FRANZ ROSENZWEIG

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FRANZ ROSENZWEIG
Antonella Cirillo
FRANZ ROSENZWEIG
Pensare il tempo
Le Lettere
I.
FONDAMENTI TEOLOGICI E RAZIONALI
Nel 1928 Edmund Husserl scriveva a proposito della
coscienza interna del tempo:
Naturalmente cosa sia il tempo lo sappiamo tutti: è la cosa
più notoria di questo mondo. Tuttavia, non appena facciamo il tentativo di renderci conto della coscienza del tempo, di porre nel loro giusto rapporto il tempo obbiettivo e
la coscienza soggettiva del tempo […] ci avvolgiamo nelle
più strane difficoltà, contraddizioni e confusioni1.
Il padre della fenomenologia filosofica rifletteva in questi termini intorno all’estrema ovvietà e alla natura contemporaneamente aporetica del concetto di tempo rilevate dal neoplatonico Plotino già nel III sec. d.C.:
In virtù di una sorta di immediata intuizione del pensiero,
crediamo di avere nelle nostre anime un’esatta nozione di
tali concetti: di essi [tempo ed eternità] sempre parliamo e
li nominiamo a proposito di ogni cosa. Quando però ten__________
1 E. Husserl (1966), Per la fenomenologia della coscienza interna del
tempo, Milano, FrancoAngeli, 1981, p. 43.
tiamo di arrivare ad una comprensione dell’eternità e del
tempo […] il nostro pensiero cade in aporia2.
E lo stesso interrogativo assaliva più tardi sant’Agostino,
il quale, impegnato nella difesa della creazione divina
del mondo e del tempo contro il paganesimo, doveva
anch’egli riconoscere la limitatezza della conoscenza umana rispetto alla comprensione del tempo:
Cos’è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e
breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto
nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale
parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre
conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so;
se volessi spiegarlo a chi m’interroga, non lo so3.
La definizione del concetto di tempo è uno dei problemi più antichi e irrisolti della filosofia e, in generale, una sfida ineludibile per il “sano pensiero comune” di ogni epoca e civiltà. Alla familiarità linguistica con cui
quotidianamente ci rapportiamo allo scorrere del tempo
e, immersi in esso, tacitamente lo “abitiamo”, quasi ingenuamente lo assumiamo e socialmente lo condividiamo,
si accompagna, di contro, la sensazione di estraneità prodotta dall’estrema difficoltà di afferrarne intellettualmente il concetto: il carattere pervasivo, sfuggente e plu__________
2 Plotino,
Enneadi, III, 7, Bari, Laterza, 1947, p. 116.
Sant’Agostino (400 d.C. ca), Confessioni, XI, 14, Torino, Einaudi, 2000, p. 431.
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rale dell’oggetto, che si offre all’esperienza nelle sue molteplici e talvolta contraddittorie articolazioni, non consente infatti di coglierne l’essenza e fissarla una volta per
tutte. È inevitabile pertanto avvertire un certo disagio e
imbarazzo filosofico di fronte al pensiero inessenziale e plurale del tempo: rispetto a cui ogni tentativo di “addomesticamento” concettuale, anche per mezzo delle più ardite
e approfondite operazioni di sintesi logica, si rivela irrimediabilmente condannato al fallimento4.
Il tempo oggettivo – misurato, calcolato e programmato, regolato dai cambiamenti chimici e fisici in atto
nella natura – è insito all’esperienza umana così come lo
è il tempo non cronologico degli stati coscienziali ed emozionali. E l’uno non può essere prodotto o dedotto
dall’altro, trattandosi di dimensioni temporali di cui si
possono avere percezioni finanche discordanti e inconciliabili: l’impressione che durante l’attesa il tempo, come si suol comunemente dire, “non passi mai” o “duri
un’eternità” – oppure, viceversa, che nei momenti più lieti “passi troppo velocemente” – contraddice lo spostamento concreto delle lancette dell’orologio in avanti;
l’esperienza interiore dell’“attimo eterno” non coincide
affatto con la durata effettiva del tempo lineare; la sensazione che qualcosa sia accaduto appena “ieri” non ottiene riscontro oggettivo nei giorni trascorsi e registrati
dai nostri calendari; e via di seguito.
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4 Sull’aporetica del tempo filosofico si veda in particolare P. Ricœur (1983-85), Tempo e racconto, 3 voll., tr. it. di G. Grampa, Milano,
Jaca Book, 1986-1988 (in particolare Il tempo raccontato, vol. III); e A.
Fabris (2001), Aporie del tempo, in Id. (a cura di), Il tempo dell’uomo e il
tempo di Dio. Filosofie del tempo in una prospettiva interdisciplinare, RomaBari, Laterza, pp. 87-102.
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Una preziosa e suggestiva testimonianza letteraria
della insopprimibile “discrasia” che sussiste tra il tempo
dell’io e il tempo della realtà, tra il tempo dell’assenza e il
tempo della presenza, è offerta da Marcel Proust nelle
pagine di À la recherche du temps perdu5. Sollecitato dal sapore della madeleine a “rivivere” i tempi della sua infanzia, l’autore dovrà accorgersi che l’esperienza del temps retrouvé è soltanto un recupero extratemporale, soggettivo
e interiore concesso temporaneamente dalla memoria;
un’epifania intellettuale, mistica, letteraria, artistica di
ciò che invece è ormai sepolto nel temps perdu. Passato e
presente ripristinano, per così dire, “prepotentemente”
davanti al soggetto “e-statico” la loro distanza reale; e a
questi non rimane che assistere inerme e impotente al
trionfo della Natura: allo scorrere incessante, irreversibile, indifferente della “freccia” del suo tempo.
Le affermazioni citate in esergo di Husserl, Plotino
e Agostino – la cui distanza cronologica e culturale ben
attesta la persistenza e l’evoluzione del pensiero eminentemente problematico del tempo nei secoli – di certo non
esauriscono la molteplicità delle prospettive teoretiche
elaborate sulla temporalità nella storia della filosofia. Di
seguito ne passeremo brevemente in rassegna alcune tra
le più significative – naturalmente senza alcuna pretesa
di esaustività – allo scopo di ricostruire una mappa delle
molteplici esperienze temporali a esse sottese che contribuiscono a rendere il concetto di tempo, seppure immediatamente presente nell’esperienza pratica – tanto da
essere comunemente dato per scontato (taken for granted)
__________
5 M. Proust (1913-1927), Alla ricerca del tempo perduto, 8 voll.,
Milano, Mondadori, 2005.
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e da cadere nell’oblio –, razionalmente inafferrabile, controverso, oscuro; e proprio in virtù del suo carattere enigmatico nondimeno intrigante.
Tali acquisizioni preliminari ci permetteranno di valutare più attentamente l’originalità del progetto intellettuale e di vita rosenzweighiano di recuperare l’autonomia e la dignità delle diverse esperienze empiriche, ontologiche e conoscitive del tempo: l’una rispetto all’altra
e tutte rispetto al concetto assoluto e unitario di tempo
in cui risultano celate una volta omologate dal pensiero
totalizzante.
Nella riflessione sulla temporalità sviluppatasi a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, affinché il tempo possa
costituire un solido criterio di orientamento e di regolazione dell’esperienza umana e sociale dell’epoca moderna, si rende necessaria invece la riacquisizione e la rivalutazione delle sue interne – e quanto mai evidenti 6 –
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6 In particolare la seconda rivoluzione industriale (1870-1914) –
l’innovazione tecnologica, la diffusione del capitalismo, l’aumento
della produzione e l’affermarsi della società dei consumi, l’urbanizzazione, lo sviluppo dei trasporti e dei mezzi di comunicazione, ecc.
– modifica radicalmente il rapporto della società con il divenire.
“L’accelerazione della storia”, di cui parla Daniel Halévy nell’Essai sur
l’accélération de l’histoire (1948), mette in discussione la concezione lineare del tempo e quindi il legame naturale del presente con il passato e il futuro. I ritmi sempre più convulsi, frenetici, incalzanti che il
tempo moderno andava assumendo in conseguenza dell’effervescenza e densità degli eventi della vita individuale e sociale, percepiti
per effetto del loro carattere irruente, travolgente e discontinuo come “salti storici”, contraddicevano l’idea di un continuum omogeneo,
ininterrotto e unidirezionale di epoche e, con essa, la fede ottocentesca nel progresso. Nella post-modernità la crescente compressione
spazio-temporale prodotta dalla globalizzazione provocherà una ulteriore moltiplicazione e relativizzazione delle esperienze temporali. Si
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dissonanze temporali; non tollerabili soltanto da parte di un
pensiero logico-formale che, andando alla ricerca di rapporti immutabili, finisce inesorabilmente per collocarsi
al di fuori di ogni tempo.
Nell’esperienza quotidiana delle società moderne le
molteplici modalità con cui diviene possibile “fare e usare il tempo”7 richiedono di essere assunte tout court
quale riflesso della variegata e irrequieta ricchezza delle
connessioni logiche e delle relazioni concrete poste in
essere dal pensiero e dall’attività umana; le quali necessitano di dialettiche temporali per poter essere amministrate,
ordinate, regolate e, in quanto tali, dotate di senso.
Dispiegamenti e metamorfosi del tempo si rivelano in
sintesi espressioni di quella straordinaria facoltà umana
di porre ordine nel flusso caotico degli eventi governandolo mediante la tessitura di relazioni. E così, la propensione dell’individuo ad assegnare una precisa collocazione alla sua vita e alla storia del mondo lungo il continuum
temporale passato-presente-futuro, vale a dire la sua relazione con la sequela storica, non è da concepirsi in contraddizione assoluta rispetto all’esperienza della discontinuità temporale che irrompe nella durata omogenea
sottraendosi a ogni misurazione – ossia alla relazione del
soggetto e della durata stessa con l’imprevisto, l’inedito,
l’eccezionale, i bruschi “cambiamenti di rotta”; allo stesso modo, il tempo omogeneo delle attività lavorative –
tanto celebrato dalla società industriale – e il tempo rou__________
rimanda, a tal proposito, a C. Leccardi, Orizzonti del tempo. Esperienza
del tempo e mutamento sociale, Milano, FrancoAngeli, 1991.
7 A. Perulli, Fare e usare il tempo, in P. Giovannini, Teorie sociologiche
alla prova, Firenze University Press, 2009, pp. 141-169.
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tinario delle attività ordinarie non possono essere intesi
contrapposti all’esperienza qualitativamente eterogenea,
“stra-ordinaria”, “es-temporanea” ed “e-statica”, del fedele, dell’artista o dell’innamorato “rapito” dall’attimo eterno; e, ancora, l’assunzione della temporalità come orizzonte di senso già dato orientativo dell’esistenza e della
comprensione umana non deve indurre a trascurare il fatto che il tempo è contemporaneamente una costruzione
sociale e culturale inquadrabile all’interno del processo
generale di costruzione sociale della realtà.
Rosenzweig, contribuendo in maniera originale alla
riflessione ermeneutica – e più propriamente sociologica
– sul tempo, ravviserà nella relazione tra dimensioni
temporali eterogenee quei ponti gettati essenziali per
porre in collegamento dinamico e vitale l’interiorità e
l’oggettività, il sé e l’alterità nel suo significato più ampio.
Vedremo nel prossimo capitolo come proprio l’esperienza della relazione tra i tempi consenta di sfuggire al carattere aporetico delle dimensioni temporali estremizzato
dalla loro schematizzazione in sclerotiche dicotomie epistemologiche praticata nella storia del concetto.
Dovremo ammettere infatti che le aporie non sono
altro che trappole che il pensiero umano tende a se stesso allorquando, dimenticandosi dei propri limiti temporali, pretende in un sol colpo di districare ciò che è intricato, di trasformare in familiare ciò che è estraneo e di
rendere comprensibile ciò che è indecifrabile. In soccorso al pensiero atemporale e universale che, mosso dalla
presunzione di superare le contraddizioni del reale, finisce invece per generare altrettante e indistricabili contraddizioni logiche – queste sì concettualmente insuperabili –, sopraggiunge il conforto della umile e infallibile
esperienza empirica; per la quale le contraddizioni reali
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sono da ritenersi manifestazioni inevitabilmente parziali e temporanee di un’unica verità intera ed eterna. Nella
visione ottimistica e fideistica del filosofo della religione, solo la liberazione dalla finitezza mediante la morte renderà possibile l’accesso alla verità piena e silenziosa in cui tutte le contraddizioni si dilegueranno.
Al fine di comprendere l’efficacia “terapeutica” della
filosofia esperiente nei confronti delle “patologie” dell’intelletto, vale la pena ora richiamare brevemente la storia
di alcune delle più note dicotomie tradizionali del “pensiero plurale del tempo”; ribadendo ancora una volta che
il nuovo pensiero non mira assolutamente alla dissoluzione del rapporto dicotomico bensì alla semplice assunzione della complementarità delle prospettive, delle percezioni, delle esperienze del tempo.
1.1. Dicotomie del pensiero classico e moderno
Tempo ed eternità
È noto come la filosofia greca ai suoi albori avesse subordinato la ricerca del divenire a quella dell’Essere sovrannaturale e immutabile da cui la storia del mondo
discenderebbe. Ricorderemo per inciso che per Parmenide di Elea ciò che è non è possibile che non sia e per il
solo fatto di essere pensato esiste; mentre il divenire, implicando il non è – in quanto passaggio dal non-essere
all’essere e viceversa – non può essere pensato e dunque
non esiste8. La coincidenza tra pensiero e essere, a cui
__________
8 Parmenide, Poema sulla natura, a cura di G. Reale e L. Ruggiu,
Milano, Rusconi, 2003, frammento 2, 1-8. In radicale antitesi ri-
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obbligava l’adozione del principio logico di non contraddizione, faceva concludere necessariamente per il carattere irreale e illusorio del divenire.
In generale i Presocratici, impegnati nell’individuazione dell’elemento primordiale di tutte le cose, avevano trascurato, chi più chi meno, la realtà del divenire –
forse fin troppo immediatamente evidente! – e si erano
occupati innanzitutto dell’infinito, dell’essere unico e indeterminato di cui ciò che esiste è manifestazione sensibile, molteplice e finita.
Tale principio immortale fu avvicinato da Platone
nel V secolo a.C. all’αιών, termine coniato per dire l’eternità del Dio dei filosofi. Nei dialoghi platonici non si
concede tuttavia ancora all’eternità – dimensione “temporale” specifica del mondo immutabile e perfetto delle idee e dunque strutturalmente differente dal tempo
del mondo delle cose transeunte e imperfette – alcuna
continuità “reale” con χρόνος, il tempo “divoratore onnivoro” generato dall’opera di plasmazione del demiurgo: essa non è concepita infatti come prolungamento
all’infinito del tempo del mondo e né tanto meno nei
termini di una determinazione quantitativa al pari dell’illimitato pitagorico. Al contrario, nel Timeo l’“è” dell’eternità è completamente de-temporalizzata: essa non “è
stata” e “non sarà”, “è sempre” contemporanea a se stessa e non aspira ad alcun futuro. A essere illimitata è la
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spetto all’eleatismo è la posizione di Eraclito, convinto sostenitore della costante mutevolezza del reale passato alla storia come “il
filosofo del divenire”. Per una rassegna delle più importanti elaborazioni filosofiche del concetto di tempo nell’età antica, medioevale,
moderna e contemporanea si rimanda a L. Ruggiu (a cura di), Filosofia del tempo, Milano, Mondadori, 1998.
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“cattiva infinità”, ovvero la durata infinita, somigliante
nella dissomiglianza, mimesi del “Vivente eterno”. Il
tempo è definito pertanto da Platone «immagine mobile
dell’eternità» che procede ciclicamente, secondo il numero delle ore, dei giorni e degli anni, riproducendo il
movimento dei cieli e con esso l’ordine immutabile dell’iperuranio9.
In seguito Plotino, interrogandosi ulteriormente intorno all’esatta natura del rapporto tra tempo ed eternità
e insoddisfatto del dualismo ontologico e gnoseologico
a cui Platone era pervenuto, tenterà di ricondurre il tempo alla sua fonte originaria da cui deriverebbe mediante processi di “emanazione”, “processione”, “irradiazione”. L’eternità, “vita dello spirito”, e il tempo, “vita dell’anima”, sarebbero dimensioni tra loro strettamente correlate e comunicanti. Dall’Uno “trabocca” e fluisce il
tempo, analogamente all’albero che trae nutrimento dalle radici, al calore emanato dal fuoco, ai rivoli d’acqua
che discendono dalla sorgente. Esso si distende e scandisce in tempi dell’assenza e della presenza, del reale e
del possibile, per ritornare infine al punto inesteso dell’“ora” atemporale10.
L’aporia – lo abbiamo già anticipato – si avverte nell’organo linguistico adoperato nella quotidianità per riferirsi alle esperienze soggettive del tempo dell’uomo, del
tempo del mondo e del tempo di Dio; e la stessa estasi
plotiniana – l’uscita dell’uomo dalla propria finitezza indispensabile per entrare in contatto spirituale con l’Inef__________
9 Platone, Timeo, 37 d, in Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale,
Milano, Rusconi, 1991, pp. 1366-2367.
10 Plotino, op. cit.
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INDICE GENERALE
Introduzione. Per una nuova epistemologia del
tempo ………………………………………...
p.
7
I. FONDAMENTI TEOLOGICI E RAZIONALI …….
1.1. Dicotomie del pensiero classico e
moderno …………………………………
1.2. La riduzione hegeliana della storia
all’eternità dello spirito ……………………
1.3. Il confronto con lo storicismo tedesco ..
1.4. Il tempo della vita …………………......
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II. RELAZIONI TRA TEMPI ……………………..
2.1. Fenomenologia dell’eterno ……………
2.2. La creazione: il passato ………….……
2.3. La rivelazione: il presente …………..…
2.4. La redenzione: il futuro ………….……
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III. ESPERIENZE DEL TEMPO ………………….
3.1. Il tempo dell’altro …………….………
3.2. L’ebraismo, la vita eterna …………….…
3.3. Il cristianesimo, la via eterna ……….…...
3.4. Contributo alla sociologia del tempo .…
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Nota biografica ………………………………
Bibliografia …………………………………...
Indice dei nomi ………………………………
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