Mariano Fresta Enrica Delitala ad Aix-en
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Mariano Fresta Enrica Delitala ad Aix-en
1 Mariano Fresta Enrica Delitala ad Aix-en-Provence e la cartografia demologica. Di Enrica Delitala mi parlò Pietro Clemente quando mi invitò a svolgere un sondaggio sull’allevamento del maiale, la sua uccisione e le tecniche di conservazione delle sue carni nelle zone della Val di Chiana, dove abitavo, e della Val d’Orcia, dove avevo lavorato sulla Maggiolata di Castiglion d’Orcia. Il risultato del sondaggio, che faceva parte di un’inchiesta di carattere nazionale, sarebbe dovuto comparire sul Bollettino del Repertorio dell’Atlante Demologico Sardo (BRADS), di cui era responsabile proprio la Delitala. Fu comunque quella una conoscenza indiretta, perché il mio referente in quel momento era Clemente; l’occasione che mi permise di incontrarla e di conoscerla in modo meno superficiale mi fu data dalla partecipazione, qualche tempo dopo, ad un convegno, o Tavola rotonda com’era definito dagli organizzatori, sulla cartografia demologica che si svolse ad Aix-en-Provence (1982)1. Su suggerimento di Pietro, avevo analizzato la maggiolata di Castiglione d’Orcia (SI) utilizzando strumenti euristici presi in prestito dalla matematica: mi ero cimentato per la prima volta ad usare istogrammi di vario tipo, tabelle, “torte” e così via, per dare del fenomeno un’immagine meno letteraria e più ragionata. Il saggio sarebbe stato pubblicato poi in Vecchie segate ed alberi di Maggio2. Qualche tempo dopo in previsione dell’incontro internazionale, che si sarebbe svolto ad Aix-en-Provence, Clemente mi propose di mettere a punto uno studio con cui tentare di illustrare come si sarebbero potuti rappresentare fenomeni folklorici complessi su un atlante demologico. L’oggetto scelto da rappresentare fu la cerimonia primaverile della Maggiolata, ma questa volta analizzai non solo quella di Castiglione d’Orcia, ma tutte quelle attestate in Toscana. Questa tradizione è certamente molto articolata, è quasi una piccola rappresentazione teatrale, perché si tratta di un “canto cerimoniale di questua”, in cui ci sono attori attivi (i cantori che vanno a visitare le famiglie contadine) e attori passivi (i membri delle famiglie ospitanti); c’è uno scambio di doni alimentari; c’è una parte cantata e una musicale; ci sono gli scambi di saluti e di auguri tra maggiaioli e ospiti; ci sono oggetti simbolici (ramo fiorito, sciarpe colorate) e oggetti di uso come gli strumenti musicali; c’è una scenografia (il casolare di campagna, l’aia, il paesaggio) e una coreografia (i movimenti del gruppo dei maggiaioli). Si tratta, dunque, di un evento complesso, composito ed eterogeneo già a considerarlo singolarmente, ma se si devono tenere di conto tutte le varianti che esso presenta nei vari luoghi in cui è attestato, la complessità si amplia quasi a dismisura. 1 L’Ethnocartographie en Europe. Bilan et perspectives de la cartographie ethnologique en Europe. Actes de la table ronde internationale (Aix-en-Provence, 25-27. 11. 1982; organisée par le Centre d’Ethnologie Méditerranéenne et le Departement d’Ethnologie de l’Université de Provence), numero speciale di “Technologies-Ideologies-Pratiques”, vol. 4, nn.1-4,1982-1983. 2 Vecchie segate ed alberi di maggio (a c. di M. Fresta), Montepulciano, 1982, pp. 76-98. 2 Tutto questo si può, ovviamente, raccontare, ma rappresentato cartograficamente facilita la comprensione e l’immediata percezione delle sue varie parti costitutive. Solo che la rappresentazione cartografica è alquanto difficile da realizzare, perché nel necessario uso di molti simboli e di molte tabelle dovuto alla varietà molteplice degli aspetti da tenere in considerazione, si rischia di perdere quella immediatezza di percezione che ad ogni atlante si richiede. Già dalla fine del sec. XIX alcuni studiosi, specialmente dialettologi e storici della lingua, avevano teorizzato, e in qualche caso messo in pratica, l’uso di atlanti geografici per stabilire le aree di diffusione e l’evoluzione fonetica e semantica dei fenomeni linguistici, la distribuzione dei vari tipi lessicali, ecc. Tale metodo di analisi, chiamato successivamente Geografia linguistica, ebbe come fondatore Jules Gilliéron che avrebbe messo a punto l’Atlas linguistique de la France (ALF) (1902-1910). Sulla scorta dell’esperienza francese, e soprattutto per l’influenza della Geografia folklorica di Menèndez Pidal e della scuola Wörter und Sachen («parole e cose»), anche in Italia si cominciò ad usare questo strumento euristico. L’impulso più importante, però, fu dato da Jaberg, Karl & Jud, Jakob (1928-1940), con Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen, Ringier, 8 voll. (trad. it. AIS. Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, Milano, Unicopli, 1987, 2 voll.), che, pubblicarono i risultati della loro inchiesta riguardante buona parte delle regioni italiane, corredandoli di foto e di disegni. Uno dei responsabili dell’AIS, Paul Scheuermeier, avrebbe poi pubblicato la sua pregevole opera, che in Italia è conosciuta come Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza (Longanesi, Milano 1980, 2 voll). Con queste opere, nonostante fossero ancora legate agli studi linguistici e dialettologici, si cominciava a delineare una funzione diversa degli Atlanti perché mettendo in correlazione le “cose”, cioè gli oggetti, con le parole che li identificavano, essi potevano svolgere anche un compito etnografico e demologico. Le foto e le illustrazioni grafiche, infatti, oltre a dare l’idea dell’oggetto indicato con la “parola”, si riferiscono anche ad attività umane, a usi e costumi, che di norma sono studiati dalle discipline folkloriche e demologiche. In questo modo, grazie agli Atlanti, la dialettologia supporta lo studio delle tradizioni popolari e viceversa. In Italia la geografia linguistica e gli atlanti ebbero uno sviluppo notevole negli anni ’30 del secolo XX con la scuola torinese diretta da Matteo Bartoli che, con la formula delle “norme areali”, contribuì a studiare le modalità di diffusione dei fatti linguistici. Qualche anno dopo l’impresa dell’Atlante Italo-Svizzero, sotto la direzione di Matteo Bartoli nacque l’Atlante linguistico italiano (ALI). Dopo la Seconda guerra mondiale, l’ALI con la collaborazione dei maggiori dialettologi (Corrado Grassi, Giorgio Piccitto, Giovanni Tropea, Temistocle Franceschi) ha continuato a crescere seguendo le indicazioni del suo fondatore. I metodi della geografia linguistica, almeno nel rapporto parole/cose, sono stati, dunque, applicati anche a fenomeni folklorici. Ma il patrimonio delle tradizioni popolari solo parzialmente può essere studiato attraverso gli atlanti perché è più complesso da descrivere dei fenomeni linguistici, tanto che Giuseppe Vidossi e Vittorio Santoli, coloro i quali rifletterono maggiormente sulla questione, suggerirono di utilizzarli con molta cautela e con qualche distinguo. Fino a quando si tratta di rappresentare la distribuzione geografica dei fenomeni folklorici, l’atlante funziona bene e ci aiuta a capire quando e dove l’evento è nato, come si è diffuso e modificato nel tempo e nello spazio; ma quando si vogliono rappresentare tutte le varianti delle molteplici articolazioni di uno spettacolo teatrale tradizionale (corteo, testo, canto, questua, mezzi e oggetti scenici, costumi, ecc.), la cartografia si complica rendendo, in sede di analisi, difficile la comparazione. Vidossi e Santoli ci 3 mettono in guardia contro i rischi che si corrono utilizzando pedissequamente le norme areali di Bartoli nel campo demologico: il primo ha delle riserve perché la materia folklorica è diversa da quella linguistica e perché della prima abbiamo «una conoscenza limitata in confronto dell’enorme numero di fatti linguistici raccolti e classificati» 3. Santoli, da parte sua ha utilizzato le norme areali bartoliane nello studio Cinque canti della raccolta Barbi (1938-64), ma impiegandole, come scrive Cirese, «solo come indicazioni di alta probabilità da integrare sempre con altre considerazioni interne ed esterne»4. Ma là dove la contiguità metodologica tra la dialettologia e la demologia consente un’analisi parallela e in cui il rapporto tra “cosa” e “parola” è diretto, i risultati sono soddisfacenti per tutte e due le discipline. E’ il caso dell’Atlante linguistico mediterraneo, avviato alla fine degli anni Cinquanta del Novecento da Gianfranco Folena e Manlio Cortelazzo, che documenta, mediante un questionario di circa 850 voci, la terminologia delle attività marinaresche e pescherecce in 165 porti e località costiere del Mediterraneo e del Mar Nero. A questo si possono aggiungere l’Atlante linguistico dei laghi italiani (ALLI) di Giovanni Moretti, l’Atlante linguistico ed etnografico della cultura suinicola di Francesco Avolio e l’Atlante paremiologico italiano (API) di Temistocle Franceschi: sono imprese che riguardano la linguistica ma offrono panorami etnografici di notevole interesse. Se fossi, quindi, riuscito a rappresentare cartograficamente le Maggiolate toscane in maniera semplice e immediatamente comprensibile, tanto da rendere visibile a colpo d’occhio la struttura e le molteplici varianti locali dell’evento, avrei potuto dire di aver contribuito positivamente, seppure con un lavoro limitato, sia alla costruzione di atlanti demologici, sia alla disciplina folklorica, col mostrare un esempio concreto di come usare questo strumento euristico. Fu così che andai ad Aix-en-Provence a parlare di questo tentativo di rappresentazione cartografica della Maggiolata. Non ricordo se feci il viaggio di andata insieme con Enrica; ma, essendo gli unici italiani presenti al convegno, si stette quasi sempre insieme. Tra l’altro io, quasi digiuno di francese e per nulla esperto di convegni internazionali, vedevo in lei, che si muoveva con disinvoltura, quasi la mia guida. Le novità del mio contributo riguardavano solo le possibilità di arrivare ad una rappresentazione cartografica chiara ed esauriente di un fenomeno complesso come la Maggiolata, utilizzando una metodologia ormai consolidata; l’intervento di Enrica, invece, presentava grandi novità, perché conteneva proposte precise, frutto di lunga riflessione e di esperienze dirette, sull’organizzazione e sul trattamento dei dati raccolti con l’aiuto dell’informatica 5. Esso incontrò grande attenzione in quell’uditorio in cui erano presenti, oltre che dialettologi ed esperti di cartografia etnologica, anche matematici come Bertin e Flamant e poi perché quelle particolari procedure per il trattamento informatico dei dati se non erano una primizia, certamente costituivano 3 G. Vidossi, Le norme areali e il folklore, 1933-1960, p.151, riportato da Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo Editore, Palermo 1973, p. 289. 4 Cirese, A.M., Cultura egemonica e culture subalterne, cit., pp. 292-293. 5 Si vedano: E. Delitala , L’Atlas ethnologique de la Sardigne\ADS: présentation générale et organisation des données à l’aide de l’informatique), ibidem pp. 317-326; M. Fresta, Problèmes de cartographie des chants de quête en Toscane méridionale, ibidem pp. 145-159. Il mio intervento sarebbe stato poi pubblicato in «Lares», n. 4, 1983, pp.553-564. 4 una grande novità nel campo della cartografia demologica. L’uso dell’informatica su larga scala, che probabilmente nel corso degli anni ’90 mise in crisi la necessità di costruire atlanti demologici, sarebbe venuto quasi dieci anni dopo quel convegno di Aix: Enrica Delitala e le sue colleghe di Cagliari, pertanto, erano veramente delle pioniere, pur se per la loro attività molto dovevano ad Alberto Mario Cirese. L’esito del lavoro di Enrica e del gruppo cagliaritano è raccontato dalla stessa Delitala in Frammenti di storia degli studi: l’Archivio Demologico Sardo, la relazione con cui è stato consegnato tutto il materiale prodotto all’Istituto Superiore Regionale Etnografico 6; a me piace qui ricordare il lungo viaggio di ritorno da Aix fino a Montepulciano, da dove poi sarebbe partita per Fiumicino e Cagliari. Si tratta, però, di un ricordo vago, perché immerso nella noia di un viaggio automobilistico molto lungo, quasi tutto svolto dentro le gallerie autostradali dell’arco ligure. Il ricordo più vivo, che non ha niente a che fare con la cartografia e con le tradizioni popolari, è quello del desiderio, condiviso, di un buono e semplice piatto di spaghetti dopo tre giorni di pasti della cucina francese, ricchi di salse molto elaborate, e consumati nello stesso luogo del convegno: un albergo situato in montagna, e molto lontano da Aix, quasi un’abitazione coatta. 6 Si veda: http://www.isresardegna.it/index.php?xsl=528&s=268328&v=2&c=7105&t=1.