il gattopardo : dal romanzo di tomasi di lampedusa al film di visconti

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il gattopardo : dal romanzo di tomasi di lampedusa al film di visconti
“IL GATTOPARDO: DAL ROMANZO DI
TOMASI DI LAMPEDUSA AL FILM DI
VISCONTI”
PROF.SSA NUNZIA SOGLIA
Università Telematica Pegaso
Il Gattopardo: dal romanzo di
Tomasi di Lampedusa al film di Visconti
Indice
1
IL FILM -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1
BREVE RIASSUNTO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2
IL PUNTO DI VISTA DEL REGISTA ------------------------------------------------------------------------------------ 5
3
IL ROMANZO E IL FILM: SOMIGLIANZE E DIFFERENZE----------------------------------------------------- 8
4
L’EPILOGO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Il Gattopardo: dal romanzo di
Tomasi di Lampedusa al film di Visconti
1 Il film
Luchino Visconti (1906 - 1976), il regista del film, realizzò la sceneggiatura del Gattopardo
con la collaborazione di alcuni grandi registi e sceneggiatori: Suso Cecchi d’Amico, Pasquale Festa
Campanile, Enrico Medioli e Massimo Franciosa.
Il film, realizzato per la Titanus, è una coproduzione italo francese. Esso fu girato nel 1962
ed uscì nel 1963.
I protagonisti del film sono Burt Lancaster (il principe Salina), Alain Delon (Tancredi) e
Claudia Cardinale (Angelica). Nei ruoli minori recitano altri grandi attori, come Paolo Stoppa,
Rina Morelli, Romolo Valli, Mario Girotti, Lucilla Morlacchi, Giuliano Gemma, Ottavia Piccolo.
Il film ha vinto numerosi premi: il David di Donatello nel 1963 per i migliori produttori, la
Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1963 e il Nastro d’Argento 1964 per la miglior fotografia a
colori.
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1.1
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Tomasi di Lampedusa al film di Visconti
Breve riassunto
Mentre nel palazzo di Don Fabrizio Salina la famiglia riunita recita il rosario, giunge la
notizia dello sbarco di Garibaldi e dei suoi Mille in Sicilia. Il principe Salina cerca di salvaguardare
la propria posizione sociale mettendosi dalla parte dei vincitori: approva l’arruolamento del nipote
Tancredi nelle file dei garibaldini, vota a favore dell’annessione allo stato sabaudo durante il
plebiscito, favorisce il matrimonio di Tancredi con Angelica, figlia di Don Calogero Sedara, un
borghese, arricchito di recente e con loschi affari, che avvia la propria ascesa sociale e politica
sostenendo in ogni modo il nuovo Regno d’Italia. Don Fabrizio rifiuta, però, il seggio di senatore
che gli viene offerto, perché è impossibile per lui, uomo del passato, credere nel futuro e operare in
esso.
Durante un ballo a Palermo, Don Fabrizio presagisce la propria morte e la fine del mondo
aristocratico a cui appartiene, ormai inevitabilmente sopravanzato dalla nuova classe borghese.
Dopo la rivoluzione, l’ordine è tornato: fuori campo si sentono gli spari delle fucilazioni
degli ultimi garibaldini ribelli, che tranquillizzano e mettono di buon umore Don Calogero e
Tancredi, perché le spinte al rinnovamento sono state ancora una volta soffocate, ma che lasciano
indifferente Don Fabrizio, che si allontana a piedi, sparendo nel buio di un vicolo.
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2 Il punto di vista del regista
Il regista è costretto ad usare la focalizzazione esterna, perché l’occhio della macchina da
presa è quello dello spettatore che assiste alla vicenda: eppure mai come nel Gattopardo Visconti
riesce a proporre il punto di vista del protagonista letterario, sposandone a pieno la visione della
vita e della storia. Il racconto cinematografico è infatti interamente dominato dallo sguardo con cui
il principe vede la realtà che lo circonda, forse ancor più di quanto accade nel romanzo, in cui il
narratore finisce per interferire spesso nella narrazione con commenti che esprimono il suo punto di
vista.
La piena coincidenza tra l’occhio della macchina da presa e quello del principe si nota in
modo particolarmente evidente nella sequenza in cui viene mostrato il corpo del soldato morto nel
giardino di villa Salina o in quella in cui il principe si trasferisce con la famiglia a Donnafugata: in
entrambe il racconto della vicenda da oggettivo diventa soggettivo e lo spettatore ha la netta
sensazione di vedere le cose esattamente come le vede il principe.
Ne è una riprova anche la decisione del regista di non presentare i fatti successivi alla morte
del principe, che sono invece narrati nel romanzo: per Visconti la storia della famiglia Salina non
merita di essere raccontata con uno sguardo diverso da quello di Don Fabrizio.
Tutti gli aspetti più importanti del film passano, dunque, attraverso gli occhi del protagonista
o risentono del suo modo di concepire la vita. Il mondo aristocratico, per esempio, viene
rappresentato nella fissità dei suoi rituali (la recita del rosario, la vestizione, la caccia, la lettura, il
pranzo, la cena) e nei fasti dei palazzi e degli intrattenimenti (celeberrima la sequenza del ballo),
ricostruiti con grande rigore storico. In questi contesti la figura del nuovo ricco, di cui costituisce
un chiaro esempio Don Calogero Sedara, viene proposta come una stonatura: egli, anche se è in
grado di fornire alla figlia una dote principesca, si presenta in casa Salina con un frac troppo stretto,
segno della sua mancanza di gusto e di stile. Don Fabrizio, consapevole della necessità di
stabilire un’alleanza tra vecchia aristocrazia terriera in declino e nuova classe borghese in ascesa,
favorisce il matrimonio tra Tancredi e Angelica, ma non ascolta neppure don Calogero che, senza
alcuna discrezione, magnifica i beni e le proprietà che donerà agli sposi. Il principe, insomma, fa
razionalmente e laicamente i conti con la storia e viene a patti con la borghesia emergente (il
matrimonio di Tancredi) e con lo stato nascente (il sì al Plebiscito), ma senza personali
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coinvolgimenti (il rifiuto dell’offerta di Chevalley), consapevole dell’inutilità degli sforzi di coloro
che pensano di poter agire sulla storia.
Don Fabrizio, Tomasi e Visconti si fanno portavoce dell’interpretazione pessimista del
Risorgimento elaborata dalla storiografia democratica di Gobetti, Salvemini e Gramsci, che lo
intendono come una "rivoluzione mancata": i personaggi, pur esprimendo punti di vista reazionari,
denunciano in che modo distorto la classe dirigente piemontese e i suoi alleati in Sicilia portassero
avanti il "nuovo" servendosi unicamente degli strumenti più menzogneri del "vecchio", come la
malafede, la sopraffazione e l’inganno. Questo concetto si concretizza nella sequenza in cui il
principe Salina e don Ciccio Tumeo commentano i risultati del plebiscito: 312 votanti, 312 sì. Ma
don Ciccio sa di aver votato no, memore dei benefici ricevuti dal regime borbonico: su quali basi si
fonda, dunque, il consenso al nuovo Stato?
Ma, dal momento che il Gattopardo non è solo un romanzo storico, nella trasposizione
cinematografica Visconti lascia un notevole spazio anche all’espressione dell’intreccio tra
vitalismo (inteso come attaccamento alla vita e capacità di goderne tutti gli aspetti gratificanti) e
presentimento della morte che domina lo stato d’animo di Don Fabrizio. Non è certo un caso che
l’immagine di Tancredi appaia, per la prima volta, riflessa nello specchio posto davanti al principe,
che nel nipote rivede un se stesso più giovane, ancora pieno di belle speranze. Lo specchio diventa
infatti, nel film, lo strumento che permette di comunicare allo spettatore i pensieri del personaggio,
che altrimenti resterebbero sconosciuti, giacché nella narrazione cinematografica, a differenza di
quella romanzesca, non vi è un narratore in grado di svelarli al lettore. Per trasformare il codice
verbale in codice visivo, all’inizio del film, in più di una scena, Visconti fa parlare zio e nipote in un
gioco di specchi, in cui l’uno vede riflesso il volto o la figura dell’altro: in questo modo egli vuol far
capire allo spettatore che i due personaggi sono complementari e inscindibili l’uno dall’altro. Il viso
di Tancredi riflesso nello specchio in cui il principe si guarda mentre è intento a radersi sembra
sostituirsi a quello di Don Fabrizio, come un presagio della sostituzione che avverrà sia nella
vicenda personale dei due personaggi sia in quella che ciascuno dei due rappresenta nella storia.
Nella scena del ballo questa sovrapposizione di volti scompare definitivamente: quando Don
Fabrizio balla con Angelica, di cui anch’egli, come il nipote, avverte il fascino e la sensualità, si
sostituisce per l’ultima volta al nipote, perché mentre per Tancredi il ballo è una speranza di
avvenire felice, per il principe esso costituisce una sorta di definitivo addio ai piaceri della vita.
Nel finale del film, infatti, sullo sfondo del grande ballo, Salina appare sempre più isolato:
contemplando un quadro che rappresenta La morte del giusto, egli sente la premonizione della
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propria fine e il declino di un’epoca. La commozione si legge nel suo volto riflesso in uno specchio;
poi, con un movimento di macchina, Visconti segue il principe, isolato nella vastità del salone, che
si allontana sul terrazzo, verso l’incerta luce dell’alba.
In questo film, come già in Senso (1954), Visconti arricchisce il proprio stile registico con
molteplici richiami alla tradizione del melodramma, per esempio inserendo nella colonna sonora
diversi brani di Giuseppe Verdi (tra cui il Valzer brillante, un inedito di Giuseppe Verdi, inserito su
volere di Luchino Visconti).
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3 Il romanzo e il film: somiglianze e differenze
Visconti si ispirò spesso a testi letterari, che utilizzava, per lo più, come semplici canovacci,
allontanandosene sia nella struttura che nel senso. Il Gattopardo costituisce, in questo senso, una
vera e propria eccezione: Visconti fu infatti relativamente fedele, sia nei contenuti specifici che
nella visione del mondo, al romanzo di Tomasi. Proprio questa fedeltà rende particolarmente
significative le differenze.
Visconti articola la narrazione in quattro blocchi narrativi (a Palermo, verso Donnafugata, a
Donnafugata, il ballo) che corrispondono perfettamente a quelli del romanzo: alcuni episodi, però,
pur essendo presenti nel romanzo, sono stati esclusi dal film, mentre altri sono innovazioni del film.
Tra gli episodi omessi ci sono, per esempio, la visita di Padre Pirrone (il cappellano di casa
Salina) al suo borgo nativo, San Cono, e le sue conversazioni politiche con i villani, in cui egli
definisce il concetto di aristocrazia (cap.V): Visconti non vuole allontanare troppo l’attenzione dello
spettatore dal vero oggetto del suo interesse, la figura del principe. Nel film sono eliminati anche la
sua morte (cap.VII) e gli episodi ad essa successivi: questa esclusione, dovuta, come anticipato, alla
volontà di non raccontare le cose senza l’occhio del principe, non attenua il profondo senso di morte
che percorre il film, anzi, lo potenzia e lo rafforza, lasciandolo come una minaccia incompiuta e
latente che incombe sulla vita del protagonista.
Al contrario sono introdotte delle immagini che descrivono la battaglia dei garibaldini e
della popolazione contro i borbonici nelle vie di Palermo; sono presenti alcune allusioni alle
fucilazioni dei disertori dell’esercito regio passati dalla parte di Garibaldi.
Ma l’aspetto più significativo è senza dubbio l’ampliamento della scena del ballo
palermitano a palazzo Ponteleone, presente nel romanzo ma non nelle proporzioni assunte nel film:
essa dura oltre 40 minuti.
Questo accade perché il regista affida a questa scena il compito di concludere il film,
ricomponendo i diversi motivi del romanzo ed anticipando con inquietanti segnali il corso futuro
degli eventi (la relatività di tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo di fronte all’inesorabile scorrere
del Tempo).
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Le arti figurative attraversano Il Gattopardo di Visconti, come gli altri suoi film, con diverse
funzioni, ma il quadro di Greuze è forse l’unico che in questa opera cinematografica (ancor più che
in quella letteraria) ha una incidenza diegetica. Lo sguardo del principe contempla in esso la propria
morte; come uno specchio, il dipinto gli rimanda la sua immagine dolente.
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Il Principe, che nel dipinto di Greuze sta contemplando la morte, viene raggiunto da
Tancredi ed Angelica. Ed ora potrà contemplare contemporaneamente la morte e la bellezza.
Significativa è l’inquadratura in cui la macchina da presa ritrae il principe tra il
richiamo della morte evocato dal quadro alla sua destra e la voce di Angelica che lo chiama
dal fuori campo alla sua sinistra.
Quando i tre stanno per uscire dalla biblioteca, il regista indugia nuovamente con la
macchina da presa sul quadro di Greuze, pone il dipinto al centro dell’inquadratura, richiamando il
binomio Amore-Morte.
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4 L’epilogo
Uscendo dal Palazzo Ponteleone, dopo il ballo, verso l’alba, il Principe, vestito come
Giuseppe Verdi in un dipinto di Giovanni Boldini, decide di tornare a casa da solo, a piedi. L’ultima
sequenza mostra il Principe che, invocata la stella Venere per ‘un appuntamento meno effimero’,
lentamente scompare nell’oscurità di un vicolo.
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