca di Chester). Newton divenne 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 65 Cosmologia direttore della Zecca alla morte di Lucas nel 1699. Questi incarichi erano intesi come sinecure, ma Newton li prese seriamente, esercitando il suo potere per riformare la moneta e punire i falsari. Egli si ritirò dai suoi incarichi a Cambridge nel 1701. Nel 1701 Newton pubblicò anonimamente una legge della termodinamica ora conosciuta come "legge di Newton del raffreddamento" nel Philosophical Transactions of the Royal Society. Nel 1703 Newton divenne presidente della Royal Society ed un associato della Académie des Sciences. Nella sua posizione alla Royal Society, Newton si fece nemico di John Flamsteed, l'Astronomo Reale, tentando di rubare il suo catalogo di osservazioni. Newton fu investito cavaliere dalla regina Anna nel 1705. Newton non si sposò mai, né ebbe figli riconosciuti. Egli morì il 20 marzo 1727 ed il suo funerale, a cui assistette pure un incredulo Voltaire, si svolse in pompa magna ed Isaac Newton fu inumato nella cattedrale di Westminster accanto alle salme dei grandi d‟Inghilterra. Opere pubblicate: 1667 1671 1675 1687 1684 1704 De Analysi per Aequationes Numeri Terminorum Infinitas De methodis serierum et fluxionum Hypothesis of Light Philosophiae Naturalis Principia Mathematica De Motu Corporum Opticks Postume (1728): Short Chronicle, The System of the World, Optical Lectures, Universal Arithmetic, The Chronology of Ancient Kingdoms, Amended e De mundi systemate, An Historical Account of Two Notable Corruptions of Scripture. 8.2 I problemi dell’ottica Uno dei campi di grande interesse fin dalla giovinezza fu per Newton lo studio dell‟ottica; prima di lui studiosi come Cartesio o Hooke erano giunti a conclusioni teoriche le quali riconducevano i colori a modificazioni della luce bianca considerata semplice. Una leggenda vuole che il giovane avesse acquistato il suo primo prisma nel 1665 presso la fiera di Sturbridge [o Stourbridge] per compiere esperimenti proprio sulla teoria cartesiana dell‟ottica. Cartesio infatti pensava alla luce come un fascio di particelle rotanti su sé stesse immerse in una sostanza imponderabile chiamata etere; modificazioni del loro moto di rotazione potevano venire impresse alle sferette e ciò dava luogo ai colori. Come possiamo notare, la spiegazione fornita da Cartesio si inquadra nel tentativo di ridurre ad effetti meccanici pure l‟esperienza della visione e rientra bene a far parte di una visione più ampia a cui aspirarono molti filosofi della natura e scienziati fino all‟inizio del XX secolo nota sotto il nome di meccanicismo; in essa tutte le leggi naturali relative a qualunque fenomeno potevano essere spiegate con l‟effetto di un qualche modello meccanico. E‟ proprio Newton che, nell‟introduzione dei Principia ne traccia una sorta di manifesto: “Mi piacerebbe poter giustificare… i fenomeni della natura… con i principi della meccanica, poiché ho molte ragioni per sospettare che essi siano basati sull‟azione di certe forze, a causa delle quali le particelle, di cui i corpi sono costituiti, per qualche motivo finora sconosciuto, o sono reciprocamente attratte e si raggruppano in forme regolari, o si respingono e si allontanano”. La teoria dell‟ottica di Hooke (il quale è tutt‟oggi ricordato per i suoi fondamentali lavori sull‟elasticità) invece faceva riferimento ad una sorta di “tremore” il quale si propagava in un qualche mezzo e considerava, al pari di Cartesio, come semplice la luce bianca. Newton compì con prismi e lenti tutta una serie di esperienze che lo portarono ad essere convinto della falsità delle teorie sopra riportate ed iniziò dunque a lavorare su ipotesi nuove che verificava tramite esperienze. In questi anni egli sviluppò e costruì quello che è oggi chiamato in suo onore telescopio a riflessione Newtoniano e che è un telescopio costruito con specchi invece che con lenti in modo da eliminare un fastidioso difetto proprio dei rifrattori, ossia che una lente di vetro normale ha un fuoco lievemente differente per i diversi colori dell‟iride e ciò porta ad alterare i colori degli oggetti 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 66 Cosmologia osservati. Con la riflessione un fenomeno simile non avviene e perciò l‟aberrazione cromatica (così come viene chiamata questa fastidiosa caratteristica) è totalmente assente, a patto di riuscire a lavorare con sufficiente precisione lo specchio principale (parabolico) in modo da ottenere un‟immagine di buona qualità. Fu proprio per la costruzione del telescopio nel 1668 –l‟idea non era proprio originale– che egli fu eletto fellow della prestigiosa Royal Society nel 1672, anno in cui egli pubblica per la prima volta i suoi risultati sulla teoria dei colori. Peraltro, l‟accoglienza del suo lavoro non fu delle migliori e fu a causa della controversia che ne nacque con Hooke che egli si dimise dalla Society e decise di non pubblicare nulla; è significativo il fatto che bisognò attendere più di trent‟anni per vedere la pubblicazione della prima edizione di un‟altra opera fondamentale, ossia Optiks: or, a treatise of the reflections, refractions, inflections and colour of light. Also two treatises of the species and magnitude of curvilinear figures (1704) e che conobbe in tutto tre edizioni, la seconda nel 1706 e la terza nel 1717. Nell‟Optiks è esposta la teoria elaborata dallo scienziato il quale era giunto alla rivoluzionaria intuizione della non semplicità della luce bianca, considerata da lui come la risultante della somma di tutti i colori fondamentali dell‟iride; tale posizione gli fu suggerita da una serie di esperimenti in cui fu in grado di dividere un fascio di luce bianca con un prisma per ottenere i vari colori i quali potevano venir rifocalizzati con un sistema di lenti in un fascio nuovamente di colore bianco. La luce era, in sostanza, composta da un insieme di particelle le quali si muovevano nell‟etere, una sostanza imponderabile la quale permeava ogni cosa e poteva essere più o meno denso, senza pertanto presentare resistenza alcuna alla penetrazione dei corpi; la presenza di un gradiente di densità dell‟etere era responsabile della deviazione di un raggio luminoso. La storia del concetto di etere è forse la storia di uno dei più interessanti “falsi indizi” che tormentarono i sonni di non pochi scienziati per poi essere buttato fuori dalle finestre delle aule di fisica da Albert Einstein nel 1905; sostanza impalpabile, tese a ricoprirsi di improbabili proprietà: esso era al contempo leggero e pesante, denso e tuttavia facilissimo da penetrare, poteva in qualche modo contrarsi e poi ritrarsi in modo bizzarro ed altro ancora… Abbastanza per dire che la fisica odierna relativistica non ne sente la mancanza! L‟ottica newtoniana esposta nel 1672 nell‟articolo per la Royal Society come abbiamo visto diede luogo ad una polemica piuttosto vivace sulle nuove idee del giovane scienziato; le critiche furono di molti tipi diversi e giunsero in gran parte da coloro che, poco interessati alle regolarità matematiche evidenziate da Newton nelle sue osservazioni, erano più interessati a modelli qualitativi simil-cartesiani composti da sferette ed ingranaggini che descrivessero qualitativamente il comportamento dei raggi luminosi. Posizioni diverse da quelle dello studioso inglese erano inoltre sostenute da Christiaan Huygens (1629-1695) il quale aveva sviluppato un‟ottima teoria ondulatoria della luce che spiegava in maniera naturale moltissimi fenomeni di interferenza difficilmente ottenibili con la teoria corpuscolare; Newton è infatti costretto a postulare “ad hoc” delle variazioni e rarefazioni periodiche dell‟etere. Se i fenomeni di diffrazione alla fin fine sembrano suffragare le ipotesi ondulatorie, con l‟avvento delle teorie quantistiche all‟inizio del XX secolo la luce iniziò a rivelare insospettate caratteristiche corpuscolari; il primo a sospettare tali fenomeni fu nuovamente il geniale Albert Einstein in un articolo pubblicato nel 1905 a fianco di quello sulla Relatività Speciale negli Annalen der Phisik. Il succo è che le caratteristiche ondulatorie e corpuscolari non si mostrano mai assieme ed un modello matematico che ne descrive bene il comportamento in determinate situazioni è stato formulato solo con la meccanica quantistica. Per il lettore interessato, il testo [Feynman] descrive in modo semplice ma rigoroso tale modello. 8.3 Schemi sperimentali sulla scomposizione della luce per mezzo del prisma 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 67 Cosmologia Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna Mentre Galileo si dedicò allo studio del moto di un corpo a prescindere dalle cause che lo determinano (cinematica, in termini moderni), Newton s‟interessò proprio alla dinamica del movimento. Affrontò questi problemi fin dalla giovinezza e l‟8 maggio 1686 pubblicò la prima edizione del Philosophiae naturalis principia matematica (Principi matematici della filosofia naturale); in essa venivano enunciati in maniera chiara e rigorosa i concetti di massa, di quantità di moto, di inerzia e di forza. Oggi queste leggi vengono definite nei libri di testo con parole diverse ma i concetti rimangono gli stessi. La trattazione della meccanica fornita dallo scienziato ingloba ed estende in maniera naturale i risultati di Galileo ottenuti sulla cinematica; egli perviene in sostanza a tre enunciati (Axiomata sive leges motus) che vengono chiamati in suo onore “leggi di Newton” o “leggi fondamentali della dinamica”: Lex I: Corpus omne perseverare in statuo suo quiescenti vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare. Ogni oggetto permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fintantochè non intervenga una forza a modificare tale stato. Non avrete difficoltà a riconoscere nella Legge I il più famoso dei principi cinematici galileiani (vedere paragrafo 7.3); in sostanza esso vuole dire che un qualunque oggetto, se lasciato libero di impedimenti di qualunque genere (attriti, forze di gravità od altro), e se osservato da un sistema di riferimento inerziale, o si trova in quiete, oppure si muove di moto rettilineo con velocità rigorosamente costante. Lex II: Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressae, & fieri secundum lineam rectam qua vis illa imprimitur. La variazione di un moto è proporzionale alla forza motrice applicata, forza e accelerazione hanno sempre la stessa direzione e verso. La Legge II lega invece la massa di un oggetto, la forza che gli è impressa e l‟accelerazione che subisce a causa di essa: forza = massa * accelerazione F = ma Essa ci fornisce inoltre una definizione rigorosa di forza, la quale è ovviamente collegata alla nostra esperienza quotidiana: una forza è qualsiasi causa che sia in grado di far iniziare o modificare un movimento. Nel Sistema Internazionale (la codifica delle regole che definiscono le varie unità di misura universalmente adottate dalla comunità scientifica internazionale) l‟unità di misura della forza è chiamata proprio “Newton” in onore del grande scienziato e corrisponde alla forza necessaria per fare accelerare un corpo di massa un chilogrammo di un metro al secondo quadrato (1N = 1kg * m/sec 2) ed è più o meno la forza che dobbiamo esercitare per tenere sollevato un oggetto pesante 110 grammi. Lex III: Actioni contrariam sempre & aequalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo sempre esse aequales & in partes contrarias dirigi. Ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria o, ciò che è la stessa cosa, le azioni reciprocamente esercitate da un corpo su un altro sono eguali e hanno direzione opposta. La Legge III è invece quella che spiega il funzionamento dei motori razzo e di quelli a reazione. Proviamo a pensare ad un asino che trascini un carretto; dal punto di vista dell‟asino c‟è una forza che gli viene comunicata dal carretto e che lo ostacola nel moto, dal punto di vista del carretto c‟è una forza che proviene dall‟asino e che lo spinge ad avanzare, la Legge III sancisce che queste due forze sono eguali numericamente, hanno medesima direzione, ma verso opposto. Il motivo per cui l‟asino può trascinare il carretto è dovuto all‟attrito, infatti gli zoccoli dell‟asino esercitano un attrito maggiore sul terreno rispetto alle ruote del carretto che quindi rotolano consentendone l‟avanzamento. Ovvero: F a su b = - F b su a Queste leggi sono di fondamentale importanza in quanto consentono di costruire con relativa facilità modelli matematici validi per descrivere praticamente qualunque fenomeno meccanico. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 68 Cosmologia 8.4 La Gravitazione Universale Un‟altra grandissima scoperta di Newton, che assieme alle leggi esposte lo rende responsabile della definitiva unificazione dei fenomeni celesti con quelli terrestri, è la cosiddetta “legge di gravitazione universale”; essa può essere enunciata come segue: la forza di attrazione gravitazionale fra due corpi è diretta lungo la congiungente dei due ed è direttamente proporzionale al prodotto delle due masse ed inversamente proporzionale alla distanza reciproca elevata al quadrato. L‟idea di adottare una legge dipendente dall‟inverso dei quadrati non era a dire la verità nuova ai tempi di Newton e sembra che egli fu portato ad adottarla grazie anche alle sue esperienze di ottica. Aveva infatti osservato che l‟intensità della luce proiettata da una candela su uno schermo è proporzionale proprio all‟inverso del quadrato della distanza: ad una distanza doppia l‟intensità sarà un quarto di quanto si aveva alla distanza iniziale, ad una distanza tripla un nono e così via. Il merito di Newton sta nell‟aver potuto applicare il suo metodo di calcolo infinitesimale a questo problema difficilmente risolubile per altri mezzi dimostrando che le tre leggi di Keplero potevano essere ottenute direttamente dalla sua formula che qui riportiamo: ove G è una costante, m1 ed m2 le masse dei due corpi e d la loro distanza reciproca. Il valore della costante G (costante di gravitazione universale) fu calcolato nel 1798 dall‟inglese Henry Cavendish, usando una bilancia a torsione (un dispositivo molto sensibile a forze di piccolissima intensità). Essa equivale a: Un sasso di 1 kilogrammo di massa e la Terra si attraggono con una forza: in questo modo otteniamo il valore dell'accelerazione di gravità: Abbiamo così spiegato, a partire dalla legge della gravitazione universale, il ben noto valore dell'accelerazione gravitazionale a cui sono soggetti tutti i corpi che si trovano sulla Terra. Il grande passo in avanti sta nell‟affermare che la legge di gravitazione universale è valida per qualunque corpo in qualunque situazione: sia esso la Luna che orbita attorno alla Terra, sia una mela che vi cade e che è attratta dal nostro pianeta (si potrebbe dire, grazie alla Legge III che è la Terra ad essere attratta dalla mela). Che differenza dai cieli cristallini ed immutabili difesi dai filosofi in libri che avevano combattuto Galileo e che adesso se ne stavano tranquilli e fiduciosi della loro Verità a dispensarla dai pulpiti e dalle cattedre universitarie pieni della loro boria! Newton con questo passo compì quello che già aveva iniziato Galileo: il rendersi conto che le stesse leggi che valgono sulla terra valgono pure per gli altri oggetti celesti; è questa una delle prime grandi e fondamentali unificazioni della storia della scienza: quella fra i fenomeni terreni e celesti. Ma perché la Luna non cade sulla Terra, o la Terra stessa non si schianta sul sole? Il motivo è che la Luna possiede una velocità iniziale rispetto alla Terra piuttosto elevata che le impedisce di precipitarvi sopra, ma è costretta ad orbitarvi attorno indefinitamente in quanto lo spazio vuoto non le oppone nessuna resistenza. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 69 Cosmologia Il sistema solare diventa con l‟adozione delle leggi newtoniane però un oggetto abbastanza complicato, in cui ogni pianeta interagisce non solo con il sole, ma anche con tutti gli oggetti celesti, posti a qualunque distanza. Se fu possibile a Newton risolvere il cosiddetto problema dei due corpi, ossia trovare un‟espressione analitica che descrivesse il moto di due oggetti dotati di massa interagenti fra di loro, è impossibile effettuare gli stessi calcoli con solo tre corpi e bisogna fare ricorso a tecniche numeriche oggi alla portata di un comune calcolatore da tavolo, ma che hanno frustrato in passato generazioni di valenti matematici. Le leggi di Keplero consistevano dunque solo in un‟approssimazione valida grazie alla massa del sole la quale è considerevolmente superiore a quella di tutti gli altri pianeti. La teoria della gravitazione universale newtoniana permetteva inoltre di descrivere con precisione fenomeni quali la precessione degli equinozi, fenomeno scoperto già da Plutarco e che consisteva nella lenta rotazione dell‟asse terrestre attorno al piano dell‟eclittica e che si compie con un periodo di 26000 anni, in tutto simile ad un fenomeno analogo osservabile facendo girare una trottola. Un altro fenomeno che veniva così spiegato era quello delle maree, le quali risultavano dall‟influenza della Luna e del Sole sugli oceani. Per dare un‟idea della potenza di quella che è la meccanica celeste che costituisce lo sviluppo della teoria newtoniana compiuto da grandi matematici del XVIII e XIX secolo, si pensi che nel 1846 e nel 1930 furono scoperti Nettuno ed Urano, pianeti del sistema solare fino ad allora ignoti, soltanto analizzando le perturbazioni gravitazionali da loro introdotte nei confronti degli altri pianeti osservati. Al giorno d‟oggi abbiamo a disposizione comunque un‟altra teoria che descrive gli effetti gravitazionali la cui formulazione matematica è però molto più complessa ma è tuttavia ben più generale; essa è nota con il nome di Relatività Generale e fu sviluppata da Albert Einstein nel 1916 come estensione della sua Relatività Speciale del 1905. Le teorie einsteniane permisero inoltre di eliminare i concetti di tempo e spazio assoluti introdotti da Newton per rendere consistente la propria teoria. 8.5 Conclusione Come abbiamo visto, la figura di Newton è quella di uno scienziato geniale quanto controverso; in particolare egli sviluppò soprattutto negli anni della maturità un atteggiamento di rifiuto degli studiosi moderni per rifugiarsi nello studio degli Antichi. Egli si dedicò inoltre a studi approfonditi di alchimia e compose numerosi minuziosi commenti a testi sacri ed ad opere alchemiche cercando di applicare allo studio dei testi un metodo “scientifico” simile a quello da lui applicato nello studio della natura. Persisteva un‟idea di fondo nel suo lavoro di studioso: egli era fermamente convinto del fatto che gli Antichi conoscessero perfettamente la Verità e che la facessero trasparire attraverso messaggi nascosti ed indicazioni ermetiche all‟interno dei propri testi; egli pertanto non avrebbe fatto che “riscoprire” leggi già note la cui conoscenza si era poi perduta nel corso dei secoli per l‟imperizia dei moderni. All‟interno dell‟ottica del rifiuto dei pensatori contemporanei, Newton abbandonò i metodi analitici cartesiani i quali avevano avuto una parte determinante nell‟ideazione del calcolo per rifugiarsi in metodi geometrici, che erano quelli a disposizione degli Antichi; tutte le dimostrazioni dei Principia sono espresse in questa forma, ormai desueta e pesante per il lettore moderno. Comunque sia, fu anche grazie alla reticenza dei matematici inglesi nell‟abbracciare le nuove forme di calcolo analitiche in virtù di un metodo geometrico, “in ottemperanza agli insegnamenti degli antichi” che la matematica inglese rimase, come già accennato, distaccata per quasi un secolo dagli sviluppi che avvenivano nel continente. Le posizioni di Newton, lungi dal poter essere considerate una buona filosofia scientifica, costituivano piuttosto una ingarbugliata miscela di teologia, metafisica ed alchimia, ma avevano se non altro il grandissimo merito di attribuire un‟importanza primaria alla matematica nell‟investigazione dei fenomeni naturali, posizione non molto comune all‟epoca. Le reticenze dello studioso nel rendere pubblici i suoi lavori erano dovute in parte al suo carattere difficilissimo, in parte alla convinzione che la sapienza dovesse essere patrimonio di pochi eletti, prospettiva che si inquadrava abbastanza con la tradizione alchemica ed ermetica. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 70 Cosmologia 9 L’IDEALISMO "La matematica e la fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione che debbono determinare a priori i loro oggetti; la prima in modo del tutto puro, la seconda almeno parzialmente, dovendo tenere conto anche di fonti di conoscenza diverse dalla ragione. Sin dai tempi più remoti a cui può giungere la storia della ragione umana, la matematica, ad opera del meraviglioso popolo greco, si è posta sulla via sicura della scienza. [...] È pertanto indispensabile che la ragione si presenti alla natura tenendo, in una mano, i princìpi in virtù dei quali soltanto è possibile che i fenomeni concordanti possano valere come leggi e, nell‟altra mano, l‟esperimento che essa ha escogitato in base a questi princìpi; e ciò al fine sì di essere istruita dalla natura, ma non in veste di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piace al maestro, bensì di giudice che nell‟esercizio delle sue funzioni costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge" (Critica della ragion pura) 9.1 Vita ed opere d’Immanuel Kant (Köenigsberg, 1724-1804) 1724 Immanuel Kant nasce a Köenigsberg, capitale della Prussia orientale (attualmente Kaliningrad), il 22 aprile, da Johann Georg Kant (1683-1747), sellaio, e da Anna Regina Reuter: quarto di undici figli, di cui sei morti in giovane eta'. Col fratello rimasto, divenuto pastore protestante, e soprattutto con le tre sorelle, conservera' scarsi rapporti. 1732 Entra nel Collegium Fredericianum, diretto dal pastore Franz Albert Schultz, d'indirizzo pietistico, ma aperto all'illuminismo wolffiano. Oggetto particolare di studio, i classici latini. 1740 S'iscrive all'Universita', dove Martin Knutzen gli trasmette l'interesse per la filosofia newtoniana e per la matematica. Sei anni dopo, conclude i suoi studi preparando i Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (Koenigsberg 1747), in cui prende posizione nella disputa tra cartesiani e leibniziani sulla questione. 1746 Comincia l'attivita' di precettore privato presso famiglie nobili della Prussia orientale (dalla quale non s'allontanera' mai, per tutta la vita). 1754 Risponde alla questione messa a concorso dall'Accademia di Berlino: "Se la Terra abbia subito modificazioni nel suo movimento di rotazione"; e successivamente a un'altra: "Se la Terra invecchi". 1755 Lasciato l'insegnamento privato, inizia la carriera universitaria, ottenendo il dottorato con la dissertazione De igne e la "venia legendi" con la Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio. Insegnera' un po' di tutto: matematica, logica, fisica, geografia; piu' tardi filosofia, pedagogia, antropologia, psicologia. I suoi prevalenti interessi di geografia generale sono attestati dall'uscita della Storia universale della natura e teoria del cielo (Koenigsberg-Leipzig 1755), in cui anticipa la teoria di Laplace sulla formazione del sistema solare (senza, peraltro, attirare l'attenzione degli studiosi); nonche' dai programmi d'insegnamento, che, tra il '56 e il '57, annunziano corsi su "la teoria dei venti". 1756 Il terremoto di Lisbona gli da' occasione per la pubblicazione di tre scritti in argomento, a cui si aggiunge la Monadologia physica, ispirata a un dinamismo alla Boscovich, piu' che al monadologismo di Leibniz. 1758 Pubblica una Nuova teoria del moto e della quiete. 1762 Esce un saggio Sulla falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche. 1763 Escono due tra i piu' importanti scritti precritici: l'Unico argomento possibile per dimostrare l'esistenza di Dio e la Ricerca per introdurre il concetto di quantita' negative in filosofia. Nel primo si prospetta la teoria dell'esistenza come posizione, e si afferma che, mentre la possibilita' logica si riduce alla non contraddizione, la possibilita' reale presuppone una qualche esistenza: essendo dunque impossibile un'assoluta non esistenza, si desume l'esistenza di un essere necessario, di cui si dimostrano poi l'unicita', l'onnipotenza, ecc. L'argomento (che non puo' esser confuso con l'"argomento ontologico") non sara' piu' ne' ripreso ne' confutato da Kant. Nel saggio sulle grandezze negative si fa distinzione tra la contraddizione logica e l'opposizione reale (+a Ða), analoga a quella per cui due forze si annullano a vicenda. 1764 Pubblica la Ricerca sull'evidenza dei principi della teologia naturale e della morale, in cui mette in rilievo la differenza di metodo tra matematica e filosofia; e le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, in cui a fondamento della morale e' posto "il sentimento della bellezza e della dignita' della natura umana". 1766 Dopo aver tentato invano (nel '56 e nel '58) di ottenere un insegnamento universitario di ruolo, e' nominato sottobibliotecario alla Biblioteca reale, per essersi "reso celebre con i suoi scritti". Pubblica i Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, l'opera in cui piu' si avvicina al punto di vista dell'empirismo inglese. Il visionario e' il mistico svedese Swedenborg, che, tra l'altro, con la sua concezione di un paradiso non statico ma progressivo, influira' sull'idea kantiana di un perfezionamento indefinito della moralita', a cui corrisponde un incremento indefinito della felicita'. 1768 Pubblica un saggio Sul fondamento primo della distinzione delle regioni dello spazio, in cui accetta sostanzialmente la teoria newtoniana dello spazio assoluto, soprattutto in considerazione delle figure simmetriche incongruenti nello spazio. 1769 "L'anno '69 mi porto' una gran luce": Kant ha scoperto il principio fondamentale del suo trascendentalismo, la funzione dello spazio e del tempo come forme che condizionano la ricezione, da parte nostra, di tutte le impressioni sensibili, e che, percio', danno agli oggetti d'esperienza la loro struttura formale. Cio' permette di conoscere certe verita', concernenti gli oggetti, "a priori", cioe' senza fare ricorso all'esperienza. Tali sono, per esempio, le verita' geometriche, che dipendono dalla forma dello spazio. Oltre che una gran luce, l'anno '69 porto' a Kant una cattedra universitaria di Logica e Metafisica, ottenuta trasformando la cattedra di Matematica del defunto pastore Langhansen. 1770 Kant inaugura il suo insegnamento con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui espone la fondazione trascendentale delle scienze matematiche, ma lascia aperta la questione delle scienze fisiche, che si ripromette di risolvere in uno scritto successivo. L'attesa si prolunghera' per oltre dieci anni, perche' la questione era ardua: spazio e tempo 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 71 Cosmologia condizionano la forma dei fenomeni perche' sono forme recettive della sensibilita': ma come possono le forme dell'intelletto, che e' la facolta' della spontaneita' del pensare, condizionare un oggetto che non e' prodotto dal nostro pensiero, bensi' ci e' "dato"? 1781 La Critica della ragion pura (Koenigsberg 1881), scritta in pochi mesi dopo che la teoria dello "schematismo trascendentale" aveva permesso a Kant di risolvere il problema di cui s'e' detto, presenta al pubblico il trascendentalismo kantiano in tutta la sua ampiezza. Le forme universali e necessarie del nostro conoscere (spazio e tempo per l'intuizione sensibile, categorie per il pensiero intellettuale) condizionano la forma dell'oggetto per noi, cioe' del fenomeno, che, per entrare nella nostra esperienza, deve adattarsi al nostro modo di conoscerlo. Impregiudicata e sconosciuta rimane, per contro, la struttura delle "cose in se'", cioe' considerate a parte dal modo in cui le conosciamo; che tuttavia, non potendo entrare nella nostra esperienza, non sono, per definizione, oggetto di conoscenza, ma solo di un pensiero vuoto. Cio' restringe l'ambito di tutto il nostro sapere all'esperienza possibile, al di fuori della quale possono bensi' esserci idee "regolative", ma non oggetti conosciuti. In particolare vengono a cadere i tentativi di dimostrare l'esistenza di Dio (nella quale Kant non cesso' mai di credere), nonche' di risolvere questioni che trascendono l'esperienza possibile, come quella della liberta'. 1783 Con i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorra' presentarsi come scienza Kant riespone la fondazione trascendentale della Critica in senso rovesciato: dall'esistenza di una matematica e di una fisica, come scienze, si risale alle condizioni che rendono queste scienze possibili. L'esistenza della metafisica non puo', per contro, esser data per scontata. Ma l'intenzione di Kant e' di mostrare impossibile solo la metafisica dogmatica, non preceduta dall'esame dei limiti del nostro conoscere intrapreso dalla Critica. Compiuto questo esame, una metafisica come scienza sara' possibile muovendo da quelle strutture a priori che non dipendono dall'esperienza perche' (al contrario) la condizionano. 1784 Nella "Berlinische Monatsschrift" escono l'Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico e la Risposta alla domanda: che cos'e' l'Illuminismo? Kant professa una fede nel progresso basata non sui dati dell'esperienza, ma sul fatto che cercare il progresso e' un dovere, e una fede nella liberta' di pensiero, che non contrasta con l'obbedienza alle direttive dell'autorita', le quali possono essere discusse liberamente dai dotti, ma non eluse. 1785 Oltre alla Fondazione della metafisica dei costumi, escono scritti Sui vulcani della luna, Sull'illegalita' della contraffazione di libri, Sulla determinazione del concetto di razza umana e due recensioni, abbastanza aspre, alle Idee sulla filosofia della storia dell'umanita' di Herder. 1786 I Principi metafisici della scienza della natura espongono quella che, per Kant, e' la "metafisica come scienza", cioe' la dottrina a priori delle strutture intellettuali su cui si fonda la fisica (in base al principio della Critica, che l'"intelletto e' il legislatore della natura"). Gli scritti brevi, che escono via via, continuano a interessare soprattutto la filosofia morale: Che cosa significa "orientarsi nel pensare"?; Congetture sull'origine della storia; una recensione al Saggio sul principio del diritto naturale di G. Hufeland. La fama di Kant comincia a espandersi, e ne e' un segno anche la nomina a rettore, per un biennio. 1787 Esce la seconda edizione della Critica della ragion pura: interamente rifatta la parte riguardante la "Deduzione trascendentale" delle categorie. 1788 Esce la Critica della ragion pratica, in cui i temi della Fondazione del 1785 sono trattati con piu' rigore, e pienamente coordinati con i principi della filosofia speculativa di Kant. 1790 La Critica del Giudizio (cioe', propriamente, della "facolta' di giudicare") prende in esame i principi a priori del giudizio estetico (fondato sul "libero gioco" delle nostre facolta' conoscitive, per cui un oggetto sensibile prodotto dall'immaginazione si presenta "come se" fosse stato costruito in modo da soddisfare alle esigenze dell'intelletto) e del giudizio "teleologico", riguardante, cioe', la finalita' nella natura. Quest'ultimo concetto, a differenza dei "concetti puri dell'intelletto" o categorie, non condiziona il costituirsi stesso dell'oggetto per noi, quindi non condiziona il costituirsi della natura: ma la natura non puo' essere da noi pensata se non "come se" fosse costruita in vista di fini: altrimenti non riusciremmo a concepire interamente la sua unita'. Importante lo scritto polemico contro il leibniziano Eberhard: Su una scoperta per cui ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa inutile da una critica anteriore. 1792 Pubblica un articolo Sul male radicale, il cui tema sara' ripreso nel libro sulla religione dell'anno successivo. 1793 La religione entro i limiti della semplice ragione descrive la lotta del principio buono della moralita' con il principio cattivo delle inclinazioni (laicizzazione del concetto di peccato originale). La religione, che si pretende rivelata, e' un semplice mezzo per educare gli uomini alla moralita', la cui vittoria sara' il vero avvento del "regno di Dio". Il libro, dapprima vietato, poi permesso a Jena e giunto presto alla seconda edizione, procuro' a Kant l'ingiunzione del governo di "usare meglio il suo ingegno" e di astenersi dallo scrivere di religione. Kant si professo' obbediente; ma, dopo la morte di Federico Guglielmo II, tornera' sull'argomento nel Conflitto delle Facolta' (1798). Importante lo scritto contro il Garve: Sul detto comune: "questo puo' essere giusto in teoria ma non vale per la prassi". 1795 "Per la pace perpetua" e' un titolo che Kant trae da una insegna di osteria, che rappresentava un cimitero: lo scetticismo su questo ideale e', pero', corretto dalla fede pratica nel miglioramento morale dell'umanita', che compare anche in un altro scritto (postumo), Se l'umanita' sia in costante progresso verso il meglio. 1797 Esce in due volumi ("Principi metafisici della dottrina del diritto" e "Principi metafisici della dottrina della virtu'") la Metafisica dei costumi: controparte etica della metafisica della natura esposta nel 1786. Essa traccia il quadro di tutti quei fini che sono, al tempo stesso, doveri: quei fini, cioe', che la forma stessa della legge morale m'impone di volere. Essi sono, in breve, tutti quei fini che conferiscono alla mia perfezione e all'altrui felicita'. Particolarmente importante la parte sul diritto, cioe' sulla legislazione esterna, che limita la liberta' di ciascuno, in modo da renderla compatibile con la liberta' di tutti gli altri. In risposta a un articolo di Benjamin Constant, scrive Sul presunto diritto di mentire per umanita'. 1798 Esce l'Antropologia dal punto di vista pragmatico e Il conflitto delle Facolta'. Contro il Nicolai (esponente della "filosofia popolare") scrive Sulla fabbricazione di libri. 1800 Escono, a opera di uno scolaro (Jaesche), le lezioni di Logica, a cui seguiranno nel 1802-1803 le lezioni di Geografia fisica e di Pedagogia (a opera di Rink). 1801 La salute di Kant peggiora rapidamente: egli lamenta una forma di "coma vigil" o insonnia continua, e diminuiscono le sue capacita' di coordinazione. Interrompe di fatto la stesura di un'opera (cominciata nel 1796) "Sul passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica", che doveva rappresentare una revisione e il culmine di tutta la sua filosofia trascendentale; e si dimette dal Senato accademico. 1804 Muore il 12 febbraio, mormorando: Es ist gut ("Sta bene"). Sulla sua tomba saranno iscritte le parole della Critica della ragion pratica: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me". 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 72 Cosmologia 9.2 Introduzione La Dissertazione del 1770 Il suo primo scritto rilevante è stato composto per ottenere la cattedra di logica e metafisica all‟Università del suo paese. In quest‟opera egli pone le prime base della sua critica, ovvero la distinzione tra conoscenza sensibile (dovuta alla ricettività del soggetto e riguardante il fenomeno) e la conoscenza intellettuale (facoltà del soggetto e riguardante il noumeno). In secundis, egli definisce i principi di spazio e tempo come intuizioni a priori, cioè non derivate dall‟esperienza. Il criticismo Kant ama criticare, ovvero giudicare, interrogarsi sui fondamenti delle esperienze umane, chiarendone le possibilità, la validità ed i limiti. Ma lungi dall‟essere pessimista, Kant traccia i limiti alla ragione umana, per garantirne la validità. Da un punto di vista storico, Kant eredita le scoperte della rivoluzione scientifica, la crisi della metafisica aristotelica, le critiche alla ragione degli empiristi inglesi, ma soprattutto usa i principi illuministi, non per analizzare l‟uomo, bensì la ragione stessa. Possiamo dire insomma che Kant abbia raccolto le materie più accusate e traballanti del tempo (matematica, fisica e metafisica) e le abbia ri-fondate su un piano più stabile. … citazioni in corsivo tratte dalla “Critica alla Ragion Pura” Gnoseologia di fondo “Benché ogni conoscenza cominci con l‟esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente dall‟esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la nostra stessa conoscenza empirica sia la somma delle impressioni ricevute e di qualcos‟altro che la mente aggiunge da sola..” Secondo Kant, ogni attività intellettuale inizia per uno stimolo esterno, ma viene poi in parte completato da concetti non derivati dai 5 sensi. Ora, tutte le frasi che pensiamo, diciamo e scriviamo, sono giudizi (predicato di un soggetto). I giudizi si distinguono in: 1. sintetici (ampliativo): aggiungono informazioni non derivabili dal soggetto (Io ho 18 anni) 2. analitici (esplicativo): analizzano una o più caratteristiche del soggetto (L‟uomo ha due gambe) I quali possono essere a loro volta distinti in: 1. a posteriori: derivati dall‟esperienza, in quanto accumulo di sensazioni 2. a priori: insiti nei nostri ragionamenti, non derivati da stimoli esterni Gli unici giudizi ad interessare Manuelino saranno quelli “sintetici a priori”, ovvero tutti i predicati che ampliano la nostra conoscenza di un oggetto, senza ricorrere all‟esperienza (principi della scienza). 9.3 Oggetto e fenomeno La rivoluzione copernicana Per spiegare la provenienza di questi giudizi sintetici a priori, Kant elabora tutto un nuovo sistema del sapere basato su materia e forma, non più degli oggetti fisici (come in Aristotele), bensì della conoscenza. La materia sarà quindi l‟insieme caotico di tutte le impressioni sensibili dell‟esperienza, mentre le forme (a priori nella mente umana) saranno i criteri con cui ordiniamo queste sensazioni per trarne concetti e giudizi. Dato che queste forme a priori sono innate ed eterne, non sono smentibili dall‟esperienza, poiché questa ci giungerà sempre filtrata da queste forme. Oggetto e fenomeno, Matrix e realtà Il noto film Matrix riprende in qualche modo la filosofia kantiana, quando mostra la netta differenza tra il mondo che appare ai nostri occhi (per volere delle macchine) e il mondo reale di tutt‟altre caratteristiche. Kant infatti afferma che la realtà è composta di oggetti che noi non saremo mai in grado di vedere e conoscere veramente. Noi infatti percepiamo un oggetto secondo quelli che sono i nostri standard recettivi (somma dei 5 sensi e dei concetti a priori), ottenendo così solo il fenomeno dell‟oggetto, ovvero il rapporto che s‟instaura tra noi e quello. Ma se per caso riuscissimo a confrontare le nostre impressioni con quelle di un marziano di un medesimo oggetto, risulterebbero profondamente diverse, e nessuno dei due saprebbe mai la verità. Per questo Kant è scusato quando impone dei limiti alla ragione umana, egli infatti è tutt‟altro che pessimista, vuol soltanto garantire quel poco di verità che l‟uomo può percepire, almeno nella ristretta cerchia del popolo umano. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 73 Cosmologia Dottrina del metodo e degli elementi Kant tripartisce la conoscenza umana in: 1. sensibilità: ciò che intuiamo degli oggetti attraverso i sensi, ovvero i fenomeni - usa a priori i concetti di tempo e spazio 2. intelletto: facoltà con cui associamo i concetti alle intuizioni - usa a priori le 12 categorie 3. ragione: spiegazione della realtà al di là dell‟esperianza, mediante le idee di anima, Dio e mondo. Il concetto di trascendentale Secondo Kant (riprendendo la terminologia scolastica medioevale) è trascendente tutto ciò che precede l‟esperienza e che per nulla è da essa derivata. Problema di Kant Possiamo ora definire il problema di Manuelino, ovvero l‟indagine di quella parte di conoscenza umana che contiene i principi per conoscere qualcosa a priori (Critica alla ragion pura). 9.4 Estetica trascendentale Spazio e tempo Quando riceviamo passivamente sensazioni dagli oggetti, in realtà li collochiamo attivamente in due dimensioni, che Kant chiama senso esterno e interno. Lo spazio è definito esterno in quanto dipende dalla successione temporale. Il tempo è interno poiché non dipende da nessuno ma è un concetto a priori insito nella mente umana. Kant ribatte quindi alle precedenti teorie degli empiristi (secondo cui erano concetti derivati dall‟esperienza) e degli oggettivisti (che li considerava come recipienti vuoti e a sé stanti) dicendo ai primi che la primissima esperienza del neonato già era influenzata da questi concetti, ai secondi che non ha senso immaginare nella realtà due recipienti che possono non contenere alcun oggetto reale. “Lo spazio non rappresenta affatto una proprietà di qualche cosa in sè, o le cose nel loro mutuo rapporto; ossia non é una determinazione di esse, che appartenga agli oggetti stessi, e che rimanga anche se si faccia astrazione da tutte le condizioni soggettive dell' intuizione. Infatti nè le determinazioni assolute, nè quelle relative possono esser intuite prima dell' esistenza delle cose alle quali appartengono, e quindi a priori. Lo spazio non é altro se non la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cioè la condizione soggettiva della sensibilità, condizione alla quale soltanto ci é possibile un' intuizione esterna. [...] Poichè le condizioni particolari della sensibilità non possiamo renderle condizioni della possibilità delle cose, ma solo dei loro fenomeni, così possiamo dire, che lo spazio abbraccia tutte le cose che possono apparirci esternamente, ma non tutte le cose in se stesse, siano esse intuite o no, e da qualsivoglia soggetto.” (Estetica Trascendentale) “Il tempo non é qualcosa che sussista per se stesso o aderisca alle cose, come determinazione oggettiva , e che perciò resti, anche astrazion fatta da tutte le condizioni soggettive delle intuizioni di quelle: perchè nel primo caso sarebbe qualcosa che, senza un oggetto reale, sarebbe tuttavia reale . Per quanto riguarda il secondo caso, come determinazione o ordine inerente alle cose stesse, non potrebbe precedere gli oggetti come loro condizione, ed esser conosciuto e intuito a priori per mezzo di proposizioni sintetiche. Cosa che invece ha luogo, se il tempo non é altro che la condizione soggettiva per cui tutte le intuizioni possono accadere in noi. Infatti allora questa forma delle intuizioni interne può essere rappresentata a priori, cioè prima degli oggetti. Il tempo non é altro che la forma del senso interno, cioè dell' intuizione di noi stessi e del nostro stato interno. Infatti, il tempo non può essere una determinazione di fenomeni esterni : non appartiene nè alla figura, nè al luogo, ecc.; determina, al contrario , il rapporto delle rappresentazioni del nostro stato interno. [...] Il tempo é la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale. [...] Se posso dire a priori: tutti i fenomeni esterni sono determinati a priori nello spazio e secondo relazioni spaziali ; posso anche, movendo dal principio del senso interno, dire universalmente: tutti i fenomeni in generale, cioè tutti gli oggetti dei sensi, sono nel tempo, e stanno fra di loro necessariamente in rapporti di tempo.” (Estetica Trascendentale) Matematica e geometria Le due scienze che meglio sfruttano questi due concetti a priori sono la matematica e la geometria. Queste sono due scienze sintetiche, in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante le 4 operazioni, e a priori, poiché alcuni loro teoremi valgono universalmente e necessariamente, indipendentemente dall‟esperienza. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 74 Cosmologia 9.5 Logica trascendentale L’intelletto Kant definisce l‟intelletto come la “facoltà delle regole” ovvero l‟insieme dei criteri (categorie) che mi permettono di ordinare le intuizioni sensibili (percezioni) e formare così i singoli concetti (rappresentazioni mentali delle intuizioni). La logica trascendentale La logica altro non è che la scienza del pensiero. Mentre la logica generale (fondata da Aristotele e accettata da Kant nell‟ambito sensibile) è composta da quei criteri che ho dedotto dalla realtà sensibile (pura se astratta dalle leggi sensibili, applicata se usata nella realtà), al contrario la logica trascendentale comprende tutti quei concetti che possono essere attribuiti a priori a qualsiasi intuizione. Ragionamento di logica generale pura: se A è uguale a B, allora B è uguale ad A. Ragionamento di logica generale applicata: se ti lanci giù da un ponte, morirai. Analitica dei concetti Esattamente come si è ricercato i sensi a priori nell‟estetica, ora bisognerà cercare i concetti a priori nella logica. Dovremmo quindi cercare tutti quei concetti che: 1. non dipendono dall‟esperienza 2. non seguono le leggi della sensibilità 3. non sono derivati o composti di più parti Bisogna sottolineare che al contrario di Aristotele, che associava alle categorie prime una verità gnoseologica e ontologica, Kant ribadisce che l‟essere delle cose non posso apprenderlo, e che tali categorie risiedono nell‟intelletto ed hanno unicamente verità gnoseologica. Giudizi e categorie Secondo Kant usare la testa, ragionare, comprendere, pensare per concetti, significa giudicare, dare giudizi. Il giudizio è quindi la somma di più concetti logicamente connessi tra loro. L‟esempio: il cane è contento perchè arriva il suo padrone, perciò scodinzola, è l‟unione logica dei concetti di cane, padrone, contentezza e scodinzolamento. Per trovare i criteri di connessione logica, basterà catalogare tutti i tipi di concetti che sono in grado di creare e associare a ciascuno di essi un principio primo che lo rappresenti. Questi concetti primi (che sono anche i criteri di connessione logica di tutti gli altri concetti) vengono chiamati concetti fondamentali trascendentali ovvero categorie. Puri sono quindi quei concetti a cui non resta nulla di sensibile, empirico o contingente. Kant afferma molto presuntuosamente e senza svelare il suo procedimento, di averli individuati tutti, compilando il suo specchietto: Il principio di causalità Prendiamo un esempio: “Il burro sul tavolo si sta sciogliendo perché ci batte il sole”. Con le mie brave categorie ho distinto dai vari concetti: il burro, il tavolo, il sole, il fenomeno dello scioglimento. Posso dire (usando il senso esterno a priori, lo spazio) che il burro è sul tavolo, ma come faccio a collegare al fenomeno dello scioglimento del burro il concetto di sole? Le categorie non mi bastano, o meglio non si tratta ora di modificare la mia intuizione per dargli forma, si tratta proprio di ragionare, dedurre qualcosa… Il principio causale è proprio dell‟intelletto, viene usato come “un timbro su tutte le intuizioni sensibili”. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 75 Cosmologia La deduzione trascendentale Kant intende per deduzione trascendentale “la spiegazione del come i concetti a priori possano riferirsi [sempre oggettivamente] agli oggetti”. Infatti, ora che abbiamo scoperto i concetti a priori, ci chiediamo se sia legittimo e giustificato il loro uso sulle impressioni. Infatti, che cosa ci garantisce di diritto che la natura obbedirà alle categorie, manifestandosi nell‟esperienza secondo le nostre maniere di pensarla? Il ragionamento è facilissimo: siccome per prendere coscienza di una qualsiasi intuizione, devo usare l‟io penso, e quest‟ultimo si serve delle categorie per ordinare le sensazioni, ecco che le categorie saranno sempre valide per tutte le intuizioni. Rimane ora da definire esattamente l‟io penso. 9.6 L’ “io penso” L’io penso Se ben ricordiamo, il “concetto” altro non è che l‟insieme di molte intuizioni, logicamente connesse mediante le categorie. Facendo ora un esempio informatico, possiamo dire che la nostra testa sia un computer, esso riceve le informazioni grezze (intuizioni) dai dischi floppy, e la CPU le elabora attraverso alcuni programmi pre-installati (categorie). Il processore di questo computer corrisponde a quello che Kant chiama “principio dell‟unità sintetica originaria dell‟appercezione” (io penso) dell‟intelletto. In virtù di questa caratteristica, l‟uomo prende coscienza delle intuizioni, ordinandole logicamente attraverso le categorie e trasformando il molteplice di intuizioni in un unico giudizio. Ora, siccome “l‟esperienza è conoscenza mediante percezioni connesse [logicamente tramite le categorie], le categorie risultano condizioni della possibilità dell‟esperienza [poiché determinano tutti i modi possibili in cui appare un giudizio], e valgono pertanto a priori per tutti gli oggetti dell‟esperienza.”. L’analitica dei principi Ora che abbiamo definito in uno schema e giustificato le categorie, ci rimane da chiarire il criterio con il quale posso applicare questi concetti a priori ai fenomeni. Con la deduzione trascendentale, abbiamo capito come le categorie valgano sempre e comunque per ogni tipo di fenomeno, con l‟io penso ci ha detto come prendere coscienza delle intuizioni, ma non ci ha detto quale sia nel concreto quell‟unità mediatrice tra l‟intelletto ed il mondo sensibile, quel canale d‟informazione privilegiato che permette a tutto il mondo intelligibile della nostra testa, di cogliere effettivamente intuizioni sensibili. Insomma, cosa c‟è tra i 5 sensi e l‟io penso? Kant risolve dicendo che l‟intelletto, non potendo agire direttamente sui fenomeni, agisce sulle forme dell‟intuizione (più precisamente sul tempo). O meglio, l‟intelletto legge la dimensione tempo, secondo certi schemi trascendentali, corrispondenti ciascuno ad una categoria. Per fare un esempio, la figura del cane, per essere colta da me, deve adattarsi alle forme dell‟intuizione (dimensioni spazio e tempo), se una di queste ha ricevuto dall‟intelletto certe determinazioni, la figura del cane, per poter diventare figura per me, deve assumerle a sua volta. In sostanza il fenomeno, per essere percepito, deve necessariamente adattarsi al nostro modo di pensare, così che il risultato finale sarà, molto probabilmente lontano dalla realtà, ma anche l‟unico possibile per le miei capacità. Schematismo trascendentale Vediamo ora da vicino in cosa consiste l‟azione dell‟intelletto sulla forma temporale dell‟intuizione. L‟azione in sé è detta “schematismo” ed il prodotto risultante “schema trascendentale”. Prima soluzione (Jannacchione) Abbiamo detto che l‟intelletto non riesce ad applicare direttamente le categorie alle rappresentazioni sensibili, crea allora delle immagini sensibili delle categorie (schemi trascendentali) attraverso una sua particolare capacità (immaginazione produttiva). Ad esempio io non posso applicare direttamente al concetto di fagioli il concetto a priori di quantità, avrò bisogno del suo schema, cioè del numero [di fagioli]. Allo stesso modo non posso applicare al concetto di bellezza la categoria di qualità, avrò bisogno del suo schema di grado [di bellezza]. Seconda soluzione (Vignola): devo disegnare un cerchio, quindi devo prima immaginarlo. Nella mia memoria è conservato il concetto geometrico di circonferenza come “il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto dato”. L‟intelletto non ha prodotto nessuna immagine di circonferenza, ha solo assegnato una regola per la sua produzione. Sarà ora l‟intuizione a tracciare una linea, tutta equidistante dal centro, producendo l‟immagine della circonferenza, che io riprodurrò sulla lavagna con il gesso. Lo schema è dunque la regola assegnata dall‟intelletto all‟immaginazione - intuizione per produrre il cerchio. Non è l‟immagine prodotta del cerchio, ma il criterio con cui tracciare tutti i possibili cerchi, secondo le informazioni contenute in un concetto. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 76 Cosmologia Il processore analizza un file (concetto), crea il comando (schema), lo passa alla scheda grafica (intuizione) per produrre sullo schermo (realtà) un cerchio. Ora, esattamente come per i concetti qualsiasi e quelli trascendentali, esisteranno anche degli schemi trascendentali da assegnare a priori all‟esperienza, e ve ne saranno tanti quante sono le categorie. 9.7 L’isola in mezzo al mare Soluzione all’aporia di Hume Ecco che Kant è riuscito a sconfiggere lo scetticismo di Hume. Quest‟ultimo infatti affermava che in un qualsiasi momento l‟esperienza avrebbe potuto smentire la scienza, quindi avrebbe reso vana ogni nostra conoscenza, mentre Kant fonda tutte le conoscenze della scienza fisica su una struttura necessaria a priori, cosicché l‟intelletto non possa mai sbagliare. “Insomma se l‟intelletto non riesce a spiegare tutti i fenomeni, tanto vale che sia l‟intelletto a sceglierne la forma, così risolviamo il problema” (Vignola). Ripresa del concetto di noumeno Ma la filosofia di Kant va ben oltre questa stupida affermazione del Vignola. L‟originalità della sua filosofia consiste non solo nel fondare la validità del sapere sul soggetto, ma anche nell‟aver definito le possibilità ed i limiti del nostro intelletto. Kant ha infatti detto che le categorie funzionano solo in rapporto al materiale che organizzano, risultano cioè operanti e utili solo in relazione al fenomeno. Ma se non ho nessun fenomeno da analizzare, le categorie non hanno motivo d‟essere. Il nostro conoscere (basato appunto sulle categorie) non può estendersi al di là dell‟esperienza, in quanto ne risulterebbero solo pensieri vuoti. Esempio: non posso pensare un cane senza percepire il fenomeno di cane, altrimenti penserei ad un cane vuoto della sua caninità. La mia testa è in fondo un insieme di concetti, ma se non riesco ad applicarli a nessun fenomeno, non potrò creare alcun giudizio. La cosà in sé (noumeno) non può quindi divenire, per definizione, oggetto di un‟esperienza possibile, non trattandosi del suo fenomeno. L’isola in mezzo al mare Ci siamo accorti che l‟analitica trascendentale (che parla dell‟intelletto) non basta più. Dobbiamo ricorrere alla dialettica trascendentale (sulla ragione). Ma guardiamoci un attimo intorno per vedere cosa abbiamo scoperto finora. “Al punto in cui siamo giunti abbiamo non solo percorso il territorio dell'intelletto puro, considerandone accuratamente ogni parte, ma l'abbiamo altresì misurato, assegnando il suo posto a ogni cosa. Ma questo territorio è un'isola che la natura ha racchiuso in confini immutabili. L il territorio della verità (nome seducente), circondato da un ampio e tempestoso oceano, in cui ha la sua sede più propria la parvenza, dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di liquefazione, creano a ogni istante l'illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di nuove scoperte,lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre. Prima di affrontare questo mare, per esplorarlo in tutta la sua estensione e per stabilire se vi sia qualche speranza fondata, sarà bene dare un ultimo sguardo alla carta del territorio che ci proponiamo di abbandonare, chiedendoci in primo luogo se sia possibile accontentarci di ciò che essa contiene, o se non dobbiamo accontentarcene per forza, per il fatto che non si dà altrove terreno su cui sia concesso edificare; e in secondo luogo per chiederci a qual titolo possediamo questo territorio, e in qual modo possiamo preservarlo da ogni pretesa nemica. Benché abbiamo già dato sufficiente risposta a queste domande nel corso dell'Analitica, un colpo d'occhio generale alle soluzioni date potrà rinsaldare la nostra convinzione in proposito, riunendo in un sol punto i mute-voli aspetti della questione.” (B 294 s.) Con questa immagine Kant dice che l'intelletto può comprendere soltanto l'isola, le cose empiriche: solo su quest'isola esso è al sicuro, e non la può abbandonare. I rilevamenti sull'isola hanno dimostrato che gli strumenti di misurazione (percezione sensibile, categorie e schemi) sono utilizzabili soltanto per l'esame dei fenomeni presenti sull'isola stessa. Per l'intelletto, questo uso è il limite che esso non può superare. Gli strumenti di misurazione non possono essere usati per ciò che si colloca al di là dei fenomeni; in altre parole, questi strumenti non sono adatti all'esplorazione dei banchi di nebbia e dei ghiacci in corso di liquefazione che vagano sull'«oceano della parvenza». Kant dà all'isola e all'oceano due nomi che resteranno importanti anche per la sua filosofia pratica. L'isola è il mondo del fenomeno (ossia: di ciò che appare); l'oceano è il mondo della cosa in sé, ovvero del noumeno (ossia: di ciò che viene pensato). Questo noumeno può, anzi deve essere pensato, ma non è possibile conoscerlo. Perché Kant non è un idealista empirico ? Secondo gli idealisti empirici, la realtà sarebbe composta di sole rappresentazioni mentali. Per Kant, dietro ad ogni fenomeno sussiste la cosa in sé, quindi esiste una qualche forma di realtà. Non posso conoscerla, ma in qualche modo ho la certezza che esiste. Vediamo come. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 77 Cosmologia 9.8 Dialettica trascendentale Dialettica trascendentale Dopo ore e ore di studio sui ragionamenti intellettuali, ho scoperto e delineato i limiti della mia conoscenza. Proprio perché li ho scoperti, ho un‟innata curiosità di vedere cosa c‟è oltre a questi limiti, esattamente come l‟astronauta vorrebbe conoscere cosa c‟è al di là dell‟Universo. Ecco che tutti i filosofi di ogni paese ed epoca si sono scannati a dare le loro infondate risposte. Kant ritiene non soltanto che sia impossibile spiegare la realtà in sé, ovvero al di là del fenomeno, quindi dell‟esperienza, ma impiega pure tutta una parte della sua opera per descrivere gli errori commessi dai filosofi precedenti. Tre idee trascendentali Con l‟intento sopra citato, la ragione umana (terza ed ultima parte della nostra conoscenza) tende ad unificare i dati del senso interno (tempo) mediante l‟idea di anima, ovvero l‟idea della totalità assoluta dei fenomeni interni, ad unificare i dati del senso esterno (spazio) mediante l‟idea di mondo, l‟idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni, e ad unificare dati interni ed esterni insieme mediante l‟idea di Dio, inteso come idea fondamentale di tutto ciò che esiste. L‟errore di tutti i filosofi della metafisica è stato quello di connettere queste tre idee ad altrettante realtà. Ad ogni realtà corrisponde ovviamente un ramo della scienza: psicologia, cosmologia, teologia (ovvero la ricerca delle prove dell‟esistenza di Dio). Critica alla psicologia razionale Il ragionamento errato della psicologia è di applicare la categoria di sostanza all‟io penso, trasformandolo in una realtà permanente chiamata anima. Tale operazione è definita da Kant “paralogismo”. Ma l‟io penso non è un oggetto empirico, bensì è un‟unità a cui non possiamo applicare alcuna categoria poiché, oltre ad essere sconosciuta, è anche formale, e le categorie si applicano solo alle intuizioni. Critica alla cosmologia razionale Osservando la storia della cosmologia si scoprono coppie di affermazioni che tendono ad annullarsi reciprocamente, chiamate da Kant “antinomie”. Le tesi vengono quindi contraddette da antitesi. Se infatti le tesi vengono dimostrate valide mediante il procedimento per assurdo, allo stesso modo è possibile dimostrare la validità delle antitesi. Kant elenca quattro antinomie, che vertono: 1. sull‟infinità del mondo 2. sulla semplicità dei suoi elementi 3. sull‟esistenza di una causa prima 4. sulla dipendenza di un essere necessario Critica alle prove dell’esistenza di Dio Kant raggruppa tutte le prove addotte dai filosofi precedenti, per dimostrare l‟esistenza di Dio, in tre classi: 1. la prova ontologica (risalente ad Anselmo da Aosta, ripresa da Cartesio) dice che Dio, in quanto essere perfettissimo, poiché riunisce in sé tutto quanto, non può certo mancare dell‟attributo dell‟esistenza. Kant sostiene che l‟esistenza va dedotta dall‟esperienza, non è possibile trasformarla in un predicato e ottenerla così dalla logica. La prova è così impossibile se da un‟idea si vuol far derivare una realtà, contradditoria se si pensa che la realtà sia già insita nell‟idea. 2. la prova cosmologica (risalente a S. Tommaso d‟Aquino) dice che se qualcosa esiste deve anche esistere un essere assolutamente necessario. Kant obbietta che non posso derivare l‟esistenza di qualcosa incausata dallo stesso principio di causa, che serve soltanto a connettere logicamente i fenomeni. 3. la prova fisico-teologica secondo cui se esistono le leggi ordinatrici della natura deve per forza esistere un ente legislatore. In questo modo però questo supremo architetto dovrebbe anche essere il muratore della nostra casa, diventando così causa dell‟ordine del mondo e causa dell‟essere stesso. Ricadendo così nella prova cosmologia e ontologica, già distrutte. Conclusione La metafisica come scienza è impossibile perché la "sintesi a priori" metafisica presuppone un intelletto intuitivo che noi non possediamo; oltre i limiti dell'esperienza sensibile l'uomo non può andare, dal punto di vista scientifico. Esiste però un altro ambito in cui il "noumeno" è accessibile, almeno come "possibilità": quest'ambito è quello dell'etica; bisogna dunque passare dall'ambito teoretico a quello pratico. "Ho dovuto sopprimere il sapere per far posto alla fede" 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 78 Cosmologia 9.9 Schema concettuale 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 79 Cosmologia 10 LA FISICA MODERNA “In questa breve opera mi propongo di presentare un quadro più che possibile esatto della teoria della relatività a quei lettori che, senza avere una specifica preparazione in fatto di fisica teorica, tuttavia abbiano per questa teoria un interesse filosofico e scientifico generale.” (Einstein) 10.1 Vita ed opere di Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955) Albert Einstein, fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna. Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hn, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e n è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale. Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività. Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici. Il mondo fu un po‟ più piccolo quando morì, a Princeton, nel 1955. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989) in collaborazione con Sigmund Freud. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 80 Cosmologia 10.2 Crisi della fisica classica 10.2.1 La velocità della luce Per tentare di misurare la velocità della luce, Galileo si recò di notte sulle colline toscane con un assistente. Entrambi avevano una lampada con un otturatore: uno dei due doveva sollevare l'otturatore e l'altro, sistemato a una certa distanza, avrebbe sollevato il suo non appena ricevuto il segnale luminoso. Dal ritardo nel ricevimento della luce di ritorno da parte del primo osservatore, conoscendo la distanza tra le due postazioni, Galileo sperava di poter stimare la velocità della luce. In realtà Galileo, che tra l'altro non poteva ancora disporre di accurati strumenti di misura degli intervalli di tempo, trovò che il ritardo misurato era dovuto al tempo di reazione umano per sollevare l'otturatore. Oggi sappiamo che, dato il valore altissimo della velocità della luce, il ritardo che Galileo sperava di poter misurare è dell'ordine di un milionesimo di secondo! L’esperimento di Fizeau Per una misura accurata della velocità della luce si dovettero aspettare due secoli e il lavoro di Armand Fizeau, che nel 1843 ingegnosamente riuscì a misurare in laboratorio la velocità della luce che si propagava nell'aria tra due ruote dentate in rapida rotazione. Il metodo fu poi perfezionato da Jean Foucault, e dallo stesso Fizeau che procedette a misurare la velocità della luce nell'acqua, trovandola ridotta in misura proporzionale all'indice di rifrazione dell'acqua. La crisi del concetto tradizionale di relatività maturò vent'anni più tardi, con la scoperta da parte dello scozzese James Clerk Maxwell delle equazioni regolanti la propagazione del campo elettromagnetico. 10.2.2 Il vento d'etere Le equazioni di Maxwell dimostrano in modo inequivocabile che la luce consiste di onde elettromagnetiche di altissima frequenza. Secondo la convinzione corrente dell'epoca – condivisa dallo stesso Maxwell – il campo elettromagnetico non era altro che un modo fenomenologico molto preciso e compatto per descrivere le deformazioni, le tensioni interne e la propagazione ondosa di un mezzo ipotetico chiamato "etere", e riconducibile storicamente alla "quintessenza" aristotelica (la parola "etere" deriva dal greco "aivqw", brillare, usato da Aristotele per descrivere la sostanza da cui dovevano essere formate le stelle). La luce doveva propagarsi nell'etere in modo analogo a quello in cui il suono si propaga nell'aria. L'etere doveva essere una sostanza enormemente plastica e leggerissima, poiché il moto dei pianeti intorno al Sole (che doveva avvenire ad alta velocità attraverso l'etere stesso) non ne veniva affatto rallentato, come dimostrato dall'accordo tra le previsioni delle leggi di Newton e le osservazioni astronomiche. Poiché la luce attraversa anche il vetro e i materiali più densi, inoltre, l'etere doveva permeare anche i corpi solidi. E poiché la velocità della luce è altissima, circa un milione di volte quella del suono, l'etere doveva anche essere un mezzo rigidissimo, dotato cioè di enorme elasticità. Armand Fizeau, con i suoi esperimenti del 1849 sulla propagazione della luce nell'acqua in movimento, aveva inoltre dimostrato che l'etere doveva essere almeno parzialmente trascinato da un mezzo rifrangente in moto. Fizeau era riuscito a misurare la differenza tra la velocità della luce che si propagava nella stessa direzione dell'acqua e quella che si propagava in direzione opposta, trovando una formula empirica che descriveva molto bene le osservazioni, ma che nessuno riusciva a spiegare sulla base della teoria corrente basata sulla propagazione della luce nell'etere. La crisi del concetto di etere sarebbe precipitata con l'esperimento di Michelson e Morley. Progettato proprio al fine di dimostrare l'esistenza dell'etere e il suo influsso sulla propagazione della luce (su cui i due scienziati, come quasi tutti all'epoca, non avevano alcun dubbio), l'esperimento clamorosamente non diede invece alcun risultato. L'etere si dimostrò non osservabile. All'inizio del Novecento, Henri Poincaré mise in evidenza le carenze della visione tradizionale della propagazione della luce. Poi, in modo più completo e sistematico, Einstein risolse il problema adottando il nuovo approccio della teoria della relatività. Il postulato di Einstein della costanza della velocità della luce, implicitamente, faceva diventare superfluo il concetto di etere. L'ottica e l'elettromagnetismo diventavano soggetti allo stesso principio di relatività valido per i fenomeni della meccanica. Le osservazioni di Fizeau potevano venire spiegate sulla base della nuova regola relativistica per la composizione delle velocità, come dimostrato da Max von Laue nel 1907. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 81 Cosmologia 10.3 Relatività ristretta La prima pubblicazione con cui Einstein presentò la sua teoria della relatività ristretta fu l'articolo apparso nel 1905 sulla rivista "Annalen der Physik" e intitolato "Zur Elektrodynamik bewegter Körper" (Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento). Per "ristretta" (o "speciale") si intende che la teoria era limitata alla descrizione di osservatori in moto uniforme, cioè a velocità costante, gli uni rispetto agli altri, e non considerava i sistemi di riferimento non inerziali, in cui sono presenti accelerazioni dovute a forze esterne al sistema. Ecco come Einstein enuncia il Principio di relatività nelle prime frasi dell'articolo del 1905: "È noto che l'elettrodinamica di Maxwell – così come la comprendiamo attualmente – quando viene applicata ai corpi in movimento, porta ad asimmetrie che non paiono essere intrinseche ai fenomeni. Si prenda, per esempio, l'azione elettrodinamica reciproca di un magnete e di un conduttore. Il fenomeno osservabile, qui, dipende soltanto dal moto relativo del conduttore e del magnete, laddove la visione tradizionale traccia una netta distinzione tra i due casi in cui l'uno oppure l'altro di questi corpi è in moto. Infatti, se il magnete è in moto e il conduttore è a riposo, nelle vicinanze del magnete sorge un campo elettrico con una certa energia ben definita, che produce una corrente nelle posizioni in cui si trovano le parti del conduttore. Ma se il magnete è stazionario e il conduttore è in moto, nelle vicinanze del magnete non sorge alcun campo elettrico. Nel conduttore, tuttavia, troviamo una forza elettromotrice alla quale di per sé non corrisponde alcuna energia, ma che dà origine – supponendo l'eguaglianza del moto relativo nei due casi in discussione – a correnti elettriche che hanno la stessa direzione e intensità di quelle prodotte nel caso precedente dalla forza elettrica. Esempi di questo tipo, insieme ai tentativi senza successo di scoprire un qualsiasi moto della Terra rispetto al 'mezzo leggero', suggeriscono che i fenomeni dell'elettrodinamica, come quelli della meccanica, non posseggano alcuna proprietà corrispondente all'idea di riposo assoluto. Suggeriscono piuttosto che, come è già stato dimostrato al prim'ordine di quantità piccole, le stesse leggi dell'elettromagnetismo e dell'ottica saranno valide per tutti i sistemi di riferimento per i quali valgono le equazioni della meccanica. Eleveremo questa congettura (che in quanto segue chiameremo 'Principio di relatività') allo status di postulato, e introdurremo anche un altro postulato, che soltanto apparentemente è inconciliabile con il precedente, vale a dire, che la luce si propaga sempre nello spazio con una precisa velocità c che è indipendente dallo stato di moto del corpo che la emette. Questi due postulati sono sufficienti per il raggiungimento di una teoria semplice e coerente per l'elettrodinamica dei corpi in movimento basata sulla teoria di Maxwell per i corpi stazionari. L'introduzione di un 'etere luminifero' si dimostrerà superflua, nel senso che la visione che sarà sviluppata qui non richiederà uno 'spazio assolutamente stazionario' dotato di proprietà speciali, né assegnerà un vettore velocità ad alcun punto dello spazio vuoto in cui hanno luogo i processi elettromagnetici." 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 82 Cosmologia 10.3.1 La luce non cambia mai velocità La velocità della luce cui si fa normalmente riferimento è quella che corrisponde alla propagazione delle onde elettromagnetiche nel vuoto. Per esempio la luce visibile, le onde radio o i raggi X rivelati sulla Terra dagli osservatori astronomici, e che sono stati emessi da oggetti cosmici lontani, hanno attraversato a questa velocità (approssimativamente 300.000 km/secondo) gli spazi intergalattici. La velocità della luce che attraversa la materia è inferiore a quella nel vuoto, e inversamente proporzionale all'indice di rifrazione del mezzo considerato. Nell'acqua, per esempio, la velocità della luce si riduce a circa 230.000 km/secondo; nel vetro, a circa 200.000 km/secondo. È questa la velocità a cui vengono trasmessi i dati trasmessi lungo le linee di telecomunicazione a fibre ottiche. In particolare, sebbene la teoria della relatività stabilisca che la velocità della luce nel vuoto è insuperabile, la riduzione della velocità della luce nell'attraversare la materia fa sì che possano esistere particelle che, in un dato materiale, si muovono a velocità superiore a quella della luce in quel materiale. Tale fenomeno è stato rivelato per primo dal fisico russo Cerenkov, che osservò l'effetto, simile per molti versi all'onda d'urto di un velivolo supersonico, di particelle in moto a velocità superluminali (che ora va sotto il nome di "effetto Cerenkov"). Le prime misure della variazione della velocità della luce attraverso diversi materiali risalgono alla metà dell'Ottocento, quando il fisico francese Armand Hippolyte Fizeau, dopo aver ottenuto un'accurata misura nell'aria, costruì un'ingegnosa apparecchiatura per misurare non soltanto la velocità della luce nell'acqua, ma anche la sua variazione al variare della velocità dell'acqua attraversata. La formula empirica ottenuta da Fizeau trovò spiegazione soltanto con l'avvento della teoria della relatività speciale di Einstein. Il postulato di Einstein, secondo cui la velocità della luce nel vuoto non cambia con la velocità della sorgente, era ispirato dalla presenza della costante c, indipendente dal sistema di riferimento adottato, nelle equazioni dell'elettromagnetismo derivate dallo scozzese James Clerk Maxwell. Il postulato, oltre a essere giustificabile a posteriori sulla base della coerenza interna della teoria di Einstein e della riconosciuta validità delle sue previsioni, ha ricevuto nel frattempo numerose conferme sperimentali, per esempio dall'osservazione astronomica delle stelle binarie. Nei sistemi binari in cui una stella più piccola ruota rapidamente intorno a una stella più grande, l'immagine della stella piccola appare infatti nitida, al telescopio, durante tutte le fasi dell'orbita, sia quando la stella si sta allontanando da noi, sia quando si sta avvicinando. Se la velocità della luce emessa variasse con la velocità della stella relativa a noi, riceveremmo in ogni dato istante segnali luminosi emessi dalla stella durante fasi diverse della sua orbita, e dovremmo invece osservare un'immagine diffusa e indistinta. 10.3.2 La velocità della luce non si può sommare Secondo la fisica tradizionale e la visione della relatività di Galileo e di Newton, le velocità di oggetti in moto relativo si sommano quando cambia il sistema di riferimento da cui viene osservato il moto. Per esempio, se su un treno c'è un controllore che corre a velocità v verso la testa del treno, mentre il treno si muove (rispetto a noi) a una velocità u , noi vedremo il controllore muoversi con una velocità V data dalla somma (u + v). Con la teoria della relatività, invece, Einstein ha scoperto che la formula classica per l'addizione delle velocità deve essere modificata. Secondo Einstein, l'addizione di due velocità dà sempre un risultato minore della loro somma. Questo effetto, assolutamente impercettibile quando le velocità in gioco sono quelle della nostra vita quotidiana, diventa importante quando le velocità sono paragonabili a quelle della luce. Per esempio, se due aerei viaggiano in direzioni opposte e ciascuno si muove rispetto al terreno a 500 km/h, secondo la fisica classica ciascuno dei due piloti vedrà l'altro aereo avvicinarsi a 1000 km/h. Secondo la relatività, invece, ciascun pilota vedrà l'altro aereo avvicinarsi a 999,9999999999999 km/h : la differenza, chiaramente, è irrilevante a tutti gli effetti pratici. Consideriamo invece due astronavi, ciascuna delle quali si muove (rispetto, per esempio, alla Terra) con una velocità di 0,5c , cioè metà della velocità della luce. Secondo la fisica classica, ciascun pilota vedrà l'altra astronave avvicinarsi a (0,5c + 0,5c), cioè alla velocità della luce. Secondo la relatività, invece, ciascun pilota vedrà l'altra astronave avvicinarsi soltanto a 0,8c , cioè soltanto all'80% della velocità della luce. La formula relativistica per la composizione delle velocità è tale che la risultante di due velocità è sempre minore della loro somma. In particolare, se una delle due velocità da sommare è la velocità della luce, la velocità risultante sarà sempre uguale alla velocità della luce. Questa formula è dunque coerente con il principio sopra descritto, secondo cui la velocità della luce è una costante universale. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 83 Cosmologia 10.3.3 Simultaneità relativa Il dissincronismo, o relatività della simultaneità, è da molti punti di vista l'effetto-chiave della teoria della relatività ristretta, ed è la conseguenza più impressionante del postulato di Einstein secondo cui la velocità della luce non cambia mai, per chiunque la osservi. Il primo a mettere in discussione la nozione di simultaneità propria della fisica classica (e del senso comune) fu Henri Poincaré, che in un articolo del 1898 intitolato "La misura del tempo" scriveva tra l'altro: "Noi non abbiamo alcuna intuizione diretta per quanto riguarda l'uguaglianza di due intervalli di tempo. Coloro che ritengono di avere questa intuizione sono vittime di un'illusione." La teoria di Einstein va fortemente contro l'intuizione basata sull'esperienza quotidiana, ammettere infatti che non sia possibile una definizione univoca e assoluta del concetto di simultaneità, significa infatti ammettere che il tempo non scorre allo stesso modo per tutti gli osservatori, che il tempo assoluto non esiste. Storicamente, molte delle obiezioni che rallentarono il processo di accettazione della teoria di Einstein risalgono proprio al carattere rivoluzionario – rispetto alla descrizione newtoniana della natura – di questa implicazione della relatività. Una delle conseguenze più immediate della relatività della simultaneità è il fatto che, per un osservatore in moto, gli eventi verso cui si dirige sembrano avvenire prima degli eventi da cui si allontana. Consideriamo per esempio la seguente situazione: su un aereo in volo da Milano a Roma il pilota, esattamente a metà strada, invia un simultaneamente un segnale radio a Roma e uno a Milano, e le torri di controllo di Roma e Milano rispondono immediatamente con un messaggio radio al pilota. Dal punto di vista di chi sta a terra, chiaramente, l'arrivo dei segnali del pilota a Roma e a Milano sarà simultaneo, e così pure le due risposte. Per il pilota, invece, che durante il tragitto dei suoi segnali si è spostato un po' verso Roma, le due risposte non sono simultanee: gli arriverà prima la risposta di Roma, poi quella di Milano. Il tutto, naturalmente, è conseguenza dell'aver supposto, con Einstein, che la velocità di tutti i segnali radio sia sempre la stessa, indipendentemente dallo stato di moto di chi li invia. In conclusione, noi siamo in grado di provare scientificamente che il segnale è stato lanciato nello stesso istante “terrestre” da entrambe le stazioni, ma saremo anche costretti ad ammettere che sull‟aereo li abbiamo registrati in momenti diversi. Ecco quindi che dobbiamo definire due linee temporali di riferimento, una “terrestre” ed una “dell‟aeroplano”. 10.3.4 La dilatazione dei tempi In un sistema di riferimento che si muove rispetto a noi, il tempo scorre a rilento; non si tratta di un effetto apparente ma di una conseguenza reale e misurabile della relatività ristretta. Per chi sta in quel sistema, naturalmente, tutto pare procedere a ritmo normale, poiché anche gli "orologi interni" dei sistemi biologici battono in ritardo. Il ritardo degli orologi sui satelliti artificiali dovuto alla dilatazione dei tempi prevista dalla relatività speciale è misurabile. L'effetto di dilatazione dei tempi fu proposto per primo da Hendrik Antoon Lorentz, il quale aveva interpretato i risultati di Michelson e Morley invocando un effetto del vento d'etere su tutte le misure convenzionali di spazio e tempo. In base ad alcune ipotesi non irragionevoli sulle forze elettromagnetiche, Lorentz dimostrò che il vento d'etere doveva produrre un accorciamento dei corpi lungo la direzione del vento, e doveva anche alterare il ritmo degli orologi, anzi di qualsiasi sistema fisico con attività elettromagnetica, compresi i sistemi biologici. Il "Principio degli stati corrispondenti" di Lorentz continua, in sostanza, ad ammettere l'esistenza dell'etere e di un sistema di riferimento privilegiato a esso ancorato, pur se non rivelabile attraverso esperimenti di natura elettromagnetica. Questa posizione contrasta, ovviamente, con la relatività galileiana e richiede correzioni alle trasformazioni di Galileo. Queste correzioni, le "trasformazioni di Lorentz", si rivelarono quantitativamente esatte e furono portate a nuova vita da Einstein, che le dedusse dai postulati della sua teoria della relatività. Nel 1904 Henri Poincaré, che da tempo aveva espresso scetticismo sull'obiettività del concetto di simultaneità e sull'esistenza stessa dell'etere, cercò di superare le limitazioni della teoria di Lorentz proponendo che venisse data dignità di variabile fisica a un "tempo locale", dipendente dall'osservatore. L'approccio di Einstein nel 1905 differisce in modo sostanziale da quello di Lorentz ed è più vicino a quello di Poincaré: in particolare, Einstein ritenne insoddisfacente la conclusione lorentziana secondo cui, miracolosamente, l'etere esisteva ma aveva proprietà tali da renderlo inosservabile, e ritenne di dover privilegiare la conservazione del Principio di relatività galileiano, in una versione estesa a comprendere i fenomeni elettromagnetici. Einstein affermò che la dilatazione dei tempi è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità del sistema di riferimento considerato. Per un oggetto che si muovesse alla velocità della luce (eventualità peraltro esclusa dalla teoria di Einstein), il tempo non scorrerebbe affatto. Il tempo non è una grandezza assoluta. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 84 Cosmologia Un esempio: poniamo il fatto che un uomo in bicicletta (10 km/ora) e un altro che guidi una macchina (100 km/ora) vedano passare un treno che viaggi a 200 km/ora. All'uomo in bicicletta sembrerà che il treno vada più veloce rispetto a lui di quanto non lo sia per l'uomo in macchina. Questi vedrà il treno andare più lento di quanto non l'abbia visto il ciclista. Tutto questo perché il treno non ha una velocità assoluta, ma relativa all‟osservatore. Ma cosa succede quando la sua velocità diventa assoluta rispetto al moto del ciclista e dell'autista? Essi vedono il treno muoversi alla stessa velocità, ne consegue che l'autista dovrà rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" col ciclista e concordare con lui sulla velocità dei vagoni. A sua volta il ciclista dovrebbe rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" con una persona ferma, ipoteticamente seduta ai lati della strada. Questo l'esempio che permette di capire il significato della relatività temporale: se la velocità è data dal rapporto tra distanza percorsa e tempo di percorrimento, qualora ponessimo la velocità come una costante universale, necessariamente saranno le altre due grandezze a mutare in modo da concordare con la velocità assoluta della luce. Ogni persona si trova così a vivere un tempo diverso in rapporto alla velocità che percorre: all'aumento della velocità, il tempo personale rallenta, e questo per mantenere salda la velocità assoluta della luce. Per evidenziare questo effetto si usa illustrare il paradosso dei gemelli: se uno dei due gemelli viaggia su un'astronave a velocità relativistiche (prossime a quelle della luce) attraverso lo spazio, al suo ritorno sulla Terra risulterà più giovane di suo fratello. Questo perché il gemello "terrestre" ha viaggiato nello spazio alla velocità propria del pianeta Terra, enormemente più bassa rispetto alla velocità dell'astronave sulla quale viaggiava il fratello, che ora risulta più giovane. Il tempo dell'astronave era diverso da quello della Terra, i due gemelli hanno vissuto una dimensione temporale diversa. 10.3.5 La contrazione delle lunghezze Il primo a suggerire l'ipotesi di un accorciamento dei corpi nella direzione del loro movimento fu l'irlandese George Francis FitzGerald, che la propose come possibile soluzione all'enigma creato dai risultati (nulli) dell'esperimento di Michelson e Morley. L'accorciamento delle distanze, secondo FitzGerald, aveva alterato i percorsi dei fasci di luce nell'esperimento, cancellando esattamente l'effetto di sfasamento dovuto al vento d'etere che si intendeva misurare. L'ipotesi di FitzGerald venne ripresa da Lorentz, che la giustificò sulla base della teoria, allora corrente, che voleva i corpi materiali composti da particelle dotate di cariche opposte e tenute insieme da forze elettromagnetiche: se queste forze sono propagate dall'etere e quindi risentono del vento d'etere, allora è plausibile che anche la forma dei corpi dipenda dal loro stato di moto nell'etere. Il lavoro di Lorentz portò alla formulazione del "Principio degli stati corrispondenti", enunciato in formule (le "trasformazioni di Lorentz" da un sistema di riferimento a un altro) che riguardavano sia le lunghezze che gli intervalli di tempo. Le formule di Lorentz furono poi riderivate da Einstein come immediata conseguenza dei postulati della relatività ristretta, e venne così confermata la conclusione secondo cui un oggetto in moto è tanto più accorciato quanto maggiore la sua velocità. Nell'interpretazione di Einstein, ciò non aveva nulla a che fare con la presenza e con le bizzarre proprietà dell'ipotetico etere. Per quanto riguarda le conseguenze della contrazione delle lunghezze (o "contrazione di Lorentz-FitzGerald", come viene ancora spesso chiamata), va notato che essa si accompagna sempre agli altri effetti concomitanti della relatività ristretta, la dilatazione dei tempi e la relatività della simultaneità. Ciò significa, per esempio, che su un'astronave capace di viaggiare a velocità relativistica non soltanto il tempo scorrerebbe più lentamente, ma anche le distanze da percorrere apparirebbero ridotte. Comunque si guardi la situazione, è chiaro che l'astronave potrebbe percorrere quelle che a noi (fermi a Terra) appaiono distanze enormi in tempi che, per l'equipaggio dell'astronave, potrebbero essere molto brevi. Nel caso limite di un oggetto che potesse viaggiare alla velocità della luce, il tempo non scorrerebbe affatto e la distanza da percorrere si ridurrebbe a zero: per l'equipaggio, partenza e arrivo sarebbero simultanei. L'equipaggio stesso, peraltro, sarebbe contratto in misura infinita nella direzione del moto. Se si avesse a disposizione un anello sospeso nello spazio di un diametro che non permettesse ad un'astronave di passargli attraverso, qualora l'astronave aumentasse abbastanza la velocità in modo da contrarre le proprie dimensioni, riuscirebbe in velocità ad attraversarlo, evento che non accadrebbe se fosse quasi ferma. Tuttavia la contrazione delle lunghezze sarebbe avvertita soltanto dall'equipaggio dell'astronave, e non da un osservatore immobile sull'anello. Tali stupefacenti effetti, pur contraddicendo il senso comune, sono una necessaria conseguenza della stretta connessione tra massa ed energia. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 85 Cosmologia 10.3.6 Spazio e tempo secondo Einstein Fin dal primo lavoro di Einstein sulla relatività, nel 1905, emerse chiaramente una nuova visione della natura in cui spazio e tempo non potevano più venire considerati come entità indipendenti. Nella teoria della relatività ristretta, l'entità fondamentale è lo spazio-tempo (o "continuo spazio-temporale"), una geometria nuova la cui precisa struttura fu poi stabilita nel 1907 da Hermann Minkowski, già professore di Einstein al Politecnico di Zurigo (all'epoca, Minkowski era stato assai poco impressionato dalla svogliatezza dell'allievo; ma dopo la pubblicazione della teoria della relatività, ne divenne uno dei più accesi sostenitori e divulgatori). I fenomeni nello spazio-tempo possono venire descritti in infinite maniere, diverse ed equivalenti, dagli osservatori inerziali. Alcune variabili fisiche hanno lo stesso valore per tutti gli osservatori, e sono quindi assolute: per esempio la distanza spazio-temporale tra due eventi, che generalizza la distanza dello spazio tridimensionale. Molte altre variabili, invece, sono relative: per esempio (contrariamente al senso comune) la lunghezza di un oggetto o l'intervallo di tempo tra due eventi, come abbiamo già visto. Lo spazio-tempo rappresenta una realtà assoluta, non relativa, che viene vista sotto prospettive diverse dai diversi osservatori. Un esempio dell'intercambiabilità di spazio e tempo secondo la teoria della relatività si ha considerando la seguente affermazione: “due eventi che per un osservatore avvengono nello stesso luogo ma in istanti di tempo diversi, per un altro osservatore in generale avverranno in luoghi diversi" È facile convincersi che essa è vera, ispirandosi alla vita quotidiana: per esempio, se pranzo nel vagoneristorante di un treno, consumerò le diverse portate nello stesso luogo ma in tempi diversi. Per chi mi osserva da terra, però, consumo le portate non soltanto in tempi diversi, ma anche in luoghi diversi. 10.3.7 Massa = energia ! Nella teoria di Einstein, la massa di un corpo è una delle grandezze fisiche relative: appare cioè diversa a diversi osservatori inerziali. Le trasformazioni di Lorentz garantiscono che l'equivalenza massa-energia sia valida per qualsiasi osservatore, ma è importante notare che per ciascun oggetto esiste una massa minima, irriducibile: la cosiddetta "massa a riposo", che è quella misurata in un sistema di riferimento in cui l'oggetto è fermo. Per tutti gli altri osservatori, la massa dell'oggetto è maggiore: all'aumentare della velocità aumenterà infatti anche la massa dei corpi. All'approssimarsi della velocità della luce, la massa di un corpo tende all'infinito, quindi, per spostarsi, avrebbe bisogno di una quantità infinita di energia, il che sarebbe impossibile. Queste conseguenze derivano dal fatto che ogni oggetto ha una massa, e la massa equivale ad energia. Se all'aumentare della velocità dei corpi il tempo rallenta e lo spazio si contrae, i calcoli di Einstein dimostrano anche che l‟aumento della massa è proporzionale all'energia che serve a muovere il corpo stesso. Per approssimarsi alla velocità della luce i corpi hanno bisogno di sempre più energia, e questa si traduce in massa: ecco perché avvicinandosi di molto alla velocità della luce, l'energia che serve all'impresa tende a crescere all'infinito in prossimità del limite invalicabile, ovvero la velocità della luce, e con il crescere dell'energia aumenta anche la massa. Un‟altra conseguenza altrettanto importante è la possibilità di convertire una massa nucleare in energia, che può avvenire sia con la disintegrazione (fissione) di nuclei pesanti quali quello dell'uranio, sia con la fusione di nuclei leggeri quali quelli degli isotopi dell'idrogeno. Nel primo caso, la scissione del nucleo è facilitata dalla sua instabilità e può essere catalizzata bombardandolo con neutroni. Il nucleo d'uranio scompare, e appaiono prodotti di fissione formati da nuclei più piccoli e da altri neutroni. La somma delle masse a riposo dei prodotti finali risulta minore della massa a riposo del nucleo di uranio. La differenza di massa è soltanto un millesimo della massa totale, e si ritrova come energia cinetica dei frammenti. In questa conversione, 1 grammo equivale a circa 25 milioni di chilowattora. Le reazioni di fusione nucleare sono ancora più efficienti (con una conversione che può raggiungere lo 0,7% della massa totale) ma sono più difficili da innescare, in quanto coinvolgono nuclei stabili che si respingono elettrostaticamente. Lo stesso meccanismo di conversione di massa in energia è in atto nelle semplici reazioni chimiche, dove però la massa convertita è una frazione minuscola del totale. L‟uguaglianza tra massa ed energia è espressa dalla nota formula E=mc² (E = Energia, m = massa, c = costante, o velocità della luce) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 86 Cosmologia Riassumendo: partendo dal postulato per cui la velocità della luce è costante, nonché assoluta rispetto spazio e tempo, aprì una serie di stupefacenti implicazioni, riassunte in questi tre concetti: 1. il tempo diventa relativo: per oggetti in moto il tempo risulta rallentare; 2. anche lo spazio diventa relativo: gli oggetti in movimento subiscono una contrazione della loro lunghezza; 3. l'eguaglianza tra massa ed energia: nessun corpo può eguagliare o superare la velocità della luce. Per i tre principi fin qui esposti risulta che un corpo che viaggia alla velocità della luce si contrae talmente tanto da risultare invisibile e da non essere esteso nello spazio, che il suo tempo è talmente rallentato da essere immobile e che la sua massa è talmente grande da risultare infinita. 10.4 Relatività generale 10.4.1 Il principio di equivalenza L'episodio di Galileo che lascia cadere oggetti di peso diverso dalla Torre di Pisa è probabilmente falso: ma è certo che già Galileo, e dopo di lui Newton, avevavo consapevolezza del fatto (assolutamente sorprendente) che la massa inerziale e quella gravitazionale degli oggetti sono uguali. "Me ne stavo seduto nell'ufficio brevetti di Berna quando all'improvviso ho pensato: se una persona cade liberamente, non sentirà il proprio peso. Questo semplice pensiero mi ha fatto un'impressione profonda, e mi ha dato l'impulso verso una teoria della gravità." Così Einstein ricorda "il pensiero più felice della vita", l'illuminazione del 1907 che avrebbe portato alla sua nuova e rivoluzionaria interpretazione dell'antica osservazione empirica dell'equivalenza della massa inerziale e di quella gravitazionale degli oggetti. Leggende a parte, la vera motivazione che spinse Einstein a lavorare tra il 1908 e il 1915 alla formulazione di una nuova teoria geometrica della gravità, rifletteva la sua fede scientifica (ma anche estetico-filosofica) nella semplicità e nell'unitarietà delle leggi della natura. In mancanza di altre indicazioni, Newton si era accontentato di supporre che la gravità fosse un'interazione trasmessa tra i corpi a distanza, istantaneamente. Per Einstein, una volta chiarito con la relatività speciale che esiste una velocità massima per la propagazione delle informazioni (la velocità della luce), questa supposizione non era più sufficiente, né accettabile. 10.4.2 La curvatura dello spazio Secondo Einstein, i corpi si muovono lungo traiettorie il più possibile rettilineee all'interno di un continuo a quattro dimensioni, lo spazio-tempo. I campi gravitazionali sono allora, secondo Einstein, una manifestazione della curvatura dello spazio: le masse non "attirano" le altre masse; piuttosto, distorcono lo spazio intorno a sé, e nello spazio distorto le traiettorie dei corpi diventano curve, e i corpi subiscono accelerazioni che noi interpretiamo come il risultato dell'esistenza di una forza. La sintesi più efficace della teoria della relatività generale è stata data dal fisico americano John Archibald Wheeler: "Lo spazio dice alla materia come muoversi; la materia dice allo spazio come curvarsi". Einstein non è stato il primo a prevedere fenomeni come quello della curvatura della luce in un campo gravitazionale. Newton, per esempio, riteneva che la luce fosse formata da corpuscoli (per curiosa ironia della storia questa idea newtoniana, che era poi stata soppiantata dalla descrizione ondulatoria della luce, fu riportata in auge proprio dall'articolo di Einstein del 1905 sull'effetto fotoelettrico). Secondo Newton, quindi, la luce come ogni altro corpo avrebbe risentito della forza di gravità. La teoria della relatività generale permise però a Einstein di effettuare nuove e più corrette stime quantitative dell'ammontare effettivo previsto per la deviazione della luce. Questi calcoli di Einstein vennero confermati dalle misure fatte da Dyson, Eddington e altri nel 1919, in occasione di un'eclisse totale di sole. Durante l'eclisse fu possibile misurare con grande precisione i tempi della scomparsa e della riapparizione di una stella nascosta dal dico solare. A causa della deviazione della luce, si sapeva che la stella doveva rimanere visibile (prima e dopo l'occultamento) più a lungo di quanto si sarebbe previsto in base alle sole leggi del moto classiche. I ritardi osservati risultarono in completo accordo con le previsioni di Einstein. Le osservazioni del 1919, che ebbero immediatamente enorme risonanza, confermarono agli occhi del mondo la validità della relatività generale. Einstein, per quanto lo riguardava, non aveva più alcun dubbio al proposito. Per lui, il momento decisivo era stato parecchi anni prima, quando aveva usato la sua teoria per calcolare un piccolo effetto astronomico (la precessione dell'orbita del pinatea Mercurio) che da secoli era considerato anomalo in quanto non veniva 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 87 Cosmologia spiegato dalla teoria di Newton. Quando Einstein scoprì che la sua teoria forniva con estrema accuratezza la soluzione del problema, la sua eccitazione fu tale che "per tre giorni trovai completamente impossibile lavorare o fare qualsiasi altra cosa". 10.4.3 Conseguenze della Relatività generale La relatività generale implicava quindi altre tre importanti conseguenze: 1. Nello spazio tridimensionale le orbite dei corpi ci appaiono curve perché incurvate dalla massa dei corpi più grandi, mentre nello spazio quadridimensionale le orbite mantengono una traiettoria retta (lo spazio quadridimensionale è lo spazio tridimensionale con l'aggiunta del tempo). Le orbite ellittiche sono quindi la proiezione tridimensionale di orbite rettilinee quadridimensionali. 2. Anche i raggi di luce si incurvano assieme allo spazio, in prossimità di una massa la luce viene deviata dalla gravità (effetto che è la base della teoria dei buchi neri); 3. In prossimità di una massa anche il tempo subisce una distorsione e rallenta. Grazie alla relatività generale si è potuto correggere la durata della rivoluzione di Mercurio, la massa del sole rallenta, seppur di poco, il tempo di rivoluzione previsto dai calcoli di Newton. 10.4.4 Storie di buchi neri Sebbene il termine "buco nero" sia stato coniato in questo secolo, l'idea che possano esistere stelle così massicce da impedire perfino la fuga della luce verso l'esterno non è nuova, anzi risale alla fine del Settecento. Nel 1784 il reverendo John Michell, riferendosi alle leggi Newton e facendo l'ipotesi che luce fosse composta da particelle materiali, scriveva: "Se il semi-diametro di una sfera della stessa densità del Sole dovesse superare quello del Sole in proporzione di cinquecento a uno, e supponendo che la luce sia attratta dalla stesa forza in proporzione alla sua vis inertiae (massa inerziale) con gli altri corpi, tutta la luce emessa da un corpo simile sarebbe costretta a ritornare su di esso, dalla sua stessa gravità". Il concetto-chiave, qui, è quello classico di velocità di fuga: l'intensità della gravità di un corpo può essere caratterizzata dalla velocità che un proiettile deve avere per potergli sfuggire. Nel caso della Terra, la velocità di fuga è di 11 km/secondo; nel caso del Sole, raggiunge quasi i 1000 km/secondo. La stella immaginata dal reverendo Michell avrebbe una velocità di fuga superiore a 300.000 km/secondo, cioè alla velocità della luce. Le stelle di neutroni, scoperte nel 1968, sono oggetti cosmici un po' più pesanti del nostro Sole, ma concentrati in un volume sferico del raggio di poche decine di kilometri. Nel caso di una stella di neutroni, la velocità di fuga è circa metà della velocità della luce. La luce può ancora scappare, ma viene fortemente curvata dalla fortissima gravità. Per questa stessa ragione, se si osservasse da vicino una stella di neutroni si vedrebbe ben più della metà della sua superficie: anche la luce riflessa dall'emisfero opposto (che in situazioni normali sarebbe nascosto) potrebbe raggiungere i nostri occhi. La gravità sulla superficie sarebbe tale che una mela lasciata cadere da mezzo metro d'altezza libererebbe la stessa energia di una tonnellata di dinamite. In condizioni estreme come quelle che si verificano intorno a una stella di neutroni, la teoria classica della gravità non si può applicare, ed è indispensabile ricorrere alla relatività generale di Einstein. A maggior ragione ciò vale nel caso dei buchi neri. La prima descrizione teorica di un buco nero nell'ambito della relatività generale risale a Karl Schwarzschild, che nel 1916 derivò la soluzione a simmetria sferica (analoga al potenziale di Newton) alle equazioni di Einstein. Schwarzschild calcolò la distorsione dello spazio all'esterno di un corpo sferico avente una certa massa. Un osservatore posto a una data distanza dal centro della sfera misurerà la stessa curvatura dello spazio (cioè, sentirà la stessa forza di gravità) indipendentemente dal raggio del corpo. Se però il corpo è più piccolo di una certa dimensione (data dal "raggio di Schwarzschild"), esso diventerà un buco nero: vale a dire, sarà impossibile vederlo, anche se si continuerà a sentirne la gravità. L'orizzonte di un buco nero di Schwarzschild è dato, in kilometri, dalla semplice formula R=3M, dove M è la massa del buco nero in unità di masse solari. Curiosamente, questo raggio è esattamente lo stesso che sarebbe stato previsto da Michell, sulla base della teoria di Newton. Ma le analogie nei risultati si fermano qui: le altre proprietà quasi fantascientifiche dei buchi neri (il rallentamento degli orologi, fino a fermarsi in corrispondenza dell'orizzonte, 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 88 Cosmologia dal punto di vista di chi osserva il buco nero dall'esterno; lo spostamento verso il rosso della luce emessa vicino all'orizzonte, e quello verso il violetto della luce che cade nel buco nero; e così via) sono previste soltanto dalla teoria della relatività generale. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 89 Cosmologia 11 L’INDETERMINISMO "Esiste una diffusa consapevolezza che la fisica contemporanea abbia prodotto un'importante revisione nella concezione che l'uomo ha dell'universo e dei rapporti che ad esso lo legano. In particolare, gli strumenti usati nella ricerca dalla fisica implicano un'accettazione della mentalità filosofica che ne è il presupposto; e tale mentalità, conquistato che abbia la gioventù scientificamente educata, sconvolge i vecchi ordinamenti etici". (Werner Heisenberg) 11.1 Introduzione La teoria atomistica del '900, detta meccanica quantistica, ha messo in discussione molti principi, tra cui il determinismo, pilastro rimasto saldo per millenni. Essa ha proposto una scienza che si occupa di corpi che non sembrano obbedire a leggi rigorose. Il promotore di questa nuova teoria "anti-deterministica" viene identificato con la figura del famoso fisico tedesco Werner Heisenberg, preceduto e appoggiato da un altro importante fisico, Bohr, che introdusse nel 1913 un modello atomico semi-classico. Esso costituiva un ponte tra la fisica classica e quella quantistica, in quanto superava le difficoltà avute nelle precedenti applicazioni al mondo atomico delle leggi fisiche dimostrate valide per i corpi macroscopici. L'opera di Heisenberg pone un limite teorico alla nostra capacità di indagare la natura. Mentre la meccanica classica volge lo sguardo solo alla realtà macroscopica ritenendo possibile prevedere il futuro di un corpo conoscendo due informazioni canoniche sul suo stato, e ritenendo possibile misurare grandezze del corpo con precisione grande a piacere senza alterare le sue caratteristiche, Heisenberg affermò che per un oggetto atomico ciò non risultava possibile: "i modelli che vengono dal mondo visibile, trasportati nell'interpretazione della fisica macroscopica, appaiono sfuggenti e ambigui e non riescono più a spiegare la realtà". La teoria dei quanti ha introdotto nella scienza fisica il concetto di potenzialità. Nelle teorie di Newton o Einstein, lo stato di qualsiasi sistema meccanico isolato in un dato momento di tempo è dato con precisione dalla determinazione empirica della posizione ed dal momento di ogni massa del sistema in quell'istante di tempo; non è presente alcun numero che si riferisca ad una probabilità. Nella meccanica quantica l'interpretazione di un'osservazione di un sistema è un procedimento piuttosto complicato: l'osservazione può consistere in una semplice lettura di cui si può discutere l'accuratezza, o può comprendere una complicata serie di dati; in ogni caso, il risultato può essere espresso soltanto in termini d'una distribuzione di probabilità concernente, ad esempio, la posizione o il momento della particella del sistema. La teoria predice quindi la distribuzione della probabilità per il futuro. Essa viene sperimentalmente verificata, semplicemente se, in uno stato futuro, i numeri del momento o della posizione si trovano nei limiti indicati dalla previsione. Lo stesso esperimento, con le stesse condizioni iniziali, deve essere ripetuto molte volte, ed i valori della posizione o del momento, che possono essere diversi in ogni osservazione, devono similmente essere trovati in modo da poter essere distribuiti secondo la prevista distribuzione di probabilità. 11.2 Evoluzioni della meccanica classica 11.2.1 Il meccanicismo di Laplace All'inizio dell'Ottocento la fisica europea era dominata dalla grande scuola laplaciana, il primo vero e proprio gruppo di ricerca scientifico della storia, raccolto attorno a Pierre Simon de Laplace (1749-1827). Grazie all'appoggio di Napoleone, Laplace era stato in grado di organizzare una attività coordinata tra un numero cospicuo di ricercatori, con laboratori e fondi di ricerca a disposizione, che in pochi anni aveva prodotto contributi scientifici di elevatissimo livello in molteplici campi della fisica. Parigi era divenuta la capitale mondiale delle scienze fisiche, un modello che tutti i paesi aspiravano a imitare. I membri di questo gruppo, che pure era ricco di variegate componenti con rilevanti differenze al proprio interno, condividevano una visione sostanzialmente simile delle scienze fisiche. I vari ambiti fenomenici della fisica (dal movimento al calore, dalla luce all'elettricità, dall'acustica al magnetismo) dovevano essere ricondotti a un unico modello esplicativo, quello newtoniano, fondato sull'esistenza di particelle di materia ponderabile, capaci di esercitare reciprocamente forze attrattive agenti a distanza, e di fluidi imponderabili di vario genere (un fluido calorico, un fluido elettrico, uno magnetico ecc.) i quali, a seconda del punto di vista degli autori, potevano a volte ridursi a un unico fluido. Anche i fluidi erano pensati come composti di particelle prive di peso interagenti a 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 90 Cosmologia distanza le une con le altre e con le particelle ponderabili. La teoria che regolava il comportamento dei componenti di questo modello era la meccanica. Ogni fenomeno fisico veniva spiegato attraverso un modello meccanico, da costruire secondo le più rigide teorie razionali, che ne spiegasse il comportamento. Negli studiosi più aperti vi era molta prudenza nel valutare il significato da attribuire ai modelli meccanici che venivano elaborati per la spiegazione dei fenomeni. Piuttosto che intenderli come rappresentazioni di realtà effettivamente esistenti e nascoste dietro il velo delle apparenze, studiosi come Laplace o Biot erano inclini a mettere in luce la loro principale funzione teorica, che era quella di poter conferire una grande unitarietà ai vari capitoli della fisica, riconducendoli appunto a un unico tipo di modello. I grandi successi che questo programma di ricerca incontrò nei primi anni dell'Ottocento, tuttavia,. indussero molti a ritenere: 1. che i modelli meccanici di tipo newtoniano avessero una vera e propria portata ontologica, fossero cioè in grado di raffigurare la realtà ultima, più profonda del mondo: 2. che dunque una spiegazione basata su modelli meccanici fosse già una spiegazione definitiva, non ulteriormente perfezionabile. Questa concezione meccanicistica e modellistica della fisica cominciò già nel secondo decennio del secolo a incontrare alcune difficoltà, ma contemporaneamente si diffuse e si affermò in tutta l'Europa e rimase il paradigma dominante nelle scienze fisiche, se non altro a livello ideologico, fino alla fine del secolo. Solo all'inizio del Novecento si ebbe il definitivo crollo del meccanicismo di stampo laplaciano. 11.2.2 Il concetto di causalità Storicamente, l‟uso del concetto di causalità per la legge di causa ed effetto è relativamente recente. Nella filosofia antica la parola "causa" aveva un significato assai più generale di quanto non abbia oggi. Per esempio gli scolastici, ricollegandosi ad Aristotele, parlavano di quattro forme di "causa": la causa formalis, che oggi si designerebbe piuttosto come la struttura o il contenuto ideale di una cosa; la causa materialis, vale a dire la materia di cui la cosa consiste; la causa finalis, il fine per il quale la cosa è creata, ed infine la causa efficiens, il motore che rende attivo il sistema. Il concetto di causa si è poi evoluto fino a significare quell'evento materiale che precedeva l'evento da spiegare e che lo aveva in qualche modo prodotto. Lo stesso Kant ci dice: "Quando apprendiamo che qualcosa accade, noi presupponiamo sempre qualcos'altro da cui quell'accadimento consegua secondo una regola". Sulla base di questo principio, la fisica newtoniana era costruita in modo che, conoscendo lo stato di un sistema in un certo momento, si poteva calcolare in precedenza il movimento futuro del sistema stesso. La concezione che in natura le cose stiano fondamentalmente proprio così, fu formulata forse nel modo più generale e comprensibile da Laplace attraverso la finzione di un demone che, a un dato istante, conoscesse la posizione e il moto di tutti gli atomi e che quindi dovesse essere in grado di precalcolare l'intero futuro dell'universo. Se la parola "causalità" si interpreta in modo così stretto, si parla anche di "determinismo" e si intende dire che esistono rigide leggi naturali che, partendo dallo stato attuale di un sistema, determinano univocamente il suo stato futuro. 11.3 La fisica quantistica 11.3.1 La meccanica statistica Già dall'antico atomismo di Democrito e Leucippo sappiamo che i processi “in grande” hanno luogo perché molti processi irregolari avvengono in piccolo. Numerosi esempi di vita quotidiana lo comprovano. L‟agricoltore ad esempio passa le giornate a pronosticare il dato momento in cui pioverà per poter irrigare i suoi campi, ma ignora e si disinteressa completamente di come le singole gocce d‟acqua colpiranno il terreno. Oppure, per fare un altro esempio: noi sappiamo con esattezza che cosa intendiamo con la parola granito, anche se non ci sono esattamente note la forma e la composizione chimica di ogni singolo cristallo, il loro rapporto di mescolanza ed il loro colore. Siamo perciò abitati ad usare concetti che si riferiscono al comportamento in grande, senza interessarci dei singoli processi in piccolo. In termini tecnici potremo dire che ragioniamo sulla realtà macroscopica, ignorando quella microscopica. Democrito aveva però teorizzato che tutte le qualità sensibili della materia sono prodotte indirettamente dalla posizione e dal moto degli atomi, intesi come i costituenti ultimi della materia. "Solo in apparenza una cosa è dolce o amara, solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi e lo spazio vuoto" Se in tal 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 91 Cosmologia modo i fenomeni percepibili con i sensi si spiegano mediante l'azione associata di moltissimi procedimenti singoli in piccolo, ne segue quasi necessariamente che le leggi della natura possano essere usate solo come leggi statistiche. Certo anche le leggi statistiche possono portare a proposizioni il cui grado di probabilità è talmente alto da confinare con la sicurezza. Ma teoricamente possono sempre sussistere eccezioni. Le leggi statistiche indicano, molto banalmente, che il sistema fisico in questione è conosciuto solo parzialmente. L'esempio più noto è il gioco dei dadi. Dato che nessuna faccia del dado è privilegiata rispetto alle altre e che noi non possiamo quindi predire in alcun modo su quale faccia esso cadrà, si può assumere che per un sesto di un grandissimo numero di giocate esca, per esempio, il cinque. Con l'avvento dell'età moderna, si è ben presto cercato di spiegare, non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente, il comportamento delle sostanze attraverso il comportamento statistico dei loro atomi. Già Robert Boyle ha mostrato che le relazioni tra pressione e volume in un gas possono comprendersi intendendo la pressione come risultato dei molti urti dei singoli atomi contro la parete del recipiente. Analogamente si sono spiegati i fenomeni termodinamici assumendo che gli atomi si muovano più velocemente in un corpo caldo che in uno freddo. Si è riusciti a dare a questa proposizione una forma matematica quantitativa, rendendo cosi comprensibili le leggi della termologia. Questo uso della legge statistica ha ottenuto la sua forma definitiva nella seconda metà dell‟ottocento, mediante la cosiddetta meccanica statistica. In questa teoria, che nei suoi principi prende le mosse semplicemente dalla meccanica newtoniana, si sono studiate le conseguenze risultanti da una conoscenza incompleta di un sistema meccanico complesso. Teoricamente il determinismo continuava ad imperare, poiché ogni singolo evento veniva immaginato come completamente determinato secondo la meccanica newtoniana. Si aggiunse però l'idea che le proprietà meccaniche del sistema non fossero conosciute del tutto. Gibbs e Boltzmann riuscirono a sistemare adeguatamente in formule matematiche questo tipo di conoscenza incompleta. In particolare, Gibbs introdusse, per la prima volta, un concetto fisico (la temperatura) che può venir applicato ad un oggetto naturale solo quando la nostra conoscenza dell'oggetto è incompleta. Se, ad esempio, ci fossero noti il moto e la posizione di tutte le molecole di un gas, non avrebbe più senso parlare della temperatura del gas. Il concetto di temperatura può applicarsi solo quando il sistema è conosciuto incompletamente e da questa incompleta conoscenza si vogliono trarre conclusioni statistiche. 11.3.2 La teoria dei quanti Nonostante le scoperte di Gibbs e di Boltzmann abbiano introdotto nella formulazione delle leggi fisiche la conoscenza incompleta di un sistema, non si è tuttavia rinunciato teoricamente al determinismo fino alla celebre scoperta di Max Planck, con cui ha avuto inizio la teoria dei quanti. Planck aveva dimostrato che un atomo radiante non perde la sua energia in modo continuo, ma discontinuamente, a scatti. Questa perdita di energia discontinua e a scatti porta anch'essa, come tutte le idee della teoria atomica, all'ipotesi che l'emissione di radiazioni sia un fenomeno statistico. Nel corso dei suoi studi è giunto alla conclusione che fosse impossibile spiegare questo fenomeno con le rigide leggi newtoniane, ma fosse necessario elaborare una “teoria di quanti” basata sulla meccanica statistica. Dopo numerose elaborazioni e grazie anche al nuovo modello atomico di Rutherford-Bohr, si sono potuti spiegare i processi chimici e, da quel momento, chimica, fisica e astrofisica si sono fuse insieme, mentre tramontava l‟era del determinismo. La divergenza dalla fisica precedente si rileva nelle cosiddette "relazioni di indeterminazione". Si è constatato che non è possibile indicare simultaneamente, con un grado qualunque di esattezza, la posizione e la velocità di una particella elementare. Si può misurare con grande esattezza la posizione, ma allora, per l'intervento dello strumento di misurazione, scompare, fino ad un certo grado, la conoscenza della velocità; oppure, inversamente, scompare la conoscenza della posizione, attraverso una esatta misurazione della velocità, di modo che, con la costante di Planck, viene dato un limite inferiore al prodotto delle due inesattezze. Secondo Newton, per calcolare un processo meccanico, era necessario conoscere contemporaneamente posizione e velocità in un certo momento di ogni singola particella; la teoria dei quanti mi dice invece che questo è impossibile. Un'altra formulazione è stata coniata da Niels Bohr, che ha introdotto il concetto della complementarità. Egli intende con questo che diverse immagini intuitive, con cui noi descriviamo sistemi atomici, sono sì adatte per 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 92 Cosmologia certi esperimenti, ma si escludono reciprocamente. Così, per esempio, si può descrivere l'atomo di Bohr come un sistema planetario in piccolo: al centro un nucleo atomico e all'esterno gli elettroni ruotanti attorno a questo nucleo. Per altri esperimenti, invece, può essere più opportuno immaginare che il nucleo atomico sia circondato da un sistema di onde permanenti, dove la radiazione emessa dall'atomo dipende dalla frequenza delle onde. Infine si può anche considerare l'atomo come oggetto della chimica, si può calcolare il suo calore di reazione nel combinarsi con altri atomi: ma allora non si può dir nulla, contemporaneamente, intorno al moto degli elettroni. Questi diversi modelli sono quindi giusti quando li si utilizza in un certo contesto, ma si contraddicono fra loro e si chiamano, perciò, reciprocamente complementari. L‟indeterminazione da cui ognuna di queste immagini è affetta e che viene espressa mediante la relazione di indeterminazione, basta appunto ad evitare contraddizioni logiche fra le diverse immagini. Da questi accenni risulta comprensibile, anche senza inoltrarsi nel formalismo matematico della teoria dei quanti, che la conoscenza incompleta di un sistema deve essere una componente essenziale di ogni formulazione della teoria quantistica. Le leggi quantistiche devono quindi essere di tipo statistico. Esempio: si sa che un atomo di radio può emettere raggi alfa. La teoria dei quanti può dire con quale probabilità per unità di tempo la particella alfa abbandona il nucleo, ma non può predire l'istante esatto: esso è, per principio, indeterminato. Non si può nemmeno ritenere che in futuro si trovino nuove leggi che ci permettano di determinare l'istante esatto; perché, se ciò fosse possibile, non si capirebbe come mai la particella alfa possa anche venir considerata come un'onda che si propaga dal nucleo atomico; la si può infatti dimostrare sperimentalmente anche come tale. I diversi esperimenti che dimostrano sia la natura ondulatoria, sia quella corpuscolare della materia atomica, ci costringono, con i loro paradossi, a formulare delle leggi statistiche. Nei processi in campo macroscopico questo elemento statistico della fisica atomica non ha in generale importanza, perché nel processo macroscopico deriva dalle leggi statistiche una probabilità così elevata, da permetterci di dire che il processo è, praticamente, determinato. Tuttavia s'incontrano spesso casi in cui l'evento in campo macroscopico dipende dal comportamento di uno o di pochi atomi; in tal caso anche il processo in grande può essere predetto solo statisticamente. Ad esempio la bomba atomica. In una bomba normale si può calcolare, sulla base del peso e della composizione chimica della sostanza esplosiva, la forza dell'esplosione. Nella bomba atomica invece si può indicare un limite superiore ed uno inferiore della forza d'esplosione, ma calcolarla esattamente, è, per principio, impossibile, poiché essa dipende dal comportamento di pochi atomi nel processo di accensione. Analogamente, anche in biologia, vi sono processi nei quali gli sviluppi macroscopici sono governati da processi che avvengono in singoli atomi; ciò sembra avverarsi in particolare nei mutamenti genici del processo ereditario. 11.3.3 Il modello atomico di Bohr ad orbite quantizzate Il modello di Bohr nasce alla luce delle nuove modifiche, ottenute attraverso lo studio dei fenomeni più diversi, della teoria delle radiazione termiche. La conseguenza delle discussioni su tale teoria è che l'elettrodinamica classica non è applicabile al comportamento dei sistemi atomici. E' necessario quindi introdurre una grandezza estranea all'elettrodinamica, e cioè la costante di Planck o quanto elementare d'azione: il modello di Bohr si basa sul modello di Rutherford con l'introduzione della costante di Planck. Nel modello di Bohr l'energia totale associata ad un elettrone in un atomo risulta quantizzata, cioè può assumere solo determinati valori. Ad ogni elettrone, quindi, viene assegnata una determinata energia, tale da consentirgli di percorrere traiettorie circolari privilegiate, dette orbite stazionarie. Bohr fondò il suo modello principalmente su due postulati, formulati per rispondere all'instabilità che la teoria classica attribuiva all'atomo; Bohr la spiegò come la conseguenza della cessione di energia degli elettroni e la loro -8 precipitazione sul nucleo in 10 s determinata dalla accelerazione centripeta cui sono soggetti sulle loro orbite. Tali postulati sono: - finchè un elettrone ruota nella sua orbita non perde energia per irradiazione, cioè gli elettroni non irradiano energia quando si trovano in un'orbita stazionaria; - quando per effetto di una scarica elettrica o per un riscaldamento l'atomo riceve energia, gli elettroni possono acquisire quanti di energia, giungendo ad uno stato eccitato. Questo comporta un salto 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 93 Cosmologia degli elettroni dalle normali orbite consentite o orbite più esterne a più alto contenuto energetico; non è invece possibile che un elettrone assuma valori di energia intermedi, che li porterebbero ad occupare orbite non permesse. Quindi, passando da un'orbita all'altra, gli elettroni cedono o acquistano energia. Ogni orbita appartiene ad un dato livello energetico o guscio, individuato da un numero progressivo 1,2,3,.. chiamato numero quantico principale.Tale modello atomico pose le basi per la trattazione teorica delle reazioni nucleari. 11.3.4 Il modello atomico degli orbitali di Schrödinger Il modello atomico di Bohr si adatta solo all'atomo dell'idrogeno, perché presuppone di determinare rigorosamente le orbite , la velocità e l'energia degli elettroni in un atomo, ma ciò non è possibile per il principio di Heinsemberg; mentre è rilevabile solamente lo spazio in cui l'elettrone ha più probabilità di trovarsi. . Si ipotizzò, nel 1927, che gli elettroni possedessero una natura ondulatoria. Tutta la concezione della struttura atomica moderna si basa sulla teoria della meccanica ondulatoria. Nel 1926 Erwin Schrödinger descrisse il moto ondulatorio dell'elettrone in funzione della sua energia, considerandolo come un'onda stazionaria e raffigurò l'elettrone in termini statistici. Lo spazio in cui ha maggiore probabilità di trovarsi l'elettrone, calcolabile attraverso l'equazione di Schrödinger, prende il nome di orbitale. La dimensione, la forma e l'orientamento dell'orbitale sono descritti dai numeri quantici: 1. numero quantico N (numero quantico principale): indica il livello di energia dell'elettrone dal quale dipendono dimensione e numero massimo di elettroni che possono essere contenuti in ciascun 2 livello (2n ) 2. numero quantico L (numero quantico secondario): indica i vari tipi di orbitale che possono esistere in un livello energetico, ossia la forma di ogni orbitale. Gli orbitali si classificano in orbitale di tipo s , p , d , f ordinati in base all'energia crescente all'interno del livello. 3. numero quantico M (numero quantico magnetico): indica il numero di orbitali contenuti in uno stesso sottolivello; si tratta di orbitali di uguale forma ed energia, ma con orientazione diversa. 4. numero quantico di Spin: si aggiunge agli altri tre numeri quantici, pur non riguardando l'interazione fra nucleo ed elettrone, ma solo la caratteristica degli elettroni (ipotizzati come piccole sfere) di "ruotare" in uno o nell'altro verso. In uno stesso orbitale i due elettroni devono avere spin diversi, come enunciato dal Principio di esclusione di Pauli. L' ordine di riempimento degli orbitali non avviene sempre in modo regolare al crescere di n , infatti siccome in un sottolivello gli orbitali hanno la stessa energia, allora questi si riempiranno in modo preferenziale secondo il principio di Hunds, che stabilisce che gli elettroni in uno stesso sottolivello tendono ad occupare il numero massimo di orbitali disponibili ottenendo così il massimo della stabilità. I principali criteri di riempimento degli orbitali sono: - un elettrone si dispone sempre nell'orbitale a minore energia; - un orbitale può essere occupato al massimo da due elettroni; - due elettroni in un stesso livello devono avere spin diversi; - gli elettroni tendono ad occupare il numero massimo di orbitali disponibili. Werner Heisenberg (1901 - 1976) 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 94 Cosmologia 11.4 L’indeterminismo 11.4.1 Caduta delle leggi deterministiche Fin dall‟antica cosmologia di Aristotele, per giungere alle più moderne leggi di Newton, si è conservata nel tempo la convinzione che la natura fosse retta da leggi rigorose, deterministiche, di portata universale. La scienza assunse il compito di determinare con i numeri queste leggi universali, che potessero spiegare ogni fenomeno naturale. La teoria atomistica del Novecento, detta meccanica quantistica, ha messo in discussione anche questo pilastro rimasto saldo per millenni. proponendo una scienza che si occupa di corpi che non sembrano essere soggetti a leggi rigorose. La “quantizzazione dell'energia” rappresentava una brusca rottura con la millenaria convinzione circa la sostanziale continuità dei processi naturali. L'antica massima secondo cui "la natura non fa salti" venne contraddetta dal comportamento dell'elettrone che, nel modello di Bohr, mutava il proprio stato con repentine discontinuità, con salti quantici. Se si considerano le esperienze che ci permettono di ottenere informazioni sugli oggetti atomici partendo dai principi della nuova teoria quantististica ci si trova di fronte a una conclusione che è assolutamente nuova rispetto alla meccanica classica. Nella meccanica classica è possibile prevedere il comportamento futuro di un corpo se si conoscono in un dato istante delle informazioni sul suo stato, le cosiddette coordinate canoniche. Le più semplici tra queste coppie di coordinate sono la posizione e la velocità. Nelle esperienze che riguardano gli oggetti macroscopici si era sempre ammesso che fosse possibile assumere informazioni empiriche circa le coordinate canoniche senza perturbare lo stato degli oggetti in esame: si ammetteva. per esempio, che si potesse misurare in un certo istante la posizione e la velocità di un corpo con precisione grande a piacere senza alterare il suo movimento. Se invece di considerare un corpo macroscopico si considera un oggetto atomico ciò non risulta più possibile: non è possibile misurare con precisione grande a piacere le coordinate canoniche di un oggetto atomico. Nel caso di un elettrone in movimento, per esempio, i tentativi di misurante posizione o velocità alterano inevitabilmente il suo stato di moto a causa della quantizzazione dell'energia tanto delle particelle quanto delle radiazioni luminose, quantizzazione che impedisce che si possa rendere piccolo a piacere il disturbo prodotto dalla interazione tra particella e apparato di misura. Questa perturbazione avviene in modo tale che se si cerca di diminuire l'incertezza della misurazione di una delle due coordinate, si interagisce con l'elettrone in maniera da aumentare l'incertezza con la quale si può misurare l'altra coordinata. La precisione nella misurazione di una coordinata canonica va necessariamente a discapito della precisione nella misurazione dell'altra. Per esempio se si cerca di determinare con precisione assoluta la posizione di un elettrone in un dato istante facendolo scontrare con una lastra fotografica che ne registra l'arrivo, l'urto con la lastra consente effettivamente di annullare l'incertezza circa la misurazione della posizione, ma contemporaneamente altera del tutto il movimento della particella e dunque preclude la possibilità di ottenere informazioni su quella che era la velocità dell'elettrone nel momento in cui giungeva sulla lastra. 11.4.2 Il principio d’indeterminazione di Heisenberg L'indagine sulle procedure sperimentali possibili per gli oggetti atomici condusse perciò Heisenberg a enunciare un principio di indeterminazione: nella misura delle coordinate canoniche di un oggetto atomico l'incertezza dei risultati di misura non si può rendere piccola a piacere. Il prodotto delle incertezze nelle misurazioni delle coordinate canoniche non può scendere sotto un limite inferiore. Perciò la diminuzione dell'incertezza, ovvero l‟aumento di precisione nella misurazione di una coordinata, provoca necessariamente un aumento di imprecisione nella misurazione dell'altra. Non è possibile conoscere contemporaneamente con precisione assoluta i valori di due coordinate canoniche. Il principio di indeterminazione ci porta quindi a conclusioni statistiche, indeterminate, sul futuro dell‟oggetto in questione. Se infatti non siamo in grado di avere informazioni precise sullo stato di un oggetto, non potremo neppure fare previsioni precise sul suo comportamento futuro. La meccanica classica compie previsioni deterministiche solo a patto che siano disponibili informazioni sui valori delle coordinate canoniche dell'oggetto in esame in un dato istante e ammette che sia sempre possibile ottenere simili informazioni. Il principio di indeterminazione stabilisce invece l'impossibilità di conoscere con precisione le coordinate canoniche e dunque esclude che si possa prevedere con precisione il futuro comportamento di un oggetto. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 95 Cosmologia È il disturbo provocato dagli apparati di misura sulle particelle a impedire di conoscere le coordinate canoniche, è l'interazione tra oggetto e apparato di osservazione a generare un comportamento apparentemente indeterministico degli oggetti microscopici; sarebbe però insensato, prosegue Heisenberg, porsi la questione di come si comportino questi oggetti quando nessuno li osserva, quando nessuno strumento li disturbi, e chiedersi se in realtà il loro comportamento è di tipo deterministico oppure no, in quanto è evidente che lo scienziato non ha nulla da dire circa quello che fa la natura allorquando nessuno la osserva. La scienza deve, per il momento, prendere soltanto atto che per esperienza, non è possibile prevedere il comportamento di qualsiasi fenomeno a livello microscopico. 11.5 L'universo quantistico Fino a poco tempo fa la scienza si limitava a descrivere che cosa era successo dopo il Big Bang, l‟immane esplosione che 15 miliardi di anni fa diede origine all‟intero universo. Oggi la scienza sta invadendo un campo fino ad ora riservato alla religione: sta cercando di capire che cosa ci fosse prima di quella esplosione, prima cioè della nascita stessa dell‟universo. Le ipotesi in discussione sono molte, ma tutte lasciano intravedere la possibilità che prima del nostro ci siano stati molti altri Big Bang. E molti altri universi, ognuno con una realtà fisica diversa: c‟è quello dove esiste la materia ma non si può sviluppare la vita, oppure quello dove neanche la materia esiste e tutto è radiazione. E non è finita qui. Secondo alcuni studiosi di meccanica quantistica, la nostra stessa realtà si sdoppia ogniqualvolta una particella ha la possibilità di comportarsi in modi diversi, dando vita a due universi paralleli: in uno la particella si comporta in un modo, nell‟altro nel modo opposto. Di sdoppiamento in sdoppiamento si creano tutte le possibili varianti. Sembra insomma che dopo esserci abituati all‟idea che né la Terra né la nostra galassia sono al centro del creato, dovremmo presto accettare anche quella di non appartenere all‟unico universo esistente/possibile. Il dubbio sorse agli scienziati dalla constatazione che le costanti naturali fissate all‟epoca del Big Bang, come la carica dell‟elettrone o la velocità della luce, sembrano straordinariamente calibrate per favorire la nascita dell‟universo in cui si possa sviluppare l‟attuale società. Se la gravità fosse stata leggermente più forte, le stelle avrebbero bruciato il loro combustibile nucleare in meno di un anno. Se invece la forza che tiene uniti gli atomi fosse stata più debole, gli astri non sarebbero neanche esistiti. Insomma la vita sulla Terra è il risultato di circostanze così specifiche e di condizione così restrittive da essere considerato un evento di per se altamente improbabile. C‟è però un modo per spiegare una serie tanto impressionante di coincidenze: ammettere che si formino di continuo interi universi, ognuno con caratteristiche del tutto casuali. Ciò aumenterebbe la probabilità statistica che, tra i tanti, possa nascere un universo con le condizioni giuste per generare l‟uomo così come è. Questa è l‟idea del “multiverso”, che sta riscuotendo tanto successo tra i cosmologi. Lee Smolin, docente di fisica all‟università di Pennsylvania addirittura ha azzardato una teoria sull‟origine e l‟evoluzione degli universi in termini di selezione naturale. Secondo la sua teoria, ogniqualvolta che da un universo ne nasce un altro le leggi fisiche si modificano un po‟, come avviene per gli esseri viventi. Così ci sono universi che nascono con leggi ostili e finiscono per estinguersi. Il motore di questa nuova evoluzione cosmica sarebbero gli oggetti più singolari e misteriosi del cosmo: i buchi neri. Secondo Smolin, materia ed energia risucchiate da un buco nero non spariscono nel nulla: riemergerebbero in un'altra regione dello spazio tempo, in un nuovo big bang, un'esplosione che segnerebbe l'atto di nascita di un nuovo universo, diverso e parallelo al nostro. Si genera così una rete pressoché infinita di mondi, tutti dotati di una propria concretezza. Tutto questo mi ricorda le deliranti teorie di Giordano Bruno, ingiustamente incolpato a causa dell‟incomprensione generale. Oggi contiamo sul fatto che non esista più alcun tribunale dell‟Inquisizione, pronto a toglierci la parola o anche solo la forza di pensare, di andare oltre le teorie già formulate. Può darsi quindi, che esistano infiniti altri universi, e che fra gli altri mondi ed il nostro avvengano scambi, separazioni ed intersezioni che forse un giorno riusciremo a rivelare. 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 96 Cosmologia Bibliografia Testi di storia e filosofia Dario Rei “La Rivoluzione Scientifica”, Ed. SEI, 1973 Abbagnano-Fornero “Protagonisti e testi della filosofia”, Ed. Paravia, 1999 Reale - Antiseri “Storia della filosofia”, Ed. La Scuola, 1997 Vittorio Mathieu “Storia della filosofia e del pensiero scientifico”, Ed. La Scuola, 1969 Leonardo Jannaccone “Il pensiero filosofico nella storia”, Ed. Giunti, 1967 Giulio Guidorizzi “La letteratura greca. Testi, autori, società”, Ed. Einaudi Scuola, 1996 Dizionario di Storiografia, Ed. PBM Testi di fisica Ugo Amaldi “Fisica per temi”, Ed. Zanichelli, 1995 Cini - De Maria - Gamba “Corso di fisica”, Ed. Sansoni, 1975 Altre fonti Cristian Mugnai “L‟universo immaginato”, appunti di studio, 2001 Gianluca Ferretti “Galileo Galilei”, appunti di studio, 2001 Francesco Lauri “Galilei”, appunti di studio, 2002 Davide Bucci “Isaac Newton”, appunti di studio, 2002 Roberto Armeli “Albert Einstein”, appunti di studio, 2000 Alessandro Bagioli, “Astronomia dei Greci”, appunti di studio Classe 5T, Liceo Scientifico Curbastro (Lugo, RA), “Rivoluzioni nella Modernità”, 1998 Classe 3D, Liceo Classico Cavour (Torino), “Il cielo di Galileo”, 2005 Classe VE, Liceo Scientifico Tosi (Busto Arsizio, VA), “La meccanica quantistica”, 1999 Risorse multimediali (integrate nel software) Enciclopedia Encarta 2005, Ed. Microsoft www.mogi-vice.com “Einstein e la relatività”, Cd-rom interattivo VirtLab, Ed. Zanichelli Siti internet www.vialattea.net www.wikipedia.org www.filosofico.net 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 97 Cosmologia Opere citate Bibbia Giovanni Keplero, Epitome astronomiae Plutarco, Stromata Giovanni Keplero, Armonie del mondo Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium Giovanni Keplero, La nuova stella Parmenide, De Natura Galileo Galilei, Dialogo sui massimi Aetius, Philolaus Aristotele, De Caelo Aristotele, De Motu Platone, Timeo Galileo Galilei, Sidereus Nuncius Tolomeo, Almagestum Galileo Galilei, Il Saggiatore Agostino, Enchiridion ad Laurentium Isaac Newton, Principi matematici della Tommaso d‟Aquino, Commentaria in sistemi del mondo Galileo Galilei, Dialogo intorno a Due Nuove Scienze filosofia naturale Libros Aristotelis De coelo et mundo Donne, Anatomia del mondo Dante Alighieri, Divina Commedia Thomas Paine, L'età della Ragione Copernico, De revolutionibus orbium Giacomo Leopardi, Il Copernico coelestium Giacomo Leopardi, La Ginestra Martin Lutero, Tischreden Koyré, La Rivoluzione astronomica Jean Bodin, Universae Naturae Theatrum Koyré, Studi galileiani Tycho Brahe, Sui più recenti fenomeni del Cassirer, Storia della filosofia moderna mondo etereo Lovejoy, La grande catena dell‟essere Giordano Bruno, La Cena de le ceneri Kant, Critica alla Ragion pura Giordano Bruno, De immenso et Einstein, La relatività (esposizione innumerabilibus divulgativa) Giordano Bruno De l‟infinito, universo e Heisenberg, Fisica e Filosofia mundi Lee Smolin, La vita del cosmo Giovanni Keplero, Astronomia nova 06/02/2007 Jacopo Filippo Vignola 98