Tesina di maturità Analisi storica e critica della concezione filosofica

Transcript

Tesina di maturità Analisi storica e critica della concezione filosofica
Cosmologia
Tesina di maturità
Analisi storica e critica
della concezione
filosofica dell’Universo,
dal pensiero biblico
all’indeterminismo di
Heisenberg
di
Jacopo Filippo Vignola
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
1
Cosmologia
Dedicato ai miei genitori
Così mi sono confrontato con scienziati e filosofi del passato:
non volevo accontentarmi di quel che la storia insegnava,
volevo superare come Ulisse “quella foce stretta
dov' Ercule segnò li suoi riguardi”,
non volevo sempre credere a quel che scrisse Aristotele,
e neppure vagare per la sola “isola in mezzo al mare”,
speravo di scoprire un giorno che relatività e indeterminismo
fossero solo semplici rappresentazioni di una realtà ben più profonda…
... volevo approfondire.
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
2
Cosmologia
Scopo della ricerca
Lo scopo di questa ricerca (tesina di maturità) è d‟indagare le molte concezioni dell‟Universo che
l‟uomo ha sviluppato nel corso dei secoli.
Il taglio della ricerca è filosofico-scientifico, con un approccio interdisciplinare comprendente le
materie di filosofia, storia, fisica, scienze, letteratura italiana e civiltà greca.
La Cosmologia, ovvero la storia della ricerca dell‟ordine universale che determina lo stato e i
movimenti della Natura, richiede al lettore di dimenticare per un momento tutte le conoscenze e le più
elementari esperienze quotidiane, per immedesimarsi nei panni di antichi filosofi, lontani nel tempo e nella
cultura, e provare a ragionare come loro, per meglio apprezzarne le geniali intuizioni.
In questa ricerca ho cercato di ricostruire i singoli passaggi logici che hanno portato l‟uomo, nel
corso della storia, a contraddire maestri e antenati, in favore del progresso scientifico. Lo stesso progresso
ha permesso, pensiero dopo pensiero, di indicare con certezza matematica, dove si colloca l‟uomo
all‟interno dello spazio infinito, perché viene attratto verso il basso, e qual‟è il suo rapporto con tutto il resto
della materia osservabile.
Nelle pagine successive non si troveranno risposte a domande esistenziali (perché l‟uomo esiste,
qual è il suo destino, …), ma solo i presupposti da cui poterle elaborare.
premessa
Presenterò la tesina alla commissione d‟esame in formato MULTIMEDIALE.
Ho ritenuto necessario l‟uso dello strumento informatico per poter superare alcuni limiti
d‟espressione che il supporto cartaceo impone.
Parallelamente alla stesura del testo ho sviluppato un software dedicato su CD-ROM che permette
di avere accesso a tutti i contenuti multimediali relativi alla cosmologia, tramite un unico menù interattivo.
Ad ogni paragrafo della tesina corrisponde una scheda interattiva contenente, oltre al relativo testo,
immagini storiche, pitture e ricostruzioni tridimensionali, video esplicativi e finestre scorribili.
Da quest‟ultime è possibile consultare le citazioni originali complete che avrebbero altrimenti
richiesto la stampa di numerose pagine.
Per ogni filosofo preso in analisi, ho elaborato una ricostruzione a due e tre dimensioni del
sistema cosmologico da lui ideato, rifacendomi alle descrizioni dei filosofi stessi o degli storici tramite i quali
ne abbiamo avuto notizia. Sarà così più agevole distinguere le innovazioni reali dagli errori e dai paradossi.
Infine, ho ricostruito graficamente attraverso il software Cabrì II plus*, alcuni principi fisici e
astronomici poco conosciuti poiché superati dalle leggi moderne, ma fondamentali per il mio lavoro e per
capire la storia della cosmologia.
*Cabrì II plus è un programma sviluppato dall‟Université Joseph Fourier du Paris, che permette di
tracciare ogni sorta di figura geometrica complessa, mantenendo costanti misure o proporzioni assegnate.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
“Io sono convinto che esista almeno un problema cui sono interessati tutti gli uomini dediti al pensiero. E‟ il
problema della cosmologia. il problema di comprendere il mondo, compresi noi stessi e la nostra
conoscenza in quanto parte del mondo”
Karl Popper in “The Logic of Scientific Discovery”, 1959
Indice
1
LE ORIGINI
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
2
Anassimandro
Anassimene
Parmenide
Filolao
Platone
Eudosso
Aristotele
10
11
12
13
14
17
17
20
Eratostene
Aristarco
Apollonio
Ipparco
Ipparco
Tolomeo
20
22
23
23
24
25
27
S. Agostino
S. Tommaso d‟Aquino
Dante Alighieri
Caratteri dell‟universo aristotelico-tolemaico
LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
5.7
5.8
5.9
5.9.1
5.9.2
5.9.3
6
10
IL CREAZIONISMO CRISTIANO
4.1
4.2
4.3
4.4
5
6
6
7
8
9
L’ELLENISMO
3.1
3.2
3.3
3.4
3.4
3.5
4
In Mesopotamia
Secondo la Bibbia
Nell‟Antico Egitto
In Cina
In India
LA GRECIA CLASSICA
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
3
6
30
il Quattrocento
Contesto storico e cause
Niccolò Copernico
La battaglia intorno a Copernico
I Gesuiti e l‟astronomia
Tycho Brahe
l‟Infinità dell‟Universo
Giordano Bruno
Conseguenze
La replica religiosa
Il rapporto Uomo – Universo
Dal rifiuto all‟accettazione
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31
32
33
35
36
38
39
42
42
42
43
L’UNIVERSO GEOMETRICO
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
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27
27
28
30
45
Vita ed opere di Johannes Kepler
Prima soluzione: l‟universo poliedrico
Seconda soluzione: le orbite ellittiche
Le tre leggi
Il Sole come causa dei movimenti planetari
Jacopo Filippo Vignola
45
46
47
47
49
4
Cosmologia
7
DALLA FILOSOFIA ALLA SCIENZA
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
8
50
51
53
56
58
60
62
63
64
Vita ed opere di Isaac Newton
I problemi dell‟ottica
Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna
Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna
La Gravitazione Universale
Conclusione
L’IDEALISMO
9.1
9.2
9.3
9.4
9.5
9.6
9.7
9.8
9.9
10
Vita ed opere di Galileo Galilei
Scoperte tecnologiche
Scoperte fisiche
Scoperte astronomiche
Dialogo sopra i due massimi sistemi
Contro la Chiesa
Contro gli Aristotelici
Giudizi sull‟operato di Galileo
LA FISICA CLASSICA
8.1
8.2
8.3
8.3
8.4
8.5
9
50
71
Vita ed opere d‟Immanuel Kant
Introduzione
Oggetto e fenomeno
Estetica trascendentale
Logica trascendentale
L‟ “io penso”
L‟isola in mezzo al mare
Dialettica trascendentale
Schema concettuale
71
73
73
74
75
76
77
78
79
LA FISICA MODERNA
80
10.1
Vita ed opere di Albert Einstein
10.2
Crisi della fisica classica
10.2.1
La velocità della luce
10.2.2
Il vento d'etere
10.3
Relatività ristretta
10.3.1
La luce non cambia mai velocità
10.3.2
La velocità della luce non si può sommare
10.3.3
Simultaneità relativa
10.3.4
La dilatazione dei tempi
10.3.5
La contrazione delle lunghezze
10.3.6
Spazio e tempo secondo Einstein
10.3.7
Massa = energia !
10.4
Relatività generale
10.4.1
Il principio di equivalenza
10.4.2
La curvatura dello spazio
10.4.3
Conseguenze della Relatività generale
10.4.4
Storie di buchi neri
11
L’INDETERMINISMO
80
81
81
81
82
83
83
84
84
85
86
86
87
87
87
88
88
90
11.1
Introduzione
11.2
Evoluzioni della meccanica classica
11.2.1
Il meccanicismo di Laplace
11.2.2
Il concetto di causalità
11.3
La fisica quantistica
11.3.1
La meccanica statistica
11.3.2
La teoria dei quanti
11.3.3
Il modello atomico di Bohr ad orbite quantizzate
11.3.4
Il modello atomico degli orbitali di Schrödinger
11.4
L‟indeterminismo
11.4.1
Caduta delle leggi deterministiche
11.4.2
Il principio d‟indeterminazione di Heisenberg
11.5
L'universo quantistico
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64
66
67
68
69
70
Jacopo Filippo Vignola
90
90
90
91
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94
95
95
95
96
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Cosmologia
1
LE ORIGINI
Le origini dell‟astronomia presso i popoli primitivi si confondono con quelle della civiltà e della religione.
In alcuni paesi lo svolgersi dei fenomeni celesti ha suggerito, con la possibilità di prevederli, il concetto di
legge naturale immutabile, aprendo così la via al passaggio da forme originarie di culto, quali il feticismo, il
totemismo, l‟animismo, a credenze più complesse in divinità esterne al mondo terrestre e capaci di agire
sopra di esso. Tra gli Israeliti si arriva direttamente sino al monoteismo.
La molteplicità e l‟apparente indipendenza dei movimenti osservati nel cielo, porta al diffondersi di mitologie
ricche di dei e di semidei: politeisti sono i Babilonesi, gli Egizi, i Cinesi, gli Indiani e gli stessi Greci, sino a
quando la formazione di una coscienza filosofica e religiosa più progredita non conduce a riconoscere
nell‟unità del cosmo un‟unica causa prima che in essa si rispecchia.
1.1
In Mesopotamia
Le nostre conoscenze sulla matematica e sull‟astronomia della Mesopotamia si basano sulle iscrizioni delle
migliaia di tavolette di argilla rinvenute nei luoghi che furono sede di antiche città. Le testimonianze
appartengono a due periodi separati, il “babilonese antico” (1800-1600 a.C. circa) e il “seleucidico” (gli ultimi
tre secoli prima di Cristo). Le conoscenze relative alla matematica si sono sviluppate nel più antico di questi
periodi, in quanto i numeri venivano già rappresentati sotto forma di simboli, in un sistema decimale e
sessagesimale. Nei testi più tardi del periodo seleucidico, troviamo lo “zero” per indicare un posto vuoto
sessagesimale tra due altre cifre. L‟astronomia del periodo babilonese antico contempla solo l‟osservazione
delle stelle più luminose. I testi più tardi, o seleucidici, comportano invece complicati sistemi di astronomia
teoretica elaborati dai sacerdoti. Essi sono abituati a osservare il cielo da osservatori o templi a gradoni, di
cui la biblica “torre di Babele” è un ricordo. Le loro osservazioni riguardano per lo più i movimenti dei “sette
pianeti” conosciuti fin dai tempi preistorici: il Sole, la Luna e cinque corpi (Mercurio, Venere, Marte, Giove e
Saturno). Ciascun pianeta sembra muoversi nel cielo, relativamente allo sfondo delle stelle. Si ritiene che i
movimenti giacciono tutti entro una certa zona della sfera celeste, che ai fini del calcolo viene immaginata
come un grande cerchio: lo Zodiaco (dal greco zodion, piccola figura di animale). Esso, in seguito, sarà
diviso in dodici parti uguali dai babilonesi, ciascuna delle quali porta il nome di una costellazione
corrispondente. Per la misura del tempo sono utilizzati i periodi della rivoluzione del Sole e della Luna. Le
vicende mensili della Luna, più evidenti del corso annuale del Sole, servono per regolare il più antico
calendario lunare. Questa divisione del tempo in funzione della Luna sarà conservata per fini religiosi. Tra il
mese lunare e l‟anno solare non esiste nessuna relazione numerica naturale, tuttavia l‟astronomia
babilonese viene spinta a svilupparsi anche per la necessità di trovare, attraverso una regola efficace, la
connessione tra i calcoli lunari e quelli solari. Intorno al quinto secolo si stabilisce che 19 anni solari
corrispondono a 235 mesi lunari, con l‟approssimazione della frazione di un giorno.
1.2
Secondo la Bibbia
Creazione del mondo e dell’umanità (Genesi 1, 1-31)
“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era disadorna e deserta: c‟erano tenebre sulla superficie
dell‟abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque.
Dio disse: Vi sia luce! E vi fu luce. Dio vide che la luce era buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio
chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre . Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno.
Dio disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e separi le acque dalle acque. E così avvenne: Dio fece
il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmanento. Poi
venne sera, poi venne mattina: secondo giorno.
Dio disse: Le acque, che sono sotto il cielo, si ammassino in una sola massa e appaia l‟asciutto. E così
avvenne: le acque, che sono sotto il cielo, si ammassarono nelle loro masse e apparve l‟asciutto. Dio chiamò
terra l‟asciutto e chiamò mare la massa delle acque. E Dio vide che ciò era buono.
Dio disse: La terra verdeggi di verzura, di graminacee che producano semente e di alberi da frutto, che
facciano sulla terra, ciascuna secondo la sua specie, un frutto contenente il seme. E così fu: la terra fece
spuntare verzura, graminacee che producono semente, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che
fanno ciascuno un frutto contenente un seme secondo la propria specie. E Dio vide che ciò era buono. Poi
venne sera, poi venne mattina: un terzo giorno.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
Dio disse: Vi siano luminari nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte e diventino segni per le
feste, per i giorni e per gli anni e diventino luminari del firmanento del cielo per fare luce sulla terra. E così fu:
Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande per il governo del giorno e il luminare piccolo per il
governo della notte e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per fare luce sulla terra e per governare
il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. Poi venne sera, poi
venne mattina: un quarto giorno.
Dio disse: Le acque brulichino di un brulichio di esseri vivi e volatili volino sopra la terra, sullo sfondo del
firmamento del cielo. E così fu: Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi guizzanti di cui brulicarono le
acque, secondo la loro specie e tutti i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che ciò era buono. E
Dio li benedisse dicendo: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, i volatili poi si
moltiplichino sulla terra. Poi venne sera, poi venne mattina: un quinto giorno.
Dio disse: La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame e rettili e fiere della terra secondo
la loro specie. E così fu: Dio fece le fiere della terra secondo la loro specie e tutti i rettili del suolo secondo la
loro specie. E Dio vide che ciò era buono.
Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del
mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, su tutte le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.
Dio creò l‟uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e
Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del
mare e sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le fiere che strisciano sulla terra. Poi Dio disse: Ecco, io vi
dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie di tutta la terra, e anche ogni
sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della
terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l‟alito di vita, io dò come
nutrimento le erbe verdi. E così fu.
E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. Poi venne sera, poi venne mattina: il sesto
giorno”.
La vittoria di Giosuè (Giosuè 10, 10-15)
“Jahve li mise in rotta di fronte a Israele, che inflisse loro una grande sconfitta a Gabaon, li inseguì poi nella
direzione della salita di Bethoron e li battè fino ad Azeka e fino a Makkeda. Ora, quando essi fuggivano
innanzi a Israele ed erano sulla discesa di Bethoron, Jahve scagliò dal cielo sopra di loro, fino ad Azeka,
grosse pietre che li annientarono. Ne morirono più per le pietre della grandine che non per la spada dei figli
di Israele.
Allora Giosuè parlò a Jahve, il giorno stesso in cui Jahve mise gli Amorrei nelle mani dei figli di Israele, e
disse sotto gli occhi di Israele:
O sole, fermati su Gabaon
e tu, luna, sulla valle di Aialon!.
Il sole si fermò
e la luna restò immobile
finchè il popolo non si fu vendicato dei suoi nemici.
Non sta scritto forse nel libro del Giusto? Il sole restò immobile in mezzo al cielo e non si affrettò al tramonto
quasi per un giorno intero.
Non ci fu mai nè prima nè dopo un giorno come quello, quando Jahve ascoltò la voce di un uomo, perchè
Jahve combatteva per Israele!
Quindi Giosuè e tutto Israele con lui ritornò all‟accampamento di Galgala”.
1.3
Nell’Antico Egitto
L‟astronomia egiziana era basata su miti e credenze religiose, come quella dei popoli asiatici. I monumenti
della valle del Nilo attestano in epoche remotissime conoscenze significative di geometria applicata all‟arte
delle costruzioni, in relazione all‟astronomia, come si rileva dalle tracce di orientamenti esatti delle piramidi,
dei templi e di altri edifici secondo le direzioni cardinali eclittiche o secondo i punti di culminazione di stelle.
Tale pratica rituale sarà usata anche fuori dell‟Egitto, ma nessuno la applica più largamente degli Egizi, dai
quali l‟apprenderanno i Greci e i primi cristiani. Gran parte dell‟interesse astronomico degli Egizi coincide con
l‟invenzione del loro calendario: e ciò per due ragioni distinte. Anzitutto la vita economica e sociale di quel
popolo è dominata dalla periodicità delle variazioni di portata del Nilo: da cui la necessità di far dipendere le
norme dell‟avvicendarsi delle occupazioni e dei riti religiosi da una conoscenza sicura dei periodi che
riducono le inondazioni. Inoltre la conservazione del predominio sacerdotale sulla nazione e sugli stessi
reggitori civili, i faraoni, è affidata a una dottrina occulta, della quale l‟astronomia è parte integrante. Pertanto
il controllo sul calendario costituisce lo strumento più sicuro di dominio delle popolazioni della valle del Nilo.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
L‟Egitto ha in uso nella vita civile “l‟anno vago”. Esso è di 365 giorni. All‟anno tradizionale di 360 giorni, in
uso nei tempi più antichi, vengono aggiunti i cinque giorni “epagomeni”, verosimilmente già nel quarto o
quinto millennio avanti Cristo. Tuttavia, gli egiziani conoscono anche l‟anno solare o “fisso” costituito da 365
giorni e un quarto. La compresenza dei due calendari ha comportato problemi di datazione per i periodi più
antichi. I sacerdoti egizi si servono di tre metodi per determinare la durata dell‟anno solare: il primo, tramite
le osservazioni sull‟inizio delle inondazioni del Nilo; il secondo, basato sulla ricomparsa della stella Sirio
all‟orizzonte orientale nel crepuscolo mattutino; il terzo, determinato dal passaggio del Sole per i cardini
dell‟eclittica. Un particolare carattere della più tarda astronomia egiziana è il concetto dei trentasei decani (o
decadi), una serie di costellazioni sorgenti a intervalli regolari, che servono a determinare il tempo durante le
ore notturne. Ciò lascia supporre che l‟istituzione dei
decani sia anteriore a quella dei cinque epagomeni,
risultando quindi antichissima. Le stelle e i gruppi maggiori
sono dedicati a divinità: Sothis (o Sirio ) a Iside, Orione a
Osiride, Le Pleiadi, Le Iadi e altri astri a dei non bene
identificati. Osservatori veri e propri a Dendera, a Thinis, a
Menfi, a Eliopoli, attendono con regolarità a seguire il
corso degli astri, costruendo le tavole del loro passaggio
per l‟orizzonte.
Per poter regolare i bisogni stagionali di una economia
pastorale e agricola la determinazione dell'anno era di
enorme importanza. Sia per la continuità delle accurate
osservazioni che la precedettero, sia per la precisione con
cui si stabilì la lunghezza esatta dell'anno, questa
realizzazione può essere a buon diritto annoverata tra le
più grandi gesta culturali della storia dell'umanità . I
sacerdoti egiziani avevano già fissato un anno di 365
giorni verso il 4241 a.C.
L'osservazione di due classi di fenomeni, associate al
susseguirsi delle stagioni, hanno permesso una prima
determinazione della lunghezza dell'anno. La prima si
riferisce al percorso del Sole fra le costellazioni
determinato mediante l'osservazione di stelle all'alba e al
tramonto. L'altra si basa sull'osservazione della variazione
dell'ombra dello gnomone.
1.4
Particolare del papiro di Wespatrashouty (Museé
du Louvre, Parigi)
Per la rappresentazione dei cosmo nell'antico
Egitto si ricorreva alla figurazione del mitico,
contrastato accoppiamento di Nut, dea dei cielo,
coi fratello Geb, dio della terra. Nut, rappresentata
curva su Geb steso a terra, è tenuta sollevata e
distante da lui dal dio dell'aria. Spesso sul dorso
arcuato di Nut compaiono le barche degli astri, e
il suo corpo è cosparso o circondato da stelle.
Questo dettagliato disegno si riscontra
frequentemente anche su papiri del Nuovo Regno.
In Cina
I Cinesi raggiungono già in tempi molto antichi una
concezione piuttosto elaborata dei fenomeni celesti, ma le
loro conoscenze tendono a cristallizzarsi, così che altri
popoli porteranno avanti la ricerca sul cosmo.
Sotto la dinastia di Yao, nel secolo XXIV a.C.,
l‟osservazione sistematica del cielo è affidata a uomini
preparati e scelti con cura, tenendo conto soprattutto
dell‟acutezza di vista necessaria per tale funzione. Questa
attività porta ad una prima importante classificazione delle
costellazioni. La Cina risulta essere l‟unico paese che
abbia istituito un vero e proprio “Tribunale astronomico”, al
quale il sovrano deferisce direttamente la soluzione di
importanti questioni connesse con la scienza e le sue
applicazioni al bene generale. Una seconda fase
nell‟opera di classificazione delle stelle risale alla dinastia
Han, verso l‟anno 120 a.C. Rispetto alla sintesi di
Tolomeo,
che
individua
48
costellazioni,
gli
aggruppamenti sono in generale più piccoli, giungendo a
contare più di 300 costellazioni. Ad esempio, le due
maggiori stelle della Lira formano la “Ricamatrice”; l„Orsa
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Yin e Yang, le due forze metafisiche supreme che,
opposte e complementari l'una all'altra,
determinano, con il loro alternarsi ciclico, l'origine
dell'universo e l'equilibrio vitale
Jacopo Filippo Vignola
8
Cosmologia
Maggiore si identica con una “Casseruola” e anche le singole stelle dalla caratteristica configurazione
prendono nomi speciali: Alfa è il “Perno del Cielo”, Beta e Y sono “Le Pietre Preziose”, Enne la “Luce
Agitata”, Alfa e Beta dell‟Orsa Maggiore le “Sovrane del Cielo”. Benchè i cinesi si spingano nei loro viaggi in
regioni dalle quali si possono scorgere astri non visibili sotto la latitudine di Pechino, non si hanno tracce di
una loro descrizione del cielo meridionale. La loro attenzione è invece concentrata sulle variazioni di
posizione del Sole, desunte piuttosto dall‟osservazione delle ombre durante il giorno, che non dall‟indagine
sui gruppi di stelle. Il procedimento seguito dai Babilonesi e dagli Egizi, che ha permesso loro di progredire
enormemente nel campo dell‟astronomia solare, cioè l‟osservazione del “Levare Eliaco” di alcune stelle, non
viene seguito dai cinesi, i quali si attengono di preferenza alle misure meridiane delle ombre. La frequenza
data alle osservazioni meridiane non si limita a quelle eseguite di giorno mediante gnomoni, ma si estende
anche a osservazioni notturne. Sono i cinesi a precedere tutti gli altri popoli nell‟uso di strumenti per le
osservazioni astronomiche e nautiche. Risale al XXII secolo a.C. circa l‟uso di clessidre a due recipienti
sovrapposti, di tubi di puntata, di specchi concavi e convessi. Più recente è la conoscenza della polarità
magnetica, con la conseguente applicazione alla costruzione della bussola e all‟uso di tale strumento per
l‟orientamento delle navi. Gli astronomi cinesi del sec. XVII apprezzano le traduzioni dei testi europei fatte
dai gesuiti, ma la loro scienza rimane stazionaria, senza contatti ulteriori con il movimento del pensiero
occidentale e senza che le loro conoscenze costituiscano un corpo organico di dottrina.
1.5
In India
La possibilità di un influsso reciproco delle antiche culture greca e indiana pare dimostrato. Si hanno tracce
di derivazioni verbali fino al sec. XVII a.C., ma i rapporti diretti tra i due popoli hanno origine nel quarto
secolo avanti Cristo; la mancanza di un‟astronomia australe viene determinata dalla migrazione di questo
popolo da settentrione. Certamente, nelle terre più meridionali della penisola non avrebbe potuto nascere e
rafforzarsi la credenza antichissima secondo la quale il Sud-Ovest è la regione dei Mani, della dea Nirrti e di
Yama, dio della morte: regione ove il Sole “muore” e scende sottoterra. Molto presto si conoscono e si
identificano con nomi le stelle e le costellazioni principali incontrate dalla Luna nel suo cammino mensile e
che costituiscono lo Zodiaco degli Indiani: vi sono 28 gruppi (Nakshatra) di stelle percorsi dalla Luna lungo lo
zodiaco; il luogo che la Luna piena occupa fra i Nakshatra definisce la stagione dell‟anno. Gli osservatori del
cielo ricercano connessioni vere o supposte tra i movimenti degli astri e gli eventi terreni e umani: gli
astrologi hanno un sistema di regole fisse per l‟interpretazione di ogni dato evento.Si crea inoltre un nesso
tra i periodi astronomici e i cicli ideati per ragioni
liturgiche e largamente applicati in ogni sistema
filosofico e mistico indiano, mentre appare una
tendenza a studiare le cose divine e umane da un
punto di vista numerico. Altra caratteristica del
pensiero indiano è il rapporto tra uso dei cicli e
alternanza tra opposti, come nell‟alternanza del giorno
e della notte. Giorni e notti di lunghezza differente
sono formati con multipli dei giorni comuni: un mese di
trenta giorni dà, diviso per metà del novilunio, il giorno
e la notte dei Pitris, reggitori delle mansioni lunari: un
anno di 360 giorni (Istituti di Manu) dà il giorno e la
notte degli Dei, che incominciano rispettivamente
all‟equinozio di primavera e a quello d‟autunno. 12.000
“anni degli dei” fanno un “kalpa” o giorno di Brahama,
periodo che comprende tutta l‟evoluzione del mondo,
creato ex-novo all‟inizio di ogni kalpa, e portato alla
dissoluzione quando, con l‟addormentarsi di Brahama
in una notte di uguale durata, il kalpa finisce.
Fenomeni cosmici e astronomici stanno a separare
tra di loro le varie suddivisioni di ogni kalpa, alle
quali presiedono speciali divinità. Così i diluvi al
termine di ognuno dei 14 „manavantra‟ nei quali il
kalpa si suddivide: per ogni diluvio le differenti
specie sono raccolte in un‟arca da un Manu, che
diviene il reggitore del periodo successivo. Questo
complesso sistema di cicli si trova descritto nel
Mahabharata e nei Purana, antichi libri sacri.
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Shiva assume a livello cosmologico il ruolo di distruttore
e, nello stesso tempo, rigeneratore del mondo, colui che
dispensa la morte, ma anche la vita; nei templi a lui
dedicati, la sua forza creatrice viene rappresentata sotto
forma di fallo, linga, il principio maschile che, unendosi
al principio femminile, yoni, determina la creazione
primordiale concepita come annullamento di ogni
dualismo nelle forme dell'assoluto universale.
Jacopo Filippo Vignola
9
Cosmologia
2
LA GRECIA CLASSICA
I primi greci ritenevano che la Terra fosse costituita da un disco circolare circondato dal grande Fiume
Oceano, in perpetuo corso, e che sopra vi fosse la conca emisferica del cielo. Nelle opere di Omero appare
chiaramente questo modello cosmologico ed è probabile che fosse universalmente accettato fino al VI
secolo a.C. Questo modello pone immediatamente il problema di cosa accade alle stelle, al Sole e agli altri
pianeti quando spariscono all'orizzonte occidentale. Anticamente i greci ritenevano che tutti i corpi celesti,
dopo aver compiuto il loro percorso sulla semisfera celeste, si immergessero nei flutti di Oceano e girassero
in qualche modo intorno all'orizzonte verso nord, riapparendo più tardi ad est al momento del loro sorgere.
E‟ nel periodo della Grecia classica che l‟astronomia compie un importante salto qualitativo, presentandosi
per la prima volta con un impianto “scientifico” e superando le motivazioni prevalentemente empiriche e la
subordinazione al pensiero religioso che l‟aveva caratterizzata presso i popoli della Mesopotamia e
dell‟Egitto.
2.1
Anassimandro
(Mileto, 610 - 547 a.C.)
Il fatto che a diverse latitudini le stelle visibili non sono le stesse, portava a distruggere la concezione di una
Terra piatta. Infatti, dall'Egitto erano chiaramente visibili delle stelle che non potevano assolutamente essere
viste dalla Grecia e, viceversa, alcune stelle circumpolari (ad esempio dell'Orsa Maggiore) che non
tramontavano mai in Grecia, tramontavano se venivano osservate dall'Egitto. Queste osservazioni portavano
necessariamente a presupporre perlomeno una qualche curvatura della superficie terrestre.
Anassimandro fu il primo ad immaginare che la terra fosse curva. Egli riteneva però che la sua curvatura
andasse solo nella direzione nord-sud. La Terra aveva quindi una superficie cilindrica. Questa ipotesi, oltre a
spiegare la differenza di visibilità delle stelle tra la Grecia e l'Egitto, era anche adatta a conservare l'antico
mito secondo cui il regno dei morti si trova molto lontano verso occidente. Tale cilindro inoltre, rimane
immobile al centro del cosmo perché, trovandosi a eguale distanza tra tutte le parti non è sollecitata a
muoversi da nessuna di esse.
“La terra ha secondo Anassimandro la forma di un cilindro ed ha un‟altezza pari ad un terzo della larghezza.
Alla nascita di questo mondo, l‟eterno generatore di caldo e freddo si è separato e da esso si è formata
intorno all‟aria che circonda la terra una sfera di fuoco, come la corteccia intorno all‟albero; quest‟involucro
sferico si è poi frantumato e le sue parti sono state racchiuse in vari cerchi, e così si sono formati il sole, la
luna, gli astri.” (Plutarco, Stromata, citato da Teofrasto)
“La Terra è sospesa e non è sostenuta da niente, ma rimane nella
sua posizione perché è ad ugual distanza da tutte le parti. Quanto
alla forma essa è incavata e rotonda ed è simile a una colonna di
pietra; noi ci troviamo su una delle due facce e l‟altra sta dalla
parte opposta. Gli astri sono un cerchio di fuoco distaccatosi dal
fuoco cosmico e circondato d‟aria; ci sono però degli spiragli, delle
aperture a forma di tubo, dai quali si vedono gli astri e perciò
quando tali spiragli vengono ostruiti hanno luogo le eclissi. Anche
la luna qualche volta è piena e qualche volta diminuisce, secondo
che queste aperture sono aperte o chiuse. Il cerchio del Sole è 27
volte più grande di quello della terra e 18 volte più grande di quello
della luna; più alto di tutti è il sole e più bassi i cerchi delle stelle
fisse.” (Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium, I, 6, 1-7)
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
2.2
Anassimene
(Mileto, 586 - 525 a.C.)
Generalmente Anassimene viene collocato, insieme a Talete e
ad Anassimandro, nel contesto dei "milesi", vale a dire i filosofi
della città di Mileto, nella Ionia Minore: egli visse poco dopo il VI
secolo a.C. e fu autore di un‟opera in prosa intitolata "Sulla
natura".
Anassimene pensa che il principio di tutte le cose sia l'aria, che
opera a livello cosmico come a livello umano, cosicché essa dà
origine e tiene in vita tanto gli uomini quanto l‟universo nel suo
insieme. Per spiegare il processo di derivazione degli elementi (terra, acqua, fuoco) dall‟aria, egli fa
riferimento a due processi contrari: la rarefazione e la condensazione. L‟acqua riscaldata, infatti, si trasforma
in aria, e così via. In questa maniera, le trasformazioni del mondo vengono spiegate come trasformazioni
dell‟aria, giacchè tutte le cose costituenti l‟universo non sono che aria in un diverso grado di densità.
Anassimene è stato il primo a spiegare le differenze qualitative di tutti gli oggetti ed i fenomeni del mondo,
attraverso differenze quantitative di materia.
“Anassimene, figlio di Euristrato, era anche lui di Mileto. Poneva come principio l‟aria infinita, da cui si
generano le cose che sono, che furono e che saranno, e gli dei e gli esseri divini, e tutte le altre cose
derivano a loro volta da queste. Questo è il carattere specifico dell‟aria: quando essa è distribuita in modo
assolutamente uniforme è indivisibile, ma si manifesta attraverso il freddo, il caldo, l‟umido e il movimento.
Essa è sempre in movimento, e infatti, se non ci fosse il movimento, non si produrrebbero tutte le
trasformazioni che hanno luogo. Per via di condensazione e di rarefazione assume diverse forme: quando si
dilata fino a raggiungere un forte grado di rarefazione diventa infatti fuoco, e se invece si condensa diventa
vento; addensandosi diventa nube, ad una densità ancora maggiore si trasforma in acqua e più oltre in terra;
arrivata al massimo grado di condensazione diventa pietra. Così presiedono alla generazione i contrari, il
caldo ed il freddo. La terra è di forma piatta ed è portata dall‟aria, allo stesso modo del sole, della luna e
degli altri astri che sono tutti di natura ignea e che si sostengono sull‟aria a causa della loro forma piatta. Gli
astri sono nati dalla terra, la cui umidità, sollevandosi dalla superficie terrestre e dilatandosi, ha prodotto il
fuoco che levatosi in alto ha formato gli astri. Ma nella regione degli astri ci sono anche corpi di natura
terrosa che ruotano assieme ad essi. Anassimene dice che gli astri non si muovono sotto la terra come gli
altri suppongono, ma intorno alla terra, allo stesso modo che il berretto si avvolge attorno alla nostra testa. Il
sole scompare alla nostra vista non perché passa sotto la terra, ma perché viene coperto dalle regioni più
elevate di essa e anche a causa della maggior distanza da noi. Gli astri non riscaldano a causa della loro
distanza.” (Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium, I, 7)
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
2.3
Parmenide
(Elea, VI - V secolo a.C.)
Secondo Teofrasto, fu Parmenide, seguace di Pitagora (570-597 a.C.), a ritenere che la prima volta che la
Terra fosse sferica.
Egli sosteneva che l'essere è immobile. Ammettiamo che si muova; una cosa è mobile quando si muove da
una cosa ad un'altra; l'essere quindi si dovrebbe muovere verso qualcosa di diverso da se stesso . Ma il
diverso dall'essere è il non essere , che non esiste: quindi l'essere è immobile. Tra le proprietà dell'essere
Parmenide introduce anche il carattere finito di esso: infatti se fosse infinito sarebbe incompiuto e quindi
mancherebbe di qualcosa; ma se manca di qualcosa vuol dire che non è ciò di cui manca. Anche la nozione
di infinito quindi comporta una mescolanza contradditoria di essere e non essere . Per questo Parmenide
paragona "ciò che è" (to on) ad una sfera compatta , la quale esprime nel miglior modo possibile il carattere
di compiutezza e totalità che caratterizza l'essere . Ora cominciava ad essere immaginabile che le stelle e gli
altri corpi celesti potevano continuare a percorrere orbite circolari sotto la Terra anche dopo il loro tramonto.
[III] …e così rimane lì immobile; infatti la dominatrice Necessità
lo tiene nelle strettoie del limite che tutto intorno lo cinge;
perché bisogna che l'essere non sia incompiuto:
è infatti non manchevole: se lo fosse mancherebbe di tutto…
…Ma poiché vi è un limite estremo, è compiuto
da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera
di uguale forza dal centro in tutte le direzioni;
che egli infatti non sia né un pò più grande
né un pò più debole qui o là è necessario…
[IV] (9) Conoscerai l'eterea natura e quanti astri sono
nell'etere e della pura e tersa lampada
del sole l'opera distruttrice, e di dove derivarono;
e apprenderai l'errabondo agire della luna dal tondo occhio
e la sua natura;
conoscerai inoltre di dove la volta celeste che tutto circuisce
nacque e come la Necessità guidandola la costrinse
a osservare i limiti degli astri.
(10) .......... come la terra e il sole e la luna
e l'etere che tutto abbraccia e la celeste via lattea e l'olimpo
estremo e la calda forza degli astri si mossero al nascere
“Sulla Natura” di Parmenide d‟Elea
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
2.4
Filolao
(Crotone, 470- ? a.C.)
Filolao di Crotone è un filosofo della scuola pitagorica, nato qualche decennio dopo Pitagora, verso il 470
a.C., vive sino alla fine del V. Sfugge alle persecuzioni e alla distruzione dei circoli pitagorici di Crotone e
verso il 450 si rifugia in Grecia dove vive per lo più a Tebe. Nella storia del pitagorismo egli è il primo a
diffondere le dottrine pitagoriche al di fuori della Grecia; è anche il primo fra i veri e propri adepti che
pubblichi scritti, contravvenendo alla prescrizione del silenzio.
Secondo Filolao l‟universo è una sfera e non comprende solo terra e astri, ma anche il principio formativo di
tutto, l‟essenza delle cose, la volta celeste ed anche ciò che c‟è intorno. Questa concezione costituisce il più
antico sistema astronomico non-geocentrico e verrà poi sviluppata dai neopitagorici nell‟età ellenistica e
romana.
Al centro dell‟universo è immobile un “fuoco” eterno (focolare dell‟universo, casa di Zeus, madre degli dei,
vincolo, altare, misura della natura), attorno al quale si muove la Terra in orbita circolare. Sulla stessa orbita,
sul fronte opposto, ruota l‟Antiterra, nascosta ai nostri occhi dalla massa della Terra stessa, che è sempre
rivolta verso il Sole. La seconda orbita circolare è occupata dalla Luna, e la terza dal Sole.
“I pitagorici dicono che nel centro dell‟universo c‟è il fuoco a cui ruota intorno l‟Antiterra, chiamata così
perché opposta alla Terra. L‟Antiterra gira intorno al centro seguendo la Terra, ma non è veduta da noi a
causa dell‟interposizione continua della mole terrestre (...) (Aetius, Philolaus)
“I filosofi italici detti "'pitagorici'' sostengono la teoria del fuoco nel mezzo, e che la terra è un astro che,
muovendosi in circolo intorno al centro, produce la notte e il giorno; suppongono anche un‟altra terra
opposta a questa, l‟antiterra. Essi però cercano di adattare i fenomeni alle loro teorie e non il contrario.
Ritengono che sia il fuoco a dover stare nel centro piuttosto che la terra perché quello è il luogo più nobile,
dove deve essere custodita la parte più importante di tutto”. (Aristotele, De Caelo)
“Alcuni pitagorici, fra cui Filolao, dicono che la luna è costituita da terra e per questo è abitata da animali e
piante come la nostra terra; sono però più grandi e più belli; dicono infatti che gli animali che si trovano su di
essa sono quindici volte più grandi e non espellono escrementi, e che il giorno è altrettante volte più lungo”
(Aetius, Philolaus)
Il Sole non era un corpo che emetteva luce da sé. Infatti il fuoco centrale avrebbe dovuto essere l'unico
focolare di attività presente nell'universo. Il Sole era semplicemente un corpo vitreo e poroso che assorbiva
la luce dal fuoco centrale e la rendeva visibile a noi.
“Dice Filolao Pitagorico che il sole è di natura vitrea e porosa, assorbe il riflesso del fuoco che è nel cosmo e
ne trasmette a noi la luce ed il calore”. (Aetius, Philolaus)
Le successive orbite sono occupate dai 5 pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno), a cui segue
l‟Olimpo ed un secondo fuoco eterno (fuoco purissimo, etere, anima, Dio), che funge da involucro
dell‟universo.
La parte più alta, quella dell‟involucro, in cui risiedono gli elementi nella loro purezza, la chiama ''olimpo'';
quella sotto il giro dell‟olimpo, in cui sono disposti i cinque pianeti insieme col sole e la luna, la chiama
''cosmo''; infine la parte sublunare e circumterrestre, in cui si generano le cose mutabili, la chiama ''cielo”.
(Aetius, Philolaus)
Nel sistema di Filolao la terra impiega 24 ore per girare intorno al fuoco centrale; la luna impiega un mese
sinodico, cioè 29 giorni e mezzo. E‟ nota la particolarità della luna di rivolgere sempre la stessa faccia verso
l‟interno dell‟orbita, ed è forse da essa che Filolao trae il convincimento che anche la terra e l‟antiterra
volgano sempre la stessa faccia al fuoco centrale.
Inoltre era stato osservato che il Sole, la Luna ed i cinque pianeti si muovono di moto proprio da ponente a
levante sul piano dello zodiaco, percorrendo successivamente le costellazioni zodiacali; con Filolao anche la
terra diviene partecipe del moto rotatorio da occidente ad oriente intorno al fuoco centrale, secondo il circolo
obliquo in modo simile alla Luna e al Sole.
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Jacopo Filippo Vignola
13
Cosmologia
2.5
Platone
(Atene, 428-347 a.C.)
Nell‟ultimo periodo del filosofare platonico, troviamo il tentativo di
sciogliere il rigido dualismo fra mondo delle idee e il mondo delle cose,
alla luce di una considerazione più unitaria della realtà.
Il risultato di questo processo è il Timeo, in cui viene approfondito
proprio il problema cosmologico e dell‟origine dell‟universo.
[ Le citazioni in corsivo a seguire provengono tutte dal “Timeo” di
Platone ]
Per Platone due sono le realtà: il mondo delle idee, eterno, immutabile ed apprendibile con la sola
intelligenza; e quello delle cose sensibili, che nasce, muore, si corrompe e si percepisce tramite l‟opinione.
''quello che sempre è e non ha nascimento, e quello che nasce sempre e mai non è. L‟uno è apprensibile
dall‟intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l‟altro invece è opinabile
dall‟opinione mediante la sensazione irrazionale, perché nasce, muore, e non esiste mai veramente”.
Nel Timeo s‟introduce un terzo termine mediatore, il Demiurgo. Questa figura, anche chiamata “divino
Artefice”, dotata d‟intelligenza e volontà, è posta in una posizione intermedia tra le idee e le cose.
“Ma è difficile trovare il fattore e padre di questo universo, e, trovatolo, è impossibile indicarlo a tutti.”
All‟inizio il mondo era solo un caos informe o una materia spaziale priva di vita, che Platone chiama Chora o
Necessità. Il Demiurgo, essendo buono ed amante del Bene, ha voluto ordinare le cose del mondo ad
immagine e somiglianza delle idee, comunicando loro una parte di perfezione dei modelli iperuranici
(bisogna notare che il Demiurgo non crea dal nulla, ma plasma una materia preesistente).
“Dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant‟era possibile, nessuna cattiva, prese dunque
quanto c‟era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse
dal disordine all‟ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello (...) componendo l‟intelligenza
dell‟anima e l‟anima del corpo, fabbricò l‟universo, affinché l‟opera da lui compiuta fosse la più bella secondo
natura e la più buona che si potesse (...) Quello che è nato deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma
niente potrebbe essere visibile, separato dal fuoco, né tangibile senza solidità, né solido senza terra”.
Per i suoi nobili scopi, il Demiurgo ha fornito le cose di un‟Anima del mondo, che vivifica ed ordina la
materia. “L‟anima poi Dio non la fece dopo il corpo come noi che ora prendiamo a parlarne in ultimo, perché,
dopo averli congiunti, non avrebbe lasciato che il più vecchio fosse governato dal più giovane. Ma noi che
molto dipendiamo dalla sorte del caso, così anche a caso parliamo. Egli invece formò l‟anima anteriore e più
antica del corpo per generazione e per virtù, in quanto che essa doveva governare il corpo, e questo
obbedirle, e la formò di tali elementi ed in tal guisa”.
Ha inoltre generato il tempo, come “immagine mobile dell‟eternità”. Il tempo è misurato dal movimento degli
astri, attraverso i quali il Demiurgo forma e governa la scala gerarchica degli enti (da questo deduciamo
l‟importanza che aveva l‟astronomia agli occhi di Platone).
“Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché, generati insieme, anche insieme si dissolvano, se mai
allora avvenga alcuna dissoluzione; e fu fatto secondo il modello dell‟eterna natura affinché le sia simile
quanto più possa”.
“Per le cose mobili dell‟universo crea il tempo, che consiste nella suddivisione in giorno, notte, mesi, anni.
Tutte queste parti di tempo non hanno senso quando si riferisce all‟universo che è eterno, per cui non si
parlerà né di vecchio né di giovane”.
“...affinché il tempo fosse creato, furono fatti il Sole e la Luna e altri cinque astri, che si dicono pianeti, per
distinguere e guardare i numeri del tempo”.
“E tutto il resto fino alla generazione del tempo era stato compiuto a somiglianza del suo modello: ma il
mondo gli era ancora dissimile in quanto che non ancora comprendeva dentro di sé tutti gli animali, che poi
vi furono generati. Una volta creato il mondo decise di metterne quattro tipi di specie: la specie celeste degli
dei la fece di fuoco, perché fosse splendida e bella da vedere. Per farla più simile all‟universo la fece
rotonda”.
Infine, le imperfezioni ed i mali del nostro mondo sono dovuti alla resistenza della materia all‟opera del
Demiurgo.
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Cosmologia
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Cosmologia
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16
Cosmologia
2.6
Eudosso
(Cnido, 408-355 a.C.)
I greci, non possedendo nessuna teoria fisica sul perché i pianeti si
muovono in orbite, si diedero da fare a immaginare modelli nei quali i
corpi celesti si dovevano necessariamente muovere secondo orbite
circolari. In questo modo veniva colmata la carenza di una teoria
fisica e nello stesso tempo andavano d'accordo con l'idea della
perfetta simmetria della sfera enunciata da Platone. Senza una
teoria così semplice e geometrica, l'universo sarebbe apparso
inesplicabilmente privo di leggi.
Eudosso di Cnido fu il primo a elaborare matematicamente un
sistema di sfere celesti.
Il sistema delle sfere cristalline non era così semplice come
comunemente si crede. Ci immaginiamo infatti, un semplice sistema
di sfere concentriche ordinate nel seguente modo (partendo dal
centro): sfera della Luna, sfera di Mercurio, di Venere, del Sole, di
Marte, di Giove, di Saturno e sfera delle stelle fisse.
Secondo Eudosso invece, il modello era molto più complesso: soltanto le stelle fisse possedevano un'unica
sfera. La Luna e il Sole, ad esempio, possedevano ben tre sfere ciascuno. Nel disegno a fianco, si vede un
corpo celeste che si trova inserito in un sistema di tre sfere legate tra loro da vincoli di rotazione. Infatti la
sfera interna (rossa), sulla quale è fissato il corpo celeste, ruota su se stessa attorno un asse vincolato alla
seconda sfera (blu), la quale a sua volta ha l'asse di rotazione vincolato alla terza sfera (verde), più esterna.
Solo in questo modo si potevano spiegare (in parte) i complessi movimenti dei pianeti.
Con questo modello Eudosso, non solo spiegava i moti retrogradi dei pianeti, ma anche l'inclinazione
dell'orbita dei pianeti rispetto a quella terrestre.
Man mano che si venivano a scoprire maggiori dettagli sul moto dei pianeti, divenne necessario aggiungere
altre sfere. Aristotele accettò in pieno la sua teoria, ma commise il grave errore di attribuire una realtà fisica
alle sfere di Eudosso (cosa che egli non aveva mai pensato). Tale errore costrinse Aristotele a cercare di
combinare i gruppi separati di sfere in un unico complicatissimo sistema meccanico di sfere concentriche
legate le une alle altre. Per riuscire a dar spiegazione ai fatti, il suo sistema arrivò a prevedere un totale di
oltre 55 sfere!
2.7
Aristotele
(Stagira, 384-322 a.C.)
Aristotele nasce a Stagira, una colonia greca nei pressi dell‟attuale Monte Athos.
Allievo di Platone ad Atene, nel 342 diviene tutore del giovane principe
Alessandro di Macedonia e rimane in Macedonia fino al 336. Torna in seguito ad
Atene per intraprendere la professione di insegnante pubblico. Gli scritti di
Aristotele spaziano su ogni regione della conoscenza. La maggior parte delle
sue opere è composta durante il suo secondo soggiorno ateniese nei dodici anni
che precedettero la sua morte.
Perfezione e finitezza del cosmo
Aristotele afferma che l‟universo fisico è perfetto, unico e finito. La perfezione del mondo è dimostrata da
Aristotele con argomenti aprioristici (privi di qualsiasi riferimento all‟esperienza): invocando la dottrina
pitagorica sulla perfezione del numero tre, afferma che il mondo, possedendo tutte e tre le dimensioni
possibili (altezza, larghezza, profondità), è perfetto perché non manca di nulla. Se non manca di nulla è
anche finito ed unico. L‟infinito infatti, è ciò che manca di qualcosa e a cui può essere sempre aggiunto
qualcos‟altro. Ogni cosa esiste in uno spazio, con un centro, un alto, un basso, un limite. Nell‟infinito non è
possibile determinare il centro, né l‟alto, né il basso, né i confini.
“… e possiamo concludere che non c‟è attualmente, non c‟è mai stata, né ci potrebbe essere una pluralità di
cieli. Ma questo cielo è unico, solo e completo” (De Coelo)
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Cosmologia
Negazione del vuoto
Per Aristotele, lo spazio è un “luogo”, ovvero quella limitazione di superficie che contiene un determinato
corpo. Non esiste luogo, quindi spazio, in assenza di corpi materiali. Poiché tutti i corpi sono contenuti
all‟interno dell‟universo fisico, al di là dell‟universo non può esserci alcuno spazio vuoto. Né può esistere una
parte vuota all‟interno del tutto.
“È chiaro inoltre che non c'è spazio, né vuoto, né tempo al di là del cielo ; poiché in ogni spazio c'è la
possibilità della presenza di un corpo, e il vuoto si definisce come ciò che, pur non contenendo al momento
alcun corpo, può contenerlo... Ma si è dimostrato che fuori del cielo non c'è né può venire ad esserci un
corpo. (...)” (De coelo)
Eternità del mondo
Come totalità perfetta e finita, il cosmo è anche eterno. Questo significa che esso non ha avuto inizio né avrà
mai fine. Ecco perché Aristotele, al contrario di Platone, non parla di cosmogonia.
Insieme al mondo sono eterne anche tutte le forme sostanziali della materia, ovvero le specie animali, tra cui
quella umana. Ma il tempo, inteso come misura del divenire, presuppone una mente che effettui la misura. Il
tempo può essere colto quindi solo da quelle sostanze che possiedono un‟anima. Aristotele distingue quindi
due differenti eternità:
1. l‟eternità del mondo, colta dall‟anima degli animali e intesa come qualcosa che si prolunga
infinitamente nel tempo
2. l‟eternità degli astri (sostanze immobili), concepiti come entità fuori dal tempo, poiché prive di anima.
“Da quanto è stato detto è chiaro perché la materia prima di tutto [la materia celeste] è eterna, non conosce
né crescita, né diminuzione, non è soggetta ad invecchiamento, alterazione o altri cambiamenti. E come il
discorso che abbiamo fatto testimonia in favore dei fenomeni, così i fenomeni depongono in favore del
nostro discorso. Tutti gli uomini hanno qualche concetto degli dèi, e tutti quanti credono nelle divinità, siano
essi barbari o Elleni, assegnano al divino la regione superiore, supponendo, ovviamente, che ciò che è
immortale si congiunga strettamente a ciò che lo è del pari, e non potrebbe essere diversamente. Se dunque
esiste qualcosa di divino, quello che abbiamo detto sulla sostanza corporea primaria [che è senza peso,
indistruttibile, inalterabile ecc.] è ben detto. La verità di ciò risulta dall'evidenza sensibile, almeno a
sufficienza per riscuotere l'assenso della fiducia umana; poiché per tutte le epoche passate, secondo le
testimonianze trasmesse da una generazione all'altra, non troviamo traccia di cambiamento nel cielo
esterno, sia nel complesso che in ciascuna delle parti che lo compongono. Sembra pure che il nome di
questo corpo primo sia stato trasmesso fino ad ora dagli antichi. (...)” (De coelo)
“Essi, credendo che il corpo primario fosse una sostanza differente dalla terra, dal fuoco, dall'aria e
dall'acqua, diedero alla regione superiore il nome etere scegliendo questo titolo dal fatto che essa corre
sempre ed eternamente.) (...)” (De coelo)
I quattro movimenti
Aristotele distingue quattro tipi fondamentali di movimento:
1. sostanziale, cioè la generazione e la corruzione
2. qualitativo, cioè il mutamento e l‟alterazione
3. quantitativo, cioè l‟aumento o la diminuzione
4. locale, ovvero la traslazione
La traslazione dei corpi può avvenire a sua volta in tre modi:
a. dall‟alto verso il centro del mondo
b. dal centro verso l‟alto
c. intorno al centro, o circolare
Distingue inoltre tra movimenti naturali, rettilinei, per cui gli elementi conservano o raggiungono il loro stato
di natura (terra, acqua, aria, fuoco), e movimenti violenti, dovuti a costrizioni, esercitate all‟esterno dei corpi,
che li allontanano dalla loro direzione naturale.
Aristotele ipotizza inoltre che qualsiasi oggetto lasciato a sé stesso, inizi spontaneamente a muoversi verso
il suo luogo naturale e in breve tempo raggiunga una velocità costante su una direzione rettilinea (associa
quindi alla caduta dei gravi un moto rettilineo uniforme). Deduce anche che il peso di un oggetto contribuisce
a determinare la velocità di caduta e che questa deve essere proporzionale al peso dell‟oggetto e
inversamente proporzionale al rapporto tra peso e resistenza.
“lunga citazione dal De Motu, vedere versione interattiva della tesina”
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Cosmologia
Le sfere concentriche
Aristotele, a differenza di Platone, risente di influenze pitagoriche
nella sua cosmologia. In particolare egli, considerando il cerchio
e la sfera come figure geometriche perfette, le pone a
fondamento della struttura del mondo. Egli dedusse la sfericità
della Terra da osservazioni empiriche.
“La sua forma [della 'Terra] dev'essere sferica. Per capire
quest'affermazione, dobbiamo immaginare la Terra in via di
generazione.) (...) È evidente che se le particelle si muovono da
tutte le direzioni in modo simile verso un solo punto, il centro, la
massa che ne risulta dev'essere simile da tutti i lati ; poiché se
tutt'intorno si aggiunge una quantità eguale, l'estremità deve
trovarsi a distanza costante dal centro. La figura che così si
ottiene è una sfera.” (De coelo)
Anche la sfericità della Luna e degli altri pianeti è ricavata dalla
diretta osservazione
“la Luna che è sferica ci è dimostrato dai fenomeni che noi
percepiamo con la vista, altrimenti non assumerebbe al crescere
e al calare una forma per lo più lunata e una sola volta a forma di
mezza luna, poiché se uno degli astri ha questa forma, e chiaro
che anche gli altri saranno sferici”.
“Ciò che è continuo ad un corpo sferico è di necessità anch‟esso tale, e per questo motivo il cielo sarà
considerato sferico”. (De Coelo)
La concezione geocentrica del cosmo è tratta invece da una deduzione logica.
“in un corpo che si muove in circolo vi è di necessità una parte che rimane ferma, ed è quella che si trova al
centro; mentre nel corpo circolare non c‟è nessuna parte che possa rimanere ferma, né in assoluto, né al
centro”. (De Coelo)
Era così condotto a considerare il cosmo come una serie di sfere concentriche con la Terra immobile nel
centro (vedi disegno).
Le orbite planetarie
Per spiegare i complessi movimenti dei sette pianeti intorno alla Terra, Aristotele accettò il modello
cosmologico di Eudosso, aggiungendo però numerose altre sfere (47 o 55) con assi differenti, così che
l‟irregolare moto dei pianeti fosse determinato dal concorrere della rotazione di più sfere non coassiali.
La concezione cosmologica
Riassumendo, il cosmo aristotelico dev‟essere unico, perfetto, finito, eterno e sferico. I corpi che lo
compongono devono inoltre essere limitati ai tre tipi di movimento locale. Aristotele divide allora il cosmo in
due parti:
a. il mondo sublunare, composto dalle quattro sfere dei luoghi naturali (terra, acqua, aria, fuoco) in cui i
corpi si muovono di movimenti naturali rettilinei di ascesa e discesa verso i rispettivi luoghi.
b. il mondo dei corpi celesti, ovviamente perfetti e dotati quindi di moto circolare uniforme, eterno ed
immutabile. In questo mondo non si possono produrre moti violenti. Si susseguono ordinatamente le
otto orbite circolari di: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, stelle fisse (etere). Al di
là delle quali non c‟è nulla.
Democrito vs Aristotele
L'importanza storico-culturale della Fisica aristotelica è notevole. Da essa emerge infatti una immagine
cosmologica che influenzerà per secoli la scienza occidentale. La vittoria di Aristotele e il trionfo della sua
“mentalità” hanno tuttavia, come storico prezzo: 1) la sconfitta di Democrito, cioè del maggior sistema
scientifico greco; 2) il ritardo della nascita della scienza. La contrapposizione fra Democrito e Aristotele, o
meglio fra Democrito e la linea platonico-aristotelica, è netta e riguarda i punti essenziali della fisica. Per
esempio, Democrito crede nel movimento degli atomi nel vuoto, arrivando ad intuire il basilare principio
d'inerzia; Aristotele porta contro quest'ultimo una serie di argomenti da cui dovrà districarsi a fatica la
dinamica scientifica moderna. Democrito crede che il movimento sia una proprietà strutturale della materia,
Aristotele lo fa dipendere da qualcosa che esiste fuori della materia. Democrito, sulla scia dei naturalisti
precedenti, da Talete ad Anassagora, ritiene che cielo e terra siano costituiti dalla stessa materia,
proponendo quindi l'idea di un cosmo unitario ed omogeneo; Aristotele, rifacendosi ai Pitagorici e a Platone,
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Cosmologia
nonché alla mentalità comune, torna alla bipartizione gerarchica fra mondo celeste e mondo sublunare,
immaginandoli costituiti di sostanze diverse, infrangendo così quell'unità dell'universo che in seguito la fisica
moderna dovrà di nuovo ricostruire. Democrito crede in un universo “aperto”, costituito da una molteplicità di
mondi, Aristotele crede ad un universo “chiuso”, limitato ad un solo mondo. Democrito cerca di ridurre le
differenze qualitative dei fenomeni a differenze quantitative, ponendo le basi per una matematizzazione della
fisica. Aristotele mette da parte questo tentativo, arenandosi in una fisica qualitativa che elimina il
fondamento teorico di un'applicazione della matematica alla fisica (e su questo punto Aristotele compie un
grave passo indietro anche rispetto a Platone). Tutte queste differenze si originano o confluiscono poi in
quella che è la maggior diversità metodologico-filosofica dei due autori: Democrito si propone di spiegare il
mondo mediante le sole cause naturali e meccaniche, Aristotele fa del ricorso alle cause finali una delle
caratteristiche chiave della sua indagine fisica, basata sul principio che “la natura non fa niente senza scopo”
e “tende sempre all'ottimo”. Come si può notare da questi esempi, alcuni dei grandi motivi che distanziano
Aristotele da Democrito sono gli stessi che separano Aristotele dalla scienza moderna, che infatti,
riprendendo e sviluppando molte intuizioni democritee, dovrà ingaggiare contro Aristotele, o meglio contro i
suoi dogmatici seguaci, una lotta secolare.
3
L’ELLENISMO
Con la nascita della scuola di Alessandria d‟Egitto, nel III secolo a.C., la tradizione filosofica e scientifica
greca raggiunge i suoi risultati più alti. Tra le scienze più rappresentative della cultura ellenistica vi è
l‟astronomia. Gli studi compiuti dagli scienziati della scuola, oltre a portare ad un significativo incremento
delle conoscenze sul cielo e sugli astri, risultati ottenuti grazie allo sviluppo di strumenti e di metodi di
osservazione tipici della scienza sperimentale, forniscono sistemi di idee e cosmologie che saranno
considerati validi fin oltre la rivoluzione astronomica del Cinquecento.
3.1
Eratostene
(Cirene, 273 circa - 192 a.C.)
Eratostene di Cirene risiede e studia ad Atene, in seguito diventa direttore della
biblioteca di Alessandria. Il suo risultato maggiore fu in campo geografico; un
campo cui le conquiste di Alessandro Magno avevano offerto potente stimolo.
Eratostene rivide cioè l'atlante del mondo disegnato da Diccarco di Messana per la
propria Vita della Grecia, e, unendo le conoscenze matematiche all'osservazione
dei raggi solari (quei raggi che colpiscono parti diverse della terra secondo angoli
diversi), arrivò a determinare la circonferenza del globo con un alto grado di
precisione. Egli fu il primo geografo sistematico, e la sua Geografia contribuì più di
qualunque altro studio singolo a un'accurata delineazione della superficie terrestre.
La misura della Terra
Dai suoi studi era venuto a conoscenza del fatto che a Syene (l'attuale Assuan), a mezzo giorno del solstizio
d'estate, il Sole si trovava proprio sullo zenith, tanto che il fondo di un pozzo profondo ne veniva illuminato,
perciò un bastone piantato verticalmente in un terreno perfettamente pianeggiante non avrebbe proiettato
alcuna ombra in terra. Invece ad Alessandria questo non succedeva mai, gli obelischi proiettavano
comunque la loro ombra sul terreno. Ciò era già una dimostrazione pratica della rotondità della Terra. L'idea
che la Terra dovesse avere una forma sferica era comunque già accettata. Questa convinzione scaturiva
dall'osservazione delle eclissi di Luna durante le quali la forma dell'ombra terrestre appariva sempre come
un arco di circonferenza. Eratostene perciò, per procedere con i suoi calcoli, ipotizzò la Terra perfettamente
sferica ed il Sole sufficientemente distante da considerare paralleli i raggi che la investono. In oltre assunse
che Alessandria e Syene si trovassero sullo stesso meridiano. Durante il solstizio d'estate calcolò l'angolo di
elevazione del Sole ad Alessandria, misurando l'ombra proiettata proprio da un bastone piantato in terra,
ricavando approssimativamente un valore di 1/50 di circonferenza (cioè 7° 12'). La distanza tra le due città,
basata sui trasferimenti delle carovane, era stimata in 5.000 stadia (circa 800 Km, tuttavia il valore preciso
dello stadium, usato a quell'epoca ad Alessandria, non è attualmente conosciuto). Perciò la circonferenza
della Terra doveva essere di 50 * 5.000 = 250.000 stadia (circa 40.000 Km, valore straordinariamente vicino
a quello ottenuto con metodi moderni: 40.075 Km). Una volta stabilito un valore per essa, il raggio terrestre
si ricavava dalla nota relazione che lega la circonferenza ed il suo raggio.
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Cosmologia
La figura mostra il procedimento seguito da Eratostene per calcolare la dimensione del raggio della Terra. In
termini matematici, facendo riferimento alla figura, abbiamo:
dove
h :lunghezza del palo
l :lunghezza dell'ombra proiettata dal palo sul
terreno
α :angolo di elevazione del Sole
Poiché
dove
D:distanza tra Alessandria (punto A) e Syene (punto S), aventi per ipotesi lo stesso meridiano
R:raggio della Terra, per ipotesi una sfera perfetta
si ottiene
Assunzioni del metodo
Il metodo elaborato da Eratostene si basa su alcune assunzioni (alcune già enunciate), senza le quali
sarebbe necessario introdurre delle correzioni alla procedura di calcolo affinché sia ancora valido:
1. la Terra è perfettamente sferica
2. il Sole è tanto distante da considerare paralleli i raggi su Alessandria e su Syene
3. le due città si trovano sullo stesso meridiano (in realtà esse differiscono in longitudine di 3°)
4. Syene è situata esattamente sul Tropico del Cancro (mentre effettivamente è a 55Km a Nord di
esso)
5. la differenza angolare misurata ad Alessandria è di 7° 12' (mentre risulta di 7° 5')
Le misurazione moderne
La prima misurazione moderna fu tentata nel 1606 da W. Snell con una triangolazione nella pianura
olandese. Dopo vari tentativi basati su distanze insufficienti, finalmente, finalmente nel 1669 l'Accademia di
Francia organizzò la misura su una distanza di 112Km, che fornì il primo valore attendibile del grado di
meridiano, che, tradotto in metri, fu di 111Km e 715m (con un errore del 0,54%).
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Cosmologia
3.2
Aristarco
(Alessandria d’Egitto, 310 - 230 circa a. C.)
Aristarco di Samo insegnò ad Alessandria d‟Egitto dopo Euclide.
Egli sviluppò l‟idea di Filolao, giungendo per primo all‟elaborazione della
teoria eliocentrica. La Terra e tutti i pianeti ruotano in orbite circolari
attorno a un fuoco centrale immobile, identificato con il Sole. Afferma
inoltre che la terra ruota su se stessa.
Dobbiamo ad Aristarco inoltre, il primo tentativo scientifico di determinare
le distanze del Sole e della Luna dalla Terra e le loro dimensioni relative.
Nel trattato “Sulla grandezza e sulla distanza del Sole e della Luna” (circa
260 a.C.), basato sull'ipotesi di un universo geocentrico, Aristarco
asserisce che il Sole dista dalla Terra circa 19 volte la distanza Luna Terra.
Egli sviluppa un ragionamento che gli permetterebbe di calcolare le dimensioni dei corpi celesti: quando la
Luna presenta il primo e l'ultimo quarto, ossia quando vediamo solo metà della sua faccia illuminata dal
Sole, l‟asse visivo che va dall‟osservatore terrestre al centro del disco lunare deve intersecare ad angolo
retto l‟asse di illuminazione che va dal centro del disco solare al centro del disco lunare. Conoscendo le
distanze relative del Sole e della Luna dall‟osservatore, si possono determinare le rispettive dimensioni di
questi corpi, supponendo conosciute le dimensioni relative dei loro dischi quali appaiono ad un osservatore
terrestre. In realtà la distanza Sole-Terra è quasi 400 volte superiore alla distanza Luna-Terra.
Pur essendo i risultati di Aristarco distanti rispetto a quelli attuali, sono comunque migliori di quelli dei suoi
predecessori. Inoltre il suo metodo è irreprensibile nella procedura ed il risultato è viziato da un errore di
osservazione consistente nel misurare l‟angolo Luna - Terra - Sole in 87 gradi (mentre in realtà è di circa 89
gradi). Per giungere ad una valutazione reale della distanza del Sole e della Luna occorre la misura del
raggio della Terra. Questo calcolo è dovuto ad Eratostene, contemporaneo di Aristarco.
Il ragionamento matematico di Aristarco
Indicati con S,T,L rispettivamente Sole, Terra, Luna, quando la Luna presenta il primo o l’ultimo quarto, l’angolo
compreso tra le visuali del Sole e della Luna risulta uguale ad 87¡ circa, cioè LTS~87¡. Posti LT ed ST rispettivamente
la distanza Luna-Terra e Sole-Terra, sapendo che sen3¡~1/19, Aristarco conclude che LT/ST~1/19. Avendo determinato
il rapporto LT/ST, Aristarco sostiene che le grandezze della Luna e del Sole stanno nello stesso rapporto. Ciò deriva dal
fatto che Sole e Luna hanno grandezze apparenti quasi identiche, ossia sottendono lo stesso angolo visti da un
osservatore della Terra. Posto quindi Rl il raggio della Luna ed Rs quello del Sole, risulta Rl/Rs=1/19. Sulla base di
questo rapporto, che esprime in particolare la grandezza del Sole rispetto a quella della Terra, Aristarco determina la
grandezza della Luna rispetto a quella della Terra. In particolare ottiene l’approssimazione Rl=20/57Rt.
Il calcolo matematico sviluppato allo scopo si basa sulla figura 2, che costituisce un modello geometrico di un’eclissi
lunare. La figura 2 si disegna tracciando la tangente alle circonferenze di centro S e T (centro del Sole e della Terra) e
ponendo A e B i rispettivi punti di contatto; su tale tangente si determina il punto C tale che LC sia parallelo a TB (L è
il centro della Luna). Si tracciano poi EB e DC tali che siano paralleli alla retta passante per S,T,L. Dalla conseguente
similitudine dei triangoli EAB e DBC, segue la proposizione DB/EA=DC/EB. Avendo Aristarco a disposizione il dato
sperimentale secondo cui l’ampiezza dell’ombra proiettata dalla Terra alla distanza della Luna è 2 volte la grandezza
della Luna, secondo la figura 2 risulta LC+2Rl. Sfruttando questa ultima uguaglianza e tenendo presente che i
quadrilateri EBTS e DCLT sono parallelogrammi, la precedente proporzione (DB/EA=DC/EB) si trasforma nella
seguente (Tr-2Rl)/(Rs-Rt)=LT/ST. Sapendo che LT/ST~1/19 ed Rs~19Rl, si ricava l’approssimazione Rl~20/57Rt.
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Cosmologia
3.3
Apollonio
(Perga, seconda metà del III secolo a. C.)
Apollonio di Perga visse dal 262 al 190 a.C. circa. Era noto nell‟antichità come
“il grande geometra”. Ebbe una grande influenza sullo sviluppo della
matematica, specialmente per la sua opera più famosa “le coniche” in cui
introdusse termini matematici quali ellisse, parabola, iperbole, che continuano
ad essere usati. Ma ad Apollonio è anche attribuito il merito di avere fatto
conseguire notevoli progressi all‟astronomia matematica. Tolomeo dice
nell‟Almagesto che Apollonio introdusse le costruzioni geometriche degli
epicicli e degli eccentri per spiegare le anomalie. Secondo la terminologia
introdotta dai matematici greci, si usavano le parole anomalia o anche
inegualità per indicare qualunque irregolarità nei moti dei corpi celesti, rispetto
al consacrato moto angolare uniforme e circolare.
La spiegazione di Apollonio di tali anomalie è la seguente:
L'orbita dei pianeti non è lineare ma è data dal moto in longitudine (ovvero il moto sul deferente, la
circonferenza per la quale passano i centri di tutti gli epicicli) dell'epiciclo (cioè la circonferenza sulla quale si
muove il pianeta di un moto detto in anomalia). Il centro dell'epiciclo si muove intorno alla Terra (lungo il
deferente) nel periodo in cui il pianeta percorre l'intero cielo (anno sidereo). Si traccia una semiretta con
origine dalla Terra (T) tale che intersechi l'epiciclo nei punti a e g, in modo che 1/2 ag sia rispetto a Ta nello
stesso rapporto in cui si trovano tra di loro le due velocità lineari del centro dell'epiciclo e dell'astro
sull'epiciclo. Quando il pianeta raggiunge il punto a le due velocità angolari viste da T saranno per breve
tempo uguali ed opposte, e per questa ragione il pianeta diviene stazionario. Perciò il moto, per questa
differenza di velocità, nell'arco di circonferenza da a a b (punto simmetrico di a rispetto alla retta per p1, in
cui il pianeta risulta di nuovo stazionario), diviene retrogrado.Per mezzo della teoria degli epicicli è possibile
definire anche il moto di un corpo, quale il Sole o la Luna, che si muove con velocità variabile ma senza mai
divenire stazionario o retrogrado. In questo caso la direzione del moto sull'epiciclo deve essere opposta
rispetto a quella sul deferente.
3.4
r : Ta = Ve : Vp
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Cosmologia
Ipparco
(Rodi, circa 190 - 120 a.C.)
Ipparco, nonostante abbia contribuito a far abbandonare la teoria
eliocentrica di Aristarco, è considerato il più grande astronomo
dell'antichità. Nacque a Nicea di Bitinia e visse per la maggior parte
della sua vita a Rodi. Trascorse qualche tempo anche ad
Alessandria d'Egitto. Le sue opere, che non sono giunte fino a noi,
sono state tramandate da Tolomeo, suo grande ammiratore, che
visse tre secoli dopo.
Fra i suoi notevolissimi contributi all'astronomia sono da evidenziare i
confronti sistematici e critici di antiche osservazioni con quelle da lui
eseguite al fine di scoprire variazioni di piccole entità. Infatti Ipparco era uno studioso scrupolosissimo e
inventò anche degli strumenti appositi per l'osservazione astronomica (come l'astrolabio e la diòttra). Riuscì
a compilare un famoso catalogo delle stelle fisse, circa ottocentocinquanta, fornendo per ciascuna di esse la
latitudine, la longintudine e lo splendore. Al fine di perfezionare i suoi calcoli astronomici, gettò le basi di quel
ramo della geometria che più tardi si chiamerà trigonometria.
Scopre la precessione degli equinozi, osservando lo spostamento delle stelle nel tempo e confrontando la
posizione di circa 1.000 stelle da lui studiate con le osservazioni fatte da altri studiosi 150 anni prima. Egli
dimostra che in un determinato tempo si verificano degli spostamenti delle distanze tra le stelle da punti fissi
determinati, spostamenti spiegabili soltanto con la rotazione dell‟asse della Terra in direzione dell‟apparente
moto diurno delle stelle. In conseguenza di ciò gli equinozi cadono ogni anno con un lieve anticipo.
Egli sviluppa una propria teoria sul moto apparente dei pianeti basato sul movimento eccentrico: i pianeti
disegnerebbero delle orbite circolari attorno alla Terra il cui centro non coinciderebbe con quello della Terra;
questo secondo centro può essere rappresentato come se si muovesse in un cerchio. Gli studi accurati dei
moti del Sole e della Luna gli permisero di determinare la lunghezza dell'anno solare in 365 giorni e 6 ore e a
predire le eclissi con maggiore precisione di altri.
Applicando un metodo fondato sull'osservazione di eclissi totali di Luna cercò di determinare la distanza sia
della Luna che del Sole. Per la Luna ottenne un valore sovrastimato di appena il 7%, mentre per il Sole
concluse che la distanza doveva essere pari a 1100 volte il raggio terrestre, mentre in realtà è 23500 volte.
Nonostante questo grossolano errore Ipparco poteva comunque concludere che il globo del Sole doveva
essere 5 volte più grande della Terra: affermazione rivoluzionaria se si tiene conto che al Sole, in genere,
venivano attribuite le dimensioni del Peloponneso. Va tenuto presente che la misura risulta di notevole
difficoltà a causa della piccolezza degli angoli in gioco, tanto che ancora all'inizio del 1600 i risultati di questa
misura erano ancora piuttosto scarsi. Solo durante il 1700, usando metodi indiretti, si riuscì ad ottenere una
misura precisa della distanza.
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Cosmologia
3.5
Tolomeo
(Alessandria d’Egitto, 90 – 168 d. C.)
Claudio Tolomeo elaborò la più compiuta sintesi astronomica e
geografica e svolge le più notevoli ricerche sperimentali di ottica
dell‟antichità. Formulò la regola della proporzionalità degli angoli di
incidenza e di rifrazione (approssimativamente vera per gli angoli piccoli)
e applicandola intuì che la luce di una stella, entrando nell‟atmosfera,
viene deviata o rifratta in modo da apparire più vicina allo zenith di
quanto lo sia realmente.
L’Almagesto
Scrisse un‟opera di enorme importanza scientifica che più tardi sarà riconosciuta come Almagesto.
Questo nome deriva dall‟espressione greca “Megalé Mathematikè Syntaxis” cioè “Grande sintassi
matematica”, usata anche nella forma superlativa “magisté syntaxis”, da cui la traduzione araba “Al-Magiste”,
che divenne Almagestum in latino medioevale. Non si può sapere esattamente quale parte dell‟opera sia
dovuta al merito personale di Tolomeo e quanto invece debba essere ascritto a quello dei suoi predecessori,
come Ipparco, cosa che l‟autore stesso a volte fa intendere. E‟ probabile che anche alla teoria matematica
planetaria egli apporti solamente gli ultimi perfezionamenti.
Nell‟Almagesto Tolomeo presenta matematicamente le orbite apparenti dei pianeti. Egli tiene conto di tutti i
movimenti planetari osservati, con una precisione di cinque secondi circa di arco in più di un occhio nudo.
Questa teoria rimarrà immutata per ciò che riguarda la parte matematica anche dopo che Copernico ne
modificherà il sistema teorico (1543). Solo dopo Keplero, nel XVII secolo, saranno apportate sostanziali
modifiche, per poter tenere conto delle più esatte osservazioni di Tycho Brahe.
La cosmologia
Tolomeo presenta lo schema dell‟universo come un tutto unificato, situando la Terra all‟interno del cerchio
principale delle orbite dei pianeti, ma in posizione eccentrica, mentre i pianeti compiono la loro rotazione
intorno all‟equante, un punto situato a uguale distanza della
Terra, ma dall‟altra parte del centro del cerchio (figura “b” a lato).
Il risultato di questi studi è molto vicino a quello ottenuto da
Keplero quindici secoli più tardi. Nell‟Almagesto sono utilizzati
degli “epicicli”, cioè circoli descritti dai pianeti intorno a un punto
ideale detto “equante”, il quale descrive a sua volta un circolo
intorno alla Terra detto “deferente”, per spiegare la seconda
variazione periodica della posizione di un pianeta (che realmente
è causata dal movimento della terra intorno al sole), ma per i
matematici è indifferente considerare ferma la Terra come
Tolomeo, o il Sole come Copernico.
L‟Almagesto è caratterizzato dalla maggiore preoccupazione di
Tolomeo: quella di trovare una teoria matematica particolare per
ogni pianeta. Ma quando giunge al problema di considerare il
sistema planetario come un tutto, rileva che nessuna
osservazione a lui nota può gettare molta luce su questo punto e
qualsiasi ipotesi non potrebbe modificare di molto le sue
conclusioni. Così egli ricade nella tradizionale considerazione
che la velocità con la quale i pianeti si muovono provi la loro
vicinanza; in questo modo egli sistema la Terra al centro, e la
Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e le Stelle
fisse in orbite sempre più esterne.
L‟Almagesto sarà tradotto in latino verso la fine del XII secolo
(intorno al 1175) da Gerardo, monaco cremonese, quindi non
potrà avere una diretta influenza sulla scienza dell‟Alto
Medioevo. Al suo posto si diffonderà il più semplice schema
dell‟universo tratto da Aristotele. Alla fine del Medioevo il conflitto
tra la concezione aristotelica e quella tolemaica sarà destinata
ad assumere grande importanza per la storia della scienza.
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Cosmologia
Strumentazione
L‟Almagesto contiene inoltre un particolareggiato e preciso elenco delle Stelle, adattato in parte da Ipparco.
Infine vi sono descritti i principali strumenti utilizzati da Tolomeo nei suoi studi:
- L‟ANELLO DI METALLO, utilizzato per l‟osservazione dell‟altitudine meridiana del sole.
E‟ composto da un anello interno con due indicatori, collocato all‟interno di un altro anello graduato, posto
verticalmente sul piano del meridiano;
- UN BLOCCO DI LEGNO scorrevole su un lungo telaio con un foro su una delle due estremitˆ per applicarvi
l‟occhio, in modo che facendo scorrere il blocco si possono misurare piccoli angoli e valutare la grandezza
apparente del sole;
- UN SEMPLICE ANELLO posto sul piano dell‟equatore, usato per determinare gli equinozi;
- IL TRIQUETRUM (termine latino che significa triangolo) che serve per determinare il centro della Luna
anche quando ne è visibile solo una parte. E‟ composto da un asse per mirare la Luna che viene inquadrata
da un grosso foro all‟estremità inferiore, e ha il vantaggio che le graduazioni sono segnate su un‟asta dritta e
quindi possono essere più facilmente determinate che non sulle scale circolari di altri strumenti;
- L‟ASTROLABON ARMILLARE è il più importante strumento utilizzato da Tolomeo. Formato da una serie di
anelli metallici inseriti l‟uno nell‟altro, il più interno dei quali porta un‟alidada (un indice mobile che, scorrendo
su un cerchio graduato, permette di misurare l‟apertura di un angolo) con due piccoli fori (attraverso cui
compiere le osservazioni) mentre il più esterno è fissato ad un pesante supporto; un asse di rotazione è
parallelo all‟asse polare della terra, e un secondo asse è inclinato come l‟asse eclittica di 23,5 gradi rispetto
a quello polare. Questo serve a misurare direttamente gli angoli, mentre con qualsiasi altro strumento meno
complicato ci vorrebbero calcoli lunghi e complessi per trasformare i dati di altezza e di azimuth, o coordinate
equatoriali, nelle coordinate eclittiche essenziali alla teoria. Con questo strumento, Tolomeo riesce anche a
misurare il mondo “abitabile”; questi risultati sono riportati in un‟altra sua opera: la Geografia.
Il Triquetrum di Tolomeo
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Cosmologia
4
IL CREAZIONISMO CRISTIANO
(Europa, III secolo a.C. – XIII secolo d.C.)
I romani non forniscono un contributo originale alla scienza astronomica. Essi hanno una buona pratica di
alcuni strumenti fondamentali come la meridiana, che conoscevano sin dal secolo III a.C., e che applicano al
computo del calendario. Inoltre posseggono una considerevole abilità meccanica che permette loro di
compiere e inquadrare osservazioni astronomiche fondamentali. Più significatica è l‟influenza dell‟astrologia
che, seppur proibita ai tempi dell‟impero, ha una particolare diffusione tra i ceti popolari.
A collegarsi alla ricerca astronomica alessandrina sono gli Arabi che, tramite gli scambi commerciali con gli
Indiani, a partire dal secolo IX, possono utilizzare le loro conoscenze nell‟ambito dell‟aritmetica e dell‟algebra
per riconsiderare le conoscenze dell‟Età ellenistica. Essi traducono e volgarizzano l‟opera di Tolomeo,
trasmettendola all‟Occidente cristiano, mentre sviluppano l‟uso di particolari strumenti come l‟astrolabrio, uno
strumento antico usato dai naviganti per determinare la posizione degli astri, sostituito in seguito dal
sestante. Si tratta di un sistema per trasportare una superficie curva su una piana.
Lo strumento consiste essenzialmente di una mappa circolare del firmamento che si fa ruotare attorno al
polo nord, riposante su un piano celeste corrispondente alla visuale di un osservatore che si trovi ad una
determinata latitudine. Questo strumento astronomico viene usato tra i secoli VII e XVI ed è di inestimabile
valore per le ricerche astronomiche.
Tra i maggiori astronomi arabi sono Al-Farghani e Al-Battani, vissuti nel secolo IX, che compilano sintesi
dell‟Almagesto. Il filosofo Averroè sarà il mediatore del pensiero aristotelico tra la cultura araba e quella
cristiana.
Solo nel XIII secolo le opere di Aristotele e quelle di Tolomeo vengono conosciute in Europa, determinando
la ripresa del pensiero occidentale. All‟interno delle università europee e degli ordini dei domenicani e dei
francescani si sviluppa una riflessione su questi temi. Tra le personalità che propongono le prime sintesi
astronomiche cristiane vi è il Sacrabosco, attivo a Parigi nel XIII secolo.
4.1
S. Agostino
(Tagaste, 354 – Ippona, 430 d.C.)
Al senso di ammirazione per il finalismo scoperto da Aristotele nell'universo, la tradizione cristiana
medioevale fece corrispondere la svalutazione radicale dell'interesse per la natura e le sue leggi, bollato da
Agostino come curiosità sviante l'uomo dal suo più alto compito di salvezza. Oppure s‟integrò l‟universo
fisico in una dimensione simbolica, in cui l'opposizione fra Terra e Cielo acquistava un carattere
teologicamente e moralmente decisivo. L'astronomia e la teologia si concatenarono inesorabilmente,
elevando a posizioni religiosamente impegnative sia l'immobilità e centralità della Terra, che l'immutabilità e
costanza dei cieli.
“Quando poi vien posta la domanda che cosa dobbiamo credere in fatto di religione, non è necessario
esaminare a fondo la natura delle cose, come fu fatto da quelli che i Greci chiamano physici; né bisogna
inquietarsi per timore che i cristiani ignorino la forza e il numero degli elementi ; il moto, l'ordine e le eclissi
dei corpi celesti; la forma dei cieli; la specie e la natura di animali, piante, sorgenti, fiumi e montagne;
cronologie e distanze ; i presagi delle tempeste; e mille altre cose che quei filosofi hanno scoperto, oppure
credono di aver scoperto... È sufficiente al cristiano credere che la sola causa di tutte le cose create, celesti
o terrene, visibili o invisibili, è la bontà del creatore, il solo vero Dio ; e che nulla esiste, ad eccezione di Lui
stesso, che non derivi da Lui la sua esistenza.” (da Agostino, Enchiridion ad Laurentium)
4.2
S. Tommaso d’Aquino
(Roccasecca, 1221-1323 d.C)
“È pertanto chiaro che la materia dei cieli non è, per sua intrinseca natura, suscettibile di generazione o
corruzione, poiché è il tipo primario di corpo alterabile ed il più prossimo, nella sua natura, a quei corpi che
sono intrinsecamente immutabili. Questa è la ragione per cui i cieli subiscono soltanto un minimo assoluto di
alterazione. Il moto è il solo tipo di mutamento che essi subiscono e questo tipo di mutamento non modifica
affatto la loro intrinseca natura. Inoltre, fra i tipi di moto che potrebbero avere, il loro è circolare e il moto
circolare è il solo che produce un minimo assoluto di alterazioni, poiché la sfera, nel suo complesso, non
cambia posto.” (da Tommaso d‟Aquino, Commentaria in Libros Aristotelis De coelo et mundo)
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Cosmologia
4.3
Dante Alighieri
(Firenze, 1265-1321 d.C)
Nella Divina Commedia di Dante troviamo sintetizzata la visione
cosmologica medievale. Essa è una diretta derivazione della
concezione aristotelica, in parte differente da quella tolemaica,
filtrata attraverso la riflessione teologica di derivazione tomista,
operata nella prima metà del XIII secolo da Tommaso d‟Aquino.
Hanno inoltre esercitato una significativa influenza l‟opera di
Alfragano, commentatore di Tolomeo, e le Etymologiae di Isidoro
di Siviglia.
Nella Commedia, e in particolare nella terza cantica, il Paradiso,
gli elementi astronomici e cosmologici sono parte integrante
della costruzione poetica. In numerosi luoghi del poema, l‟Autore
presenta situazioni astronomiche ben definite e riconoscibili e ne indica gli influssi sui comportamenti e le
sorti degli umani. Astronomia e astrologia sono fusi in un‟unica concezione, poetica ed esistenziale.
Tutto è di forma sferica, la forma della celestiale perfezione. La Terra è una piccola sfera opaca, circondata
da nove immense sfere concentriche, perfettamente trasparenti, in ciascuna delle quali si incastona, come
una gemma in un anello di cristallo, un pianeta o una stella. La cosmologia medievale accettata dall'autore
non fa distinzione, infatti, tra un corpo celeste che non emette luce, come un pianeta, e uno luminoso,
appunto una stella. Perciò troveremo nella successione dei cieli, Luna e Sole insieme, essendo quest'ultimo
un astro che come gli altri ruota intorno al nostro piccolo pianeta. E ciascuno di questi cieli,
indifferentemente, verrà chiamato «sfera», o «spera», che sono sinonimi per la lingua medievale.
La struttura del Paradiso è il più grandioso esempio di come il Creatore di tutto ciò che esiste diffonda la sua
energia creativa ovunque, permettendole di manifestarsi in forma di pura luce. Tale luce si divide e si
individua nelle infinite forme che da Lui procedono, ma al tempo stesso non perde mai la sua unità.
Dio quindi crea tutto imprimendo istantaneamente movimento e luce a ciò che crea. Dall'Empireo dunque,
luogo che non è un luogo, che è sempre esistito e sempre esisterà come sua sede eterna, il movimento
della creazione passa al cielo detto Cristallino o Primo Mobile, nel quale l'unità dell'energia divina è ancora
molto intensa, come intenso e veloce ne è il movimento circolare. Quindi, da questo cielo passa al
successivo, detto delle Stelle Fisse: qui l'unità si scinde, per così dire, nelle innumerevoli luci delle stelle, che
risplendono ciascuna con un'intensità diversa, perché diversa in ciascuna è la qualità con cui l'energia
creativa si manifesta.
Questo principio vale per tutto l'universo: non è il principio della quantità, ma quello della qualità a regolarlo,
secondo il modello della creazione, che procede per differenze progressive nell'unità. Così le qualità delle
stelle hanno influenza sul mondo terreno, attraverso il movimento dei sette cieli sottostanti. Nell'ordine,
dall'alto verso il basso, ma anche dal più grande al più piccolo, nonché dal più veloce al meno veloce:
cielo di Saturno, di Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio, e infine cielo della Luna.
Il nostro pianeta, la Terra in cui nasciamo e viviamo fino al trapasso, nel sistema cosmico dantesco si
guadagna la definizione di “mondo sublunare”. Davvero l'ultimo territorio della creazione, quello meno
partecipe dell'energia divina, al contrario quello più fragile e soggetto alle influenze del male.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
Paradiso. Canto XXII
Versi 133-150
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch‟io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l‟ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell‟ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L‟aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com‟ si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m‟apparve il temperar di Giove
tra „l padre e „l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
Paradiso. Canto XXVIII
Versi 22-39
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che „l dipigne
quando „l vapor che „l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio d‟igne
si girava sé ratto, ch‟avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d‟un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e „l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sé sparto
già di larghezza, che „l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l‟ottavo e „l nono; e ciascheduno
più tardo si movea, secondo ch‟era
in numero distante più da l‟uno;
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s‟invera.
La Cosmologia
nella Divina Commedia
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
29
Cosmologia
4.4
Caratteri dell’universo aristotelico-tolemaico
(Europa, Medioevo)
L‟universo precopernicano risulta dalla fusione di tre distinte componenti: la fisica aristotelica, l‟astronomia
matematica di Tolomeo e la concezione cristiana del cosmo. In base alle loro teorie, l‟universo era:
- unico, in quanto era pensato come il solo universo esistente
- chiuso, poiché immaginato come una sfera, limitata dal Nono cielo, il primo mobile, e dal Cielo delle
Stelle fisse, oltre il quale non c‟era nulla, nemmeno il vuoto, altresì fuori dal Cosmo si trovava soltanto “il
regno dell‟onnipossente Iddio”
- finito, dato che l‟infinito era solo un‟idea e non una realtà fisica
- costituito di sfere concentriche, intese non come tracciati matematici, ma come solidi reali, su cui erano
incastonate stelle e pianeti
- geocentrico, in quanto al centro stava la Terra immobile
- diviso in due zone qualitativamente distinte, la zona dei cieli, provvista di moto circolare uniforme,
incorruttibile ed eterno, e il mondo sublunare, con i luoghi naturali dei quattro elementi (terra, acqua,
aria, fuoco), dotati di moto rettilineo, con un principio ed una fine, atti ad originare i processi di
corruzione.
Questa visione astronomica appariva non solo conforme al buon senso comune, supportato dalla quotidiana
constatazione dell‟immobilità della terra e del moto dei cieli, ma s‟adattava anche alla mentalità metafisica
prevalente, portata a concepire il mondo come un organismo gerarchico e finalisticamente ordinato e
disposto.
La testimonianza dei sensi, l‟autorità di Aristotele, i teoremi della metafisica e la parola divina della Bibbia
avevano quindi finito per convergere in una comune attestazione della validità assoluta del sistema
tolemaico.
5
LA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA
La Rivoluzione astronomica, con cui prende avvio la Rivoluzione scientifica, rappresenta uno degli
avvenimenti culturali più importanti della storia dell'Occidente, che hanno maggiormente contribuito al
passaggio dall'età antico-medioevale all'età moderna. Generalmente si crede che tale rivoluzione sia dovuta,
in sostanza, a Copernico. In realtà ciò è vero solo in parte, poiché Copernico, per esattezza, ha
semplicemente dato inizio ad un processo di pensiero che ha coinvolto, al tempo stesso, astronomia,
filosofia e teologia. Anzi, quella che comunemente continua a chiamarsi “la visione copernicana
dell'universo”, più che essere il frutto del solo Copernico o di altri astronomi e fisici come Keplero e Galileo, è
il prodotto di intuizioni e deduzioni teoriche che risalgono per lo più a Giordano Bruno, il vero filosofo della
nuova visione del cosmo, che in parte sarà confermata dalla scienza successiva e che costituisce ancor oggi
lo schema generale del “nostro” universo. Di conseguenza, l'intricato processo che forma la Rivoluzione
astronomica – intesa soprattutto come un passaggio “dal mondo chiuso all'universo infinito” – non è soltanto
un fatto astronomico e scientifico, ma anche un appassionante avvenimento filosofico, poiché attraverso i
suoi due araldi principali (Copernico e Bruno) ha finito per mutare la visione complessiva del mondo che per
secoli era stata propria dell'Occidente, segnando in profondità la cultura moderna.
5.1
il Quattrocento
La rinascita del platonismo e dell‟ermetismo nel XV secolo, contribuiscono a mettere in crisi l‟immagine
aristotelica di un cosmo chiuso con al centro la Terra.
Il filosofo neoplatonico Niccolò Cusano sostiene - sulla base di presupposti di carattere teologico - che non
può esserci né un centro fisso né un limite fisso dell‟universo, poiché ogni punto rispecchia l‟intero universo.
Di conseguenza la Terra non può essere considerata il centro dell‟universo e neanche in quiete assoluta.
Tuttavia nelle opere di Niccolò Cusano non si trova accanto a queste intuizioni di carattere puramente
filosofico alcun tentativo di criticare dal punto di vista astronomico il sistema aristotelico-tolemaico.
Importanti progressi nel campo dell‟astronomia matematica sono compiuti da Georg Peurbach e dal suo
allievo Johann Müller, detto Regiomontanus, autori di un‟epitome dell‟Almagesto che ha una straordinaria
diffusione, e di significativi contributi alla trigonometria. Gli studi di astronomia di Regiomontanus, come
quelli di molti suoi contemporanei, non sono disgiunti da interessi di carattere astrologico: l‟esatto calcolo
delle posizioni dei pianeti e dei moti delle comete è infatti indispensabile per operare previsioni astrologiche.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
5.2
Contesto storico e cause
Con l‟Umanesimo si fa strada la concezione che per sviluppare la
conoscenza scientifica, non bastava tramandare gli insegnamenti
degli antichi, ma occorreva anche studiare e osservare
attentamente la natura, e soprattutto era indispensabile imparare
a distinguere i dati dell'osservazione dalle convinzioni di tipo
magico o religioso. La scienza moderna, al pari della cultura
umanistica, non nasce nel vuoto, ma in un preciso contesto
storico, caratterizzato dai mutamenti della struttura economica
europea e dal nuovo tipo di società venutosi a creare.
Esigenze tecniche
In seguito alle scoperte geografiche, il ceto mercantile richiedeva
alla scienza della tecnica, navi sempre più resistenti e veloci per
solcare gli oceani. In seguito alla crescita economica, le
monarchie europee riorganizzarono gli eserciti per espandere i
confini, incentivando la ricerca di armi sempre più potenti. La
cultura rinascimentale portò alla costruzione di capolavori
architettonici, al miglioramento delle vie di comunicazione, alla
stampa di migliaia di libri, ecc … Tutte opere che richiedevano
nuove scoperte in campo tecnico, che i semplici artigiani non erano in grado di risolvere, appellandosi
pertanto alle più profonde nozioni di matematica e fisica degli studiosi. Viene così superato per la prima volta
il divario secolare tra scienze teoretiche e scienze pratiche. La nuova figura di scienziato tende, prima a
studiare il fenomeno con il ragionamento e i calcoli, poi a concretizzare la sua teoria con la
“sperimentazione”, ovvero con l‟applicazione pratica di quanto studiato. Nascono così affascinanti figure di
scienziati, artisti e tecnici al tempo stesso, come Leonardo da Vinci.
Il Rinascimento
Il clima culturale ereditato dal Rinascimento è stata la seconda grande causa della nascita della Nuova
Scienza. In sintesi:
1. la laicizzazione del sapere e la rivendicazione della libertà della ricerca intellettuale, ad opera della
borghesia cittadina, ha permesso lo svilupparsi di nuove teorie
2. la traduzione di molte opere scientifiche e filosofiche dell‟antichità, ha permesso la rivisitazione di
teorie obsolete, entrate ormai nell‟immaginario collettivo, qual‟era appunto la cosmologia.
3. la rivalutazione della natura e l‟interesse dell‟uomo a studiarla, ad opera dei naturalisti, ha posto le
condizioni per uno studio più vasto e approfondito della natura.
Gli scienziati
Economia e cultura sono state le cause che hanno creato le condizioni
favorevoli allo sviluppo di una nuova scienza. Individui dalla mente
geniale e creativa sono stati poi capaci di tradurre in atto le possibilità
offerte da tali condizioni. Sociologicamente parlando, questi individui non
sono scienziati di mestiere, ma persone che coltivano le ricerche accanto
alle loro professioni (ingegneri, architetti, medici, professori delle
università tradizionali) oppure persone benestanti che possono
permettersi di dedicarsi agli studi senza preoccupazioni economiche. E
poiché le Università non saranno sempre favorevoli al nuovo sapere
scientifico, esse si organizzeranno poco per volta in quelle istituzioni
culturali alternative che sono le Accademie scientifiche.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
5.3
Niccolò Copernico
(Thorn, 1473 – Frauenberg, 1543)
Una breve biografica
Nicola Copernico (Nicolaus Koppernigk) nacque a Torun (Thorn) sulla
Vistola il 19 febbraio 1473. Nel 1491 si iscrisse all'Università polacca di
Cracovia dove, pur essendo destinato alla carriera ecclesiastica, mostrò
una decisa inclinazione per l'astronomia e la matematica. A 23 anni si
recò in Italia e trascorse cinque anni presso l'Univertità di Bologna (uno
dei maggiori centri culturali d'Europa), dove lavorò sotto la direzione di
Maria da Novara da cui apprese gli elementi di astronomia pratica. Nel
1550 andò a Roma e l'anno seguente tornò nell'Europa nord-orientale,
a Frauenberg, dove fu insediato canonico per opera dello zio Lucas
Waczenrode, vescovo di Ermland. Dopo pochi mesi dall'insediamento nella sua canonica, tornava ansioso in
Italia, questa volta a Padova rimanendovi per altri cinque anni. Durante i dieci anni che trascorse
complessivamente in Italia studiò legge, teologia, medicina, matematica, astronomia e i classici. Lo studio
dei classici fu di importanza fondamentale poiché gli permise di leggere i lavori dei grandi astronomi greci
nella loro lingua originale. Nel 1506, ritornando definitivamente in patria, Copernico poneva termine alla sua
vita studentesca e si rititò nel castello di Heilsberg per prendersi cura del vecchio zio vescovo. Cominciava
allora a pensare al suo nuovo sitema cosmogonico, gettando le basi del suo monumentale lavoro, De
rivolutionibus Orbium Coelestium, che fu pubblicato soltanto 37 anni dopo, poco prima della sua morte.
Copernico morì nell'anno 1543 all'età di settant'anni. Il secolo seguente fu denso di accese controversie sulla
teoria copernicana.
Il problema di Copernico
L‟interesse del papato alla riforma del calendario e l‟influenza del neoplatonismo fiorentino, propugnatore di
una mistica del Sole, del numero e della creatività naturale, indussero il polacco Niccolò Copernico a
risolvere matematicamente il problema dei pianeti, eliminando soluzioni artificiose come epicicli (Eraclide) ed
equanti (Tolomeo). Per chiarire l‟immagine del cielo, offrendolo un‟armonia prima sconosciuta, era
conveniente porre il Sole al centro del sistema, fonte di vita e di luce per tutte le cose, e la Terra al suo
posto, in movimento diurno su sé stessa ed annuo di rivoluzione intorno al Sole. Nonostante la ripresa delle
intuizioni di Cusano, Copernico conservò molti tratti della cosmologia tradizionale (le sfere concentriche,
l‟universo chiuso dalla sfera delle stelle fisse); ma a differenza dei predecessori rese conto delle
conseguenze matematiche del moto terrestre con calcoli che, senza avere alla base ampie osservazioni,
fornivano elementi sufficienti per distruggere l‟astronomia tolemaica.
La circolarità dei moti celesti
Secondo le convinzioni accettate dai tempi di Platone, i moti dei corpi celesti dovevano essere circolari o
composti di moti circolari. Copernico accetta la circolarità del moto dei corpi celesti come un principio
indiscutibile, aggiungendovi però una ragione di carattere pratico: soltanto un moto circolare, o composto di
più cerchi, può rendere conto del movimento periodico delle figure celesti.
Tolomeo aveva salvato la circolarità dei corpi celesti, ma non la loro uniformità, in quanto il moto presenta
una velocità angolare uniforme ma non coincide col suo centro, perciò era necessario che i corpi celesti si
muovessero di moto composto di moti circolari uniformi.
La cosmologia copernicana
La soluzione di Copernico al problema della causa dei moti celesti si fonda sugli assiomi seguenti:
1) Le orbite e le sfere celesti non hanno un solo centro
2) Il centro della Terra non è il centro del mondo, ma solo della gravità e dell‟orbita della Luna
3) Tutte le orbite ruotano intorno al Sole in quanto è posto al centro di tutte le cose
4) Il rapporto tra la distanza Sole - Terra e l‟altezza del firmamento è minore di quello tra il raggio
terrestre e la distanza Sole-Terra, sì che questa è insensibile rispetto all‟altezza del firmamento
5) Qualunque moto si osservi nel firmamento, non appartiene ad esso ma alla Terra. Dunque la Terra,
con gli elementi che la circondano, ruota di moto diurno sui suoi poli immutabili, mentre il firmamento
e ultimo cielo rimangono immobili
6) Tutti i moti che vediamo nel Sole, si devono alla Terra e alla nostra orbita, con la quale ruotiamo alla
maniera di qualsiasi altro pianeta intorno al Sole
7) Il moto retrogrado e diretto che si osserva nei pianeti non appartiene ad essi, ma alla Terra. Il moto
di questa sola è sufficiente a spiegare tutte le ineguaglianze che si osservano in cielo
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
Conseguenze del pensiero copernicano
Opera in sé non rivoluzionaria e frammista di antica e nuova astronomia, il De revolutionibus avrebbe
stimolato una serie di sviluppi senz'altro rivoluzionari : la Terra era avvicinata formalmente a tutti gli altri
pianeti; eliminati gli epicicli, si poneva una relazione diretta e fissa fra il posto dei pianeti nel sistema e
l'ampiezza delle loro orbite. Successive osservazioni, confortando questa nuova descrizione matematica
dell'universo, avrebbero attaccato non solo l'apparato di calcolo tolemaico, ma il principio della bipartizione
fondamentale del cosmo aristotelico, richiedendo una diversa spiegazione dei moti planetari.
Dal “De revolutionibus orbium coelestium”
“lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina”
5.4
La battaglia intorno a Copernico
(Europa, 1550-1633)
La nuova astronomia si trovò però coinvolta, contro voglia, nel clima inquieto ed appassionato delle
controversie e delle guerre di religione, che sconvolsero la Francia (1560-1598), l‟Olanda (1572-1609), la
Germania (1618-1648) ed acuirono, nell‟Europa divisa fra controriforma cattolica, stabilizzazione luterana e
radicalismo calvinista, la sensibilità verso i problemi dell‟ortodossia e dell‟interpretazione della Bibbia. Mentre
alcuni esponenti di ordini religiosi, come i Gesuiti, entrarono in seno alla nuova astronomia, promuovendo
osservazioni e ricerche, la drammatica alternativa implicita nel copernicanesimo spinse altri alla difesa degli
interessi religiosi e morali minacciati. Esso divenne terreno di una battaglia che si protrasse fino al 1630 ed
oltre: si trattava di ammettere la mobilità della terra, a costo di veder rovinare i capisaldi dell‟universo
aristotelico-cristiano (specie il punto fondamentale della differenza tra Terra e Cieli); o di salvare a tutti i costi
la verità della filosofia aristotelica e dell‟interpretazione letterale dei testi biblici, e respingere la mobilità della
Terra come assurda.
L’accusa
La confutazione da parte della cultura tradizionale della teoria copernicana si articola in sei punti.
1) Se la Terra non fosse collocata nel centro del mondo, le eclissi di Luna non si spiegherebbero quando
Sole e Luna non si trovano in luoghi opposti dello zodiaco, ciò che è in contraddizione con l‟esperienza degli
astronomi, i quali insegnano che le eclissi avvengono quando la Luna è in opposizione col Sole, e mai
altrimenti.
2) Il secondo argomento è tratto da Aristotele e da Regiomontano: tutti i gravi in caduta libera lungo il
diametro del mondo incontrano la superficie della Terra secondo angoli uguali, in qualunque parte dell‟orbe
discendano, di conseguenza essi tendono al centro della Terra; da ciò consegue che il centro della Terra e
del mondo si identificano.
3) Il terzo argomento, tratto anch‟esso da Aristotele, pone la Terra al centro in quanto, “essendo
pesantissima, deve tendere verso il luogo più basso; e questo dovendo essere il più lontano possibile dal
cielo, non può essere collocato che nel centro del mondo”. Inoltre la Terra, „essendo il corpo più ignobile,
dovette giustamente essere collocata nel centro, per non recar danno con la sua vicinanza agli altri corpi”.
(De caelo)
Alla prima parte di questa obiezione Copernico risponde con la sua definizione della gravità e con l‟ipotesi
dell‟esistenza non di un unico centro di gravità, ma di una pluralità di centri; alla seconda aveva opposto la
maggiore nobiltà del dentro rispetto alle altre parti dell‟universo, giustificando in tal modo la centralità del
Sole.
4) Il quarto argomento è tratto da Alfragano e da Sacrobosco: tolti tutti i vapori, le nebbie e le esalazioni che
possono impedire la nostra vista, in qualunque luogo della superficie della Terra ci troviamo, le stelle ci
appaiono sempre della stessa grandezza, al sorgere, al tramonto, allo zenit: ciò che non sarebbe possibile
se la Terra non fosse collocata al centro dell‟universo, esattamente equidistante da tutte le parti del cielo.
5) Il quinto argomento, desunto da Sarobosco, afferma che se la Terra non si trovasse al centro dell‟universo
non si avrebbero sei segni dello zodiaco sopra l‟orizzonte e sei sotto.
A questi due argomenti Copernico risponde rovesciando il ragionamento: dall‟osservazione che l‟orizzonte
divide la sfera stellata in due porzioni esattamente uguali, e che lo stesso fa con lo zodiaco, sì che quando il
diametro del cerchio dell‟orizzonte comincia per esempio nel Cancro a oriente, termina a occidente nel
Capricorno, si deduce che il cielo è immenso a paragone della Terra e che la Terra è rispetto al cielo come
un punto paragonato a un corpo e il finito all‟infinito.
6) Il sesto argomento è desunto da Tolomeo: se la Terra non fosse al centro dell‟universo, dovrebbe essere
o nel piano del circolo equinoziale fuori dell‟asse del mondo (infatti se fosse sull‟asse del mondo e nel piano
dell‟equatore si troverebbe nel centro), o sull‟asse del mondo fuori del piano equinoziale o, infine, né sul
piano equinoziale né sull‟asse del mondo.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
La difesa
Ai tempi di Copernico, l‟eliocentrismo può fondarsi solo su una serie di argomentazioni aventi un grado di
probabilità più o meno elevato
1) Il movimento della Terra consente di spiegare tutte le apparenze che si osservano in cielo, comprese la
precessione degli equinozi e le variazioni dell‟eccentricità.
2) La stessa diminuzione dell‟eccentricità del Sole si riscontra inalterata nell‟eccentricità degli altri pianeti.
3) I pianeti hanno i centri dei loro deferenti intorno al Sole come al centro dell‟universo.
4) La quarta ragione è di carattere filosofico e riguarda l‟uniformità del moto circolare rispetto al proprio
centro e non a un punto introdotto arbitrariamente (come in Tolomeo).
5) Vi è poi la convinzione della semplicità ed economicità della natura. Senza la convinzione della razionalità
e perfezione della natura, Copernico non avrebbe impegnato tutte le sue energie nella ricerca di una
costituzione semplice ed esatta da applicare agli orbi celesti.
Lo sprezzante sarcasmo di Lutero
“La gente prestava orecchio ad uno sconvolto astrologo che si sforzava di mostrare che è la Terra a girare,
non i cieli, o il firmamento, il Sole e la Luna ; come se qualcuno, seduto su un carro che si muove o su una
nave, supponesse d'essere lui fermo, e che le terre e gli alberi lo oltrepassano... Questo pazzo vuole
ribaltare l'intera scienza astronomica; ma la Sacra Scrittura ci dice che Giosuè comandò di fermarsi al Sole,
e non alla Terra” (da Martin Lutero, Tischreden [Discorsi conviviali], 1539).
Le ignoranti osservazioni di Bodin
J. Bodin (1530-1596) fu uomo politico, procuratore di Enrico IV, e teorico della politica (Six Livres de la
Republique, 1576); intelletto brillante e audace in questi campi, ma rigidamente conservatore in altri, quali
l‟astronomia: “Nessun uomo nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, oppure dotato delle più elementari
nozioni di fisica, potrà mai credere che la Terra, greve e tarda per il suo proprio peso e per la sua massa, si
agiti su e giù attorno al suo centro e a quello del Sole; giacché, alla minima scossa della Terra, noi vedremo
crollare città e fortezze, paesi e montagne. Un certo Aulico, cortigiano, mentre a corte, di fronte al duca
Alberto di Prussia, un astrologo stava sostenendo l'idea di Copernico, rivolgendosi al servo che mesceva il
Falerno, disse: 4 Attento che il vino non si rovesci! ». Poiché, se la Terra dovesse effettivamente muoversi,
né una freccia lanciata verticalmente, né un sasso lasciato andare dalla cima di una torre cadrebbero
perpendicolarmente, ma entrambi in avanti o all'indietro. (...) In ultima analisi, tutte le cose che trovano
posizioni adeguate alla loro natura vi rimangono, come scrive Aristotele. E siccome la Terra ha avuto una
posizione adeguata alla sua natura, non può esser fatta ruotare da altro moto che non sia il suo proprio”.
(da Jean Bodin, Universae Naturae Theatrum).
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
5.5
I Gesuiti e l’astronomia
L'Osservatorio del Collegio Romano
Sin dai giorni della su fondazione, avvenuta per opera di Gregorio XIII, il Collegio Romano era stato un luogo
di profondi studi anche nel campo della matematica, della fisica e dell'astronomia. Qui il p. Clavio scrisse i
suoi tre volumi in difesa del calendario gregoriano e si adoperò, insieme ai suoi confratelli, a confermare le
scoperte sensazionali di Galileo e a convincere le autorità ecclesiastiche della loro esattezza. Qui il p.
Scheiner aveva osservato con diligenza instancabile le macchie del Sole per scrivere la sua grande opera
Rosa Ursina, adoperando per il suo cannocchiale la montatura equatoriale usata per la prima volta dal p.
Grienberger. Qui il p. De Cottignies osservò le macchie su Giove e le grandi comete del 1664, 1665 e 1668.
Qui finalmente lavorò come insegnante rinomatissimo il p. Boscovich, che eseguì per la prima volta in Italia
una misura geodetica di un arco di due gradi, inventò il micrometro ad anello e propose un esperimento
assai importante per la ricerca sulla natura fisica della luce.
Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, sancita dal Papa Clemente XIV nel 1773, gli studi nel
Collegio Romano furono affidati al clero secolare fino al 1824, anno in cui venne restituito alla direzione della
ristabilita Compagnia di Gesù.
L’Osservatorio astronomico del Collegio Romano (Roma), sulla Chiesa di S. Ignazio in due stampe d’epoca
Padre Ricci e la Cina
In una delle molte missioni religiose fondate dai Gesuiti in tutto il mondo, padre Matteo Ricci, dal 1600 in poi,
lavoro` a stretto contatto con gli astronomi cinesi divulgando fra di essi le ultime e più importanti scoperte
astronomiche occidentali (si era nel periodo della rivoluzione copernicana e dei primi utilizzi del cannocchiale
di Galileo Galilei). Con Padre Ricci e con i Gesuiti l'astronomia occidentale divenne famosa e conosciuta in
tutta la Cina a tal punto che, dopo una gara su chi, fra astronomi cinesi, arabi ed europei, fosse, con
maggiore precisione, in grado di prevedere l'eclissi di Sole del 1629 (gara vinta da astronomi europei),
l'imperatore decise, da quel momento, di affidare ai Gesuiti la compilazione, ma soprattutto la riforma, del
calendario. A testimoniare questa grande fama raggiunta dai Gesuiti rimane ancora oggi a Pechino, vicino
alla celebre piazza Tienanmen, un osservatorio astronomico intitolato a Matteo Ricci.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
5.6
Tycho Brahe
(Knudstrup, 1546-1601)
Una curiosa biografia
Nato in Danimarca, a Knudstrup, nel 1546, Tycho era figlio del
governatore del castello di Helsingborg.
Dopo aver compiuto gli studi a Copenaghen e in Germania, si
interessò presto di astronomia e di astrologia. Possiamo già farci
un'idea della sua particolare personalità da un fatto curioso: arrivò a
sfidare a duello un compagno di studi che aveva osato mettere in
dubbio le sue capacità matematiche. Ci rimise il naso che si fece poi
ricostruire con una protesi in oro. Osservando nel 1563 una
congiunzione di Giove e Saturno si rese conto che anche le più
recenti e aggiornate tavole astronomiche (le Tabulae Prutenicae di
Erasmo Rehinold) erano in errore di parecchi giorni.
Cominciò a progettare e collezionare strumenti di osservazione sempre più imponenti fra cui un grande
quadrante per osservazioni stellari e un globo celeste sul quale andava segnando le posizioni delle stelle
confermando ancora l'imprecisione e la lacunosità delle misurazioni astronomiche fino ad allora eseguite. Il
grande contributo di Tycho Brahe all'astronomia fu infatti soprattutto quello di imporre l'esigenza di
misurazioni e osservazioni continue e sempre più precise, a differenza dei precedenti astronomi che,
influenzati dalla concezione aristotelica, davano molta più importanza agli aspetti qualitativi che a quelli
quantitativi. Nel novembre del 1572 compariva una stella molto luminosa nella costellazione di Cassiopea. Si
trattava di una supernova. Tycho la osservò accuratamente nelle sue fasi di luce, notando che doveva
essere molto più lontana della Luna. Infatti non presentava nessuna parallasse sensibile e quindi doveva
appartenere al cielo delle stelle fisse. La cosa dovette suscitare un certo scalpore negli ambienti accademici,
visto che si riteneva che tutti i corpi celesti appartenenti al cielo delle stelle fisse non avrebbero dovuto
essere soggetti a mutazioni e corruzioni. Viaggiò parecchio in Germania e in Italia, pensando poi di andare a
stabilirsi a Basilea con la famiglia.
Il re Federico II, che era un protettore delle arti e delle scienze, per timore di perderlo gli fece un dono
favoloso: gli conferì l'isola danese di Hveen con tutte le rendite che produceva e si impegnò a costruirgli un
osservatorio a spese dello stato. Nacque così un grande edificio chiamato Uranjborg (castello del cielo), una
singolare costruzione situata nel mezzo di un giardino quadrato circondato da mura come una fortezza e
orientato con i vertici verso i quattro punti cardinali. Il castello possedeva torri di osservazione con tetti
mobili, una biblioteca, un laboratorio di alchimia e altri locali di lavoro e di abitazione. Vi installò molti
strumenti astronomici (sestanti, armille equatoriali, strumenti parallattici, orologi ecc.). Un secondo edificio,
costruito da Tycho in seguito, fu chiamato Stjerneborg (castello delle stelle). Aveva la particolarità si essere
in gran parte sotterraneo, probabilmente per porvi gli strumenti in posizioni più stabili che non sulle terrazze.
I tetti di questi vani sotterranei erano a forma di cupola e le osservazioni potevano essere eseguite
attraverso delle aperture praticate sulle cupole stesse. Visse a Uranjborg per vent'anni, durante i quali
raccolse un'ampia collezione di dati che gli sarebbe servita in seguito per costruire il suo nuovo sistema
cosmologico.
La megalomania di cui soffriva lo portò presto a tiranneggiare i poveri abitanti dell'isola di Hveen con balzelli
non dovuti e condanne per insolvenze. Si circondò persino di una incredibile "corte" con tanto di "nanobuffone" che pranzava sotto la tavola (vedi Big science ai tempi di Amleto di Gianbruno Guerriero in Le
Scienze n. 344). Proprio per porre un freno a questa situazione, il successore di Federico II cominciò a
limitarne gli appannaggi di cui godeva e Tycho, offeso, abbandonò l'isola e riprese le sue peregrinazioni per
l'europa portandosi dietro la famiglia e i suoi numerosi strumenti. Finì alla corte di re Rodolfo II (personaggio
altrettanto eccentrico) con l'incarico di Mathematicus imperialis. Nel 1600 incontrò Keplero nel quale Tycho
sperava di trovare un fedele discepolo della sua teoria, ma il rapporto tra i due astronomi fu breve e
insofferente.
Tycho infatti morì nel 1601 senza riuscire a convincere Keplero sul suo sistema geocentrico.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
Il pensiero
Tycho Brahe a differenza di Copernico è piuttosto un osservatore che un teorico. Il re gli aveva messo a
disposizione un osservatorio molto attrezzato situato su un‟isola dove rimane per dieci anni. Più tardi, a
Praga con Keplero, egli raccoglie osservazioni astronomiche che gli permettono di correggere le conoscenze
tradizionali. Le sue informazioni sono le più ampie e accurate di quelle fatte fino ad allora. Egli non si
preoccupa di dare vita ad una nuova teoria della conoscenza, ma di dare conto delle sue indagini
sull‟evidenza sensibile.
I risultati di Brahe si possono riassumere così:
o Egli illustra il sistema planetario con la Terra al centro delle orbite della Luna e del Sole e al centro delle
Stelle fisse. Il Sole ruota intorno alla terra in ventiquattro ore portando con sé tutti i pianeti. Dal punto di
vista matematico il sistema risulta identico a quello di Copernico
o Poiché le orbite del Sole e di Marte si intersecano, i due pianeti non potevano essere trasportati da sfere
solide cristalline. La parola orbis non indica più la sfera, bensì l‟orbita
o Nel 1502 osserva una nuova stella e nel 1577 riesce a determinarne il parallasse e a dimostrare che era
molto più lontana della luna e perciò al di là della sfera del mondo “elementare”. Questo significa
introdurre il principio di mutamento nella sfera considerata immutabile, contraddicendo quindi i principi
aristotelici.
o Formula l‟ipotesi che il movimento di una cometa possa essere “non esattamente circolare ma
leggermente oblungo”. E‟ questa la prima ipotesi che il movimento di un corpo celeste possa seguire
un‟orbita diversa da quella circolare.
o Descrive con grande accuratezza le alterazioni del moto della luna (1599), che saranno poi spiegate
dalle generazioni di astronomi successive.
o Le sue molteplici osservazioni sui pianeti permettono a Keplero di rivelare la vera natura delle loro orbite.
o Rettifica i valori di molti dati astronomici e in un‟opera pubblicata da Keplero (Praga 1602) determina la
posizione di 719 stelle, che più tardi Keplero porterà a 1005.
Da “Sui più recenti fenomeni del mondo etereo”
“La macchina del cielo non è un corpo duro e impenetrabile pieno di diverse sfere reali, come finora è stato
creduto dalla maggior parte degli uomini. Si proverà che esso si estende dappertutto, fluido e semplice, e
non presenta in nessun luogo gli ostacoli che prima si credeva ; e il circuito dei pianeti è interamente libero,
senza lo sforzo e la rotazione di alcuna sfera, essendo governato da una legge divinamente stabilita. (...)
Non ci sono in realtà nel cielo delle sfere (...) quelle che gli autori hanno inventato per salvare le apparenze 2
esistono solo nella loro immaginazione, per comprendere nella mente i movimenti dei pianeti nei loro
percorsi e secondo un'interpretazione geometrica
risolverli con l'aritmetica in numeri. Così sembra
futile sottoporsi alla fatica: di cercare di scoprire una sfera reale, a cui la cometa sarebbe unita, in modo che
ruoterebbero insieme. Quei filosofi moderni sono d'accordo con la credenza quasi universale dell'antichità
che sostiene come cosa certa e irrefutabile che i cieli sono divisi in diverse sfere di materia dura e
impenetrabile, ad alcune delle quali sono uniti gli astri, così che ruotano con loro. Ma se anche non ci fosse
altra prova, le stesse comete convincerebbero con la massima chiarezza che quest'opinione non
corrisponde alla verità. Poiché già molte volte le comete sono state osservate, come risulta dalle
osservazioni e dimostrazioni più certe, completare il loro corso nel più alto etere ; né si può in alcun modo
provare che esse sono condotte circolarmente da alcuna sfera. (...) È probabile che le comete, proprio come
non hanno corpi così perfetti e fatti per durare eternamente al pari delle altre stelle che sono vecchie quanto
la creazione del mondo, così pure non conservino un corso eguale assoluto e costante nella loro rivoluzione
; è come se esse imitassero in certa misura la regolarità uniforme dei pianeti, ma non la seguissero
completamente. Perciò la rivoluzione di questa nostra cometa intorno al Sole non sarà in tutti i punti
squisitamente circolare, ma in certo modo oblunga, come nella figura comunemente detta ovoide ; oppure,
procede secondo un percorso perfettamente circolare, ma con un moto all'inizio più lento, e poi
gradualmente aumentato.”
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Jacopo Filippo Vignola
37
Cosmologia
5.7
l’Infinità dell’Universo
Il secondo momento della rivoluzione astronomica, il più radicale, avviene con “l‟apertura” dell‟universo: dal
mondo chiuso di Copernico, al cosmo infinito di Bruno.
Come sappiamo, l'idea della pluralità dei mondi e dell'infinità del Tutto ebbe origine presso i Greci. In
particolare, essa era stata propugnata da Democrito e difesa appassionatamente da Lucrezio, nel suo
capolavoro poetico-filosofico De Rerum Natura. Ma le concezioni infinitistiche degli atomisti erano state
respinte dalla corrente “ufficiale” della scienza greca, che aveva accettato il modello aristotelico di un mondo
finito. Nel Medioevo, il rigetto totale dell'atomismo e la sua assimilazione a “filone eretico” della cultura aveva
decretato la definitiva sconfitta di ogni immagine astronomica alternativa a quella sanzionata dalla Chiesa. I
primi dubbi intorno alla cosmologia finitistica greco-cristiana si possono ritrovare, come ha messo in luce la
critica novecentesca, nell'ultima Scolastica e nell'occamismo.
Ma il pensatore in cui, a cominciare dagli stessi Bruno, Keplero e Descartes, si è tradizionalmente
individuata la prima affermazione dell'infinità del mondo è Cusano. Tale interpretazione, alla luce degli studi
più recenti, non sembra essere completamente esatta, in quanto Cusano, pur negando che l'universo sia
finito e racchiuso tra le mura delle sfere celesti, non ne afferma la positiva infinità. A ben vedere, il suo
universo, più che infinito – attributo che egli riconosce solo a Dio – è “interminato” (interminatum). Di
conseguenza, come nota Koyré (La Rivoluzione astronomica, Feltrinelli, 1966), “il suo mondo non è più il
cosmo medioevale ma non è ancora affatto l'universo infinito dei moderni”. Altri due studiosi cui si è attribuita
la tesi dell'infinità e dell'apertura dell'universo sono Stellato Palingenio e Thomas Digges, due studiosi del
Cinquecento. Tuttavia, anche qui, l'attribuzione è dubbia. Infatti, pur negando in generale la finitezza della
creazione di Dio, Palingenio afferma la finitezza del mondo materiale chiuso e circondato dalle sfere celesti.
Perciò, come osserva conclusivamente Koyré, “E‟ il cielo di Dio, e non il suo mondo, che Palingenio afferma
essere infinito” (op. cit., p. 28). L'inglese Digges sostituisce il diagramma copernicano del mondo con un
altro, nel quale le stelle sono disposte sull'intera pagina, sia sopra che sotto la linea con la quale Copernico
rappresenta la ultima sphaera mundi. Ma poiché egli considera l'orbe delle stelle fisse come la “Corte
dell'immenso Iddio”, il suo extra-cosmo, più che un cielo astronomico, sembra avere le caratteristiche di un
firmamento teologico (come già avveniva in Palingenio). I casi di questi due autori, se da un lato mostrano
come i tempi fossero ormai maturi per una svolta, dall'altro lato rivelano il tentennamento degli intelletti di
fronte all'esplicita affermazione dell'apertura e infinità del mondo.
In realtà, come scrive Lovejoy (La grande catena dell‟essere, Feltrinelli, 1966), per quanto gli elementi della
nuova cosmografia potessero aver già posto le loro radici in talune menti, è soltanto “Giordano Bruno che
deve considerarsi come il rappresentante principale della dottrina di un universo decentrato, infinito ed
infinitamente popolato poiché non solo egli predicò questa dottrina per l'Occidente d'Europa col fervore di un
evangelista, ma diede anche per primo una compiuta enunciazione dei motivi grazie ai quali essa sarebbe
stata poi accettata dal grosso pubblico”.
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Jacopo Filippo Vignola
38
Cosmologia
5.8
Giordano Bruno
(Nola, 1548 - Roma, 1600)
Vita e opere
"D'ogni legge nemico e d'ogni fede": durante un gioco di società il
giovane Giordano Bruno ricevette in sorte questo verso dell'Ariosto
come previsione di un'avventura intellettuale che fece della sua vita il
simbolo della critica ad ogni istituzione, della battaglia per la libertà di
pensiero. Narra la leggenda che lo stesso filosofo amasse ricordare
l'evento compiacendosi per la veridicità della profezia.
Giordano Bruno nacque nel 1548 a Nola, in Campania, da una famiglia
di modeste condizioni. Il padre, Giovanni, era un militare di professione
e la madre, Fraulissa Savolino apparteneva ad una famiglia di piccoli
proprietari terrieri. Gli fu imposto il nome di battesimo di Filippo. Compiti
i primi studi nella città natale, da lui molto amata e spesso ricordata
anche nei lavori della maturità, nel 1562 si trasferì a Napoli dove
frequentò gli studi superiori e seguì lezioni private e pubbliche di
dialettica, logica e mnemotecnica presso l'Università. Entrò
giovanissimo nell'ordine dei domenicani (1565) all'interno del quale si distinse subito per la spregiudicatezza
intellettuale, attirando su di sé il sospetto di eresia. Riuscì comunque, nel 1572, a divenire lettore di teologia.
Nello stesso periodo, andava approfondendo i suoi studi di filosofia e religione: dopo essere divenuto un
profondo conoscitore dell'aristotelismo scolastico, si rivolse a quello "scientifico" dei grandi commentari
arabi, soprattutto quelli di Averroé, che lo avevano lasciato del tutto insoddisfatto. Ne nacque una profonda
avversione per l'aristotelismo tutto, che, sul versante teologico, lo spinse a studiare i testi, allora proibiti, di
Erasmo da Rotterdam e, su quello naturalistico, ad avvicinarsi alle tesi neoplatoniche di Marsilio Ficino. Il
suo rapporto con la religione era stato sin dall'inizio contrastato: insofferente alla crescente somma di miti e
superstizioni che contaminavano la fede cristiana, egli vagheggiò a lungo un ritorno alla purezza del
messaggio evangelico. Si dice che nella sua cella avesse eliminato ogni immagine di santi, ammettendo solo
la presenza di un crocifisso. Fu proprio questo suo atteggiamento a procurargli un processo per eresia,
probabilmente causato dalla denuncia di un confratello, preoccupato per le letture tutt'altro che ortodosse del
frate nolano: gli scritti del sensista Bernardino Telesio, quelli del mago Paracelso, i testi ermetici e quelli,
ancor più empi, del materialista Lucrezio. Temendo per al gravità delle accuse, Bruno lasciò il convento:
fuggì prima a Roma e in altre città italiane, poi all'estero. Ginevra, Parigi, Oxford, Londra, Praga, Francoforte,
Zurigo, lo accolsero nelle proprie università, nelle quali le lezioni infiammate di Bruno provocano aspre
critiche e accesi entusiasmi. Dopo aver pubblicato i suoi testi in latino - rivolti esclusivamente ai dotti - e i non
meno importanti dialoghi italiani, Bruno, su invito del patrizio veneziano Mocenigo, si recò a Venezia, dove fu
prontamente arrestato dall'Inquisizione e inviato in carcere a Roma (1592). Di fronte al tribunale che istituì il
celebre processo, difese appassionatamente la libertà del suo pensiero rispetto ad ogni verità rivelata.
Affermò di non essersi mai espresso come teologo, ma "fondandomi solamente nelle raggioni filosofiche".
Rifiutata sdegnosamente la richiesta di abiura, "stette nella sua maledetta ostinazione" sino al rogo,
consumato in Piazza Campo de' Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600, di fronte ad una folla che lo vide "morire
martire e volentieri".
Fra le opere più significative di Giordano Bruno ricordiamo "Le ombre delle idee" (1582), nella quale viene
affermata l'assoluta corrispondenza tra le strutture del mondo sensibile e quelle del pensiero; i dialoghi
italiani - "Della causa, principio et uno", "De l'infinito, universo e mondi", "Cena de le ceneri" - detti
"metafisici" perché hanno per oggetto i principi che stanno alla base di tutte le conoscenze; i dialoghi morali "Lo spaccio della bestia trionfante" (1584), "De gli eroici furori" (1585) - in cui Bruno contrappone alle
religioni positive una sorta di religione della natura che vede nell' universo una manifestazione divina.
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Jacopo Filippo Vignola
39
Cosmologia
Astronomia e filosofia in Bruno
Riprendendo Lucrezio (il cui manoscritto De Rerum Natura, scoperto nel 1417, aveva contribuito a diffondere
le idee dell'atomismo antico) e forzando in maniera creativa Cusano, Bruno giunge ad una nuova visione
dell'universo, che, si badi bene. non deriva da osservazioni astronomiche o calcoli matematici, in cui il
filosofo fu poco versato e tecnicamente poco competente, bensì da una intuizione di fondo del suo pensiero
– quella circa l'infinità dell'universo – alimentata dal copernicanesimo. L'idea che l'astronomo polacco fa
balenare dinnanzi alla fervida immaginazione di Bruno, dando corpo alla sua preesistente intuizione
dell'infinito, è la seguente: Se la terra è un pianeta che gira attorno al sole, le stelle che si vedono nelle notti
serene 'e che gli antichi immaginarono attaccate all'ultima parete del mondo, non potrebbero essere tutte, o
almeno in gran parte, immobili soli circondati dai rispettivi pianeti? Per cui l'universo, anziché essere
composto da un sistema unico, il nostro, non potrebbe ospitare in sé un numero illimitato di stelle-soli,
disseminate nei vasti spazi del firmamento e centri di rispettivi mondi? Di fronte a questi interrogativi Bruno,
pur ammettendo che “non è chi l'abbia osservato” (De l'infinito universo et mondi), conclude razionalmente
che “Sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che similmente circuiscono quei soli, come veggiamo
questi sette circuire questo sole a noi vicino” (ivi). Tuttavia questa convinzione, sebbene tragga la sua forza
dal copernicanesimo, di cui il filosofo vuole sprigionare tutta la portata rivoluzionaria, viene immediatamente
trasportata dal piano astronomico a quello metafisico. Infatti, nella mente vulcanica di Bruno immaginazione,
astronomia e filosofia formano un tutt'uno, da cui scaturisce la medesima conclusione dell'infinità
dell'universo, che viene dedotta dal principio teologico, già presente nell'ultima Scolastica, secondo cui il
mondo, avendo la sua causa in un Essere infinito, deve per forza essere infinito. In altre parole, la creazione,
per essere perfetta e degna del Creatore, dev'essere, essa stessa, infinita e straripante di vita. Da questa
asserzione-chiave Bruno deriva il nuovo quadro dell'universo.
Le tesi cosmologiche rivoluzionarie
Possiamo sintetizzare le tesi di Bruno sull‟infinità e la composizione dell‟universo in cinque punti:
1) Abbattimento delle mura esterne dell’universo; ovvero la distruzione dell‟idea secolare dei “confini” del
mondo, cui lo stesso Copernico era rimasto fedele, parlando dell‟ “ultima sphaera mundi”. Gli uomini,
vivendo in città cintate, hanno immaginato anche il cosmo cintato. Bruno, con l‟entusiasmo del prigioniero
che vede cadere le pareti del suo carcere, grida che le fantastiche muraglie celesti non esistono, poiché
l‟universo è aperto in ogni direzione, e le stelle sono disperse in uno spazio senza fine.
2) Pluralità dei mondi e loro abitabilità; ossia il concetto di una pluralità illimitata di sistemi solari, che
Bruno ritiene popolati da creature viventi, senzienti e razionali. Sono abitati tanto i pianeti del nostro mondo,
quanto le costellazioni più lontane o gli abissi più remoti dell‟universo. Anzi, nel terzo dialogo del “De l‟infinito
universo et mundi”, afferma che alcuni di questi mondi sono certamente più belli del nostro e con abitanti di
gran lunga migliori della razza terrestre. Il presupposto teologico-filosofico che persuade Bruno circa la
verità delle sue tesi è sempre lo stesso: “Così si magnifica l‟eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza
dell‟imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli: non in una terra, un mondo, ma in
duecentomila, dico in infiniti” (ivi, epistola dedicatoria)
3) Unificazione del cosmo; ovvero il superamento del dualismo astronomico tolemaico (mondo sopralunare
e sublunare), con l‟unificazione del cosmo in una sola, immensa regione. Bruno dice infatti che Tolomeo si
sbaglia nell‟affermare l‟esistenza di una parte più nobile del cosmo e di una meno nobile, poiché procedendo
tutto dall‟unica mente e dall‟unica volontà di Dio, resta preclusa ogni discriminazione gerarchica fra le varie
zone del creato.
4) Geometrizzazione dello spazio cosmico; si considera lo spazio come qualcosa di unico ed omogeneo,
simile a sé stesso in tutte le sue parti. “Uno è il loco generale, uno il spacio immenso che chiamar possiamo
liberamente vacuo”. Bruno accetta la disposizione dei pianeti di Copernico, ma la fissa all‟interno del vuoto
infinito di Democrito e Lucrezio, un immenso contenitore di etere, che alloggia le cose. Si passa così dallo
spazio finito e gerarchico di Aristotele, allo spazio infinito ed omogeneo di Euclide. Se infinito, l‟universo è
anche acentrico, poiché in esso non esiste alcun punto assoluto di riferimento, essendo i riferimenti sempre
relativi tra astro e astro. "Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito,
il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto centro, o che il centro de
l'universo è per tutto; e che la circonferenza non è in parte alcuna, per quanto è differente dal centro; o pur
che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella." (De l‟infinito
universo et mundi)
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
5) Infinità dell’universo; idea prediletta di Bruno, quella che lo infiamma di un‟ebbrezza filosofica che lo
riempie d‟entusiasmo e di passione, portandolo a ritenere l‟universo un Senza-limiti dai caratteri divini:
infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme…
"Io dico l'universo tutto infinito, perché non ha margine, termine, né superficie. Dico l'universo non essere
totalmente infinito, perché ciascuna parte che di quello possiamo prendere è finita, e de' mondi innumerabili
che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da se esclude ogni termine, ed ogni suo
attributo è uno e infinito. E dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua
parte infinitamente e totalmente." (De l‟infinito universo et mundi)
“La terza mostra il modo della consistenza di corpi mondani; e dechiara essere infinita la mole de l'universo,
e che invano si cerca il centro o la circonferenza del mondo universale, come fusse un de' corpi particulari.”
(La Cena de le ceneri, terzo dialogo)
“Non è ragione alcuna, che, senza un certo fine ed occasione urgente, gli astri innumerabili, che son tanti
mondi, anco maggiori che questo, abbino sì violenta relazione a questo unico. Non è raggione, che ne faccia
dir più tosto trepidar il polo, nutar l'asse del mondo, cespitar gli cardini de l'universo, e sì innumerabili, più
grandi e più magnifici globi, ch'esser possono, scuotersi, svoltarsi, ritorcersi, rappezzarsi, e, al dispetto de la
natura, squartarsi in tanto, che la terra cossì malamente, come possono dimostrare i sottili optici e geometri,
venghi ad ottener il mezzo, come quel corpo che solo è grave e freddo; il qual però non si può provar
dissimile a qualsivoglia altro, che riluce nel firmamento, tanto nella sustanza e materia, quanto nel modo
della situazione: perché, se questo corpo può esser vagheggiato da questo aria, nel quale è fisso, e quelli
possono parimente esser vagheggiati da quello, che le circonda; se quelli da per se stessi, come da propria
anima e natura possono, dividendo l'aria, circuire qualche mezzo, e questo niente meno…” (La Cena de le
ceneri, quinto dialogo)
Dal “De immenso et innumerabilibus”
“lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina”
Dal “De l’infinito, universo et mundi”
“lunga citazione, vedere versione interattiva della tesina”
La “fredda” accoglienza delle tesi bruniane
Bruno, partendo da intuizioni extrascientifiche, è approdato a risultati rivoluzionari, proiettati verso la scienza
del futuro. Spetterà ai nuovi scienziati, dimostrare con la sperimentazione, la veridicità delle tesi bruniane.
Ma se oggi possiamo apprezzare la concezione di Bruno per la sua “ispirata poesia”, ai suoi tempi apparve
soltanto come il frutto di una mente esaltata. Anche i più grandi astronomi del tempo (Brahe, Keplero e
Galileo) respinsero in parte o totalmente la pluralità dei mondi e l‟infinità dell‟universo, sia perché non erano
state formulate seguendo un metodo scientifico, sia perché risultavano troppo rivoluzionarie. Keplero, ad
esempio, negava la molteplicità dei mondi, ritenendo l‟universo qualcosa di unico e provvidenzialisticamente
creato per l‟uomo ed i suoi bisogni. Galileo invece preferì non entrare proprio nella discussione, per non
rendere più difficile la sua battaglia contro gli aristotelici.
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Cosmologia
5.9
Conseguenze
La crisi profonda che Copernico prima e Bruno poi hanno fatto esplodere nel campo della visione generale
del mondo può essere significativamente rappresentata dalle parole che l'astronomo polacco, in un dialogo
di Giacomo Leopardi, intitolato Il Copernico (1827), rivolge al sole: “Voglio dire in sostanza, che il fatto nostro
non sarà così semplicemente materiale, come pare a prima vista debba essere; e che gli effetti suoi non
apparterranno alla fisica solamente: perché esso sconvolgerà i gradi della dignità delle cose, e l'ordine degli
enti; scambierà i fini delle creature; e pertanto farà un grandissimo sconvolgimento anche nella metafisica,
anzi in tutto quello che tocca alla parte speculativa del sapere. E ne risulterà che gli uomini, se pur sapranno
o vorranno discorrere sanamente, si troveranno essere tutt'altra roba da quello che son stati fin qui, o che si
hanno immaginato di essere”.
5.9.1
La replica religiosa
Copernico e Bruno avevano esplicitamente negato il geocentrismo, dando numerose possibilità ai loro
avversari di appellarsi alle Sacre Scritture. “Una generazione và e una generazione viene / eppure la Terra
rimane sempre al suo posto” (Ecclesiaste, I, 4-5). “Fermati, o Sole, su Gabaon e tu, Luna, sulla valle di
Aialon” (Giosuè, X, 12). “Sulle sue basi fondasti la terra, / e starà immota negli evi degli evi” (Salmi, 104).
In generale venivano contraddette palesemente quell‟insieme di credenze astronomiche che Dante aveva
reso famigliari con la Divina Commedia. La reazione dei religiosi protestanti fu immediata, attraverso le
parole di Lutero (vedi § 5.4) e di Melantone. La reazione dei cattolici invece, fu all‟inizio assente. Forse
perché la Chiesa aveva problemi più gravi nel fermare il dilagare dell‟eresia protestante, o forse perché non
si era resa conto, in un primo momento, della pericolosità delle nuove teorie. Soltanto con Bruno, la Chiesa
riconoscerà il carattere rivoluzionario del suo pensiero, mettendo al rogo il suo autore e processando il
collega Galilei.
In particolare, la teoria di una pluralità di mondi abitati tendeva a suscitare delle difficoltà in relazione al
principale tra tutti i dogmi: l'Incarnazione. Infatti se “l'intero commovente dramma dell'Incarnazione e
Redenzione sembrava evidentemente presupporre un solo mondo abitato” (Lovejoy) come doveva essere
interpretato, adesso, tale dogma? Si doveva forse presupporre, come si chiederà più tardi Thomas Paine,
che “ogni mondo nella creazione infinita, avesse un'Eva, una mela, un serpente e/un Redentore?” (L'età
della Ragione, 1794).
La seconda persona della Trinità si era dunque incarnata di volta in volta su infiniti pianeti? Oppure gli
ipotetici abitatori di altre plaghe dell'universo non avevano avuto bisogno di redenzione? Ma allora come
poteva il loro cristianesimo coincidere con il nostro? Vi erano dunque tanti cristianesimi quanti i mondi? E
inoltre non si era sempre detto, Bibbia alla mano, che i cieli sono stati fatti per l'uomo? Quindi se l'ipotesi
della molteplicità e abitabilità dei mondi era esatta, alcune verità bibliche dovevano per forza essere
abbandonate o essere interpretate in altro modo.
Ma non si era sempre proclamato, e non era stato solennemente ribadito da parte del Concilio di Trento, che
la “parola di Dio”, depositata nelle Scritture, aveva un unico, preciso e immutabile significato? Questa serie
di interrogativi, od altri analoghi, che lo storico moderno è portato talora a trascurare, possedevano in realtà,
nell'Europa cristiana del tempo, una forte valenza emotiva ed intellettuale, che spiegano resistenze e
reazioni del mondo religioso contro i propugnatori di una visione cosmologica che aveva oggettivamente i
tratti dell‟eresia e di cui il bruciato vivo Giordano Bruno era il demoniaco emblema.
5.9.2
Il rapporto Uomo – Universo
Il copernicanesimo (includendo in questo termine anche le generalizzazioni bruniane) rappresentava
dunque, e in modo radicale, ciò che è stata definita l'esperienza della diversità, poiché tramite essa l'uomo,
analogamente a quanto era accaduto per le scoperte geografiche, veniva a contatto con una realtà diversa
ed imprevista con cui doveva fare i conti, ma che non sapeva facilmente inquadrare e ridurre a qualcosa di
già noto. Come l'esistenza di un nuovo continente e l'incontro con altre civiltà o culture aveva disorientato
l'umanità europea, che si era trovata di fronte a tutta una serie di problemi teologici e filosofici relativi ai
selvaggi, così, a maggior ragione, di fronte alla perdita del loro tradizionale posto nell'universo, gli individui si
sentirono spaesati e diversi di fronte a loro stessi, scoprendo di essere, dice Leopardi, “tutt'altra roba” da
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Cosmologia
quello che avevano immaginato di rappresentare nel cosmo. Da ciò il trauma del nuovo e la caduta di
certezze che investì, sia pure a diversi livelli di intensità, non solo la religione e la filosofia, ma anche la
letteratura e la mentalità comune. Tipica, in questo senso, è la voce del poeta inglese Donne (1573-1631),
che nella sua Anatomia del mondo (1611) scrive:
... la nuova filosofia pone tutto in dubbio
L'elemento del fuoco è affatto spento;
Si sono persi il sole e la terra, né ingegno d'uomo
Può bene indirizzare a dove cercarli E allorché gli uomini cercano tanti nuovi mondi tra i pianeti e nel firmamento
Confessano liberamente che questo mondo è finito;
S'accorgono allora che questo s'è di nuovo polverizzato nei suoi atomi
Tutto è in pezzi, ogni coerenza se n'è andata,
Ogni giusto supporto e ogni relazione».
Una lunga tradizione ha schematizzato il nuovo stato d'animo formatosi in seguito alla Rivoluzione
astronomica con la nota tesi secondo cui il sistema tolemaico esaltava l'uomo, mentre quello copernicano lo
umiliava. Ma se ciò fosse totalmente vero, non si spiegherebbe l'ebbrezza di Bruno nell'annunciare la nuova
cosmologia. In verità la cosmografia geocentrica conteneva sia aspetti atti ad innalzare l'uomo, sia aspetti
atti ad abbassarlo. Infatti quando si dice che il geocentrismo celebrava l'uomo, si dimentica che stare al
centro del mondo, soprattutto per la mentalità medioevale, non era affatto, da un certo punto di vista, un
motivo di onore. La terra era infatti la zona più lontana dall'Empireo e costituiva il fondo della creazione,
tant'è vero che il sistema geocentrico, a voler essere precisi, era piuttosto “diabolocentrico”, cioè avente nel
suo centro spaziale l'Inferno. Ed è in questo senso che Montaigne, esprimendo il punto di vista della vecchia
astronomia, definiva la terra “lordura e melma del mondo” e Voltaire, ironico e frizzante come al solito, “la
toilette dell'universo”.
Queste puntualizzazioni non comportano tuttavia l'affrettata conclusione che la vecchia cosmologia servisse
piuttosto a deprimere l'uomo, anziché ad inorgoglirlo. Infatti nell'astronomia pre-copernicana, soprattutto in
quella medioevale, vi erano pur sempre altri elementi che potevano dare all'uomo un elevato senso della sua
importanza nel cosmo. La Bibbia sosteneva ad esempio che i cieli erano stati creati per la terra e la terra per
l'uomo (= finalismo antropocentrico). Sede dell'unico abitante razionale dell'universo, la terra era anche al
centro degli avvenimenti più importanti del creato “al punto che una sola naturale follia d'una coppia ingenua,
in Mesopotamia, poteva aver costretto con le sue conseguenze una delle persone della divinità ad assumere
corpo umano e a morire sulla terra per la salvezza dell'uomo” (Lovejoy). Ora, se la distruzione del dualismo
astronomico tolemaico e delle muraglie cosmiche poteva suggerire la promozione della terra a nobile astro
dei cieli (Cusano e Bruno), giustificando l'euforia e i furori del filosofo di Nola, l'idea della molteplicità dei
mondi e dell'infinità dell'universo poteva proporre l'immagine della terra come di un punto insignificante
perduto nell'immensità del Tutto.
Da questo punto di vista la voce più eloquente ed esistenzialmente significativa rimane quella di Pascal, che
nei suoi Pensieri riesce a comunicare tutto il senso di angoscia, mistero, solitudine e piccolezza provato da
certi intelletti di fronte all'idea di un universo infinito: “Vedo quegli spaventosi spazi dell'universo che mi
rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di quest'immensa distesa, senza sapere perché sono
collocato qui piuttosto che altrove... L'uomo, ritornato a sé, consideri quel che' è in confronto a quel che
esiste. Si veda come sperduto in questo remoto angolo della natura; e da quest'angusta prigione dove si
trova, intendo dire l'universo, impari a stimare al giusto valore la terra, i reami, le città e se stesso. Che cos'è
un uomo nell'infinito?”. Del resto, già Keplero, parlando dell'infinito, aveva scritto che “... questo solo
pensiero porta seco non so qual occulto orrore” (La nuova stella, 1606).
5.9.3
Dal rifiuto all’accettazione
L'interpretazione religiosa del copernicanesimo
Eppure, nonostante reazioni e scossoni vari, la nuova cosmologia finì per affermarsi, tant'è vero che dalla
fine del Seicento divenne quasi “di moda”. Ciò non accadde certo grazie alla scienza, che per lungo tempo
non possedette adeguati strumenti di verifica del nuovo quadro cosmologico. Per uno dei tanti paradossi di
cui è piena la storia, quella visione, che aveva suscitato odio e disprezzo per Bruno, finì per affermarsi
proprio grazie agli argomenti teologici già delineati dal Nolano. Infatti, l'angoscia cosmica e le difficoltà
religiose furono superate in virtù dell'idea secondo cui un universo infinito risultava più “adatto” a
rispecchiare l'infinita potenza di Dio. Se i cieli e la terra narrano la gloria del loro Creatore, che cosa meglio
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Cosmologia
di un cosmo infinito si prestava a celebrarla e magnificarla in tutta la sua grandezza? Tramite l'opera di
filosofi, scrittori e poeti tale convinzione finì per radicarsi nella mentalità comune e per costituire l'asso
vincente dei fautori della nuova astronomia. Dal filosofo neoplatonico Henry More (1614-1687), convinto
assertore della cosmologia infinitistica, a Bernard Le Bovier de Fontenelle, il cui libro Entretiens sur la
pluralité des mondes (1686) ha forse contribuito più di ogni altro a diffondere il nuovo schema astronomico
presso le persone di media cultura, sino al poeta inglese Edward Young e ai suoi Night Thoughts (Pensieri
notturni, 1745), troviamo continuamente ripetuto, in prosa e in versi, il medesimo concetto: l'immensità del
creato è la più visibile testimonianza dell'Essere infinito che l'ha prodotto. L'eresia bruniana si era dunque
capovolta in convincente ortodossia, spianando la strada, grazie a questo avvenuto recupero teologico delle
tesi cosmografiche rivoluzionarie, al suo completo assorbimento nella cultura ufficiale. Si noti tuttavia come
la Chiesa, nonostante tutto ciò, abbia continuato per circa due secoli a diffidare del copernicanesimo (nel
1757 venne ritirata la condanna contro gli scritti copernicani, nel 1822 venne permessa la stampa dei libri
insegnanti il moto della Terra e nel 1835 venne tolto l'indice al De Revolutionibus). Ciò costituisce un
ulteriore documento del carattere intellettualmente «traumatico» della rivoluzione astronomica moderna.
L'interpretazione non-religiosa del copernicanesimo
Nonostante l'avvenuto recupero religioso ed ottimistico della cosmologia moderna, nel pensiero europeo
troviamo anche un altro filone, indirizzato a vedere nel copernicanesimo un simbolo non addomesticabile
della caduta delle sicurezze metafisiche degli antichi e dei medioevali, ossia come la forma più radicale di
quel disincantamento del mondo che per Weber è tipico dell'uomo moderno. A questo proposito si
potrebbero citare due voci diversissime fra di loro ma a loro modo convergenti: Leopardi e Freud.
Leopardi ha visto nel copernicanesimo una sorta di simbolo astronomico del fatto che la realtà non è
finalisticamente disposta all'uomo, come invece favoleggiarono per lungo tempo gli antichi, che ritenevano
questo granel di sabbia che è la terra, al centro dell'attenzione dei celesti.
“Quando egli (l‟uomo) considerando la pluralità dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo ch‟è minima parte d‟uno degli
infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza” (12 agosto 1823, Zibaldone)
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universa cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
(Leopardi, La Ginestra, vv. 158-201)
In questa strofa, appartenente alla poesia-sintesi del pensiero leopardiano, la voce del poeta ripiega in un
colloquio interiore, suscitato dalla contemplazione del paesaggio e destinato a sfociare in una più profonda
meditazione dell‟infinito. Ma rispetto al dolce smarrimento del “naufragar” del piccolo idillio “L‟infinito”, la
vertigine cosmica trasmessa dall‟immensità dell‟universo accompagna qui una consapevolezza prima di tutto
razionale. Alla ricerca del piacevole “indefinito” è subentrata infatti un‟attitudine più filosofica, per cui la
percezione della propria nullità serve a negare definitivamente l‟antica supposizione della signoria dell‟uomo
sull‟universo.
Freud ha visto nel sistema tolemaico “un'illusione narcisistica”, cioè la proiezione, a livello cosmico,
dell'amore infantile che l'uomo nutre per sé e che le metafisiche hanno contribuito ad alimentare, nel
copernicanesimo, la prima grande umiliazione universale alla nostra specie (la seconda sarebbe quella del
materialismo storico, il quale ha svelato, al di là dei paraventi ideali, i moventi economici della storia; la terza
quella di Darwin, che ha accorciato le distanze fra l'uomo e il mondo animale; la quarta quella della
psicoanalisi stessa, che ha mostrato come l'io dell'uomo non sia affatto il sovrano incontrastato della psiche,
essendo per lo più manovrato da forze emotive ed inconsce).
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Cosmologia
6
L’UNIVERSO GEOMETRICO
"Per più di un secolo, attraverso le Tavole rodolfine, gli astronomi poterono calcolare con sufficiente
esattezza le posizioni della Terra e dei vari pianeti intorno al Sole". (G. Abetti)
"Durante tutta la sua vita egli si riferì alla pertinenza del ruolo che Copernico aveva attribuito al Sole con i
toni entusiastici del neoplatonismo rinascimentale" (Th. S. Kuhn)
"La convinzione di una struttura del mondo matematicamente definibile, che trovava la sua formulazione
teologica nella credenza che nella creazione del mondo Dio fosse guidato da considerazioni matematiche,
l'irremovibile certezza che la semplicità matematica si identifichi con l'armonia e con la bellezza, e infine
l'utilizzazione della sorprendente circostanza che esistono esattamente cinque poliedri che soddisfano le più
alte esigenze di regolarità e che devono pertanto avere necessariamente qualcosa a che fare con la
struttura dell'universo: questi sono tutti sintomi inequivocabili della concezione del mondo pitagoricoplatonica, che appare qui più viva che mai. Era qui lo stile di pensiero del Timeo, che, dopo aver sedato il
dominio dell'aristotelismo attraverso tutto il Medioevo in una tradizione continua, sebbene talvolta invisibile,
prendeva nuovamente piede". (E.J. Dijksterhuis)
6.1
Vita ed opere di Johannes Kepler
(Würtenberg, 1571- Ratisbona, 1630)
Johannes Kepler nacque a Würtenberg il 27 dicembre del 1571, quasi un
secolo dopo Copernico. Da ragazzo, per la sua malferma salute, fu avviato
alla carriera ecclesiastica e nel seminario dell'Università di Tubinga si
appassionò ai problemi astronomici. Si sentì subito attratto dalle teorie
copernicane, che difese appassionatamente in pubbliche dispute. Ciò gli
precluse la possibilità di continuare gli studi ecclesiastici e lo portò ad
accettare, nel 1594, un modesto posto di insegnante di matematica a Graz.
Nel 1596 pubblicò il “Mysterium Cosmographicum”, un'opera giovanile
nella quale dimostrava che le distenze ineguali tra le sei orbite planetarie
potevano essere determinate da cinque poliedri regolari. Quest'opera lo
rese famoso e gli procurò l'amicizia di Tycho Brahe, allora matematico
della corte imperiale di Praga. Nel 1600 Keplero fu espulso dalla Stiria
perché protestante; lasciò Graz stabilendosi a Praga nel gennaio di
quell'anno. Tycho gli offrì un posto come suo assistente, incaricandogli di rifare il calcolo dell'orbita di Marte,
ma l'unione non doveva essere facile per Keplero dal punto di vista umano poiché, come egli stesso nota,
Tycho era un uomo con il quale non si poteva vivere senza esporsi ai più grandi insulti. Dopo la morte di
Tycho (1601) l'imperatore Rodolfo II lo nominò matematico di corte. Sul suo letto di morte Tycho implorò
Keplero di non dimenticare il sistema che egli stesso aveva difeso, secondo cui il Sole gira attorno alla Terra
e tutti gli altri pianeti si muovono attorno al Sole. Keplero promise che non lo avrebbe dimenticato e,
sebbene fosse consapevole che tale sistema era di poco diverso da quello Copernicano, nei lavori
successivi tenne fede a questa promessa.
Senza il prezioso frutto delle osservazioni di Tycho, Keplero molto difficilmente avrebbe potuto determinare
la vera natura delle orbite planetarie. Keplero arrivò a maturare l'ipotesi che le orbite potessero non essere
circolari come si era sempre creduto. Enunciò quindi la sua prima legge che descrive la forma ellittica
dell'orbita dei pianeti e poté elaborare la seconda legge che descrive le velocità del pianeta lungo la sua
orbita ellittica. I risultati di questi studi, pubblicati nel 1609 (De motibus stellae Martis) furono poi estesi a tutti
gli altri pianeti (Epitome astronomiae copernicanae). Alla morte dell'imperatore Rodolfo II (1612), Keplero
insegnò matematica a Linz fino al 1626. In questo periodo, entusiasmato dalla scoperta del telescopio, si
dedicò allo studio dell'ottica esponendo fra le altre cose, nella sua opera Dioptrica, il processo visivo
dell'occhio e il fenomeno della rifrazione nell'atmosfera. Sempre in questo periodo (1618) pubblicò la sua
opera preferita: Harmonices mundi, nella quale, oltre ad esporre la sua terza legge, metteva in relazione le
leggi armoniche dei suoni con i movimenti dei pianeti. Nel 1626 fu costretto a lasciare l'Austria a causa delle
persecuzioni contro i protestanti. Visse a Ulma, a Sagan e infine a Ratisbona, conducendo una vita difficile,
piena di amarezze e di dolori. Nel 1627 pubblicò le Tabulae Rudolphinae, le nuove tavole fondamentali dei
pianeti basate sul moto ellittico ed eliocentrico. Keplero dedicò l‟opera alla memoria di Tycho Brahe, per
gratitudine al suo "difficile" maestro. Morì nel 1630 a Ratisbona.
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Cosmologia
6.2
Prima soluzione: l’universo poliedrico
Al contrario del suo maestro T. Brahe, Keplero credeva molto nelle teorie di Copernico e al tempo stesso
pensava che la natura fosse ordinata da regole matematiche che lo scienziato ha il compito di scoprire,
un‟idea sostanzialmente platonica e pitagorica. Dato che Keplero credeva nella creazione divina del mondo,
Dio diventa un matematico, che si serve di regole geometriche per porre ordine nel mondo.
D‟altra parte, in accordo con lo spirito del tempo, non rinuncia a considerare i rapporti tra scienza e
astrologia: attraverso i calcoli astrologici cerca negli eventi della sua stessa vita una verifica della teoria
dell‟influsso dei corpi celesti. Perviene così a una prima soluzione (1596), in cui collega le sue riflessioni a
convinzioni che gli vengono dalla tradizione (Pitagora e Copernico).
Al centro del mondo starebbe il Sole, immagine di Dio Padre, dal quale deriverebbe luce, calore e vita. Il
numero dei pianeti e la loro disposizione intorno al Sole obbedirebbero ad una precisa legge di armonia
geometrica. Ci sono cinque solidi regolari possibili, i cosiddetti “corpi platonici” e ci sono solo cinque intervalli
fra i sei pianeti che egli conosce. Secondo i calcoli di Keplero i cinque solidi regolari possono essere collocati
tra le sfere dei pianeti in modo che ciascuno sia inscritto nella stessa sfera a cui era circoscritto il pianeta
prossimo più esterno, secondo lo schema seguente:
Sfera di Saturno
Sfera di Giove
Sfera di Marte
Sfera della Terra
Sfera di Venere
Sfera di Mercurio
Cubo
Tetraedro
Dodecaedro
Icosaedro
Ottaedro
L‟universo poliedrico in una
raffigurazione dello stesso
Keplero (Mysterium
Cosmographicum, 1596)
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Cosmologia
6.3
Seconda soluzione: le orbite ellittiche
Tuttavia Keplero scopre ben presto di essersi sbagliato nel valutare la distanza dei pianeti dal centro della
loro orbita e la struttura unitaria del sistema non può essere conservata. Malgrado il fallimento del suo primo
tentativo, Keplero continua a ricercare la costituzione di un‟astronomia in cui le ipotesi siano sostituite da
principi matematici dimostrabili. Esamina i rapporti tra le distanze dei pianeti e i loro tempi di rivoluzione
intorno al Sole e gli appare chiaro che siccome i pianeti esterni si muovono troppo lentamente, quei tempi
non sono proporzionali alla distanza.
Egli suppone l‟esistenza di un intelletto motore all‟interno del sole che muove tutte le cose intorno a sé, ma
soprattutto le più vicine, indebolendosi invece per le più distanti, a causa del diminuire della sua influenza.
Quindi si dedica allo studio delle coniche. L‟idea delle parabole con due fuochi, uno dei quali all‟infinito, gli
permette di avvicinarsi alla soluzione del problema.
Fin dal 1604 Keplero si interessa alle sezioni coniche, che egli preferisce considerare come distribuite in
cinque specie, tutte appartenenti ad un‟unica famiglia. Keplero formula per le coniche il principio di
continuità. Dalla sezione conica formata da due rette che si intersecano, nella quale i due fuochi coincidono
con il punto di intersezione, si passa gradualmente attraverso un numero infinito di iperbole via via che un
fuoco si allontana sempre di più dall‟altro. Quando un fuoco è infinitamente lontano, non si ha più iperbole a
due rami ma la parabola. Quando il fuoco, continuando a muoversi, passa al di là dell‟infinito e torna ad
avvicinarsi dall‟altra parte, si passa attraverso un numero infinito di ellissi, fino a che, quando i fuochi tornano
a coincidere, si raggiunge il cerchio.
6.4
Le tre leggi
Prima legge (Astronomia nova, 1609)
I pianeti si muovono intorno al Sole in orbite ellittiche e non circolari, aventi il Sole in uno dei fuochi.
Keplero scoprì che, ovunque fosse il pianeta (P) nella sua orbita, si poteva ottenere in ogni momento la sua
distanza dal Sole (F) per mezzo della seguente relazione:
Ora, questa è la relazione per un punto di una ellisse avente il Sole in uno dei due fuochi. Il valore e
rappresenta l'eccentricità dell'orbita cioè il rapporto FO/OL.
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Cosmologia
L’ellisse
L'ellisse è il luogo geometrico dei punti del piano, tali che la
somma delle loro distanze da due punti fissi F' e F'' detti fuochi, è
costante, cioè per qualsiasi punto P che appartiene all'ellisse, la
somma delle lunghezze PF'+PF'' risulta sempre uguale.
KL è l'asse maggiore, RS l'asse minore. O è il centro dell'ellisse.
Se si fissano come assi cartesiani la retta che passa per i fuochi
(asse delle x) e la perpendicolare ad essa che passa per il centro
(asse delle y), l'equazione dell'ellisse è:
dove a e b sono rispettivamente il semiasse maggiore (OL) e il semiasse minore (OR). Inoltre si ha:
2
2
c = √a – b
dove c è la semidistanza focale OF''.
L'eccentricità e di un'ellisse (e=c/a) è un valore minore di 1. Se la semidistanza focale è nulla (c=0), significa
che i semiassi sono uguali (a=b) e quindi si ottiene una circonferenza di raggio r=a=b. Maggiore è
l'eccentricità (e si avvicina a 1) tanto più "schiacciata" apparirà la forma dell'ellisse.
Seconda legge (Astronomia nova, 1609)
Il raggio vettore che congiunge un pianeta con il Sole copre aree uguali in tempi uguali.
La velocità di ciascun pianeta lungo la sua orbita non è uniforme,
ma cambia a seconda della sua posizione: il pianeta sarà più
veloce nei pressi del perielio e più lento nei pressi dell'afelio.
Nella simulazione, le aree rosse rappresentano tratti di orbita
percorsi nello stesso intervallo di tempo e quindi sono uguali.
Terza legge (Epitome astronomiae, 1618)
Il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è lo stesso per tutti
i pianeti.
Dove P1 e P2 sono periodi di rivoluzione di due pianeti e a1 e
a2 sono i semiassi maggiori delle loro orbite.
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Cosmologia
6.5
Il Sole come causa dei movimenti planetari
Misticismo, matematica, astronomia e fisica – scrive il
Dijksterhuis – sono strettamente, anzi inestricabilmente
associati nella mente di Keplero. Nelle Armonie del mondo,
egli parla di una frenesia divina e di un rapimento ineffabile
nella contemplazione delle celesti armonie. E proprio nelle
Armonie del mondo Keplero mostra più che altrove la sua fede
nelle armonie, nell'ordine matematico della natura: e in questa
armonia il Sole svolge un ruolo fondamentale.
Nel quarto capitolo dell'Astronomia nova Keplero descrive il
Sole come il corpo «che appare il solo adatto in virtù della sua
dignità e potenza [a muovere i pianeti nelle loro orbite], e degno di diventare la dimora di Dio stesso, per non
dire il primo motore». E nell'Epitome astronomiae copernicanae leggiamo ancora: «Il sole è il corpo più bello;
è, in qualche modo, l'occhio del mondo. In quanto fonte della luce o lanterna risplendente, adorna, dipinge e
abbellisce gli altri corpi del mondo [...]. Per quanto riguarda il calore, il Sole è il focolare del mondo al quale
si riscaldano i globi nello spazio intermedio [ ... ] . Per quanto riguarda il moto, il Sole è la causa prima del
moto dei pianeti, il primo motore dell'universo, a causa del suo stesso corpo [...]».
C'è in Keplero una metafisica del Sole. I pianeti non si muovono più di moto naturale circolare; essi
percorrono ellissi; e, dunque, da che cosa sono mossi? Ebbene, essi sono mossi da una forza motrice come
quella magnetica, una forza emanata dal Sole. Siamo di fronte ad un'intuizione metafisica riguardante il
mondo fisico, stando alla quale i pianeti percorrono le loro orbite spinti dai raggi di un'anima motrix che
scaturiscono dal Sole. Questi raggi, pensava Keplero, agiscono sul pianeta; ma l'orbita del pianeta è ellittica;
per questo i raggi dell'anima motrix che cadono su un pianeta a distanza doppia dal sole saranno la metà, e
di conseguenza la velocità del pianeta risulterà dimezzata nei confronti della velocità orbitale da esso
posseduta quando è più vicino al Sole. Keplero, insomma, suppose che «vi fosse nel Sole un intelletto
motore capace di muovere tutte le cose intorno a sé, ma soprattutto le più vicine, indebolendosi invece per le
più distanti a motivo dell'attenuarsi della sua influenza, dato che aumentano le distanze». La figura a lato
chiarisce graficamente l'idea di Keplero.
E, dunque, la "fede" neo-platonica a condurre Keplero alla sua seconda legge: egli credeva in una struttura
matematica e semplice dell'universo e che il Sole fosse causa di tutti i fenomeni fisici. E su quest'ultima
convinzione (influenzato anche dalla lettura del De Magnete che il medico inglese William Gilbert (15401603) aveva pubblicato nel 1600) Keplero abbozza appunto una teoria magnetica del sistema planetario.
Egli parla della forza con cui la Terra attrae un corpo, e nell'introduzione all'Astronomia nova parla anche di
una reciproca attrazione. E nelle note al suo Somnium (steso tra il 1620 e il 1630), egli attribuisce le maree
«ai corpi del Sole e della Luna che attraggono le acque del mare con una certa forza simile a quella
magnetica».
Qualcuno ha voluto vedere in queste idee l'anticipazione della teoria gravitazionale di Newton. Con ogni
verosimiglianza, le cose non stanno così. Certo è, però, che la sistemazione matematica del sistema
copernicano e il passaggio dal moto circolare ("naturale" e "perfetto") a quello ellittico, poneva problemi che
Keplero ha avvertito, enucleato e tentato di risolvere. Si tratta di problemi che, insieme ai risultati acquisiti,
Keplero lasciava in eredità alla generazione che seguiva. Keplero scompare nel 1630, Galileo muore agli
inizi del 1642. E in questo stesso anno nasceva a Woolsthorpe, nella contea di Lincoln, in Inghilterra, Isaac
Newton, l'uomo che, raccogliendo i risultati ottenuti da Keplero e Galilei, era destinato a risolvere i problemi
da loro lasciati aperti e a dare così alla fisica quell'assetto che noi conosciamo col nome di "fisica classica".
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Cosmologia
7
DALLA FILOSOFIA ALLA SCIENZA
Vincenzo Viviani, 8 gennaio 1642:
“Con filosofica e cristiana costanza rese l‟anima al suo Creatore, inviandosi
questa, per quanto creder ne giova, a godere e rimirar più d‟appresso
quelle eterne e immutabili meraviglie, che per mezzo di fragile artifizio con
tanta avidità e impazienza ella aveva procurato di avvicinare agl‟occhi di
noi mortali”
7.1
Vita ed opere di Galileo Galilei
(Pisa, 1564 – Firenze, 1642)
1564: Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio da Vincenzo e Giulia Ammannati. Il padre era una personalità eminente come
musicologo e socio della "Camerata de‟ Bardi"
1581: Studia medicina all‟università di Pisa per obbedire al padre, ma la sua maggiore attenzione è rivolta agli studi di matematica e
fisica.
1590: Ottiene la cattedra di matematica presso l‟università di Pisa. Scopre le leggi dell‟isocronismo del pendolo (osservando le
oscillazioni di una lampada conservata nel Duomo della città).
1609: Costruisce, su modello olandese, un cannocchiale con cui inizia a scrutare i moti dei pianeti, scoprendo così i crateri i e le
montagne della Luna.
1610: Scopre i 4 satelliti di Giove che denomina "Pianeti Medicei". Pubblica il "Sidereus Nuncius". Nello stesso anno è nominato
primario matematico e filosofo del granduca Cosimo II.
1615: Lettera di Galilei a Benedetto Castelli (suo allievo e successore sulla cattedra di matematica a Pisa) dove Galilei, non tanto si
difende personalmente dagli attacchi dei gesuiti del Collegio Romano, quanto afferma vigorosamente l‟indipendenza della Scienza
dalla Fede. Egli proclama il massimo rispetto per l‟autorità religiosa delle Sacre Scritture, ma respinge energicamente ogni
confusione fra ciò che è di materia di Fede e quello che è verità scientifica, prodotto di Ragione. Tale lettera, di cui copia autenticata
giunge al S.Uffizio, gli procura una denuncia per eresia.
1616 febbraio 23: Il S. Uffizio condanna la teoria copernicana. Il cardinale Bellarmino ingiunge a Galilei di non professare né
pubblicamente né privatamente tale dottrina.
1623: Esce il "Saggiatore", in cui Galilei polemizza col gesuita Orazio Grassi sull‟origine delle comete (le tesi del Grassi risultarono
più prossime al veri di quelle di Galilei). Nello stesso anno viene eletto al soglio pontificio Maffeo Barberini, papa Urbano VIII, da cui
Galilei si attende tolleranza per le teorie copernicane, riprende così a sostenere il copernicanesimo.
1632: Scrive il "Dialogo dei massimi sistemi", dove delinea i principi aristotelici del METODO SPERIMENTALE.
1633: Processo e condanna del S. Uffizio. Viene portato davanti agli strumenti di tortura, ma non sottoposto a tormenti. Decide di
ritrattare le sue idee. Viene confinato ad Arcetri dove continua studi e ricerche.
1642: Muore ad Arcetri
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564 da Giulia Ammannati e Vincenzio Galilei, entrambi
appartenenti alla media borghesia.
Vincenzio, nato a Firenze nel 1520, ex liutista ed ex insegnante di musica, in passato era entrato in conflitto
con la tradizione classica che attribuiva la consonanza tra tutti i suoni al controllo delle proporzioni
numeriche ed aveva proposto idee proprie al riguardo.
Era quindi ferrato in matematica, ma, intuendo le difficoltà pratiche che la professione di matematico
presentava, spinse il figlio a studiare medicina proprio come un loro avo, quel Galileo Bonaiuti che nel XV
secolo si era distinto nell'esercizio dell'arte medica ed in onore del quale un ramo della famiglia aveva preso
il nome di Galilei. Galileo compì i primi studi di retorica, grammatica e logica nel monastero camaldolese di
Vallombrosa ed entrò a far parte dell'ordine come novizio.
La decisione non poté che contrariare Vincenzio, il quale, nutrendo appunto ben altri progetti per il figlio, lo
fece tornare a Pisa e lo fece iscrivere a Medicina. I corsi della facoltà vertevano su Galeno e sui libri di
scienza naturale di Aristotele, che costituirono i principali oggetti di critica da parte del giovane Galileo,
sempre più attratto dalla matematica e dalla filosofia e sempre meno produttivo in veste di studente di
medicina. Nel 1583 vi fu il suo incontro con Ostilio Ricci, un matematico probabile allievo di Tartaglia. Ricci
era aggregato alla corte di Toscana e teneva le sue lezioni in volgare, come in volgare era scritto il testo di
Euclide su cui basava i suoi corsi.
Si trattava infatti della traduzione che ne aveva fatta lo stesso Niccolò Tartaglia, il quale, a differenza delle
versioni latine, aveva chiarito la discrepanza esistente tra la teoria delle proporzioni di Eudosso e quella
dell'aritmetica medievale, un chiarimento che si rivelò fondamentale per la formazione di Galileo. Le sue
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Cosmologia
prime indagini nel campo della fisica lo portarono, tra l'83 e l'86, a determinare il peso specifico dei corpi
tramite un congegno chiamato 'bilancetta', simile ad un utensile già in uso presso i mercanti orafi. Nell'88
diede anche una prova della propria erudizione letteraria con delle lezioni su Dante tenute presso
l'Accademia fiorentina.
Nell'89, nonostante non si fosse laureato, grazie alla stima ed alla fama che si era guadagnato presso certe
frange del mondo accademico ottenne la cattedra di Matematica all'Università di Pisa, un lavoro che gli
assicurò l'indipendenza economica dal padre. A Pisa Galileo rimase 3 anni, durante i quali scoprì la legge di
caduta dei gravi. Ma il periodo più sereno e fruttuoso della sua vita lo passò come insegnante di matematica
presso l'Università di Padova, dove si trasferì nel 1592 e dove rimase per 18 anni. Qui continuò i suoi studi di
meccanica e di astronomia, nell'ambito della quale abbracciò la teoria copernicana.
Dal 1609 cominciò a perfezionare ed usare il cannocchiale come strumento per le osservazioni
astronomiche. Il cannocchiale non era un'invenzione di Galileo (artigiani olandesi e italiani ne avevano già
approntati diversi tipi) ma i miglioramenti che lo scienziato vi apportò inaugurarono l'epoca delle grandi
scoperte astronomiche, di cui lo stesso Galilei diede annuncio nel Sidereus Nuncius (Ragguaglio
astronomico) del 1610. I 4 maggiori satelliti di Giove, le montagne ed i crateri della Luna, le macchie solari,
furono fenomeni fino ad allora sconosciuti che destarono meraviglia ed ammirazione tanto nel mondo
accademico (Keplero riconobbe e confermò l'importanza delle scoperte di Galilei), quanto in certo ambiente
politico (Cosimo dé Medici lo nominò matematico dello studio di Pisa), ma anche ostruzionismo ed astio da
parte delle gerarchie ecclesiastiche (in particolare del cardinale Bellarmino) e degli aristotelici.
Nel 1616 il Sant'Uffizio mise all'indice sia la cosmologia copernicana, sia le opere di Galileo, il quale venne
convocato a Roma per giustificare le sue opinioni. Qui il suo tentativo di difendere le concezioni
astronomiche copernicane (e le proprie) in quanto inoffensive nei confronti della Bibbia, venne respinto e lo
scienziato fu intimato a non professarle più. Galileo continuò tuttavia ad approfondire ed ampliare i suoi studi
e, nel 1623, compose in volgare il Saggiatore, nel quale polemizzava con il padre gesuita Orazio Grassi
riguardo alla natura delle comete e a problemi di ordine metodologico. Sempre nel '23 salì al soglio pontificio
Urbano VIII, un Barberini che si era dimostrato disponibile nei suoi confronti, tanto che proprio all'ex
cardinale, spirito illuminato ed aperto ai discorsi scientifici, Galileo aveva dedicato il Saggiatore.
Nel 1632 pubblicò il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, un testo fondamentale per la scienza
moderna in cui Galileo, sotto un'apparente neutralità, dava risalto all'astronomia copernicana a discapito di
quella tolemaica. A causa dell'influenza di alcuni padri gesuiti, Urbano VIII ebbe allora un'involuzione e, nel
1633, Galileo venne processato e condannato al carcere a vita dal Sant'Uffizio, una pena da cui poté
salvarsi solo abiurando le sue teorie. Il carcere a vita fu così commutato in isolamento, che Galileo scontò
prima nel palazzo dell'Arcivescovado di Siena e poi nella sua villa di Arcetri.
Morì a Firenze l'8 gennaio 1642, circondato da pochi allievi e nella quasi totale cecità. Galileo Galilei è stato
formalmente assolto dall'accusa di eresia solo nel 1992, trecentocinquanta anni dopo la sua morte.
7.2
Scoperte tecnologiche
Bilancia idrostatica
Un tempo, i metalli preziosi venivano pesati sia in aria che
immergendoli in acqua, per determinarne la gravità
specifica (cioè il peso relativo ad un pari volume di acqua.
All'età' di 22 anni, Galileo scrisse un piccolo trattato nel
quale proponeva un metodo per rendere più precisa e
quantitativa la misura, progettando un dispositivo detto
bilancetta o bilancia idrostatica. Essa era costituita da un
dispositivo a leva. Il braccio all'estremità' del quale andava
fissato il contrappeso era avvolto in un filo metallico. Lo
spostamento del contrappeso poteva essere determinato molto accuratamente contando il numero di spire
del filo metallico lungo le quali si spostava. Galileo costruì la bilancetta solo molti anni più tardi, nel 1608.
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Cosmologia
Termoscopio
All'inizio del diciassettesimo secolo, non c'era alcun metodo per
quantificare il calore di un corpo. Molti studiosi dell'epoca sapevano che
l'aria si espande quando viene riscaldata. Il termoscopio fu ideato da
Galileo all'inizio del 1600 ed era costituito da una piccola fiaschetta con il
collo lungo e sottile, piena d'aria, posto a testa in giù entro una vasca
piena d'acqua. Quando la fiaschetta veniva riscaldata, l'aria al suo
interno si espandeva, e il livello dell'acqua nel collo scendeva, mentre
quando l'aria si raffreddava, il suo volume decresceva e l'acqua saliva
dalla vaschetta lungo il collo del fiasco.
Negli anni successivi, il dispositivo venne perfezionato da Galileo e dai
suoi amici Santorio Santorio e Gianfrancesco Sagredo, per includervi una scala numerica: si ebbe così il
primo termometro ad aria. Contemporaneamente ed indipendentemente, altri studiosi europei misero a
punto analoghi dispositivi. Si passò poi, intorno al 1630, ai termometri riempiti di liquido, ma fu solo nel
diciannovesimo secolo che venne stabilita una scala universale di temperature, sulla base di alcune
temperature base (quella di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione dell'acqua) da parte di D.G.
Fahrenheit e A. Celsius.
Telescopio
Il telescopio e' stato uno degli strumenti più importanti nella
rivoluzione scientifica del 1600, ed ebbe un ruolo di primo piano
nell'affermarsi del sistema copernicano. Le proprietà che certi oggetti
trasparenti hanno di aumentare e ridurre le dimensioni delle
immagini erano note sin dall'antichità', ma solo alla fine del 1200 le
lenti si diffusero in Europa. Esse venivano utilizzate come occhiali,
per correggere i difetti della vista. Anche se forse era gia conosciuto
in precedenza, il telescopio comparve per la prima volta nel 1608 in
Olanda, dove venne presentata richiesta di brevetto da parte di H.
Lipperhey e di J. Metius.
Esso ingrandiva le immagini di un fattore tre o quattro. La notizia
della sua invenzione si diffuse presto in tutta Europa, dove venne
costruito ed utilizzato nel 1609 da vari scienziati per le osservazioni
astronomiche. Galileo non fu dunque ne' l'inventore del telescopio,
ne' il primo ad usarlo per questo scopo, tuttavia fu lui che compì le
prime scoperte fondamentali di astronomia e che rese famoso lo
strumento; egli costruì un telescopio ad otto ingrandimenti e lo
presentò al Senato di Venezia nell'agosto del 1609.
Più tardi, con uno strumento ancora più perfezionato, a 20 ingrandimenti, osservò la Luna e scoprì i satelliti
di Giove. In seguito, altri studiosi costruirono strumenti altrettanto potenti e compirono osservazioni
indipendenti, come quelle delle macchie solari . Un tipico telescopio galileiano, detto anche "cannocchiale",
come quello usato dallo scienziato per osservare i satelliti di Giove, e' composto da due tubi, infilati uno
dentro l'altro e alle cui estremità sono inserite due lenti: un obiettivo (cioè la lente che sta verso l'oggetto)
piano-convesso, con distanza focale di 75-100 cm, e un oculare (la lente a cui si appoggia l'occhio) pianoconcavo con lunghezza focale di circa 5 cm. Il tubo dell'oculare può essere aggiustato per la messa a fuoco.
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52
Cosmologia
7.3
Scoperte fisiche
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze
attinenti alla meccanica e ai movimenti locali
In quest'opera, scritta tra il 1633 e il 1636, Galileo tratta la resistenza dei
materiali e alcuni argomenti di dinamica. L'opera è articolata, come il "Dialogo",
in quattro giornate durante le quali gli stessi personaggi (Salviati, Simplicio e
Sagredo) discutono di vari argomenti di fisica. Le prime due giornate sono
scritte sotto forma di un vero e proprio dialogo, durante il quale vengono
presentati incidentalmente molti esperimenti di fisica; nelle ultime due, invece,
vengono trattati alcuni teoremi di dinamica con formalismo matematico.
In quest'opera, Galileo dimostra la sua abilità nello svelare i paradigmi che
stanno alla base dei fenomeni della fisica "quotidiana". Egli confronta per
esempio la velocità del suono con quella della luce, il moto di caduta libera dei
corpi col moto lungo un piano inclinato, le vibrazioni acustiche con gli intervalli
musicali, il moto libero dei corpi con quello forzato (ad esempio quello dei
proiettili). Egli cercò sempre di trovare il denominatore comune dei vari
fenomeni, abbinando l'intuito per il fenomeno fisico con il rigore della sua descrizione matematica
Isocronismo del pendolo
Galileo era molto interessato ad un approccio di tipo matematico alla questione del moto; egli incominciò fin
da giovane ad analizzare criticamente la fisica aristotelica che gli era stata insegnata, attraverso la
sperimentazione diretta sugli oggetti del proprio studio. Si dice che Galileo intraprese lo studio del moto del
pendolo nel 1581, dopo aver osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di
Pisa, città nella quale compì gli studi universitari. Egli si accorse che il periodo di oscillazione di un pendolo è
indipendente dalla sua ampiezza, fenomeno detto "isocronismo" del pendolo, e cercò di trovare le relazioni
tra la lunghezza e il peso del pendolo e il suo periodo. In realtà, un pendolo è strettamente isocrono soltanto
se le sue oscillazioni sono di piccola ampiezza, come fu scoperto da Huygens pochi decenni più tardi.
Un pendolo poté quindi essere usato come strumento per misurare gli intervalli di tempo, trovando
applicazione
per
esempio
in
medicina,
come
misuratore
delle
pulsazioni
cardiache.
Molti anni più tardi, nel 1641, Galileo propose l'utilizzo del pendolo come meccanismo regolatore degli
orologi, e ne abbozzò un progetto. Tuttavia, ormai vecchio e cieco, non riuscì a realizzarlo, e l'orologio a
pendolo venne costruito solo nel 1657, da Christiaan Huygens.
La caduta dei gravi
Galileo studiò la fisica aristotelica all'università' di Pisa, ma cominciò subito ad analizzarla criticamente.
Mentre gli aristotelici avevano un approccio di tipo qualitativo e filosofico nei confronti del mondo fisico, il
quale veniva descritto per categorie e mai sottoposto a verifiche sperimentali, lo scienziato cercò di
sviluppare un metodo di indagine quantitativo e matematico. Uno degli oggetti di indagine di Galileo riguardò
il moto dei corpi materiali (detti "gravi"), in particolare quello dei corpi in caduta libera. Secondo la fisica
aristotelica, il moto di un corpo è determinato dalle forze alle quali è soggetto; per un corpo in caduta, esse
sarebbero il suo peso e la resistenza dell'aria. Quindi, secondo questa visione, un corpo lasciato cadere da
una determinata altezza raggiungerebbe il suolo tanto più velocemente quanto maggiore è il suo peso.
Galileo cominciò ad investigare criticamente questa ipotesi, come fecero prima di lui Giuseppe Moletti e
Benedetto Varchi, i quali constatarono che corpi dello stesso materiale ma diverso peso, lasciati cadere dalla
stessa altezza, raggiungono il suolo nello stesso tempo. Lo scienziato pensava dapprima che i corpi
cadessero con una velocità uniforme caratteristica, che dipendeva non dal loro peso, bensì da una proprietà
intrinseca detta “gravità specifica”. Durante gli anni in cui insegnava matematica all'Università' di Pisa (dal
1589 al 1592), egli cominciò ad esporre questa sua prima teoria sul moto dei gravi nel libro "De Motu", che
però non pubblicò mai. Nei vent'anni successivi, Galileo accumula ulteriori esperienze e, nonostante non
potesse utilizzare la pompa ad aria del Torricelli (per la messa a vuoto degli elementi) arrivò alla conclusione
che tutti i corpi nel vuoto (cioè non soggetti alla resistenza dell'aria o di un altro mezzo materiale) cadono
con accelerazione uniforme, indipendentemente dal materiale di cui sono composti, dal loro peso o dalla loro
forma, e che la distanza che essi percorrono durante la caduta è proporzionale al quadrato del tempo
impiegato per percorrerla. Galileo deve ora dimostrare questa sua teoria con la diretta sperimentazione.
Molti dicono che Galileo salì in cima alla Torre di Pisa e tentò la dimostrazione, lasciando cadere gravi di
ugual materiale ma diverso peso. Si tratta ovviamente di una leggenda, sia perché non è provata
storicamente, sia perché sarebbe stato un esperimento basato ancora sull‟esperienza e non su prove
scientifiche. Svolge invece il famoso esperimento del piano inclinato.
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Cosmologia
Il piano inclinato
Anche se non esistono documenti relativi a questo esperimento,
sappiamo dell‟esistenza di un modellino di piano inclinato, che sarebbe
servito a Galileo per dimostrare la sua teoria sulla caduta dei gravi.
Galileo doveva misurare gli spazi percorsi da un grave ed il tempo
impiegato; deve rendere misurabile le due grandezze e quindi fa
avvenire la caduta non in verticale (sarebbe difficilissimo misurarla) ma
su un piano inclinato artificialmente creato (maggior lentezza).
Costruisce allora un grande apparecchio per riprodurre le esperienze di
caduta lungo un piano inclinato. Un canaletto di legno è fissato su di un
massiccio telaio triangolare. Il canaletto di legno doveva essere il più liscio possibile per ridurre l' attrito
(eliminarlo é impossibile; Galileo vuole renderlo trascurabile). A cavallo del canaletto sono poste cinque
staffe recanti altrettante campanelle. Nelle staffe sono imperniati dei martelletti che percuotono le
campanelle al passaggio di una biglia nel canaletto. Ad un'estremità dell'apparecchio è appeso un pendolo.
Tramite un apposito gancio esso viene posto in oscillazione nel momento in cui la biglia inizia la sua caduta
lungo il piano. Posizionando convenientemente le campanelle e misurando i tempi tramite le oscillazioni del
pendolo è possibile verificare che lo spazio percorso dalla biglia è proporzionale al quadrato del tempo di
caduta.
Anche se le misurazioni erano alquanto imprecise, Galileo riesce a constatare che il teorema (non l' ipotesi
della velocità proporzionale al tempo) dello spazio percorso proporzionale al quadrato dei tempi é vero: in un
secondo la biglia avrà percorso una distanza x; in due secondi una distanza x elevata a potenza, e così via.
Galileo ritiene di poter dire che se il teorema é stato verificato, era vera anche l‟ipotesi; “se la conseguenza é
vera, allora anche la premessa é vera” dice Galileo. Ma secondo i sillogismi aristotelici se la conseguenza é
vera non é detto che anche la premessa sia vera (le rane sono vegetali, i vegetali sono verdi quindi le rane
sono verdi: la conseguenza é giusta, ma la premessa no ! ). In effetti in logica é un grave errore credere che
da conseguenza vera derivi premessa vera ; ma Galileo opera in ambito matematico: nelle espressioni
algebriche, per esempio, guardando il risultato finale che spesso i libri danno si può capire se l' espressione
é stata svolta correttamente ; però si può arrivare al risultato anche con procedimenti sbagliati ( ed é la
critica logica che si muove a Galileo ): ma in matematica ( a differenza della logica ) le probabilità di arrivare
a un risultato giusto svolgendo scorrettamente i calcoli sono bassissime; e lo stesso vale per Galileo: avendo
a che fare con quantità, é praticamente nulla la possibilità che si arrivi al giusto partendo dallo sbagliato.
Dalla verifica del teorema che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi impiegati posso
quindi argomentare la veridicità dell' ipotesi che la velocità é proporzionale al tempo.
Principio d’inerzia
Sempre lavorando sul piano inclinato, Galileo osservò che mettendo sul canaletto una biglia di bronzo
lanciata ad una certa velocità, se lanciata in salita andrà progressivamente diminuendo di velocità;
viceversa, lanciata alla stessa velocità in discesa avrà un progressivo aumento di velocità. Chiaramente si
accorse di come la accelerazione (se mandata in discesa) e la decelerazione (se mandata in salita) fossero
tanto maggiori o minori a seconda dell' inclinazione del piano. Con il classico processo di estrapolazione
(ricavare un dato sconosciuto tramite dati conosciuti) arrivò ad ipotizzare che in assenza assoluta di
declinazione o inclinazione del piano (ossia in assenza di un fattore di disturbo che intervenga) la biglia
dovrebbe proseguire all' infinito nel moto in cui la si mette. E' un esperimento mentale e non verificabile
concretamente in primis perché ci vorrebbe un piano infinito per dire che la biglia prosegue in quel moto all'
infinito ; e poi occorrerebbe un piano con attrito zero. Immaginando però un piano infinito e con attrito zero,
allora si può capire come la biglia proseguirebbe a rotolare all' infinito. Concluse dicendo: “… se si impartisce
a un corpo una velocità, questa sarà rigidamente mantenuta fintanto che non interverranno cause di
accelerazione o decelerazione, condizione approssimativamente raggiunta solo su piani orizzontali su cui la
forza d‟attrito è stata resa minima”.
Ma questo enunciato è ancora incompleto, in quanto non è stato preso in considerazione il sistema di
riferimento dell‟osservatore che studia il moto. Galileo affrontò questo problema per smantellare la
concezione aristotelica secondo cui lo stato naturale di un corpo è lo stato di quiete rispetto alla Terra, la
quale costituisce il centro dell‟universo e rappresenta quindi un sistema di riferimento assoluto, privilegiato, a
cui riferire tutti i moti dei corpi. Egli riuscì a dimostrare che, se un dato fenomeno si verifica con certe
caratteristiche sulla Terra, si ripeterà tale e quale anche rispetto ad un sistema di riferimento in movimento
rispetto alla Terra. Per la corretta definizione della legge d‟inerzia, rimando al paragrafo 8.2 di Newton.
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Cosmologia
Dal Dialogo sui massimi sistemi: “Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto
coperta di alcun gran naviglio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; slavi anche un
grande vaso d'acqua e dentrovi dei pescetti; sospendasi anche in alto qualche secchiello, che goccia a
goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la
nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della
stanza: i pesci si vedranno andar nuotando indifferentemente; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più
gagliardamente la dovete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze siano eguali; e
saltando voi, come si dice, a pie' giunti, eguali spazi passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete
diligentemente tutte queste cose, perché niun dubbio mentre il vascello sia fermo non debban succedere
così, fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; che (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante
qua e là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete
comprendere se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazi che
prima, né perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso poppa che verso prua,
benché nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorre verso la parte contraria al vostro salto;
e gettando alcuna cosa al compagno non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la
prua e voi verso la poppa, che se voi foste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso
inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché mentre la gocciola è in aria, la nave scorra molti
palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la susseguente
parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e
finalmente le farfalle e le mosche continueranno i loro voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai
accadrà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che fossero stracche di tener dietro al
veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se
abbruciando alcuna lacrima d'incenso si farà un poco di fumo vedrassi ascendere in alto ed a guisa di
nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte”
Moto dei proiettili
Nel "Dialogo intorno a Due Nuove Scienze", Galileo
affronta il problema del moto dei proiettili. Prima di
Galileo, si credeva che un corpo lanciato in direzione
orizzontale, per esempio un proiettile sparato da un
cannone, si muovesse in direzione orizzontale fino a
quando non perdeva il suo "impeto", dopodiché cadeva
verso terra, seguendo una traiettoria curvilinea che però
non era ancora conosciuta. Galileo si accorse, durante
lo studio del moto dei proiettili, che essi non sono
soggetti soltanto alla forza che li spinge in direzione
orizzontale, bensì anche alla forza di gravità, che li attira verso il basso. La prima componente agisce come
una forza inerziale, nel senso che il corpo ad essa soggetto percorre una distanza in orizzontale che è
proporzionale al tempo impiegato per percorrerla. La seconda invece provoca un moto uniformemente
accelerato, cioè la distanza percorsa in verticale è proporzionale al quadrato del tempo impiegato a
percorrerla. Galileo dimostrò che la combinazione dei due moti orizzontale e verticale risulta nel moto del
proiettile lungo un arco di parabola.
La teoria delle maree
Galileo cercò di spiegare il fenomeno delle maree non tramite l'influenza gravitazionale della Luna, dato che
la teoria della gravitazione universale non era stata ancora formulata, bensì in modo puramente dinamico,
nell'ambito della teoria copernicana del moto degli astri. Allo stesso modo in cui il moto dell'acqua all'interno
di un vaso è condizionato dal moto del vaso stesso, così il moto degli oceani, secondo l'interpretazione
galileiana, sarebbe condizionato dal moto della Terra. Secondo lo scienziato, nel suo moto combinato di
rotazione e rivoluzione, la Terra sarebbe soggetta a rallentamenti ed accelerazioni periodiche del proprio
moto di rotazione, con periodo di 12 ore. A causa della propria inerzia, i mari si solleverebbero perché
"lasciati indietro" dalla Terra sottostante o viceversa. Questa teoria non è corretta: la causa reale delle maree
è l'attrazione gravitazionale della Luna sulla Terra. Tuttavia, anche se a volte fu in errore, Galileo cercò di
spiegare per mezzo dell'osservazione e della matematica i fenomeni osservati in natura, al posto di
accettare l'interpretazione aprioristica della filosofia aristotelica. Questo rappresentò un passo avanti nella
costruzione della scienza moderna.
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Cosmologia
Il moto della Terra
Galileo sviluppa tutta una serie di argomentazioni per dimostrare la possibilità del moto della Terra. Si
propone di vedere se, nei corpi separati dalla Terra, si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale
egualmente competa a tutti. Per determinare se la Terra si muova, è necessario ritrovare, per così dire,
un‟immagine negativa di tale moto in tutti gli altri corpi dell‟universo.
Un moto comune a tutti i corpi esterni alla Terra è la rotazione diurna, ossia quel moto apparente della volta
celeste in virtù del quale tutti i corpi celesti compiono una rotazione da est a ovest in ventiquattro ore. Tale
moto sarà, dunque, un‟apparenza, un‟immagine negativa della rotazione della Terra da ovest a est. E‟
praticamente dimostrato che un eventuale moto non influisce sul comportamento dei corpi che ne fanno
parte, o che una tale influenza, se esiste, è pressoché insensibile; in secondo luogo l‟intenzione di Galileo è
quella di far vedere che il moto diurno della Terra può considerarsi, in pratica, un moto inerziale, anche se
sul nostro pianeta il solo piano veramente orizzontale è la superficie sferica.
E‟ evidente come Galileo sfruttava le sue scoperte nel campo della dinamica, per dimostrare le sue teorie
cosmologiche. Oggi sappiamo che è impossibile spiegare il moto dei corpi celesti con le leggi che governano
la natura del nostro pianeta, ma diamo atto a Galileo di aver almeno provato a dare una qualche spiegazione
scientifica alle sue teorie. Queste sue importanti intuizioni in campo astronomico, serviranno a Newton per
formulare la legge di gravitazione universale.
7.4
Scoperte astronomiche
Sidereus Nuncius
In quest'opera, pubblicata nel marzo del 1610, Galileo descrisse la scoperta di 4 satelliti di Giove al
cannocchiale; egli notò dapprima tre e poi quattro "stelline" vicino al pianeta, che sembrano seguirlo nel suo
moto e che si spostano l'una rispetto all'altra. "Adi' 7 di gennaio 1610 Giove si vedeva col cannone (il
cannocchiale) con 3 stelle fisse, delle quali senza il cannone niuna si vedeva". Non potendosi trattare, per
questo motivo, di stelle fisse, l'unica conclusione possibile era che fossero dei satelliti di Giove: "...quattro
stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra...". Questa conclusione rappresentò una
prova a sfavore della cosmologia tolemaica, che non ammetteva altro centro del moto oltre alla Terra, centro
delle sfere celesti. L'astronomo volle dedicare la scoperta a Cosimo II de' Medici, allora Granduca di
Toscana, com'e' scritto anche sul frontespizio dell'opera.
“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico
l‟universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne‟
quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola” (Il Saggiatore)
Le comete
Il primo fenomeno celeste che attrae la sua attenzione è probabilmente la cometa del 1577, mentre viene a
conoscenza dell‟ipotesi copernicana il 5 settembre 1581 allo Studio di Pisa, se non prima.
L‟attività di Galileo come astronomo inizia nel 1604, quando appare, nella costellazione del Serpentario, un
nuovo corpo luminoso. Egli dimostra che non possiede un parallasse, cioè non si notano variazioni della sua
posizione apparente nel firmamento, da qualunque punto lo si osservi. Il parallasse decresce col crescere
della distanza e, ai tempi di Galileo, mentre quello dei pianeti è ben conosciuto, il parallasse delle stelle fisse
è tanto piccolo, a causa della loro enorme distanza, da non poter essere rilevato con gli strumenti di
misurazione dell‟epoca. Di conseguenza, il nuovo corpo celeste deve trovarsi nella remota regione delle
stelle fisse, in quella zona esterna cioè, che Aristotele e la sua scuola avevano considerato come
assolutamente immutabile. Fino ad allora si era ritenuto che le nuove stelle, come le meteore e le comete, si
trovassero nelle meno elevate e meno perfette regioni dell‟universo, cioè in
quelle più vicine alla Terra. Tycho Brahe dimostra che la nuova stella è al
di là della Luna e Galileo gli succede nella lotta contro l‟idea di
incorruttibilità e immutabilità dell‟universo, portando un colpo alla saldezza
dello schema aristotelico.
La luna
Una volta costruito il telescopio, Galileo osservò come prima cosa la Luna;
in particolare vide l' alba e il tramonto sulla Luna: osservò la metà chiara
(quando vediamo la “mezzaluna “) e la metà scura e si accorse che
laddove terminava la parte chiara c' erano puntini scuri e laddove
terminava la parte scura c' erano puntini chiari: interpretò questa cosa in
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Cosmologia
modo corretto, come l' alba e il tramonto: quando sorge il Sole sulla Terra le prime cose illuminate sono le
montagne; quando ancora su tutto il resto regna il buio, sulle vette delle montagne arriva già il sole;
viceversa, quando tramonta il sole, prima arriva il buio sulle montagne e poi arriva anche su tutto il resto. Le
chiazze scure nella parte chiara e le chiazze chiare nella parte scura della Luna erano quindi delle
montagne: anche sulla Luna, quindi, ci sono le montagne come sulla Terra. Questa osservazione é
estremamente importante perché fa cadere definitivamente l'idea di matrice aristotelica dell' eterogeneità tra
mondo sublunare (il nostro, costituito dai 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco) e mondo celeste (quello al di
sopra del nostro, costituito dall' etere, un materiale incorruttibile): la Luna, per definizione, doveva essere
perfettamente sferica, priva di irregolarità per poter imitare la perfezione divina. Invece quello che vedeva
Galileo era che la Luna, come la Terra, era fatta di materiale irregolare ed imperfetto; qualche anno prima
anche Giordano Bruno, non per vie scientifiche, bensì per vie metafisiche, era arrivato allo stesso risultato.
Le fasi di Venere
Poi Galileo osserva le fasi di Venere; come la Luna, Venere presenta fasi: vedere le fasi di Venere equivale
a vedere la verità del sistema copernicano perché di fatto esse testimoniano che Venere gira intorno al Sole
e non alla Terra. Se l' osservazione della Luna fa cadere la diversità tra mondo terrestre e mondo sublunare,
l' osservazione delle fasi di Venere fa vedere che quella di Copernico non era un' ipotesi matematica come
quella di Tolomeo, ma una verità fisica. A partire da questo momento la Chiesa non può far altro che
condannare la teoria copernicana, che pur da 50 anni era stata accettata
I satelliti di Giove
La terza osservazione che fa Galileo è intorno ai satelliti di Giove: sono un altro indizio a favore del sistema
copernicano. All‟astronomo polacco era stato contestato in qualche maniera che il suo sistema cosmologico
introduceva in maniera assurda due centri di rotazione (il Sole rispetto ai pianeti, la Terra rispetto alla Luna):
se il mondo é finito, come dice Aristotele, come fanno ad esserci due centri? In un mondo finito ci dovrebbe
essere un centro solo. Ma Galileo osserva che Giove é centro di rotazione dei suoi satelliti; quindi oltre al
Sole, almeno un altro centro di rotazione deve esserci.
La Via Lattea
Quarta osservazione é quella della Via Lattea (la nostra galassia), la striscia bianca osservabile in cielo:
puntando il telescopio vede che in realtà si tratta di stelle e ne deduce che le stelle non possono essere tutte
alla stessa distanza, fissate sul cielo delle stelle fisse (come diceva Aristotele), ma che sono disposte in
profondità le une rispetto alle altre: anche qui Giordano Bruno era arrivato per primo attraverso la filosofia.
Saturno
Secondo la cosmologia aristotelica, tutti i corpi celesti erano sferici e perfetti, ma le prime osservazioni di
Saturno al telescopio costituirono una vera sorpresa. Dopo aver pubblicato il "Sidereus Nuncius", Galileo
continuò ad osservare il cielo al cannocchiale nella speranza di fare nuove scoperte. Nel luglio del 1610,
osservò Saturno quando era in opposizione. Il suo strumento non era abbastanza potente per distinguere gli
anelli, ed essi gli apparirono come dei rigonfiamenti laterali del pianeta. Egli interpretò così questo aspetto:
"....Saturno non è un astro singolo, ma è composto di tre corpi, che quasi si toccano, e non cambiano ne' si
muovono l'uno rispetto all'altro, e sono disposti in fila lungo lo zodiaco, e quello centrale è tre volte più
grande degli altri due...." Lo scienziato dette così al pianeta il nome di "Saturno tricoeporeo". In seguito, egli
osservò anche che i corpi laterali erano scomparsi; infatti, durante il moto di Saturno nella sua orbita, il piano
degli anelli cambia direzione rispetto alla Terra: quando essi si presentavano di taglio, non potevano essere
visti al cannocchiale. In seguito, altri astronomi confermarono lo strano aspetto di Saturno e le sue
variazione, ma fu solo nel 1659 che l'astronomo Christiaan Huygens lo spiegò con la presenza di un anello
attorno al pianeta.
Le macchie solari
Le macchie solari sono regioni scure, di forma irregolare e variabile, sulla superficie del Sole. Sono visibili
anche ad occhio nudo, sebbene l'osservazione diretta del Sole sia molto pericolosa. Le prime osservazioni
delle macchie solari ad occhio nudo sono dovute ai Cinesi e risalgono almeno al 28 a.C. mentre il fenomeno
non è noto in Occidente. Il loro studio sistematico cominciò subito dopo l'introduzione del telescopio in
astronomia, da parte di Galileo, nel 1609. Lo scienziato compì una delle prime osservazioni delle macchie,
insieme a Thomas Herriot, Johannes e David Fabricius e Christoph Scheiner. Il fatto che il Sole presentasse
delle irregolarità sulla sua superficie e che il suo aspetto variasse nel tempo, era anch'esso una prova a
sfavore della teoria tolemaica, secondo la quale ogni cosa appartenente al regno celeste era perfetta e
immutabile.
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Cosmologia
Arretratezza delle sue tesi
Per alcuni versi Galileo rimane arretrato nel suo pensiero: pur avendo ammesso che i centri di rotazione
sono più d' uno egli continua a sostenere la finitezza dell' universo (a differenza di Bruno che dall' idea di due
centri di rotazione non aveva esitato a concludere che il mondo fosse infinito); Galileo continua inoltre,
rimanendo fedele ad Aristotele, a sostenere che le orbite dei pianeti sono circolari, e non ellittiche (come
aveva detto Keplero) o ovali (come aveva detto Brahe).
7.5
Dialogo sopra i due massimi sistemi
Datazione, titolo e pubblicazione
L‟elezione al pontificato di Urbano VIII nel 1623 fu una svolta molto
importante per Galileo. Infatti il pontefice era un grande estimatore di
quest‟ultimo. In questo modo Galileo poteva pubblicare libri che la chiesa
non avrebbe voluto che pubblicasse. Nel 1624 pubblicò la Lettera A
Francesco Ingoli, una risposta in forma di epistola a un intervento contro il
moto della Terra recapitatogli nel 1616. Successivamente iniziò a progettare
un opera complessiva, in forma di dialogo, in grado di andare contro ai
peripatetici ma anche contro le obiezioni nate a riguardo del moto della
Terra. L‟opera fu terminata nel gennaio del 1630. Il titolo doveva essere
“Dialogo sopra il flusso e il reflusso del mare” per cercare di spiegare il
fenomeno fisico delle maree che avrebbe successivamente chiarito il moto
della Terra attorno al Sole. Ma per evitare la censura ecclesiastica decise di
cambiare parte del proemio e le conclusioni. Inoltre il nuovo titolo fu “Dialogo
di Galileo Galilei Linceo, dove ne i congressi di quattro giornate di discorre sopra i due massimi sistemi del
mondo, tolemaico e copernicano”. Nel 1632 grazie all‟imprimatur del papa l‟opera venne pubblicata.
La scelta di Galileo di utilizzare il dialogo si rivelò una mossa importante sul piano comunicativo. Infatti
scrivendo in lingua italiana e non in latino permetteva alla popolazione di comprendere le idee che
sosteneva lo scienziato.
Anche se questo dialogo riprende una tradizione platonica e rinascimentale, presenta comunque diverse
innovazioni. E‟ infatti impostato su tre personaggi, due dei quali rappresentano i due sistemi contrapposti
mentre il terzo non specialista contribuisce con osservazioni più colloquiali. In questo modo tende a catturare
l‟attenzione di un pubblico più colto attorno ai problemi della nuova scienza.
La chiesa, a causa del successo del libro, decise di esaminarlo per vedere se vi erano teorie a favore della
teoria eliocentrica. Nel luglio del 1632 arrivò da Roma l‟ordine di sospendere la vendita del libro. Nel gennaio
del 1633 Galileo fu costretto ad abiurare alle sue teorie.
Struttura ed ambientazione del dialogo
I tre personaggi del trattato sono: il nobile fiorentino Salviati, copernicano e appartenente alla cerchia degli
amici di Galileo; il nobile veneziano Sagredo, molto vicino a Galileo e rappresentante di quel pubblico
curioso ma non specialista; l‟aristotelico Simplicio.
Si immagina che i tre personaggi si riuniscano per quattro giornate a Venezia nel palazzo di Sagredo sul
Canal Grande, a discutere amichevolmente intorno alle ragioni a favore o contro il sistema eliocentrico.
Galileo non fornisce l‟indicazione dell‟argomento principale affrontato in ciascuna di esse. Il colloquio si
muove in modo apparentemente casuale con continue digressioni.
Le quattro giornate
La prima giornata si apre con una critica da parte di Salviati sul valore che gli aristotelici avevano attribuito al
numero tre. Questo è solo un pretesto per criticare tutta la fisica aristotelica e soprattutto la distinzione fra
Terra corruttibile e i corpi celesti immutabili e perfetti.
La seconda giornata si apre con il discorso di Sagredo che, per andare contro alla sicurezza con cui
Simplicio si affida agli scrittori del passato, racconta un aneddoto dello studioso di anatomia. Segue una
discussione sul tema dell‟autorità del “mondo di carta" contrapposta alle esperienze del “mondo sensibile”.
Poi la giornata prosegue con la discussione del moto diurno della Terra attorno al proprio asse.
La terza giornata si apre con un invenzione scenica che conferma l‟ironia del Dialogo. Simplicio arriva tardi
all‟appuntamento perché la sua gondola si è arenata a causa della bassa marea. Quindi la giornata
prosegue trattando il problema delle maree e del moto della Terra attorno al Sole.
La quarta giornata è dedicata all‟argomento del flusso e reflusso del mare che Galileo ritiene un elemento
probatorio dell‟ipotesi copernicana anche se è Keplero che spiega le maree a causa dell‟influenza lunare.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
Contenuti
In quest‟opera Galileo riassume tutto il suo pensiero cosmologico e scientifico, un insieme di concetti molto
complessi, ma sobri e razionali, in cui si trovano le basi di una nuova disciplina, la dinamica.
Nei Massimi Sistemi si propone di dimostrare la verità del sistema copernicano e la prima parte è
sostanzialmente un‟analisi critica dei due libri del De Caelo di Aristotele. Lo scienziato introduce anche un
concetto di gravitazione vicino a quello copernicano e mette in luce il fatto che la Luna e il Sole non sono
inalterabili, ma che anzi la prima presenta numerose somiglianze con la Terra, che diventa un globo mobile
e vagante come Giove e Venere.
Ammettendo il moto della Terra e situando il Sole al centro dell‟universo, il moto del corpi celesti da oriente a
occidente si rivela illusorio. L‟universo acquista una struttura architettonica razionale, mentre nel mondo
tolemaico gli orbi planetari non avevano alcun rapporto tra loro. Ai tempi di Galileo, l‟attribuzione del moto
diurno alla Terra rappresenta un grande vantaggio rispetto all‟astronomia tradizionale e il principio
fondamentale, al fine della spiegazione del moto diurno e di tutti i fenomeni che accadono sulla Terra, è
quello della composizione e dell‟indipendenza dei moti.
Secondo questo principio un corpo, sollecitato contemporaneamente da due moti diversi, si muove secondo
la risultante. In questo modo Galileo abbandona la concezione aristotelico-telemaica sulla gravità. La
principale difficoltà contro l‟adozione del moto annuo della Terra, è il fatto che in tal caso si dovrebbe
osservare anche qualche mutazione delle stelle fisse. La soluzione che Galileo dà di questo problema, è che
l‟orbita della Terra è come un punto rispetto alla sfera delle stelle fisse, di conseguenza insensibile risulta la
sua proiezione sulla sfera. Per Galileo, nel sistema Terra-Luna-Sole, il legame che unisce tra loro i corpi non
è un legame “materiale”; questo legame, come oggi sappiamo, è gravitazionale.
L‟unica prova certa del moto della Terra è vista da Galileo nel fenomeno delle maree, il quale flusso consiste
in una sorta di attrazione che la Luna esercita sull‟acqua mediante una forza derivante da un‟affinità di
natura. L‟attrazione lunare tende a conferire al globo fluido una forma ellittica, con l‟asse orientato nella
direzione della forza esercitata. Il periodo mensile e quello annuo si spiegano, a loro volta, mediante la
posizione della Terra, della Luna e del Sole, nel corso del mese e dell‟anno.
Galileo sembra rendersi conto che il legame che unisce i corpi celesti è di natura gravitazionale, ma egli non
affronta mai i problemi tecnici dell‟astronomia tradizionale, non elabora una “teoria” planetaria, nemmeno nel
caso dei “pianeti medicei” da lui scoperti. Il suo interesse è tutto per l‟astronomia “filosofica”, ossia per la
cosmologia.
“voi errate, signor Simplicio; voi dovevate dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità.Ma io non vi
domando del nome, ma dell'essenza della Cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che
voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro... Ma non è che realmente noi intendiamo di più, che
principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù, di quel che noi sappiamo chi la muova in su,
separata dal proicente, o chi muova la luna in giro, eccettochè il nome".
Linguaggio e stile
Lo strumento letterario e l‟uso del volgare potevano consentirgli un‟operazione di politica culturale varia e
complessa, come quella da lui tentata. Galileo perseguiva insomma un‟alternativa al latino della Chiesa e
delle chiuse accademie dei dotti: un‟alternativa linguistica, letteraria, culturale. Egli si rivolge sia agli ambienti
dei letterati e degli intellettuali, sia al mondo dei tecnici per creare un consenso alla sua proposta, anche se
sa bene che è decisivo conquistare soprattutto i nobili e trovare un punto accordo con le autorità
ecclesiastiche. Sola una prosa letteraria e scientifica, raffinata ed elegante, ma anche precisa e concreta,
poteva essere all‟altezza di tale progetto. L‟aiutarono in ciò la formazione culturale fiorentina e i naturali
agganci che essa conservava con la tradizione dell‟Umanesimo e di un classicismo moderato.
La chiarezza cristallina e la forza argomentativi del ragionamento, unite però a una vivacità che respinge
ogni schematica freddezza, esprimono un senso di calma superiorità. Non per nulla Galileo è un maestro
dell‟ironia e amava uno scrittore aereo e ironico come Ariosto. L‟uso del dialogo è organico a una
concezione processuale e problematica di verità. Quanto alla precisione della prosa galileiana, essa
costituisce senza dubbio il primo grande modello di porsa scientifica moderna. Dalla matematica alla
scrittura argomentativa, egli deriva quella nettezza espositiva che lo allontana, nonostante qualche
occasionale analogia, dalle soluzioni barocche.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
7.6
Contro la Chiesa
Dobbiamo innanzitutto dire che Galileo era e si sentiva un buon
cristiano e il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa fu ben
diverso rispetto a quello di Giordano Bruno. Egli, a differenza del
Nolano, é convinto della verità della Chiesa. Fu a partire dal
novembre 1612 che la teoria copernicana venne proclamata eresia
e anche le posizioni di Galileo vennero attaccate: sostenere l'
eliocentrismo significava indubbiamente mettere in discussione la
veridicità delle Scritture ; c' é infatti un passo nella Bibbia in cui
Giosuè ordina al Sole di fermarsi ; se il Sole deve fermarsi é ovvio
che é concepito in movimento ed é però altrettanto ovvio che
questo é in contrasto con la teoria copernicana che lo vuole fermo
al centro dell' universo. Galileo dovette così intraprendere la difesa
delle sue teorie e lo fece in alcune lettere in cui affrontava la
questione del rapporto scienza - Scrittura. Le sue sono e rimangono
comunque posizioni ortodosse, di rispetto per la Chiesa. Galileo
deve riuscire a fondare l' autonomia della ricerca scientifica, sciogliendola dal vincolo delle Scritture: il
pensiero di Galileo é pervaso dalla convinzione che scienza e Scrittura abbiano un' unica fonte.
Già Agostino, sosteneva che il Logos (intelligenza) fosse l' origine sia della ragione, sia della rivelazione e
anche della creazione; riprendendo in parte queste idee di fondo Galileo arriva a dire che scienza e Scrittura
hanno un' unica origine, quella divina. In altre parole, ciò che l' uomo scopre nella natura non può essere in
contrasto con la rivelazione: il libro della Scrittura e quello della natura finiscono per essere la stessa cosa,
quasi come se Dio volesse comunicare con l' uomo tramite la rivelazione e in più tramite tutto ciò che ci
circonda: é come se Dio si fosse rivelato a noi parallelamente con questi due libri, quello della Scrittura e
quello della natura. Tuttavia risulta incompatibile la contraddizione tra natura e Scrittura nel caso della teoria
copernicana, da Galileo sostenuta e dimostrata autentica: la Scrittura dice che il Sole ruota intorno alla
Terra, la natura dice invece che é la Terra a girare intorno a lui. Galileo cerca di risolvere il problema
sottolineando come gli obiettivi del libro della Scrittura e quelli del libro della natura siano diversi. Il libro della
natura ci insegna come é fatto il mondo, il libro della rivelazione (la religione) ci mostra invece come
comportarci per ottenere la salvezza dell' anima: il libro della natura è portatore di un messaggio teoretico,
quello della Scrittura di un messaggio etico - religioso. Non a caso Galileo ripeteva sempre: “la Scrittura non
ci insegna come vada il Cielo, ma come si vada in Cielo ".
Essendo diversi gli obiettivi, spiega Galileo, é evidente che la Bibbia per perseguire il suo abbia dovuto
adattarsi alla mentalità delle persone dell' epoca per rivelare l' onnipotenza divina: se a quei tempi si
pensava che il Sole girasse intorno alla Terra, per mostrare l' onnipotenza di Dio bisognava dire che egli era
in grado di fermare il Sole. Non ha un valore teoretico quest' asserzione, ma solo etico: non dice come é il
mondo, vuole solo dimostrare come Dio possa fare tutto. D'altronde nella Bibbia ci sono altre espressioni
che fanno ben intendere come le finalità siano quelle di mostrare la potenza di Dio e non di spiegare come
effettivamente sia il mondo; la figura stessa di Dio nella Scrittura é antropomorfica: si parla dell' occhio di
Dio, della mano di Dio: non mi si vuol dire che Dio ha gli occhi o le mani ! La Scrittura arriva perfino a dire
che Dio si pente: un pentimento presume un errore, ma é impossibile che Dio commetta errori. Quello della
Bibbia, per Galileo, é un messaggio che non va preso alla lettera. Anche il non prendere alla lettera la Bibbia
é comunque ortodosso e non va contro la Chiesa: la Bibbia, é risaputo, può essere letta con significati
diversi e con diverse interpretazioni, lo faceva notare già Origene. Quindi quando si dice che Dio fa fermare
a Giosuè il Sole, si vuole solamente sottolineare l'onnipotenza divina e non la struttura architettonica
dell'universo. E' Dio che si é adattato al linguaggio degli uomini di allora ( che non sapevano che il Sole non
girasse intorno alla Terra ) per farsi capire.
Va senz' altro ricordato che Galileo scrisse le lettere in cui difendeva le sue teorie avvalendosi dell'aiuto di
alcuni teologi cristiani, rappresentanti delle fasce più moderne del Cattolicesimo; sfruttò i loro suggerimenti
per sostenere le sue posizioni contro la Chiesa più retrograda. Del rapporto di Galileo con la Scrittura ne
parla lui stesso: “Se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi
interpreti ed espositori in vario modo: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero
fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbero non solo diverse
contraddizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora ; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e mani e piedi
e occhi, e non meno effetti corporali e umani, come d' ira, di pentimento, d' odio, e anco talvolta l' obblivione
delle cose passate e l' ignoranza delle future... Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi é non
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
solamente capace, ma necessariamente bisognosa d' esposizioni diverse dall' apparente significato delle
parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe esser riserbata nell' ultimo luogo ".
Nonostante Galileo si sia difeso correttamente e abbia dimostrato di non essere un eretico, la Chiesa
continuò ad essergli ostile. Dobbiamo ricordarci che siamo nel pieno della Controriforma: dopo l' affermarsi
del Protestantesimo e poi del Calvinismo, la Chiesa rispose alla Riforma luterana con una Controriforma,
sostenendo sempre e comunque le stesse posizioni. In questo clima di riforme dottrinali, la Chiesa cattolica
interpretò l‟operato di Galileo come un‟applicazione in campo filosofico della teoria religiosa propugnata da
Lutero sul libero esame, secondo cui ognuno é libero di esaminare e di interpretare le Sacre Scritture da sé.
Insomma, Galileo non si cura eccessivamente dei limiti teorici, molto precisi, imposti da papa Urbano VIII,
ritenendo appunto che non valessero per il campo scientifico. Il Dialogo sui Massimi Sistemi da lui scritto
incontra ben presto seri ostacoli per la pubblicazione; alla sua prima apparizione in pubblico, suscita
l‟entusiasmo dei galileiani. Al contrario, i Gesuiti intuiscono subito il profondo significato culturale che prevale
sugli stessi meriti scientifici dell‟opera e scatenano polemiche destinate a vincere ogni resistenza da parte
del papa che, se dapprima era a favore dello scienziato, ora si sente tradito e diventa suo avversario.
Nell‟ottobre del 1632 Galileo è convocato dall‟Inquisizione a Roma; nei lunghi mesi del processo, motivi
teologici e culturali s‟intrecciano con la necessità della Chiesa di riaffermare pubblicamente la politica
controriformista verso ogni eresia. Il pontefice rimane turbato dalle violente accuse formulate contro di lui,
per aver favorito, con la sua politica antiasburgica, gli eretici protestanti, privilegiando il fattore politico
rispetto ai vitali interessi religiosi della Chiesa cattolica e al suo impegno nella lotta all‟eresia. La condanna di
Galileo diviene inevitabile. Il 22 giugno 1633, inginocchiato dinanzi alla “congregazione di solenne
adunanza”, lo scienziato, ormai settantenne, pronuncia, dopo la lettura della condanna, la sua pubblica
abiura. Seguono anni di lunghe meditazioni, nel quale Galileo porta a termine i Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze; in questo testo, che i teologi stranamente non condannano,
benché non siano meno copernicani dei Massimi Sistemi, la scienza moderna galileiana appare ormai come
un fatto compiuto; nell‟opera si trova il suo nuovo universo governato da quelle precise leggi dinamiche che
lo scienziato aveva così abilmente ricavato.
La condanna del 1633
...Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in
processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto
d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole
sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro
del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e
diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai
sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate.
Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi
abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla
Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave
e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell'avvenire et essempio
all'altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de' Dialoghi
di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.° Off.° ad arbitrio nostro; e per penitenze
salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali:
riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze. Et così
diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior
modo e forma che di ragione potemo e dovemo. Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti.
L’abiura
“Io Galileo figlio di Vincenzo Galileo di Firenze, dell‟età mia d‟anni 70, constituto personalmente in
giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la Repubblica
Cristiana contro l‟eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl‟occhi miei li sacrosanti Vangeli,
quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l‟aiuto di Dio crederò
per l‟avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa […] E giuro
che per l‟avvenire non dirò mai più, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa avere di me simil
sospizione; Ma se conoscerò alcun eretico e che sia sospetto di eresia lo denonziarò a questo Santo
Offizio, o vero all‟Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò.”
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Jacopo Filippo Vignola
61
Cosmologia
7.7
Contro gli Aristotelici
Spesso si dice che Galileo si contrappone agli aristotelici della sua epoca perché mentre loro leggono il libro
di carta, lui legge il libro della natura, scritto in caratteri matematici: “io veramente stimo il libro della filosofia
esser quello che perpetuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi ; ma perché é scritto in caratteri diversi da
quelli del nostro alfabeto, non può esser da tutti letto: e sono i caratteri di tal libro triangoli, quadrati, cerchi,
sfere, coni, piramidi ed altre figure matematiche, attissime per tal lettura ". Per poter interpretare questo libro
e leggerlo, come per qualsiasi altro libro, bisogna impararne l‟alfabeto. L'alfabeto in cui questo particolare
libro é scritto é l'alfabeto matematico; se prima di leggere questo libro fisico che é la natura bisogna
conoscere l'alfabeto della matematica, allora per Galileo prima di studiare la fisica bisogna studiare la
matematica. E' un' ottima rappresentazione del rapporto che Galileo ha instaurato tra matematica e fisica,
rapporto che é sostanzialmente quello in vigore ai giorni nostri.
Se è vero che Galileo si contrappone agli aristotelici prediligendo lo studio della natura alla lettura di libri,
non é altrettanto vero che si contrappone all'aristotelismo in generale. Lo studio della scienza all'epoca era
sostanzialmente studio di libri, senza verifiche e confronti sulla natura: l'anatomia dell'uomoera studiava sui
libri, senza praticare la dissezione dei corpi (autopsia); ci si atteneva a quanto scritto dal medico Galeno, di
età romana: era più importante ciò che si vedeva scritto rispetto a quello che gli occhi percepivano: già
Leonardo da Vinci notò come ai suoi tempi si preferisse il richiamo all'autorevolezza di antichi scrittori
piuttosto che una constatazione empirica personale.
E' curioso come nel “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo“ad un certo punto compaia un aristotelico di
nome Simplicio al quale Salviati (personaggio portavoce della teoria copernicana) fa notare razionalmente
tramite una serie di passaggi come l'eliocentrismo funzioni perfettamente; Simplicio risponde che sono
affermazioni bellissime e non esiterebbe ad accettarle se Aristotele non avesse detto il contrario. E' evidente
come Galileo voglia qui sottolineare, tra l'altro, come ai suoi tempi ad opporsi all'eliocentrismo non fosse solo
la Chiesa, ma anche la tradizione aristotelica (oltre, ovviamente, alla maggior parte della gente comune).
Ma la polemica galileiana é rivolta non ad Aristotele (come invece aveva fatto Giordano Bruno), ma agli
aristotelici della sua epoca, che stimano “il filosofare non tendere ad altro che al non si lasciar persuader mai
altra opinione che quella d'Aristotile"; d'altronde Galileo é pienamente consapevole di come gli aristotelici del
diciassettesimo secolo siano altra cosa rispetto al maestro Aristotele: i primi badano solo ai libri cartacei,
Aristotele é interessatissimo all'esperienza: “Aristotele deride quelli che lasciano l'esperienze sensate, per
seguire un discorso che può essere fallacissimo". Sarà invece Bacone a non fare differenza tra Aristotele ed
aristotelici.
Galileo, in risposta agli aristotelici che lo accusano di non prestar fede ai libri di Aristotele, risponde che se
Aristotele potesse rivivere sceglierebbe senz' altro lui come suo discepolo e non tutti loro, eccessivamente
legati ad una cultura di libri: "... ma gli ingegni vulgari timidi e servili, che altrettanto confidano, sopra l'
autorità di un altro, quando vilmente diffidan del proprio discorso, pensando potersi di quella fare scudo, né
più oltre credon che si estenda l' obbligo loro, che a interpretare, essendo uomini, i detti di un altr' uomo,
rivolgendo notte e giorno gli occhi intorno ad un mondo dipinto sopra certe carte, senza mai sollevargli a
quello vero e reale, che, fabbricato dalle proprie mani di Dio, ci sta, per nostro insegnamento, sempre aperto
innanzi".
In effetti Aristotele era molto più vicino a Galileo che non agli aristotelici, almeno nel modo di operare. Gli
aristotelici infatti, invece di avvalersi dell' esperienza sensibile e della ragione (che secondo Galileo ha
“podestà assoluta “), si affaticano solo “per salvar il testo d' Aristotile, come che il filosofare altro non sia che
il solo procurar d' intender questo libro e sottilizzar per difenderlo dalle sensate e manifeste esperienze e
ragioni in contrario". In effetti Aristotele era un grandissimo e attentissimo esaminatore della natura e ne
sono prova le sue opere biologiche e “se a questi secoli fosse vivo, cangerebbe molte sue opinioni“.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
7.8
Giudizi sull’operato di Galileo
L’interpretazione di Mach
E. Mach diede di Galileo l'immagine storiografica paradigmatica dell'approccio positivista: egli è il grande
osservatore che esamina con puntiglio e minuzia i fatti deducendo rigorosamente da essi le leggi. Mach non
pose in dubbio che veramente Galileo avesse compiuto le esperienze di cui si vantò, né dubitò che queste
esperienze avessero avuto il ruolo fondante di tutta la scienza galileiana: «Galileo non ha formulato una
teoria della caduta dei corpi, ma ha osservato e constatato senza idee preconcette il fatto del movimento di
caduta». Nelle procedure dello scienziato pisano non vi è spazio per ambiguità, incertezze, errori: «il metodo
di Galileo è facile, chiaro e assolutamente corretto». Per Mach Galileo fu inoltre pienamente consapevole
della rottura che la sua opera aveva prodotto rispetto al passato.
L’interpretazione di Koyré
Dal punto di vista metodologico, gli “Studi galileiani” di Koyré (Ed. Einaudi, 1976) sono il primo esempio dei
risultati conseguibili con un'analisi concettuale che mira a cogliere nei documenti storici le «intuizioni
profonde» che Galileo, al di là dei tecnicismi, intende esprimere, intuizioni che non si possono cogliere
separando artificialmente nella persona l'aspetto scientifico da quello filosofico e religioso. Così egli rifiuta
l'interpretazione dello scienziato (e di tutta la scienza seicentesca) quale prodotto di un atteggiamento
pratico-empirico che trova la sua origine negli ambienti tecnici (interpretazione di E. Mach). Su questo
presupposto, ogni immagine baconiana della scienza moderna è respinta con parole assai dure («Bacone
non ha mai inteso la scienza. È credulo e totalmente privo di spirito critico»). La grandezza di Galileo sta
altresì in una profonda intuizione: la sostituzione dello spazio concreto della fisica pregalileiana con lo spazio
astratto della geometria euclidea. Allo spazio fisicamente determinato della scienza antica e medievale, nel
quale i corpi si muovono soggetti a influenze dipendenti da un ordinamento cosmologico, con luoghi naturali
stabiliti in relazione alla loro natura materiale e con direzioni assolute, Galileo contrappone un puro spazio
geometrico, il cui ordinamento non dipende dalla cosmofisica ma solo dai teoremi di Euclide. In questo
spazio i corpi si riducono a figure geometriche che vengono dotate di gravità per consentire di introdurre il
movimento. È questa intuizione profonda dello spazio che consente l'introduzione della matematica nella
scienza e rende fruttuoso lo sperimentalismo. La trattazione dei testi galileiani mira a illustrare la tesi di
fondo: viene esaltato il ruolo della teorizzazione su quello della sperimentazione alla quale non viene
concesso alcuno spazio, arrivando anzi a dubitare che veramente Galileo perdesse tempo a condurre
esperimenti.
L’interpretazione di Cassirer
In seguito il ruolo avuto da Galileo nella storia della filosofia è stato per molti anni vincolato all'interpretazione
datane da E. Cassirer nel primo volume della sua Storia della filosofia moderna (1906, ed. it. 1978).
Secondo Cassirer, Galileo ha avuto il merito grandissimo di bandire dalla scienza la ricerca delle cause, per
concentrarsi sulle relazioni fenomeniche. Che la scienza, grazie a Galileo, sia passata dalla domanda
"perché?" alla domanda "come?" è divenuto un luogo comune nella storia della filosofia e in quella della
scienza.
L’interpretazione di Wallace
Un notevole approfondimento vi è stato negli ultimi anni sui rapporti tra Galileo e la cultura aristotelica del
Cinquecento. W. Wallace ha ricollegato i primi manoscritti galileiani pervenutici ai corsi tenuti negli anni
1587-1592 dai gesuiti del Collegio romano, dimostrando che Galileo in quel periodo stava studiando
seriamente i loro scritti. Sulla base di questa analisi Wallace ha sostenuto una visione nella quale vengono di
molto attenuati gli aspetti rivoluzionari dell'impostazione galileiana: non solo Galileo apprese dai gesuiti le
proprie conoscenze circa i caratteri del metodo ipotetico-deduttivo ma da quell'ambiente, caratterizzato da
un aristotelismo moderno che voleva recuperare tanto Euclide quanto Archimede, imparò anche l'esistenza
di una via matematica alla comprensione della natura.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
8
LA FISICA CLASSICA
“Io non so come il mondo mi vedrà un giorno. Per quanto mi
riguarda, mi sembra di essere un ragazzo che gioca sulla
spiaggia e trova di tanto in tanto una pietra o una conchiglia,
più belli del solito, mentre il grande oceano della verità resta
sconosciuto davanti a me. (Newton, Principia)
“La natura e le leggi della natura stanno nascoste nella
notte; Dio disse: Newton sia! e fu la luce” (Alexander Pope)
Newton fu un alchimista, matematico, scienziato e filosofo
inglese; pubblicò la Philosophiae Naturalis Principia
Mathematica (1687), dove descrisse la legge di gravitazione
universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i
fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre
condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello
sviluppo del calcolo differenziale. Newton fu il primo a
dimostrare che le leggi della natura governano il movimento
della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria
eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero del movimento
dei pianeti. Egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere
non solo ellittiche ma anche iperboliche e paraboliche. Newton fu il primo a dimostrare che la luce bianca è
composta da tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l'ipotesi che la luce fosse composta da particelle.
8.1
Vita ed opere di Isaac Newton
(Woolsthorpe, Lincolnshire, 1642 - Londra, 1727)
Newton nacque a Woolsthorpe-by-Colsterworth, un paese nella contea del Lincolnshire. Suo padre morì tre
mesi prima della sua nascita e, due anni dopo, sua madre andò a vivere col suo nuovo marito, lasciando suo
figlio alle cure della nonna. Fu educato alla Grantham Grammar School. Nel 1661 si iscrisse al Trinity
College di Cambridge dove aveva già studiato suo zio William Ayscough. All'epoca gli insegnamenti del
college erano basati su quelli di Aristotele, ma Newton preferiva leggere le idee più avanzate di filosofi
moderni come Cartesio, Galileo, Copernico e Keplero.
Nel 1665 scoprì il teorema binomiale e cominciò a sviluppare una teoria matematica che sarebbe diventata il
calcolo infinitesimale. Poco dopo che Newton ebbe conseguito la sua laurea nel 1665, l'università venne
chiusa precauzionalmente contro una grave epidemia che andava diffondendosi. Durante i due anni
successivi Newton lavorò a casa sul calcolo infinitesimale, ottica e forza gravitazionale.
La tradizione vuole che Newton fosse seduto sotto un albero di mele quando una mela cadde sulla sua testa
e questo gli facesse capire che la forza gravitazionale terrestre e quella celeste fossero la stessa cosa.
Questa in realtà è un'esagerazione di un episodio narrato da Newton stesso secondo il quale egli sedeva ad
una finestra della sua casa (Woolsthorpe Manor) e vide una mela cadere dall'albero. In ogni modo si ritiene
che anche questa storia è stata inventata dallo stesso Newton più avanti negli anni, per dimostrare quanto
fosse abile a trarre ispirazione dagli eventi di tutti i giorni. Uno scrittore suo contemporaneo, William
Stukeley, registrò nelle sue Memoirs of Sir Isaac Newton's Life una conversazione con Newton a Kensington
il 5 Aprile 1726, nella quale Newton ricordava "quando per la prima volta, la nozione di forza di gravità si
formò nella sua mente. Fu causato dalla caduta di una mela, mentre sedeva in contemplazione. Perché la
mela cade sempre perpendicolarmente al terreno, pensò tra se e se. Perché non potrebbe cadere a lato o
verso l'alto ma sempre verso il centro della terra."
Newton divenne un membro del Trinity College nel 1667. Nello stesso anno diffuse le sue scoperte nel De
Analysi per Aequationes Numeri Terminorum Infinitas (Sull'Analisi delle Serie Infinite), ed in seguito in De
methodis serierum et fluxionum (Sui Metodi di Serie e Flussioni), il cui titolo diede il nome al suo "metodo
delle flussioni".
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Cosmologia
Newton e Leibniz svilupparono la teoria del calcolo infinitesimale indipendentemente ed usando notazioni
differenti. Anche se Newton lavorò al suo metodo precedentemente a Leibniz, la notazione e il "Metodo
Differenziale" erano migliori e vennero generalmente adottati. Nonostante il fatto che Newton appartenesse
al gruppo dei più brillanti scienziati della sua epoca, gli ultimi venticinque anni della sua vita furono
amareggiati da una disputa con Leibniz, che lo accusava di plagio.
Fu eletto professore Lucasiano di matematica nel 1669. Questa carica lo esentò dal diventare un
ecclesiastico per rimanere membro del college e prevenì il conflitto che ci sarebbe stato tra le sue idee antiTrinitarie e l'ortodossia della chiesa.
Dal 1670 al 1672 egli si occupò ottica. Durante questo periodo egli studiò la rifrazione della luce,
dimostrando che un prisma può scomporre la luce bianca in uno spettro di colori, e quindi una lente ed un
secondo prisma possono ricomporre uno spettro di molti colori in luce bianca. Da questo lavoro concluse
che ogni telescopio rifrattore avrebbe sofferto della dispersione della luce in colori, ed inventò il telescopio
riflettore per aggirare il problema (più avanti, quando divennero disponibili vetri con diverse proprietà
rifrattive, divenne possibile costruire lenti acromatiche). Nel 1671 la Royal Society lo chiamò per una
dimostrazione del suo telescopio riflettore. Il loro interesse lo incoraggiò a pubblicare le note On Colour (Sui
colori), che più tardi arricchì nel suo lavoro Opticks (Ottica). Quando Robert Hooke criticò alcune delle idee
di Newton, egli ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico. A causa della paranoia di Newton, i due
uomini rimasero nemici fino alla morte di Hooke.
Nel suo Hypothesis of Light (Ipotesi sulla Luce) del 1675, Newton contò sull'esistenza dell'etere per
trasmettere le forze tra le particelle. Newton era in contatto con Henry More, il seguace di Platone a
Cambridge nato a Grantham, sull'alchimia, ed ora il suo interesse su questa materia rinacque. Rimpiazzò
l'etere con forze occulte basate sulle idee Ermetiche sull'attrazione e repulsione tra particelle. John Maynard
Keynes, che acquisì molti degli scritti di Newton sull'alchimia, disse che "Newton non fu il primo dell'età della
ragione: fu l'ultimo dei maghi." L'interesse di Newton nell'alchimia non può essere isolato dai suoi contributi
alla scienza. Se non avesse creduto nell'idea occulta dell'azione a distanza, attraverso il vuoto,
probabilmente non avrebbe sviluppato la sua teoria sulla gravità.
Nel 1679, Newton ritornò al suo lavoro sulla gravitazione ed i suoi effetti sulle orbite dei pianeti, in riferimento
alle leggi del movimento di Keplero, consultandosi con Hooke e Flamsteed sull'argomento. Pubblicò i suoi
risultati in De Motu Corporum (1684) che avrebbe formato in seguito i Principia.
Nel 1687 pubblica il Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (ora conosciuto come Principia) con
l'incoraggiamento e l'aiuto finanziario di Edmond Halley. In questo lavoro Newton stabilì le tre leggi universali
del movimento che non sono state migliorate per trecento anni. Egli usò la parola latina gravitas (peso) per
la determinazione analitica della forza che sarebbe diventata conosciuta come gravità, e definì la legge della
gravitazione universale. Nello stesso lavoro presentò la prima determinazione analitica, basata sulla legge di
Boyle, sulla velocità del suono nell'aria. Con i Principia, Newton venne riconosciuto internazionalmente.
Conquistò un circolo di ammiratori, incluso il matematico di origini svizzere Nicolas Fatio de Duillier, con il
quale stabilì un'intensa relazione che durò fino al 1693. La fine di quest'amicizia portò Newton ad un
esaurimento nervoso.
Negli anni 1690 Newton scrisse numerosi opuscoli religiosi sulla interpretazione letterale della Bibbia. La
fede di Henry More nell'infinitezza dell'universo ed il rifiuto del dualismo Cartesiano potrebbero aver
influenzato le idee religiose di Newton. Un manoscritto che egli inviò a John Locke nel quale metteva in
discussione l'esistenza della Trinità non fu mai pubblicato. I suoi lavori più tardi - The Chronology of Ancient
Kingdoms Amended (1728) e Observations Upon the Prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John
(1733) - furono pubblicati dopo la sua morte. Egli riteneva che le sue ricerche più impegnative le aveva
dedicate agli studi delle cronologia antica.
Egli dedicò molto tempo anche all'alchimia: in un'epoca in cui i principi della chimica non erano chiari egli
cercava di indagare sulla natura delle sostanze rifacendosi a tradizioni ermetiche ed effettuando esperimenti
successivamente relegati nella pseudoscienza dell'alchimia.
Newton fu anche un membro del Parlamento dal 1689 al 1690 e nel 1701, ma il suo solo intervento
registrato fu per lamentarsi di una corrente d'aria fredda e la richiesta che venisse chiusa la finestra. Newton
si trasferì a Londra per prendere il posto di guardiano della Zecca Reale nel 1696, una posizione che
ottenne con il patrocinio di Charles Montagu, primo conte di Halifax, poi fu Cancelliere dello Scacchiere. Si
fece carico del grande programma di nuova coniazione delle monete inglesi, seguendo il cammino di Master
Lucas (e favorendo la nomina di Edmond Halley a sovraintendente della zecca di Chester). Newton divenne
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Cosmologia
direttore della Zecca alla morte di Lucas nel 1699. Questi incarichi erano intesi come sinecure, ma Newton li
prese seriamente, esercitando il suo potere per riformare la moneta e punire i falsari. Egli si ritirò dai suoi
incarichi a Cambridge nel 1701.
Nel 1701 Newton pubblicò anonimamente una legge della termodinamica ora conosciuta come "legge di
Newton del raffreddamento" nel Philosophical Transactions of the Royal Society.
Nel 1703 Newton divenne presidente della Royal Society ed un associato della Académie des Sciences.
Nella sua posizione alla Royal Society, Newton si fece nemico di John Flamsteed, l'Astronomo Reale,
tentando di rubare il suo catalogo di osservazioni. Newton fu investito cavaliere dalla regina Anna nel 1705.
Newton non si sposò mai, né ebbe figli riconosciuti. Egli morì il 20 marzo 1727 ed il suo funerale, a cui
assistette pure un incredulo Voltaire, si svolse in pompa magna ed Isaac Newton fu inumato nella cattedrale
di Westminster accanto alle salme dei grandi d‟Inghilterra.
Opere pubblicate:
1667
1671
1675
1687
1684
1704
De Analysi per Aequationes Numeri Terminorum Infinitas
De methodis serierum et fluxionum
Hypothesis of Light
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica
De Motu Corporum
Opticks
Postume (1728): Short Chronicle, The System of the World, Optical Lectures, Universal Arithmetic, The
Chronology of Ancient Kingdoms, Amended e De mundi systemate, An Historical Account of Two Notable
Corruptions of Scripture.
8.2
I problemi dell’ottica
Uno dei campi di grande interesse fin dalla giovinezza fu per Newton lo
studio dell‟ottica; prima di lui studiosi come Cartesio o Hooke erano giunti
a conclusioni teoriche le quali riconducevano i colori a modificazioni della
luce bianca considerata semplice. Una leggenda vuole che il giovane
avesse acquistato il suo primo prisma nel 1665 presso la fiera di
Sturbridge [o Stourbridge] per compiere esperimenti proprio sulla teoria
cartesiana dell‟ottica. Cartesio infatti pensava alla luce come un fascio di
particelle rotanti su sé stesse immerse in una sostanza imponderabile
chiamata etere; modificazioni del loro moto di rotazione potevano venire
impresse alle sferette e ciò dava luogo ai colori. Come possiamo notare, la
spiegazione fornita da Cartesio si inquadra nel tentativo di ridurre ad effetti
meccanici pure l‟esperienza della visione e rientra bene a far parte di una
visione più ampia a cui aspirarono molti filosofi della natura e scienziati
fino all‟inizio del XX secolo nota sotto il nome di meccanicismo; in essa
tutte le leggi naturali relative a qualunque fenomeno potevano essere
spiegate con l‟effetto di un qualche modello meccanico. E‟ proprio Newton che, nell‟introduzione dei Principia
ne traccia una sorta di manifesto: “Mi piacerebbe poter giustificare… i fenomeni della natura… con i principi
della meccanica, poiché ho molte ragioni per sospettare che essi siano basati sull‟azione di certe forze, a
causa delle quali le particelle, di cui i corpi sono costituiti, per qualche motivo finora sconosciuto, o sono
reciprocamente attratte e si raggruppano in forme regolari, o si respingono e si allontanano”.
La teoria dell‟ottica di Hooke (il quale è tutt‟oggi ricordato per i suoi fondamentali lavori sull‟elasticità) invece
faceva riferimento ad una sorta di “tremore” il quale si propagava in un qualche mezzo e considerava, al pari
di Cartesio, come semplice la luce bianca. Newton compì con prismi e lenti tutta una serie di esperienze che
lo portarono ad essere convinto della falsità delle teorie sopra riportate ed iniziò dunque a lavorare su ipotesi
nuove che verificava tramite esperienze. In questi anni egli sviluppò e costruì quello che è oggi chiamato in
suo onore telescopio a riflessione Newtoniano e che è un telescopio costruito con specchi invece che con
lenti in modo da eliminare un fastidioso difetto proprio dei rifrattori, ossia che una lente di vetro normale ha
un fuoco lievemente differente per i diversi colori dell‟iride e ciò porta ad alterare i colori degli oggetti
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osservati. Con la riflessione un fenomeno simile non avviene e perciò l‟aberrazione cromatica (così come
viene chiamata questa fastidiosa caratteristica) è totalmente assente, a patto di riuscire a lavorare con
sufficiente precisione lo specchio principale (parabolico) in modo da ottenere un‟immagine di buona qualità.
Fu proprio per la costruzione del telescopio nel 1668 –l‟idea non era proprio originale– che egli fu eletto
fellow della prestigiosa Royal Society nel 1672, anno in cui egli pubblica per la prima volta i suoi risultati sulla
teoria dei colori. Peraltro, l‟accoglienza del suo lavoro non fu delle migliori e fu a causa della controversia
che ne nacque con Hooke che egli si dimise dalla Society e decise di non pubblicare nulla; è significativo il
fatto che bisognò attendere più di trent‟anni per vedere la pubblicazione della prima edizione di un‟altra
opera fondamentale, ossia Optiks: or, a treatise of the reflections, refractions, inflections and colour of light.
Also two treatises of the species and magnitude of curvilinear figures (1704) e che conobbe in tutto tre
edizioni, la seconda nel 1706 e la terza nel 1717.
Nell‟Optiks è esposta la teoria elaborata dallo scienziato il quale era giunto alla rivoluzionaria intuizione della
non semplicità della luce bianca, considerata da lui come la risultante della somma di tutti i colori
fondamentali dell‟iride; tale posizione gli fu suggerita da una serie di esperimenti in cui fu in grado di dividere
un fascio di luce bianca con un prisma per ottenere i vari colori i quali potevano venir rifocalizzati con un
sistema di lenti in un fascio nuovamente di colore bianco. La luce era, in sostanza, composta da un insieme
di particelle le quali si muovevano nell‟etere, una sostanza imponderabile la quale permeava ogni cosa e
poteva essere più o meno denso, senza pertanto presentare resistenza alcuna alla penetrazione dei corpi; la
presenza di un gradiente di densità dell‟etere era responsabile della deviazione di un raggio luminoso. La
storia del concetto di etere è forse la storia di uno dei più interessanti “falsi indizi” che tormentarono i sonni di
non pochi scienziati per poi essere buttato fuori dalle finestre delle aule di fisica da Albert Einstein nel 1905;
sostanza impalpabile, tese a ricoprirsi di improbabili proprietà: esso era al contempo leggero e pesante,
denso e tuttavia facilissimo da penetrare, poteva in qualche modo contrarsi e poi ritrarsi in modo bizzarro ed
altro ancora… Abbastanza per dire che la fisica odierna relativistica non ne sente la mancanza!
L‟ottica newtoniana esposta nel 1672 nell‟articolo per la Royal Society come abbiamo visto diede luogo ad
una polemica piuttosto vivace sulle nuove idee del giovane scienziato; le critiche furono di molti tipi diversi e
giunsero in gran parte da coloro che, poco interessati alle regolarità matematiche evidenziate da Newton
nelle sue osservazioni, erano più interessati a modelli qualitativi simil-cartesiani composti da sferette ed
ingranaggini che descrivessero qualitativamente il comportamento dei raggi luminosi. Posizioni diverse da
quelle dello studioso inglese erano inoltre sostenute da Christiaan Huygens (1629-1695) il quale aveva
sviluppato un‟ottima teoria ondulatoria della luce che spiegava in maniera naturale moltissimi fenomeni di
interferenza difficilmente ottenibili con la teoria corpuscolare; Newton è infatti costretto a postulare “ad hoc”
delle variazioni e rarefazioni periodiche dell‟etere.
Se i fenomeni di diffrazione alla fin fine sembrano suffragare le ipotesi ondulatorie, con l‟avvento delle teorie
quantistiche all‟inizio del XX secolo la luce iniziò a rivelare insospettate caratteristiche corpuscolari; il primo a
sospettare tali fenomeni fu nuovamente il geniale Albert Einstein in un articolo pubblicato nel 1905 a fianco
di quello sulla Relatività Speciale negli Annalen der Phisik. Il succo è che le caratteristiche ondulatorie e
corpuscolari non si mostrano mai assieme ed un modello matematico che ne descrive bene il
comportamento in determinate situazioni è stato formulato solo con la meccanica quantistica. Per il lettore
interessato, il testo [Feynman] descrive in modo semplice ma rigoroso tale modello.
8.3
Schemi sperimentali sulla
scomposizione della luce per
mezzo del prisma
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Cosmologia
Le leggi di Newton quali fondamenti della meccanica moderna
Mentre Galileo si dedicò allo studio del moto di un corpo a prescindere dalle cause che lo determinano
(cinematica, in termini moderni), Newton s‟interessò proprio alla dinamica del movimento. Affrontò questi
problemi fin dalla giovinezza e l‟8 maggio 1686 pubblicò la prima edizione del Philosophiae naturalis
principia matematica (Principi matematici della filosofia naturale); in essa venivano enunciati in maniera
chiara e rigorosa i concetti di massa, di quantità di moto, di inerzia e di forza. Oggi queste leggi vengono
definite nei libri di testo con parole diverse ma i concetti rimangono gli stessi.
La trattazione della meccanica fornita dallo scienziato ingloba ed
estende in maniera naturale i risultati di Galileo ottenuti sulla
cinematica; egli perviene in sostanza a tre enunciati (Axiomata sive
leges motus) che vengono chiamati in suo onore “leggi di Newton” o
“leggi fondamentali della dinamica”:
Lex I: Corpus omne perseverare in statuo suo quiescenti vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus
a viribus impressis cogitur statum illum mutare. Ogni oggetto permane nel suo stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme fintantochè non intervenga una forza a modificare tale stato.
Non avrete difficoltà a riconoscere nella Legge I il più famoso dei principi cinematici galileiani (vedere
paragrafo 7.3); in sostanza esso vuole dire che un qualunque oggetto, se lasciato libero di impedimenti di
qualunque genere (attriti, forze di gravità od altro), e se osservato da un sistema di riferimento inerziale, o si
trova in quiete, oppure si muove di moto rettilineo con velocità rigorosamente costante.
Lex II: Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressae, & fieri secundum lineam rectam qua vis
illa imprimitur. La variazione di un moto è proporzionale alla forza motrice applicata, forza e
accelerazione hanno sempre la stessa direzione e verso.
La Legge II lega invece la massa di un oggetto, la forza che gli è impressa e l‟accelerazione che subisce a
causa di essa:
forza = massa * accelerazione
F = ma
Essa ci fornisce inoltre una definizione rigorosa di forza, la quale è ovviamente collegata alla nostra
esperienza quotidiana: una forza è qualsiasi causa che sia in grado di far iniziare o modificare un
movimento. Nel Sistema Internazionale (la codifica delle regole che definiscono le varie unità di misura
universalmente adottate dalla comunità scientifica internazionale) l‟unità di misura della forza è chiamata
proprio “Newton” in onore del grande scienziato e corrisponde alla forza necessaria per fare accelerare un
corpo di massa un chilogrammo di un metro al secondo quadrato (1N = 1kg * m/sec 2) ed è più o meno la
forza che dobbiamo esercitare per tenere sollevato un oggetto pesante 110 grammi.
Lex III: Actioni contrariam sempre & aequalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in se mutuo
sempre esse aequales & in partes contrarias dirigi. Ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e
contraria o, ciò che è la stessa cosa, le azioni reciprocamente esercitate da un corpo su un altro
sono eguali e hanno direzione opposta.
La Legge III è invece quella che spiega il funzionamento dei motori razzo e di quelli a reazione. Proviamo a
pensare ad un asino che trascini un carretto; dal punto di vista dell‟asino c‟è una forza che gli viene
comunicata dal carretto e che lo ostacola nel moto, dal punto di vista del carretto c‟è una forza che proviene
dall‟asino e che lo spinge ad avanzare, la Legge III sancisce che queste due forze sono eguali
numericamente, hanno medesima direzione, ma verso opposto. Il motivo per cui l‟asino può trascinare il
carretto è dovuto all‟attrito, infatti gli zoccoli dell‟asino esercitano un attrito maggiore sul terreno rispetto alle
ruote del carretto che quindi rotolano consentendone l‟avanzamento. Ovvero: F a su b = - F b su a
Queste leggi sono di fondamentale importanza in quanto consentono di costruire con relativa facilità modelli
matematici validi per descrivere praticamente qualunque fenomeno meccanico.
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Cosmologia
8.4
La Gravitazione Universale
Un‟altra grandissima scoperta di Newton, che assieme alle leggi esposte lo rende responsabile della
definitiva unificazione dei fenomeni celesti con quelli terrestri, è la cosiddetta “legge di gravitazione
universale”; essa può essere enunciata come segue: la forza di attrazione gravitazionale fra due corpi è
diretta lungo la congiungente dei due ed è direttamente proporzionale al prodotto delle due masse ed
inversamente proporzionale alla distanza reciproca elevata al quadrato.
L‟idea di adottare una legge dipendente dall‟inverso dei quadrati non era a dire la verità nuova ai tempi di
Newton e sembra che egli fu portato ad adottarla grazie anche alle sue esperienze di ottica. Aveva infatti
osservato che l‟intensità della luce proiettata da una candela su uno schermo è proporzionale proprio
all‟inverso del quadrato della distanza: ad una distanza doppia l‟intensità sarà un quarto di quanto si aveva
alla distanza iniziale, ad una distanza tripla un nono e così via.
Il merito di Newton sta nell‟aver potuto applicare il suo metodo di calcolo infinitesimale a questo problema
difficilmente risolubile per altri mezzi dimostrando che le tre leggi di Keplero potevano essere ottenute
direttamente dalla sua formula che qui riportiamo:
ove G è una costante, m1 ed m2 le masse dei due corpi e d la loro distanza reciproca.
Il valore della costante G (costante di gravitazione universale) fu calcolato nel 1798 dall‟inglese Henry
Cavendish, usando una bilancia a torsione (un dispositivo molto sensibile a forze di piccolissima intensità).
Essa equivale a:
Un sasso di 1 kilogrammo di massa e la Terra si attraggono con una forza:
in questo modo otteniamo il valore dell'accelerazione di gravità:
Abbiamo così spiegato, a partire dalla legge della gravitazione universale, il ben noto valore
dell'accelerazione gravitazionale a cui sono soggetti tutti i corpi che si trovano sulla Terra.
Il grande passo in avanti sta nell‟affermare che la legge di gravitazione universale è valida per qualunque
corpo in qualunque situazione: sia esso la Luna che orbita attorno alla Terra, sia una mela che vi cade e che
è attratta dal nostro pianeta (si potrebbe dire, grazie alla Legge III che è la Terra ad essere attratta dalla
mela). Che differenza dai cieli cristallini ed immutabili difesi dai filosofi in libri che avevano combattuto
Galileo e che adesso se ne stavano tranquilli e fiduciosi della loro Verità a dispensarla dai pulpiti e dalle
cattedre universitarie pieni della loro boria! Newton con questo passo compì quello che già aveva iniziato
Galileo: il rendersi conto che le stesse leggi che valgono sulla terra valgono pure per gli altri oggetti celesti; è
questa una delle prime grandi e fondamentali unificazioni della storia della scienza: quella fra i fenomeni
terreni e celesti. Ma perché la Luna non cade sulla Terra, o la Terra stessa non si schianta sul sole? Il
motivo è che la Luna possiede una velocità iniziale rispetto alla Terra piuttosto elevata che le impedisce di
precipitarvi sopra, ma è costretta ad orbitarvi attorno indefinitamente in quanto lo spazio vuoto non le oppone
nessuna resistenza.
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Cosmologia
Il sistema solare diventa con l‟adozione delle leggi newtoniane però un oggetto abbastanza complicato, in
cui ogni pianeta interagisce non solo con il sole, ma anche con tutti gli oggetti celesti, posti a qualunque
distanza. Se fu possibile a Newton risolvere il cosiddetto problema dei due corpi, ossia trovare
un‟espressione analitica che descrivesse il moto di due oggetti dotati di massa interagenti fra di loro, è
impossibile effettuare gli stessi calcoli con solo tre corpi e bisogna fare ricorso a tecniche numeriche oggi
alla portata di un comune calcolatore da tavolo, ma che hanno frustrato in passato generazioni di valenti
matematici. Le leggi di Keplero consistevano dunque solo in un‟approssimazione valida grazie alla massa
del sole la quale è considerevolmente superiore a quella di tutti gli altri pianeti.
La teoria della gravitazione universale newtoniana permetteva inoltre di descrivere con precisione fenomeni
quali la precessione degli equinozi, fenomeno scoperto già da Plutarco e che consisteva nella lenta
rotazione dell‟asse terrestre attorno al piano dell‟eclittica e che si compie con un periodo di 26000 anni, in
tutto simile ad un fenomeno analogo osservabile facendo girare una trottola. Un altro fenomeno che veniva
così spiegato era quello delle maree, le quali risultavano dall‟influenza della Luna e del Sole sugli oceani.
Per dare un‟idea della potenza di quella che è la meccanica celeste che costituisce lo sviluppo della teoria
newtoniana compiuto da grandi matematici del XVIII e XIX secolo, si pensi che nel 1846 e nel 1930 furono
scoperti Nettuno ed Urano, pianeti del sistema solare fino ad allora ignoti, soltanto analizzando le
perturbazioni gravitazionali da loro introdotte nei confronti degli altri pianeti osservati. Al giorno d‟oggi
abbiamo a disposizione comunque un‟altra teoria che descrive gli effetti gravitazionali la cui formulazione
matematica è però molto più complessa ma è tuttavia ben più generale; essa è nota con il nome di Relatività
Generale e fu sviluppata da Albert Einstein nel 1916 come estensione della sua Relatività Speciale del 1905.
Le teorie einsteniane permisero inoltre di eliminare i concetti di tempo e spazio assoluti introdotti da Newton
per rendere consistente la propria teoria.
8.5
Conclusione
Come abbiamo visto, la figura di Newton è quella di uno scienziato geniale quanto controverso; in particolare
egli sviluppò soprattutto negli anni della maturità un atteggiamento di rifiuto degli studiosi moderni per
rifugiarsi nello studio degli Antichi. Egli si dedicò inoltre a studi approfonditi di alchimia e compose numerosi
minuziosi commenti a testi sacri ed ad opere alchemiche cercando di applicare allo studio dei testi un
metodo “scientifico” simile a quello da lui applicato nello studio della natura.
Persisteva un‟idea di fondo nel suo lavoro di studioso: egli era fermamente convinto del fatto che gli Antichi
conoscessero perfettamente la Verità e che la facessero trasparire attraverso messaggi nascosti ed
indicazioni ermetiche all‟interno dei propri testi; egli pertanto non avrebbe fatto che “riscoprire” leggi già note
la cui conoscenza si era poi perduta nel corso dei secoli per l‟imperizia dei moderni. All‟interno dell‟ottica del
rifiuto dei pensatori contemporanei, Newton abbandonò i metodi analitici cartesiani i quali avevano avuto una
parte determinante nell‟ideazione del calcolo per rifugiarsi in metodi geometrici, che erano quelli a
disposizione degli Antichi; tutte le dimostrazioni dei Principia sono espresse in questa forma, ormai desueta
e pesante per il lettore moderno. Comunque sia, fu anche grazie alla reticenza dei matematici inglesi
nell‟abbracciare le nuove forme di calcolo analitiche in virtù di un metodo geometrico, “in ottemperanza agli
insegnamenti degli antichi” che la matematica inglese rimase, come già accennato, distaccata per quasi un
secolo dagli sviluppi che avvenivano nel continente.
Le posizioni di Newton, lungi dal poter essere considerate una buona filosofia scientifica, costituivano
piuttosto una ingarbugliata miscela di teologia, metafisica ed alchimia, ma avevano se non altro il
grandissimo merito di attribuire un‟importanza primaria alla matematica nell‟investigazione dei fenomeni
naturali, posizione non molto comune all‟epoca.
Le reticenze dello studioso nel rendere pubblici i suoi lavori erano dovute in parte al suo carattere
difficilissimo, in parte alla convinzione che la sapienza dovesse essere patrimonio di pochi eletti, prospettiva
che si inquadrava abbastanza con la tradizione alchemica ed ermetica.
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Cosmologia
9
L’IDEALISMO
"La matematica e la fisica sono le due conoscenze teoretiche della ragione che debbono determinare a priori
i loro oggetti; la prima in modo del tutto puro, la seconda almeno parzialmente, dovendo tenere conto anche
di fonti di conoscenza diverse dalla ragione. Sin dai tempi più remoti a cui può giungere la storia della
ragione umana, la matematica, ad opera del meraviglioso popolo greco, si è posta sulla via sicura della
scienza. [...] È pertanto indispensabile che la ragione si presenti alla natura tenendo, in una mano, i princìpi
in virtù dei quali soltanto è possibile che i fenomeni concordanti possano valere come leggi e, nell‟altra
mano, l‟esperimento che essa ha escogitato in base a questi princìpi; e ciò al fine sì di essere istruita dalla
natura, ma non in veste di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piace al maestro, bensì di giudice che
nell‟esercizio delle sue funzioni costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge"
(Critica della ragion pura)
9.1
Vita ed opere d’Immanuel Kant
(Köenigsberg, 1724-1804)
1724 Immanuel Kant nasce a Köenigsberg, capitale della Prussia orientale (attualmente Kaliningrad), il 22 aprile, da Johann Georg
Kant (1683-1747), sellaio, e da Anna Regina Reuter: quarto di undici figli, di cui sei morti in giovane eta'. Col fratello rimasto,
divenuto pastore protestante, e soprattutto con le tre sorelle, conservera' scarsi rapporti.
1732 Entra nel Collegium Fredericianum, diretto dal pastore Franz Albert Schultz, d'indirizzo pietistico, ma aperto all'illuminismo
wolffiano. Oggetto particolare di studio, i classici latini.
1740 S'iscrive all'Universita', dove Martin Knutzen gli trasmette l'interesse per la filosofia newtoniana e per la matematica. Sei anni
dopo, conclude i suoi studi preparando i Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (Koenigsberg 1747), in cui prende posizione
nella disputa tra cartesiani e leibniziani sulla questione.
1746 Comincia l'attivita' di precettore privato presso famiglie nobili della Prussia orientale (dalla quale non s'allontanera' mai, per
tutta la vita).
1754 Risponde alla questione messa a concorso dall'Accademia di Berlino: "Se la Terra abbia subito modificazioni nel suo
movimento di rotazione"; e successivamente a un'altra: "Se la Terra invecchi".
1755 Lasciato l'insegnamento privato, inizia la carriera universitaria, ottenendo il dottorato con la dissertazione De igne e la "venia
legendi" con la Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio. Insegnera' un po' di tutto: matematica, logica,
fisica, geografia; piu' tardi filosofia, pedagogia, antropologia, psicologia. I suoi prevalenti interessi di geografia generale sono
attestati dall'uscita della Storia universale della natura e teoria del cielo (Koenigsberg-Leipzig 1755), in cui anticipa la teoria di
Laplace sulla formazione del sistema solare (senza, peraltro, attirare l'attenzione degli studiosi); nonche' dai programmi
d'insegnamento, che, tra il '56 e il '57, annunziano corsi su "la teoria dei venti".
1756 Il terremoto di Lisbona gli da' occasione per la pubblicazione di tre scritti in argomento, a cui si aggiunge la Monadologia
physica, ispirata a un dinamismo alla Boscovich, piu' che al monadologismo di Leibniz.
1758 Pubblica una Nuova teoria del moto e della quiete.
1762 Esce un saggio Sulla falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche.
1763 Escono due tra i piu' importanti scritti precritici: l'Unico argomento possibile per dimostrare l'esistenza di Dio e la Ricerca per
introdurre il concetto di quantita' negative in filosofia. Nel primo si prospetta la teoria dell'esistenza come posizione, e si afferma
che, mentre la possibilita' logica si riduce alla non contraddizione, la possibilita' reale presuppone una qualche esistenza: essendo
dunque impossibile un'assoluta non esistenza, si desume l'esistenza di un essere necessario, di cui si dimostrano poi l'unicita',
l'onnipotenza, ecc. L'argomento (che non puo' esser confuso con l'"argomento ontologico") non sara' piu' ne' ripreso ne' confutato da
Kant. Nel saggio sulle grandezze negative si fa distinzione tra la contraddizione logica e l'opposizione reale (+a Ða), analoga a quella
per cui due forze si annullano a vicenda.
1764 Pubblica la Ricerca sull'evidenza dei principi della teologia naturale e della morale, in cui mette in rilievo la differenza di
metodo tra matematica e filosofia; e le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, in cui a fondamento della morale e' posto
"il sentimento della bellezza e della dignita' della natura umana".
1766 Dopo aver tentato invano (nel '56 e nel '58) di ottenere un insegnamento universitario di ruolo, e' nominato sottobibliotecario
alla Biblioteca reale, per essersi "reso celebre con i suoi scritti". Pubblica i Sogni di un visionario chiariti con i sogni della
metafisica, l'opera in cui piu' si avvicina al punto di vista dell'empirismo inglese. Il visionario e' il mistico svedese Swedenborg, che,
tra l'altro, con la sua concezione di un paradiso non statico ma progressivo, influira' sull'idea kantiana di un perfezionamento
indefinito della moralita', a cui corrisponde un incremento indefinito della felicita'.
1768 Pubblica un saggio Sul fondamento primo della distinzione delle regioni dello spazio, in cui accetta sostanzialmente la teoria
newtoniana dello spazio assoluto, soprattutto in considerazione delle figure simmetriche incongruenti nello spazio.
1769 "L'anno '69 mi porto' una gran luce": Kant ha scoperto il principio fondamentale del suo trascendentalismo, la funzione dello
spazio e del tempo come forme che condizionano la ricezione, da parte nostra, di tutte le impressioni sensibili, e che, percio', danno
agli oggetti d'esperienza la loro struttura formale. Cio' permette di conoscere certe verita', concernenti gli oggetti, "a priori", cioe'
senza fare ricorso all'esperienza. Tali sono, per esempio, le verita' geometriche, che dipendono dalla forma dello spazio. Oltre che
una gran luce, l'anno '69 porto' a Kant una cattedra universitaria di Logica e Metafisica, ottenuta trasformando la cattedra di
Matematica del defunto pastore Langhansen.
1770 Kant inaugura il suo insegnamento con la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui espone
la fondazione trascendentale delle scienze matematiche, ma lascia aperta la questione delle scienze fisiche, che si ripromette di
risolvere in uno scritto successivo. L'attesa si prolunghera' per oltre dieci anni, perche' la questione era ardua: spazio e tempo
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Cosmologia
condizionano la forma dei fenomeni perche' sono forme recettive della sensibilita': ma come possono le forme dell'intelletto, che e' la
facolta' della spontaneita' del pensare, condizionare un oggetto che non e' prodotto dal nostro pensiero, bensi' ci e' "dato"?
1781 La Critica della ragion pura (Koenigsberg 1881), scritta in pochi mesi dopo che la teoria dello "schematismo trascendentale"
aveva permesso a Kant di risolvere il problema di cui s'e' detto, presenta al pubblico il trascendentalismo kantiano in tutta la sua
ampiezza. Le forme universali e necessarie del nostro conoscere (spazio e tempo per l'intuizione sensibile, categorie per il pensiero
intellettuale) condizionano la forma dell'oggetto per noi, cioe' del fenomeno, che, per entrare nella nostra esperienza, deve adattarsi al
nostro modo di conoscerlo. Impregiudicata e sconosciuta rimane, per contro, la struttura delle "cose in se'", cioe' considerate a parte
dal modo in cui le conosciamo; che tuttavia, non potendo entrare nella nostra esperienza, non sono, per definizione, oggetto di
conoscenza, ma solo di un pensiero vuoto. Cio' restringe l'ambito di tutto il nostro sapere all'esperienza possibile, al di fuori della
quale possono bensi' esserci idee "regolative", ma non oggetti conosciuti. In particolare vengono a cadere i tentativi di dimostrare
l'esistenza di Dio (nella quale Kant non cesso' mai di credere), nonche' di risolvere questioni che trascendono l'esperienza possibile,
come quella della liberta'.
1783 Con i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorra' presentarsi come scienza Kant riespone la fondazione trascendentale
della Critica in senso rovesciato: dall'esistenza di una matematica e di una fisica, come scienze, si risale alle condizioni che rendono
queste scienze possibili. L'esistenza della metafisica non puo', per contro, esser data per scontata. Ma l'intenzione di Kant e' di
mostrare impossibile solo la metafisica dogmatica, non preceduta dall'esame dei limiti del nostro conoscere intrapreso dalla Critica.
Compiuto questo esame, una metafisica come scienza sara' possibile muovendo da quelle strutture a priori che non dipendono
dall'esperienza perche' (al contrario) la condizionano.
1784 Nella "Berlinische Monatsschrift" escono l'Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico e la Risposta alla
domanda: che cos'e' l'Illuminismo? Kant professa una fede nel progresso basata non sui dati dell'esperienza, ma sul fatto che cercare
il progresso e' un dovere, e una fede nella liberta' di pensiero, che non contrasta con l'obbedienza alle direttive dell'autorita', le quali
possono essere discusse liberamente dai dotti, ma non eluse.
1785 Oltre alla Fondazione della metafisica dei costumi, escono scritti Sui vulcani della luna, Sull'illegalita' della contraffazione di
libri, Sulla determinazione del concetto di razza umana e due recensioni, abbastanza aspre, alle Idee sulla filosofia della storia
dell'umanita' di Herder.
1786 I Principi metafisici della scienza della natura espongono quella che, per Kant, e' la "metafisica come scienza", cioe' la dottrina
a priori delle strutture intellettuali su cui si fonda la fisica (in base al principio della Critica, che l'"intelletto e' il legislatore della
natura"). Gli scritti brevi, che escono via via, continuano a interessare soprattutto la filosofia morale: Che cosa significa "orientarsi
nel pensare"?; Congetture sull'origine della storia; una recensione al Saggio sul principio del diritto naturale di G. Hufeland. La
fama di Kant comincia a espandersi, e ne e' un segno anche la nomina a rettore, per un biennio.
1787 Esce la seconda edizione della Critica della ragion pura: interamente rifatta la parte riguardante la "Deduzione trascendentale"
delle categorie.
1788 Esce la Critica della ragion pratica, in cui i temi della Fondazione del 1785 sono trattati con piu' rigore, e pienamente
coordinati con i principi della filosofia speculativa di Kant.
1790 La Critica del Giudizio (cioe', propriamente, della "facolta' di giudicare") prende in esame i principi a priori del giudizio
estetico (fondato sul "libero gioco" delle nostre facolta' conoscitive, per cui un oggetto sensibile prodotto dall'immaginazione si
presenta "come se" fosse stato costruito in modo da soddisfare alle esigenze dell'intelletto) e del giudizio "teleologico", riguardante,
cioe', la finalita' nella natura. Quest'ultimo concetto, a differenza dei "concetti puri dell'intelletto" o categorie, non condiziona il
costituirsi stesso dell'oggetto per noi, quindi non condiziona il costituirsi della natura: ma la natura non puo' essere da noi pensata se
non "come se" fosse costruita in vista di fini: altrimenti non riusciremmo a concepire interamente la sua unita'. Importante lo scritto
polemico contro il leibniziano Eberhard: Su una scoperta per cui ogni nuova critica della ragion pura sarebbe resa inutile da una
critica anteriore.
1792 Pubblica un articolo Sul male radicale, il cui tema sara' ripreso nel libro sulla religione dell'anno successivo.
1793 La religione entro i limiti della semplice ragione descrive la lotta del principio buono della moralita' con il principio cattivo
delle inclinazioni (laicizzazione del concetto di peccato originale). La religione, che si pretende rivelata, e' un semplice mezzo per
educare gli uomini alla moralita', la cui vittoria sara' il vero avvento del "regno di Dio". Il libro, dapprima vietato, poi permesso a
Jena e giunto presto alla seconda edizione, procuro' a Kant l'ingiunzione del governo di "usare meglio il suo ingegno" e di astenersi
dallo scrivere di religione. Kant si professo' obbediente; ma, dopo la morte di Federico Guglielmo II, tornera' sull'argomento nel
Conflitto delle Facolta' (1798). Importante lo scritto contro il Garve: Sul detto comune: "questo puo' essere giusto in teoria ma non
vale per la prassi".
1795 "Per la pace perpetua" e' un titolo che Kant trae da una insegna di osteria, che rappresentava un cimitero: lo scetticismo su
questo ideale e', pero', corretto dalla fede pratica nel miglioramento morale dell'umanita', che compare anche in un altro scritto
(postumo), Se l'umanita' sia in costante progresso verso il meglio.
1797 Esce in due volumi ("Principi metafisici della dottrina del diritto" e "Principi metafisici della dottrina della virtu'") la Metafisica
dei costumi: controparte etica della metafisica della natura esposta nel 1786. Essa traccia il quadro di tutti quei fini che sono, al tempo
stesso, doveri: quei fini, cioe', che la forma stessa della legge morale m'impone di volere. Essi sono, in breve, tutti quei fini che
conferiscono alla mia perfezione e all'altrui felicita'. Particolarmente importante la parte sul diritto, cioe' sulla legislazione esterna,
che limita la liberta' di ciascuno, in modo da renderla compatibile con la liberta' di tutti gli altri. In risposta a un articolo di Benjamin
Constant, scrive Sul presunto diritto di mentire per umanita'.
1798 Esce l'Antropologia dal punto di vista pragmatico e Il conflitto delle Facolta'. Contro il Nicolai (esponente della "filosofia
popolare") scrive Sulla fabbricazione di libri.
1800 Escono, a opera di uno scolaro (Jaesche), le lezioni di Logica, a cui seguiranno nel 1802-1803 le lezioni di Geografia fisica e di
Pedagogia (a opera di Rink).
1801 La salute di Kant peggiora rapidamente: egli lamenta una forma di "coma vigil" o insonnia continua, e diminuiscono le sue
capacita' di coordinazione. Interrompe di fatto la stesura di un'opera (cominciata nel 1796) "Sul passaggio dai principi metafisici
della scienza della natura alla fisica", che doveva rappresentare una revisione e il culmine di tutta la sua filosofia trascendentale; e si
dimette dal Senato accademico.
1804 Muore il 12 febbraio, mormorando: Es ist gut ("Sta bene"). Sulla sua tomba saranno iscritte le parole della Critica della ragion
pratica: "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me".
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Cosmologia
9.2
Introduzione
La Dissertazione del 1770
Il suo primo scritto rilevante è stato composto per ottenere la cattedra di
logica e metafisica all‟Università del suo paese. In quest‟opera egli pone le
prime base della sua critica, ovvero la distinzione tra conoscenza sensibile
(dovuta alla ricettività del soggetto e riguardante il fenomeno) e la
conoscenza intellettuale (facoltà del soggetto e riguardante il noumeno). In
secundis, egli definisce i principi di spazio e tempo come intuizioni a priori,
cioè non derivate dall‟esperienza.
Il criticismo
Kant ama criticare, ovvero giudicare, interrogarsi sui fondamenti delle esperienze umane, chiarendone le
possibilità, la validità ed i limiti. Ma lungi dall‟essere pessimista, Kant traccia i limiti alla ragione umana, per
garantirne la validità. Da un punto di vista storico, Kant eredita le scoperte della rivoluzione scientifica, la
crisi della metafisica aristotelica, le critiche alla ragione degli empiristi inglesi, ma soprattutto usa i principi
illuministi, non per analizzare l‟uomo, bensì la ragione stessa. Possiamo dire insomma che Kant abbia
raccolto le materie più accusate e traballanti del tempo (matematica, fisica e metafisica) e le abbia ri-fondate
su un piano più stabile.
… citazioni in corsivo tratte dalla “Critica alla Ragion Pura”
Gnoseologia di fondo
“Benché ogni conoscenza cominci con l‟esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente
dall‟esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la nostra stessa conoscenza empirica sia la somma delle
impressioni ricevute e di qualcos‟altro che la mente aggiunge da sola..” Secondo Kant, ogni attività
intellettuale inizia per uno stimolo esterno, ma viene poi in parte completato da concetti non derivati dai 5
sensi. Ora, tutte le frasi che pensiamo, diciamo e scriviamo, sono giudizi (predicato di un soggetto). I giudizi
si distinguono in:
1. sintetici (ampliativo): aggiungono informazioni non derivabili dal soggetto (Io ho 18 anni)
2. analitici (esplicativo): analizzano una o più caratteristiche del soggetto (L‟uomo ha due gambe)
I quali possono essere a loro volta distinti in:
1. a posteriori: derivati dall‟esperienza, in quanto accumulo di sensazioni
2. a priori: insiti nei nostri ragionamenti, non derivati da stimoli esterni
Gli unici giudizi ad interessare Manuelino saranno quelli “sintetici a priori”, ovvero tutti i predicati che
ampliano la nostra conoscenza di un oggetto, senza ricorrere all‟esperienza (principi della scienza).
9.3
Oggetto e fenomeno
La rivoluzione copernicana
Per spiegare la provenienza di questi giudizi sintetici a priori, Kant elabora tutto un nuovo sistema del sapere
basato su materia e forma, non più degli oggetti fisici (come in Aristotele), bensì della conoscenza. La
materia sarà quindi l‟insieme caotico di tutte le impressioni sensibili dell‟esperienza, mentre le forme (a priori
nella mente umana) saranno i criteri con cui ordiniamo queste sensazioni per trarne concetti e giudizi.
Dato che queste forme a priori sono innate ed eterne, non sono smentibili dall‟esperienza, poiché questa ci
giungerà sempre filtrata da queste forme.
Oggetto e fenomeno, Matrix e realtà
Il noto film Matrix riprende in qualche modo la filosofia kantiana, quando mostra la netta differenza tra il
mondo che appare ai nostri occhi (per volere delle macchine) e il mondo reale di tutt‟altre caratteristiche.
Kant infatti afferma che la realtà è composta di oggetti che noi non saremo mai in grado di vedere e
conoscere veramente. Noi infatti percepiamo un oggetto secondo quelli che sono i nostri standard recettivi
(somma dei 5 sensi e dei concetti a priori), ottenendo così solo il fenomeno dell‟oggetto, ovvero il rapporto
che s‟instaura tra noi e quello. Ma se per caso riuscissimo a confrontare le nostre impressioni con quelle di
un marziano di un medesimo oggetto, risulterebbero profondamente diverse, e nessuno dei due saprebbe
mai la verità. Per questo Kant è scusato quando impone dei limiti alla ragione umana, egli infatti è tutt‟altro
che pessimista, vuol soltanto garantire quel poco di verità che l‟uomo può percepire, almeno nella ristretta
cerchia del popolo umano.
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Cosmologia
Dottrina del metodo e degli elementi
Kant tripartisce la conoscenza umana in:
1. sensibilità: ciò che intuiamo degli oggetti attraverso i sensi, ovvero i fenomeni
- usa a priori i concetti di tempo e spazio
2. intelletto: facoltà con cui associamo i concetti alle intuizioni
- usa a priori le 12 categorie
3. ragione: spiegazione della realtà al di là dell‟esperianza, mediante le idee di anima, Dio e mondo.
Il concetto di trascendentale
Secondo Kant (riprendendo la terminologia scolastica medioevale) è trascendente tutto ciò che precede
l‟esperienza e che per nulla è da essa derivata.
Problema di Kant
Possiamo ora definire il problema di Manuelino, ovvero l‟indagine di quella parte di conoscenza umana che
contiene i principi per conoscere qualcosa a priori (Critica alla ragion pura).
9.4
Estetica trascendentale
Spazio e tempo
Quando riceviamo passivamente sensazioni dagli oggetti, in realtà li collochiamo attivamente in due
dimensioni, che Kant chiama senso esterno e interno. Lo spazio è definito esterno in quanto dipende dalla
successione temporale. Il tempo è interno poiché non dipende da nessuno ma è un concetto a priori insito
nella mente umana. Kant ribatte quindi alle precedenti teorie degli empiristi (secondo cui erano concetti
derivati dall‟esperienza) e degli oggettivisti (che li considerava come recipienti vuoti e a sé stanti) dicendo ai
primi che la primissima esperienza del neonato già era influenzata da questi concetti, ai secondi che non ha
senso immaginare nella realtà due recipienti che possono non contenere alcun oggetto reale.
“Lo spazio non rappresenta affatto una proprietà di qualche cosa in sè, o le cose nel loro mutuo rapporto;
ossia non é una determinazione di esse, che appartenga agli oggetti stessi, e che rimanga anche se si
faccia astrazione da tutte le condizioni soggettive dell' intuizione. Infatti nè le determinazioni assolute, nè
quelle relative possono esser intuite prima dell' esistenza delle cose alle quali appartengono, e quindi a
priori. Lo spazio non é altro se non la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cioè la condizione soggettiva
della sensibilità, condizione alla quale soltanto ci é possibile un' intuizione esterna. [...] Poichè le condizioni
particolari della sensibilità non possiamo renderle condizioni della possibilità delle cose, ma solo dei loro
fenomeni, così possiamo dire, che lo spazio abbraccia tutte le cose che possono apparirci esternamente, ma
non tutte le cose in se stesse, siano esse intuite o no, e da qualsivoglia soggetto.” (Estetica Trascendentale)
“Il tempo non é qualcosa che sussista per se stesso o aderisca alle cose, come determinazione oggettiva , e
che perciò resti, anche astrazion fatta da tutte le condizioni soggettive delle intuizioni di quelle: perchè nel
primo caso sarebbe qualcosa che, senza un oggetto reale, sarebbe tuttavia reale . Per quanto riguarda il
secondo caso, come determinazione o ordine inerente alle cose stesse, non potrebbe precedere gli oggetti
come loro condizione, ed esser conosciuto e intuito a priori per mezzo di proposizioni sintetiche. Cosa che
invece ha luogo, se il tempo non é altro che la condizione soggettiva per cui tutte le intuizioni possono
accadere in noi. Infatti allora questa forma delle intuizioni interne può essere rappresentata a priori, cioè
prima degli oggetti. Il tempo non é altro che la forma del senso interno, cioè dell' intuizione di noi stessi e del
nostro stato interno. Infatti, il tempo non può essere una determinazione di fenomeni esterni : non appartiene
nè alla figura, nè al luogo, ecc.; determina, al contrario , il rapporto delle rappresentazioni del nostro stato
interno. [...] Il tempo é la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale. [...] Se posso dire a priori:
tutti i fenomeni esterni sono determinati a priori nello spazio e secondo relazioni spaziali ; posso anche,
movendo dal principio del senso interno, dire universalmente: tutti i fenomeni in generale, cioè tutti gli oggetti
dei sensi, sono nel tempo, e stanno fra di loro necessariamente in rapporti di tempo.”
(Estetica Trascendentale)
Matematica e geometria
Le due scienze che meglio sfruttano questi due concetti a priori sono la matematica e la geometria. Queste
sono due scienze sintetiche, in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante le 4 operazioni, e a priori,
poiché alcuni loro teoremi valgono universalmente e necessariamente, indipendentemente dall‟esperienza.
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Cosmologia
9.5
Logica trascendentale
L’intelletto
Kant definisce l‟intelletto come la “facoltà delle regole” ovvero l‟insieme dei criteri (categorie) che mi
permettono di ordinare le intuizioni sensibili (percezioni) e formare così i singoli concetti (rappresentazioni
mentali delle intuizioni).
La logica trascendentale
La logica altro non è che la scienza del pensiero. Mentre la logica generale (fondata da Aristotele e accettata
da Kant nell‟ambito sensibile) è composta da quei criteri che ho dedotto dalla realtà sensibile (pura se
astratta dalle leggi sensibili, applicata se usata nella realtà), al contrario la logica trascendentale comprende
tutti quei concetti che possono essere attribuiti a priori a qualsiasi intuizione.
Ragionamento di logica generale pura: se A è uguale a B, allora B è uguale ad A.
Ragionamento di logica generale applicata: se ti lanci giù da un ponte, morirai.
Analitica dei concetti
Esattamente come si è ricercato i sensi a priori nell‟estetica, ora bisognerà cercare i concetti a priori nella
logica. Dovremmo quindi cercare tutti quei concetti che:
1. non dipendono dall‟esperienza
2. non seguono le leggi della sensibilità
3. non sono derivati o composti di più parti
Bisogna sottolineare che al contrario di Aristotele, che associava alle categorie prime una verità
gnoseologica e ontologica, Kant ribadisce che l‟essere delle cose non posso apprenderlo, e che tali
categorie risiedono nell‟intelletto ed hanno unicamente verità gnoseologica.
Giudizi e categorie
Secondo Kant usare la testa, ragionare, comprendere, pensare per concetti, significa giudicare, dare giudizi.
Il giudizio è quindi la somma di più concetti logicamente connessi tra loro. L‟esempio: il cane è contento
perchè arriva il suo padrone, perciò scodinzola, è l‟unione logica dei concetti di cane, padrone, contentezza
e scodinzolamento. Per trovare i criteri di connessione logica, basterà catalogare tutti i tipi di concetti che
sono in grado di creare e associare a ciascuno di essi un principio primo che lo rappresenti. Questi concetti
primi (che sono anche i criteri di connessione logica di tutti gli altri concetti) vengono chiamati concetti
fondamentali trascendentali ovvero categorie. Puri sono quindi quei concetti a cui non resta nulla di
sensibile, empirico o contingente. Kant afferma molto presuntuosamente e senza svelare il suo
procedimento, di averli individuati tutti, compilando il suo specchietto:
Il principio di causalità
Prendiamo un esempio: “Il burro sul tavolo si sta sciogliendo perché ci batte il sole”. Con le mie brave
categorie ho distinto dai vari concetti: il burro, il tavolo, il sole, il fenomeno dello scioglimento. Posso dire
(usando il senso esterno a priori, lo spazio) che il burro è sul tavolo, ma come faccio a collegare al fenomeno
dello scioglimento del burro il concetto di sole? Le categorie non mi bastano, o meglio non si tratta ora di
modificare la mia intuizione per dargli forma, si tratta proprio di ragionare, dedurre qualcosa… Il principio
causale è proprio dell‟intelletto, viene usato come “un timbro su tutte le intuizioni sensibili”.
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Cosmologia
La deduzione trascendentale
Kant intende per deduzione trascendentale “la spiegazione del come i concetti a priori possano riferirsi
[sempre oggettivamente] agli oggetti”. Infatti, ora che abbiamo scoperto i concetti a priori, ci chiediamo se sia
legittimo e giustificato il loro uso sulle impressioni. Infatti, che cosa ci garantisce di diritto che la natura
obbedirà alle categorie, manifestandosi nell‟esperienza secondo le nostre maniere di pensarla? Il
ragionamento è facilissimo: siccome per prendere coscienza di una qualsiasi intuizione, devo usare l‟io
penso, e quest‟ultimo si serve delle categorie per ordinare le sensazioni, ecco che le categorie saranno
sempre valide per tutte le intuizioni. Rimane ora da definire esattamente l‟io penso.
9.6
L’ “io penso”
L’io penso
Se ben ricordiamo, il “concetto” altro non è che l‟insieme di molte intuizioni, logicamente connesse mediante
le categorie. Facendo ora un esempio informatico, possiamo dire che la nostra testa sia un computer, esso
riceve le informazioni grezze (intuizioni) dai dischi floppy, e la CPU le elabora attraverso alcuni programmi
pre-installati (categorie). Il processore di questo computer corrisponde a quello che Kant chiama “principio
dell‟unità sintetica originaria dell‟appercezione” (io penso) dell‟intelletto. In virtù di questa caratteristica,
l‟uomo prende coscienza delle intuizioni, ordinandole logicamente attraverso le categorie e trasformando il
molteplice di intuizioni in un unico giudizio.
Ora, siccome “l‟esperienza è conoscenza mediante percezioni connesse [logicamente tramite le categorie],
le categorie risultano condizioni della possibilità dell‟esperienza [poiché determinano tutti i modi possibili in
cui appare un giudizio], e valgono pertanto a priori per tutti gli oggetti dell‟esperienza.”.
L’analitica dei principi
Ora che abbiamo definito in uno schema e giustificato le categorie, ci rimane da chiarire il criterio con il quale
posso applicare questi concetti a priori ai fenomeni. Con la deduzione trascendentale, abbiamo capito come
le categorie valgano sempre e comunque per ogni tipo di fenomeno, con l‟io penso ci ha detto come
prendere coscienza delle intuizioni, ma non ci ha detto quale sia nel concreto quell‟unità mediatrice tra
l‟intelletto ed il mondo sensibile, quel canale d‟informazione privilegiato che permette a tutto il mondo
intelligibile della nostra testa, di cogliere effettivamente intuizioni sensibili. Insomma, cosa c‟è tra i 5 sensi e
l‟io penso? Kant risolve dicendo che l‟intelletto, non potendo agire direttamente sui fenomeni, agisce sulle
forme dell‟intuizione (più precisamente sul tempo). O meglio, l‟intelletto legge la dimensione tempo, secondo
certi schemi trascendentali, corrispondenti ciascuno ad una categoria. Per fare un esempio, la figura del
cane, per essere colta da me, deve adattarsi alle forme dell‟intuizione (dimensioni spazio e tempo), se una di
queste ha ricevuto dall‟intelletto certe determinazioni, la figura del cane, per poter diventare figura per me,
deve assumerle a sua volta. In sostanza il fenomeno, per essere percepito, deve necessariamente adattarsi
al nostro modo di pensare, così che il risultato finale sarà, molto probabilmente lontano dalla realtà, ma
anche l‟unico possibile per le miei capacità.
Schematismo trascendentale
Vediamo ora da vicino in cosa consiste l‟azione dell‟intelletto sulla forma temporale dell‟intuizione. L‟azione
in sé è detta “schematismo” ed il prodotto risultante “schema trascendentale”.
Prima soluzione (Jannacchione)
Abbiamo detto che l‟intelletto non riesce ad applicare direttamente le categorie alle rappresentazioni
sensibili, crea allora delle immagini sensibili delle categorie (schemi trascendentali) attraverso una sua
particolare capacità (immaginazione produttiva). Ad esempio io non posso applicare direttamente al concetto
di fagioli il concetto a priori di quantità, avrò bisogno del suo schema, cioè del numero [di fagioli]. Allo stesso
modo non posso applicare al concetto di bellezza la categoria di qualità, avrò bisogno del suo schema di
grado [di bellezza].
Seconda soluzione (Vignola):
devo disegnare un cerchio, quindi devo prima immaginarlo. Nella mia memoria è conservato il concetto
geometrico di circonferenza come “il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto dato”.
L‟intelletto non ha prodotto nessuna immagine di circonferenza, ha solo assegnato una regola per la sua
produzione. Sarà ora l‟intuizione a tracciare una linea, tutta equidistante dal centro, producendo l‟immagine
della circonferenza, che io riprodurrò sulla lavagna con il gesso. Lo schema è dunque la regola assegnata
dall‟intelletto all‟immaginazione - intuizione per produrre il cerchio. Non è l‟immagine prodotta del cerchio, ma
il criterio con cui tracciare tutti i possibili cerchi, secondo le informazioni contenute in un concetto.
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Cosmologia
Il processore analizza un file (concetto), crea il comando (schema), lo passa alla scheda grafica (intuizione)
per produrre sullo schermo (realtà) un cerchio. Ora, esattamente come per i concetti qualsiasi e quelli
trascendentali, esisteranno anche degli schemi trascendentali da assegnare a priori all‟esperienza, e ve ne
saranno tanti quante sono le categorie.
9.7
L’isola in mezzo al mare
Soluzione all’aporia di Hume
Ecco che Kant è riuscito a sconfiggere lo scetticismo di Hume. Quest‟ultimo infatti affermava che in un
qualsiasi momento l‟esperienza avrebbe potuto smentire la scienza, quindi avrebbe reso vana ogni nostra
conoscenza, mentre Kant fonda tutte le conoscenze della scienza fisica su una struttura necessaria a priori,
cosicché l‟intelletto non possa mai sbagliare. “Insomma se l‟intelletto non riesce a spiegare tutti i fenomeni,
tanto vale che sia l‟intelletto a sceglierne la forma, così risolviamo il problema” (Vignola).
Ripresa del concetto di noumeno
Ma la filosofia di Kant va ben oltre questa stupida affermazione del Vignola. L‟originalità della sua filosofia
consiste non solo nel fondare la validità del sapere sul soggetto, ma anche nell‟aver definito le possibilità ed i
limiti del nostro intelletto. Kant ha infatti detto che le categorie funzionano solo in rapporto al materiale che
organizzano, risultano cioè operanti e utili solo in relazione al fenomeno. Ma se non ho nessun fenomeno da
analizzare, le categorie non hanno motivo d‟essere. Il nostro conoscere (basato appunto sulle categorie) non
può estendersi al di là dell‟esperienza, in quanto ne risulterebbero solo pensieri vuoti. Esempio: non posso
pensare un cane senza percepire il fenomeno di cane, altrimenti penserei ad un cane vuoto della sua
caninità. La mia testa è in fondo un insieme di concetti, ma se non riesco ad applicarli a nessun fenomeno,
non potrò creare alcun giudizio. La cosà in sé (noumeno) non può quindi divenire, per definizione, oggetto di
un‟esperienza possibile, non trattandosi del suo fenomeno.
L’isola in mezzo al mare
Ci siamo accorti che l‟analitica trascendentale (che parla dell‟intelletto) non basta più. Dobbiamo ricorrere
alla dialettica trascendentale (sulla ragione). Ma guardiamoci un attimo intorno per vedere cosa abbiamo
scoperto finora. “Al punto in cui siamo giunti abbiamo non solo percorso il territorio dell'intelletto puro,
considerandone accuratamente ogni parte, ma l'abbiamo altresì misurato, assegnando il suo posto a ogni
cosa. Ma questo territorio è un'isola che la natura ha racchiuso in confini immutabili. L il territorio della verità
(nome seducente), circondato da un ampio e tempestoso oceano, in cui ha la sua sede più propria la
parvenza, dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci, in corso di liquefazione, creano a ogni istante
l'illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido
di nuove scoperte,lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare
una volta per sempre. Prima di affrontare questo mare, per esplorarlo in tutta la sua estensione e per
stabilire se vi sia qualche speranza fondata, sarà bene dare un ultimo sguardo alla carta del territorio che ci
proponiamo di abbandonare, chiedendoci in primo luogo se sia possibile accontentarci di ciò che essa
contiene, o se non dobbiamo accontentarcene per forza, per il fatto che non si dà altrove terreno su cui sia
concesso edificare; e in secondo luogo per chiederci a qual titolo possediamo questo territorio, e in qual
modo possiamo preservarlo da ogni pretesa nemica. Benché abbiamo già dato sufficiente risposta a queste
domande nel corso dell'Analitica, un colpo d'occhio generale alle soluzioni date potrà rinsaldare la nostra
convinzione in proposito, riunendo in un sol punto i mute-voli aspetti della questione.” (B 294 s.)
Con questa immagine Kant dice che l'intelletto può comprendere soltanto l'isola, le cose empiriche: solo su
quest'isola esso è al sicuro, e non la può abbandonare. I rilevamenti sull'isola hanno dimostrato che gli
strumenti di misurazione (percezione sensibile, categorie e schemi) sono utilizzabili soltanto per l'esame dei
fenomeni presenti sull'isola stessa. Per l'intelletto, questo uso è il limite che esso non può superare. Gli
strumenti di misurazione non possono essere usati per ciò che si colloca al di là dei fenomeni; in altre parole,
questi strumenti non sono adatti all'esplorazione dei banchi di nebbia e dei ghiacci in corso di liquefazione
che vagano sull'«oceano della parvenza». Kant dà all'isola e all'oceano due nomi che resteranno importanti
anche per la sua filosofia pratica. L'isola è il mondo del fenomeno (ossia: di ciò che appare); l'oceano è il
mondo della cosa in sé, ovvero del noumeno (ossia: di ciò che viene pensato). Questo noumeno può, anzi
deve essere pensato, ma non è possibile conoscerlo.
Perché Kant non è un idealista empirico ?
Secondo gli idealisti empirici, la realtà sarebbe composta di sole rappresentazioni mentali. Per Kant, dietro
ad ogni fenomeno sussiste la cosa in sé, quindi esiste una qualche forma di realtà. Non posso conoscerla,
ma in qualche modo ho la certezza che esiste. Vediamo come.
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
9.8
Dialettica trascendentale
Dialettica trascendentale
Dopo ore e ore di studio sui ragionamenti intellettuali, ho scoperto e delineato i limiti della mia conoscenza.
Proprio perché li ho scoperti, ho un‟innata curiosità di vedere cosa c‟è oltre a questi limiti, esattamente come
l‟astronauta vorrebbe conoscere cosa c‟è al di là dell‟Universo. Ecco che tutti i filosofi di ogni paese ed
epoca si sono scannati a dare le loro infondate risposte. Kant ritiene non soltanto che sia impossibile
spiegare la realtà in sé, ovvero al di là del fenomeno, quindi dell‟esperienza, ma impiega pure tutta una parte
della sua opera per descrivere gli errori commessi dai filosofi precedenti.
Tre idee trascendentali
Con l‟intento sopra citato, la ragione umana (terza ed ultima parte della nostra conoscenza) tende ad
unificare i dati del senso interno (tempo) mediante l‟idea di anima, ovvero l‟idea della totalità assoluta dei
fenomeni interni, ad unificare i dati del senso esterno (spazio) mediante l‟idea di mondo, l‟idea della totalità
assoluta dei fenomeni esterni, e ad unificare dati interni ed esterni insieme mediante l‟idea di Dio, inteso
come idea fondamentale di tutto ciò che esiste. L‟errore di tutti i filosofi della metafisica è stato quello di
connettere queste tre idee ad altrettante realtà. Ad ogni realtà corrisponde ovviamente un ramo della
scienza: psicologia, cosmologia, teologia (ovvero la ricerca delle prove dell‟esistenza di Dio).
Critica alla psicologia razionale
Il ragionamento errato della psicologia è di applicare la categoria di sostanza all‟io penso, trasformandolo in
una realtà permanente chiamata anima. Tale operazione è definita da Kant “paralogismo”. Ma l‟io penso non
è un oggetto empirico, bensì è un‟unità a cui non possiamo applicare alcuna categoria poiché, oltre ad
essere sconosciuta, è anche formale, e le categorie si applicano solo alle intuizioni.
Critica alla cosmologia razionale
Osservando la storia della cosmologia si scoprono coppie di affermazioni che tendono ad annullarsi
reciprocamente, chiamate da Kant “antinomie”. Le tesi vengono quindi contraddette da antitesi. Se infatti le
tesi vengono dimostrate valide mediante il procedimento per assurdo, allo stesso modo è possibile
dimostrare la validità delle antitesi. Kant elenca quattro antinomie, che vertono:
1. sull‟infinità del mondo
2. sulla semplicità dei suoi elementi
3. sull‟esistenza di una causa prima
4. sulla dipendenza di un essere necessario
Critica alle prove dell’esistenza di Dio
Kant raggruppa tutte le prove addotte dai filosofi precedenti, per dimostrare l‟esistenza di Dio, in tre classi:
1. la prova ontologica (risalente ad Anselmo da Aosta, ripresa da Cartesio) dice che Dio, in quanto
essere perfettissimo, poiché riunisce in sé tutto quanto, non può certo mancare dell‟attributo
dell‟esistenza. Kant sostiene che l‟esistenza va dedotta dall‟esperienza, non è possibile trasformarla
in un predicato e ottenerla così dalla logica. La prova è così impossibile se da un‟idea si vuol far
derivare una realtà, contradditoria se si pensa che la realtà sia già insita nell‟idea.
2. la prova cosmologica (risalente a S. Tommaso d‟Aquino) dice che se qualcosa esiste deve anche
esistere un essere assolutamente necessario. Kant obbietta che non posso derivare l‟esistenza di
qualcosa incausata dallo stesso principio di causa, che serve soltanto a connettere logicamente i
fenomeni.
3. la prova fisico-teologica secondo cui se esistono le leggi ordinatrici della natura deve per forza
esistere un ente legislatore. In questo modo però questo supremo architetto dovrebbe anche essere
il muratore della nostra casa, diventando così causa dell‟ordine del mondo e causa dell‟essere
stesso. Ricadendo così nella prova cosmologia e ontologica, già distrutte.
Conclusione
La metafisica come scienza è impossibile perché la "sintesi a priori" metafisica presuppone un intelletto
intuitivo che noi non possediamo; oltre i limiti dell'esperienza sensibile l'uomo non può andare, dal punto di
vista scientifico. Esiste però un altro ambito in cui il "noumeno" è accessibile, almeno come "possibilità":
quest'ambito è quello dell'etica; bisogna dunque passare dall'ambito teoretico a quello pratico.
"Ho dovuto sopprimere il sapere per far posto alla fede"
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
9.9
Schema concettuale
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
79
Cosmologia
10
LA FISICA MODERNA
“In questa breve opera mi propongo di presentare un quadro più che
possibile esatto della teoria della relatività a quei lettori che, senza avere
una specifica preparazione in fatto di fisica teorica, tuttavia abbiano per
questa teoria un interesse filosofico e scientifico generale.” (Einstein)
10.1
Vita ed opere di Albert Einstein
(Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955)
Albert Einstein, fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu
probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della
relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e
l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando
la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni
giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che
produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a
dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la
famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un
anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e,
concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900.
Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di
Berna.
Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole;
pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel
primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via
sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo
studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce;
egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò
che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse
proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hn, dove E rappresenta l'energia della
radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e n è la frequenza. Questa
affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali
o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché
circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i
quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita
per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i
pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale
presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie
scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne
offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia
rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri
fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di
realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al
termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo
internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a
tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi
pacifici. Il mondo fu un po‟ più piccolo quando morì, a Princeton, nel 1955.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione
divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in
collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989) in collaborazione con
Sigmund Freud.
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Jacopo Filippo Vignola
80
Cosmologia
10.2
Crisi della fisica classica
10.2.1 La velocità della luce
Per tentare di misurare la velocità della luce, Galileo si recò di notte sulle colline toscane con un assistente.
Entrambi avevano una lampada con un otturatore: uno dei due doveva sollevare l'otturatore e l'altro,
sistemato a una certa distanza, avrebbe sollevato il suo non appena ricevuto il segnale luminoso. Dal ritardo
nel ricevimento della luce di ritorno da parte del primo osservatore, conoscendo la distanza tra le due
postazioni, Galileo sperava di poter stimare la velocità della luce.
In realtà Galileo, che tra l'altro non poteva ancora disporre di accurati strumenti di misura degli intervalli di
tempo, trovò che il ritardo misurato era dovuto al tempo di reazione umano per sollevare l'otturatore. Oggi
sappiamo che, dato il valore altissimo della velocità della luce, il ritardo che Galileo sperava di poter
misurare è dell'ordine di un milionesimo di secondo!
L’esperimento di Fizeau
Per una misura accurata della velocità della luce si
dovettero aspettare due secoli e il lavoro di Armand
Fizeau, che nel 1843 ingegnosamente riuscì a misurare in
laboratorio la velocità della luce che si propagava nell'aria
tra due ruote dentate in rapida rotazione. Il metodo fu poi
perfezionato da Jean Foucault, e dallo stesso Fizeau che
procedette a misurare la velocità della luce nell'acqua,
trovandola ridotta in misura proporzionale all'indice di
rifrazione dell'acqua. La crisi del concetto tradizionale di
relatività maturò vent'anni più tardi, con la scoperta da
parte dello scozzese James Clerk Maxwell delle
equazioni regolanti la propagazione del campo
elettromagnetico.
10.2.2 Il vento d'etere
Le equazioni di Maxwell dimostrano in modo inequivocabile che la luce consiste di onde elettromagnetiche di
altissima frequenza. Secondo la convinzione corrente dell'epoca – condivisa dallo stesso Maxwell – il campo
elettromagnetico non era altro che un modo fenomenologico molto preciso e compatto per descrivere le
deformazioni, le tensioni interne e la propagazione ondosa di un mezzo ipotetico chiamato "etere", e
riconducibile storicamente alla "quintessenza" aristotelica (la parola "etere" deriva dal greco "aivqw", brillare,
usato da Aristotele per descrivere la sostanza da cui dovevano essere formate le stelle). La luce doveva
propagarsi nell'etere in modo analogo a quello in cui il suono si propaga nell'aria. L'etere doveva essere una
sostanza enormemente plastica e leggerissima, poiché il moto dei pianeti intorno al Sole (che doveva
avvenire ad alta velocità attraverso l'etere stesso) non ne veniva affatto rallentato, come dimostrato
dall'accordo tra le previsioni delle leggi di Newton e le osservazioni astronomiche. Poiché la luce attraversa
anche il vetro e i materiali più densi, inoltre, l'etere doveva permeare anche i corpi solidi. E poiché la velocità
della luce è altissima, circa un milione di volte quella del suono, l'etere doveva anche essere un mezzo
rigidissimo, dotato cioè di enorme elasticità. Armand Fizeau, con i suoi esperimenti del 1849 sulla
propagazione della luce nell'acqua in movimento, aveva inoltre dimostrato che l'etere doveva essere almeno
parzialmente trascinato da un mezzo rifrangente in moto. Fizeau era riuscito a misurare la differenza tra la
velocità della luce che si propagava nella stessa direzione dell'acqua e quella che si propagava in direzione
opposta, trovando una formula empirica che descriveva molto bene le osservazioni, ma che nessuno
riusciva a spiegare sulla base della teoria corrente basata sulla propagazione della luce nell'etere.
La crisi del concetto di etere sarebbe precipitata con l'esperimento di Michelson e Morley. Progettato proprio
al fine di dimostrare l'esistenza dell'etere e il suo influsso sulla propagazione della luce (su cui i due
scienziati, come quasi tutti all'epoca, non avevano alcun dubbio), l'esperimento clamorosamente non diede
invece alcun risultato. L'etere si dimostrò non osservabile. All'inizio del Novecento, Henri Poincaré mise in
evidenza le carenze della visione tradizionale della propagazione della luce. Poi, in modo più completo e
sistematico, Einstein risolse il problema adottando il nuovo approccio della teoria della relatività. Il postulato
di Einstein della costanza della velocità della luce, implicitamente, faceva diventare superfluo il concetto di
etere. L'ottica e l'elettromagnetismo diventavano soggetti allo stesso principio di relatività valido per i
fenomeni della meccanica. Le osservazioni di Fizeau potevano venire spiegate sulla base della nuova regola
relativistica per la composizione delle velocità, come dimostrato da Max von Laue nel 1907.
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Jacopo Filippo Vignola
81
Cosmologia
10.3
Relatività ristretta
La prima pubblicazione con cui Einstein presentò la sua teoria della relatività ristretta fu l'articolo apparso nel
1905 sulla rivista "Annalen der Physik" e intitolato "Zur Elektrodynamik bewegter Körper"
(Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento). Per "ristretta" (o "speciale") si intende che la teoria era limitata
alla descrizione di osservatori in moto uniforme, cioè a velocità costante, gli uni rispetto agli altri, e non
considerava i sistemi di riferimento non inerziali, in cui sono presenti accelerazioni dovute a forze esterne al
sistema.
Ecco come Einstein enuncia il Principio di relatività nelle prime frasi dell'articolo del 1905:
"È noto che l'elettrodinamica di Maxwell – così come la comprendiamo attualmente – quando viene applicata
ai corpi in movimento, porta ad asimmetrie che non paiono essere intrinseche ai fenomeni. Si prenda, per
esempio, l'azione elettrodinamica reciproca di un magnete e di un conduttore. Il fenomeno osservabile, qui,
dipende soltanto dal moto relativo del conduttore e del magnete, laddove la visione tradizionale traccia una
netta distinzione tra i due casi in cui l'uno oppure l'altro di questi corpi è in moto. Infatti, se il magnete è in
moto e il conduttore è a riposo, nelle vicinanze del magnete sorge un campo elettrico con una certa energia
ben definita, che produce una corrente nelle posizioni in cui si trovano le parti del conduttore. Ma se il
magnete è stazionario e il conduttore è in moto, nelle vicinanze del magnete non sorge alcun campo
elettrico. Nel conduttore, tuttavia, troviamo una forza elettromotrice alla quale di per sé non corrisponde
alcuna energia, ma che dà origine – supponendo l'eguaglianza del moto relativo nei due casi in discussione
– a correnti elettriche che hanno la stessa direzione e intensità di quelle prodotte nel caso precedente dalla
forza elettrica. Esempi di questo tipo, insieme ai tentativi senza successo di scoprire un qualsiasi moto della
Terra rispetto al 'mezzo leggero', suggeriscono che i fenomeni dell'elettrodinamica, come quelli della
meccanica, non posseggano alcuna proprietà corrispondente all'idea di riposo assoluto. Suggeriscono
piuttosto che, come è già stato dimostrato al prim'ordine di quantità piccole, le stesse leggi
dell'elettromagnetismo e dell'ottica saranno valide per tutti i sistemi di riferimento per i quali valgono le
equazioni della meccanica. Eleveremo questa congettura (che in quanto segue chiameremo 'Principio di
relatività') allo status di postulato, e introdurremo anche un altro postulato, che soltanto apparentemente è
inconciliabile con il precedente, vale a dire, che la luce si propaga sempre nello spazio con una precisa
velocità c che è indipendente dallo stato di moto del corpo che la emette. Questi due postulati sono
sufficienti per il raggiungimento di una teoria semplice e coerente per l'elettrodinamica dei corpi in
movimento basata sulla teoria di Maxwell per i corpi stazionari. L'introduzione di un 'etere luminifero' si
dimostrerà superflua, nel senso che la visione che sarà sviluppata qui non richiederà uno 'spazio
assolutamente stazionario' dotato di proprietà speciali, né assegnerà un vettore velocità ad alcun punto dello
spazio vuoto in cui hanno luogo i processi elettromagnetici."
06/02/2007
Jacopo Filippo Vignola
82
Cosmologia
10.3.1 La luce non cambia mai velocità
La velocità della luce cui si fa normalmente riferimento è quella che corrisponde alla propagazione delle
onde elettromagnetiche nel vuoto. Per esempio la luce visibile, le onde radio o i raggi X rivelati sulla Terra
dagli osservatori astronomici, e che sono stati emessi da oggetti cosmici lontani, hanno attraversato a
questa velocità (approssimativamente 300.000 km/secondo) gli spazi intergalattici. La velocità della luce che
attraversa la materia è inferiore a quella nel vuoto, e inversamente proporzionale all'indice di rifrazione del
mezzo considerato. Nell'acqua, per esempio, la velocità della luce si riduce a circa 230.000 km/secondo; nel
vetro, a circa 200.000 km/secondo. È questa la velocità a cui vengono trasmessi i dati trasmessi lungo le
linee di telecomunicazione a fibre ottiche. In particolare, sebbene la teoria della relatività stabilisca che la
velocità della luce nel vuoto è insuperabile, la riduzione della velocità della luce nell'attraversare la materia fa
sì che possano esistere particelle che, in un dato materiale, si muovono a velocità superiore a quella della
luce in quel materiale. Tale fenomeno è stato rivelato per primo dal fisico russo Cerenkov, che osservò
l'effetto, simile per molti versi all'onda d'urto di un velivolo supersonico, di particelle in moto a velocità
superluminali (che ora va sotto il nome di "effetto Cerenkov"). Le prime misure della variazione della velocità
della luce attraverso diversi materiali risalgono alla metà dell'Ottocento, quando il fisico francese Armand
Hippolyte Fizeau, dopo aver ottenuto un'accurata misura nell'aria, costruì un'ingegnosa apparecchiatura per
misurare non soltanto la velocità della luce nell'acqua, ma anche la sua variazione al variare della velocità
dell'acqua attraversata. La formula empirica ottenuta da Fizeau trovò spiegazione soltanto con l'avvento
della teoria della relatività speciale di Einstein. Il postulato di Einstein, secondo cui la velocità della luce nel
vuoto non cambia con la velocità della sorgente, era ispirato dalla presenza della costante c, indipendente
dal sistema di riferimento adottato, nelle equazioni dell'elettromagnetismo derivate dallo scozzese James
Clerk Maxwell.
Il postulato, oltre a essere giustificabile a posteriori sulla base della coerenza interna della teoria di
Einstein e della riconosciuta validità delle sue previsioni, ha ricevuto nel frattempo numerose conferme
sperimentali, per esempio dall'osservazione astronomica delle stelle binarie. Nei sistemi binari in cui una
stella più piccola ruota rapidamente intorno a una stella più grande, l'immagine della stella piccola appare
infatti nitida, al telescopio, durante tutte le fasi dell'orbita, sia quando la stella si sta allontanando da noi,
sia quando si sta avvicinando. Se la velocità della luce emessa variasse con la velocità della stella
relativa a noi, riceveremmo in ogni dato istante segnali luminosi emessi dalla stella durante fasi diverse
della sua orbita, e dovremmo invece osservare un'immagine diffusa e indistinta.
10.3.2 La velocità della luce non si può sommare
Secondo la fisica tradizionale e la visione della relatività di Galileo e di Newton, le velocità di oggetti in moto
relativo si sommano quando cambia il sistema di riferimento da cui viene osservato il moto. Per esempio, se
su un treno c'è un controllore che corre a velocità v verso la testa del treno, mentre il treno si muove (rispetto
a noi) a una velocità u , noi vedremo il controllore muoversi con una velocità V data dalla somma (u + v).
Con la teoria della relatività, invece, Einstein ha scoperto che la formula classica per l'addizione delle
velocità deve essere modificata. Secondo Einstein, l'addizione di due velocità dà sempre un risultato minore
della loro somma. Questo effetto, assolutamente impercettibile quando le velocità in gioco sono quelle della
nostra vita quotidiana, diventa importante quando le velocità sono paragonabili a quelle della luce.
Per esempio, se due aerei viaggiano in direzioni opposte e ciascuno si muove rispetto al terreno a 500
km/h, secondo la fisica classica ciascuno dei due piloti vedrà l'altro aereo avvicinarsi a 1000 km/h.
Secondo la relatività, invece, ciascun pilota vedrà l'altro aereo avvicinarsi a 999,9999999999999 km/h : la
differenza, chiaramente, è irrilevante a tutti gli effetti pratici. Consideriamo invece due astronavi, ciascuna
delle quali si muove (rispetto, per esempio, alla Terra) con una velocità di 0,5c , cioè metà della velocità
della luce. Secondo la fisica classica, ciascun pilota vedrà l'altra astronave avvicinarsi a (0,5c + 0,5c),
cioè alla velocità della luce. Secondo la relatività, invece, ciascun pilota vedrà l'altra astronave avvicinarsi
soltanto a 0,8c , cioè soltanto all'80% della velocità della luce.
La formula relativistica per la composizione delle velocità è tale che la risultante di due velocità è sempre
minore della loro somma. In particolare, se una delle due velocità da sommare è la velocità della luce, la
velocità risultante sarà sempre uguale alla velocità della luce. Questa formula è dunque coerente con il
principio sopra descritto, secondo cui la velocità della luce è una costante universale.
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Jacopo Filippo Vignola
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Cosmologia
10.3.3 Simultaneità relativa
Il dissincronismo, o relatività della simultaneità, è da molti punti di vista l'effetto-chiave della teoria della
relatività ristretta, ed è la conseguenza più impressionante del postulato di Einstein secondo cui la velocità
della luce non cambia mai, per chiunque la osservi. Il primo a mettere in discussione la nozione di
simultaneità propria della fisica classica (e del senso comune) fu Henri Poincaré, che in un articolo del 1898
intitolato "La misura del tempo" scriveva tra l'altro: "Noi non abbiamo alcuna intuizione diretta per quanto
riguarda l'uguaglianza di due intervalli di tempo. Coloro che ritengono di avere questa intuizione sono vittime
di un'illusione." La teoria di Einstein va fortemente contro l'intuizione basata sull'esperienza quotidiana,
ammettere infatti che non sia possibile una definizione univoca e assoluta del concetto di simultaneità,
significa infatti ammettere che il tempo non scorre allo stesso modo per tutti gli osservatori, che il tempo
assoluto non esiste. Storicamente, molte delle obiezioni che rallentarono il processo di accettazione della
teoria di Einstein risalgono proprio al carattere rivoluzionario – rispetto alla descrizione newtoniana della
natura – di questa implicazione della relatività.
Una delle conseguenze più immediate della relatività della simultaneità è il fatto che, per un osservatore
in moto, gli eventi verso cui si dirige sembrano avvenire prima degli eventi da cui si allontana.
Consideriamo per esempio la seguente situazione: su un aereo in volo da Milano a Roma il pilota,
esattamente a metà strada, invia un simultaneamente un segnale radio a Roma e uno a Milano, e le torri
di controllo di Roma e Milano rispondono immediatamente con un messaggio radio al pilota. Dal punto di
vista di chi sta a terra, chiaramente, l'arrivo dei segnali del pilota a Roma e a Milano sarà simultaneo, e
così pure le due risposte. Per il pilota, invece, che durante il tragitto dei suoi segnali si è spostato un po'
verso Roma, le due risposte non sono simultanee: gli arriverà prima la risposta di Roma, poi quella di
Milano. Il tutto, naturalmente, è conseguenza dell'aver supposto, con Einstein, che la velocità di tutti i
segnali radio sia sempre la stessa, indipendentemente dallo stato di moto di chi li invia. In conclusione,
noi siamo in grado di provare scientificamente che il segnale è stato lanciato nello stesso istante
“terrestre” da entrambe le stazioni, ma saremo anche costretti ad ammettere che sull‟aereo li abbiamo
registrati in momenti diversi. Ecco quindi che dobbiamo definire due linee temporali di riferimento, una
“terrestre” ed una “dell‟aeroplano”.
10.3.4 La dilatazione dei tempi
In un sistema di riferimento che si muove rispetto a noi, il tempo scorre a rilento; non si tratta di un effetto
apparente ma di una conseguenza reale e misurabile della relatività ristretta. Per chi sta in quel sistema,
naturalmente, tutto pare procedere a ritmo normale, poiché anche gli "orologi interni" dei sistemi biologici
battono in ritardo. Il ritardo degli orologi sui satelliti artificiali dovuto alla dilatazione dei tempi prevista dalla
relatività speciale è misurabile.
L'effetto di dilatazione dei tempi fu proposto per primo da Hendrik Antoon Lorentz, il quale aveva interpretato
i risultati di Michelson e Morley invocando un effetto del vento d'etere su tutte le misure convenzionali di
spazio e tempo. In base ad alcune ipotesi non irragionevoli sulle forze elettromagnetiche, Lorentz dimostrò
che il vento d'etere doveva produrre un accorciamento dei corpi lungo la direzione del vento, e doveva
anche alterare il ritmo degli orologi, anzi di qualsiasi sistema fisico con attività elettromagnetica, compresi i
sistemi biologici. Il "Principio degli stati corrispondenti" di Lorentz continua, in sostanza, ad ammettere
l'esistenza dell'etere e di un sistema di riferimento privilegiato a esso ancorato, pur se non rivelabile
attraverso esperimenti di natura elettromagnetica. Questa posizione contrasta, ovviamente, con la relatività
galileiana e richiede correzioni alle trasformazioni di Galileo. Queste correzioni, le "trasformazioni di
Lorentz", si rivelarono quantitativamente esatte e furono portate a nuova vita da Einstein, che le dedusse dai
postulati della sua teoria della relatività. Nel 1904 Henri Poincaré, che da tempo aveva espresso scetticismo
sull'obiettività del concetto di simultaneità e sull'esistenza stessa dell'etere, cercò di superare le limitazioni
della teoria di Lorentz proponendo che venisse data dignità di variabile fisica a un "tempo locale", dipendente
dall'osservatore. L'approccio di Einstein nel 1905 differisce in modo sostanziale da quello di Lorentz ed è più
vicino a quello di Poincaré: in particolare, Einstein ritenne insoddisfacente la conclusione lorentziana
secondo cui, miracolosamente, l'etere esisteva ma aveva proprietà tali da renderlo inosservabile, e ritenne di
dover privilegiare la conservazione del Principio di relatività galileiano, in una versione estesa a
comprendere i fenomeni elettromagnetici.
Einstein affermò che la dilatazione dei tempi è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità del sistema di
riferimento considerato. Per un oggetto che si muovesse alla velocità della luce (eventualità peraltro esclusa
dalla teoria di Einstein), il tempo non scorrerebbe affatto. Il tempo non è una grandezza assoluta.
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Jacopo Filippo Vignola
84
Cosmologia
Un esempio: poniamo il fatto che un uomo in bicicletta (10 km/ora) e un altro che guidi una macchina
(100 km/ora) vedano passare un treno che viaggi a 200 km/ora. All'uomo in bicicletta sembrerà che il
treno vada più veloce rispetto a lui di quanto non lo sia per l'uomo in macchina. Questi vedrà il treno
andare più lento di quanto non l'abbia visto il ciclista. Tutto questo perché il treno non ha una velocità
assoluta, ma relativa all‟osservatore. Ma cosa succede quando la sua velocità diventa assoluta rispetto al
moto del ciclista e dell'autista? Essi vedono il treno muoversi alla stessa velocità, ne consegue che
l'autista dovrà rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" col ciclista e concordare con lui sulla velocità
dei vagoni. A sua volta il ciclista dovrebbe rallentare il suo tempo per "sincronizzarsi" con una persona
ferma, ipoteticamente seduta ai lati della strada.
Questo l'esempio che permette di capire il significato della relatività temporale: se la velocità è data dal
rapporto tra distanza percorsa e tempo di percorrimento, qualora ponessimo la velocità come una costante
universale, necessariamente saranno le altre due grandezze a mutare in modo da concordare con la velocità
assoluta della luce. Ogni persona si trova così a vivere un tempo diverso in rapporto alla velocità che
percorre: all'aumento della velocità, il tempo personale rallenta, e questo per mantenere salda la velocità
assoluta della luce.
Per evidenziare questo effetto si usa illustrare il paradosso dei gemelli: se uno dei due gemelli viaggia su
un'astronave a velocità relativistiche (prossime a quelle della luce) attraverso lo spazio, al suo ritorno
sulla Terra risulterà più giovane di suo fratello. Questo perché il gemello "terrestre" ha viaggiato nello
spazio alla velocità propria del pianeta Terra, enormemente più bassa rispetto alla velocità dell'astronave
sulla quale viaggiava il fratello, che ora risulta più giovane. Il tempo dell'astronave era diverso da quello
della Terra, i due gemelli hanno vissuto una dimensione temporale diversa.
10.3.5 La contrazione delle lunghezze
Il primo a suggerire l'ipotesi di un accorciamento dei corpi nella direzione del loro movimento fu l'irlandese
George Francis FitzGerald, che la propose come possibile soluzione all'enigma creato dai risultati (nulli)
dell'esperimento di Michelson e Morley. L'accorciamento delle distanze, secondo FitzGerald, aveva alterato i
percorsi dei fasci di luce nell'esperimento, cancellando esattamente l'effetto di sfasamento dovuto al vento
d'etere che si intendeva misurare. L'ipotesi di FitzGerald venne ripresa da Lorentz, che la giustificò sulla
base della teoria, allora corrente, che voleva i corpi materiali composti da particelle dotate di cariche opposte
e tenute insieme da forze elettromagnetiche: se queste forze sono propagate dall'etere e quindi risentono del
vento d'etere, allora è plausibile che anche la forma dei corpi dipenda dal loro stato di moto nell'etere. Il
lavoro di Lorentz portò alla formulazione del "Principio degli stati corrispondenti", enunciato in formule (le
"trasformazioni di Lorentz" da un sistema di riferimento a un altro) che riguardavano sia le lunghezze che gli
intervalli di tempo. Le formule di Lorentz furono poi riderivate da Einstein come immediata conseguenza dei
postulati della relatività ristretta, e venne così confermata la conclusione secondo cui un oggetto in moto è
tanto più accorciato quanto maggiore la sua velocità. Nell'interpretazione di Einstein, ciò non aveva nulla a
che fare con la presenza e con le bizzarre proprietà dell'ipotetico etere. Per quanto riguarda le conseguenze
della contrazione delle lunghezze (o "contrazione di Lorentz-FitzGerald", come viene ancora spesso
chiamata), va notato che essa si accompagna sempre agli altri effetti concomitanti della relatività ristretta, la
dilatazione dei tempi e la relatività della simultaneità.
Ciò significa, per esempio, che su un'astronave capace di viaggiare a velocità relativistica non soltanto il
tempo scorrerebbe più lentamente, ma anche le distanze da percorrere apparirebbero ridotte. Comunque
si guardi la situazione, è chiaro che l'astronave potrebbe percorrere quelle che a noi (fermi a Terra)
appaiono distanze enormi in tempi che, per l'equipaggio dell'astronave, potrebbero essere molto brevi.
Nel caso limite di un oggetto che potesse viaggiare alla velocità della luce, il tempo non scorrerebbe
affatto e la distanza da percorrere si ridurrebbe a zero: per l'equipaggio, partenza e arrivo sarebbero
simultanei. L'equipaggio stesso, peraltro, sarebbe contratto in misura infinita nella direzione del moto.
Se si avesse a disposizione un anello sospeso nello spazio di un diametro che non permettesse ad
un'astronave di passargli attraverso, qualora l'astronave aumentasse abbastanza la velocità in modo da
contrarre le proprie dimensioni, riuscirebbe in velocità ad attraversarlo, evento che non accadrebbe se
fosse quasi ferma. Tuttavia la contrazione delle lunghezze sarebbe avvertita soltanto dall'equipaggio
dell'astronave, e non da un osservatore immobile sull'anello. Tali stupefacenti effetti, pur contraddicendo
il senso comune, sono una necessaria conseguenza della stretta connessione tra massa ed energia.
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Cosmologia
10.3.6 Spazio e tempo secondo Einstein
Fin dal primo lavoro di Einstein sulla relatività, nel 1905, emerse chiaramente una nuova visione della natura
in cui spazio e tempo non potevano più venire considerati come entità indipendenti. Nella teoria della
relatività ristretta, l'entità fondamentale è lo spazio-tempo (o "continuo spazio-temporale"), una geometria
nuova la cui precisa struttura fu poi stabilita nel 1907 da Hermann Minkowski, già professore di Einstein al
Politecnico di Zurigo (all'epoca, Minkowski era stato assai poco impressionato dalla svogliatezza dell'allievo;
ma dopo la pubblicazione della teoria della relatività, ne divenne uno dei più accesi sostenitori e divulgatori).
I fenomeni nello spazio-tempo possono venire descritti in infinite maniere, diverse ed equivalenti, dagli
osservatori inerziali. Alcune variabili fisiche hanno lo stesso valore per tutti gli osservatori, e sono quindi
assolute: per esempio la distanza spazio-temporale tra due eventi, che generalizza la distanza dello spazio
tridimensionale. Molte altre variabili, invece, sono relative: per esempio (contrariamente al senso comune) la
lunghezza di un oggetto o l'intervallo di tempo tra due eventi, come abbiamo già visto. Lo spazio-tempo
rappresenta una realtà assoluta, non relativa, che viene vista sotto prospettive diverse dai diversi
osservatori.
Un esempio dell'intercambiabilità di spazio e tempo secondo la teoria della relatività si ha considerando la
seguente affermazione: “due eventi che per un osservatore avvengono nello stesso luogo ma in istanti di
tempo diversi, per un altro osservatore in generale avverranno in luoghi diversi"
È facile convincersi che essa è vera, ispirandosi alla vita quotidiana: per esempio, se pranzo nel vagoneristorante di un treno, consumerò le diverse portate nello stesso luogo ma in tempi diversi. Per chi mi
osserva da terra, però, consumo le portate non soltanto in tempi diversi, ma anche
in luoghi diversi.
10.3.7 Massa = energia !
Nella teoria di Einstein, la massa di un corpo è una delle grandezze fisiche relative: appare cioè diversa a
diversi osservatori inerziali. Le trasformazioni di Lorentz garantiscono che l'equivalenza massa-energia sia
valida per qualsiasi osservatore, ma è importante notare che per ciascun oggetto esiste una massa minima,
irriducibile: la cosiddetta "massa a riposo", che è quella misurata in un sistema di riferimento in cui l'oggetto
è fermo. Per tutti gli altri osservatori, la massa dell'oggetto è maggiore: all'aumentare della velocità
aumenterà infatti anche la massa dei corpi. All'approssimarsi della velocità della luce, la massa di un corpo
tende all'infinito, quindi, per spostarsi, avrebbe bisogno di una quantità infinita di energia, il che sarebbe
impossibile.
Queste conseguenze derivano dal fatto che ogni oggetto ha una massa, e la massa equivale ad energia. Se
all'aumentare della velocità dei corpi il tempo rallenta e lo spazio si contrae, i calcoli di Einstein dimostrano
anche che l‟aumento della massa è proporzionale all'energia che serve a muovere il corpo stesso. Per
approssimarsi alla velocità della luce i corpi hanno bisogno di sempre più energia, e questa si traduce in
massa: ecco perché avvicinandosi di molto alla velocità della luce, l'energia che serve all'impresa tende a
crescere all'infinito in prossimità del limite invalicabile, ovvero la velocità della luce, e con il crescere
dell'energia aumenta anche la massa.
Un‟altra conseguenza altrettanto importante è la possibilità di convertire una massa nucleare in energia, che
può avvenire sia con la disintegrazione (fissione) di nuclei pesanti quali quello dell'uranio, sia con la fusione
di nuclei leggeri quali quelli degli isotopi dell'idrogeno. Nel primo caso, la scissione del nucleo è facilitata
dalla sua instabilità e può essere catalizzata bombardandolo con neutroni. Il nucleo d'uranio scompare, e
appaiono prodotti di fissione formati da nuclei più piccoli e da altri neutroni. La somma delle masse a riposo
dei prodotti finali risulta minore della massa a riposo del nucleo di uranio. La differenza di massa è soltanto
un millesimo della massa totale, e si ritrova come energia cinetica dei frammenti. In questa conversione, 1
grammo equivale a circa 25 milioni di chilowattora. Le reazioni di fusione nucleare sono ancora più efficienti
(con una conversione che può raggiungere lo 0,7% della massa totale) ma sono più difficili da innescare, in
quanto coinvolgono nuclei stabili che si respingono elettrostaticamente. Lo stesso meccanismo di
conversione di massa in energia è in atto nelle semplici reazioni chimiche, dove però la massa convertita è
una frazione minuscola del totale.
L‟uguaglianza tra massa ed energia è espressa dalla nota formula E=mc² (E = Energia, m = massa, c =
costante, o velocità della luce)
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Cosmologia
Riassumendo: partendo dal postulato per cui la velocità della luce è costante, nonché assoluta rispetto
spazio e tempo, aprì una serie di stupefacenti implicazioni, riassunte in questi tre concetti:
1. il tempo diventa relativo: per oggetti in moto il tempo risulta rallentare;
2. anche lo spazio diventa relativo: gli oggetti in movimento subiscono una contrazione della loro
lunghezza;
3. l'eguaglianza tra massa ed energia: nessun corpo può eguagliare o superare la velocità della luce.
Per i tre principi fin qui esposti risulta che un corpo che viaggia alla velocità della luce si contrae talmente
tanto da risultare invisibile e da non essere esteso nello spazio, che il suo tempo è talmente rallentato da
essere immobile e che la sua massa è talmente grande da risultare infinita.
10.4
Relatività generale
10.4.1 Il principio di equivalenza
L'episodio di Galileo che lascia cadere oggetti di peso diverso dalla Torre di Pisa è probabilmente falso: ma
è certo che già Galileo, e dopo di lui Newton, avevavo consapevolezza del fatto (assolutamente
sorprendente) che la massa inerziale e quella gravitazionale degli oggetti sono uguali.
"Me ne stavo seduto nell'ufficio brevetti di Berna quando all'improvviso ho pensato: se una persona cade
liberamente, non sentirà il proprio peso. Questo semplice pensiero mi ha fatto un'impressione profonda, e mi
ha dato l'impulso verso una teoria della gravità." Così Einstein ricorda "il pensiero più felice della vita",
l'illuminazione del 1907 che avrebbe portato alla sua nuova e rivoluzionaria interpretazione dell'antica
osservazione empirica dell'equivalenza della massa inerziale e di quella gravitazionale degli oggetti.
Leggende a parte, la vera motivazione che spinse Einstein a lavorare tra il 1908 e il 1915 alla formulazione
di una nuova teoria geometrica della gravità, rifletteva la sua fede scientifica (ma anche estetico-filosofica)
nella semplicità e nell'unitarietà delle leggi della natura. In mancanza di altre indicazioni, Newton si era
accontentato di supporre che la gravità fosse un'interazione trasmessa tra i corpi a distanza,
istantaneamente. Per Einstein, una volta chiarito con la relatività speciale che esiste una velocità massima
per la propagazione delle informazioni (la velocità della luce), questa supposizione non era più sufficiente,
né accettabile.
10.4.2 La curvatura dello spazio
Secondo Einstein, i corpi si muovono lungo traiettorie il più possibile rettilineee all'interno di un continuo a
quattro dimensioni, lo spazio-tempo. I campi gravitazionali sono allora, secondo Einstein, una
manifestazione della curvatura dello spazio: le masse non "attirano" le altre masse; piuttosto, distorcono lo
spazio intorno a sé, e nello spazio distorto le traiettorie dei corpi diventano curve, e i corpi subiscono
accelerazioni che noi interpretiamo come il risultato dell'esistenza di una forza. La sintesi più efficace della
teoria della relatività generale è stata data dal fisico americano John Archibald Wheeler: "Lo spazio dice alla
materia come muoversi; la materia dice allo spazio come curvarsi".
Einstein non è stato il primo a prevedere fenomeni come quello della curvatura della luce in un campo
gravitazionale. Newton, per esempio, riteneva che la luce fosse formata da corpuscoli (per curiosa ironia
della storia questa idea newtoniana, che era poi stata soppiantata dalla descrizione ondulatoria della luce, fu
riportata in auge proprio dall'articolo di Einstein del 1905 sull'effetto fotoelettrico). Secondo Newton, quindi, la
luce come ogni altro corpo avrebbe risentito della forza di gravità. La teoria della relatività generale permise
però a Einstein di effettuare nuove e più corrette stime quantitative dell'ammontare effettivo previsto per la
deviazione della luce. Questi calcoli di Einstein vennero confermati dalle misure fatte da Dyson, Eddington e
altri nel 1919, in occasione di un'eclisse totale di sole. Durante l'eclisse fu possibile misurare con grande
precisione i tempi della scomparsa e della riapparizione di una stella nascosta dal dico solare. A causa della
deviazione della luce, si sapeva che la stella doveva rimanere visibile (prima e dopo l'occultamento) più a
lungo di quanto si sarebbe previsto in base alle sole leggi del moto classiche. I ritardi osservati risultarono in
completo accordo con le previsioni di Einstein. Le osservazioni del 1919, che ebbero immediatamente
enorme risonanza, confermarono agli occhi del mondo la validità della relatività generale. Einstein, per
quanto lo riguardava, non aveva più alcun dubbio al proposito. Per lui, il momento decisivo era stato
parecchi anni prima, quando aveva usato la sua teoria per calcolare un piccolo effetto astronomico (la
precessione dell'orbita del pinatea Mercurio) che da secoli era considerato anomalo in quanto non veniva
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Cosmologia
spiegato dalla teoria di Newton. Quando Einstein scoprì che la sua teoria forniva con estrema accuratezza la
soluzione del problema, la sua eccitazione fu tale che "per tre giorni trovai completamente impossibile
lavorare o fare qualsiasi altra cosa".
10.4.3 Conseguenze della Relatività generale
La relatività generale implicava quindi altre tre importanti conseguenze:
1. Nello spazio tridimensionale le orbite dei corpi ci appaiono curve perché incurvate dalla massa dei
corpi più grandi, mentre nello spazio quadridimensionale le orbite mantengono una traiettoria retta
(lo spazio quadridimensionale è lo spazio tridimensionale con l'aggiunta del tempo). Le orbite
ellittiche sono quindi la proiezione tridimensionale di orbite rettilinee quadridimensionali.
2. Anche i raggi di luce si incurvano assieme allo spazio, in prossimità di una massa la luce viene
deviata dalla gravità (effetto che è la base della teoria dei buchi neri);
3. In prossimità di una massa anche il tempo subisce una distorsione e rallenta. Grazie alla relatività
generale si è potuto correggere la durata della rivoluzione di Mercurio, la massa del sole rallenta,
seppur di poco, il tempo di rivoluzione previsto dai calcoli di Newton.
10.4.4 Storie di buchi neri
Sebbene il termine "buco nero" sia stato coniato in questo secolo, l'idea che possano esistere stelle così
massicce da impedire perfino la fuga della luce verso l'esterno non è nuova, anzi risale alla fine del
Settecento.
Nel 1784 il reverendo John Michell, riferendosi alle leggi Newton e facendo l'ipotesi che luce fosse composta
da particelle materiali, scriveva: "Se il semi-diametro di una sfera della stessa densità del Sole dovesse
superare quello del Sole in proporzione di cinquecento a uno, e supponendo che la luce sia attratta dalla
stesa forza in proporzione alla sua vis inertiae (massa inerziale) con gli altri corpi, tutta la luce emessa da un
corpo simile sarebbe costretta a ritornare su di esso, dalla sua stessa gravità". Il concetto-chiave, qui, è
quello classico di velocità di fuga: l'intensità della gravità di un corpo può essere caratterizzata dalla velocità
che un proiettile deve avere per potergli sfuggire.
Nel caso della Terra, la velocità di fuga è di 11 km/secondo; nel caso del Sole, raggiunge quasi i 1000
km/secondo. La stella immaginata dal reverendo Michell avrebbe una velocità di fuga superiore a
300.000 km/secondo, cioè alla velocità della luce. Le stelle di neutroni, scoperte nel 1968, sono oggetti
cosmici un po' più pesanti del nostro Sole, ma concentrati in un volume sferico del raggio di poche decine
di kilometri. Nel caso di una stella di neutroni, la velocità di fuga è circa metà della velocità della luce. La
luce può ancora scappare, ma viene fortemente curvata dalla fortissima gravità. Per questa stessa
ragione, se si osservasse da vicino una stella di neutroni si vedrebbe ben più della metà della sua
superficie: anche la luce riflessa dall'emisfero opposto (che in situazioni normali sarebbe nascosto)
potrebbe raggiungere i nostri occhi. La gravità sulla superficie sarebbe tale che una mela lasciata cadere
da mezzo metro d'altezza libererebbe la stessa energia di una tonnellata di dinamite. In condizioni
estreme come quelle che si verificano intorno a una stella di neutroni, la teoria classica della gravità non
si può applicare, ed è indispensabile ricorrere alla relatività generale di Einstein. A maggior ragione ciò
vale nel caso dei buchi neri.
La prima descrizione teorica di un buco nero nell'ambito della relatività generale risale a Karl Schwarzschild,
che nel 1916 derivò la soluzione a simmetria sferica (analoga al potenziale di Newton) alle equazioni di
Einstein. Schwarzschild calcolò la distorsione dello spazio all'esterno di un corpo sferico avente una certa
massa. Un osservatore posto a una data distanza dal centro della sfera misurerà la stessa curvatura dello
spazio (cioè, sentirà la stessa forza di gravità) indipendentemente dal raggio del corpo. Se però il corpo è più
piccolo di una certa dimensione (data dal "raggio di Schwarzschild"), esso diventerà un buco nero: vale a
dire, sarà impossibile vederlo, anche se si continuerà a sentirne la gravità. L'orizzonte di un buco nero di
Schwarzschild è dato, in kilometri, dalla semplice formula R=3M, dove M è la massa del buco nero in unità di
masse solari. Curiosamente, questo raggio è esattamente lo stesso che sarebbe stato previsto da Michell,
sulla base della teoria di Newton. Ma le analogie nei risultati si fermano qui: le altre proprietà quasi
fantascientifiche dei buchi neri (il rallentamento degli orologi, fino a fermarsi in corrispondenza dell'orizzonte,
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dal punto di vista di chi osserva il buco nero dall'esterno; lo spostamento verso il rosso della luce emessa
vicino all'orizzonte, e quello verso il violetto della luce che cade nel buco nero; e così via) sono previste
soltanto dalla teoria della relatività generale.
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L’INDETERMINISMO
"Esiste una diffusa consapevolezza che la fisica contemporanea abbia prodotto un'importante revisione nella
concezione che l'uomo ha dell'universo e dei rapporti che ad esso lo legano. In particolare, gli strumenti usati
nella ricerca dalla fisica implicano un'accettazione della mentalità filosofica che ne è il presupposto; e tale
mentalità, conquistato che abbia la gioventù scientificamente educata, sconvolge i vecchi ordinamenti etici".
(Werner Heisenberg)
11.1
Introduzione
La teoria atomistica del '900, detta meccanica quantistica, ha messo in discussione molti principi, tra cui il
determinismo, pilastro rimasto saldo per millenni. Essa ha proposto una scienza che si occupa di corpi che
non sembrano obbedire a leggi rigorose. Il promotore di questa nuova teoria "anti-deterministica" viene
identificato con la figura del famoso fisico tedesco Werner Heisenberg, preceduto e appoggiato da un altro
importante fisico, Bohr, che introdusse nel 1913 un modello atomico semi-classico. Esso costituiva un ponte
tra la fisica classica e quella quantistica, in quanto superava le difficoltà avute nelle precedenti applicazioni al
mondo atomico delle leggi fisiche dimostrate valide per i corpi macroscopici.
L'opera di Heisenberg pone un limite teorico alla nostra capacità di indagare la natura. Mentre la meccanica
classica volge lo sguardo solo alla realtà macroscopica ritenendo possibile prevedere il futuro di un corpo
conoscendo due informazioni canoniche sul suo stato, e ritenendo possibile misurare grandezze del corpo
con precisione grande a piacere senza alterare le sue caratteristiche, Heisenberg affermò che per un
oggetto atomico ciò non risultava possibile: "i modelli che vengono dal mondo visibile, trasportati
nell'interpretazione della fisica macroscopica, appaiono sfuggenti e ambigui e non riescono più a spiegare la
realtà".
La teoria dei quanti ha introdotto nella scienza fisica il concetto di potenzialità. Nelle teorie di Newton o
Einstein, lo stato di qualsiasi sistema meccanico isolato in un dato momento di tempo è dato con precisione
dalla determinazione empirica della posizione ed dal momento di ogni massa del sistema in quell'istante di
tempo; non è presente alcun numero che si riferisca ad una probabilità. Nella meccanica quantica
l'interpretazione di un'osservazione di un sistema è un procedimento piuttosto complicato: l'osservazione
può consistere in una semplice lettura di cui si può discutere l'accuratezza, o può comprendere una
complicata serie di dati; in ogni caso, il risultato può essere espresso soltanto in termini d'una distribuzione di
probabilità concernente, ad esempio, la posizione o il momento della particella del sistema. La teoria predice
quindi la distribuzione della probabilità per il futuro. Essa viene sperimentalmente verificata, semplicemente
se, in uno stato futuro, i numeri del momento o della posizione si trovano nei limiti indicati dalla previsione.
Lo stesso esperimento, con le stesse condizioni iniziali, deve essere ripetuto molte volte, ed i valori della
posizione o del momento, che possono essere diversi in ogni osservazione, devono similmente essere
trovati in modo da poter essere distribuiti secondo la prevista distribuzione di probabilità.
11.2
Evoluzioni della meccanica classica
11.2.1 Il meccanicismo di Laplace
All'inizio dell'Ottocento la fisica europea era dominata dalla grande scuola laplaciana, il primo vero e proprio
gruppo di ricerca scientifico della storia, raccolto attorno a Pierre Simon de Laplace (1749-1827). Grazie
all'appoggio di Napoleone, Laplace era stato in grado di organizzare una attività coordinata tra un numero
cospicuo di ricercatori, con laboratori e fondi di ricerca a disposizione, che in pochi anni aveva prodotto
contributi scientifici di elevatissimo livello in molteplici campi della fisica. Parigi era divenuta la capitale
mondiale delle scienze fisiche, un modello che tutti i paesi aspiravano a imitare. I membri di questo gruppo,
che pure era ricco di variegate componenti con rilevanti differenze al proprio interno, condividevano una
visione sostanzialmente simile delle scienze fisiche. I vari ambiti fenomenici della fisica (dal movimento al
calore, dalla luce all'elettricità, dall'acustica al magnetismo) dovevano essere ricondotti a un unico modello
esplicativo, quello newtoniano, fondato sull'esistenza di particelle di materia ponderabile, capaci di esercitare
reciprocamente forze attrattive agenti a distanza, e di fluidi imponderabili di vario genere (un fluido calorico,
un fluido elettrico, uno magnetico ecc.) i quali, a seconda del punto di vista degli autori, potevano a volte
ridursi a un unico fluido. Anche i fluidi erano pensati come composti di particelle prive di peso interagenti a
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Cosmologia
distanza le une con le altre e con le particelle ponderabili. La teoria che regolava il comportamento dei
componenti di questo modello era la meccanica. Ogni fenomeno fisico veniva spiegato attraverso un
modello meccanico, da costruire secondo le più rigide teorie razionali, che ne spiegasse il comportamento.
Negli studiosi più aperti vi era molta prudenza nel valutare il significato da attribuire ai modelli meccanici che
venivano elaborati per la spiegazione dei fenomeni. Piuttosto che intenderli come rappresentazioni di realtà
effettivamente esistenti e nascoste dietro il velo delle apparenze, studiosi come Laplace o Biot erano inclini a
mettere in luce la loro principale funzione teorica, che era quella di poter conferire una grande unitarietà ai
vari capitoli della fisica, riconducendoli appunto a un unico tipo di modello. I grandi successi che questo
programma di ricerca incontrò nei primi anni dell'Ottocento, tuttavia,. indussero molti a ritenere:
1. che i modelli meccanici di tipo newtoniano avessero una vera e propria portata ontologica, fossero
cioè in grado di raffigurare la realtà ultima, più profonda del mondo:
2. che dunque una spiegazione basata su modelli meccanici fosse già una spiegazione definitiva, non
ulteriormente perfezionabile.
Questa concezione meccanicistica e modellistica della fisica cominciò già nel secondo decennio del secolo a
incontrare alcune difficoltà, ma contemporaneamente si diffuse e si affermò in tutta l'Europa e rimase il
paradigma dominante nelle scienze fisiche, se non altro a livello ideologico, fino alla fine del secolo. Solo
all'inizio del Novecento si ebbe il definitivo crollo del meccanicismo di stampo laplaciano.
11.2.2 Il concetto di causalità
Storicamente, l‟uso del concetto di causalità per la legge di causa ed effetto è relativamente recente. Nella
filosofia antica la parola "causa" aveva un significato assai più generale di quanto non abbia oggi. Per
esempio gli scolastici, ricollegandosi ad Aristotele, parlavano di quattro forme di "causa": la causa formalis,
che oggi si designerebbe piuttosto come la struttura o il contenuto ideale di una cosa; la causa materialis,
vale a dire la materia di cui la cosa consiste; la causa finalis, il fine per il quale la cosa è creata, ed infine la
causa efficiens, il motore che rende attivo il sistema.
Il concetto di causa si è poi evoluto fino a significare quell'evento materiale che precedeva l'evento da
spiegare e che lo aveva in qualche modo prodotto. Lo stesso Kant ci dice: "Quando apprendiamo che
qualcosa accade, noi presupponiamo sempre qualcos'altro da cui quell'accadimento consegua secondo una
regola". Sulla base di questo principio, la fisica newtoniana era costruita in modo che, conoscendo lo stato di
un sistema in un certo momento, si poteva calcolare in precedenza il movimento futuro del sistema stesso.
La concezione che in natura le cose stiano fondamentalmente proprio così, fu formulata forse nel modo più
generale e comprensibile da Laplace attraverso la finzione di un demone che, a un dato istante, conoscesse
la posizione e il moto di tutti gli atomi e che quindi dovesse essere in grado di precalcolare l'intero futuro
dell'universo. Se la parola "causalità" si interpreta in modo così stretto, si parla anche di "determinismo" e si
intende dire che esistono rigide leggi naturali che, partendo dallo stato attuale di un sistema, determinano
univocamente il suo stato futuro.
11.3
La fisica quantistica
11.3.1 La meccanica statistica
Già dall'antico atomismo di Democrito e Leucippo sappiamo che i processi “in grande” hanno luogo perché
molti processi irregolari avvengono in piccolo. Numerosi esempi di vita quotidiana lo comprovano.
L‟agricoltore ad esempio passa le giornate a pronosticare il dato momento in cui pioverà per poter irrigare
i suoi campi, ma ignora e si disinteressa completamente di come le singole gocce d‟acqua colpiranno il
terreno. Oppure, per fare un altro esempio: noi sappiamo con esattezza che cosa intendiamo con la
parola granito, anche se non ci sono esattamente note la forma e la composizione chimica di ogni singolo
cristallo, il loro rapporto di mescolanza ed il loro colore.
Siamo perciò abitati ad usare concetti che si riferiscono al comportamento in grande, senza interessarci dei
singoli processi in piccolo. In termini tecnici potremo dire che ragioniamo sulla realtà macroscopica,
ignorando quella microscopica.
Democrito aveva però teorizzato che tutte le qualità sensibili della materia sono prodotte indirettamente dalla
posizione e dal moto degli atomi, intesi come i costituenti ultimi della materia. "Solo in apparenza una cosa è
dolce o amara, solo in apparenza ha un colore; in realtà esistono solo gli atomi e lo spazio vuoto" Se in tal
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Cosmologia
modo i fenomeni percepibili con i sensi si spiegano mediante l'azione associata di moltissimi procedimenti
singoli in piccolo, ne segue quasi necessariamente che le leggi della natura possano essere usate solo
come leggi statistiche. Certo anche le leggi statistiche possono portare a proposizioni il cui grado di
probabilità è talmente alto da confinare con la sicurezza. Ma teoricamente possono sempre sussistere
eccezioni.
Le leggi statistiche indicano, molto banalmente, che il sistema fisico in questione è conosciuto solo
parzialmente. L'esempio più noto è il gioco dei dadi. Dato che nessuna faccia del dado è privilegiata rispetto
alle altre e che noi non possiamo quindi predire in alcun modo su quale faccia esso cadrà, si può assumere
che per un sesto di un grandissimo numero di giocate esca, per esempio, il cinque.
Con l'avvento dell'età moderna, si è ben presto cercato di spiegare, non solo qualitativamente, ma anche
quantitativamente, il comportamento delle sostanze attraverso il comportamento statistico dei loro atomi. Già
Robert Boyle ha mostrato che le relazioni tra pressione e volume in un gas possono comprendersi
intendendo la pressione come risultato dei molti urti dei singoli atomi contro la parete del recipiente.
Analogamente si sono spiegati i fenomeni termodinamici assumendo che gli atomi si muovano più
velocemente in un corpo caldo che in uno freddo. Si è riusciti a dare a questa proposizione una forma
matematica quantitativa, rendendo cosi comprensibili le leggi della termologia.
Questo uso della legge statistica ha ottenuto la sua forma definitiva nella seconda metà dell‟ottocento,
mediante la cosiddetta meccanica statistica. In questa teoria, che nei suoi principi prende le mosse
semplicemente dalla meccanica newtoniana, si sono studiate le conseguenze risultanti da una conoscenza
incompleta di un sistema meccanico complesso. Teoricamente il determinismo continuava ad imperare,
poiché ogni singolo evento veniva immaginato come completamente determinato secondo la meccanica
newtoniana. Si aggiunse però l'idea che le proprietà meccaniche del sistema non fossero conosciute del
tutto. Gibbs e Boltzmann riuscirono a sistemare adeguatamente in formule matematiche questo tipo di
conoscenza incompleta. In particolare, Gibbs introdusse, per la prima volta, un concetto fisico (la
temperatura) che può venir applicato ad un oggetto naturale solo quando la nostra conoscenza dell'oggetto
è incompleta. Se, ad esempio, ci fossero noti il moto e la posizione di tutte le molecole di un gas, non
avrebbe più senso parlare della temperatura del gas. Il concetto di temperatura può applicarsi solo quando il
sistema è conosciuto incompletamente e da questa incompleta conoscenza si vogliono trarre conclusioni
statistiche.
11.3.2 La teoria dei quanti
Nonostante le scoperte di Gibbs e di Boltzmann abbiano introdotto nella formulazione delle leggi fisiche la
conoscenza incompleta di un sistema, non si è tuttavia rinunciato teoricamente al determinismo fino alla
celebre scoperta di Max Planck, con cui ha avuto inizio la teoria dei quanti.
Planck aveva dimostrato che un atomo radiante non perde la sua energia in modo continuo, ma
discontinuamente, a scatti. Questa perdita di energia discontinua e a scatti porta anch'essa, come tutte le
idee della teoria atomica, all'ipotesi che l'emissione di radiazioni sia un fenomeno statistico. Nel corso dei
suoi studi è giunto alla conclusione che fosse impossibile spiegare questo fenomeno con le rigide leggi
newtoniane, ma fosse necessario elaborare una “teoria di quanti” basata sulla meccanica statistica.
Dopo numerose elaborazioni e grazie anche al nuovo modello atomico di Rutherford-Bohr, si sono potuti
spiegare i processi chimici e, da quel momento, chimica, fisica e astrofisica si sono fuse insieme, mentre
tramontava l‟era del determinismo.
La divergenza dalla fisica precedente si rileva nelle cosiddette "relazioni di indeterminazione". Si è
constatato che non è possibile indicare simultaneamente, con un grado qualunque di esattezza, la posizione
e la velocità di una particella elementare. Si può misurare con grande esattezza la posizione, ma allora, per
l'intervento dello strumento di misurazione, scompare, fino ad un certo grado, la conoscenza della velocità;
oppure, inversamente, scompare la conoscenza della posizione, attraverso una esatta misurazione della
velocità, di modo che, con la costante di Planck, viene dato un limite inferiore al prodotto delle due
inesattezze. Secondo Newton, per calcolare un processo meccanico, era necessario conoscere
contemporaneamente posizione e velocità in un certo momento di ogni singola particella; la teoria dei quanti
mi dice invece che questo è impossibile.
Un'altra formulazione è stata coniata da Niels Bohr, che ha introdotto il concetto della complementarità. Egli
intende con questo che diverse immagini intuitive, con cui noi descriviamo sistemi atomici, sono sì adatte per
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Cosmologia
certi esperimenti, ma si escludono reciprocamente. Così, per esempio, si può descrivere l'atomo di Bohr
come un sistema planetario in piccolo: al centro un nucleo atomico e all'esterno gli elettroni ruotanti attorno a
questo nucleo. Per altri esperimenti, invece, può essere più opportuno immaginare che il nucleo atomico sia
circondato da un sistema di onde permanenti, dove la radiazione emessa dall'atomo dipende dalla frequenza
delle onde. Infine si può anche considerare l'atomo come oggetto della chimica, si può calcolare il suo calore
di reazione nel combinarsi con altri atomi: ma allora non si può dir nulla, contemporaneamente, intorno al
moto degli elettroni. Questi diversi modelli sono quindi giusti quando li si utilizza in un certo contesto, ma si
contraddicono fra loro e si chiamano, perciò, reciprocamente complementari. L‟indeterminazione da cui
ognuna di queste immagini è affetta e che viene espressa mediante la relazione di indeterminazione, basta
appunto ad evitare contraddizioni logiche fra le diverse immagini. Da questi accenni risulta comprensibile,
anche senza inoltrarsi nel formalismo matematico della teoria dei quanti, che la conoscenza incompleta di un
sistema deve essere una componente essenziale di ogni formulazione della teoria quantistica. Le leggi
quantistiche devono quindi essere di tipo statistico.
Esempio: si sa che un atomo di radio può emettere raggi alfa. La teoria dei quanti può dire con quale
probabilità per unità di tempo la particella alfa abbandona il nucleo, ma non può predire l'istante esatto:
esso è, per principio, indeterminato. Non si può nemmeno ritenere che in futuro si trovino nuove leggi che
ci permettano di determinare l'istante esatto; perché, se ciò fosse possibile, non si capirebbe come mai la
particella alfa possa anche venir considerata come un'onda che si propaga dal nucleo atomico; la si può
infatti dimostrare sperimentalmente anche come tale.
I diversi esperimenti che dimostrano sia la natura ondulatoria, sia quella corpuscolare della materia atomica,
ci costringono, con i loro paradossi, a formulare delle leggi statistiche. Nei processi in campo macroscopico
questo elemento statistico della fisica atomica non ha in generale importanza, perché nel processo
macroscopico deriva dalle leggi statistiche una probabilità così elevata, da permetterci di dire che il processo
è, praticamente, determinato. Tuttavia s'incontrano spesso casi in cui l'evento in campo macroscopico
dipende dal comportamento di uno o di pochi atomi; in tal caso anche il processo in grande può essere
predetto solo statisticamente.
Ad esempio la bomba atomica. In una bomba normale si può calcolare, sulla base del peso e della
composizione chimica della sostanza esplosiva, la forza dell'esplosione. Nella bomba atomica invece si
può indicare un limite superiore ed uno inferiore della forza d'esplosione, ma calcolarla esattamente, è,
per principio, impossibile, poiché essa dipende dal comportamento di pochi atomi nel processo di
accensione. Analogamente, anche in biologia, vi sono processi nei quali gli sviluppi macroscopici sono
governati da processi che avvengono in singoli atomi; ciò sembra avverarsi in particolare nei mutamenti
genici del processo ereditario.
11.3.3 Il modello atomico di Bohr ad orbite quantizzate
Il modello di Bohr nasce alla luce delle nuove modifiche, ottenute attraverso lo studio dei fenomeni più
diversi, della teoria delle radiazione termiche. La conseguenza delle discussioni su tale teoria è che
l'elettrodinamica classica non è applicabile al comportamento dei sistemi atomici. E' necessario quindi
introdurre una grandezza estranea all'elettrodinamica, e cioè la costante di Planck o quanto elementare
d'azione: il modello di Bohr si basa sul modello di Rutherford con l'introduzione della costante di Planck. Nel
modello di Bohr l'energia totale associata ad un elettrone in un atomo risulta quantizzata, cioè può assumere
solo determinati valori. Ad ogni elettrone, quindi, viene assegnata una determinata energia, tale da
consentirgli di percorrere traiettorie circolari privilegiate, dette orbite stazionarie. Bohr fondò il suo modello
principalmente su due postulati, formulati per rispondere all'instabilità che la teoria classica attribuiva
all'atomo; Bohr la spiegò come la conseguenza della cessione di energia degli elettroni e la loro
-8
precipitazione sul nucleo in 10 s determinata dalla accelerazione centripeta cui sono soggetti sulle loro
orbite.
Tali postulati sono:
- finchè un elettrone ruota nella sua orbita non perde energia per
irradiazione, cioè gli elettroni non irradiano energia quando si
trovano in un'orbita stazionaria;
- quando per effetto di una scarica elettrica o per un riscaldamento
l'atomo riceve energia, gli elettroni possono acquisire quanti di
energia, giungendo ad uno stato eccitato. Questo comporta un salto
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93
Cosmologia
degli elettroni dalle normali orbite consentite o orbite più esterne a più alto contenuto energetico; non è
invece possibile che un elettrone assuma valori di energia intermedi, che li porterebbero ad occupare
orbite non permesse. Quindi, passando da un'orbita all'altra, gli elettroni cedono o acquistano energia.
Ogni orbita appartiene ad un dato livello energetico o guscio, individuato da un numero progressivo 1,2,3,..
chiamato numero quantico principale.Tale modello atomico pose le basi per la trattazione teorica delle
reazioni nucleari.
11.3.4 Il modello atomico degli orbitali di Schrödinger
Il modello atomico di Bohr si adatta solo all'atomo dell'idrogeno, perché presuppone di determinare
rigorosamente le orbite , la velocità e l'energia degli elettroni in un atomo, ma ciò non è possibile per il
principio di Heinsemberg; mentre è rilevabile solamente lo spazio in cui l'elettrone ha più probabilità di
trovarsi. . Si ipotizzò, nel 1927, che gli elettroni possedessero
una natura ondulatoria. Tutta la concezione della struttura
atomica moderna si basa sulla teoria della meccanica
ondulatoria.
Nel 1926 Erwin Schrödinger descrisse il moto ondulatorio
dell'elettrone in funzione della sua energia, considerandolo come
un'onda stazionaria e raffigurò l'elettrone in termini statistici. Lo
spazio in cui ha maggiore probabilità di trovarsi l'elettrone,
calcolabile attraverso l'equazione di Schrödinger, prende il nome
di orbitale.
La dimensione, la forma e l'orientamento dell'orbitale sono descritti dai numeri quantici:
1. numero quantico N (numero quantico principale): indica il livello di energia dell'elettrone dal quale
dipendono dimensione e numero massimo di elettroni che possono essere contenuti in ciascun
2
livello (2n )
2. numero quantico L (numero quantico secondario): indica i vari tipi di orbitale che possono esistere in
un livello energetico, ossia la forma di ogni orbitale. Gli orbitali si classificano in orbitale di tipo s , p ,
d , f ordinati in base all'energia crescente all'interno del livello.
3. numero quantico M (numero quantico magnetico): indica il numero di orbitali contenuti in uno stesso
sottolivello; si tratta di orbitali di uguale forma ed energia, ma con orientazione diversa.
4. numero quantico di Spin: si aggiunge agli altri tre numeri quantici, pur non riguardando l'interazione
fra nucleo ed elettrone, ma solo la caratteristica degli elettroni (ipotizzati come piccole sfere) di
"ruotare" in uno o nell'altro verso. In uno stesso orbitale i due elettroni devono avere spin diversi,
come enunciato dal Principio di esclusione di Pauli.
L' ordine di riempimento degli orbitali non avviene sempre in modo regolare al crescere di n , infatti siccome
in un sottolivello gli orbitali hanno la stessa energia, allora questi si riempiranno in modo preferenziale
secondo il principio di Hunds, che stabilisce che gli elettroni in uno stesso sottolivello tendono ad occupare il
numero massimo di orbitali disponibili ottenendo così il massimo della stabilità. I principali criteri di
riempimento degli orbitali sono:
- un elettrone si dispone sempre nell'orbitale a minore energia;
- un orbitale può essere occupato al massimo da due elettroni;
- due elettroni in un stesso livello devono avere spin diversi;
- gli elettroni tendono ad occupare il numero massimo di orbitali disponibili.
Werner Heisenberg (1901 - 1976)
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Cosmologia
11.4
L’indeterminismo
11.4.1 Caduta delle leggi deterministiche
Fin dall‟antica cosmologia di Aristotele, per giungere alle più moderne leggi di Newton, si è conservata nel
tempo la convinzione che la natura fosse retta da leggi rigorose, deterministiche, di portata universale. La
scienza assunse il compito di determinare con i numeri queste leggi universali, che potessero spiegare ogni
fenomeno naturale. La teoria atomistica del Novecento, detta meccanica quantistica, ha messo in
discussione anche questo pilastro rimasto saldo per millenni. proponendo una scienza che si occupa di corpi
che non sembrano essere soggetti a leggi rigorose.
La “quantizzazione dell'energia” rappresentava una brusca rottura con la millenaria convinzione circa la
sostanziale continuità dei processi naturali. L'antica massima secondo cui "la natura non fa salti" venne
contraddetta dal comportamento dell'elettrone che, nel modello di Bohr, mutava il proprio stato con repentine
discontinuità, con salti quantici.
Se si considerano le esperienze che ci permettono di ottenere informazioni sugli oggetti atomici partendo dai
principi della nuova teoria quantististica ci si trova di fronte a una conclusione che è assolutamente nuova
rispetto alla meccanica classica. Nella meccanica classica è possibile prevedere il comportamento futuro di
un corpo se si conoscono in un dato istante delle informazioni sul suo stato, le cosiddette coordinate
canoniche. Le più semplici tra queste coppie di coordinate sono la posizione e la velocità. Nelle esperienze
che riguardano gli oggetti macroscopici si era sempre ammesso che fosse possibile assumere informazioni
empiriche circa le coordinate canoniche senza perturbare lo stato degli oggetti in esame: si ammetteva. per
esempio, che si potesse misurare in un certo istante la posizione e la velocità di un corpo con precisione
grande a piacere senza alterare il suo movimento. Se invece di considerare un corpo macroscopico si
considera un oggetto atomico ciò non risulta più possibile: non è possibile misurare con precisione grande a
piacere le coordinate canoniche di un oggetto atomico.
Nel caso di un elettrone in movimento, per esempio, i tentativi di misurante posizione o velocità alterano
inevitabilmente il suo stato di moto a causa della quantizzazione dell'energia tanto delle particelle quanto
delle radiazioni luminose, quantizzazione che impedisce che si possa rendere piccolo a piacere il disturbo
prodotto dalla interazione tra particella e apparato di misura.
Questa perturbazione avviene in modo tale che se si cerca di diminuire l'incertezza della misurazione di una
delle due coordinate, si interagisce con l'elettrone in maniera da aumentare l'incertezza con la quale si può
misurare l'altra coordinata. La precisione nella misurazione di una coordinata canonica va necessariamente
a discapito della precisione nella misurazione dell'altra.
Per esempio se si cerca di determinare con precisione assoluta la posizione di un elettrone in un dato
istante facendolo scontrare con una lastra fotografica che ne registra l'arrivo, l'urto con la lastra consente
effettivamente di annullare l'incertezza circa la misurazione della posizione, ma contemporaneamente
altera del tutto il movimento della particella e dunque preclude la possibilità di ottenere informazioni su
quella che era la velocità dell'elettrone nel momento in cui giungeva sulla lastra.
11.4.2 Il principio d’indeterminazione di Heisenberg
L'indagine sulle procedure sperimentali possibili per gli oggetti atomici condusse perciò Heisenberg a
enunciare un principio di indeterminazione: nella misura delle coordinate canoniche di un oggetto atomico
l'incertezza dei risultati di misura non si può rendere piccola a piacere. Il prodotto delle incertezze nelle
misurazioni delle coordinate canoniche non può scendere sotto un limite inferiore. Perciò la diminuzione
dell'incertezza, ovvero l‟aumento di precisione nella misurazione di una coordinata, provoca
necessariamente un aumento di imprecisione nella misurazione dell'altra. Non è possibile conoscere
contemporaneamente con precisione assoluta i valori di due coordinate canoniche.
Il principio di indeterminazione ci porta quindi a conclusioni statistiche, indeterminate, sul futuro dell‟oggetto
in questione. Se infatti non siamo in grado di avere informazioni precise sullo stato di un oggetto, non
potremo neppure fare previsioni precise sul suo comportamento futuro. La meccanica classica compie
previsioni deterministiche solo a patto che siano disponibili informazioni sui valori delle coordinate canoniche
dell'oggetto in esame in un dato istante e ammette che sia sempre possibile ottenere simili informazioni. Il
principio di indeterminazione stabilisce invece l'impossibilità di conoscere con precisione le coordinate
canoniche e dunque esclude che si possa prevedere con precisione il futuro comportamento di un oggetto.
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Cosmologia
È il disturbo provocato dagli apparati di misura sulle particelle a impedire di conoscere le coordinate
canoniche, è l'interazione tra oggetto e apparato di osservazione a generare un comportamento
apparentemente indeterministico degli oggetti microscopici; sarebbe però insensato, prosegue Heisenberg,
porsi la questione di come si comportino questi oggetti quando nessuno li osserva, quando nessuno
strumento li disturbi, e chiedersi se in realtà il loro comportamento è di tipo deterministico oppure no, in
quanto è evidente che lo scienziato non ha nulla da dire circa quello che fa la natura allorquando nessuno la
osserva. La scienza deve, per il momento, prendere soltanto atto che per esperienza, non è possibile
prevedere il comportamento di qualsiasi fenomeno a livello microscopico.
11.5
L'universo quantistico
Fino a poco tempo fa la scienza si limitava a descrivere che cosa era successo dopo il Big Bang, l‟immane
esplosione che 15 miliardi di anni fa diede origine all‟intero universo. Oggi la scienza sta invadendo un
campo fino ad ora riservato alla religione: sta cercando di capire che cosa ci fosse prima di quella
esplosione, prima cioè della nascita stessa dell‟universo. Le ipotesi in discussione sono molte, ma tutte
lasciano intravedere la possibilità che prima del nostro ci siano stati molti altri Big Bang. E molti altri universi,
ognuno con una realtà fisica diversa: c‟è quello dove esiste la materia ma non si può sviluppare la vita,
oppure quello dove neanche la materia esiste e tutto è radiazione.
E non è finita qui. Secondo alcuni studiosi di meccanica quantistica, la nostra stessa realtà si sdoppia
ogniqualvolta una particella ha la possibilità di comportarsi in modi diversi, dando vita a due universi paralleli:
in uno la particella si comporta in un modo, nell‟altro nel modo opposto. Di sdoppiamento in sdoppiamento si
creano tutte le possibili varianti. Sembra insomma che dopo esserci abituati all‟idea che né la Terra né la
nostra galassia sono al centro del creato, dovremmo presto accettare anche quella di non appartenere
all‟unico universo esistente/possibile.
Il dubbio sorse agli scienziati dalla constatazione che le costanti naturali fissate all‟epoca del Big Bang, come
la carica dell‟elettrone o la velocità della luce, sembrano straordinariamente calibrate per favorire la nascita
dell‟universo in cui si possa sviluppare l‟attuale società. Se la gravità fosse stata leggermente più forte, le
stelle avrebbero bruciato il loro combustibile nucleare in meno di un anno. Se invece la forza che tiene uniti
gli atomi fosse stata più debole, gli astri non sarebbero neanche esistiti. Insomma la vita sulla Terra è il
risultato di circostanze così specifiche e di condizione così restrittive da essere considerato un evento di per
se altamente improbabile.
C‟è però un modo per spiegare una serie tanto impressionante di coincidenze: ammettere che si formino di
continuo interi universi, ognuno con caratteristiche del tutto casuali. Ciò aumenterebbe la probabilità
statistica che, tra i tanti, possa nascere un universo con le condizioni giuste per generare l‟uomo così come
è. Questa è l‟idea del “multiverso”, che sta riscuotendo tanto successo tra i cosmologi.
Lee Smolin, docente di fisica all‟università di Pennsylvania addirittura ha azzardato una teoria sull‟origine e
l‟evoluzione degli universi in termini di selezione naturale. Secondo la sua teoria, ogniqualvolta che da un
universo ne nasce un altro le leggi fisiche si modificano un po‟, come avviene per gli esseri viventi. Così ci
sono universi che nascono con leggi ostili e finiscono per estinguersi. Il motore di questa nuova evoluzione
cosmica sarebbero gli oggetti più singolari e misteriosi del cosmo: i buchi neri. Secondo Smolin, materia ed
energia risucchiate da un buco nero non spariscono nel nulla: riemergerebbero in un'altra regione dello
spazio tempo, in un nuovo big bang, un'esplosione che segnerebbe l'atto di nascita di un nuovo universo,
diverso e parallelo al nostro.
Si genera così una rete pressoché infinita di mondi, tutti dotati di una propria concretezza. Tutto questo mi
ricorda le deliranti teorie di Giordano Bruno, ingiustamente incolpato a causa dell‟incomprensione generale.
Oggi contiamo sul fatto che non esista più alcun tribunale dell‟Inquisizione, pronto a toglierci la parola o
anche solo la forza di pensare, di andare oltre le teorie già formulate. Può darsi quindi, che esistano infiniti
altri universi, e che fra gli altri mondi ed il nostro avvengano scambi, separazioni ed intersezioni che forse un
giorno riusciremo a rivelare.
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Jacopo Filippo Vignola
96
Cosmologia
Bibliografia
Testi di storia e filosofia

Dario Rei “La Rivoluzione Scientifica”, Ed. SEI, 1973

Abbagnano-Fornero “Protagonisti e testi della filosofia”, Ed. Paravia, 1999

Reale - Antiseri “Storia della filosofia”, Ed. La Scuola, 1997

Vittorio Mathieu “Storia della filosofia e del pensiero scientifico”, Ed. La Scuola, 1969

Leonardo Jannaccone “Il pensiero filosofico nella storia”, Ed. Giunti, 1967

Giulio Guidorizzi “La letteratura greca. Testi, autori, società”, Ed. Einaudi Scuola, 1996

Dizionario di Storiografia, Ed. PBM
Testi di fisica

Ugo Amaldi “Fisica per temi”, Ed. Zanichelli, 1995

Cini - De Maria - Gamba “Corso di fisica”, Ed. Sansoni, 1975
Altre fonti

Cristian Mugnai “L‟universo immaginato”, appunti di studio, 2001

Gianluca Ferretti “Galileo Galilei”, appunti di studio, 2001

Francesco Lauri “Galilei”, appunti di studio, 2002

Davide Bucci “Isaac Newton”, appunti di studio, 2002

Roberto Armeli “Albert Einstein”, appunti di studio, 2000

Alessandro Bagioli, “Astronomia dei Greci”, appunti di studio

Classe 5T, Liceo Scientifico Curbastro (Lugo, RA), “Rivoluzioni nella Modernità”, 1998

Classe 3D, Liceo Classico Cavour (Torino), “Il cielo di Galileo”, 2005

Classe VE, Liceo Scientifico Tosi (Busto Arsizio, VA), “La meccanica quantistica”, 1999
Risorse multimediali (integrate nel software)

Enciclopedia Encarta 2005, Ed. Microsoft

www.mogi-vice.com

“Einstein e la relatività”, Cd-rom interattivo VirtLab, Ed. Zanichelli
Siti internet

www.vialattea.net

www.wikipedia.org

www.filosofico.net
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Cosmologia
Opere citate

Bibbia

Giovanni Keplero, Epitome astronomiae

Plutarco, Stromata

Giovanni Keplero, Armonie del mondo

Ippolito, Refutatio Omnium Haeresium

Giovanni Keplero, La nuova stella

Parmenide, De Natura

Galileo Galilei, Dialogo sui massimi

Aetius, Philolaus

Aristotele, De Caelo

Aristotele, De Motu

Platone, Timeo

Galileo Galilei, Sidereus Nuncius

Tolomeo, Almagestum

Galileo Galilei, Il Saggiatore

Agostino, Enchiridion ad Laurentium

Isaac Newton, Principi matematici della

Tommaso d‟Aquino, Commentaria in
sistemi del mondo

Galileo Galilei, Dialogo intorno a Due
Nuove Scienze
filosofia naturale
Libros Aristotelis De coelo et mundo

Donne, Anatomia del mondo

Dante Alighieri, Divina Commedia

Thomas Paine, L'età della Ragione

Copernico, De revolutionibus orbium

Giacomo Leopardi, Il Copernico
coelestium

Giacomo Leopardi, La Ginestra

Martin Lutero, Tischreden

Koyré, La Rivoluzione astronomica

Jean Bodin, Universae Naturae Theatrum

Koyré, Studi galileiani

Tycho Brahe, Sui più recenti fenomeni del

Cassirer, Storia della filosofia moderna
mondo etereo

Lovejoy, La grande catena dell‟essere

Giordano Bruno, La Cena de le ceneri

Kant, Critica alla Ragion pura

Giordano Bruno, De immenso et

Einstein, La relatività (esposizione
innumerabilibus


divulgativa)
Giordano Bruno De l‟infinito, universo e

Heisenberg, Fisica e Filosofia
mundi

Lee Smolin, La vita del cosmo
Giovanni Keplero, Astronomia nova
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