fanfani prezzi sist agroalim 2009

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fanfani prezzi sist agroalim 2009
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Roberto Fanfani
L’aumento dei prezzi
e il complesso sistema
agroalimentare mondiale
La crescita dei prezzi agricoli ha riportato l’attenzione sul ruolo dell’agricoltura
nello sviluppo economico dei singoli Paesi e a livello mondiale. È così aumentata
la percezione delle strette relazioni esistenti fra sviluppo agricolo, fame, malnutrizione e capitale umano disponibile, da un lato, e il problema della riduzione
della povertà, che si concentra prevalentemente nelle aree rurali, dall’altro.
vegetali) registratasi dal 2007 al 2008, successivamente a quella dei prezzi dei
prodotti petroliferi, ha destato una vasta attenzione, che ha superato le analisi
degli esperti e delle organizzazioni internazionali del settore, per estendersi ai
policy makers e ai mass media e con essi a un pubblico più vasto1. Per comprendere meglio le cause e gli effetti di questi aumenti e il loro carattere (strutturale e congiunturale) occorre adottare una chiave di lettura per molti aspetti
nuova rispetto al passato. È necessario, infatti, prendere in considerazione la
complessità e le forti interrelazioni che si sono andate creando nel processo di
globalizzazione che ha interessato, dai primi anni Novanta in poi, non solo
l’agricoltura, ma l’intero sistema agroalimentare mondiale. Basti considerare,
ad esempio, l’intrecciarsi a livello mondiale di problemi come la fame e la
malnutrizione con quelli della povertà, la contrapposizione sempre più evidente nell’utilizzazione di risorse (acqua per usi agricoli, industriali e civili), la
dicotomia tutta nuova fra uso delle risorse a fini alimentari ed energetici, lo
sviluppo delle zone rurali e la sempre maggiore rilevanza della popolazione
urbana, con i suoi crescenti fabbisogni alimentari e i cambiamenti nei modelli
di consumo.
In questo articolo cercherò di fornire, per quanto possibile, alcuni elementi che segnano oggi le complessità e interrelazioni del sistema
agroalimentare mondiale. In particolare, oltre alla crescita del commercio internazionale dei prodotti agricoli e alimentari, prenderò in esame la forte diversità che caratterizza proprio i mercati delle singole commodities agricole.
Tali diversità si inseriscono in un cambiamento della geografia dell’agricoltura
mondiale, in cui la posizione dei singoli Paesi (sviluppati e non) si differenzia
sia per il ruolo dell’agricoltura e il diverso grado di sviluppo socio-economico,
sia per la distribuzione del reddito e del benessere delle famiglie, che risulta
osservatorio
osservatoriointernazionale
internazionale
L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari (grano, mais, riso, oli
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600
Petrolio
550
500
450
400
350
300
250
Total
200
150
100
Alimenta
50
0
2000
2002
2004
2006
2008
Fig. 1. Prezzi internazionali delle commodities (petrolio, alimentari e totale) 2000-2008.
osservatorio internazionale
Fonte: International Monetary Fund; International Financial Statistics.
determinante per comprendere gli effetti degli aumenti dei prezzi. Infine, farò
un accenno alle politiche di sostegno pubblico all’agricoltura, che da sempre
hanno caratterizzato le politiche dei principali Paesi sviluppati (Stati Uniti e
Unione europea in primo luogo) e gli accordi internazionali (bilaterali e multinazionali) che sono oggetto delle recenti discussioni fra i 153 Paesi che aderiscono al Wto.
Il forte aumento e la frenata dei prezzi agricoli
Il livello dei prezzi dei prodotti di base per l’alimentazione è aumentato in
modo consistente nel 2007 e nella prima parte del 2008. Ancora più marcati
sono stati gli aumenti delle singole commodities, con andamenti diversi da prodotto a prodotto. L’analisi dell’indice aggregato dei prezzi dei prodotti alimentari fornito dalla Fao a livello mondiale, evidenzia un aumento che parte
già nei primi anni del nuovo millennio, con l’indice che passa da un valore di
100 nel triennio 1998-2000 a 140 nel 2006. Tuttavia, la vera impennata dei
prezzi alimentari si manifesta con tutta la sua evidenza nel 2007, soprattutto
nella seconda parte dell’anno, per raggiungere un massimo nei primi mesi del
2008, quando l’indice raggiunge quota 230 (quasi due volte e mezzo il livello
di inizio secolo). Nei mesi più recenti, si assiste prima ad una stabilizzazione
dei prezzi (maggio 2008), e successivamente a una discesa nei mesi di giugno e
luglio, che diventa ancora più marcata nell’agosto 2008, in concomitanza con
i buoni raccolti dei principali prodotti agricoli registrati a livello mondiale.
Le differenze sono però assai più significative a livello di singolo prodotto,
con un vero shock rispetto alle tendenze degli anni precedenti. Infatti, l’indice
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350
1998-2000=100
Lattiero caseari
300
250
Oli e Grassi
Cereali Indice dei prezzi
200
Zucchero
150
Carne
100
G
L
A
S
O
N
D
G
F
M
A
M
G
L
A
Fig. 2a. Indice dei prezzi alimentari (Fao) (2007-2008).
USD/tonn.
1.000
Riso
900
800
700
600
500
Grano
300
Mais
200
100
A S O N D G FM A M G L A S O N D G F M A M G L A
2006
2007
2008
Fig. 2b. Indice dei prezzi dei cereali (2006-2008).
dei prezzi raggiunge livelli elevati, prima per i prodotti lattiero-caseari, con un
massimo di oltre 300, già a novembre 2007 (fatto sempre 100 la media 19982000), per poi ridursi già dai primi mesi del 2008. Fra i prodotti degli allevamenti, invece, il prezzo delle carni (suine e avicole) si mantiene a livelli molto più
bassi, con l’indice che resta ancora inferiore a 150 (agosto 2008). Un simile andamento è riscontrabile anche per lo zucchero, che dopo un incremento nel
2007 si è stabilizzato, per aumentare di nuovo nei mesi più recenti (agosto 2008).
Lo spettacolare aumento dei prezzi alimentari, nel corso del 2007, ha quindi
riguardato soprattutto i cereali (grano, mais e riso in particolare) e i semi oleosi
e grassi (oli vegetali di soia e palma in particolare), che rappresentano i due
principali gruppi di commodities agricole del commercio mondiale. Per entrambi, cereali e oli, l’indice dei prezzi passa in un solo anno da 150 a oltre
280, per poi stabilizzarsi nei primi mesi del 2008, sugli stessi livelli dei prodotti
caseari.
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400
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Per valutare la recente inversione di tendenza nell’andamento dei prezzi
occorre entrare più in dettaglio, considerando i singoli prodotti e i loro prezzi
in dollari per tonnellata. Nel corso del 2007 è stato il prezzo del grano a guidare l’impennata dei prezzi, con un massimo di quasi 500 dollari per tonnellata
raggiunto nel mese di marzo 2008. Un valore di quasi due volte e mezzo rispetto a quelli registrati nel 2005-2006. I prezzi del grano, sono stati però
anche i primi a mostrare un’inversione di tendenza, con una discesa che si è
attestata a luglio ed agosto del 2008 a poco più di 340 dollari per tonnellata,
un valore però ancora molto superiore ai 250 dollari per tonnellata del luglio
2006. I futures del grano per la fine del 2008, sul mercato di Chicago in agosto,
si attestano su valori più bassi, 310 dollari per tonnellata, con valore di circa il
25% in meno del massimo raggiunto in marzo.
I prezzi del mais, invece, hanno fatto registrare un aumento molto più
modesto, passando da circa 150 dollari per tonnellata a metà 2007, fino ad un
massimo di oltre 280 dollari per tonnellata nel giugno 2008, per poi subire un
vero e proprio crollo in agosto 2008, attestandosi sui 230 dollari (meno 13%
rispetto a luglio), con valori che però sono ancora superiori del 50% rispetto
all’anno precedente. I futures del mais per dicembre 2008, invece, si assestano
su valori di poco inferiori a quelli di agosto (223 dollari). I timori suscitati
dalle alluvioni in Iowa (giugno 2008), oltre all’espansione della produzione di
etanolo negli Stati Uniti, che avevano contribuito non poco al recente e continuo aumento del prezzo del mais, sono stati ridimensionati, dai buoni raccolti
del 2008.
L’aumento del riso è stato senz’altro quello più spettacolare. Pur partendo
da un prezzo di circa 330 dollari per tonnellata agli inizi del 2006, il doppio
del valore del grano, il suo prezzo è aumentato prima in modo simile a quello
del grano, ma nei primi mesi del 2008 ha subito un vero e proprio balzo, per
raggiungere un picco di oltre 960 dollari per tonnellata nel maggio 2008. Anch’esso ha avuto però recentemente un proprio crollo (agosto 2008), tornando sotto gli 800 dollari, un valore ancora doppio rispetto all’anno precedente.
La fortissima impennata è da collegarsi, in larga parte, ad alcune misure
restrittive sulle esportazioni da parte di alcuni Paesi (come India e Vietnam),
con l’obiettivo di limitarne gli effetti per le fasce di popolazione più vulnerabili, così come da massicce importazioni effettuate dalle Filippine.
L’aumento dei prezzi della soia e degli oli vegetali è stato del tutto simile a
quello del grano, soprattutto nella seconda metà del 2007 per raggiungere un
massimo nel maggio 2008, di oltre 16 dollari per bushel (negli Stati Uniti)2, per
poi ridiscendere a 12 dollari in agosto, con una riduzione del 25% rispetto al
massimo dei due mesi precedenti.
L’andamento dei prezzi delle principali commodities agricole è stato quindi molto diverso da prodotto a prodotto, e dopo l’aumento generalizzato dal
2007 ai primi mesi del 2008, è iniziata un’inversione di tendenza la quale ha
riguardato in modo diverso, per tempi e consistenza, le singole commodities. I
buoni risultati produttivi dei principali cereali verificatisi a livello mondiale
nel corso del 2008 hanno contribuito non poco a questa nuova situazione, che
si manifesta proprio in concomitanza, con la rivalutazione del dollaro rispetto
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all’euro, e la forte inversione di tendenza anche del prezzo del petrolio, che
dal massimo di quasi 150 dollari al barile, di metà luglio, arretra sotto i 100
dollari nel settembre 2008.
Tuttavia, considerando il rialzo dei prezzi registrati solo nell’anno dal 2007
al 2008, gli incrementi per il riso sono stati del 75%, seguiti da un aumento di
circa il 60% per grano e oli vegetali, e del 20% per zucchero e coarse grain
(mais e altri prodotti), mentre modesti sono stati gli aumenti delle carni e dei
prodotti lattiero-caseari. Si tratta comunque di incrementi e variazioni di prezzi
che hanno cambiato, e stanno ancora cambiando, non solo i livelli assoluti
rispetto agli anni precedenti, ma anche i prezzi relativi fra i diversi prodotti
agricoli sui mercati mondiali.
Il processo di globalizzazione, intensificatosi negli ultimi dieci-quindici anni,
ha ingigantito la complessità del sistema agroalimentare mondiale. Infatti, se
da un lato a partire dagli inizi degli anni Novanta il commercio mondiale dei
prodotti agricoli e le sue principali commodities (grano, mais, riso, soia ad
esempio) sono aumentati a saggi di sviluppo superiori a quelli della produzione agricola mondiale, dall’altro, occorre considerare che il commercio dei prodotti alimentari trasformati ha superato di recente quello delle commodities
agricole.
La recente impennata dei prezzi non deve fare dimenticare alcune caratteristiche dei commerci mondiali dei prodotti agricoli e alimentari, che registrano una forte variabilità, confermata anche dall’andamento degli ultimi mesi,
mentre è bene ricordare che l’aumento dei prezzi agricoli si era già verificato,
anche se a livello inferiore, in annate precedenti, come nel 1990 e nel 1995. Un
aumento dei prezzi alimentari, per molti aspetti più consistente di quello attuale, in termini reali, si era verificato nel periodo 1972-74, precedendo e poi
sovrapponendosi al primo shock petrolifero, quando nel 1973 il prezzo del
barile è raddoppiato. Anche in quell’occasione, l’aumento ha riguardato in
particolare il grano e gli altri cereali (mais e riso) e i semi oleosi. L’impennata
dei prezzi alimentari dei primi anni Settanta è stata però molto più forte di
quella recente. Il suo riassorbimento è avvenuto nell’arco di un decennio (19751985), il quale è bene ricordarlo, è stato un decennio caratterizzato da una
forte inflazione, che ha eroso i prezzi in termini reali. Comunque, il forte aumento di allora ricevette scarsa attenzione, a causa dell’emergere di altri problemi rilevanti, come la novità dell’impennata dei prezzi del petrolio, la fine
degli accordi di Bretton Woods e l’avvio delle turbolenze nel mercato dei cambi, con lo smantellamento dei cambi fissi rispetto al dollaro3.
Nel corso degli ultimi anni le analisi dell’aumento dei prezzi agricoli e
alimentari, e soprattutto quelle dei loro effetti e delle politiche, si sono moltiplicate e concentrate sui problemi di carattere strutturale e congiunturale. Fra
queste analisi va ricordata quella del documento Fao «Soaring food prices: facts,
perspectives, impacts and actions required», redatto in preparazione della Conferenza sulla sicurezza alimentare mondiale, svoltasi a Roma il 3-5 giugno 2008.
Il documento sottolinea i principali elementi che dal lato della domanda e
osservatorio internazionale
Alcune caratteristiche dei commerci mondiali
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dell’offerta hanno sconvolto i mercati mondiali dei prodotti agricoli e alimentari.
Dal lato dell’offerta si ricordano, innanzi tutto, le avverse condizioni atmosferiche che hanno ridotto i raccolti di cereali nel 2006 e 2007, la riduzione
delle riserve (stocks) di cereali e semi oleosi nei principali Paesi esportatori,
l’aumento dei costi di produzione (mezzi chimici e carburanti) e di trasporto,
determinati proprio dall’aumento del prezzo del petrolio, che è iniziato in
modo sostenuto a partire dal 2002.
Dal lato della domanda, viene invece sottolineata la maggiore richiesta di
bio-carburanti, determinata sia dall’aumento del prezzo del petrolio, che da
politiche di incentivazione, in particolare negli Stati Uniti, per la produzione
di bioetanolo. Inoltre, si evidenzia il cambiamento delle abitudini alimentari
collegato soprattutto ai processi di urbanizzazione, che interessano grandi Paesi
come Cina e India. Questi due Paesi, però, restano ancora oggi esportatori
netti di cereali. Fra le cause individuate non vengono trascurati gli effetti della
speculazione e la riduzione del valore del dollaro, che rappresenta la moneta
di riferimento per le principali commodities sui mercati mondiali.
Le cattive annate e le scarse produzioni verificatesi nel 2006 e 2007 hanno
certamente influito sulla carenza di prodotti agricoli nei mercati mondiali. Gli
scarsi raccolti di grano sono stati determinati dalle avverse condizioni climatiche in due grandi Paesi esportatori (siccità in Australia e forti piogge in Francia). Questi risultati si sono innestati in una tendenza di più lungo periodo che
vede la riduzione dei saggi di sviluppo della produzione agricola mondiale.
Secondo le stime della Fao, i saggi di sviluppo dovrebbero attestarsi attorno
all’1,5% nei prossimi decenni, contro il 2,3% annuo nei precedenti quaranta
anni.
Gli andamenti congiunturali e strutturali delle produzioni hanno portato
alla riduzione delle scorte (stocks) delle commodities ai livelli più bassi degli
ultimi decenni, favorendo la variabilità e il recente aumento dei prezzi agricoli. La riduzione delle scorte del grano è stata particolarmente rilevante, soprattutto nei grandi Paesi esportatori come Stati Uniti, Unione europea, Australia,
dove ha raggiunto nel 2007/2008 un minimo storico di poco superiore al 10%
della produzione, contro un 25% a livello mondiale (meno di 150 milioni di
tonnellate). La riduzione delle scorte, è stata determinata, almeno in larga parte, anche da decisioni di politica agricola, che hanno visto la sospensione degli
aiuti per la loro costituzione (in particolare negli Stati Uniti), nella convinzione che i mercati e i privati, in modo autonomo, avrebbero provveduto a regolare i livelli delle scorte stesse.
La riduzione dell’offerta di prodotti agricoli e delle scorte sono anche da
collegarsi all’aumento dei costi di produzione, e in particolare ai costi dei prodotti chimici (fertilizzanti e antiparassitari), il cui uso favorisce l’incremento
delle rese delle produzioni. L’aumento dei prezzi dei fertilizzanti, sulla spinta
di quello del petrolio, ha assunto livelli per molti aspetti superiori a quelli
raggiunti dai prodotti agricoli, vanificando in molti casi i benefici sui redditi
degli agricoltori e sulle possibilità di aumento della produttività in agricoltura.
La crescita dei costi del petrolio, inoltre, ha influito direttamente sui costi di
trasporto e quindi sulle maggiori difficoltà ad approvvigionare sia i mercati
mondiali delle commodities agricole, che i mercati interni dei singoli Paesi,
caratterizzati da forti processi di urbanizzazione.
Un altro fronte di tensione sui mercati è determinato dalla concorrenza
nell’uso delle risorse idriche, che influiscono direttamente sulle potenzialità
produttive dell’agricoltura in molti Paesi del mondo. A livello mondiale, secondo le stime della Fao, l’utilizzazione dell’acqua è stata per il 70% in agricoltura, contro il 20% per usi industriali e il 10% per usi domestici. La superficie irrigata ha superato nel 2004 i 277 milioni di ettari, che però rappresentano ancora una piccola parte (meno del 20%) dei quasi 1400 milioni di ettari di
superficie arabile disponibile a livello mondiale.
Dal lato della domanda alimentare i cambiamenti sono altrettanto forti e
forse più rilevanti, soprattutto in considerazione del loro carattere strutturale.
I cambiamenti nei modelli alimentari legati al processo di urbanizzazione
sono impressionanti. La popolazione che vive in aree urbane ha superato largamente quella delle aree rurali. Negli ultimi venticinque anni la popolazione
mondiale ha fatto registrare un incremento notevole, passando da 4,4 miliardi
di persone nel 1980 a 6,4 miliardi nel 2004. I tre quarti di questo aumento
sono dovuti alla crescita della popolazione urbana, che rappresenta oggi oltre
il 60% della popolazione mondiale.
I divari fra i consumi alimentari delle famiglie rurali e urbane sono rilevanti. Non esistono stime precise, ma basta un breve riferimento alla situazione
cinese, per comprendere tutta la loro portata. Infatti, con l’avvio dello sviluppo economico, la differenza fra consumi urbani e rurali è passata da 2,3 volte
nel 1985, fino a superare le 3,5 volte nel 2000, mentre negli anni precedenti si
stava riducendo. Inoltre, nel caso della Cina, i modelli di consumo delle aree
urbane hanno messo in evidenza una maggiore richiesta di alimenti vegetali
(frutta e verdura), così come di prodotti ittici, provenienti da acqua-cultura,
che caratterizzano in modo particolare la dieta proteica delle famiglie4.
L’aumento dei consumi alimentari è stato determinato quasi esclusivamente
dalla forte crescita dei Paesi in via di sviluppo, e in particolare di quelli di
grandi dimensioni, a cominciare da Cina, India, Brasile, Messico, Sud Africa e
più recentemente anche dalla Russia e dai Paesi dell’Est europeo. L’aumento
della domanda costituisce oggi una pressione costante sui prezzi dei prodotti
alimentari, anche perché le capacità di risposta dei singoli Paesi sono molto
diverse in relazione alla disponibilità o meno di terre utilizzabili a fini agricoli.
La produzione di biocarburanti, assieme all’energia eolica e solare, è ritenuta una fonte rinnovabile utile per contrastare l’aumento dei prezzi del petrolio
e diversificare le fonti di energia. Il problema dell’uso alternativo delle produzioni agricole per ottenere biocarburanti, ha ricevuto una particolare attenzione negli ultimi anni ed è stato considerato uno dei fattori principali del recente
aumento dei prezzi. Il problema si presenta, però, molto complesso, per la
diversità che esiste fra il «bioetanolo», derivante dalla fermentazione di sostanze zuccherine, che viene usato come additivo della benzina, e il «biodisel»
derivante dagli oli, utilizzato come sostitutivo del diesel. La produzione più
conveniente e meno costosa è attualmente quella derivante dalla canna da zuc-
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chero in Brasile. La produzione di canna da zucchero in Brasile si estende su
circa 5,6 milioni di ettari (circa l’intera superficie della pianura padana) e rappresenta poco più del 10% della superficie agricola complessiva del Brasile5.
Una situazione molto diversa è quella della produzione di bioenergie negli
Stati Uniti e nell’Unione europea, il cui sviluppo è stato determinato dalle
politiche energetiche a favore delle energie rinnovabili. I finanziamenti per le
bioenergie hanno raggiunto gli 11 miliardi di dollari nel 2006 (considerando
solamente quelli effettuati dagli Stati Uniti, Canada e Unione europea), con
una prospettiva di aumento superiore ai 25 miliardi nel 2015, sempre per questi tre Paesi, con un incremento più che doppio rispetto al livello attuale.
L’importanza delle bioenergie si differenzia notevolmente fra Stati Uniti e
Unione europea. Infatti, la produzione di etanolo si concentra negli Stati Uniti, che nel 2007 hanno prodotto esattamente la metà dei 52 miliardi di litri a
livello mondiale. Gli Stati Uniti e il Brasile dominano la produzione mondiale
di etanolo (quasi il 90%), la quale, è bene ricordarlo, è più che triplicata dal
2000 al 2007. La produzione di biodisel, invece, è molto più modesta, poco
più di 10 milioni di litri nel 2007, e vede la posizione dominante dell’Unione
europea, con oltre il 60% del totale, di cui gran parte prodotto in Germania,
dove viene impiegata la colza come materia prima principale, con oltre 6 milioni di ettari coltivati.
La discussione sulle bioenergie è stata molto accesa. La concorrenza fra
produzioni alimentari e energetiche si concentra nella maggiore richiesta di
mais (negli Stati Uniti per la produzione di bioetanolo) e della colza (nell’Unione
europea per il biodisel). Negli Stati Uniti la superficie destinata a mais è di
quasi 33 milioni di ettari (80 milioni di acri), e oggi circa il 30-40% è utilizzato
per produrre etanolo. Si tratta di una superficie quasi doppia di quella dell’intera pianura padana, la cui sottrazione alla produzione agricola è in grado di
modificare i mercati mondiali non solo del mais, ma anche delle altre
commodities.
Per i prossimi 10 anni, tenendo presente gli obiettivi dei programmi
energetici degli Stati Uniti e dell’Unione europea, l’Ocse stima che il 13%
della produzione mondiale di mais e il 20% degli oli vegetali del mondo (soia
e palma) saranno destinati a bioenergie (rispetto all’8-9% attuale). Gli effetti
sui prezzi di questa espansione sono stimati, sempre per i prossimi 10 anni, in
un aumento del prezzo del grano del 5%, del mais del 7% e del 19% per gli
oli vegetali6.
Un approfondimento di queste politiche per gli Stati Uniti e l’Unione europea mette in risalto la diversità delle strategie perseguite. Nell’Unione europea si prevede, entro il 2020, di ridurre le emissioni di gas serra del 20% e di
aumentare la propria efficienza energetica (risparmio energetico) del 20%,
con l’obiettivo di raggiungere una quota del 20% di energie rinnovabili sul
totale dei consumi energetici, e una quota minima del 10% per i biocarburanti.
L’Unione europea intende incentivare i biocarburanti di seconda generazione
e fissa dei valori di quota di mercato del 5,75% da raggiungere nel 2020.
Negli Stati Uniti le politiche prevedono di raggiungere nel 2022 circa 135
miliardi di litri di etanolo e altri biocarburanti, con un incremento di oltre
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La complessa geografia produttiva e commerciale
Per comprendere meglio i possibili effetti dell’attuale impennata dei prezzi
delle commodities agricole occorre sottolineare, almeno brevemente, altri due
aspetti a cui viene data poca attenzione nell’attuale dibattito: la diversa geografia dei commerci mondiali dei singoli prodotti e la grande rilevanza della
produzione agricola rispetto a quella commercializzata sui mercati mondiali.
Innanzi tutto, occorre ricordare come la maggioranza dei prodotti che caratterizzano il commercio internazionale, sia una parte poco consistente della
produzione agricola globale. Ciò è particolarmente vero per le principali
commodities agricole, di cui viene commercializzato all’incirca il 20% della
produzione, mentre la parte preponderante, ancora oggi, viene prodotta e
consumata nei singoli Paesi, e quindi molti degli effetti dell’aumento dei prezzi si esplicano al loro interno.
La geografia del commercio delle singole commodities agricole, si differenzia sia per i Paesi esportatori, che importatori interessati. Per il momento illustrerò alcune caratteristiche degli scambi commerciali dei prodotti maggiormente interessati dai recenti aumenti dei prezzi, tralasciando i prodotti tropicali (come caffè, cacao, the, frutta, etc,) di cui gran parte della produzione
viene commercializzata sui mercati mondiali (circa l’80% per quanto riguarda
il caffè) e interessa in modo particolare i Paesi in via di sviluppo.
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quattro volte rispetto alla produzione attuale. In considerazione delle limitate
possibilità di sviluppo della produzione di etanolo dalla granella di mais, vengono individuati anche nuovi obiettivi per l’utilizzazione della cellulosa nella
produzione di etanolo (parte erbacee del mais e altre fonti forestali e non) che
dovrebbe contribuire alla produzione del 3% dell’etanolo nel 2012 e di ben il
44% nel 20227.
Allo stato attuale, la situazione della produzione di biocarburanti ha un
diverso grado di efficienza e competitività. Considerando le stime della Royal
Society (2008) i costi del bioetanolo risultano competitivi con i prezzi del petrolio ai livelli del 2006 (80 dollari al barile circa). In particolare, i prezzi variano da 25-50 centesimi di dollaro per litro se proveniente da canna da zucchero, come in Brasile, a 60-80 centesimi se derivati da mais (nella produzione
degli Stati Uniti), a 70-95 centesimi se prodotto da grano, con valori ancora
superiori (80-110 centesimi) se proveniente da ligno-cellulosa (boschi e altro
materiale). I costi per il biodisel risultano invece superiori e in particolare 80110 centesimi per litro se proveniente da oli vegetali (colza, soia, mais, girasole
e altri), come attualmente si produce in Europa e in Russia.
La vasta attività di ricerca, attualmente in corso, si muove nella direzione
di rimuovere il più possibile la dicotomia esistente fra produzione di cibo e di
energia, esplorando la possibilità di utilizzare nuove piante più adatte a terreni
meno produttivi e marginali, e più facilmente disponibili in diversi Paesi e
climi sub tropicali. In queste ricerche per estendere l’uso non alimentare delle
produzioni si stanno sperimentano ampiamente le possibilità offerte dagli organismi geneticamente modificati (Ogm).
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Le diversità nel commercio mondiale dei singoli prodotti agricoli
Con l’aumento dei prezzi degli ultimi due anni, il valore delle importazioni
globali di prodotti alimentari ha raggiunto 820 miliardi di dollari nel 2007 e
superato 1000 miliardi nel 2008. La loro importanza è però diminuita passando dal 25% del valore dei commerci mondiali nei primi anni Sessanta, a circa
il 6-7% nel 2007, sostanzialmente per l’espandersi dei commerci di prodotti
manufatti ed energetici. Nonostante ciò, il commercio dei prodotti agricoli e
alimentari è aumentato ad un livello quasi doppio rispetto a quello della produzione agricola (+4% all’anno circa, rispetto al 2% circa della produzione).
Un contributo notevole è venuto dal maggiore incremento del commercio dei
prodotti alimentari trasformati sul totale delle esportazioni mondiali di alimenti, passati dal 53% nel 1980 a circa il 65% nel 2004.
A livello mondiale i principali protagonisti del commercio di prodotti agricoli alimentari sono, come noto, l’Unione europea e gli Stati Uniti. L’Unione
europea, da sempre la principale area di importazione, seguita dagli Stati Uniti, dai primi anni del nuovo millennio, ha superato questi ultimi anche come
primo esportatore. Fra i Paesi esportatori sono da ricordare anche il Canada e
l’Australia, così come Brasile, Cina, Tailandia e Argentina. Fra i Paesi importatori invece, assume un’importanza particolare il Giappone, seguito a lunga
distanza da Canada, Corea, Cina, Messico e Russia.
Il commercio internazionale delle singole commodities agricole si differenzia però, come abbiamo detto, per la prevalenza di pochi Paesi esportatori, ed
allo stesso tempo, anche per la presenza di diversi Paesi importatori netti. Un
approfondimento della geografia commerciale delle principali commodities
agricole è messa in evidenza nei documenti della Fao e in alcune ricerche specifiche8. I commerci mondiali delle commodities sono, inoltre, caratterizzati
dalla presenza di una struttura oligopolistica di imprese, dominata da grandi
multinazionali, ma con la presenza anche di numerose imprese statali di trading
che hanno in esclusiva le esportazione dei prodotti dei loro Paesi (ad esempio
Canada e Argentina)9.
L’iceberg del commercio mondiale dei prodotti alimentari
Il commercio mondiale dei prodotti agricoli e alimentari, sebbene abbia assunto, come già sottolineato, una rilevanza sempre maggiore, costituisce una
parte molto modesta della produzione agricola mondiale. Il valore del commercio delle principali commodities agricole è effettivamente la punta di un
iceberg rispetto a quello della loro produzione. Infatti, nel caso del grano, che
rappresenta il principale prodotto dei mercati agricoli mondiali, solo il 17%
(circa 110 milioni di tonnellate) della produzione viene commercializzata; valori ancora più bassi si hanno per il mais (10%), e in modo particolare per il
riso (6%), mentre per la soia e lo zucchero si hanno valori più elevati, che si
aggirano attorno al 30% della produzione mondiale.
La stragrande maggioranza della produzione e del consumo dei prodotti
agricoli e alimentari avviene quindi all’interno dei singoli Paesi. Le caratteristiche strutturali e i cambiamenti dei sistemi agroalimentari dei singoli Paesi rappresentano pertanto la realtà di riferimento che non solo influisce sull’evoluzio-
ne degli scambi commerciali mondiali, ma consente anche di comprendere meglio gli attuali aumenti dei prezzi ed i loro effetti. Ciò è particolarmente vero per
i grandi Paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile, Messico, Filippine, Sud
Africa), che contribuiscono in modo sempre più determinante al cambiamento
della realtà e della geografia agroalimentare a livello mondiale.
Il ruolo dell’agricoltura nei Paesi in via di sviluppo e a livello mondiale è
stato oggetto di una specifica analisi, dopo quasi 25 anni, da parte della Banca
Mondiale. Nel suo ultimo Rapporto del 2008 Agriculture for Development,
viene sottolineato il fatto che sebbene il 75% dei poveri viva attualmente nelle
aree rurali, solamente il 4% degli aiuti ufficiali nei Paesi sotto sviluppati va
all’agricoltura. Si stima che l’aumento del prodotto lordo originato in agricoltura, rispetto a quello di altri settori, è quattro volte più efficace nella riduzione della povertà. Non c’è quindi da sorprendersi se ci sono delle difficoltà nel
raggiungere per il 2015 gli obiettivi di dimezzare il numero delle persone soggette alla povertà, la fame e la malnutrizione a livello internazionale.
Il collegamento fra la lotta alla povertà e la lotta alla fame è da considerarsi
un passo avanti nella percezione del legame evidente fra i due problemi, ma il
raggiungimento degli obiettivi risulta ancora lontano. Il numero delle persone
che soffrono la fame è ancora molto elevato. Con l’avvicinarsi del 2015 il
dimezzamento diventa praticamente irraggiungibile. Ancora oggi, oltre 850
milioni di persone (il 15% della popolazione mondiale) soffrono la fame e la
malnutrizione, soprattutto nell’Africa sub-sahariana, con un incremento di altri
50 milioni proprio nel 2007, mentre la popolazione mondiale, che nel 2025
raggiungerà gli 8,5 miliardi di persone, sarà concentrata per oltre l’80% nei
Paesi in via di sviluppo.
Alcuni effetti della recente impennata dei prezzi agricoli e alimentari
Gli effetti sui Paesi in via di sviluppo. Fra le analisi più recenti sugli effetti
dell’impennata dei prezzi agricoli, sono di aiuto le ricerche effettuate nei Paesi
in via di sviluppo in collaborazione con la Fao. Queste ricerche mettono in
evidenza forti differenze fra Paesi a seconda del grado di sviluppo e della posizione sui mercati mondiali10.
La dicotomia fra Paesi importatori ed esportatori è andata cambiando, con
una netta inversione di tendenza che ha visto i Paesi in via di sviluppo passare
da un saldo positivo nella bilancia commerciale di prodotti agricoli, ad un
saldo, che a partire dagli anni Settanta, è diventato sempre più negativo. Le
differenze, però, si riscontrano anche fra i Paesi in via di sviluppo. La posizione di importatori netti di prodotti agricoli è particolarmente peggiorata per i
cosidetti Paesi Low-Income Food-Deficit Countries - Lifdcs, e cioè Paesi con un
deficit nei prodotti alimentari di base e con un basso reddito pro capite, inferiore al livello usato dalla Banca mondiale per erogare aiuti internazionali:
1675 dollari nel 2005. Si tratta di 82 Paesi che hanno una rilevanza notevole
(più del 42% della produzione cerealicola mondiale) in quanto comprendono
anche la Cina e l’India. Senza questi due Paesi i rimanenti ottanta producono
meno del 14% della produzione cerealicola mondiale.
Una quantificazione degli effetti diretti dell’aumento della «bolletta» ali-
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930
mentare di questi Paesi è stata effettuata utilizzando i dati dell’ultimo Rapporto della Fao, The state of food and agricolture, 2007. I Paesi in via di sviluppo
nel loro complesso, importano più del 35% degli oltre 1035 miliardi a cui è
arrivato il valore delle importazioni mondiali di prodotti alimentari nel 2008.
Fra i Paesi in via di sviluppo, gli importatori netti e a basso reddito (Lifdc)
sono responsabili per quasi il 47% di tali importazioni, e la loro rilevanza
riguarda i cereali (41%) e soprattutto gli oli vegetali (61%). La «bolletta»
alimentare di questi Paesi è passata in un solo anno, dal 2007 al 2008, da 121
miliardi a 169 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 40%, contro una
media di circa il 25% per i Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati nel loro
complesso.
Una situazione strutturale del deficit alimentare ancora peggiore si ha anche per gli altri gruppi «deboli» dei Paesi in via di sviluppo e in particolare per
il gruppo dei meno sviluppati (Lds), con quasi 25 miliardi di dollari di importazioni nel 2008 (+33% rispetto al 2007) e il piccolo gruppo di Paesi importatori netti (Nfidc), con oltre 45 miliardi di dollari di importazioni (+36% rispetto al 2007).
Un’altra importante classificazione adottata dalla Fao riguarda, in particolare, quei Paesi in via di sviluppo che presentano crisi alimentari congiunturali
gravi e che necessitano di aiuti dalla comunità internazionale. Nell’ultimo rapporto sulla situazione delle coltivazioni e dell’alimentazione Crop prospects and
food situation (n. 3, luglio 2008), la Fao individua ben 34 Paesi, con crisi alimentari profonde, determinate da tre principali cause: la mancanza di disponibilità di cibo, la limitazione nell’accesso al cibo e la presenza di gravi problemi locali. Di questi Paesi, ben 21 sono localizzati in Africa, dove fra le cause
principali si annoverano le condizioni di insicurezza locale (13 Paesi) come
guerre civili, conflitti e rifugiati (Somalia, Liberia, Kenia, Sudan, ad esempio),
mentre pochi sono i Paesi con bassa produttività e danni dovuti dalla siccità e/
o difficoltà di accesso al cibo. Fra i Paesi asiatici in crisi (11 Paesi), oltre ai
conflitti in Iraq e Afganistan, la maggior parte delle crisi è determinata da
recenti disastri naturali, come i cicloni in Myamar e Bangladesh, il tifone in Sri
Lanka e il forte ed esteso terremoto nel sud est della Cina. In America Latina,
il solo Paese interessato, la Bolivia, ha subito alluvioni disastrose.
Le differenze interne ai Paesi e la distribuzione dei redditi
La valutazione degli effetti degli aumenti dei prezzi delle principali commodities
agricole risulta difficile perché, come abbiamo già accennato, è strettamente
collegata alla distribuzione del reddito e alla presenza della povertà all’interno
dei singoli Paesi. Infatti, l’influenza dell’aumento del costo dell’alimentazione
dipende dalla maggiore o minore presenza di famiglie a reddito basso, che
notoriamente impiegano una parte rilevante del loro reddito per le spese alimentari. Le stime effettuate dalla Fao dell’indice del consumo per 85 Paesi,
calcolato in parità di potere di acquisto, evidenziano che il peso delle spese
alimentari sul totale supera il 45% per i 20 Paesi più poveri, con meno di
3.700 dollari pro capite a parità di potere di acquisto, mentre nei 20 Paesi più
ricchi, con più di 22.000 dollari pro capite, è in media del 16%.
Le differenze nell’importanza della spesa alimentare hanno ripercussioni
anche a livello macroeconomico e in particolare sul livello di inflazione nei diversi Paesi. Infatti, l’indice dei prezzi al consumo da gennaio 2007 a gennaio
2008 è aumentato in generale del 3,4% per i Paesi dell’Ocse mentre quello dei
prezzi alimentari del 5,1%. In Cina invece gli stessi indici sono rispettivamente
del 6,6% e 18%, in Guatemala del 7,7% e 18,3%, in Egitto del 15% e 25%.
Le differenze si ampliano se si considerano gli effetti a livello delle famiglie, proprio per le diseguaglianze nella distribuzione del reddito e, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, per le differenze nei consumi delle famiglie
delle zone rurali e di quelle delle aree urbane. Le stime sugli effetti dell’aumento dei costi dell’alimentazione sulle famiglie è stata effettuata dalla Fao su
un numero selezionato e limitato di Paesi in via di sviluppo, appartenenti ai
cinque continenti. Un risultato univoco di queste analisi, anche se con forti
differenze fra Paesi, riguarda il peggioramento delle condizioni di benessere
delle famiglie urbane, e soprattutto di quelle appartenenti al quintile a più
basso reddito. La valutazione degli effetti sulle famiglie rurali degli stessi Paesi
risulta più difficile, perché dipende dalle loro relazioni con il mercato e in
particolare dal fatto di essere produttori e allo stesso tempo consumatori.
Naturalmente, nelle zone rurali, le famiglie a più basso reddito, e soprattutto
quelle senza terra, sono quelle che vedono ridurre maggiormente il loro livello
di benessere.
Il forte aumento dei prezzi delle principali commodities agricole ha provocato proteste e manifestazioni in numerosi Paesi. Ciò ha determinato l’adozione di politiche di limitazione e blocco delle esportazioni da parte di diversi
Paesi (India e Vietnam per il riso, Argentina per il grano e soia) che hanno
contribuito, anch’esse, all’aumento dei prezzi. In alcuni casi però, come in
Argentina, le proteste da parte degli agricoltori hanno costretto il governo a
recedere dall’aumentare le tasse sulle esportazioni di soia dal 33 al 43%. La
posizione assunta dall’Argentina è stata diametralmente opposta a quella del
Brasile, altro importante esportatore, che invece ha adottato una politica di
sostegno all’agricoltura, con incentivi e prestiti per aumentare l’impiego di
macchine e mezzi tecnici, in modo da favorire l’aumento della produzione da
esportare.
La maggiore attenzione allo sviluppo dell’agricoltura da parte dei Paesi in
via di sviluppo, sia esportatori che importatori netti, dipende anche dalla necessità di non accentuare le differenza fra le zone rurali e quelle urbane che,
con il processo di sviluppo tendono invece ad ampliarsi.
L’aumento dei prezzi nei Paesi sviluppati
L’aumento dei costi dell’alimentazione ha suscitato particolare interesse anche
nei Paesi sviluppati, non solo per gli effetti redistributivi che essi determinano,
ma anche per i loro effetti macroeconomici. Il dibattito si è quindi incentrato
sul contributo dato all’aumento dell’inflazione e all’influenza sui redditi e benessere delle famiglie, mentre la discussione sui beneficiari e sulle politiche
agricole è rimasta per il momento sottotono.
Il dibattito sull’inflazione ha, inoltre, focalizzato l’attenzione generale sul
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tema della trasmissione dei prezzi lungo le diverse catene o filiere alimentari,
dalla produzione al consumo. In particolare, per quanto riguarda l’Italia, la
discussione ha riguardato l’aumento dei prezzi di pane e pasta, influenzati
dalla forte rialzo del prezzo del grano. In questi casi occorre tuttavia ricordare
che per i beni alimentari nei Paesi sviluppati il costo delle materie prime è
spesso trascurabile, come appunto nel caso del pane, dove il costo della materia prima si aggira attorno al 5-10% del valore del prodotto al consumo.
Un aspetto non molto approfondito riguarda le nette differenze che esistono fra i possibili beneficiari. Se i maggiori vantaggi riguardano i produttori
agricoli, e soprattutto gli esportatori, le difficoltà maggiori si verificano per i
consumatori, che impiegano ancora oggi una parte importante del loro reddito disponibile nell’alimentazione. Si tratta delle famiglie a reddito più basso e
al limite della soglia di povertà, che spesso corrispondono a famiglie numerose
o di anziani11.
L’aumento dei prezzi delle principali commodities agricole, anche se in
generale determina un incremento dei redditi degli agricoltori, provoca forti
differenziazioni, sia fra i diversi produttori che a livello territoriale (fra Paesi e
regioni). Ciò dipende non solo dal cambiamento dei prezzi relativi fra le diverse commodities e le altre produzioni, ma anche e sostanzialmente dalla forte
specializzazione e dalle strette relazioni con il mercato sviluppatesi nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare dei Paesi sviluppati. Così, l’aumento dei
prezzi avvantaggia i produttori di quei settori, mentre può avere effetti negativi su altri. Un esempio è fornito dal settore delle carni (suine e avicole), che
utilizza forti quantità di mangimi a base di mais e soia che sono un fattore di
forte aumento dei costi di produzione. Considerando, inoltre, che, come già
visto, gli aumenti dei prezzi delle carni a livello mondiale non è stato di particolare rilievo negli ultimi anni, gli effetti dell’attuale aumento dei prezzi possono modificare la convenienza relativa di settori importanti della produzione
agricola.
Il sostegno pubblico all’agricoltura
Il tema dei vantaggi degli agricoltori derivanti dall’attuale aumento dei prezzi
si ricollega direttamente al sostegno pubblico all’agricoltura, particolarmente
rilevante nei Paesi dell’Ocse, anche se negli ultimi anni si è progressivamente
ridotto rispetto al valore della produzione agricola, passando dal 37% nel 19861989 a poco meno del 23% nel 2007. Sempre secondo le stime per i Paesi
Ocse i valori complessivi degli aiuti all’agricoltura nel 2007 si aggirano attorno
ai 250 miliardi di dollari12.
Nei decenni passati, le politiche agricole dei Paesi sviluppati, ed in modo
particolare degli Stati Uniti e dell’Unione europea, hanno privilegiato proprio
gli interventi a sostegno dei prezzi e dei mercati agricoli. Ciò ha contribuito
non poco allo sviluppo della produzione agricola di questi Paesi, mentre la
contemporanea riduzione dei saggi di sviluppo dei consumi alimentari, ha
portato alla formazione di forti eccedenze di prodotti agricoli negli Stati Uniti,
a partire dagli anni Settanta, e nell’Unione europea a partire dagli anni Ottanta. La maggiore produzione e le eccedenze sono state poi vendute sui mercati
mondiali, con specifiche sovvenzioni (restituzioni alle esportazioni nell’Unione europea), che hanno contribuito alquanto alla tendenziale riduzione dei
prezzi delle commodities sui mercati internazionali nei decenni precedenti.
Le riforme delle politiche agricole negli Stati Uniti e Unione europea sono
state particolarmente rilevanti nel corso degli anni Novanta, con la riforma
McSharry della Politica Agricola Comune (Pac) del 1992 e il Fair Act del 1996.
In particolare, la riforma della Pac del 1992 smantellò il sostegno diretto dei
prezzi dei prodotti agricoli, suo principale strumento fin dal 1962, per sostituirlo con un premio che compensasse direttamente gli agricoltori delle perdite dovute alla riduzione dei prezzi.
Nel nuovo millennio le riforme delle politiche agricole vedono cambiare
ancora gli strumenti di intervento. Nell’Unione europea il «disaccoppiamento»
degli aiuti dalla produzione viene introdotto con la cosiddetta revisione di
medio termine della Pac (Mid Term Review) del 2003. Il premio pagato agli
agricoltori viene corrisposto in base alla somma dei premi ottenuti in precedenza (media del 2000-2001) e non più in base alle produzioni delle singole
colture. Negli Stati Uniti il Farm Bill del 2002 si muove in controtendenza e
reintroduce prezzi di riferimento per le principali commodities e il pagamento
di nuovi sussidi (counter–cyclical payment) per compensare gli agricoltori dalla eventuale riduzione dei prezzi sui mercati mondiali. I cambiamenti delle
politiche agricole negli Stati Uniti e Unione europea sono stati accompagnati
da una sempre maggiore attenzione ai problemi ambientali e a quelli dello
sviluppo rurale. Per comprendere il diverso peso e impatto delle politiche
agricole bisogna ricordare che negli Stati Uniti ci sono attualmente poco più
di 2 milioni di aziende, prevalentemente di grandi dimensioni, e meno di 3,5
milioni occupati in agricoltura. Nell’Unione europea sono presenti un gran
numero di aziende agricole, oltre 6 milioni nell’Unione europea – a 15 Paesi, e
oltre 6 milioni di occupati.
Le principali politiche di sostegno all’agricoltura e per lo sviluppo rurale
sono state aggiornate e modificate di recente, con l’approvazione del Farm Bill
del 2008 (Food, Conservation, and Energy Act of 2008) negli Stati Uniti, e con
la riforma sullo stato di salute della Pac (Health check), in corso di definizione.
Negli Stati Uniti il sostegno rimane in parte legato (accoppiato) alle produzioni. I finanziamenti previsti per il 2008-2013 sono stati portati a quasi 300 miliardi di dollari per sei anni, con un aumento di quasi il 10% rispetto al precedente Farm Bill.
Nell’Unione europea, invece, l’Health check accorpa in un «premio unico» tutte le sovvenzioni e premi previsti per le singole colture ed allevamenti.
Gli aiuti vengono trasformati, pertanto, in un sostegno al reddito degli agricoltori. Gli agricoltori europei possono seguire le indicazioni di mercato e
sono liberi di scegliere che cosa produrre e se produrre. La concessione dell’aiuto è soggetta al rispetto di alcune norme sulla sostenibilità e pratiche ecocompatibili. I finanziamenti per la sola Pac dovrebbero rimanere invariati fino
al 2013, con un valore di circa 45 milioni di euro all’anno per l’intera Unione
europea a 27 Paesi13.
Negli anni più recenti, il calo dei sussidi ed il cambiamento degli strumenti
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933
934
di intervento hanno contribuito non poco alla diminuzione delle eccedenze
produttive e a una riduzione delle scorte. Entrambi gli effetti sono stati, a loro
volta, fra le cause determinanti dei recenti aumenti dei prezzi. Il forte rialzo
dei prezzi del 2007 ha però contribuito ad incrementare i redditi degli agricoltori, che sono tornati ad intensificare le produzioni e migliorare le rese produttive, che, assieme all’aumento delle superfici coltivate, hanno portato all’aumento delle produzioni delle principali commodities nel corso del 2008 ed
all’avvio della fase di inversione di tendenza nei prezzi ancora in corso. Nell’ambito delle misure prese per aumentare la produzione, va ricordata la decisione dell’Unione europea presa nel corso del 2007-2008, di consentire la coltivazione delle terre ritirate dalla produzione (7 milioni di ettari nell’Ue-27),
mentre negli Stati Uniti non sono state utilizzate le terre del programma di
conservazione.
osservatorio internazionale
Le difficoltà e i limiti della governance internazionale
Con l’aumentare delle complessità e interrelazioni nel sistema agroalimentare
mondiale è venuto a indebolirsi il sistema di governance dei fenomeni a livello
globale. Due aspetti illustrano bene questa situazione. Da un lato, il non
raggiungimento per il 2015 degli obiettivi di riduzione a metà della povertà e
della fame nel mondo, fissati nel Millennium Development Goals, e dall’altro,
il prolungarsi e lo stallo dei negoziati del Wto sui commerci mondiali.
La maggiore consapevolezza dell’importanza dell’agricoltura e dell’alimentazione nello sviluppo economico ha contribuito notevolmente al grande cambiamento nelle strategie di intervento. Le principali organizzazioni mondiali,
Fao, Ifad e Wfp (World Food Program), hanno recentemente proposto un approccio basato su una strategia «gemella» (Twin track approach) come elemento centrale per i programmi di riduzione della povertà, che si concentra prevalentemente nelle zone rurali individuando strategie di breve e lungo periodo.
Le prime sono volte ad assicurare una rete di protezione (Safety net) alimentare e sociale per i consumatori più vulnerabili delle aree rurali e urbane, come
bambini, donne in maternità e anziani. Le politiche di medio e lungo periodo
sono volte a stimolare gli investimenti pubblici e privati in agricoltura e al
miglioramento del funzionamento dei mercati agricoli, in modo da rilanciare
lo sviluppo agricolo delle zone rurali. Nonostante il sostanziale consenso raggiunto sulle politiche da mettere in atto, il problema fondamentale riguarda il
sostegno finanziario che le organizzazioni internazionali (Fao in prima fila)
hanno stimato in circa 30 miliardi di dollari, mentre gli stanziamenti messi a
disposizione, o dichiarati disponibili, ammontano invece a pochi miliardi di
dollari, rendendo praticamente inconsistente questa nuova strategia.
La gestione degli accordi internazionali sul commercio ha messo in evidenza ulteriori e più sostanziali limitazioni alla governance mondiale. Ciò è
risultato palese con il nuovo fallimento dei negoziati Wto di fine luglio 2008.
Un punto cruciale del disaccordo è stato proprio il «meccanismo di salvaguardia» degli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo, con la possibilità di imporre
tariffe sulle importazioni agricole, quando queste diventavano appena significative, come richiesto con determinazione dall’India a nome dei grandi Paesi
935
Conclusioni
Lo sviluppo del sistema agroalimentare mondiale diventa quindi parte integrante dello sviluppo economico e sociale complessivo, anche per le strette
relazioni, che almeno in parte ho cercato di sottolineare, con i problemi
demografici e lo sviluppo delle aree urbane, a cui si associano spesso maggiori
esigenze alimentari e nuovi modelli di consumo.
Il recente aumento dei prezzi delle commodities agricole lascerà sul tappeto un probabile aumento rispetto ai livelli degli anni precedenti, ma anche e
soprattutto un cambiamento dei prezzi relativi, che influenzeranno in modo
diretto e indiretto l’evoluzione dell’agricoltura e degli scambi internazionali
nei prossimi anni. I cambiamenti dei prezzi relativi sono già rilevanti fra le
principali commodities protagoniste del recente schock. Questi cambiamenti
saranno probabilmente a vantaggio del mais e della soia, ma anche del riso,
rispetto al grano, che guarda caso è stato anche il prodotto da cui è partita
l’impennata dei prezzi. La variazione dei prezzi relativi riguarderà anche quelli fra queste commodities e gli altri grande gruppi di produzioni agricole, in
primis le carni ed i prodotti tropicali, i cui livelli di prezzi sono stati solo parzialmente interessati dai recenti aumenti.
A livello più generale, occorre di nuovo sottolineare la maggiore consapevolezza dell’importanza dei problemi dello sviluppo dell’agricoltura e del sistema agroalimentare a livello globale. Questi problemi, infatti, sono riconosciuti determinanti per le strette relazioni esistenti fra lo sviluppo agricolo, la
osservatorio internazionale
emergenti. Gli Stati Uniti richiedevano, invece, che le tariffe potessero essere
applicate solo quando le importazioni raggiungevano livelli elevati. Altro elemento di contrasto più specifico ha riguardato il sostegno al cotone, effettuato
in modo particolare dagli Stati Uniti, che contrasta con gli interessi non solo di
Cina e India, ma anche con quelli di diversi Paesi africani.
La spiegazione del mancato accordo in seno al Wto, dopo sette anni di
trattative, va ricercata in ragioni più generali di quelle specifiche. In parte,
alcune di esse riguardano la maggiore vulnerabilità dei sistemi alimentari dei
Paesi in via di sviluppo, messa in evidenza proprio dal recente aumento della
commodities agricole. Inoltre, in grandi Paesi come la Cina e l’India, ma più in
generale nei Paesi che stanno attraversando un forte periodo di crescita economica, la salvaguardia dello sviluppo dell’agricoltura e soprattutto delle zone
rurali, è diventata un argomento sempre più rilevante di politica economica
interna, anche alla luce delle maggiori differenze che si stanno verificando fra
zone urbane e rurali.
Il fallimento dei negoziati spingerà quindi ad accelerare una tendenza già
emersa negli ultimi anni, che ha visto aumentare la rilevanza degli accordi
bilaterali e preferenziali, soprattutto da parte degli Stati Uniti e Unione europea, che interessano già oggi oltre il 50% dei loro scambi commerciali. Recentemente anche la Cina si è mossa in questa direzione sia con i Paesi asiatici, sia
con numerosi Paesi africani e dell’America latina. L’ampliamento degli accordi bilaterali fa parte di un trend verso la regionalizzazione dei commerci internazionali, e non sarà facile farli rientrare in quelli più generali del Wto14.
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fame, la malnutrizione e il capitale umano disponibile, da un lato, e il problema della riduzione della povertà, che si concentra prevalentemente nelle aree
rurali, dall’altro.
I temi dello sviluppo agricolo e dell’alimentazione, inoltre, sono stati collegati direttamente a numerosi altri fattori cruciali per lo sviluppo futuro del
pianeta, che vanno da quelli ambientali, alla sostenibilità dello sviluppo, dalle
alternative nell’utilizzazione delle risorse per fini alimentari o come fonti
energetiche rinnovabili, ai cambiamenti climatici e alla riduzione delle emissioni di gas per mitigare l’effetto serra. Tutto ciò ha riportato in primo piano le
strategie di sviluppo e l’adozione di nuove tecnologie, il cui contributo può
essere determinante alla soluzione di tali problemi, anche se certamente, non
sarà neutrale nel distribuire i vantaggi e i rischi. In questa maggiore consapevolezza va poi ricordato l’avvio delle discussioni su alimentazione, salute e
qualità della vita, che vede la presenza di forti distorsioni e molti spazi per
l’attuazione di nuove politiche, come dimostra la sempre crescente attenzione
ai problemi dell’obesità, collegati alla qualità della dieta alimentare.
A livello politico, si assiste a una più specifica e coerente individuazione
delle politiche da adottare che hanno visto, da un lato, la definizione di nuove
e più ampie strategie di sviluppo per raggiungere gli obiettivi di riduzione
della fame e povertà nel mondo, e dall’altro, la messa in discussione delle politiche di sostegno pubblico all’agricoltura e di sviluppo delle produzioni di
bioenergie nei Paesi sviluppati.
Alla maggiore consapevolezza dei problemi suscitata dal grande interesse
stimolato dall’impennata dei prezzi delle principali commodities agricole ha
fatto però riscontro un indebolimento delle azioni di governance delle principali istituzioni internazionali, Wto in prima fila, con un ritorno ad accordi
privilegiati e bilaterali. Come affrontare e intervenire su queste tematiche dello sviluppo agricolo e agroalimentare rappresenta una vera e propria sfida a
cui un nuovo e più ampio sistema di governance mondiale dovrà rispondere.
note
1
Gli aumenti dei prezzi delle principali commodities agricole e energetiche influiscono direttamente
sulle tre principali voci di spesa delle famiglie (alimentari, abitazioni, che comprendono gas e luce, e
trasporti) e quindi ne determinano i livelli di benessere.
2
Il bushel è la misura di capacità per aridi e liquidi usata nel Regno Unito e per soli aridi negli Stati
Uniti e in Canada. Negli Stati Uniti, per convenzione, un bushel equivale a 27,216 kg di grano; 21,772
kg di orzo; 25,301 kg di segale; 14,515 kg di avena.
3
L’aumento dei prezzi del 1972-1974 è stato in parte collegato ai cambiamenti strutturali di quegli
anni, come il forte incremento demografico (baby boom nei Paesi sviluppati e elevati saggi di natalità
negli altri Paesi). Le preoccupazioni dei limiti delle risorse disponibili (analisi del Club di Roma del
1972) sia dei prodotti petroliferi, che delle risorse naturali (terra e acqua), stimolarono la forte crescita
dei prezzi agricoli.
4
La grande riforma agraria attuata in Cina a partire dal 1978 ha contribuito in modo sostanziale
all’incremento della produzione agricola ed alla sicurezza alimentare. Si veda in proposito R. Fanfani,
Un po’ di luce sulla Cina rurale, «il Mulino», n. 3/2002, e R. Fanfani e C. Brasili, Regional differences
in land holdings and land use: analyzing the first agricultural census of China in Developmental
Dilemmas: Land reform, Property rights and environment in China,(edited by Peter Ho), London - New
York, Routledge, 2005.
5
Il Brasile è stato uno dei Paesi pilota nella produzione di bioetanolo avviata con il «Programma
Proalcool» nel 1975. Il Brasile è il maggior produttore mondiale di zucchero (35%), con potenzialità
di ulteriore sviluppo soprattutto nelle regioni del Centro Ovest. I vantaggi economici e limiti
ambientali e sociali della politica brasiliana delle bioenergie sono discussi in J.P. Bertrand et al.,
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937
Brasilian policy for bio-resouces: betting on ethanol. Economic advantages, environmental and social
limits, «Rivista Economia & Diritto Agroalimentare», n. 3/2007.
6
Una rassegna delle politiche di sostegno alle bioenergie ed una valutazione approfondita dei costi
e dei loro effetti si trova in due recenti studi dell’Ocse, Economic assessment of biofuel support policies,
e A review of policy measures supporting production and use of bioenergiy, luglio 2008.
7
Per un approfondimento delle bioenergie e le loro relazioni con i problemi ambientali e uso delle
risorse si veda il lavoro di J. Pertersen, Energy production with agricultural biomas: environmental
implicatio and analytical challanges, «European Review of Agricultural Economics», n. 3, settembre
2008, e anche Royal Society, Substainable biofuels: prospects and challanges, January 2008. Inoltre, si
veda il sito della European Environment Agency of Copenaghen.
8
Un approfondimento di queste differenze, sia della commodities che dei prodotti tropicali, si può
trovare in P. Oosterveer, Global governance of Food production and Consumption, Issues and challenges, Elsevier Elgar, 2007 e anche in Fao, The state of food and agriculture 2007, Roma, 2008, e il più
recente Fao, Food Look: Global Market Analysis, Roma, giugno 2008.
9
Indicazioni sulla struttura delle imprese di trading e sulle loro relazioni si veda N. Habert, Les
marchés à term agricoles, Science et Economie, Paris, Ellipses, 2002 e M. Scoppola, Disciplining
exporting state trading enterprices under economies of scale and oligopoly, «European Review of
Agricultural Economics», 2007.
10
Oltre al già citato documento della Fao in preparazione della Conferenza sulla sicurezza alimentare
mondiale, di Roma, utili analisi sugli effetti dell’aumento dei prezzi nei Paesi in via di sviluppo si
possono trovare in Fao, The state of food and agriculture 2007, Roma, 2008, e anche in Oecd-Fao,
Agricultural out look 2008-2017 (2008).
11
I livelli di povertà nei Paesi dell’Ocse sono, come noto, sostanzialmente diversi rispetto a quelli dei
Paesi in via di sviluppo, dove si considerano povere le persone che vivono con meno di 1 dollaro al
giorno. Il concetto di povertà è un termine relativo, la cui soglia è generalmente fissata quando il
reddito complessivo della famiglia (di due o più persone) è inferiore alla metà di quello medio pro capite
del Paese. Sulla misura della povertà nei Paesi sviluppati esiste un ampio dibattito, anche perché queste
soglie determinano spesso delle misure e politiche di Welfare a sostegno delle famiglie.
12
A livello aggregato, il monitoraggio più completo del sostegno pubblico all’agricoltura viene
effettuato dall’Ocse, che stima per tutti i Paesi il sostegno finanziario alla produzione (Production
Support Estimate - Pse) e al consumo.
13
Nel 2007 le spese della Pac sono circa il 44% del bilancio dell’Unione europea, gli interventi sui
mercati si riducono a 5,7 miliardi, mentre aumentano gli aiuti diretti agli agricoltori (Premio unico),
con ben 36 miliardi di euro, di cui 30 miliardi di aiuti diretti disaccoppiati. Le spese per lo sviluppo
rurale superano i 12,4 miliardi (22% delle spese totali).
14
Per un approfondimento delle tematiche del Wto e del ruolo degli scambi bilaterali e preferenziali
si veda il numero speciale di «EuroChoise», n. 6/2007, e in particolare i contributi di T. Josling, The
Wto: What Next?, e di R. Moehler, Eu Bilateral and Regional Trade Agreements: Impacts on the Cap,
2007.