Ausili fai da te

Transcript

Ausili fai da te
Metodologie e percorsi per la didattica, l’educazione,
la riabilitazione, il recupero e il sostegno
Collana diretta da Dario Ianes
Nicola Gencarelli
Ausili fai da te
Creare e adattare oggetti e strumenti
tecnologici per la disabilità
Prefazione di Andrea Canevaro
Indice
Prefazione (Andrea Canevaro)
7
15
Introduzione
19
CAP. 1 Tecnologia, disabilità e mediatori
33
CAP. 2 Il bricolage dei mediatori
79
CAP. 3 L’informatica come laboratorio artigiano
121
CAP. 4 Progetto per un’ausilioteca Slow Tech
151
Bibliografia
Introduzione
Questa pubblicazione raccoglie la documentazione, le riflessioni e le proposte nate dal progetto Ausili creativi. L’arte del fare tra adattamento e invenzione,
una ricerca coordinata da Andrea Canevaro e portata avanti da un gruppo
di educatori e collaboratori del Servizio per gli Studenti Disabili e Dislessici
dell’Università di Bologna. Gli ausili creativi sono invenzioni quotidiane che
nascono dall’improvvisazione, dal gioco, dal desiderio di cercare soluzioni
personali per il superamento delle disabilità. Spesso sono il frutto dell’adattamento ingegnoso di oggetti presenti sul mercato, altre volte si sviluppano
attraverso l’uso creativo di utensili e manufatti pensati per utilizzi diversi; altre
volte ancora sono progetti inediti che nascono dalla manipolazione creativa
di materiale artigianale. Gli ausili creativi trovano la loro forza nel processo
di condivisione di idee che sottende la loro creazione: quando l’incontro di
competenze diverse permette alla persona con disabilità di partecipare attivamente alla scelta e all’ideazione di una soluzione per le sue esigenze, i risultati
raggiunti sono molto più significativi rispetto a quando un ausilio, una protesi,
una modifica architettonica o una strategia riabilitativa vengono pensati e
prescritti unilateralmente dagli esperti.
Partendo dal rapporto tra studenti universitari con disabilità e tecnologie
di supporto e facilitazione per lo studio e la partecipazione sociale, il progetto ha
allargato il suo campo di indagine all’esperienza di persone con disabilità che,
in diversi contesti di vita, hanno riorganizzato la loro quotidianità grazie alla
capacità di trovare soluzioni creative alle loro esigenze. La ricerca ha messo in
16
Ausili fai da te
luce come non sempre gli strumenti standard siano sufficienti o appropriati e
come spesso quelli tecnologicamente più avanzati vengano considerati a priori
migliori rispetto a soluzioni low tech.
Lo sviluppo di una competenza tecnologica non si manifesta attraverso
l’accettazione passiva o il rifiuto pregiudiziale di una tecnica, ma dipende
dalla possibilità di fare delle scelte consapevoli. Con questa pubblicazione intendiamo sostenere un approccio Slow Tech1 in grado di affermare il
valore della tecnodiversità, della fabbricazione cooperativa, consapevole e
sostenibile di ausili e mediatori. Una fonte d’ispirazione per questo tipo di
approccio può essere fornita dalla padronanza tecnologica selettiva e critica
che caratterizza alcune comunità amish. Non tutte le comunità amish rifiutano
in modo categorico l’innovazione tecnica e strumentale: al contrario molti
amish sono ingegnosi inventori, pieni di risorse nel modificare le strumentazioni a modo loro, nonché attenti costruttori e bricoleur. Inoltre sono spesso
favorevoli alla tecnologia e usano un mix di cose vecchie e nuove: la loro
competenza meccanica si esprime in particolare nella capacità di modificare
le loro officine secondo le scelte della comunità, adattando ad esempio gli
strumenti di lavoro all’alimentazione a cherosene (dato che il collegamento
alla rete elettrica non è permesso). Kevin Kelly, prima di fondare Wired, è
stato uno dei pionieri della cultura Slow Tech negli Stati Uniti. Nel 1968 fu
tra i promotori, insieme a Stewart Brand, della rivista Whole Earth Catalog
che usava i propri lettori per selezionare, valutare e raccomandare strumenti
e idee utili per la costruzione di oggetti e software. Negli anni Settanta e Ottanta il Whole Earth Catalog, stampato su carta da giornale economica, era
di fatto una versione ante litteram di un sito web basato sulla filosofia dello
user generated content. Il suo pubblico erano i suoi autori. Siamo agli albori,
in ambito anglosassone, della cultura del DIY (Do It Yourself) che propone la
necessità di recuperare la capacità di selezionare gli oggetti, di saperli riparare,
smontare, inventare e ricostruire.
Questa pubblicazione intende essere un contributo alla diffusione della
filosofia dell’adattamento creativo, dell’immaginazione, della competenza
tecnologica e della partecipazione attiva alla costruzione dei mediatori.
Le premesse del progetto Ausili creativi sono descritte nel capitolo 1. In
particolare, viene proposta una lettura dell’ICF (Classificazione Internazionale
del Funzionamento, della Salute e della Disabilità, OMS, 2001) come modello
Da non confondere con la filosofia Low Tech, che si oppone agli strumenti e alle tecniche che dipendono da fonti di energia non rinnovabili. Il termine Slow Tech è utilizzato in ambiti molto diversi:
nell’accezione che proponiamo è da considerarsi in stretto collegamento con il noto modello Slow
Food concepito da Carlo Petrini.
1
Introduzione
17
in grado di descrivere l’interazione complessa tra abilità dell’uomo e strumenti
e tecniche di facilitazione.
Il capitolo 2 è dedicato all’analisi di parte della documentazione raccolta
durante la ricerca: storie di bricolage, pratiche d’uso e riuso di mediatori da
parte di persone con disabilità, insegnanti, educatori, famiglie, artigiani che
hanno partecipato all’ideazione di soluzioni creative. Sono descritti i processi
di adattamento, invenzione e condivisione che vanno al di là, in quanto alternativi e complementari, rispetto alla prescrizione dell’esperto e alle istruzioni
per l’uso della produzione industriale.
Il capitolo 3 è dedicato alle potenzialità della tecnologia informatica come
possibile ambiente laboratoriale di artigianato e invenzione. Verranno analizzati
alcuni esempi di uso del computer e delle ICT (Information Communication
Technologies) per la costruzione di mediatori personalizzati.
Nel capitolo 4, infine, verrà presentato il progetto per la realizzazione di
un’ausilioteca Slow Tech. La ricerca Ausili creativi ha posto le basi, infatti, per
l’ideazione di un centro ausili che possa promuovere un approccio creativo e
cooperativo rispetto alla scelta, all’adattamento e alla fabbricazione di mediatori per la disabilità.
2
Il bricolage dei mediatori
Il modello del bricolage
Claude Lévi-Strauss, riferendosi al pensiero mitico, definisce il bricolage
come una forma d’attività poetica che
non si limita a portare a termine, o a eseguire, ma parla non soltanto con
le cose, ma anche mediante le cose: raccontando attraverso le scelte che
opera tra un numero limitato di possibili, il carattere e la vita del suo autore.
(Lévi-Strauss, 2003, p. 43)
Andrea Canevaro scrive:
Il Petit Robert, vocabolario diffuso per la sua credibilità, alla voce bricoler, spiega che si tratta di «arranger, réparer tant bien que mal, de façon
provisoire». Probabilmente il bricolage è considerato un modo di fare lavoretti di secondo piano, modesti e forse provvisori. (Canevaro, 2008, p. 34)
Quella del Petit Robert mi sembra una definizione riduttiva, limitata. Si
potrebbe aggiungere che è una definizione che non apre collegamenti. Cercando
lo stesso lemma nel motore di ricerca della versione inglese di Wikipedia,1 si
Wikipedia è un mediatore efficace? È credibile? Lo si può usare a scuola? Può potenziare il lessico di una
persona non udente o di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento? Io credo di sì. Certo, come
per tutti i mediatori, per poterlo usare con profitto bisogna conoscerne il funzionamento. La credibilità
di Wikipedia è dinamica, bisogna saper leggere le voci, consultare le discussioni, i commenti degli autori
1
34
Ausili fai da te
trova una definizione che mi sembra più interessante: «to make creative and
resourceful use of whatever materials are at hand (regardless of their original
purpose)». Il bricolage è un’attività che fa uso di qualunque tipo di materiale
a portata di mano, e che può stravolgere gli usi previsti di un oggetto, indipendentemente dalle sue istruzioni per l’uso.
L’idea che anche l’evoluzione biologica funzioni come un bricolage naturale e sia basata sul riutilizzo a fini diversi di una struttura già esistente è stata
introdotta agli inizi degli anni Settanta dal biologo François Jacob:
La selezione naturale opera non come un ingegnere ma come un
bricoleur, il quale non sa esattamente cosa produrrà […] un bricoleur che
utilizza tutto ciò che ha sotto mano per farne qualche oggetto utile […]
allo stesso modo, l’evoluzione costruisce un’ala da una zampa, o un pezzo
d’orecchio con un frammento di mascella. ( Jacob, 1978, p. 22)
Riferendosi all’evoluzione tecnologica, il sociologo britannico Brian
Arthur sostiene una tesi analoga a quella che Jacob propone per l’evoluzione
biologica: la tecnologia non prevede solo un insieme ristretto di funzioni, ma
fornisce un vocabolario di elementi assemblabili (programmabili) in tanti modi
diversi e per soddisfare scopi sempre nuovi; il bricolage per ricomposizione è
l’essenza stessa dell’evoluzione tecnologica:
Possiamo affermare che la tecnologia crea se stessa da se stessa attraverso
l’assemblaggio di pezzi (componenti) preesistenti (o pezzi che possono
essere creati a partire da altri esistenti). Inventare qualcosa quindi significa
scoprirlo in ciò che già esiste. (Arthur, 2011, p. 15)
Canevaro, invece, propone di collegare il bricolage all’evoluzione in riferimento agli apprendimenti e al percorso di crescita di una persona: crescere
significa
funzionare in una dimensione sinaptica […] attaccare insieme elementi
che non sono nati per stare insieme […] avere la possibilità di costruire
collegamenti che non erano di per sé previsti. (Canevaro, 2008, p. 34)
di una definizione, i feedback dei lettori, lo storico delle diverse note: usare in definitiva gli strumenti che
permettono di rendere trasparente il funzionamento. È quella trasparenza del playbook (cioè delle logiche
e delle regole di funzionamento) che Donald Norman considera fondamentale per una corretta e naturale interazione tra l’uomo e le macchine intelligenti: la macchina propone, l’uomo decide. Bisogna cioè
possedere la coscienza materiale del mediatore. Andando avanti nella lettura della definizione proposta
da Wikipedia, si scoprono inoltre indicazioni utili per approfondire alcuni ambiti di applicazione del
bricolage: la musica (strumenti costruiti con materiali di recupero), le arti visive, l’architettura, il teatro, la
filosofia, la biologia, l’educazione, l’informatica, la televisione. Ho ritrovato anche riferimenti ad autori a
cui si collega Canevaro nella sua analisi. Mi sembra un buon indizio di efficacia dello strumento.
Il bricolage dei mediatori
35
L’economista Stefano Micelli, nell’ambito di un’analisi delle prospettive
future del sistema industriale italiano rispetto all’attuale crisi finanziaria, individua il bricolage come possibile fattore di rilancio del Made in Italy (Micelli,
2011): in uno scenario di frammentazione territoriale dei processi produttivi,
l’artigianato italiano, che fino agli anni Novanta ha rappresentato la risorsa
competitiva del nostro Paese, non è necessariamente destinato a soccombere
sotto le dinamiche sempre più pervasive della produzione seriale del mercato
globale. L’artigianato deve reinventarsi, imparando a dialogare con la produzione di massa, inserendosi nella filiera produttiva globale:
Siamo abituati ad abbinare la creatività dell’artigiano alla dimensione
artistica che caratterizza i tanti mestieri storici dell’artigiano italiano. La
corrispondenza è legittima, ma per molti aspetti riduttiva […] al contrario,
il principio dell’invenzione come bricolage costituisce un modus operandi
consolidato, capace di generare risultati sorprendenti. Saper trasformare
continuamente macchine esistenti per modificarne gli usi finali o saperle
adattare a nuovi contesti d’uso rappresenta una delle abilità principali di
tanti imprenditori italiani. (Micelli, 2011, p. 78)
Come il bricoleur si appropria di oggetti prodotti in serie, così l’artigiano
che vuole continuare a innovare in un mercato globale, secondo Micelli, deve
saper tradurre, adattare, personalizzare e ricollocare in modo creativo prodotti
standardizzati.
Organizzazione, ovvero il «fare con quel che si ha e con quel che si trova»
L’arte di arrangiarsi è all’origine di ogni bricolage. Il bravo bricoleur, come
prima cosa, controlla quello che ha a portata di mano e, facendone l’inventario,
organizza gli elementi che possono contribuire a comporre i mediatori. Innanzitutto è importante imparare a riconoscere le risorse contestuali e a valorizzarle
per permettere un’evoluzione compatibile tra oggetto e persona. Canevaro, a
questo proposito, scrive: «Chi cresce percorre questa logica, utilizzando ciò
che trova attorno, inventando o scoprendo […] e così evolve, ovvero realizza
una crescita originale e compatibile con le proprie capacità di divenire». Allo
stesso modo, il bricoleur degli oggetti quotidiani «sa combinare le risorse più
modeste […] per permetterci di continuare a utilizzare ciò che è nelle nostre
abitudini» (Canevaro, 2008, p. 65).
La scelta di fare con quel che si ha a disposizione si contrappone a quanto accade nella progettazione strategica industriale e scientifica, nella quale
3
L’informatica come
laboratorio artigiano
«A scuola non ci sono soldi per comprare gli strumenti di cui parlate.
Come facciamo?» Domande di questo tipo vengono rivolte di frequente da
insegnanti e educatori durante corsi di formazione sulle tecnologie informatiche
per l’inclusione scolastica. Il problema delle risorse economiche a disposizione
può scoraggiare chi vuole provare un software o uno strumento informatico.
In Italia, i centri ausili associati nella rete nazionale (www.centriausili.it) possono essere un buon punto per cominciare. La loro consulenza permette di
orientarsi nel panorama degli ausili, tecnologici e poveri, di poterli provare e
di imparare come adattarli alle esigenze specifiche del singolo studente. Non
esistono software che possono essere comprati a scatola chiusa. Il percorso che
porta alla scelta di un mediatore informatico è un processo evolutivo, per prove
ed errori, aggiustamenti e modifiche. Per questo, insegnanti e educatori non
possono delegare completamente la scelta a tecnici e programmatori. Possono
informarsi sulle tecnologie esistenti, formarsi rispetto al loro utilizzo, ma non
troveranno mai una corrispondenza univoca tra tipo di disabilità e il nome, o
la marca, di un ausilio specifico. Anche chi ha un ruolo educativo e pedagogico deve partecipare alla valutazione dei mediatori che meglio soddisfano le
esigenze di apprendimento, di crescita e partecipazione.
Se inteso come mezzo e non come fine, il computer rappresenta un
sistema di creazione aperto, multimediale e interattivo in grado di facilitare
l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità motorie, sensoriali, cognitive e con disturbi specifici dell’apprendimento. Generalizzando si può dire
80
Ausili fai da te
che qualsiasi abilità motoria o sensoriale anche minima può essere valorizzata
per permettere a persone con disabilità più o meno complesse di servirsi di
un computer per scrivere, leggere, informarsi, comunicare, giocare, controllare
l’ambiente, ecc. Si possono fare grandi investimenti per predisporre postazioni
informatiche accessibili in una scuola, per l’acquisto di periferiche speciali, soft­
ware didattici e tecnologie informatiche per disabili. Ma esistono anche molti
modi per utilizzare il computer in modo creativo e sostenibile. L’installazione
di programmi gratuiti e/o opensource, l’adattamento artigianale di tastiere,
mouse, schermi touchscreen, l’uso di software autore personalizzabili fanno
del computer uno strumento che permette di valutare e di esplorare un gran
numero di forme di mediazione.
Questo capitolo è dedicato al computer come mezzo e non come fine, al
digitale inteso come materia da plasmare, risorsa a disposizione per il bricoleur
che assembla e inventa mediatori. Al di là di posizioni apocalittiche o integrate,
le ICT possono essere considerate un laboratorio artigiano, elementi di potenziale (ma non scontata) facilitazione della vita quotidiana e della partecipazione
sociale: questo non significa credere nella superiorità dei mediatori informatici
rispetto ad altri strumenti, ma nemmeno provare quel timore reverenziale che
immobilizza chi pensa che avere a che fare con un computer sia molto diverso
dall’avere a che fare con un libro, un martello o una lavagna di ardesia.
La coscienza materiale del digitale: scolpire il duro metallo
La nascita dei primi computer in grado di elaborare dati e compiere una
serie sempre più complessa di calcoli numerici è legata al lavoro paziente e appassionato di artigiani che si definivano «programmatori del nudo metallo».1
Con la perizia di scultori, i primi programmatori dell’era informatica (hacker)
manipolavano direttamente la materia digitale: utilizzavano infatti il linguaggio
macchina, per cui le istruzioni venivano incise sui nuclei di ferrite delle memorie, attraverso la combinazione di successioni di 0 e 1 che costituisce l’essenza
atomica del digitale. Anche dopo l’avvento di programmi di traduzione (come
Scrive Meo in Libertà di software, hardware e conoscenza: «La programmazione in linguaggio macchina
era operazione molto lunga e complessa, perché richiedeva la conoscenza minuta dell’architettura
del calcolatore, dei codici di tutte le istruzioni e il controllo mentale delle molte celle della memoria
centrale […] I traduttori automatici della prima generazione non erano così intelligenti come i programmatori umani, per cui il codice prodotto da questi strumenti talvolta non era così efficiente come
il codice generato a mano […] i veri programmatori, o real programmers come amavano definirsi,
continuavano a programmare sul nudo metallo, snobbando i linguaggi di alto livello» (Berra e Meo,
2006, pp. 29-32).
1
L’informatica come laboratorio artigiano
81
Basic, C+, Java, ecc.) che permettono di usare linguaggi di secondo livello, il
lavoro del programmatore è rimasto un lavoro essenzialmente artigiano.
Sennett sostiene che il programmatore informatico può essere considerato un artigiano, alla stregua di un falegname o di un vetraio (la sua analisi è
riferita in particolare al modello open source): la programmazione è un’attività
ricorsiva, un continuo alternarsi tra esplorazione e manipolazione, una relazione
incessante e ossessiva tra risoluzione e individuazione di problemi.
L’utilizzo creativo, personale, sovversivo che molti fanno delle tecnologie
informatiche dimostra però che si può essere artigiani digitali anche senza
essere programmatori: la digitalizzazione del suono, delle immagini fisse, dei
video, dei caratteri alfabetici permette di registrare, elaborare e rappresentare
la realtà partendo da un unico linguaggio binario con cui vengono scomposte
le diverse manifestazioni analogiche. Secondo il massmediologo Derrick De
Kerckhove (2008), ad esempio, la videoscrittura rispetto alla scrittura con carta
e penna è un’esperienza intrinsecamente artigiana: mentre la scrittura a penna
sottende un agire sostanzialmente intrapsichico, attraverso la rappresentazione
a schermo il pensiero si proietta all’esterno della mente e diventa oggetto modificabile: lo schermo consente di lavorare su un oggetto del pensiero posto
davanti alla mente.2
Dal testo alla voce
La digitalizzazione del suono, delle immagini, dei video, dei caratteri di
stampa permette di registrare, elaborare e rappresentare la realtà partendo
da un unico linguaggio binario. Questo ha delle ovvie e immediate ricadute
per quanto riguarda l’uso del computer da parte di persone con disabilità.
Ogni elaborazione visiva del computer, ad esempio, può essere trasformata
in segnale sonoro. I software screen reader (lettori di schermo) permettono
ai non vedenti di navigare su Internet e di gestire le diverse applicazioni
di un computer guidati da una voce digitale e/o dalle stringhe di codice
«Che differenza fa per il pensiero se scrivo a mano, con la macchina da scrivere o col computer? La
scrittura manuale è l’espressione corporea del mio pensiero, è il mio pensiero incorporato. È il suo
involucro esterno più diretto al quale il mio pensiero resta interno […] con la macchina da scrivere il
testo che sto scrivendo non mi riflette se non in una forma già pubblicata, già filtrata da un’apparenza
impersonale. Il testo scritto a macchina ha qualcosa di definitivo […] sullo schermo, al contrario, il
testo è libero quasi quanto il pensiero, compete, se così si può dire, con lui. In ogni momento è possibile sostituirgli altre parole, altre frasi. Esso ha l’aspetto di uno script pubblicato, ma al tempo stesso
è dotato di fluidità, il che gli conferisce una nuova autonomia, come se il mio pensiero non fosse più
soltanto nella mia testa ma già legato agli imprevisti di ciò che accade su schermo» (De Kerckhove,
2008, p. 154).
2
4
Progetto per un’ausilioteca Slow Tech
In questo capitolo verrà descritto il progetto di costruzione di
un’ausilioteca,1 ovvero un centro per la ricerca, la formazione e la consulenza
sulla tecnologia assistiva e la fabbricazione di ausili, che avrà l’ambizione di
definire una propria identità specifica focalizzandosi sul sapere pratico e il
bricolage. L’ausilioteca sorgerà a Sant’Aquilina, frazione del Comune di Rimini,
all’interno di un progetto di riqualificazione di un podere agricolo di proprietà
della Fondazione EnAIP S. Zavatta.2 Oltre alla costruzione di un’ausilioteca,
la ristrutturazione prevede la progettazione di un Centro Socio-Educativo
che erediti le attività del Centro di Terapia Occupazionale gestito da EnAIP,
che vede attualmente impegnati educatori e persone con disabilità fisiche e
cognitive in attività di cura dell’orto, della serra, e in lavori di artigianato su
Il termine ausilioteca è stato proposto da Claudio Bitelli nel 1989 quando, sulla base degli esiti di
una prima fase di ricerca e sperimentazione centrata sugli ausili tecnologici per disabili motori in
convenzione con AIAS onlus, la USL di Bologna istituì il primo «Servizio di consulenza e supporto sugli ausili tecnologici — Ausilioteca» (oggi Centro Ausili Tecnologici all’interno del Polo
Multifunzionale per la Disabilità di Corte Roncati). Nel corso degli anni, il termine «ausilioteca»
si è diffuso per designare in modo più generale strutture pubbliche o private dove vengono raccolti,
valutati e sperimentati strumenti e tecniche che possono facilitare le attività quotidiane di persone
con disabilità.
2
La Fondazione EnAIP S. Zavatta di Rimini è un centro di servizi per l’Orientamento e la Formazione
al lavoro di giovani e adulti in tutti i settori delle attività produttive e del terziario. In particolare le
attività di formazione e di sostegno sono rivolte a persone con deficit e difficoltà nell’inserimento
lavorativo.
1
122 Ausili fai da te
commissione.3 Il Centro Socio-Educativo sarà collegato allo sviluppo di una
produzione agro-alimentare che possa collocarsi in una prospettiva ispirata
alle logiche del biologico e del chilometro zero.4
Le attività socio-educative, la formazione, la ricerca e la consulenza sulla
tecnologia assistiva saranno coordinate con l’organizzazione di un’attività
produttiva basata sulla logica della bottega artigiana: dall’agro-alimentare alla
fabbricazione di ausili, giochi e oggetti di uso quotidiano.
La serra di Sant’Aquilina come ambiente tecnologico complesso
Ho visitato il podere di Sant’Aquilina, per la prima volta, accompagnato
da Salvo Aloe, responsabile del progetto di riqualificazione dei terreni e della
produzione agro-alimentare. Siamo stati accolti da Marco Morri, educatore e
perito agronomo5 del CTO (Centro di Terapia Occupazionale), per una visita
alla serra e all’orto dove lavorano persone con disabilità fisica e disagio psichico.
Appena entrati nella serra, la nostra attenzione è stata colpita da una pianta
in vaso alloggiata all’interno di un vecchio monitor da computer svuotato
del tubo catodico e issato su un piedistallo. All’interno del monitor, la pianta
è tenuta vicino a un vaso di acqua per la regolazione dell’umidificazione. A
completare quest’opera di bricolage tra natura e tecnica, un cartello con una
didascalia (figura 4.1):
Attualmente il CTO ospita 25 persone, provenienti dai diversi comuni appartenenti ai distretti AUSL
di Rimini e di Riccione. La rimodulazione del centro sarà curata in particolare da Francesco Messia,
educatore con esperienza nel campo del bilancio di competenze e dell’inserimento lavorativo di
persone con disagio e bisogni speciali.
4
La riqualificazione del vigneto, delle serre, dell’orto e lo studio di eventuali forme di produzione
agro-alimentare (ortaggi, allevamento di animali di bassa corte, frantoio, trasformazione e preparazione di conserve e miele, ristorazione, ecc.) è seguita in particolare da Salvo Aloe, scienziato
agronomo. La direzione che vuole prendere il progetto di Sant’Aquilina è quella dell’autonomia
economica e finanziaria: l’agricoltura biologica e sostenibile (economicamente e da un punto di
vista socio-territoriale) è basata sulla filiera corta a km zero, sul recupero, la conservazione e la
tutela della vocazionalità del territorio con le sue tipicità e tradizioni e sulla costituzione di una
rete locale produttiva e sociale, per la sostenibilità socio-economica della struttura e per la rivitalizzazione del territorio. Ciò comporta la costruzione di una rete produttiva e commerciale sia fra
cooperative sociali che con piccoli produttori biologici. Per quanto possibile, quindi, attraverso
la vendita diretta in loco e l’indagine territoriale di negozi biologici e ristoranti per la vendita a
terzi.
5
Nel Centro di Terapia Occupazionale sono impiegati educatori con formazione psicologica e pedagogica e personale proveniente dal mondo del lavoro come falegnami, esperti in agraria, e docenti
con formazione artistica e artigianale. Nel caso di Marco Morri, non c’è separazione netta tra ruolo
educativo e sapere artigiano.
3
Progetto per un’ausilioteca Slow Tech
123
Fig. 4.1 «La Natura è più forte della Tecnologia».
È un proclama inequivocabile: nella serra si preferisce la biologia alla
tecnologia. D’acchito, sembra che non ci possa essere alcuna possibilità di
simbiosi tra natura e tecnica, ma solo una colonizzazione da parte della pianta.
In realtà, è stata proprio questa immagine a convincermi che un podere
agricolo può essere un luogo ideale per studiare e fabbricare mediatori efficaci.
La serra di Sant’Aquilina è un ambiente tecnologico compatibile, sostenibile,
efficace ed efficiente. Per questo, nel vissuto delle persone che danno vita a
questo ambiente complesso la natura diventa la migliore tecnologia possibile.
Non si tratta di un rifiuto luddista del computer tout court, ma di avversione
per un modello tecnocratico: in discussione non c’è la tecnica informatica,
ma lo strumento fine a se stesso, la macchina isolata che diventa fine e non
più mezzo, che vince sul piano tecnico ma non necessariamente su quello
tecnologico. Credo che si possano liberare i mediatori informatici da questo
destino, attraverso la costruzione di un modello tecnologico che metta in
connessione il computer con i vasi, le piante e gli attrezzi agricoli, le arnie
e il vigneto con Internet.6 La serra è un ecosistema dove la natura produce
Un interessante esempio di utilizzo di tecniche informatiche inserite all’interno di un modello d’interpretazione chiaro e consapevole della produzione agricola è rappresentato dal progetto ITC4Agro:
6
124 Ausili fai da te
con l’aiuto dell’uomo, ha bisogno di cure e di una fatica per produrre: i vasi,
la vanga, i serbatoi, i contenitori, le cesoie sono strumenti che permettono
un avvicinamento alla terra, alle piante, una gestione del sole e dell’acqua. Il
rapporto con la terra costringe a scoprire una molteplicità di mediatori e di
riti quotidiani: la semina, l’irrigazione, la potatura, la raccolta sono tecniche
inserite in un percorso fatto di attesa e rispetto del tempo, di momenti pieni
e di momenti vuoti. Nessuna tecnica è sufficiente a se stessa: ognuna rinvia
all’altra, in un percorso di apertura circolare.
I mediatori agricoli non riducono la complessità, sono strumenti esplorativi che aiutano a scoprire l’origine delle cose e offrono la possibilità di
focalizzare — anche per tappe intermedie — un risultato compatibile con le
proprie possibilità.
Nella serra la tecnologia non sottende solo una finalità produttiva; gli stessi
strumenti e tecniche che permettono la potatura o l’organizzazione dei tempi
di irrigazione, ad esempio, possono anche aiutare a organizzare la quotidianità
delle «cure ricorsive», date dalla necessità di curare la propria persona, i materiali, il tempo, lo spazio e di farlo tutti i giorni dell’anno. La stessa cura che
dedico alla potatura della pianta mi può ricordare che anch’io ho bisogno di
curare il mio corpo, di tagliarmi i capelli, ecc.; allo stesso modo il calendario
dei giorni di irrigazione che ho imparato a utilizzare sul lavoro può diventare
mediatore per l’organizzazione generale del mio tempo quotidiano. In qualche
modo, questo molteplice e personale riuso delle tecniche e degli attrezzi di
lavoro può essere considerato un esempio di riappropriazione furtiva «per
altri scopi» dei materiali della produzione da parte dei lavoratori: un lavoro
libero, creativo e senza profitto.
L’ambiente agricolo fornisce inoltre gli elementi per il bricolage, l’invenzione di soluzioni creative, attraverso il riciclo e l’adattamento di quello
che si ha a disposizione. Il tempo dell’artigiano, così come di chi lavora in
una serra, è lento, ripetuto e a tratti ossessivo, non è libero e illimitato. Funziona perché dipende dagli attrezzi, dalle risorse limitate, dall’apertura agli
imprevisti, dalla ritualità e dal ritmo; non è chiuso nella ricerca anarchica
della perfezione senza limiti.
attraverso l’assemblaggio artigianale di sensori ambientali collegati in rete, il sistema è in grado di
gestire un vigneto limitando al massimo l’uso di pesticidi e l’intervento dell’uomo, effettuando un
monitoraggio molto preciso delle condizioni di umidità, irraggiamento solare, ecc. Si tratta di un
esempio informatizzato di agricoltura di precisione: una strategia gestionale dell’agricoltura che si
avvale di moderne strumentazioni ed è mirata all’esecuzione di interventi agronomici tenendo conto
delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo. In questo caso
la tecnologia permette di ridurre l’intervento dell’uomo sulla natura.