vanityfair - The Children for Peace

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vanityfair - The Children for Peace
VANITY FOR Peace
etiopia
SPUNTErà
un raggio
di sole
Non è facile nascere in un posto
dove un bimbo su dieci muore prima dell’anno.
Dove gli ORFANI DI AIDS sono milioni
e dove le nonne devono «rifare» le mamme.
Dove vincere la sete può essere rischioso.
Ma dove c’è anche qualcuno che ogni giorno,
con un gesto vanitoso, si regala la speranza
Di raffaella serini • foto stefano guindani
Due bambini
abbracciati fuori
dalla loro «casa»
di Kechene,
baraccopoli nel
centro di Addis
Abeba, capitale
dell’Etiopia.
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ewabech si porta le mani avvizzite alla bocca e non risponde. Quanti anni hai? «Sono
vecchia, non ve lo dico». Dato il contesto, lo
scatto di vanità di questa donna col viso solcato dall’infelicità e l’età indecifrabile fa tenerezza. Da quando il virus dell’Hiv le ha portato via marito e figli, Tewabech è sola. E, nel
mondo, (soprav)vive dentro a un tugurio di lamiera, dove non entra un solo raggio di sole.
Una presa in giro, considerato che siamo vicini all’Equatore. Tewabech è infatti una degli
oltre 50 mila abitanti di Kechene, la «centralissima» baraccopoli di Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Uno slum di terra, pietra e (molto) amianto dove solo il 15 per cento della popolazione ha accesso all’acqua potabile, mentre gli altri, soprattutto i più piccoli, per sconfiggere la sete devono sfidare ogni volta tifo, colera e altre malattie, e non sempre vincono la scommessa (in Etiopia, il 10 per cento dei bambini muore prima di avere compiuto un anno). Nel vedere il sacco pieno di cibo che Sosina
le ha portato, Tewabech ha di nuovo un lampo di femminilità: «I miei capelli stanno diventando bianchi, mangiare mi farà bene».
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5 MILIONI DI ORFANI
Su chi aiutare non c’è che la «disperazione della scelta»: di donne sole con piccoli a carico Kechene è piena. Gete ha 82
anni e da sei è costretta a (ri)fare la mamma per i suoi nipoti di 7 e 9 anni, rimasti
orfani di entrambi i genitori. Nonostante
la tempra, Gete è stanca. «Le gambe non
mi reggono più», confessa a bassa voce,
«e già per due volte ho mandato mia figlia a prendere l’acquasanta pensando di
morire. Ma se io muoio, che ne sarà dei
bambini?».
Un punto interrogativo che, in Etiopia,
riguarda circa 5 milioni di minori, tanti
quanti, secondo l’Unicef, sono gli orfani di questo Paese. Quando la madre la
ha affidata al nulla lasciandola sola nella culla dell’ospedale, Hanna aveva tre
giorni. La mamma, vedova, si era ammalata di cancro al seno poco dopo essere
rimasta incinta: una condanna a morte, a
cui ha «voluto» sottrarre almeno la figlia.
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IN PRIMA FILA NELLA LOTTA ALL’AIDS
The Children for Peace (info: www.thechildrenforpeace.it) è una Onlus italiana che
assiste bambini in Palestina, Mali, Siria ed Etiopia: qui, nella capitale Addis Abeba,
gestisce tre scuole grazie al fondo per l’istruzione promosso dal soprano Montserrat
Caballé e, da cinque anni, sostiene l’orfanotrofio fondato da «Mamma Africa» Haregewoin Teferra, oltre ad alcune famiglie che vivono nella parte più povera della
città. Molti assistiti sono sieropositivi, e quindi in occasione della Giornata Mondiale
contro l’Aids (1 dicembre) The Children for Peace organizza un charity gala dinner
che si terrà a Roma allo Spazio 900 all’Eur: nel corso dell’evento benefico sarà conferito al direttore di Vanity Fair Luca Dini lo Special Award Children for Peace 2012,
e sarà anche in vendita una creazione esclusiva dello stilista di gioielli Mario Pini.
Per donazioni: The Children for Peace Onlus – Unicredit Banca
IBAN: IT 61 T 02008 01136 000040764054.
1. L’orfanotrofio fondato ad
Addis Abeba da «Mamma
Africa» Haregewoin Teferra
e ora gestito dalla figlia
Sosina Worku con
il sostegno di The Children for
Peace. 2. Un’altra immagine
della baraccopoli di Kechene,
dove vivono oltre 50 mila
persone. 3. I bambini di una
della scuole gestite da The
Children for Peace si lavano
le mani. L’acqua potabile
ad Addis Abeba è un bene
prezioso. 4. Gete è una
delle tante donne sole (anche
anziane) di Kechene con
piccoli a carico: ha 82 anni,
eccola con i nipoti orfani
di entrambi i genitori.
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Riuscendoci. Oggi Hanna è una bambina bellissima con tanti capelli e pochi
denti che cresce serena tra le braccia delle nanny dell’orfanotrofio di Sosina. Ha
un anno, e le tate (dieci in tutto, che si alternano notte e giorno) fanno a gara a
chi riuscirà a farle dire per la prima volta «mamma». Ma nessuna è destinata a
vincere veramente.
Meserat, invece, il destino credeva di
averlo battuto per sempre. Mamma sola
di una figlia adolescente a Kechene, da
qualche tempo aveva preso a frequentare un corso per diventare massaggiatrice. Poi, però, una caduta dalle scale le
ha spezzato una caviglia e, con essa, anche il sogno di affrancarsi finalmente dalla povertà; tutto per una distorsione, che
in ospedale non sono riusciti a curare e
che aggiustare in una clinica privata costerebbe troppo.
Da più di un mese, Meserat è confinata a
letto con una gamba ingessata. «La mia
vita stava migliorando e ora sono tornata punto e daccapo», si sfoga, in perfetto
inglese, di fronte alla figlia che la ascolta
in lacrime. Mulalem ha 14 anni, è alta ed
elegante: «A scuola ha vinto un concorso di bellezza», racconta orgogliosa Meserat, mentre la ragazza ci mostra l’attestato di premiazione. «Da grande vorrebbe fare la modella», dice la madre. «O la
giocatrice di basket», la corregge l’interessata, che intanto ripassa biologia con
il libro sulle gambe.
I SOGNI NASCONO A SCUOLA
Anche Tamnut è fiera della sua primogenita: all’università studia matematica, e
prende ottimi voti. La mamma me li indica con il dito, porgendomi la pagella
VANITYFAIR.it
ILVIDEO
che ha tirato fuoil sito di vanity Fair
ri dall’unico cassetto della stanza. In questa
stanza, Tamnut
abita con altre due
figlie, una delle quali passa le giornate sdraiata a terra su un materasso, consumata
dall’Aids. Eppure l’atmosfera non è mesta, e nessuno è triste. A Kechene, e non
solo, la gente ha voglia di fare, reagire, e
si vede. Dagli occhi, che nonostante tutto brillano di speranza.
Non a caso, il motto che campeggia
all’entrata di una delle scuole frequentate dai bambini di The Children for ­Peace
è proprio «Prosperity, hope, sacrifice»:
prosperità, speranza, sacrificio. Tra i
banchi di questo istituto privato, ma non
«esclusivo», gestito da una signora italiana di nome Laura (e presidiato da una
tartaruga gigante che bazzica in giardino, utilizzata come «minaccia» anti-marachelle), in tanti sognano un futuro da
insegnante, e la materia preferita dai più
è la matematica. Ma è impossibile sapere
chi siano i più bravi: quando in classe domandi chi è il migliore, tutti alzano la mano. Qualcuno di loro, però, ha già le idee
molto chiare: come Rome, che vuole fare (e sembra molto determinata) la giornalista sportiva, mentre Adanech sogna
di diventare fotografa, ma per il momento si accontenterebbe di un computer dotato di photoshop.
«Prosperity, hope, sacrifice». Per raggiungere la prosperità, loro lo sanno, devono metterci sacrificio. A noi basterebbe regalargli almeno la speranza.
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una produzione sgp in esclusiva per vanity fair. Si ringrazia l’Hilton Addis Abeba per l’ospitalità e accoglienza
Parlantina veloce e occhi vispi, Sosina
Worku è una quarantenne etiope, piccola ma robusta e tostissima. Lo era anche
sua madre, Haregewoin Teferra, che in
Italia è conosciuta come Mamma Africa, per via del titolo con cui nel 2008 uscì
la sua biografia curata da Melissa Fay
Greene. La «favola» di questa donna, da
qualcuno ribattezzata «Schindler d’Etiopia» (non è un caso se Steven Spielberg,
che nel 1993 diresse Schindler’s ­List, ha
acquistato i diritti del libro), inizia nel
1993, quando Haregewoin, dopo avere perso la prima figlia Atetegeb vittima
dell’Aids, decide di esorcizzare il dolore
accogliendo nella propria casa orfani e
ragazzi abbandonati e diventando in poco tempo una vera e propria eroina nazionale, anche se di lei, scomparsa nel
2009, oggi non resta, per sua volontà, neanche una lapide al cimitero.
Ma la favola di Mamma Africa non finisce con la sua scomparsa: ora la porta avanti la secondogenita Sosina che,
con il supporto della onlus italiana The
Children for Peace (vedi pagina a fronte),
a Addis Abeba gestisce un orfanotrofio
con venti ospiti (la più grande ha 14 anni,
la più piccola 13 mesi), aiutando anche
una decina di vedove di Kechene, che sostiene mandando a scuola i figli e portando loro scorte di cibo.
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