La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 16 gennaio 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Lavoro, emergenza giovani. Ma c’è il ritorno degli over 50 (M. Veneto)
InRail assume 20 specialisti e li cerca con la Regione (Gazzettino)
Eataly debutta con 85 posti di lavoro. Farinetti: «Stregato da Trieste» (Piccolo)
L’Italia torna a dominare la cantieristica globale (Piccolo)
BpVi offre 30 euro agli “scavalcati” (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 6)
Fiom pronta alla mobilitazione per difendere la Ferriera (Piccolo Trieste)
«I servizi demografici sono al collasso» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Rifugiati, bocciate 4 domande su 10 (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Cardiologia partita chiave per il San Polo (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Gli infermieri esausti: «Pronti allo sciopero» (M. Veneto Pordenone)
Gargiulo nuovo segretario Flc: «Organici insufficienti nelle scuole» (M. Veneto Udine)
Porterà lavoro o crisi? L’outlet divide la città (M. Veneto Udine)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Lavoro, emergenza giovani. Ma c’è il ritorno degli over 50 (M. Veneto)
di Maura Delle Case - Cinquantenni da rottamare? Niente affatto. Il trend del mercato del lavoro a
livello nazionale così come regionale svela che oggi si colloca più facilmente chi ha sulle spalle
mezzo secolo di esperienza piuttosto che chi ha lasciato da poco i banchi di scuola. Tra novembre
2015 e lo stesso mese del 2016 gli occupati con 50 anni e più sono cresciuti in Italia di 453 mila
unità, vale a dire del 6 per cento, al contrario di tutti gli altri segmenti anagrafici: la fascia tra i 15 e
i 24 anni ha perso 5 mila occupati, 88 mila sono venuti meno in quella tra 25 e 34 anni e addirittura
160 mila nell’età compresa tra i 35 e i 49 anni. La dinamica in regione non è stata molto diversa a
guardare i dati Istat rielaborati dal ricercatore dell’Ires del Friuli Venezia Giulia, Alessandro Russo.
Se si guarda agli anni della crisi, dunque dal 2008 al 2015, si sono persi 48,8 mila posti di lavoro,
passati da 152 mila a 103 mila, nella classe di età che arriva fino ai 35 anni (-32,1 per cento), al
contrario di quella che va dai 54 anni in su che ha invece vissuto un vero e proprio boom, passata
com’è dai 5,9 mila occupati dell’anno d’esordio della crisi ai 90,8 mila del 2015: ben 35 mila in più,
pari al 62,6 per cento. Decisamente meglio rispetto al resto del Triveneto (+54,3 per cento) e anche
dell’Italia (46,9 per cento). In termini di occupazione, gli effetti più pesanti della crisi sono ricaduti
insomma sulle generazioni più giovani anche se in questo quadro va considerata la dinamica
demografica che in parte mitiga il dato. Nell’arco di tempo considerato, dunque dal 2008 al 2015, il
numero dei giovani under 35 è infatti diminuito sensibilmente. A livello nazionale di oltre 900 mila
unità (-7,5 per cento) – diretta conseguenza del calo delle nascite, notevolmente accentuato a partire
dagli anni Ottanta – ma anche a livello regionale: rispetto al 2008 la popolazione residente tra i 18 e
i 34 anni è diminuita in Friuli Venezia Giulia di ben 28.671 unità (-12,8 per cento). Non ci sono
però solo ombre. Come di recente sottolineato dall’assessore regionale al Lavoro, Loredana
Panariti, il dato sulla disoccupazione giovanile a fine 2015 rispetto all’anno precedente segna
un’incoraggiante riduzione di un punto percentuale, passato com’è da 29,74 per cento a 28,68 per
cento. Tornando all’effetto demografico questo è determinante nelle dinamiche del mercato del
lavoro anche balzando dall’altro lato del cielo anagrafico. L’aumento degli anziani nel paese e in
Friuli Venezia Giulia, sul podio, quanto a invecchiamento della popolazione, insieme alla Liguria, è
infatti incisivo come s’intuisce dall’importante segno più davanti al dato sugli occupati over 50. È
l’effetto di una classe di età spallata dal punto di vista quantitativo. Ma il ritorno al lavoro dell’ex
“segmento debole” è anche effetto delle misure introdotte dalla riforma dell’ex ministro Elsa
Fornero, come l’innalzamento dell’età pensionistica, a partire dal 2012.
InRail assume 20 specialisti e li cerca con la Regione (Gazzettino)
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Eataly debutta con 85 posti di lavoro. Farinetti: «Stregato da Trieste» (Piccolo)
di Luca Saviano - È stata la stessa terra dalla quale viene estratto il ricercatissimo tartufo bianco ad
avergli dato i natali. La dedizione all’enogastronomia, evidentemente, fa parte del patrimonio
genetico di Natale Farinetti, ai più conosciuto come Oscar. Nato ad Alba, nelle Langhe, sessantatre
anni fa, il fondatore di Eataly si sta preparando a issare anche a Trieste la bandiera di un colosso che
ha fatto dell’esaltazione del buon bere e del buon mangiare il proprio credo. «Dobbiamo farci
perdonare dal mondo intero il culo pazzesco che abbiamo avuto nascendo in un Paese la cui
biodiversità non ha eguali al mondo». Il Farinetti-pensiero non ha bisogno di molti giri di parole per
uscire allo scoperto. Audace come un vino schietto al palato, non lascia spazio a fraintendimenti,
come quando parla della sua creatura, «che mette insieme business e poesia», o come quando spiega
che la direzione intrapresa dal suo gruppo «va verso il mondo intero». Farinetti, finalmente ci
siamo. L'apertura triestina si è fatta attendere. In vita mia ho dato vita a 106 negozi e mai
un’apertura è stata puntuale. Si va sempre incontro a delle incognite che modificano i piani iniziali.
L'ex Magazzino vini è un edificio tanto meraviglioso quanto complicato. Abbiamo incontrato delle
difficoltà tecniche, ma adesso siamo pronti a partire. Come è nata questa operazione triestina? A
Trieste ho degli amici che si sono dati molto da fare e che mi hanno trascinato in questa avventura.
Penso alla famiglia Illy e, in particolare, a Rossana e a suo marito Riccardo. A loro si è aggiunto
Antonio De Paolo, al quale è stata affidata la responsabilità della sede triestina di Eataly. Un
compito fondamentale è stato poi svolto dalla Fondazione CRTrieste, che ha scelto di recuperare
questo edificio straordinario. Ha trovato terreno fertile in città o le è stato messo davanti qualche
ostacolo? Ho riscontrato una grande accoglienza, sia da parte dell’ex sindaco Roberto Cosolini, che
ha seguito tutto il percorso di questa operazione, sia da parte dell'attuale amministrazione. Perché
avete scelto proprio Trieste? Il nostro format ha bisogno di grandi numeri, ma è anche vero che la
politica del nostro gruppo ha previsto una serie di eccezioni per l’Italia. Siamo rimasti attratti dalla
magia di questa città, la cui bellezza è mostruosa e non sempre conosciuta. Abbiamo scelto Trieste
anche perché è una città di mare e di frontiera, con tutto quello che ne consegue. E poi c’è la Bora.
Cioè? Siamo da sempre attratti dal tema dei venti. Ho scritto pure un libro su questo argomento
(“Nel blu. La biodiversità italiana, figlia dei venti”, ndr). L’Italia è una penisola stretta e lunga e
l'incontro fra i venti che la attraversano ha contribuito a generare un microclima straordinario. Nella
sede Eataly di Trieste svilupperemo ampiamente questo tema. E poi ci sono le logiche di mercato.
Un imprenditore deve partire da dei target poetici e non farsi guidare solo dall'idea del “make
money”. Il nostro principale obiettivo non è quello di fare business. Vogliamo recuperare degli
immobili per restituirli al territorio, contribuendo al rilancio di interi quartieri e divenendo punto di
riferimento per comunità di cittadini. Mettere mattoni nuovi rappresenta un’operazione stupida che
va nella direzione opposta a quella scelta da Eataly e dalla Fondazione CRTrieste. L’investimento
dell'ex Magazzino vini è stato particolarmente oneroso. Non mi dica che si vive di sola poesia...
L’investimento fatto dalla Fondazione verrà ripagato dall’affitto che Eataly le corrisponderà per
l'utilizzo della struttura. Il profitto delle nostre attività servirà a pagare gli stipendi dei lavoratori e
dei fornitori. Quali sono gli obiettivi, in termini di fatturato, che vi siete posti per l’Eataly triestino?
Ci attendiamo un fatturato fra gli otto e i dieci milioni di euro all’anno, attraverso un equo mix di
vendita dei prodotti e dei servizi di ristorazione. Abbiamo poi tutta la parte legata alla didattica,
specie quella dedicata alle scolaresche. Ogni anno facciamo conoscere a 18mila bambini in tutta
Italia il valore di una sana e corretta alimentazione. Questa scelta rappresenta un costo, il cui ritorno
però è difficilmente calcolabile, specie se si scelgono di utilizzare dei criteri di valutazione
puramente economici. Non sono sempre rose e fiori. Dovrà fare anche i conti con chi la accusa di
alterare gli equilibri di un settore, quello commerciale, che in città non se la passa sempre bene.
Ormai è provato che Eataly riesce a contaminare positivamente ogni territorio nel quale si inserisce,
portando alla fine più lavoro per tutti. Bisogna superare le logiche medievali che puntano a fermare
i nuovi arrivi, con l’intento di garantire l’acqua al proprio orticello. L’idea che se arriva uno bravo
porta via lavoro agli altri è una grossa stupidaggine. Il futuro è di chi ha talento e si dà da fare. Non
può però negare la legittima paura di chi si dovrà confrontare con un colosso come Eataly. Guardi,
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io parlo sulla base delle esperienze di questi 10 anni. Attorno a Eataly sono spesso rinate intere
zone. Gli esempi del Lingotto di Torino e del Madison Square Park sono straordinari, per come
quelle zone sono diventate il fulcro di attività non solo commerciali. La stessa sede che abbiamo
aperto al Porto Antico di Genova ha fatto fiorire un luogo che prima era morente. E poi non
dimentichiamoci che Eataly a Trieste darà lavoro a 85 persone: anche questo lo considero un target
poetico. Insomma, questo matrimonio fra Eataly e Trieste sembra nascere sotto i migliori auspici,
nonostante venga “celebrato” il giorno 17... Molti anni fa arrivai a Muggia per aprire una filiale di
UniEuro. Le vendite andarono fin da subito molto bene e questo lo considero un segnale
promettente. E poi questa città mi piace da pazzi. Fare due passi in piazza Unità è una cosa che da
sola vale il viaggio per arrivare in questo angolo d’Italia.
L’Italia torna a dominare la cantieristica globale (Piccolo)
di Christian Benna - Nel naufragio globale dello shipping sta emergendo la bandiera italiana come
nuova potenza dei sette mari. Almeno questo è il viaggio controcorrente della cantieristica
nazionale, segnalato dai radar degli analisti di Clarkson sull'anno nero della navalmeccanica. Il
2016 ha registrato due tendenze del business in alto mare: corrono le imbarcazioni da crociera,
crollano invece gli affari nel trasporto container. Uno scenario difficilmente prevedibile fino a
qualche anno fa, quando la crisi finanziaria mondiale aveva messo in ginocchio il turismo delle navi
bianche e l'interscambio tra paesi sembrava l'unica leva per la ripresa. Oggi il 90% del commercio
mondiale continua a transitare a bordo di grandi navi, ma il calo della domanda, frenato dalla crisi
dei paesi emergenti e dal crollo di petrolio e commodities, unito a un eccesso di offerta di meganavi, sta trascinando nelle secche l'intero comparto. Nel 2016 sono stati firmati appena 400 contratti
per nuovi navi, per circa 30,9 miliardi di dollari. Di questi, suppergiù la metà andrà in mare per far
divertire i passeggeri e non per caricare e scaricare merci. Si tratta infatti di ordini destinati ad
ampliare la flotta dell'industria crocieristica che si sta espandendo in Asia e diversificando in nuovi
segmenti di mercato, come le cruise-ship fluviali e quelle di alta gamma, per viaggi sull'Artico o
mete meno battute. In questo oceano di opportunità del turismo, l'Italia è diventata la prima potenza
globale grazie alla rincorsa di Fincantieri che colleziona ordini fino al 2022 - 77 commesse per
altrettante navi - e può permettersi il lusso di giocare da protagonista nel consolidamento del settore
navigando verso l’acquisizione di Stx France, i cantieri di Saint Nazaire. Mentre il valore dei noli
precipita e si sta avviando un doloroso riassetto delle compagnie di navigazione, l'industria del
turismo in alto mare va molto forte. Nelle previsioni di Clia, l'organizzazione internazionale delle
società crocieristiche, i passeggeri a bordo nel 2017 saranno 25,3 milioni, verso il raddoppio
rispetto ai 15 milioni stimati 10 anni fa. Clia segnala poi che saranno 26 i debutti di nuove navi per
crociere oceaniche, per un investimento totale da oltre 7 miliardi di dollari. Tra il 2017 e il 2026 si
prevede che il settore introdurrà un totale di 97 nuove navi da crociera per un investimento totale
stimato in 53 miliardi di dollari entro il 2026. È questa la rotta in cui è riemersa l'Italia come
potenza degli Oceani, a bordo dell'ammiraglia Fincantieri, ma che comprende un indotto da
Monfalcone a Sestri Ponente fino a Castellamare di Stabia e alla Sicilia. Il settore crociere vale circa
117 miliardi di dollari a livello globale e impiega quasi un milione di persone. Quindi si presenta un
orizzonte di costante crescita per i prossimi anni. Tanto che anche gli armatori italiani fanno incetta
di commesse, e risultano quinti in classifica per un investimento complessivo per il 2017 di 2
miliardi di euro. Al conteggio partecipano anche alcune unità di Carnival che battono bandiera
italiana. I primi investitori rimangono gli Usa per 7,5 miliardi di commesse, seconda è la Cina (dove
è entrata nel mercato anche Fincantieri), terza la Malesia e quarta l'Inghilterra. Ma la crisi dello
shipping comincia a far paura. E all'orizzonte non si vede ancora una ripresa. Le procedure di
liquidazione per i gruppi coreani Stx e Hanjin, e l'epilogo di Hamburg Sud, la grande società di
navigazione tedesca fondata 140 anni fa che è stata venduta alla Maersk Line sembrano essere
l'antipasto di un consolidamento che farà ancora molte vittime. Il trasporto marittimo, che si è
concentrato su poche compagnie e mega navi da 18-22 mila Teu lasciando poco spazio a medie e
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piccole società, rischia di essere vittima di se stesso, in un gigantismo che fatica ad avere
sostenibilità economica.
BpVi offre 30 euro agli “scavalcati” (M. Veneto)
di Maurizio Cescon - Trenta euro per azione. A tanto ammonta l’offerta di Banca Popolare di
Vicenza per gli “scavalcati”, vale a dire per gli azionisti che misero in vendita i titoli e per i quali
non fu rispettato l’ordine cronologico di cessione, a causa dei raccomandati. Una proposta che
sfiora il 50% del valore massimo del titolo (62,5 euro negli ultimi due aumenti di capitale) e che in
Friuli Venezia Giulia riguarda almeno un centinaio di risparmiatori che si sono rivolti agli sportelli
di Federconsumatori (sono circa 500 in tutto quelli accertati). Una cifra, i 30 euro, molto superiore
rispetto ai 9 offerti a tutti gli altri. Ma comunque, per BpVi, si tratta di un numero ristretto di
azionisti e quindi di rimborsi in ogni caso circoscritti. Il maxi riconoscimento, c’è scritto nella
proposta di transazione, vale ovviamente solo per le azioni il cui ordine di vendita è stato inevaso.
Un esempio pratico: se il socio X aveva un pacchetto di 4 mila azioni e ne mise in vendita 2 mila, i
30 euro gli sono riconosciuti solo per le 2 mila “scavalcate”, non per le altre, che vengono “pagate”
a 9 euro. Il contante, se il socio accetterà, sarà erogato subito. In cambio dovrà esserci la rinuncia,
da parte dell’azionista cronologico (così viene definito nella bozza di transazione, ndr) a intentare
cause legali su tutto l’investimento in azioni, che resteranno di sua proprietà. Il socio potrà poi
beneficiare delle stesse condizioni di vantaggio sull’apertura di conti correnti vincolati per un
determinato periodo, 3 o 10 anni, con tassi d’interesse molto allettanti. I pochi clienti “scavalcati”,
la cui condizione è stata accertata dalla stessa banca, potrebbero però rivolgersi comunque al
Tribunale per vedere riconosciute le loro ragioni e puntare a un rimborso del 100 per cento.
L’inconveniente, in questo caso, è rappresentato dai tempi: per una causa ci vogliono almeno 2, 3
anni. Invece il ristoro della metà del danno, da parte di Popolare di Vicenza, arriverà
immediatamente. Ognuno naturalmente farà i propri conti, perchè ogni situazione personale è
differente dall’altra. «Scavalcato è l’azionista che ha messo in vendita i propri titoli e che sarebbe
stato soddisfatto se non ci fossero stati i raccomandati», spiega l’associazione dei consumatori
Aduc. «Non tutti i venditori sono scavalcati, ma solo quelli che effettivamente avrebbero venduto le
azioni perché in quel momento il fondo acquisto azioni proprie della banca aveva la disponibilità
economica per farlo. Gli altri, quelli per cui non sarebbe in ogni caso avvenuta la vendita per
mancanza di risorse economiche del fondo, non sono invece considerati danneggiati». La Banca
Popolare di Vicenza sottolinea che le regole per i ristori con i clienti “scavalcati” sono state
concordate con gli organi di Vigilanza europea. «Sono esclusi coloro i quali hanno sottoscritto o
comprato le azioni con finanziamento e coloro i quali hanno avviato vertenze legali. Questi ultimi
possono però rientrare se rinunciano a proseguire nelle vertenze - aggiunge l’Aduc -. Veneto Banca
farà lo stesso, ma non disponiamo ancora dati precisi sull’offerta». Sono 150 invece gli scavalcati
accertati dall’istituto di Montebelluna. Se si usa lo stesso parametro (ovvero il 48 per cento del
prezzo massimo) si potrebbe ipotizzare, secondo l’Aduc, che il prezzo offerto da Veneto Banca
sarebbe di 19,56 euro per azione. Intanto sui rimborsi interviene il presidente di Veneto Banca
Massimo Lanza. «L’offerta è buona - dice - e un miglioramento è certamente possibile se la banca
ripartirà». Lanza, presidente di Veneto Banca respinge le critiche al meccanismo di rimborso. «Ce
la possiamo fare: ricostruire la nostra banca e creare valore per tutti, soci e territorio». Sullo sfondo
l’idea di un meccanismo di compartecipazione alla creazione di valore che integri l’offerta
transattiva, mentre su un altri binario corre la fusione con BpVi. «Quando si sente dire che
l’indennizzo è una fregatura mi chiedo se si abbia la consapevolezza della situazione. Stiamo
parlando di una realtà dove l’azionista ha versato fino a ora 3,5 miliardi per ripianare il bilancio e ha
messo 600 milioni per risarcire parzialmente i piccoli azionisti senza che avesse alcuna
responsabilità di quanto accaduto». Certo tra le migliaia di soci non si può non tenere conto di
coloro che non avevano le competenze per valutare il rischio: «Nessuno lo mette in discussione, ma
le azioni legali risolverebbero la situazione? In caso di vittoria con cosa sarebbero risarciti? Con la
sede di Montebelluna in mezzo ai prati? Il rischio è che per un risarcimento totale non ci sarebbero
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fondi per risarcire. E chi avrebbe i soldi per le cause legali? I più piccoli, davvero? Abbiamo invece
pensato anche ai soci che non solo hanno perso, ma versano anche in condizioni disagiate con un
accantonamento loro dedicato di 30 milioni di euro. C’è in primis un 15 per cento dell’investimento
e allo stesso tempo il mantenimento delle azioni che, in futuro, se la banca ripartirà, acquisteranno
valore. C’è poi un’offerta commerciale fatta di agevolazioni, dai mutui ai depositi. Nel complesso
questa offerta arriva a coprire un valore del 33-35% dell’investimento fatto senza contare il
possibile incremento futuro delle azioni». Per capire quanti saranno i soci che aderiranno al piano
delle due ex Popolari bisognerà ancora
CRONACHE LOCALI
Fiom pronta alla mobilitazione per difendere la Ferriera (Piccolo Trieste)
«Siamo pronti alla lotta a difesa del ciclo siderurgico integrale della Ferriera di Servola». È quanto
afferma in una nota il Comitati iscritti Fiom Acciaierie Arvedi Trieste. «I valori di centraline e
deposimetri - sostengono - sono sotto i limiti di legge e ciò è frutto sia degli investimenti aziendali
sia del grande sforzo dei lavoratori che ha permesso alla fabbrica di tornare competitiva sui
mercati». I dipendenti Fiom da un lato assicurano che vigileranno sul rispetto delle leggi ambientali,
dall’altro sferrano dure critiche all’amministrazione Dipiazza. «È chiaro che un impianto di queste
dimensioni, e di queste complessità, necessita sempre di una continua manutenzione per essere
compatibile con le leggi ambientali. E su questo noi vigileremo, accompagnando sempre l'attività di
controllo così come previsto dall' accordo di programma e dall'Aia rilasciata. Quanto al sindaco prosegue la sigla sindacale - conduce una ricerca continua e morbosa per trovare vizi di forma a
cavilli legali atti a screditare e lordare il lavoro fatto in questi anni», mentre «le promesse
occupazionali dell’amministrazione comunale sono pura e semplice demagogia». Sempre sul fronte
sindacale si registra l’intervento di un’altra sigla, la Failms, che attraverso il segretario Cristian
Prella sollecita la Regione a farsi carico dei 30 operai in cassa integrazione e in attesa di rientrare in
Ferriera. Tra loro anche l’ex sindacalista Luigi Pastore. «In base a un accordo della fine 2014
saremmo dovuti tornare al lavoro dalla cassa integrazione entro il 31 dicembre scorso. Veniamo
chiamati dai consulenti del lavoro - sostiene Pastore - e ci vengono fatte offerte impossibili da
accettare oppure ci viiene proposta la frequentazione di corsi incompatibili con il nostro stato di
salute, visto che alcuni di noi hanno hanno patologie serie, come tumori, da tenere sotto controllo».
(s.m)
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«I servizi demografici sono al collasso» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - «Un settore in ginocchio». È quello dei servizi demografici (anagrafe, stato
civile, elettorale, leva) del Comune di Gorizia. A lanciare l’allarme sono la Cisl-Funzione pubblica
e la Cisal-Enti locali che hanno preso carta e penna e hanno scritto un’accorata lettera al prefetto
Isabella Alberti, chiedendo il suo intervento. E la Prefettura non ha sottovalutato il grido d’allarme,
tant’è che ha indetto una riunione con il Comune di Gorizia che si terrà nei prossimi giorni. Tutto
nasce dal fatto che, a livello di organici, la coperta si è fatta cortissima. «Dal 2011 ad oggi denuncia Franco Rossi della segreteria Cisl-Funzione pubblica - c’è stata una perdita di personale di
quattro unità alle quali vanno aggiunte alcune assenze per malattie lunghe. Contemporaneamente le
competenze sono aumentate per legge (convivenze di fatto, separazioni e divorzi brevi, carte
d’identità elettroniche più tutta una serie di aggravi procedimentali oltre al surplus di lavoro in
occasione di ogni tornata elettorale, i certificati elettorali per i cittadini italiani residenti all’estero, le
certificazioni per le successioni, le richieste di cittadinanza per gli stranieri)». I sindacati hanno un
diavolo per capello. Sostengono che l’amministrazione comunale «è rimasta sorda nonostante tutti
gli appelli e non ha inteso nemmeno tamponare la situazione o adottare piccoli interventi per far
lavorare in condizioni “normali” quei pochi lavoratori rimasti: in determinate giornate ed orari il
numero di utenti che staziona nella sala d’attesa è esagerato, più volte si è assistito a episodi di
insofferenza e intemperanza per le lunghe attese. E non è giusto che dipendenti e utenti debbano
sopportare queste situazioni. A titolo di esempio, il Comune di Monfalcone per talui attività
impiega tre unità di personale in più rispetto a Gorizia pur avendo una popolazione residente
inferiore di circa settemila unità». Nella lettera alla Prefettura, i sindacati Cisl e Cisal parlano di
situazione di grave criticità «nella quale si trova ad operare il personale dipendente incardinato ai
servizi demografici, con particolare riferimento alle difficoltà e impossibilità materiali di rispetto
delle modalità e dei termini previsti dalle normative vigenti per i procedimenti amministrativi
relativi». Si torna a rammentare che «la questione è stata più volte portata all’attenzione
dell’amministrazione ma ad oggi, purtroppo e nostro malgrado, non ha trovato alcuna soluzione».
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Rifugiati, bocciate 4 domande su 10 (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Sono principalmente di nazionalità afghana e pakistana gli immigrati che
presentano richiesta di asilo politico a Gorizia. Costituiscono l’80 per cento del totale: 53%
pakistani, 27% afghani, il restante 20% di altre nazionalità. La fascia d’età più rappresentata è
quella che va dai 16 e i 30 anni. Persone giovani. Provengono dalle zone tribali del Pakistan e da
diverse aree dell’Afghanistan. La commissione territoriale, fa sapere la Questura, accoglie circa il
63% delle domande. Ribaltando il discorso, quattro immigrati su 10, attualmente ospitati nelle
strutture d’accoglienza cittadine e della provincia, si vedono respingere la loro richieste. Poi scatta,
quasi istantaneamente, il ricorso. Infatti, contro le decisioni della commissione territoriale il
richiedente asilo può ricorrere al Tribunale: nel corso del 2015 (l’ultimo dato disponibile), l’autorità
giudiziaria ha emesso 590 sentenze, di cui 404 a favore delle decisioni prese dall’organismo di
protezione e 186 sfavorevoli. L’identikit dell’immigrato Si conferma che il livello di istruzione è
più elevato per i pakistani, così come decisamente buona è la conoscenza della lingua inglese. Gli
afghani, invece, hanno un’istruzione medio-bassa e l’inglese, al massimo, lo “masticano”. I
richiedenti-asilo ospitati oggi in città rappresentano l’investimento delle rispettive famiglie: sono gli
uomini giovani quelli su cui i genitori e i parenti investono, sono gli uomini più forti quelli che
possono reggere l’urto del duro viaggio verso l’Europa. «Se viene loro accettata la richiesta di asilo
politico, cercano di far trasferire la famiglia nel posto dato - ha spiegato di recente il viceprefetto e
presidente della commissione Massimo Mauro al settimanale diocesano Voce Isontina -. I maschi
sono i primi a partire per questioni religioso-sociali: infatti il padre si deve prendere carico di tutta
la famiglia mentre la madre resta a casa con i bambini». Altro concetto importante: «Non tutti
hanno diritto alla protezione internazionale, ma tutti scappano da situazioni di sofferenza: noi
abbiamo il dovere di capire le motivazioni della loro fuga e solo successivamente se dare la
protezione internazionale. Molti infatti sono anche i “casi Dublino”, ovvero persone accolte per la
prima volta in uno stato diverso dal nostro, al quale spetterebbe la gestione della richiesta di asilo
politico». Torniamo a ricordare che per arrivare qui e costruirsi una nuova vita lontano dalle guerre,
tutte queste persone hanno dovuto sborsare una cifra variabile dagli 8mila ai 13mila dollari.
L’identikit dei richiedenti-asilo che continuano ad arrivare in città è contenuto nell’interessante
approfondimento “I barconi dei Balcani”, indagine-pilota condotta dall’Istituto di sociologia
internazionale di Gorizia (Isig). Le interviste ai profughi presenti in città furono realizzate, con
pazienza certosina, dai ricercatori Isig al Nazareno e alla mensa di piazza San Francesco. Nacque un
contributo di conoscenza di assoluta rilevanza che permette di conoscere più da vicino queste
persone in cerca di aiuto e di comprendere le loro dinamiche. La dinamica delle richieste Altri
numeri. L’ufficio immigrazione della Questura ha proceduto, nell’arco del 2016, alla
formalizzazione di 1.031 domande di richiedenti lo status di rifugiato. L’anno prima erano state
1.222. C’è stato un calo, anche se le autorità preposte parlano di «fenomeno pressoché costante» nel
senso che ritengono poco significativo quel decremento. Infatti, andando a ritroso con i dati
statistici si scopre che sono stati gli ultimi due anni quelli più ricchi di formalizzazioni. Nel 2014
furono 549 le domande di richiedenti lo status di rifugiato, l’anno prima 221 e nel 2012 153. Altri
numeri interessanti: il mese più ricco di formalizzazione è stato novembre 2016 (furono 174)
mentre quello più leggero settembre con 44 complessive. Nel 2015, invece, fu agosto il mese più
caldo con 146 formalizzazioni mentre quello più “tranquillo” fu aprile con 57. La partita vera, a
questo punto, è quella di trovare nuove strutture di accoglienza per tutte queste persone che
continuano ad affluire in città. Non è un mistero che la Caritas diocesana e i volontari stanno
facendo, come si suol dire, pentole e coperchi pur di trovare sistemazioni dignitose e alternative a
notti passate all’addiaccio. Con temperature in picchiata. «Sarebbe importante - aveva spiegato nei
giorni scorsi il direttore della Caritas - che si apra di più il territorio. L’accoglienza diffusa è l’unico
antidoto, l’unica maniera per venire a capo di questa complessa questione. Tutti i Comuni devono
fare la loro parte, nessuno escluso». Chissà se l’appello verrà accolto dagli enti locali.
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Cardiologia partita chiave per il San Polo (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Laura Borsani - Da qui non si recede: al San Polo non sarà accettata qualsiasi condizione che
possa comportare l’aumento del rischio clinico in fatto di eventi cardiologici. Ne va delle morti
evitabili e delle loro famiglie. Il sindaco Anna Maria Cisint è pronta a inviare una lettera-diffida alla
presidente della Regione, Debora Serracchiani. Le istanze tengono conto di un “piano A” e un
“piano B”, a fronte di «una impostazione sbagliata della riforma sanitaria». In sostanza, se scelta ci
dovrà essere tra Monfalcone e Gorizia circa il mantenimento della Terapia intensiva cardiologica,
numeri ed elementi oggettivi alla mano non possono che far pendere l’ago della bilancia sul San
Polo. Se, invece, si andrà al superamento dell’Unità cardiologica in virtù del riferimento diretto a
Trieste nel suo ruolo di Hub, le condizioni “sine qua non” di salvaguardia della salute saranno
tassative. Cisint ha osservato: «L’Unità cardiologica a sostegno dell’emergenza e dell’urgenza deve
rimanere a Monfalcone. Comunque sia non accetteremo nel modo più assoluto l’aumento del
rischio clinico. Gli standard attuali di sicurezza non possono essere messi in discussione». Tema
scottante la Cardiologia, all’indomani della conferenza stampa dell’assessore regionale alla Salute,
Maria Sandra Telesca, a Gorizia. A Monfalcone è già fuoco alle polveri. Quelle del Pd che, con la
capogruppo Silvia Altran e il consigliere Omar Greco, va al rialzo, dopo quello che viene definito
«il blitz in ospedale» in ordine ai posti-letto e le «preoccupanti dichiarazioni di un suo assessoremedico sull’emergenza influenza (Luise, ndr), immaginiamo per supportare la sua sindaca che s’è
finalmente decisa a incontrare il direttore generale dell’Aas, Pilati». Altran e Greco infatti tuonano:
«Cosa sta facendo il sindaco sulla gravissima situazione che si potrebbe creare con la preannunciata
e quindi ormai concreta ipotesi che l’emergenza cardiologica non sia collocata a Monfalcone, ma a
Gorizia? Non è che si affrontano temi di più semplice soluzione e ci si accontenta di qualche pezza
perché non si è elaborata una strategia per difendere i punti nevralgici come la Cardiologia
d’urgenza del San Polo?». Ce n’è abbastanza per “mettere sulla graticola” la Cisint spingendo la
provocazione politica proprio sul terreno goriziano. Altran e Greco, infatti, aggiungono: «Starà zitta
il sindaco per non disturbare qualcuno a Gorizia, o farà in modo di scongiurare il rischio di lasciare
che il nostro ospedale sia privato del presidio di importanza vitale per le eventualità di eventi
cardiologici acuti?». La Cisint, comunque sia, va avanti con le sue istanze “nero su bianco” dirette
alla Serracchiani. In primis c’è il mantenimento della Unità di Terapia intensiva cardiologica al San
Polo. È una questione di tempistiche: «Il percorso Gorizia-Monfalcone-Trieste - spiega il sindaco è in grado di minimizzare i rischi rispetto al percorso Monfalcone-Gorizia seguiti da un nuovo
viaggio a Trieste per raggiungere la sede Hub di riferimento». A far fede a questa scelta, sostiene
sempre la Cisint, restano le note caratteristiche in termini di popolazione residente (48mila abitanti
come Pordenone), principali industrie e assi viari regionali, posizione geografica baricentrica «che a
Monfalcone garantisce il più breve tempo medio di accesso a tutta la popolazione dell’Isontino e a
parte di quella della Bassa Friulana, nonchè punto di più veloce accesso in caso di emergenza per la
popolazione turistica del litorale e di Grado nei mesi estivi». Con ciò facendo appello al «principio
di realtà» e «allo spirito e alla lettera della legislazione nazionale e regionale» ai fini delle scelte che
saranno operate dall’Atto aziendale dell’Aas 2. C’è anche il “piano B”. Con la richiesta di garantire
la presenza di un cardiologo in guardia attiva per almeno 12 ore in entrambi gli ospedali di
Monfalcone e Gorizia, con posti letto intensivi e semi-intensivi gestiti da medici di Pronto soccorso,
Medicina di urgenza, Cardiologia, Anestesia e Rianimazione sulla base delle problematiche cliniche
specifiche del paziente accolto. Quindi la presenza di un cardiologo in guardia attiva notturna,
oppure in pronta disponibilità in Azienda, con vigilanza attraverso telemedicina in entrambi i
presidi e connessione con procedure di sicurezza con i centri Hub per tutti i 4 presidi ospedalieri
aziendali. Altra istanza forte riguarda l’acquisto della risonanza magnetica per il San Polo,
constatato che «il Piano aziendale locale 2017 non contempla il relativo finanziamento di 1,8
milioni».
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Gli infermieri esausti: «Pronti allo sciopero» (M. Veneto Pordenone)
Gli infermieri appartenenti al sindacato Nursind sono sul piede di guerra: il segretario provinciale
Gianluca Altavilla si dice pronto allo sciopero, se non saranno messi in campo interventi efficaci
al’'interno dell’Azienda sanitaria 5, a stretto giro di posta. «La risposta alla salute del cittadino è
stata data convertendo i posti letto di chirurgia in posti letto in medicina: sarebbe utile analizzare le
cause di questi picchi di ricoveri – ha dichiarato Altavilla –. La situazione è critica: nelle medicine,
in chirurgia e pronto soccorso il personale è esausto per turni massacranti. A riprova di ciò
l’aumento delle malattie, i visi scavati e la stanchezza negli occhi dei dipendenti. Si pensi che in
chirurgia sono state persino sospese le ferie». La situazione è nota da tempo alla direzione: sono
state scritte lettere ed effettuati incontri col direttore generale dell’Aas 5 Giorgio Simon, ma nulla è
cambiato. «Il personale vuole vedere arrivare rinforzi: si deve procedere con assunzioni di
infermieri e Oss - ha messo in evidenza Altavilla -. I lavoratori non possono andare avanti saltando
riposi per garantire i servizi. Anche i cittadini vogliono personale di assistenza. Le priorità sono
medicine, chirurgie e pronto soccorso di Pordenone, anche se gli altri reparti non se la passano
meglio». La proposta di Altavilla è di «utilizzare la graduatoria a tempo determinato. Ci sono venti
infermieri pronti per lavorare - ha ricordato -: qualcuno opera già come interinale all’interno
dell’Azienda. Chiediamo che si inizino a vagliare le domande del bando per infermieri a tempo
determinato con colloqui entro marzo». Quindi l’annuncio dell’intenzione di incrociare le braccia:
«Se entro breve non saranno effettuate assunzioni, procederemo con sciopero e manifestazioni per
sensibilizzare la cittadinanza - ha fatto sapere Altavilla -. Chiederemo pure un risarcimento del
danno procurato ai dipendenti». Non manca una stoccata finale alla Regione: «Dubito che gli
infermieri, con quello che stanno passando, nel 2018 ridaranno fiducia a questo governo regionale».
Gargiulo nuovo segretario Flc: «Organici insufficienti nelle scuole» (M. Veneto Udine)
Cambio al vertice per la Federazione lavoratori conoscenza della Cgil di Udine, la Flc, che conta
oltre 1.500 in provincia e 5.300 a livello regionale. Il nuovo segretario è Massimo Gargiulo: a
passargli il testimone Natalino Giacomini, che aveva continuato a guidare la categoria anche dopo
la nomina a segretario generale della Cgil Udine, avvenuta a fine settembre. Gargiulo, 53 anni, è
insegnante e vanta una lunga militanza in Flc, dove è iscritto dal 1989 e impegnato attivamente da
quasi vent’anni. È stato eletto con 22 voti favorevoli e 1 astenuto, al termine dell’assemblea
generale di categoria riunitasi ieri (venerdì) nella sede della Camera del Lavoro di Udine. «Il mio
impegno - dichiara il neosegretario - è quello di rafforzare il ruolo e la rappresentatività di una
categoria fortemente impegnata sulle grandi battaglie della scuola e di tutti i settori della
conoscenza, a partire dal rinnovo dei contratti nazionali, fermi al biennio economico 2008-2009, e
dalla stabilizzazione dei precari». Poi Gargiulo ha evidenziato le problematiche locali: «La priorità
assoluta, a livello provinciale, è quella di rivendicare un rapporto forte con i vertici
dell’amministrazione scolastica, per dare finalmente una soluzione al perdurante problema della
grave insufficienza degli organici del personale Ata, delle nomine e delle immissioni in ruolo dei
docenti. Ricordo infatti che sul territorio della provincia, nelle scuole dell’infanzia e primaria, si
registra un ritardo che non è soltanto legato alle scorie lasciate dalla “buona scuola” e alla disastrosa
gestione dei trasferimenti, ma anche ai tempi lunghi dei concorsi e all’annoso problema delle
carenze di organico dell’ufficio scolastico provinciale, dove il turnover è di fatto fermo da anni».
Porterà lavoro o crisi? L’outlet divide la città (M. Veneto Udine)
di Paola Mauro - Un investimento da 35 milioni di euro che cambierà il volto di Latisana, in chiave
sia economica che sociale. L’outlet village e l’hotel di prossima realizzazione all'uscita del casello
autostradale, da settimane sono al centro di un dibattito che vede opposti quanti ritengono il
progetto un’ottima opportunità di rilancio, per l’intero comprensorio e quanti temono
dall’insediamento solo effetti negativi, per le attività del centro cittadino. Un unico elemento
accomuna tutte le posizioni ed è il fattore posti di lavoro. Due le società investitrici la Petrol Service
srl di Montebelluna (non nuova a investimenti del genere nella Bassa Friulana) e Promo Center
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2000 srl di Trento che nei prossimi giorni incontreranno Autovie Venete e Anas per il via libera alla
rotonda di accesso all'area, mentre con la convenzione firmata dal Comune prima di Natale, hanno
già il via libera alle opere di urbanizzazione e alla richiesta di permesso a costruire. «Se è vero che
porta posti di lavoro ben venga, quanto al giro di persone penso che durerà per i primi tempi, perché
c'è la novità ma poi? - è quanto si chiede Elisa Bertoia, giovane mamma che per 12 anni ha lavorato
nel commercio di Latisana - purtroppo – aggiunge - penso che il centro della città ne andrà a
morire». Maurizio Pascutto è un libero professionista di Ronchis e si dice subito favorevole al
progetto, «perchè intanto la cosa più importante sono i posti di lavoro – dice - e poi perché è ora di
darsi una mossa. Sarà un intervento di rilancio per tutto il territorio, non solo per Latisana, dove non
c'è industria e non ci sono mai stati insediamenti importanti». «Andiamo a vedere alle varie uscite
autostradali dove prima non c'era niente adesso cosa c'è – dice Armando Mauro, commerciante in
pensione – sono investimenti fatti bene e che fanno bene, a tutti, anche ai “brontoloni” del centro,
perché gente porta gente. É ridicolo dire che non funzionerà, che non ci verrà nessuno, quello di
Aiello è in mezzo ai campi, sempre pieno. E secondo me oltre all'hotel sarebbe da pensare anche a
un bel parcheggio attrezzato per i camion». «Quello che è importante in questo momento è capire la
portata dell'insediamento». Interviene cauta Caterina Formentini, vice presidente della
Confcommercio e titolare di dell’omonima profumeria di piazza Indipendenza, «ancora non c’è
stato un confronto fra l’associazione e l’amministrazione comunale per conoscere la reale entità e i
contenuti del progetto – ci dice – mi auguro che ci sia la possibilità di collaborare e che sia
un'occasione di rilancio del centro. E non che diventi un ostacolo, da porre in concorrenza alle
attività del centro, dopo tanti anni di sofferenza e di investimenti: molti colleghi della piazza stanno
investendo e rinnovando e dopo tanti sacrifici non sarebbe giusto essere penalizzati».
Collaborazione è quanto propone anche una giovane imprenditrice, Elisabetta Parise, che si dice
favorevole al nuovo insediamento e ai posti di lavoro che porterà, «nel rispetto di tutte le attività
presenti a Latisana e davanti a un'occupazione reale, con contratti reali – sottolinea e poi suggerisce
– potrebbe diventare anche un motivo di valorizzazione del territorio, magari come vetrina del
prodotto tipicamente friulano e locale». E fa un discorso di sinergie fra le attività del centro
cittadino e quelle del futuro outlet anche Christian Chiara, titolare de Il Punto Telefonico di via
Vendramin: «quello è il futuro – dice – quando esco dal casello e tutto attorno vedo campi, faccio
un confronto con Villesse, Palmanova, Portogruaro e mi dico da solo che qui qualcosa non
funziona. É un'occasione che va sfruttata territorialmente, con Ronchis e Lignano». «Io sono di San
Donà di Piave – racconta Luca Nardini, gestore del bar Odeon di viale Stazione – e quando si è
iniziato a parlare di centro commerciale tutti erano terrorizzati. Ma il risultato è che ha portato
lavoro per la gente della città e ha creato movimento di persone, anche nel centro storico. Per me il
centro commerciale porterà clientela anche a Latisana». Secondo Orietta Boldarin, titolare de Il
Stusighin di piazza Indipendenza, poteva essere un’occasione quindici anni fa, ma adesso di centri
commerciali ce n’è dovunque e soprattutto c’è sempre meno gente che ci va. «Portogruaro è
l’esempio di cosa succede, la gente ci va ancora perché è un bel centro storico, ma quante attività
hanno chiuso? Per contro anche i centri commerciali si stanno svuotando». «Porterà posti di lavoro
e spero a tanti giovani. Nuovi stipendi, nuova capacità di spesa, un po' di economica in movimento
ma a che prezzo ? - dice Stefania Soranno de La Bottega Verde di via Rocca – non vorrei che a
farne le spese siano i negozi del centro. Non sono contraria – ci tiene a precisare – sono però cauta
nel valutare». «Se si vuole far morire il centro di Latisana questa è la strada giusta, per me i centri
commerciali non sono l'avvenire – dice Patricia Sarna che porta l'esempio delle grandi catene
francesi – realtà nate ben prima che in Italia e che ora stanno scomparendo, perché nella gente c'è
un ritorno al piccolo negozio, almeno impariamo dagli errori altrui». «Il centro cittadino non sarà
mai in grado di fare concorrenza a un centro commerciale e sarà la fine – è l'analisi di Katiuscia
Fanotto, titolare del salone KascoMatto di via Goldoni – non mi convince neanche il discorso di chi
dice che si crea giro di persone, alla fine sono le stesse sottratte al centro».
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