Tre donne, tre strade: della `ndrangheta
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Tre donne, tre strade: della `ndrangheta
14 FOSSANO 1 aprile 2015 Sabato 28 marzo le è stata intitolata una via in zona Belmonte Tre donne, tre strade: Lea Garofalo vittima della ‘ndrangheta DI FIORENZA BARBERO FOSSANO. Il sole splende nel cielo terso sabato 28 marzo; una giornata limpida, con l’aria pura, proprio come sarebbe piaciuta a Lea Garofalo, che di giorni così ne ha visti tanti a Petilia Policastro, il paesino della Calabria dove era nata nel 1974. Ma poi è arrivato il buio della verità e della paura e lei, testimone di giustizia, nel novembre del 2009, è caduta vittima della ‘ndrangheta, per mano del suo ex compagno Carlo Cosco. Fossano, nell’ambito di “Tre donne, tre strade”, iniziativa avviata dalla precedente amministrazione con l’intento di offrire una parità di genere nella toponomastica cittadina, ha dedicato a Lea Garofalo, grazie all’interessamento di Carmelo Cataldi, una strada in zona Belmonte. “Non a caso ci troviamo in un luogo scomodo, dissestato e sterrato (ndr) - afferma il sindaco Davide Sordella prima di scoprire la segnaletica della via alla presenza di Marisa Garofalo, sorella della vittima - e scomoda è stata Lea con la sua voglia di legalità e giustizia. Oggi siamo qui per ricordare, attraverso il suo esempio, che le organizzazioni criminali si possono combattere e vincere”. Così si è conclusa la cerimonia di intitolazione di una via della nostra città a Lea Garofalo, anticipata da un convegno che, nella sala Barbero del castello degli Acaja, ha visto la partecipazione di un folto pubblico, tra cui molti giovani accompagnati dai loro insegnanti e da altrettante autorità civili, militari e della carta stampata, che si sono avvicendate al tavolo per portare il loro contributo. Presente altresì una nutrita delegazione di Mappano, in provincia di Torino, dove è stato dedicato a Lea un centro polifunzionale. A moderare l’incontro Beppe Ghisolfi, presidente Crf e vice presidente Abi. Ha aperto la giornata l’assessore del Comune alle Pari opportunità Cristina Ballario ricordando lo spirito e le finalità dell’iniziativa, che rientra nel ricco programma di attività legate all’8 marzo perché un solo giorno non è sufficiente per celebrare la donna. “Siamo di fronte alla storia di una persona. Parliamo di coraggio, quello di Lea Garofalo, e di sconfitta, quella dello Stato; di lì si deve partire perché le cose cambino” così ha salutato la platea il sindaco Sordella sottolineando che nessun luogo, e neppure Fossano, è immune alle organizzazioni malavitose, nello specifico la ‘ndrangheta, e che il silenzio, peculiarità della riservatezza piemontese, sovente può essere terreno fertile per lo sviluppo di queste realtà. Rivolgendosi in particolare ai giovani, ha concluso: “Ogni giorno siamo chiamati a fare delle scelte, capendo da che parte vogliamo stare. Lea Garofalo, con la sua vita, ci dice che dobbiamo essere coraggiosi”. Il vice ministro alla Giustizia Enrico Costa ha evidenziato quanta troppa burocrazia permei ancora lo Stato e le autorità competenti e ha auspicato che il momento di riflessione odierno porti ad atti concreti. “I cittadini devono essere educati alla legalità da un’antimafia che viene dalla pancia - gli ha fatto eco l’asses- sore Michele Mignacca - da persone che, come Lea, hanno detto di no a un sistema che non accettavano e che sono state uccise da chi conoscevano bene”. Un ringraziamento per la sensibilità dimostrata dell’amministrazione, precedente ed attuale, lo ha portato la neo eletta presidente della Cpo Marina Mana mentre Anna Mantini, già consigliera regionale e provinciale di Parità, ha sottolineato: “Le donne sono portatrici di cam- parole forti nei confronti delle mafie e del nostro Paese, perché le organizzazioni criminali hanno un nodo politico. Lea testimoniò sulle faide interne tra la sua famiglia (sia il padre che il fratello sono stati uccisi da clan rivali) e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. Lea è stata torturata e uccisa in centro Milano e nel campo dove è stato bruciato il suo corpo sono stati rinvenuti 2182 frammenti ossei e i suoi denti. Per difendere la “Della mia vita non gliene frega niente a nessuno e sono sola. Oggi però ho una speranza: è Denise, mia figlia. Lei avrà tutto quello che io non ho mai avuto nella vita”. Lea Garofalo biamento. Nella malavita organizzata sovente la donna si ribella per garantire un futuro migliore ai propri figli, perché tacere diventa una colpa. Lo Stato deve proteggerle di più per evitare che succeda ancora quello che è successo a Lea che, con la propria vita, ha pagato”. Nel dicembre 2012 la vita di Lea Garofalo è stata raccolta in un libro dal titolo “Il coraggio di dire no” del giornalista Paolo De Chiara. In sala lo scrittore ha spronato i giovani a conoscere queste vite per poter scegliere da che parte stare e ha usato memoria di sua madre, la figlia Denise ha deciso di testimoniare contro il padre Carlo Cosco. “Lo Stato non ha dato il giusto appoggio a Lea che non è stata ritenuta credibile nelle sue testimonianze - ha affermato De Chiara - e quando, nell’aprile 2009, lei scrive un’accorata lettera al presidente della Repubblica, il Quirinale nega di averla ricevuta e i giornali la pubblicheranno postuma”. La ‘ndrangheta è una delle organizzazioni più forti al mondo: è molto chiusa, sono tutti parenti e pochi collaborano con la giu- stizia. Le donne in Calabria sono scomode, danno fastidio e per questo vengono messe a tacere. E questo lo sa bene Marisa Garofalo, sorella di Lea, ospite della giornata, che ancora oggi vive a Petilia. Anche lei donna coraggiosa e caparbia: il suo impegno e testimonianza smuovono le coscienze affinché un giorno i giovani possano dire che le mafie non esistono più anche grazie a Lea. “Mia sorella - ha affermato Marisa - non aveva copertura, era sola, è stata abbandonata dalle istituzioni e sapeva che sarebbe stata uccisa. Non ha conosciuto nostro padre, morto ammazzato quando lei aveva 8 mesi, e la sua infanzia è stata triste e travagliata. Per sua figlia Denise voleva un avvenire migliore, ciò che lei non ha avuto. Con Denise erano come sorelle e vivevano in simbiosi; le ha insegnato dignità e giustizia perché lei non ha mai abbassato la guardia ed è stata vigile fino all’ultimo”. Denise, sotto programma di protezione, non vive la vita di adolescente che le spetterebbe: la sua scelta è la conseguenza dei valori che la madre Lea le ha insegnato. Nel 2014 le condanne, per Carlo Cosco e gli altri attori e complici dell’efferato delitto, sono state confermate dalla Cassazione e dunque rese definitive. “Ognuno - ha concluso De Chiara - deve fare il proprio dovere fino in fondo, perché questo è l’unico rimedio”.