293 Le parigine “bene” viste da Ingres
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293 Le parigine “bene” viste da Ingres
n° 293 - febbraio 2000 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Le parigine “bene” viste da Ingres Scrive Baudelaire: «Quale poeta, nel descrivere il piacere provocato da una bella donna, penserebbe mai di separarla dal suo abito? Quale uomo, in strada, al teatro, nel parco, non ha apprezzato una toilette abilmente elaborata e non ne conserva l’immagine inseparabile della bellezza cui appartiene, facendo delle due cose, la donna e il suo vestito, un’unità indivisibile?» Un pensiero condiviso da Ingres che dipinge donne, ma anche uomini, con densa curiosità in composizioni equilibrate dalla perfetta forma e dal generoso e sapientemente coordinato colore. Ritratti in cui registra ogni mutamento femminile nel vestire, nell’adornarsi e nel truccarsi, in anni, i suoi, di cambiamenti repentini anche nella storia. Ritratti che vanno anche al di là della pura cronaca e sono rappresentazione di vite femminili privilegiate, eppure spesso inesistenti: quelle delle parigine “bene”. La scollatura ampia è illuminata dalle ombre lussuose del velluto nero dell’abito a vita alta stile Impero e da una collana di tre fili d’oro e di pietre. Il braccio nudo è abbellito al polso da altri cinque giri di pietre e oro, mentre le mani stringono un ventaglio dorato e una sciarpa bianca di velo. Morbido e drappeggiato, un grande scialle di cachemire, fra i primissimi in circolazione, pesante e di colore dorato, dai bordi ricamati di rosso e oro. scende dalla spalla e si attorciglia sul grembo. Un fermaglio austero raccoglie l’acconciatura. La rosea carnagione risplende nel ricco abito da ballo in taffetà di seta bianco a mazzi di rose, il fiore di moda, abbellito dalla parure di zaffiri e rubini cabochon che ne evoca i colori. Al braccio destro, poco proporzionato, (una lotta, quella della dimensioni delle braccia, che Ingres conduce per decenni portandolo a contestazioni con le donne ritratte) porta un unico bracciale, mentre a quello sinistro ne indossa due; ha un anello all’anulare. Una spilla con pendente che si ferma sul fiocco centrale dell’abito e un filo d’oro al collo sono, con il ventaglio tra le mani, gli altri ornamenti indossati. Seduta su una poltrona rossa, che a malapena accoglie il vaporoso abito, ha l’acconciatura composta da un fiocco con pizzo bianco e rosso fermato da una spilla con rubino, come si vede dallo specchio che la riflette alle spalle. Il primo è il ritratto di madame Antonia Devauçay De Nittis, amante di Alquie, ambasciatore francese presso la Santa Sede, conservato al Musée Condè di Chantilly, datato 1807 e firmato sullo scialle, come una moderna griffe, J. Ingres. Il secondo è quello di Madame Moitessier seduta, oggi a Londra alla National Gallery, datato 1856 e firmato sotto lo specchio. La donna, Inès de Foucauld, è figlia di un collega del vecchio amico di Ingres, Marcotte, che la raccomanda al maestro per il ritratto. La genesi del dipinto è piuttosto lunga. Le pose iniziano nel 1844-45 quando viene definito l’im- Mademoiselle Rivìere; Parigi, Louvre Madame Devauçay; Chantilly, Musée Condé pag. 2 pianto, come testimonia un piccola tela preparatoria conservata nel Musée Ingres di Montauban. Poco dopo, però, il maestro pensa di inserire anche una figlia di madame Moitessier che risultata tuttavia “insopportabile” viene cancellata dalla composizione. Dal 1849 al 1851 l’opera rimane interrotta. Quando le pose ricominciano nasce un dipinto totalmente diverso, un’altra opera: l’altrettanto nota Madame Moitessier in piedi, attualmente a Washington alla National Gallery, ritratta in un più sobrio abito nero impreziosito alle maniche dal pizzo chantilly nero che riempie le pagine del Petit Courier des Dames, “bibbia” della moda parigina. Nel giugno 1852 viene ripresa la vecchia impostazione non senza altre incertezze riguardanti ad esempio il vestito scelto, prima giallo e poi bianco a mazzi di rose: l’attuale. L’opera viene terminata nel 1856. Il ritratto, che rimane a lungo presso i discendenti prima di passare alla sede attuale, ha avuto una notevole fortuna critica. È stato visto come una felice realizzazione “de l’idèal grec” e più in particolare Blanc parla di “Flore pompéienne”. Davies adduce come fonte iconografica un dipinto pervenuto al museo di Napoli da Ercolano, Eracle e Telefo, ben noto nell’entourage di Ingres per almeno tre copie. La monumentalità della struttura colpisce anche Picasso, come ri- velano almeno due dipinti eseguiti nel 1919 e 1932 evidenziati rispettivamente da Cassou e Davies. Tra il ritratto della Devauçay e quello della Moitessier sono trascorsi quarantanove anni. Anni in cui la Francia è passata dall’impero napoleonico alla restaurazione borbonica, dal regno di Carlo X a quello di Luigi Filippo, dalla breve rivoluzione del 1830 a quella del 1848, dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero con Napoleone III. Anni di profondi mutamenti, nella politica come nella moda e nell’estetica di cui Ingres, pittore sempre più famoso, si fa interprete in una sorta di consacrazione del profano. Nei suoi ritratti femminili leggiamo celebrato ogni cambiamento della moda: dalla fluida semplicità degli abiti di ispirazione neoclassica, preziosi quanto più leggeri, con vita alta, come quello della Devauçay, a evidenziare il seno e l’intera figura, si passa nel corso di vent’anni a modelli più elaborati. Ora più che mai l’eleganza è affidata non solo all’insieme dell’abito, ma ad ogni singolo accessorio: dal gioiello ai guanti, al cappello, senza i quali le signore non escono di casa, fino ai belletti e ai profumi. Un ritorno allo sfarzo dovuto sia alla definitiva scomparsa delle legge suntuarie sia, a partire dalla metà del secolo, alla stabilità politica di Napoleone III che favorisce il pieno ripristino delle consuetudini di corte. All’imperante mussola bianca vengono sostituite stoffe preziose come taffettà, seta, raso tulle e ritrovano ancor più spazio i gioielli, considerati ormai un elemento primario della moda e chiamati a ornare con tipologie ad hoc, una vera e propria gioielleria da lutto, persino i momenti più tristi della vita. Quando Ingres fa il ritratto alla Moitessier ricompare nella storia della moda la gonna ampia e rigida che l’Ottocento chiama crinolina; la vita è scesa, costretta in strette stecche di metallo dannose per la salute, così come molti cosmetici che per la prima volta un medico francese, Caron, cerca di selezionare anche nella loro tossicità, mettendo ordine nella confusione della cosmesi dei secoli precedenti. Nell’opera l’artista ritrae la signora con l’aspetto richiesto alla metà del secolo alle donne: un viso roseo e un fisico forte ottenuto con la vita all’aria aperta. Ideale estetico opposto a quello del precedente periodo romantico dove tutto doveva essere all’insegna della sofferenza esteriore e dell’anelito all’irraggiungibile, inseguito esteticamente dalle donne che cercano di avere il più possibile un aspetto diafano. Il viso pallido “come i fior di magnolia” e tirato, con occhi cerchiati, viene ottenuto oltre che con ciprie candide e matite nere per ombreggiare le occhiaie, anche con droghe a base di atro- Madame Moitessier; Washington, National Gallery pag. 3 Madame Moitessier seduta (part); Londra, National Gallery pina e belladonna; oppure, più saggiamente, con letture fino a tarda notte al solo lumicino di candela. Nell’arco di tempo che trascorre tra le due imperatrici di Francia, Giuseppina prima moglie di Bonaparte e Eugenia sposa di Napoleone III, la passione del bel vestire dilaga dirompente, diventando simbolo degli arricchimenti esagerati e dei nuovi, repentini poteri. Nascono i primi grandi magazzini, la couture tout court, l’alta moda che vede l’inglese Worth trasferirsi nel 1857 a Parigi e avere come sua principale cliente proprio l’imperatrice Eugenia. Da allora i mutamenti del gusto e del costume cominciano a susseguirsi al ritmo di decenni e non più di secoli. Si entra nella piena modernità della moda. Un percorso, questo, perfettamente tradotto nelle opere di Ingres che descrive queste parigine di massima moda non tanto nella loro fisicità e meno ancora nella loro personalità, quanto attraverso l’accumularsi di segni, di preziosità, di oggetti, che fa divenire loro stesse oggetto, come nota la Ribeiro. Perché sia lo scialle giallo e il tulle bianco sul grembo di madame Devauçay che dolcemente stringe le labbra, che le rose che incoronano il volto inespressivo e in qualche modo rassegnato di madame Moitessier nel ritratto del 1851, oppure il broccato stampato a fiori colorati indossato dalla stessa signora, ritratta assorta nel 1856, raccontano molto più dei loro perfetti volti ovali, di vite femminili estremamente privilegiate il cui unico scopo è quello di mettersi in posa, nell’abito più bello, davanti al maestro più in voga. Quasi che gli oggetti d’abbigliamento fossero l’unica vita che conoscono o nella quale si riconoscono. Così nel poco o nulla loro riservato, in un’epoca in cui solo il denaro e il potere di un uomo danno un senso alle donne, se Madame Moitessier seduta; Londra, National Gallery non addirittura la loro sopravvivenza, sottolinea la Aspesi, vengono trasformate esse stesse in decorazioni. Ed è paradossalmente solo grazie ai loro ornamenti e gioielli che acquistano consistenza e valore. La grande attenzione di Ingres verso la moda è anche questo: il suo modo di rappresentare la nullità femminile delle parigine “bene”. La stessa nullità che abbiamo letto in Baudelaire che scrive della donna come imprescindibile dalla moda come se senza pizzi, sete, belletti e ori, non potesse nascondere la propria inconsistenza. maria siponta de salvia