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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
INDICE
1. PREMESSA.
Pag. 3
2. METODOLOGIA D’INDAGINE.
Pag. 4
3. INQUADRAMENTO
GEOGRAFICO,
GEOLOGIOCO
E
GEOMORFOLOGICO.
Pag. 6
4. INQUADRAMENTO STORICO-ARCHEOLOGICO E RICOSTRUZIONE
DEL POPOLAMENTO ANTICO.
Pag. 13
5. LA VIABILITA’ ANTICA.
Pag. 23
6. EVIDENZE ARCHEOLOGICHE NOTE.
Pag. 27
7. ANALISI DELLE FONTI STORICHE ED ARCHIVISTICHE.
Pag. 33
8. NUOVE ACQUISIZIONI E TRADIZIONI ORALI .
Pag. 52
9. ANALISI TOPONOMASTICA.
Pag. 58
10. ANALISI FINALE DEL DATO ARCHEOLOGICO.
Pag. 66
11. INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI RISCHIO ARCHEOLOGICO.
Pag. 75
BIBLIOGRAFIA
Pag. 78
ALLEGATO A: SCHEDATURA DEI SITI DI INTERESSE ARCHEOLOGICO.
ALLEGATO B: FONTI ANTICHE.
ALLEGATO C: DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
1.
PREMESSA.
Nell’ambito della redazione del nuovo PSC il Comune di Berceto ha incaricato la Società
Cooperativa Acmé di redigere la Carta archeologica con relativa analisi della potenzialità del
rischio archeologico. L’amministrazione comunale, con la realizzazione di questo importante
documento, intende fornire al paese di Berceto uno strumento che consenta di far conoscere alla
cittadinanza il proprio patrimonio storico-archeologico e di limitare le problematiche legate
all’espansione edilizia. E’ opportuno che l’intera comunità di Berceto venga a conoscenza che il
proprio territorio è un bene da conservare, indagare, proteggere e valorizzare in modo da poterlo
trasmettere alla memoria collettiva. Ai giorni nostri, è necessario procedere alla realizzazione di
strumenti di conoscenza, tutela e programmazione che rispettino il patrimonio archeologico e che
non si limitino alla semplice conoscenza del dato disponibile, ma lo mettano in risalto e lo sfruttino,
compatibilmente con lo sviluppo territoriale ed economico. Il patrimonio archeologico non è un
rischio o un ostacolo allo sviluppo, ma un bene da inserire nella programmazione.
La carta archeologica deve essere uno strumento sia programmatico che utile al potenziamento della
ricerca. Sulla base della presente carta archeologica, l’Amministrazione comunale e l’Ufficio
tecnico avranno il compito di avvisare la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia
Romagna qualora vi sia necessità di eseguire uno scavo per lavori sia pubblici che privati. Il grado
di rischio, le adempienze ed eventuali prescrizioni saranno indicate dalla Soprintendenza sulla base
delle normative vigenti.
Il presente documento è stato realizzato seguendo le prescrizioni indicate nel protocollo n. 6610
della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna e sotto la
supervisione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, nello specifico,
del Funzionario territoriale Dott.ssa Manuela Catarsi.
Questa carta archeologica è da considerarsi una prima analisi dell’intero patrimonio archeologico di
Berceto; futuri studi e aggiornamenti potranno essere integrati al presente documento. Nel corso
degli ultimi decenni, il territorio di Berceto, purtroppo, non ha assistito a stagioni di studi e ricerche
estensive e sufficientemente approfondite che permettessero di restituirne la giusta importanza dal
punto di vista storico e archeologico. Le informazioni riguardanti il passato sono frutto di iniziative
personali da parte di appassionati o sono ritrovamenti casuali ai quali vanno aggiunti dati raccolti
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dalla Soprintendenza nell’ambito delle sorveglianze previste per grandi opere (per esempio
metanodotto Snam, adeguamento Autocisa, ferrovia Parma – La Spezia). Il territorio comunale di
Berceto ha un’estensione di 131 kmq di cui il 70% montuoso; il rimboschimento, le numerose frane
e il difficile accesso di molte aree unitamente allo spopolamento rendono difficoltosa un’analisi
completa.
METODOLOGIA D’INDAGINE.
2.
La metodologia d’indagine del presente lavoro comprende l’analisi delle fonti antiche, la raccolta
del materiale storico-archeologico edito ed inedito, l’inquadramento storico e geomorfologico del
territorio, l’analisi dei toponimi riscontrati nell’area, l’osservazione della fotografia aerea e da
satellite, le considerazioni successive alle ricognizioni di superficie (survey), il posizionamento dei
siti d’interesse archeologico individuati, la schedatura dei siti e la definizione ed analisi della
potenzialità di rischio archeologico.
La base di studio della presente Carta della potenzialità del rischio archeologico è stata effettuata
sulle ricerche archivistiche e bibliografiche. Questa fase di acquisizione delle conoscenze sul
patrimonio storico-archeologico è da ritenersi, in effetti, primaria e preliminare alle fasi successive
e consiste nel reperimento di materiale edito nella letteratura specializzata o di cui si conserva
documentazione negli archivi della Soprintendenza competente o nelle biblioteche della provincia
di Parma. Una fase importante della ricerca ha riguardato la rilettura delle fonti antiche che parlano
del territorio comunale di Berceto. Per una conoscenza delle specifiche fonti bibliografiche si
rimanda alla Bibliografia ed all’Allegato B alla fine del testo.
L’unione dei dati risultanti da questa ricerca ha reso possibile un inquadramento storico
archeologico del territorio di Berceto che valuta le modalità del popolamento dalla Preistoria fino al
Medioevo.
I dati archeologici ed il loro posizionamento topografico sono stati ottenuti non solo grazie
all’analisi bibliografica, ma raccogliendo anche le informazioni derivanti da:
•
fotografie aeree e immagini satellitari;
•
ricognizioni archeologiche mirate;
•
segnalazioni orali;
•
analisi toponomastica.
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Successivamente è stato stilato un elenco di siti archeologici che sono stati cartografati con
simbologie e colori differenti secondo le epoche storiche così come riportato nella legenda della
Carta dei siti. Per ogni sito individuato è stata realizzata una scheda descrittiva.
La cartografia, sulla quale sono stati raccolti tutti i dati, è stata impostata su una base AutoCAD
georeferenziata sulle tavole CTR fornite dall’ufficio tecnico comunale.
Una legenda inserita nella cartografia consente una lettura immediata del dato archeologico, distinto
in base all’epoca di riferimento. Infatti, in una colonna a sinistra della tavola sono elencati e
numerati tutti i siti individuati.
La carta è stata suddivisa in quadranti così come è accaduto anche per le altre valutazioni presenti
nel PSC di Berceto. Ad ogni quadrante corrisponde una numerazione di sito e ad ogni sito una
scheda di dettaglio dove sono raccolte le informazioni, le coordinate e un estratto dettagliato della
CTR.
Ogni sito viene quindi indicato sulla cartografia attraverso un simbolo, un colore ed una
numerazione derivante dal quadrante di appartenenza.
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Per le aree con maggiore densità come Berceto e Roccaprebalza si è deciso di allegare alla presente
relazione una tavola apposita in scala 1:2000.
Per ultimo è stato possibile definire due diversi livelli di rischio archeologico dell’intero territorio
comunale di Berceto. In base alla densità dei ritrovamenti e al tipo di contesto sono state disegnate
delle aree definite o a rischio accertato o a rischio diffuso.
I fattori di valutazione per la definizione del rischio archeologico si possono riassumere in analisi
dei siti noti e della loro distribuzione spazio-temporale, riconoscimento di eventuali persistenze
abitative, grado di ricostruzione dell’ambiente antico. Passaggio fondamentale per il ricercatore è
stato riunire e valutare le informazioni raccolte. Infatti per alcune aree si può avere una gran
quantità di rinvenimenti, che possono farci interpretare quel territorio come fortemente
antropizzato, ma anche come un’area più studiata o tutelata. L’assenza di informazioni
archeologiche, infatti, non può essere vista come assenza insediativa. Inoltre, occorre valutare
l’attuale utilizzo del territorio, la presenza di nuclei abitativi storici o di aree edificate moderne.
Infatti, aree attualmente ad alta densità abitativa possono simboleggiare un minor rischio
archeologico rispetto a quelle con bassa densità, poiché una maggiore urbanizzazione indica un
degrado maggiore degli insediamenti antichi sia nel livello di conservazione sia nella potenzialità
distruttiva espressa.
3.
INQUADRAMENTO GEOGRAFICO, GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO.
Il Comune di Berceto è situato nel settore meridionale della Provincia di Parma al confine con la
Regione Toscana. Il territorio comunale è delimitato a nord dai Comuni di Solignano e Terenzo, a
sud dal Passo della Cisa e dal Comune toscano di Pontremoli, ad est dai Comuni di Calestano e
Corniglio, ad ovest da Valmozzola e Borgotaro. I centri abitati principali dell’intero territorio sono:
Berceto, Bergotto, Casaselvatica, Castellonchio, Corchia, Fugazzolo (di Sopra e di Sotto), Ghiare,
Lozzola, Pagazzano, Pietramogolana, Roccaprebalza e Valbona.
La maggior parte del territorio è a carattere montuoso con rilievi che oscillano tra i 1.100 e i 1.300
metri di altitudine. Da ovest verso est si possono riconoscere il Groppo delle Pietre (m 1.289), il
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Monte Valoria (m. 1.229), il Groppo del Vescovo (m 1.243), il Monte Sprela (m 1.284) ed il Monte
Scarabello (m 1.340).
Il Comune di Berceto si trova nei bacini idrografici del fiume Taro (settore occidentale) e del
torrente Baganza (settore orientale) che alimentano l’intero territorio permettendo agli insediamenti
antropici di svilupparsi.
Il tratto del fiume Taro che interessa Berceto è solamente un limitato tratto situato in sponda destra
rispetto al Fiume ma è comunque caratterizzato da diversi affluenti, i più importanti dei quali sono
il torrente Vorè, il torrente Manubiola, il torrente Grontone, il torrente Mozzola ed il torrente
Sporzana.
Il torrente Vorè ha origine dalle pendici del Groppo della Donna ed i suoi affluenti in sponda destra
sono il rio Fassaneto, il rio del Moro, ed il rio Ferrari; in sponda sinistra il rio del Tullo.
Il torrente Manubiola ha origine da due rami principali: il Manubiola di Corchia ed il Manubiola di
Valbona che scorrono paralleli fino a confluire nei pressi di Bergotto. Infine il torrente confluisce
nel Taro nei pressi di Ghiare di Berceto. Gli affluenti di destra sono il rio della Fazza, il rio dei Rivi
Freddi, il torrente Cattaia, il rio delle Vigne di Berceto, il rio di Roccaprebalza, il rio Campedello ed
il rio Bussatolo. Gli affluenti di sinistra sono il rio dei Bassi, il torrente Cova, il rio Maserino ed il
rio delle Masere.
Il torrente Grontone ha origine dal Monte Marino e defluisce nel Taro poco a monte del Comune di
Solignano. Gli affluenti di destra sono: il rio degli Scrivani, il rio dell’Olmo, il rio della Macetta, il
rio Merdoso, il rio delle Lame. Gli affluenti di sinistra sono: rio del Metallo, rio delle gabbanelle,
rio delle Terre Lunghe, rio Mellina e rio Martellino.
Il torrente Baganza nasce sulle pendici dello spartiacque appenninico, presso la Cisa, dal monte
Borgognone (1400 m slm). Scorre fino a Berceto per poi passare da Fugazzolo e Calestano. Dalle
sue sorgenti fino al ponte di Calestano esso scorre tra pendii acclivi ed incassato tra le rocce, la
valle è stretta con versanti ripidi e l’andamento del torrente è marcatamente tortuoso. In questo
tratto riceve in sponda destra le acque del rio Pradella nei pressi di Fugazzolo.
Il territorio comunale di Berceto è caratterizzato da un elevato indice di franosità, circa il 40%
dell’intera area, che ha danneggiato e compromette tutt’oggi la conservazione dei siti archeologici. I
corpi franosi attivi ricoprono il 10,4% del territorio, mentre le frane quiescenti interessano il 29,3%.
La tipologia di dissesto più diffusa è costituita dalle frane complesse di medie e grandi dimensioni,
in cui si associano scivolamenti rotazionali e rototraslativi con fenomeni di colata; a volte tali
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dissesti interessano interi versanti dai crinali ai corsi d’acqua. Purtroppo, movimenti franosi sono
stati riconosciuti nei pressi dei centri abitati del territorio comunale. E’ da tenere presente che questi
nuclei abitativi hanno origini molto antiche e quindi le frane non solo possono compromettere gli
abitati attuali ma anche i resti archeologici ancora presenti nel sottosuolo.
Il versante che si estende dallo spartiacque Baganza – Taro al fondo della media valle del torrente
Manubiola, sul cui settore sommitale sorge l’abitato di Berceto, è interessato da un movimento
gravitativo classificato come “deformazione profonda di versante”.
L’abitato di Bergotto è interessato da due movimenti franosi quiescenti, di tipo complesso, che in
caso di riattivazione potrebbero coinvolgere l’intera area. Il primo si trova a nord dell’abitato e si
arresta ad alcune decine di metri a nord della chiesa di Bergotto. Il secondo coinvolge la frazione di
Casa La Torre, C. Borello e C. Bertoncini.
L’abitato di Casaselvatica e tutta l’area circostante è interessata da diversi dissesti tra i quali
spiccano per dimensioni e pericolosità la frana de “La Costa” e la frana situata tra La Piazza e
Casaselvatica. La prima è di tipo intermittente, con tempi di riattivazione differenziati a seconda che
si considerino le colate superficiali, stagionali, o la rimobilizzazione dell’intero corpo di frana
profondo che avviene con intervalli di decine di anni. Il secondo movimento è presente nell’abitato
di Bragazzano; il suo accumulo principale è quiescente. Entrambe le frane sono di tipo complesso.
Notizie relative probabilmente all’evoluzione gravitativa dell’area de La Costa sono testimoniate
già nella metà del XVI secolo grazie alle cronache di Don Giorgio Franchi. Nella tradizione
popolare la frana avrebbe sconvolto il paese e travolto anche un ospitale o un monastero (forse
l’Ospitale di Casaselvatica).1
Un altro movimento franoso lambisce il Perneto, lungo la statale Berceto-Calestano, e si origina dal
Flysch di Monte Caio presso la vetta del Monte Cervellino in destra del Baganza, per raggiungere il
fondovalle dopo qualche chilometro2. Gli ultimi dati al Carbonio 14 indicano numerosi movimenti
franosi ripetuti da 5.750 a 1.950 anni fa. La frana si è riattivata nel novembre del 2000 a causa di
intense precipitazioni autunnali ed ha distrutto il nucleo abitativo di Cozzo attestato già nel XII
secolo.3
C. CECCATO, Studio geologico Comune di Berceto – Piano Comunale di Protezione Civile, Bozza
Gennaio 2008, pp. 2-24.
2
P. VESCOVI, L'assetto strutturale del Flysch di M. Caio nella zona del Passo della Cisa e in alta Val
Baganza (Prov. di Parma), in “Rend. Soc. Geol. It.”, 1988, pp. 313-316.
3
P. VESCOVI, E. FORNACIARI, D. RIO, R. VALLONI, The Basal Complex Stratigraphy of the
Helminthoid Monte Cassio Flysch: a key to Eoalpine tectonics of the Northern Apennines. In “Rivista
Italiana di Paleontologia e Stratigrafia”, 1999, pp. 101-128.
1
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
L’analisi geomorfologica dell’area comunale di Berceto è fondamentale per capire quali sono state
le zone particolarmente adatte allo sfruttamento ed all’insediamento antropico.
L'Appennino parmense nel quale è incastonato il Comune di Berceto è, per la maggior parte,
costituito da rocce sedimentarie di origine marina che in prevalenza sono costituite da argille,
arenarie e marne. Nelle zone di crinale sono presenti depositi morenici quaternari e coperture
detritiche. Le masse vulcaniche costituiscono nell'Alto Appennino l'elemento più caratterizzante del
paesaggio geologico e l'erosione prolungata degli agenti atmosferici ha isolato le vulcaniti dando
origine a quelle guglie rocciose (ofioliti) che s’innalzano sul fondo di alcune vallate o lungo le
dorsali montuose.4
Le rupi ofiolitiche svolgono un importante ruolo nella ricostruzione delle principali tracce lasciate
dall’uomo in Val Taro, arricchendo il quadro delle conoscenze sul popolamento antico. Grazie alla
loro natura, soprattutto alla loro scarsa erodibilità, le ofioliti rappresentano per l’essere umano
luoghi d’importanza strategica e di controllo del territorio. I caratteri fisici di questi luoghi hanno
influenzato le scelte dell’uomo preistorico, difatti venivano sfruttate come insediamenti le aree che
meglio rispondevano ai bisogni antropici come le posizioni arroccate che permettevano un ampio
controllo del territorio e quindi zone perfette per la caccia stagionale. Questo legame tra ofioliti e
insediamenti umani si riscontra anche in epoca medievale, periodo in cui fu eretta la maggior parte
dei numerosi castelli attorno ai quali si consolidò l’organizzazione dell’intero territorio di Berceto.5
Le guglie laviche, quindi, costituirono da tempi immemorabili la sede ottimale per il più antico
insediamento umano. La stabilità della roccia unita ad un elevato grado di naturale predisposizione
difensiva hanno reso queste aree adatte sia per l'insediamento nella pre-protostoria che per
l'incastellamento medievale, basti pensare a Roccaprebalza, Pietramogolana, Pellerzo, Case
Fioritola, Lozzola Castello, Valbona.
A nord di Casaselvatica presso la località Tavolana ai confini settentrionali del Comune in Val
Baganza si attraversa il contatto tettonico tra il Flysch di Monte Sporno, ancora completamente
G. ZANZUCCHI, Una passeggiata geologica sulla via Francigena tra Parma e Berceto con Alfredo
Jacobacci, in “Mem. Descr. Carta Geol. d’It.”, LXXVII (2008), p. 14.
4
G. CERVI, Guida all'Appennino parmense: l'ambiente naturale ed i caratteri degli insediamenti storici,
Parma 1987.
5
S. SEGADELLI, con contributi di M. T. De Nardo e A. Parisi, La geologia nel paesaggio: le rupi
ofiolitiche in Val Taro e Val Ceno, in “Il Geologo dell’Emilia Romagna”, 2006, pp. 17-19.
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rovesciato ed immergente a SO, ed il cretacico Flysch di Monte Cassio che lo sovra scorre
parzialmente.
Sul limite sud del Comune in prossimità di Chiastre si trovano i cosiddetti “Salti del Diavolo”.
L’erosione ha modellato queste rocce, dando luogo a strette dorsali e profondi strapiombi che si
mostrano in tutta la loro imponenza. Le arenarie, sottoposte a lenta granulazione e sollevate da
spinte orogeniche formano denti aguzzi e taglienti che si incuneano profondamente nei versanti.
Nelle bancate che costituiscono i “Salti del Diavolo” sono presenti conglomerati (alla base
stratigrafica) lungo tutto il lato a monte, e arenarie (al tetto stratigrafico) lungo il lato a valle.6
I substrati arenacei sono caratterizzati da elevata stabilità e sovente occupano vaste estensioni
territoriali. La diversa natura delle rocce condiziona fortemente l’aspetto del paesaggio: in
corrispondenza dei litotipi consistenti e resistenti all’azione disgregante degli agenti atmosferici il
paesaggio assume connotazioni accidentate e con forte acclività dei versanti montuosi, profonde e
strette valli fluviali e folti boschi.
Per contro, in corrispondenza degli affioramenti argillosi, la morfologia appare assai più addolcita,
tipicamente collinare, con estesi versanti a debole pendenza ed intensamente coltivati. Le medesime
argille, non sempre sono adatte alla coltivazione, e spesso sono ricoperte da querceti presenti in
prossimità degli ammassi vulcanici (vedi Roccaprebalza).7
Con il termine Arenarie di Scabiazza sono indicati i depositi a dominante arenacea del Cretacico
Superiore, appartenenti ai complessi di base delle unità liguri e sub-liguri, che presentano analoghe
caratteristiche e che precedentemente sono stati cartografati, nei diversi settori dell'Appennino, con
nomi differenziati (Arenarie di Scabiazza, Arenarie di Ostia, Arenarie di Isola di Palanzano, ecc.).
La formazione è costituita da arenarie grigio-chiare, fini e medie, in strati sottili, alternate a peliti
debolmente marnose, ed intercalate da strati molto spessi di marne siltose grigio chiare a base
arenacea grossolana, e da strati marnoso-calcarei medi e spessi caratterizzati da basi grossolane a
clasti spigolosi bianchi e verdini di micriti e radiolariti.
Un’importantissima peculiarità del territorio comunale di Berceto è la presenza di Granito.
L’affioramento più esteso dell’Emilia Romagna si trova a Rombecco e si è formato durante il
Paleozoico a seguito della collisione tra le grandi masse continentali; è molto raro e testimonia la
6
G. ZANZUCCHI, I lineamenti geologici dell'Appennino parmense. Note illustrative alla Carta geologica e
Sezioni geologiche della Provincia di Parma e zone limitrofe (1:100.000), STEP 1980, pp. 201-233.
7
P. VESCOVI, L'assetto strutturale della Val Baganza tra Berceto e Cassio (PR), in “L'Ateneo Parmense.
Acta Naturalia”, 22, Parma 1986, pp. 85-111.
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formazione di una catena montuosa antichissima e le fasi di unione di tutti i continenti nella grande
Pangea. Il Granito è una roccia di origine magmatica, molto compatta e formata da cristalli visibili a
occhio nudo. Il colore d’insieme è molto chiaro per l’abbondanza di quarzo e plagioclasio in
cristalli di dimensione medio-grandi. Con i grandi movimenti avvenuti nella crosta continentale,
masse di graniti, più o meno grandi, sono state trasportate tra rocce più recenti, come nel caso dei
piccoli lembi granitici che affiorano nell’Appennino.
Altra roccia di origine vulcanica è il basalto presente in particolare a Roccaprebalza, ma anche a
Corchia ed altre località del Comune di Berceto. Si tratta di brecce basaltiche, particolarmente ben
esposte nell’incisione erosiva del Rio di Roccaprebalza dove affiora una successione costituita da
episodi di brecce ofiolitiche sedimentarie e livelli di brecce basaltiche verosimilmente attribuibili a
processi vulcano-sedimentari.
Un minerale di origine vulcanica sfruttato tra Ghiare e Roccaprebalza e nelle vicinanze di
Pagazzano è il talco. Esso si trova al primo posto della scala di Mohs, classificazione che misura la
durezza dei minerali, difatti è untuoso al tatto e basta un’unghia per scalfirlo. Si trova in aggregati
più o meno compatti che una volta estratti vengono lavorati. Inizialmente impiegato come pietra
ornamentale o per la produzione di oggetti di uso quotidiano (ferri da stiro, stufe, padelle, calamai,
ecc…) assume un’importanza sempre maggiore con il progressivo riconoscimento delle sue
peculiari proprietà chimico-fisiche: ossia essere inerte all’azione degli acidi ed a quella degli alcali,
possedere un elevato punto di fusione (circa 1540° allo stato puro), assumere in seguito alla cottura
un’elevata durezza (tale da rigare il vetro), risultare ottimo isolante e lubrificante a secco, avere un
elevato potere assorbente delle sostanze grasse o lubrificanti. L’ultima attività estrattiva rimasta
produttiva sino al secondo dopo-guerra è stata quella del talco (nella sua forma più pura detta
steatite). L’attività è poi diventata antieconomica negli anni ’60 e quindi abbandonata. Le pietre da
cui si estrae il talco si presentano a struttura lamellare, più o meno tenere, di colore grigio-verdastro
e lucentezza madreperlacea. Talco nella varietà Steatite si trova a Ghiare di Berceto, località
Moreschi.8
Il sito probabilmente più importante dal punto di vista mineralogico e che meriterebbe studi
approfonditi per verificarne la frequentazione in epoche antiche è quello della Miniera di Corchia.
8
S. SEGADELLI, con contributi di M. T. De Nardo e A. Parisi, La geologia nel paesaggio: le rupi ofioliti
che in Val Taro e Val Ceno, in “Il Geologo dell’Emilia Romagna”, 2006, pp. 22-23.
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La concessione per la ricerca di minerali di rame - successivamente estesa al ferro, zinco e
feldespato - venne rilasciata per la zona di Corchia già a partire dal 1886. Dopo fasi alterne di
ricerca e di sfruttamento delle lenti assai discontinue di minerali cupriferi, concentrate soprattutto al
contatto tra ofioliti e "galestri", solo dal 1937 si avviò una razionalizzazione degli impianti di
lavorazione, a seguito della quale fu costruita una teleferica per il trasporto dei materiali fino ad
allora eseguito a dorso di mulo. I cantieri vennero chiusi nel 1943.9
Recenti studi hanno dimostrato che vi è una presenza di oro nativo nelle miniere di Corchia. Pochi
avevano dato credito ai tentativi di estrazione operati sotto Ottavio Farnese e da maestranze inviate
da Cosimo de Medici. In maniera tutta’altro che approfondita la questione era stata messa da parte
ripetendo un ritornello che recitava: “Era soltanto pirite”.10
Sicuramente l’intero territorio di Berceto, grazie alle sue qualità geologiche, è stato fonte principale
di approvvigionamento di materie prime da utilizzare non solo nelle costruzioni. E’ possibile
indicare con precisione che nell’edificazione dei centri abitati siano stati utilizzati materiali estratti
dalle montagne circostanti. Le Arenarie di Scabiazza sono state ampiamente utilizzate negli abitati,
nei muri e muretti di confine o di contenimento tra le proprietà.
Un esempio dell’utilizzo delle pietre locali è il Duomo di Berceto. La composizione mineralogica
della pietra dei “Salti del Diavolo” si riscontra nelle colonnine scolpite ai lati del portale principale
del Duomo, nelle sculture e nell’architrave della lunetta. La stessa pietra si ritrova nel portale del
lato Nord: la lunetta, l’architrave e le due sculture laterali. In dialetto questa pietra è chiamata
“Mass Ladèin” che significa sasso tenero e designa la facilità e la finezza con cui poteva essere
plasmata da maestranze specializzate. Invece, i perimetrali, la facciata, la zona absidale e la torre
campanaria risultano costruite o ricoperte da lastre in arenaria sicuramente provenienti dalla zona
compresa tra il Castello e la “Ripa Santa" (così è comunemente chiamato il tratto della Francigena
tra il paese e il displuvio tra Manubiola e Baganza). Anche il materiale per il restauro ottocentesco
del Duomo è stato sicuramente estratto nelle immediate vicinanze del paese. 11
9
F. ADORNI, F. GUELFI, La miniera di Fe e Cu di Corchia, Berceto (Appennino parmense),
in “Riv. Miner. Ital.”, n. 3, 1997.
10
G. GARUTI, F. ADORNI, V. CALDERINI, F. ZACCARINI, L'oro del "Pozzo": secondo ritrovamento di
oro nativo nell'ofiolite di Corchia, Berceto (Appennino Parmense), in “MICRO (notizie mineralogiche)”,
2/2008, pp. 133-144.
11
G. ZANZUCCHI, Una passeggiata geologica sulla via Francigena tra Parma e Berceto con Alfredo
Jacobacci, in Mem. Descr. Carta Geol. d’It., LXXVII (2008), pp. 14-15.
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I grandi conci utilizzati per l’edificazione del forte Napoleonico provengono probabilmente da
alcune piccole cave a poca distanza dall’odierna Strada Nazionale della Cisa, nei pressi della
località Pianelli. Altre cave di arenaria sono: la Cava dell’Uccellino, della Veltronara e della Cisa,
di Pagazzano o di Grontone e di Bergotto oltre a numerose cave minori come quella in prossimità
del Lago del Portico nei pressi di Pagazzano.
4.
INQUADRAMENTO STORICO-ARCHEOLOGICO E RICOSTRUZIONE DEL
POPOLAMENTO ANTICO.
L’analisi delle fonti edite ed inedite, storiche ed archivistiche, unitamente allo studio delle evidenze
archeologiche note e della viabilità antica, hanno reso possibile un inquadramento storico
archeologico del territorio comunale di Berceto nonché una ricostruzione del popolamento antico.
Le prime tracce della presenza antropica sull’Appennino Parmense e in particolare nel territorio
comunale di Berceto risalgono al Paleolitico, età in cui l’uomo trovò riparo e protezione nelle
montagne, in grotte e sotto spuntoni di roccia, preferibilmente nei pressi di sorgenti d’acqua e fiumi.
Il periodo fu segnato profondamente dall’Era glaciale durante la quale gli abitanti si difesero dagli
attacchi dei grandi animali da preda grazie all’utilizzo del fuoco ed alla realizzazione di semplici
strumenti di pietra scheggiata. Furono inventati e prodotti: punte, raschiatoi e grattatoi per lavorare le
pelli, lame, coltelli e cuspidi di freccia per la caccia. In quest’epoca nacque anche l’arte come
dimostra l’utilizzo del colore per decorare le pareti delle grotte e gli oggetti.
Ad oggi, purtroppo, nel territorio di Berceto, non sono ancora stati ritrovati villaggi insediativi
appartenenti agli abitanti nomadi e cacciatori del Paleolitico, anche se è possibile presupporre la
presenza di tali siti dato l’ambiente ospitale per le attività antropiche dell’epoca. L’unico sito
archeologico bercetese appartenente al Paleolitico riguarda la cava di selce posta a La Riva di
Casaselvatica. Questo ritrovamento è rilevante in quanto rappresenta finora l’unica cava di selce
riconosciuta nel territorio Parmense.
Il dato più importante per la preistoria nel territorio di Berceto viene dalle numerose segnalazioni
riguardanti il Mesolitico, fase culturale caratterizzata dalla presenza di gruppi di cacciatoriraccoglitori che praticavano un semi-nomadismo stagionale tra pianura e montagna, estremamente
specializzati nella tecnica di costruzione delle armi quanto nelle strategie di caccia. Il territorio
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comunale di Berceto coi suoi valichi naturali, pianori di crinale, sorgenti perenni e zone umide, si
prestava ad essere scelto per accampamenti stagionali per la caccia ai grossi ungulati, soprattutto
cervi, e per il reperimento di materie prime (selci e diaspri). Il susseguirsi di siti lungo il crinale tra
Parma e Baganza e tra Baganza e Manubiola fino al Monte Valoria dimostrano che le comunicazioni
attestatesi nel Medioevo erano già sfruttate naturalmente in epoca antica. 12
Le indagini edite e le ricognizioni svolte per la Carta Archeologica hanno inoltre confermato lo
stretto rapporto tra rupi ofiolitiche ed insediamento umano già a partire dalla preistoria. In
particolare, per la loro scarsa erodibilità, le ofioliti rappresentavano luoghi d’importanza strategica
naturalmente deputati al controllo del territorio e fornivano, quindi, posizioni arroccate da cui
controllare ampiamente la zona e organizzare strategie di caccia e di difesa.13
Per quanto riguarda il Neolitico e la prima età dei metalli, purtroppo, non vi sono approfondite
testimonianze di queste epoche. Queste carenze non sono da imputare ad una rarefazione del
popolamento ma ad una scarsità di ricerca. Infatti, anche se la sperimentazione agricola dell’epoca
neolitica avvenne soprattutto nella pianura parmense, le montagne circostanti non furono affatto
trascurate: svariati ritrovamenti sporadici di reperti e qualche insediamento in zone già sfruttate in
epoca mesolitica dimostrano che permane una continuità nella scelta insediativa.
Notizie maggiori si possono avere per l’età del Bronzo, periodo in cui gli insediamenti sfruttarono
luoghi naturalmente forti come dimostra il villaggio arroccato di Fioritola. Questo ritrovamento
indica come gli abitanti della zona facessero riferimento all’età del Bronzo appenninica della Toscana
settentrionale e non all’età del Bronzo padano-emiliana, che si stava sviluppando nella cultura
cosiddetta delle terramare.14
12
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Berceto 2011,
p. 40-45; A. GHIRETTI, Preistoria in Appennino. Le valli parmensi di Taro e Ceno, Parma 2003; L. DE
MARCHI, Archeologia della preistoria tra parmense e reggiano: l'età del Bronzo nelle valli Parma, Enza e
Baganza, Parma 2003, p.197; L. DE MARCHI, Archeologia globale del territorio tra Parmense e Reggiano:
l'età del ferro nelle Valli Parma, Enza, Baganza tra civilizzazione etrusca e cultura ligure, Prato 2005, p.
248.
13
S. SEGADELLI, con contributi di M. T. De Nardo e A. Parisi, La geologia nel paesaggio: le rupi ofioliti
che in Val Taro e Val Ceno, in “Il Geologo dell’Emilia Romagna”, 2006, pp. 17-19.
14
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Berceto 2011,
p. 44-45.
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Per il periodo ligure sono segnalati alcuni frammenti ceramici sul crinale del monte Cavallo, lungo
una percorrenza di crinale che porta direttamente sullo spartiacque tosco–emiliano. Il ritrovamento
più importante del territorio comunale di Berceto è in località Casino di Casaselvatica e risale agli
anni ’50. E’ stata rinvenuta una tomba a inumazione in fossa con lastre di arenaria con corredo
composto da elementi celto-liguri databile al periodo La Tene II (inizio II secolo a.C.). Confronti si
hanno con le necropoli galliche di Marzabotto e di San Martino in Gattara, mentre alcune
rispondenze nel rituale si hanno con le tombe della necropoli veleiate e nelle sepolture gallo-romane
di Luceria.15
Relativamente all’epoca romana, poche sono le notizie che riguardano il territorio di Berceto, ma è
possibile immaginare quello che era il paesaggio dominante della zona, grazie alla Tabula
Alimentaria di Veleia16. Infatti, nella tavola veleiate di età traianea, tra i possedimenti dei coloni
lucchesi, sono citati i " saltus praediaque Berusetis", dove Berusetis sembra riferirsi proprio a
Berceto.
I termini utilizzati, Saltus praediaque (Saltus può significare sia terreno collinare e montagnoso
pascolivo sia superficie boschiva e praedia indica proprietà agrarie), fanno pensare che il territorio
fosse caratterizzato da aree destinate prevalentemente o esclusivamente a pascolo e da terreni
coltivati. La pratica della pastorizia e dell’agricoltura, quindi, porta ad ipotizzare la presenza nel
territorio di insediamenti sparsi e di una strada romana, di pubblica utilità ma non consolare, che
permettesse ai pastori il transito delle greggi dai pascoli appenninici al mare.
La strada doveva essere probabilmente un collegamento che univa Parma con Luni, città che
risultava essere il naturale sbocco al mare di tutto il territorio parmense. Inoltre, sia Parma che Luni
così come la non lontana Lucca, tutti municipi fondati tra 183 e 177 a.C., avevano la funzione di
capisaldi romani nella lotta contro i Liguri (abitanti il settore dell'Appennino tosco-emiliano e in
opposizione netta al consolidamento della presenza romana sia nella pianura emiliana che nella
Toscana nord-occidentale).
Ulteriori elementi consolidano l’ipotesi di un’origine romana di Berceto e provano l’esistenza di
una strada romana secondaria sull’asse Parma-Luni, che doveva avere come centro intermedio più
importante sul versante emiliano Fornovo e, oltrepassando la Val Taro, superava il crinale
appenninico attraverso il Passo della Cisa.
15
R. SCARANI, Civiltà preromane nel territorio parmense, Parma 1971, pp. 70-74.
La Tabula Alimentaria di Veleia è un’iscrizione bronzea rinvenuta nel 1747 nei pressi di Velleia, che
riguarda le istituzioni alimentari di epoca traianea. Fonte ricca di indicazioni toponomastiche, essa offre uno
spaccato dell’organizzazione agricola dell’Appennino piacentino-parmense.
16
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Fornovo è un abitato che sorge su di un alto ripiano terrazzato sulla riva destra del fiume Taro, nel
punto in cui il fiume riceve le acque del suo affluente di sinistra, il torrente Ceno. Il toponimo
“Fornovo” deriva da forum novum, cioè “mercato nuovo” a dimostrazione che l’abitato era nato
lungo una strada in un punto d’incontro tra le vallate di Taro e Ceno, in sostituzione di un mercato
precedente. La presenza di materiale romano, tra cui le sortes17 che hanno fatto supporre l’esistenza
di un tempio oracolare, portano a collocare la nascita di Fornovo in età romana.18
Resti di due fattorie di epoca romana sono venute alla luce nei pressi di Roncolungo di Sivizzano.
Una di esse è databile tra la fine del II-inizi del I secolo a.C. e il I secolo d.C. e testimonia un antico
popolamento della valle. Sono stati trovati impianti quali fornaci, capannoni, una vasca per la
decantazione dell'argilla legati ad una produzione di laterizi a carattere industriale, come
confermato da un timbro in terracotta con l'iscrizione Turpio C(ai) Cassi (servus). La produzione di
laterizi presuppone quindi l’esistenza di una via che permettesse il commercio del materiale.19
L’abitato di Cassio, toponimo forse legato alla presenza di un'antica proprietà appartenente alla
gens Cassia, testimonierebbe insieme al suddetto timbro di Roncolungo l'eventuale appartenenza di
tutta la zona alla gens Cassia nella metà del I secolo a.C.20
Il paesaggio dell’Appennino parmense in epoca romana, e soprattutto dell’area di Berceto, sembra
quindi caratterizzato da una via secondaria e da alcune località di sosta lungo il suo percorso.
Nel territorio non vi era la presenza della centuriazione21 come in tutta la pianura. Dalla tavola
veliate sembrerebbe che nella zona di Berceto il paesaggio boschivo fosse dominante: boschi di
querce, di castagni, fitti e con un rado sottobosco ma sicuri da quando i Liguri erano stati vinti e
deportati in altri luoghi per liberare le montagne che dividevano il nord dal centro della penisola.
L’economia della zona era fondata sull’allevamento di bovini ed in minima parte sulla coltivazione.
Anche per la popolazione delle montagne parmensi, in ottemperanza al sistema economico romano
che si fondava sugli scambi a lunga distanza, era fondamentale, attraverso una rete viaria efficiente,
mantenere un contatto con le grandi città ed i porti che permettevano l’arrivo di oggetti di lusso
dall'Oriente e grano, olio, vino e tutti i prodotti di prima necessità dalle altre zone dell'Impero. 22
17
Le sortes sono tre asticciole oracolari in bronzo che vennero trovate nel 1867 davanti alla chiesa di
Fornovo.
18
P. L. DALL’AGLIO, Viabilità romana e altomedievale sull'Appennino parmense: dalla Parma-Luni alla
Via Francigena, in “Studi sull'Emilia occidentale nel Medioevo: società e istituzioni”, a cura di R. Greci,
Bologna 2001, pp. 1-24.
19
M. CATARSI, Fornovo Taro (PR), Sivizzano, loc. Roncolungo, in “Studi e documenti di archeologia”,
VII, 1991-1992, pp. 122-124.
20
M. G. ARRIGONI BERTINI, Parmenses, Parma 1986, p. 221.
21
Sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo secondo un reticolo ortogonale.
22
A.C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
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Riguardo all'età Tardoantica non si hanno notizie specifiche riferite al territorio di Berceto, ma è
noto che in tutta Italia si ebbe una crisi economica e demografica che, oltre a provocare un
restringimento delle città, determinò anche uno spopolamento delle campagne. Alla riduzione della
presenza dell'uomo, che raggiunse il suo culmine all'epoca della guerra greco-gotica, conseguì
l'abbandono delle opere di presidio territoriale. Nel generale mutamento della situazione ambientale
la manutenzione ordinaria della rete stradale fu trascurata, con conseguenti problemi nei
collegamenti.
Le prime notizie certe sul territorio di Berceto e testimoniate dai documenti antichi si hanno con
l’invasione longobarda (569 d.C.). Nell’Appennino parmense si assistette ad un progressivo
abbandono da parte dei Bizantini delle loro posizioni ed all'arrivo dei Longobardi, che non
determinarono grandi cambiamenti nell'organizzazione del territorio.
Fin verso la metà del VII secolo il paesaggio continuò ad essere caratterizzato dalla forte presenza
dell'incolto, che si ridusse con la progressiva rimessa a coltura della campagna, favorita non tanto
dalla presenza della cultura longobarda quanto dalla relativa stabilità conseguente il consolidamento
del dominio longobardo.
L'organizzazione sociale e politica, invece, subì un radicale cambiamento. I Longobardi si
sostituirono alla precedente classe dirigente, imponendo le proprie forme di organizzazione sociale
e privando in parte gli antichi possessores delle loro proprietà e riducendoli al rango di sudditi, di
uomini semiliberi. Il cambiamento del quadro politico si manifestò anche sulla rete stradale.
La fine dell'organizzazione stradale romana significò in primo luogo il venir meno del cosiddetto
cursus publicus, cioè di quel sistema di luoghi di sosta e di assistenza creato già nella prima età
imperiale e continuato anche in età tardoantica. Le mutationes e le mansiones furono sostituite dagli
ospedali, gestiti quasi totalmente da ordini monastici o legati all'organizzazione ecclesiatica.
Nacque così una struttura di assistenza e accoglienza non più standardizzata e diretta a chi
viaggiava per ordine ed incarico dell'imperatore, ma aperta a tutti e diversa da zona a zona ed in
continuo mutamento.23
Nel VIII secolo il re Liutprando completò le conquiste del territorio bizantino ed operò una generale
ristrutturazione delle strade attraverso svariati servizi. Nell’Appennino tosco-emiliano la via che
P. L. DALL’AGLIO,Viabilità romana e altomedievale sull'Appennino parmense: dalla Parma-Luni alla
Via Francigena, in “Studi sull'Emilia occidentale nel Medioevo: società e istituzioni”, a cura di R. Greci,
Bologna 2001, pp. 1-24.
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univa Parma con Luni, denominata a partire da questo periodo strada di Monte Bardone, venne ad
essere un collegamento fondamentale tra la capitale del regno longobardo, Pavia, e la capitale della
Tuscia longobarda, Lucca. Lungo questo itinerario Liutprando, insieme a San Moderanno vescovo
di Rennes, fondò il monastero di Berceto. Non fu una costruzione “ex novo” poiché era già presente
una chiesa dedicata a Sant’Abbondio, ma una rifondazione che fece crescere di importanza il luogo
con la dedicazione anche a San Remigio di Reims. Successivamente, con la morte del Vescovo di
Rennes, fu aggiunta anche l’ intitolazione a Moderanno stesso.
Da questo momento in poi il monastero di Berceto divenne luogo fondamentale di sosta prima
dell’attraversamento del Passo della Cisa. Di fatto, tutto il territorio attorno alla strada e gli
insediamenti adiacenti, fuori dal circondario della chiesa di Fornovo e fino al passo della Cisa,
dipendevano dall’abbazia di Berceto la quale era quindi, dopo la chiesa episcopale parmense, la
potenza economica maggiore dell'intera zona.
La politica dei longobardi volle così creare, lungo le strade e nei punti focali del loro dominio, dei
sicuri punti di appoggio indipendenti dall’influenza dei vescovi e direttamente collegati alla corte
regia. Lungo la via, i dominatori realizzarono non solo chiese ed ospedali ma anche una rete di
presidii e fortificazioni che si spingevano fino al passo di Monte Bardone, un intero sistema
strategico che presupponeva una presenza di guarnigioni, di stanziamenti, un rapporto molto stretto
tra la popolazione residente e i Longobardi stessi.
Il paesaggio agrario si modificò seguendo i cambiamenti politici. Caduta l'economia romana basata
sulle grandi distanze, le diverse aree abitative dovettero diventare autonome. Le aree pubbliche
lasciate a pascolo divennero proprietà dei Longobardi. L’allevamento dei bovini fu sostituito da
quello dei suini, cresciuti nei boschi di querce, faggi e castagni e nei sottoboschi dei quali
sfruttavano la vegetazione spontanea e i frutti di caduta, come le ghiande. Fu necessaria una
produzione continuativa di grani per la panificazione e per l'alimentazione in genere, come farro
orzo e avena oltre al frumento.
Il paesaggio era caratterizzato da sporadici insediamenti sparsi e rare massae, ovvero recinzioni di
forma rettangolare o quadrata occupate da un lato dalla casa e dall'altro da una serie di servizi. Gli
agglomerati abitativi erano disposti probabilmente attorno a torri o fortificazioni che potevano
costituire delle entità autosufficienti.
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Le case dei contadini nel secolo VIII erano di pietra e di legno, basse, con un piano terreno o al
massimo un primo piano, col pavimento retto da travi e travetti ed un tetto ricoperto con lastre di
pietra e, nella parte più alta, con paglia e terra onde ottenere un sufficiente isolamento termico.24
In epoca carolingia avvenne un rivolgimento della politica generale nei confronti del potere
episcopale e delle abbazie, che puntava alla creazione di un sistema organizzato ed unitario. L’11
maggio 879 Carlo Magno donò Berceto e tutte le sue proprietà al vescovo di Parma, Vibodo.
Quindi, l'abbazia di Berceto, che teneva l'intera montagna da Fornovo fino al confine con la
Toscana, fu trasformata in una semplice chiesa, anche se ricca di tradizione e reliquie. 25
Successivamente questa donazione fu confermata nell’885, poi nel 926 da re Ugo al vescovo
Aicardo ed ancora nel 930 al vescovo Sigefredo I.
Nel 927, quando la comunità monastica bercetana si trovò in una grave crisi economica, Il re Ugo,
ad istanza del vescovo Adelberto, donò vari possessi al monastero.
Il rapporto tra i monaci bercetani e vescovi di Parma fu da sempre conflittuale in quanto i primi
rivendicavano la propria autonomia e i secondi non intendevano rinunciare al possesso di
Berceto, una delle loro più importanti e ricche proprietà.
Tuttavia, all’inizio dell’XI secolo si consolidò il potere dei Vescovi di Parma sull’abbazia di
Berceto ed i canonici, che pretendevano una maggiore indipendenza giuridica ed economica,
abbandonarono la resistenza.26
Nello stesso tempo la strada longobarda di Monte Bardone aveva lasciato il posto alla “europea”
via Francigena, la quale riuniva i pellegrini che dalla Francia si dirigevano verso Roma ed era
diventata un luogo di scambi culturali ed incrocio di traffici internazionali.
Il paesaggio agrario mutò grazie anche all’introduzione di diverse tecniche agricole che nel XII
secolo determinarono una “rinascita”: l'aratro a versoio, diversi tipi di traino animale, l'attacco a
spalla al posto di altri tipi di attacco degli animali, l'uso più diffuso del cavallo, una diversa
alimentazione dei bovini addetti a coppie al traino dell'aratro o del carro, infine la maggior
diffusione dell'uso del mulino ad acqua che determinò, di fatto, una vera e propria rivoluzione
tecnologica.
I campi erano coltivati, evidenti le opere di irrigazione, gli spazi organizzati soprattutto per il
frumento, i castagni e i fichi posti sui declivi, sulle colline, verso il passo di Monte Bardone e, in
24
A. C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
M. GAZZINI, Monasteri e altri enti religiosi del territorio, in “Il governo del vescovo. Chiesa, città,
territorio nel medioevo parmense” a cura di R. Greci, Parma 2005.
26
G. DREI, Le Carte degli Archivi Parmensi dei secoli X-XI, Parma 1924.
25
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genere, verso gli Appennini. Le terre e gli orti erano recintati e chiusi anche per difendere il
frumento o altri coltivi dal pascolo, soprattutto dei suini.
Gli insediamenti erano accentrati attorno alle torri che costituivano una linea di difesa non
facilmente espugnabile, chiudendo i punti focali della via secondo un tessuto probabilmente a
raggiera sulle due rive del Taro, dello Sporzana e del Baganza. Tutto il resto veniva lasciato come
spazio libero e terreno aperto. La foresta, che prima era fitta di querce, di castagni, di noci, con
minor presenza di faggi, ora, a causa del taglio degli alberi usati per la costruzione ed il
riscaldamento delle case, era sempre più una foresta di faggi.27
Nel XIII secolo il territorio di Berceto fu conteso tra il Vescovo ed il Comune di Parma: il primo
mantenne il possesso del territorio, concedendo al secondo il solo diritto di esercito ed il permesso
di costruire un castello nel paese. Fu questo un periodo di lotte tra Guelfi e Ghibellini, che si
contendevano la zona. Berceto venne conquistata nel 1252 dai Ghibellini e fu più tardi ripresa dai
Guelfi. Nel 1313 il castello con l’intero borgo furono incendiati e devastati dalle truppe tedesche di
Enrico VII, il quale cedette il feudo alla famiglia Fieschi di Genova. 28
Tra 1200 e 1300 le città, in particolare il comune di Parma, non erano riuscite a dare degli esiti
uniformi nella politica di disciplinamento del contado, mentre la crisi delle istituzioni comunali
nell’Emilia occidentale aveva mostrato la fragilità delle strutture territoriali costruite nei decenni
precedenti.29
Il paesaggio, in questo periodo, è caratterizzato da boschi di castagni, fichi, noci, e dagli orti
prossimi alle case. La campagna tra il XII ed il XIII secolo non era popolata di edifici sparsi; gli
abitati erano chiusi, spesso murati, e protetti da una rocca, un castello o una torre. Anche Berceto
era una città murata, dominata da un castello che doveva avere torri circolari.
Sia nella città di Berceto che nell’abitato di Corchia si possono ancora vedere alcuni edifici
tipicamente medievali e possono essere distinti tre diversi modelli tipologici di edilizia.
Il primo è un’unità abitativa organizzata su tre piani: il terreno era adibito a legnaia, per l’esigenza
di comunicare immediatamente con l'esterno e di operare più semplicemente i carichi e gli scarichi
dai carri; il primo piano era costituito dalla cucina e collegato da una scala a doppia rampa al livello
inferiore; il secondo piano infine era usato per il riposo.
27
A. C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
R. CATTELANI, I Comuni del parmense, Parma 1959, pp. 18-25.
29
M. GENTILE, La formazione del dominio dei Rossi tra XIV e XV secolo, in “Le signorie dei Rossi di
Parma tra XIV e XVI secolo”, a cura di L. Arcangeli e M. Gentile, Firenze 2007, pp. 23-56.
28
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Il secondo modello, anch'esso a tre piani, mostra un altro genere di insediamento legato a diverse
funzioni: al piano terreno vi era la stalla con diretto accesso sulla strada e con una scala che si
innestava a fianco dell'accesso alla stalla stessa e che conduceva al primo piano con la cucina e una
seconda scala la quale portava al piano superiore destinato al riposo.
L'ultimo modello, caratteristico di un centro maggiore con un’alta frequenza di scambi, è la casabottega. Al piano terreno vi era la bottega con una vetrina, una specie di balaustra poggia-merce; un
corridoio parallelo all'ingresso conduceva alla scala a doppia rampa e, tramite questa alla cucina
situata al primo piano; il secondo piano era destinato alla camera da letto.30
Nel corso del Trecento vi fu una vera e propria inversione di tendenza rispetto allo sforzo condotto
dai regimi comunali per sottomettere e organizzare i territori circostanti. Si ebbe in questo periodo
una ripresa della signoria rurale come forma di organizzazione politica diffusa in diverse zone
dell’Italia centro-settentrionale.
Berceto, Bardone, Corniglio, Bosco, Roccaprebalza, Roccaferrara, Corniana e Castrignano sono
tutte località che ancora all’inizio del Trecento erano sottoposte alla giurisdizione del vescovo di
Parma e che un secolo dopo divennero tutte castellanie e podesterie della famiglia Rossi. 31
Nella prima metà del XIV secolo Lodovico il Bavaro investì del feudo di Berceto i conti Rossi che
ottennero conferma da Giovanni re di Boemia. Il borgo appenninico era un importante nodo di
transito sulla via Francigena e tappa lungo la strada di pellegrinaggio verso Roma e quindi fonte di
numerose entrate. I Rossi poterono rivendicare questi terreni basandosi sul privilegio concesso il 5
marzo 1331 da Giovanni di Boemia, che creava conti i fratelli Marsilio, Rolando e Pietro, i quali nei
mesi successivi avevano provveduto a raccogliere i giuramenti di fedeltà degli uomini di Berceto e
delle ville circostanti32. Ai diritti della famiglia Rossi la Chiesa parmense poteva contrapporre la
conferma riguardante le prerogative del vescovo concessa nel 1355 da Carlo IV, il quale aveva fatto
rinnovare ai bercetani il giuramento di fedeltà nel 1353. Non è quindi chiaro chi a metà del XIII
secolo esercitasse la signoria su Berceto. Di fatto, sembra che il potere politico e militare fosse
prevalso sui diritti della Mensa vescovile.
30
A. C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
M. GENTILE, La formazione del dominio dei Rossi tra XIV e XV secolo, in “Le signorie dei Rossi di
Parma tra XIV e XVI secolo”, a cura di L. Arcangeli e M. Gentile, Firenze 2007, pp. 23-56.
32
Si tratta dei giuramenti di fedeltà di Berceto (23 giugno 1331), Valbona (24 novembre 1331),
Castellonchio (25 novembre 1331), Lozzola e Gorro (28 novembre 1331), Pagazzano e Casacca (30
novembre 1331), Fugazzolo (23 dicembre 1331). I tre fratelli avevano in precedenza compiuto un sondaggio
presso la Curia avignonese perché legittimasse le loro pretese su Berceto, precisamente nel 1327.
31
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21
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Il feudo di Berceto, in seguito, appartenne alla famiglia degli Scaligeri, al comune di Parma e ai
Correggeschi.
Verso la fine del Trecento Berceto era sottoposta al distretto di Parma ma godeva di privilegi fiscali
concessi da Bernabò Visconti e ripetutamente confermati da Gian Galeazzo contro le della città.
Berceto all’inizio del Quattrocento passò di nuovo ai Rossi, che si intitolarono comites Berceti. Nel
1420 Filippo Maria Visconti si riprese Berceto, togliendola a Pietro Rossi e confermando alla
comunità i vecchi privilegi di Gian Galeazzo.
A seguito di un contenzioso per questioni fiscali fra il borgo di Berceto e la città di Parma, il 21
luglio 1441, Berceto fu separata da Parma e venduta a Pier Maria Rossi. Gli abitanti del borgo,
preferendo il trattamento fiscale signorile dei Rossi piuttosto che quello cittadino, donarono a Pier
Maria somme di denaro. Berceto, infatti, era una comunità ricca, popolosa e strutturata, luogo di
mercato e nel 1442 vi si riscuoteva un dazio della gabella grossa.33
Alla morte del grande condottiero Pier Maria Rossi, 1482, Berceto passò con Bardone, Corniana ed
altre terre a Bertrando Maria.
Grazie all’affresco della Camera d’Oro del castello di Torrechiara, realizzato intorno al 1462 dal
pittore Benedetto Bembo, si ha un’immagine di come doveva essere il castello ed il borgo di
Berceto nel XV secolo. Innanzitutto tutto si nota l’esistenza di un circuito murario caratterizzato da
porte e torri, all’interno del quale si trovano un castello, la chiesa e delle case, al di fuori un fossato
su cui si levano i ponti levatoi e, immediatamente oltre il fossato, una serie di campi coltivati.
E’ tipica, infatti, di questo periodo la conquista del territorio e l'allargarsi nella campagna degli
insediamenti sparsi, ovvero dei casolari chiusi con recinti di horti.
L’affresco del Bembo non raffigura i cambiamenti quattrocenteschi che ancora oggi si possono
vedere sui ruderi del castello e sul Duomo di Berceto. E’ possibile quindi ritenere che fu Bertrando
Maria Rossi, e non Pier Maria, il più illustre mecenate di Berceto. Egli, difatti, attuò un mutamento
del sistema urbanistico medievale riadattandolo alle esigenze belliche del tempo, probabilmente
intervenendo sull'impianto murario del castello e sulla chiesa.
Nel secolo XVI le aggiunte al sistema urbanistico, il progressivo cadere in disuso delle mura,
l'estendersi dell'edificato oltre il circuito murario contribuirono a trasformare la planimetria
cittadina sviluppatasi progressivamente in due direzioni: verso il passo montano della Cisa (l'attuale
seminario) e verso la località il Poggio (l’abside della chiesa).
M. GENTILE, La formazione del dominio dei Rossi tra XIV e XV secolo, in “Le signorie dei Rossi di
Parma tra XIV e XVI secolo”, a cura di L. Arcangeli e M. Gentile, Firenze 2007, pp. 23-56.
33
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22
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
La famiglia Rossi governò Berceto fino alla seconda metà del Seicento quando nel 1666 Scipione,
indebitato, la cedette a Ranuccio II Farnese.
I Rossi fecero di Berceto un polo importante della loro autorità provinciale nello scacchiere tra i
Visconti da un lato e Venezia dall'altro. Il crollo del loro dominio segnò la fine di un'epoca. Infatti,
la via Francigena, anche se restò una grande strada di transito, fu punteggiata di semplici chiese, di
mediocri ospizi, di piccoli villaggi; il tratto che da Parma conduceva a Monte Bardone fu
semplicemente un punto di sosta e di fermata lungo la via dei commerci, degli eserciti, dei sempre
più scarsi pellegrini che dall’Europa si muovevano verso Roma ed il sud.34
Gli ultimi feudatari di Berceto furono la famiglia Boscoli e i marchesi Tarasconi-Smeraldi dal 1736
al 1805. Durante la dominazione napoleonica la città fu annessa al dipartimento del Taro. Sulla
località “Poggio” venne costruito il fortino napoleonico a difesa della strada della Cisa. I lavori di
apertura della strada attuale iniziarono nel principio del 1800 con Napoleone e vennero conclusi da
Maria Luigia, la quale finanziò il rifacimento della facciata e del campanile della chiesa. 35 Nel 1814
Berceto ritornò parte integrante del ducato di Parma con la restaurazione borbonica, seguita da
un’attiva partecipazione ai moti carbonari. Nel XIX secolo il castello fu adibito ad alloggio delle
truppe ducali di passaggio ed a carcere mandamentale.36
5.
LA VIABILITA’ ANTICA.
Il territorio comunale di Berceto è attraversato da una delle più importanti vie o strade dell’Italia
medievale che valicano gli Appennini nel Passo cosiddetto “della Cisa”: si tratta della Via
Francigena denominata anche strada Romea o più anticamente strada di Monte Bardone.
Fin dalla Preistoria, l’attraversamento appenninico che collegava il fondovalle del Taro con quello
del Magra fu per lungo tempo privilegiato agli altri valichi, in quanto garantiva un percorso
montano breve ed agevole rispetto agli attraversamenti Modena-Pistoia e Bologna-Firenze o a quelli
più orientali dell’Appennino settentrionale.
34
A. C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
P. L. DALL’AGLIO,Viabilità romana e altomedievale sull'Appennino parmense: dalla Parma-Luni alla
Via Francigena, in “Studi sull'Emilia occidentale nel Medioevo: società e istituzioni”, a cura di R. Greci,
Bologna 2001, pp. 1-24.
36
R. CATTELANI, I Comuni del parmense, Parma 1959, pp. 18-25.
35
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
In epoca romana gli antichi itinerari liguri appenninici furono sicuramente riutilizzati non come
strade consolari basolate carreggiabili, piuttosto come percorsi secondari e marginali veloci ma
anche sicuri da attraversare a piedi o a cavallo o con carovane dei muliones.
Infatti, mancano rinvenimenti e dati archeologici riferibili ad una possibile strada romana principale
nel territorio comunale di Berceto. Inoltre, le fonti itinerarie romane sono copie medievali di
documenti risalenti o aggiornate al IV secolo d.C. e non aiutano molto a chiarire la questione.
Nell’Itinerarium Antonini, è riportato in modo poco chiaro un collegamento stradale tra Parma e
Lucca. Alcuni studiosi fanno coincidere questa via romana con una probabile Parma-Luni, che
utilizzerebbe il passo della Cisa.
Recenti scoperte sul Monte Valoria sembrano dare valore all'ipotesi di un possibile percorso alto di
epoca romana, da Berceto al massimo crinale appenninico. Questo importante ritrovamento per ora,
però, non chiarisce definitivamente le problematiche sull'effettivo utilizzo in epoca romana del non
lontano passo della Cisa.
Nella Tabula Peutingeriana, copia medievale di un originale di IV secolo d.C, è riportata la tappa in
alpe pennino posta lungo una via transappenninica in prossimità del crinale che, per alcuni studiosi,
può essere collocata proprio nell’area del Monte Valoria. 37
I saltus praediaque Berusetis citati nella Tabula Alimentaria di Veleia tra le proprietà dei coloni
Lucenses, come già menzionato sopra, indicano una zona destinata prevalentemente o
esclusivamente a pascolo. La pastorizia presuppone la migrazione stagionale delle greggi dai
pascoli alti dell’Appennino emiliano al mare e quindi l’esistenza di strade e tratturi che utilizzavano
i vari valichi appenninici. Sembra abbastanza certa l’esistenza di una strada che da Berceto
scendeva fino al Tirreno, la quale, dovendo percorrere il Magra, forse superava il crinale
appenninico attraverso il Passo della Cisa.
In conclusione, si può ritenere che nel territorio di Berceto, in età romana, vi fosse un asse
transappenninico importante che svolgeva però un ruolo subalterno rispetto agli assi principali, via
Emilia e via Flaminia, che collegavano il nord col sud. 38
37
G. BOTTAZZI, Numerosi i ritrovamenti di reperti che fanno riferimento ai culti di «passo». Nuovi scenari
e nuovi interrogativi. Le ricerche confermano il percorso alto. Solo ulteriori indagini potranno spiegare le
problematiche legate all'utilizzo del non lontano valico della Cisa, Gazzetta di Parma, 3 agosto 2012, p. 19.
38
P. L. DALL’AGLIO, Viabilità romana e altomedievale sull'Appennino parmense: dalla Parma- Luni alla
Via Francigena, in “Studi sull'Emilia occidentale nel Medioevo: società e istituzioni”, a cura di R. Greci,
Bologna 2001, pp. 1-24.
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24
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
La conquista longobarda trasformò la strada che collegava Parma con Lucca attraverso il Passo
della Cisa in una direttrice principale, poiché metteva in comunicazione Pavia, capitale del regno
longobardo, con la Tuscia e quindi Roma39.
L'invasione longobarda causò una bipartizione dell'Italia: una parte era dominata dai nuovi
conquistatori, l'altra era rimasta in mano ai Romani (Bizantini).
Per i Longobardi, Lucca divenne sede di ducato e capitale della Tuscia longobarda, quindi risultava
essere un punto fondamentale a sud dell'Appennino.
Tra VII e VIII secolo venne così valorizzata una via transappenninica, mediana rispetto alla Cassia
e all'Aurelia, entrambe in uno stato di grave crisi per gli estesi fenomeni di spopolamento e di
impaludamento delle aree ad esse contigue.40
In questo periodo il vecchio itinerario fu rinnovato e divenne una vera e propria strada, attrezzata ed
organizzata anche se non provvista di pavimentazione, denominata “Strada di Monte Bardone”.
Probabilmente il nome deriva da mons Langobardorum per la presenza di popolazione longobarda
su tutta l’area degli Appennini, come attestano numerosi toponimi.
Berceto risultava così un’importante stazione di sosta prima del passo ed il suo monastero fece parte
di quelle fondazioni monastiche di VII e VIII secolo fortemente volute dai re longobardi allo scopo
di rivitalizzare e controllare direttrici di traffico preesistenti.
L'importanza della strada per la Cisa all'interno del sistema itinerario longobardo è quindi
dimostrata dalla fondazione dell'abbazia di Berceto. Come risulta sia da Flodoardo che da Paolo
Diacono, il vero promotore della nascita qui di un monastero fu il re Liutprando che dotò l’abbazia
di numerose terre.
Dalle fonti storiche si evince che l'abbazia di Berceto non nacque in un luogo abbandonato e
disabitato, ma presso un nucleo abitato dotato di una sua chiesa, lungo la strada per la Cisa già
battuta dai pellegrini dell'VIII secolo che dalla Francia andavano verso Roma e sulla quale
Liutprando accentuò il proprio controllo con la fondazione dell'abbazia.
Da un punto di vista geografico, infatti, l'asse transappenninico per la Cisa era il più agevole e
diretto per il pellegrino che dalla Francia andava a Roma.41
J. A. QUIROS CASTILLO, Archeologia delle strade nel Medioevo, in “L'ospedale di Tea e l'archeologia
delle strade nella Valle del Serchio”, Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti
dell'Università di Siena,n. 48, Firenze 2000, pp. 14-18.
40
C. AZZARA, I territori di Parma e di Piacenza in età longobarda, in “Studi sull'Emilia occidentale nel
Medioevo: società e istituzioni”, a cura di Roberto Greci, Bologna 2001, pp. 25-41.
41
P. L. DALL’AGLIO, Viabilità romana e altomedievale sull'Appennino parmense: dalla ParmaLuni alla Via Francigena, in “Studi sull'Emilia occidentale nel Medioevo: società e istituzioni”, a cura di R.
Greci, Bologna 2001, pp. 1-24.
39
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
In epoca carolingia la Strada di Monte Bardone continuò a crescere di importanza e si trasformò
nella cosiddetta via Francigena. Il nuovo nome indica una funzione della via ben precisa ovvero il
suo utilizzo da parte dei Franchi in generale e attesta che la strada dei Longobardi è diventata dei
Carolingi.
Nel Medioevo l’itinerario veniva anche denominato Strada Romea per indicarne la destinazione
ovvero Roma, sede di un importantissimo pellegrinaggio europeo verso le reliquie dei Santi Pietro e
Paolo.
La strada dei pellegrinaggi, peraltro, non era soltanto percorsa da pellegrini, ma anche dalle grandi
correnti di traffico commerciale e di scambi; essa era divenuta fondamentale per i grandi rapporti
internazionali che univano l’Europa. Nella "rinascita" dei secoli XI-XII, col sorgere di nuovi
avvenimenti economici e di nuovi e diversi rapporti all'interno del sistema civile, il problema delle
comunicazioni non andò disgiunto da quello dei pellegrinaggi.
In questo periodo sulla strada si realizzarono opere più evidenti di contraffortatura, delimitazione e
pavimentazione almeno parziale. Inoltre, la costruzione ex novo di ospizi, luoghi per il cambio degli
animali, per l'alimentazione e il riposo del pellegrino, confermano, assieme alle modifiche subite
anche dagli edifici religiosi, che la strada era divenuta un importantissimo luogo di incrocio di
traffici e per questo motivo furono necessari sostanziali miglioramento del fondo stradale. 42
Nell’XI secolo si sviluppò notevolmente la costruzione degli ospedali e dei ponti lungo la via
Francigena. Questo fenomeno fu dovuto al pellegrinaggio associato allo sviluppo mercantile, agli
impulsi che i Papi riformatori dell’XI secolo dettero al culto dei santi, alla protezione e all’ospitalità
dei pellegrini.
Gli xenodochi o ospedali furono le prime strutture di assistenza organizzata per i forestieri
dell’altomedioevo. In qualche modo, essi sostituirono le stationes e le mansiones romane, luoghi di
sosta disposti a distanza regolare lungo le principali strade romane. L’attività svolta, però, dagli
ospedali risultava diversa dai luoghi di sosta romani. Gli xenodochi situati fuori dalle città erano di
piccole dimensioni e non attrezzati in maniera particolare al ricovero degli animali da trasporto e
delle merci, ma soprattutto avevano un carattere piuttosto religioso, infatti erano legati a pievi e
42
A.C. QUINTAVALLE, La Strada Romea, Milano 1975.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
monasteri. Col passare del tempo gli xenodochi divennero dei centri di assistenza più diversificati e
non si occupavano solo di dare un ricovero ai pellegrini o viaggiatori. Dall’XI secolo il termine
ospedale, infatti, sostituì quello di xenodochio, anche se non vi furono dei cambiamenti sostanziali.
Dal XII secolo vi fu una differenziazione tra gli ospedali con funzione ricettiva e ospedali con
funzione assistenziale. Difatti, nelle città vi fu una prevalenza di ospedali con funzione di centri di
cura per i malati, mentre nelle aree rurali gli ospedali continuarono a svolgere la funzione di albergo
soprattutto nei casi di edifici posti lungo vie principali, ponti, passi di montagna o guadi di fiumi.
Tra XII e XIII secolo comparvero anche luoghi di sosta a pagamento, come taverne ed alberghi,
conseguenza dello sviluppo e crescita delle attività commerciali. Tra il XIV ed il XV secolo gran
parte degli ospedali associati alla rete viaria cessarono di esistere, eccezion fatta per i passi di
montagna.43
6.
EVIDENZE ARCHEOLOGICHE NOTE.
Come già precedentemente accennato le evidenze archeologiche note per il Comune di Berceto
sono per ora esigue rispetto alle potenzialità che l’intero territorio possiede. I ritrovamenti
archeologici sono, per di più, il risultato di iniziative personali da parte di appassionati, ritrovamenti
casuali e dati raccolti dalla Soprintendenza nell’ambito delle sorveglianze previste per grandi opere
(per esempio metanodotto Snam, adeguamento Autocisa, ferrovia Parma – La Spezia).
Di seguito vengono riportati i ritrovamenti più importanti e meglio documentati per l’intero
territorio comunale.
Per il periodo preistorico e protostorico sono presenti sul displuvio tra la Val Parma e la Val
Baganza alcuni siti segnalati nel corso di sorveglianze archeologiche o ricognizioni di superficie
eseguite negli ultimi decenni. Infatti, nel territorio comunale di Berceto e nelle zone limitrofe
(Calestano e Corniglio) sono stati individuati alcuni siti del Paleolitico e del Mesolitico. Quest’area
ben si prestava ad essere scelta come sede di accampamenti stagionali sia per la caccia ai grossi
ungulati che per l’approvvigionamento di materie prime come selci e diaspri.
J. A. QUIROS CASTILLO, Archeologia delle strade nel Medioevo, in “L'ospedale di Tea e l'archeologia
delle strade nella Valle del Serchio”, Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti
dell'Università di Siena,n. 48, Firenze 2000, pp. 14-18.
43
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
In località La Riva presso Casaselvatica è stata individuata una cava di selce, probabilmente
sfruttata già dal Paleolitico e dalla quale provenivano i materiali ritrovati in alcuni siti della
pianura.44
Sul Monte Cavalcalupo durante i lavori per la realizzazione del Metanodotto Snam è stata indagata
un’officina litica relativa sia al Paleolitico Inferiore che al Paleolitico Medio; sempre in prossimità
del Monte Cavalcalupo, nel pianoro denominato La Bratta, sono stati scavati due focolari riferibili
al Mesolitico ed altri di datazione più recente45.
Sul Monte Scarabello e precisamente in località Le Pietre è stata indagata una grande officina litica
appartenente al Mesolitico antico46.
Un altro sito dove sono state raccolte alcune piccole selci attribuibili ad un accampamento
mesolitico si trova nel lato Sud del Monte Cervellino in un’insellatura a circa 1300 metri di quota,
in una zona dove vi è un attraversamento che collega tuttora la frazione di Fugazzolo di Sopra a
quella di Graiana Castello nel Comune di Corniglio.
Frequentazioni di epoca Mesolitica sono segnalate anche sul Monte Valoria, grazie al rinvenimento
di un nucleo microlamellare in selce, e nel pianoro di fronte alla chiesetta di San Bernardo dove
sono state raccolte alcune schegge non ritoccate.47
La posizione e la natura di questi insediamenti devono indurre ad un’enorme attenzione verso le
posizioni di crinale che ben si prestavano a frequentazioni di tipo preistorico e che purtroppo sono
state spesso danneggiate da grandi opere, sia per una scarsa attenzione che per una difficile
riconoscibilità di tali contesti archeologici.
44
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Atti della
giornata di studio Berceto, parma 2011, p. 41.
45
L. DE MARCHI, Gli scavi nei prati Longarola sul Monte Montagnana e nel pianoro La Bratta sul Monte
Cavalcalupo, sulla displuviale Val Parma – Val Baganza, in “Acta Naturalia de L’Ateneo Parmense”, vol.
38, n.4, Parma 2002, pp. 139 -157.
46
L. DE MARCHI, Gli scavi archeologici di Monte Cavalcalupo, Località La Bratta e di Monte Scarabello,
Località Le Pietre, in “Per La Val Baganza”, Parma 2003.
47
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Parma 2011, p.
43.
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28
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Sul Monte Cavalcalupo sono state segnalate diverse frequentazioni appartenenti al Neolitico, all’Età
del Rame, e ben tre all’Età del Bronzo48.
Il sito ad oggi più importante inquadrabile nella media Età del Bronzo è quello individuato presso il
nucleo di Fioritola, in alta Val Baganza e presso una rupe ofiolitica. Sono stati segnalati tracce di
terreno rubefatto e alcuni frammenti ceramici pertinenti ad una scodella carenata con orlo rientrante,
dotata di ansa a maniglia impostata sulla carena, che potrebbero essere collegati alla presenza di un
focolare o ad un livello pavimentale. Il sito è datato al II millennio a.C. ed in particolare al Bronzo
Medio con confronti con siti coevi di area toscana.
Per quanto concerne il periodo ligure, lungo una percorrenza di crinale del Monte Cavallo che porta
direttamente sullo spartiacque tosco–emiliano, sono stati individuati alcuni frammenti di ceramica
protostorica vacuolare ligure.49
Il ritrovamento eseguito in località Casino di Casaselvatica negli anni ’50 è uno dei più importanti
del territorio comunale di Berceto per l’età del Ferro. In tale occasione è stata rinvenuta una tomba a
inumazione in fossa con lastre di arenaria grossolanamente lavorate sui fianchi e nelle testate. La
testa del defunto era posta a ovest. Il corredo risultava composto da oggetti in bronzo e in ferro;
questi ultimi frammentati e ripiegati intenzionalmente.
Nello specifico il corredo della tomba comprende:
- Elmo di bronzo in foggia detta a berretto di fantino con paranuca stretto. Sulla sommità si trova un
grosso pomello decorato. Sul bordo, decorato a treccia, insiste una fascia di cinque incisioni
orizzontali e parallele. Delle due lamine, in forma di corno, ne resta una decorata a sbalzo.
- Puntale di lancia in ferro di forma conica allungata.
- Coltello in ferro con codolo appuntito e ripiegato all’estremità.
- Cuspide di lancia in ferro di foggia snella ed allungata rinvenuta piegata su se stessa.
48
L. DE MARCHI, Gli scavi nei prati Longarola sul Monte Montagnana e nel pianoro La Bratta sul Monte
Cavalcalupo, sulla displuviale Val Parma - Val Baganza, in “Acta Naturalia de L’Ateneo Parmense”, vol.
38, n.4 (2002), pp. 139-157.
49
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Parma 2011,
pp. 44-45.
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29
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
- Tre frammenti di grossa lamina di ferro probabilmente appartenenti ad una spada piegata. La
spada appare di tipo costolato con parte superiore a spalle spioventi.
- Piastrina di ferro conformata a ponticello, possibile elemento accessorio della spada e
specificatamente usato come aggancio di cintura.
- Frammento di oggetto in ferro non definibile con certezza. Trattasi probabilmente di una cuspide
di lancia stretta ed allungata. Rinvenuto piegato su se stesso.
L’analisi dei materiali rinvenuti data la tomba al periodo de La Tène II. 50
Recentemente sono stati individuati importanti siti per il periodo romano, periodo fino ad oggi
privo, nella zona, di ogni genere di dato archeologico fatta eccezione per le tre monete di epoca
romana appartenenti alle epoche di Costanzo Cloro e Diocleziano e ritrovate nel centro di Berceto
nell’area del “Brolo”.
Sulla strada che dalla località Felegara (alle pendici meridionali del Monte Cavallo) porta alla cima
del monte Valoria, è stata segnalata un’area caratterizzata da un terreno rubefatto dalla caratteristica
colorazione rossiccia che ha fatto presupporre una probabile fornace per laterizi utilizzata forse per
servire una struttura in loco, probabilmente una mansio.51
Nel 2012 è stata eseguita, sulla sommità del Monte Valoria ed a qualche metro di distanza dalla
fornace, un'indagine atta a verificare la presenza di un’occupazione di epoca romana legata ad un
valico e ad una percorrenza precedenti o alternativi all'attuale passo della Cisa.
Una cesura nel terreno aveva restituito una tessera in pasta vitrea forse attribuibile ad un mosaico
romano e, inoltre, non lontano dalla fornace romana, è stato ritrovato un lastrone in pietra con
graffita una decorazione a foglia d’edera ed incisi sia un simbolo sia alcune lettere in alfabeto
preromano, di derivazione etrusca ma elaborato da Liguri e Celti. La datazione, qualora venisse
confermata l’autenticità del reperto, sarebbe da ascriversi fra il III - II secolo a.C.
I numerosi reperti (tra cui una piccola mano nella posa della benedictio latina tipica della
simbologia di Sabazio, divinità d’origine orientale-frigia il cui culto fu praticato a Roma soprattutto
dal I secolo d.C. dai militari di ritorno dalle campagne in Oriente) mostrano una frequentazione
50
R. SCARANI, Civiltà preromane nel territorio parmense, Parma 1971, pp. 70-74.
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Parma 2011,
pp. 46-47.
51
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
cultuale dell’area indagata, con testimonianze riferibili in particolare alle cerimonie che venivano
esercitate da coloro che vi transitavano.52
In riferimento all’Altomedioevo, sul monte Castellaro posto a poca distanza da Roccaprebalza, è
nota la presenza di un sito fortificato, costituito da tratti di cinta muraria a secco che impediscono
l'accesso alla cima. Un altro forte simile al Castellaro e segnalato sempre da Angelo Ghiretti si trova
alla sommità di un poggio, sulla testata della val Baganza, posto tra il Lago D'Achille (Lago
Bozzo) e la Capanna. Sono state rintracciate cinte murarie a secco atte ad impedire gli accessi uniti
a terrazzamenti artificiali che modellano il profilo del monte. Questo sito fortificato da mettere in
relazione al periodo comunale controllava probabilmente una percorrenza alternativa alla via
Francigena posta ad est del Groppo del Vescovo.53
Le indagini archeologiche presso il Castello di Berceto sono iniziate nel 1998 sotto la direzione
della Dott.ssa Manuela Catarsi ed hanno restituito importantissimi dati sulle varie fasi edilizie del
castello, che confermano l’affidabilità della raffigurazione rinascimentale del Bembo nella Camera
d’Oro del Castello di Torrechiara54. La natura del castello di Berceto pare essere prettamente
militare e di fondamentale importanza nel quadro espansionistico verso Sud della famiglia Rossi. Il
castello, infatti, sorge a lato della via Francigena tra la Val Baganza e la Val Manubiola a
protezione di Berceto, ultimo grande centro, insieme a Bosco di Corniglio nella Val Parma, prima
dei valichi appenninici. Le ricerche hanno costatato anche la validità del Rogito Pisani, un
documento del 1666 che descrive con grande cura il castello al momento della vendita da parte del
Conte Scipione Rossi alla Camera Ducale. Difatti, durante le indagini archeologiche, sono stati
individuati il rivellino, un grande edificio che si sviluppa nella parte ovest del castello, le fondazioni
del mastio ed il cortile sottostante con pozzo-cisterna. Il dato archeologico ha anche consentito di
leggere integralmente le due cinte murarie. Un fossato ed una controscarpa bastionata si trovano
sotto l’attuale scuola del paese, la quale è stata costruita scriteriatamente negli anni ’50 proprio a
ridosso del castello.
52
A. GHIRETTI, Eccezionale ritrovamento archeologico sul crinale dell'Appennino. Il progetto è stato
finanziato dalla Fondazione Cariparma. Scoperta a Valoria la Cisa romana. Due mesi di scavi di Angelo
Ghiretti portano alla luce le testimonianze dei sacri riti di 2000 anni fa sull'antico valico, Gazzetta di Parma,
3 agosto 2012, p. 19.
53
A. GHIRETTI, Archeologia e assetto del popolamento antico nel bercetese dal Paleolitico
all’Altomedioevo, in “Poteri, territorio e popolamento in Val Taro tra antichità e Medioevo”, Parma 2011,
pp. 48-49.
54
M. CATARSI, Indagini archeologiche nel castello di Berceto, in “Acta Naturalia de L’ateneo Parmense”,
V, 38 n. 4, Parma 2002, pp. 209-210.
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Per quanto riguarda il Duomo di Berceto esso, purtroppo, è stato interessato da pesantissimi lavori
di restauro a metà degli anni ’80. Gli scavi necessari per il consolidamento del corpo di fabbrica
sono stati eseguiti senza nessun tipo di sorveglianza archeologica né tantomeno documentazione
scientifica, causando la totale perdita delle stratificazioni archeologiche che avrebbero potuto
restituire dati importantissimi sulle prime fasi dell’Abbazia longobarda. Uniche testimonianze,
relative ai lavori interni, sono alcune pubblicazioni realizzate dal parroco del paese contenenti una
sorta di diario delle operazioni di scavo55. Questo contributo, che purtroppo non ha nessun interesse
dal punto di vista scientifico, dimostra unicamente la grave perdita di dati avvenuta in seguito agli
interventi eseguiti sia all’interno del Duomo, dove gli scavi hanno raggiunto in media un livello di
120 cm di profondità dal piano di calpestio, che nelle zone limitrofe. L’osservazione delle fotografie
e dei rilievi mostra l’esistenza di strutture precedenti alla fase rinascimentale del Duomo, durante la
quale i lavori di restauro voluti da Bertrando Rossi modificarono notevolmente la struttura
originaria. A quest’ultima fase si deve la presenza di numerosi canali di scolo, evidenti in gran parte
delle fotografie e degli schizzi realizzati da Don Bertozzi durante i lavori. Purtroppo la pressoché
assenza di matrix, tabelle materiali, lettura delle murature impediscono di andare oltre queste
impressioni. Il dato ancor più negativo è stato l’inserimento dei 300 micropali che hanno ancorato
l’edificio alla roccia madre (posta da 10 a 13 metri sotto il livello di calpestio) ed hanno
definitivamente escluso la possibilità di future indagini archeologiche distruggendo probabili
stratigrafie superstiti. Un corretto approccio metodologico e istituzionale, prima, durante e dopo i
lavori di restauro, avrebbe probabilmente potuto chiarire la presenza di elementi architettonici
romani di reimpiego nel paramento interno del perimetrale nord del Duomo. Tali manufatti, infatti,
suggeriscono la presenza di un edificio di pregio nelle vicinanze. Già negli anni ‘70 del XX secolo
erano stati eseguiti piccoli interventi nella zona dell’altare ed è a quel periodo che si deve la
scoperta del calice di San Moderanno, come viene comunemente chiamato un bicchiere che in
realtà è un prodotto delle officine di murano del XV secolo.
L’unica parte in cui alcuni dati potrebbero essere ancora recuperati è quella del chiostro che è
indicato nell’attuale giardino della canonica in prossimità di Piazza San Giovanni. L’identificazione
dell’area come quella dell’antico chiostro è confermata sia dalla pianta contemporanea ai restauri
voluti da Maria Luigia a metà del XIX secolo che dalla presenza di strutture probabilmente
55
G. BERTOZZI, Consolidamento e restauro del Duomo di Berceto (1985-87) : appunti e note di scavo, in
“Archivio storico per le province parmensi”, Parma 1989, pp. 247-300 . G. BERTOZZI, Duomo di Berceto:
un lontano passato letto negli scavi, Parma 1991, p. 64.
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identificabili come basi per il colonnato interno, presenti lungo il lato sud dell’ex Oratorio di
Sant’Appollonia e fortunatamente rilevati. Questi dati, uniti alla presenza di tracce di affreschi nel
perimetrale nord dell’ex Oratorio (eretto a metà del ‘700), sembrano confermare che l’ala nord
dell’antico chiostro medievale venne inglobata e probabilmente definitivamente defunzionalizzata.
Infine, gli ultimi dati provenienti da indagini archeologiche nel bercetese risalgono al 1924 quando
il Dott. Giuseppe Molinari intraprese un’opera di ricognizione e scavi nell’area attorno all’odierno
Passo della Cisa, attraverso la quale si scoprirono rovine di più edifici attribuibili all’antico
hospitale di Santa Maria della Cisa. Sono stati rinvenuti una Cappella, un chiostro, mura e varie
costruzioni. La cappella misurava 7x8 metri ed aveva una piccola abside ad est. A nord di essa si
trovarono le fondamenta di un campanile. Un vestibolo o chiostro o nartece separava la chiesetta da
una sala quadrata di 10x10 metri. Le porte di accesso sia alla sala che all’oratorio erano sullo stesso
asse ed erano larghe 2 metri. Riaffiorarono poi altre rovine di edifici probabilmente stalle, case
rustiche e civili. Tutto l'agglomerato o “mansio” era circondato da mura di cui si rinvennero alcune
tracce. Le varie murature scoperte sono databili a due diverse epoche costruttive: una più antica,
formata da pietre quadrate disposte a corsi regolari, ed una più recente, formata da opus incertum.
Vennero alla luce tombe di epoche non precisate, due monete d’oro con l'effige e iscrizione
dell’Imperatore Corrado II (1024-1038), il quale transitò per la Cisa negli anni 1027-1036, e
frammenti di ceramica graffita e vernice finissima.56
7.
ANALISI DELLE FONTI STORICHE ED ARCHIVISTICHE.
Nel presente capitolo sono riportati i dati recuperati dallo studio ed analisi delle fonti antiche ed
archivistiche, che hanno permesso di valutare sia l’importanza storica che anche il rischio
archeologico di luoghi, località o frazioni presenti nel comune di Berceto. Alcune fonti hanno
attestato l’esistenza di insediamenti oggi scomparsi che, a volte, sono stati ricondotti a ritrovamenti
effettuati durante delle ricognizioni di superficie.
56
M. PELLEGRI, Gli xenodochi di Parma e provincia dagli inizi al 1471, Parma 1973, p. 138.
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Il documento più antico relativo a Berceto è, come già indicato in precedenza, la Tabula
Alimentaria di Veleia, in cui vengono menzionati tra le proprietà dei coloni Lucenses i saltus
praediaque Berusetis.
Dopo questa prima attestazione, bisogna aspettare il periodo longobardo, momento in cui Berceto
diventa luogo e punto di passaggio fondamentale grazie alla strada di Monte Bardone ed alla nascita
della sua Abbazia.
La prima fonte riguarda l'epitaffio del re Liutprando, nel quale si ricordano i vari meriti civili del re,
tra cui l’aver edificato un’importante chiesa sulle Alpes (Appennini) riconducibile a Berceto.
"Rege sub hoc fulsit, quod mirum est, sancta [frequensque Relligio, ut recolunt Alpes, ecclesia
quarum Hanc habuit vincente ipso et praegrandia templa, quae vivens struxit, quibus et famosus
in orbe Semper et aeternus lustrabit saecula cuncta, Praecipue Petro coelesti hac sede dicata
Clavigero, statuit Coelo quam providus Aureo". 57
A questa fonte deve essere collegato un passo importantissimo di Paolo Diacono della sua Historia
Langobardorum in cui viene menzionato il monastero di Monte Bardone, ovvero Berceto, che il re
Liutprando edificò.
Hic (scii. a Pavia) gloriosissimus rex ubi degere solebat basilicas construxit. Hic monasterium
beati Petri, quod foras muros Ticinensis civitatis situm et Coelum Aureum appellatur, instituit. In
summa quoque Bardonis Alpe monasterium quod Bercetum dicitur aedificavit ". 58
In questi due documenti sembrerebbe che fu proprio Liutprando a far costruire l’edificio sacro di
Berceto; in realtà si tratterebbe di una rifondazione. Grazie ad una lettura attenta di altre fonti
antiche si evince che vi era una chiesa antecedente dedicata a sant’Abbondio che il re Liutprando
dona al pellegrino francese san Moderanno in possesso delle reliquie di san Remigio.
Un passo molto importante, che chiarisce la “nascita” del Monastero di Berceto, proviene dalla Vita
Remigii Episcopi remensis (cioè di Reims) scritto da Incmaro di Reims tra l’877 e l’878.
"Quod tempore Chilperici regis francorum quidani Moderannus vita et acta moderatus
Redonensis ecclesiae presul, obtentis reliquiis beati Remigii, Romam petiit et partem earundem
reliquiarum in Monasterio Berceto sito in vertice Bardonis montis collocavit ". In questo primo
57
58
C. TROYA, Codice diplomatico longobardo, dal DLXVIII al DCCLXXIV, Vol. 4, Napoli 1854, p. 135.
P. DIACONO, Historia Longobardorum, Liber VI, 787-789, Par. 58.
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periodo si narra di Moderanno che portando a Roma alcune reliquie di San Remigio di Reims, ne
lascia una parte nel monastero sito in cima al Monte Bardone.
"Et qttod Leohrandus rex Italorum, auditis miraculis beati Remigii, eidem praesuli idem
monasterium cum omnibus adiacentiis et ornui abbatia cuni carta et vestitura dedit; et quomodo
praefatus Moderannus rediens Roma, ante sepulchrum sancti Remigii venit et eidem
monasterium cum omnibus appenditiis, sicut praedictus rex sibi dederat, cum carta et vestitura ei
donavit". In questo passo sono narrati: la donazione di Liutprando a Moderanno, la cessione del
monastero e di tutti i suoi possedimenti a Reims, inoltre, viene specificato che la delimitazione
dell'area dei territori del monastero era antecedente al tempo di Liutrprando. 59
Negli Atti della traslazione di S. Abondio vi è la prima interessante notizia architettonica sulla
chiesa antecedente l’arrivo di san Moderanno a Berceto, al principio del secolo VIII, e dedicata
proprio a Sant’Abbondio. Questo originario edificio "quod est sitam in cacumine montis, cui
nomen est Bardo" tra l'844 e l'847 era insufficiente e l’abate Tiberio dovette ampliarne la capienza,
allungandolo.
"Hic (Tiberius) cum sui coenobii ecclesiam, juxta quod necessitas commissae sibi con
gregationis exigebat, ali quantulum in longum porrexisset, quae prius erat modica, vei vix
capiens fratrum collectam, placuit, ut sub altari eiusdem basilicae, pararet con gruum locum,
quo poneretur corpus S. Moderanni, quod istie ad laevam altaris jacet humatum. Sed non prius
viri ossa mutanda praedictus Abbas dignum statuit, quam hoc precibus a Domino peteret, utrum
fieri deberet an non ".
Risulta, quindi, che Tiberio desiderava spostare il corpo di Moderanno, già deposto alla sinistra
dell'altare, al centro della chiesa, evidentemente perché il culto del santo abate era cresciuto a tal
punto da richiedere un mutamento di gerarchia, anche se non aveva ancora sopravanzato quello di
sant’Abbondio, cui era stata dedicata la chiesa originaria. 60
Successivamente Flodoardo (che morì nel 963) scrisse l’Historia Remensis Ecclesiae riprendendo
ed ampliando lo scritto di Incmaro. Egli affermò che Moderanno vescovo di Rennes, ottenuto dal re
il permesso di recarsi a Roma, deviò a Reims per fermarsi al monastero di Remigio ed ottenere da
Bernardo alcune reliquie del santo. Il pellegrino giunse a Monte Bardone e decise di fermarsi per
59
INCMARO di Reims, Vita sancti Remigii episcopi Remensis, a cura di B. Krusch, in MGH. SS rer. Mer.,
III, 1896, pp. 250-347.
60
A. C. QUINTAVALLE, La strada Romea, Milano 1975.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
una sosta. La sera appese ad un albero le reliquie ma al mattino non riuscì a recuperarle perché,
quando si avvicinava, quelle si sollevavano sempre più in alto. Moderanno, dunque, vide in questo
avvenimento miracoloso l’invito a fermarsi in quel posto e, entrando nel monastero dedicato a S.
Abbondio, decise di lasciare una parte delle reliquie stesse. Liutprando, a seguito del miracolo, a
sua volta decise di assegnare l'intero monastero e ottocento mansi a Moderanno. Dopo il viaggio a
Roma, Moderanno tornò a Reims alla tomba di San Remigio trasferendovi il possesso della
donazione liutprandea. Infine rientrò a Rennes, dove ordinò il suo successore, e si trasferì a Berceto,
dove rimase fino alla morte.61
Parrebbe quindi che Liutrprando abbia donato la proprietà del monastero bercetese a Reims; tale
gesto non sembra riferirsi ad una donazione formale, ma alla cessione di una decima o tributo al
grande santuario francese. Non è da escludere, comunque, che la notizia sia semplicemente falsa e
servita allo scrittore per accrescere il raggio di influenza del monastero vescovile di Reims62. Infatti,
procedendo con le fonti, l’11 maggio 879 Carlo Magno donò Berceto e tutte le sue proprietà a
Vibodo vescovo di Parma. Il vescovado di Parma tenne ben saldamente in mano, almeno fino all'età
comunale, il prezioso patrimonio dell'abbazia bercetese.
Carlomanno dona quindi a Vibodus, " sancte Parmensis ecclesie venerabilis episcopus dilectus
fidelis noster ", " abbatiam de Bercedo sitam in monte Bardonis cum omnibus adiacentiis et
pertinentiis eius in integrum tam in finibus Tuscie quamque et Longobardie cum omni integritate
et soliditate sua iure perpetuo ".
Si attua quindi un rivolgimento della politica generale nei confronti del potere episcopale e delle
abbazie, dove i vescovi si trasformano, di fatto, in vescovi-conti (ovvero con larghissimi poteri
amministrativi nel contesto urbano), ai quali viene anche affidato l'intero contado.63
Ulteriori antichi documenti citano Berceto e la sua abbazia: il Testamento di Elbunco vescovo di
Parma dell’aprile 913, il Diploma di Rodolfo re d’Italia col quale si conferma al vescovo Aicardo di
Parma l’abbazia di Berceto (4 febbraio 922), il diploma di Re Ugo datato 4 settembre 926 dove si
ratifica alla chiesa parmense il possesso di Berceto con vari privilegi, il Diploma di Ugo re d’Italia,
61
FLODOARDO di Reims, Historia Remensis ecclesiae, a cura di J. Heller, G. Waitz, in MGH. SS, XIII,
1881, pp. 409-599.
62
E. FOLLIERI, Due codici greci già Cassinesi oggi alla Biblioteca Vaticana: gli Ottob. Gr. 250 e 251, in
“Paleographica diplomatica et archivistica: studi in onore di Giulio Battelli”, Roma 1979, pp. 159-221.
E. FOLLIERI, Byzantina et Italograeca: studi di filologia e di paleografia, Roma 1997, p. 308.
63
U. BENASSI, Codice Diplomatico Parmense, Parma 1910, pp. 89-92.
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col quale il sovrano convalida al vescovo di Parma Sigifredo I l’abbazia di Berceto (17 settembre
929).64
Nel 1220, il Comune di Parma sequestrò i beni della Mensa vescovile parmense tra cui Berceto ed il
suo territorio. Il Vescovo, nelle lunghe contestazioni davanti alla Corte Romana, anche se perdette
le facoltà sovrane di governo, riuscì a mantenere diversi privilegi, come quello della nomina dei
notai, della tutela dei pupilli ed il possesso utile di tutte le terre passate in proprietà della Mensa
Vescovile. Questo spiega come nel sec. XIII la Mensa Vescovile avesse ancora un numero
grandissimo di livellarii, fittabili e mezzadri in molte parti della Diocesi e particolarmente nelle
località già feudali per la Mensa.
Nei documenti antichi non viene menzionato solo l’abitato di Berceto e la sua Abbazia ma anche
numerose frazioni del territorio comunale ancora oggi esistenti, testimonianza questa della loro
origine antica.
Un privilegio di re Ugo, datato Pavia 17 febbraio 927, attesta che, dopo il trasferimento dei beni da
Berceto al vescovado di Parma, i canonici bercetesi erano in condizioni economiche gravissime e
non avevano cibo sufficiente, "Murmurarent atque non haberent ad ciborum seu vestimentorum
necessitate, qualiter in ipso sancto loco deservire possent "; per questo Ugo decise di dar loro una
serie di mansi: due a Pagazziano, due a Mata/itulo, uno a Roationi, uno nell'insula, cioè due
mansi a Casaca con la silva detta Orbitula e due mulini e un gajum, e tre mansi a Bergante e due
mansi in Busitulo, uno in Ulmitulo, uno a Bante, e i terreni a prato già in precedenza posseduti,
cioè Curticellam de Virialo con 33 mansi, assieme ai servis e alle ancillis.65
Il seguente testo è importantissimo in quanto cita per la prima volta alcune località come
Pagazzano, Casacca, Bussetolo e forse Bergotto (Bergante) ed Erbettola (Orbitula).
Per la prima attestazione di alcune località bercetesi bisogna aspettare fino agli statuti del Comune
di Parma, compresi tra il 1266 ed il 1304, in cui si hanno notizie sulla strada di Monte Bardone e
delle frazioni di Bergotto, Pellerzo, Corchia, Valbona, Roccaprebalza, Castellonchio, Fugazzolo,
Pagazzano, Casaselvatica e Pietramogolana. Di seguito si riporta l’estratto con l’elenco dei luoghi.
64
65
G. DREI, Le Carte degli Archivi Parmensi dei secoli X-XI, Parma 1924.
L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo e di Lotario, Roma 1924, pp. 22-25.
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De custodia episcopatus et stratarum.
(…) Item providerunt quod dicta custodia ab hominibus episcopatus fiat hac forma, videlicet:
Bercetum, Bergotum, Corchia, Lozula, Pelerzum, Gorum, Valbona, Pretabarcia custodiant per
totum districtum et episcopatum Parmae a Berceto superius; et a Berceto infra usque ad
Castilunculum:
Casacha,
Fugazolum,
Trabaganzia,
Pagazanum,
Domus
Salvaticorum,
Castilionum; a Castiliunculo inferius usque ad Cassium: Castiliunculum, Ubiatica cum curia,
Casula, Ravaranum cum curia, Pretamogulana; (…)66
Un’ulteriore testimonianza per le antiche frazioni di Berceto si ha nella Decima dell’anno 1230
(Archivio di Stato di Parma) in cui vengono citate anche le cappelle e gli ospitali dell’intero
territorio. Di seguito viene riportata la parte interessata.67
DECIMA PLEBIS DE BERCETO: XXXI lib. parm.
Capelle de Fugazolo: XXXIX sol. et dim. parm.
Capelle de domo salvaticorum: XX sol. parm.
Capelle de Piolo: XIII sol. et dim. parm.
Capelle de Castellonzio: XXXIIII sol. et dim. parm.
Capelle de Caxacca: XVII sol. parm.
Capelle de Pagano: XV sol. et dim. parm.
Capelle de Ozola: XI sol. et dim. parm.
Capelle de Bergotto: XIIII sol. et dim. parm.
Capelle de Petra Barcii: XIX sol. et dim. parm.
Capelle de Petra Mugolana: V sol. parm.
Capelle de ospitalis de Roncalio: VIIII sol. parm.
Capelle ospitalis de Cisa: VIIII sol. parm.
Summa decime plebis [de] Berceto et capellarum eius, que sunt XII, est:
XXXI libr. parm. minus VI parm.
66
A. RONCHINI, Statuta communis Parmae ab a. 1266-1304, Parma 1857, p. 342.
Queste decime furono edite da G. DREI, Le decime del vescovo di Parma (sec XIII), in Archivio storico
per le province parmensi, N. S., v. XX, 1920 e da A. SCHIAVI, La Diocesi di Parma. Parma 1925.
Rationes decimarum italiae nei secoli XIII e XIV. Aemilia: le decime dei secoli XIII-XIV, a cura di E. Nasalli
Rocca e P. Sella, Città del Vaticano 1933, pp. 327-355.
67
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Come per la Decima del 1230 anche nella Decima di Parma dell’anno 1299 vengono citate le chiese
e gli ospitali della Pieve di Berceto. Di seguito si riporta l’estratto della decima. 68
ARCHIPRESBITER PLEBIS DE BERCETO die XXVJ marzii pro primo et secundo termino primi
anni solvit lib. unam sol. quinque imp (…)
Excusavit ecclesia de Rocha Petre Banzi die.
Excusavit ecclesia de Fugazolle.
Ecclesia de Domo Salvaticorum die XXVJ marzii pro primo et secundo termino primi anni solvit
lib. unam sol. octo imp.
Excusavit ecclesia S. Iohannis de Petra Mogolanna.
Ecclesia de Castoluncullo die XVIJ marzii pro primo et secundo termino primi anni solvit sol. sex
imp.
Ecclesia de Pagazano.
Ecclesia de Casachia.
Ecclesia de Loculla.
Ecclesia de Banguto.
Ecclesia de Gorio.
Excusavit hospitalle de Cissa.
Hospitalle de Runchalia de Cazia die XXVJ marzii pro primo et secundo termino primi anni solvit
sol. quatuor imp.
Hospitalle de Berceto.
Ecclesia de Hosti prope Belforte (…)
Di fondamentale importanza tra le fonti antiche del territorio di Berceto vi è la Cronaca scritta tra il
1544 ed il 1557 da don Giorgio Franchi che narra la vita quotidiana della piccola comunità
bercetana e gli eventi politici di più ampia portata che ebbero riflesso su di essa69. Don Giorgio
Franchi nella sua opera non ha alcun intento letterario o di critica storica: egli si propone di
registrare gli eventi di cui è diretto testimone, quelli di cui gli giunge notizia sia da Parma sia dal
68
ARCH. VAT., Collect. 252, ff. 106-139. Edito a stampa in Rationes decimarum italiae nei secoli XIII e
XIV. Aemilia: le decime dei secoli XIII-XIV, a cura di E. Nasalli Rocca e P. Sella, Citta del Vaticano, 1933
pp. 356-395.
69
La Cronaca è stata recentemente edita da G. Bertozzi col titolo “Poveri homini. Cronaca parmense del
secolo XVI, 1543-1557” (Roma 1976) e da G. Petrolini, col titolo “Nove. Diario di un paese dell'Appennino”
(Parma 1980). Entrambe le edizioni accanto all'originale forniscono una traduzione in italiano moderno.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
resto d'Italia. Per quel che riguarda la vita quotidiana di Berceto, il Franchi sembra essere stimolato
a narrare quelle vicende che più esulano dalla normalità e dietro alle quali scorge sempre il disegno
ineluttabile della divina provvidenza. Egli descrive con più attenzione quei fatti nei quali si sente
più profondamente coinvolto o che maggiormente lo impressionano, come si comprende dalla
diseguale distribuzione diacronica, per cui alcuni anni subiscono una trattazione molto più accurata
di altri. 70
A completamento dell’analisi delle fonti storiche ed archivistiche sono state raccolte alcune notizie
riguardanti edifici e località che erano o sono tuttora presenti nella città di Berceto e nel territorio
comunale.
Xenodochio della SS Trinità a Berceto.
Nella Ratio Decimarum Diocesis Parmensis del 1299 e nell’Estimo della Diocesi del 1354 è
ricordato un hospitale de Berceto la cui generica denominazione lascia nell’incertezza a quale dei
tre ospizi siti nel paese di Berceto si riferisca71.
L’ospizio della SS. Trinità è ricordato il 16 aprile 1604 quando il conte Federico Rossi dotò di un
beneficio l’oratorio omonimo il cui scopo era di raccogliere sia i pellegrini che si recavano ai luoghi
Santi che i poveri infermi del paese. Possedeva, quindi, funzione duplice di albergo e hospitale. Era
dotato di quattro stanze destinate a dormitorio, delle quali la superiore, separata dalla altre, veniva
destinata alle donne. Viene citato anche nel rogito Pisani del 1666 72. Lo Xenodochio della SS.
Trinità è riconoscibile, nonostante le gravi manomissioni, in Via del Seminario.
Xenodochio di San Giovanni posto in Berceto.
Rimane nell’incertezza se per l’Hospitalle de Berceto nominato due volte, la prima nel 1299 e la
seconda nel 1354, nelle carte curiali della diocesi, debba intendersi quello di S. Giovanni o quello di
S. Donnino o quello della SS. Trinità, tutti e tre siti nel paese di Berceto. L’ospizio di S. Giovanni è
ricordato nel 1436 dall’Allodi nel citare gli ospedali elencati nel rogito di Gherardo de Mastaggi.
G. PETROLINI, Un esempio di “italiano” non letterario del pieno Cinquecento, in “L'Italia dialettale”,
XLIV, 1981, pp. 21-116.
71
L. MOLOSSI, Vocabolario topografico dei Ducati di Parma Piacenza e Guastalla, Parma 1834, p. 606.
72
ROGITO PISANI, Archivio di Stato di Parma, Vol. 379.
70
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L’Hospitalle Sancti Joannis è menzionato nel rogito del 1471 di fondazione della II Collegiata di
canonici, eletta nella chiesa di Berceto ad istanza del conte Pier Maria Rossi 73.
La collocazione di questo Ospitale all’interno di Via Marconi (dove è presente un ex oratorio) è
suggerita da un passo delle cronache di Don Giorgio Franchi, nel quale si racconta il restauro delle
mura del paese nella zona del suddetto Ospitale:
Et il Potestà feci amanire calcina,
sablilone et, amanite, feci / venire li contadini a netare la muralia
vechia da San Zovano.
Adi dil predicio comenzò a murare‘ et arpezare dicta muralia da
San / Zovano et intanto feci condure calcina, sabion al Canton dalla
Raza /.
Hospitale di San Donnino.
L’ospizio di San Donnino è ricordato nell’Elenco dei benefici della diocesi redatto nel 1520 dal Sac.
Andrea Guernieri, senza alcun cenno agli altri due ospizi esistenti in paese. Non collocabile con
precisione, alcuni ritengono che si trovasse fra Roncaglia e S. Maria della Cisa nel punto in cui la
strada incrociava l’omonimo fiumiciattolo. Ancora visibile è la fonte di S. Donnino ricordata dal
Boccia ai primi del milleottocento74.
Xenodochio della Madonna delle Grazie o di San Nicolò da Tolentino.
Nel 1467, come risulta da documento del soppresso Convento delle Grazie di Berceto esistente
nell’Archivio di Stato, i Bercetesi ricostruirono l’ospizio e l'oratorio appartenenti al Convento delle
Grazie che erano crollati per incuria ed ingiuria del tempo. La maggior parte del piano terreno del
nuovo edificio era occupata da stalle, scuderia e cucina. Quando nel 1536 l’oratorio venne concesso
ai Frati Agostiniani, fra le clausole di cessione vi era l’obbligo di costruire o adattare, entro cinque
anni, un’altra stanza o mansione nel Borgo di Berceto o nel Castello con funzione di ricetto per i
pellegrini75. La costruzione è databile tra il 1536 e il 1546. Insieme al santuario fu costruito il
73
G. M. ALLODI, Serie cronologica dei Vescovi di Parma, Vol. I, Parma 1856, p. 714; G. SCHIANCHI, Gli
antichi ospedali di Roncaglia e della Cisa, Parma 1926, p. 9; A. SCHIAVI, Diocesi di Parma, Parma 19251940,Vol. I, pp. 48-82; Vol. II, p. 342.
74
A. SCHIAVI, Diocesi di Parma, Vol. I, pp. 48-82; Vol. II pp. 60-100-220.
75
Archivio di Stato di Parma, Carte del soppresso Convento delle Grazie di Berceto; I. DALL'AGLIO, I
seminari di Parma e i loro illustri Alunni e Moderatori, Studio Storico, Parma 1958, pp. 90-93; I.
DALL’AGLIO, Il Santo Vescovo Moderanno nel romitaggio di Monte Bardone, in “Gazzetta di Parma”, 182-1963.
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convento per i Padri, un ospizio per i pellegrini che percorrevano la via Romea ed una scuola per i
ragazzi del paese. I Padri agostiniani rimasero nel santuario sino al 1777.
Castello di Berceto
I fatti principali dal punto di vista storico e documentale (escludendo i dati provenienti dalle
ricerche archeologiche) narrano che nel 1220 il Comune di Berceto ottenne dal Vescovo il permesso
di costruire un castello il quale, inizialmente, fu conteso fra Guelfi e Ghibellini e divenne quindi
proprietà di diverse famiglie.
Nel 1266 i Parmigiani assegnarono al castello un Podestà con il compito di riscuotere i tributi e,
coadiuvato da un Capitano e da un Castellano, di custodire l’edificio.
Nel 1313 il castello venne devastato ed incendiato dalle truppe di Enrico VII. Passato di proprietà in
proprietà fu fatto ricostruire dal Conte Pietro Rossi tra il 1400-1420 e rinforzato nel 1444 da Pier
Maria Rossi.
A metà del XVI secolo Don Giorgio Franchi testimonia la volontà del Conte Troilo Rossi, signore
di Berceto, di ingrandire il rivellino di accesso al castello.
Adi 2 del predicto il Potestà di Bercetto mandò a domandare / li
Occti della terra et li Consuli delle vile, alli qualli / domandò da
parte del Signore che mandassine a tore stara // 200 de mistura in
Segalara, al qualle fu responso / dalli Occti et Consuli di Valbona,
Corchia et Bergoto / che non intendeveno de condure cosa alcuna
exce/pto quanto vorà Ragion. Li altri Consuli disini che / condurebo
ni la sua parte. Poi disse che Sua Signoria voleva // fare tre camer(e)
sopra il revelino verse la Ragion, / che se aparichiassine. A questo se
tolsse termino a respondere. /.
Le mura
E’ noto, come si può vedere nella rappresentazione del Bembo nell’affresco della Camera d’oro del
castello di Torrechiara, che Berceto fosse cinta da mura. La cronaca di Don Giorgio Franchi
testimonia un intervento, probabilmente l’ultimo, di restauro delle mura.
Adi 27 di luio gli homini di Bercetto deliberoni de repezare le
mura/lie circha la terra per potersi tenire se li venisi inimici per
robare. Cosi adi / presente incomemzoni a murare dov’era roto a
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
secho per bisogno. /76
A metà del XVI secolo le mura medievali erano già in parte in disuso e, durante la cosiddetta
“Guerra di Parma”, anche a Berceto si sentì il bisogno di riadattare le strutture difensive del paese.
Oltre alle mura ed al fossato venne ripristinata la cancellata che chiudeva la porta posta sotto al
castello rivolta verso la Ripasanta.
Nocta che volendo fare l'atazamemo li Occti con le ville, dite vile
non // volsino si facesi per non volere tochare a pagare le spesi fate
alle mu/ralie né alle fosse, né mancho al rastelo fato alla porta de /
soto dil castelo. /77
Le cronache raccontano anche la spesa in materiali e forza lavoro necessari per i lavori eseguiti
sulle mura con conseguente rifiuto da parte dei contadini:
Nocta come adi 6 de aprile il Potestà di Bercetto mandò per li
homini / de Bercetto de nocte et da parte dil signore Conto li
comandò che metesine / ducente libere per fare le muralie della terra:
et le misone. La ma/ tina sequente mandò comandamente alli contadi—
ni che metesine / la sua rata, qualli non la volsine metere et andone a
San Segondo // et donone la sua rata al Conto. Ma Sua Signoria scrisi
al Potestà che / li spendesi in calcina, in sabione, et che facesi
lavorare. Ma deto / Potestà fece novo comandamento alli contadini,
che venisine a lavora/ re. Et li dicti contadino tornoni dal Signore et
tornone con dire che il / Signore gli haveva asentati di tal lavorare
con ducente opere de manu//ali! Et il Potestà feci amanire calcina,
sablilone et, amanite, feci / venire li contadini a netare la muralia
vechia da San Zovano.
La muraglia di San Giovanni è con tutta probabilità quella orientale del paese; lo conferma il fatto
che il torrione fatto erigere al termine di questo lato delle mura è nel cantone della via Rasa, una
strada che porta dall’attuale Comune al Poggio di Berceto.
Adi dil predicio comenzò a murare‘ et arpezare dicta muralia da
San / Zovano et intanto feci condure calcina, sabion al Canton dalla
Raza / et fece venire ’ 20 guastadori da Bergoto a cavare li fondamen—
76
77
C. 67c 1-4 1551
C. 76r 24-26 1551
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ti de // uno torion al Canton della Raza, che fu adi 14 dil predicto, et
alli 15 li / mise 20 de Bercetto et 10 fece fornire de cavare. /
Adi 21 dil predicto incomenzò a lavorare. La sera, manchande
prede, / fece comandamento a tuti quelli havevane bestiarne in
Bercetto, ·/ che andasine per calcina al Ponto dal Fugazollo gli
andone. L’altra // sera che andasene per prede: gli andoni. /
Adi primo de mazo tornò a fare comandamento a quelli da
Bercetto che anda/ sine per prede, dove che tuti se redusini inscieme
che non vole/vane andarli, se non dava il suo comparto alle vile, et
che essi / non potevane fare tal lavore senza il brazo delle vile. Di
sorte // il Potesta montò la nocte a cavale inscieme con Zan Bello
Pinardo / et andone a San Secondo et alli 2 tornoni con animo de
la/vorare. Er mentre che lui era andato via, non restoni da ube/dire
al comandamento de condure le prede. Giunto il Potesta, torvate / le
prede, fece lavorare alli 3, che era il di dela Asensia. /
Passo della Cisa.
Per rendere sicuro il transito per il passo della Cisa, il Comune di Parma stabilì negli statuti del
1266–1304 che venisse costruito un ricetto ben guarnito e sicuro, nel quale dovessero stazionare in
permanenza militari forniti dalle ville limitrofe. Furono innalzate, “in locis opportunis et
periculosis”, tutta una linea di bertesche e di bicocche a spese delle ville interessate, in ciascuna
delle quali doveva essere alloggiata una piccola guarnigione di montanari.
Dalle Cronache di Don Giorgio Franchi:
Adi 29 de luio mandò il Gubematoro de Pomtremuli 14 //
homini alla Cisa per guarda de quello passo et ne mandé / dieci alla
bocha del Gropo del Vescuo et dieci in cima / della silva di Forcella
su una strata che viene de Bello / Form per dita silva. / 78
Ospitale di S. Maria della Cisa
In prossimità del valico della Cisa è testimoniata l’esistenza dell’Ospitale di S. Maria della Cisa:
ospedale di fondazione probabilmente imperiale poiché in due diplomi carolingi dell'861 e 865,
78
C. 34v 5-8
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indirizzati al monastero di S. Salvatore di Brescia, viene citato uno xenodochium S. Marie cum
ospitali posto prima dell’ospedale di S. Benedicti in Montelongo situato sul versante lunigianese del
passo della Cisa, lungo il percorso della Via Francigena. Esso era l’ultimo ospedale prima del valico
della Cisa nel versante parmense e le sue rovine furono scoperte nel 192479.
Poche sono le notizie rimaste negli Annali, negli Statuti e nelle Carte Curiali. Lo storico Formentini
ne attribuisce la fondazione ad un Gastaldo longobardo di nome Loedegario vivente al tempo di Re
Liutprando, del quale si ha memoria nella lapide rinvenuta nella Pieve di Sorano ed ora custodita
nella chiesa di San Giorgio di Filattiera.
L’ospitale di Santa Maria della Cisa é menzionato, per la prima volta, nella pergamena delle decime
del Vescovo di Parma dell’anno 1230. Gli Statuti di Parma, redatti fra il 1266 e il 1304,
concedevano totale esenzione dalle tasse, per un periodo di trenta anni, a chi andasse ad abitare
presso la chiesa di Santa Maria della Cisa al fine di rendere più sicuro il cammino ai viandanti: “ Se
poi non si troverà alcuno che spontaneamente dal di fuori si rechi ad abitare lassù gli uomini di
Berceto, di Valbona, di Corchia e di Bergotto saranno obbligati a mandare nel luogo predetto
quattro masnade dei loro, per tutto il mese di maggio, le quali dovranno stabilirvisi ed abitare nel
luogo stesso”.
Negli stessi Statuti viene decretato, dopo il 1271, l’erezione (o il rifacimento) di due ospizi
fortificati uno all’Ospedaletto (località posta sotto il monte Borgognone alla quale si accedeva dalla
piana di Roncaglia) ed altro alla Cisa.
L’ospizio e la cappella della Cisa sono ricordati in vari documenti: nell’Estimo del 1354 compilato
sotto il vescovato di Ugolino Rossi; nell’Elenco degli ospedali posti nella Diocesi, redatto dal
notaio Gherardo de Mastaggi nel 1436; nel Catalogo delle chiese diocesane del XIV secolo; nel
Rogito di fondazione della II Collegiata dei Canonici eretta nel Duomo di Berceto ad istanza del
conte Pier Maria Rossi nel 1471; nel Codicillo Testamentario dello stesso conte, stilato nel 1492 a
favore del figlio naturale Bertrando; nel libro mastro Morello dell’Ospedale Rodolfo Tanzi, ove
figurano aggregati all’Ospedale Maggiore di Parma; nel Catalogo e benefici della città e diocesi di
Parma, curato nel 1520 dal sacerdote Andrea Guarnieri; nella Descrizione di tutte le chiese della
città e della diocesi parmense del Cancelliere Vescovile Cristoforo dalla Torre compilata dal 1564
al 1585.
Nel 1584, poiché la zona nei pressi della Cisa era infestata da briganti, sia il duca di Parma che il
Comune di Pontremoli stabilirono di mantenervi, alternativamente per sei mesi all’anno, alcuni
79
G. SCHIANCHI, Gli antichi ospedali di Roncaglia e di Sancta Maria della Cisa, Parma 1926.
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soldati a difesa esclusiva dei viandanti. Lo storico Campi nelle Memorie storiche di Pontremoli
ricorda che alla fine del secolo XVII tale guardia era ancora esercitata con “gran consolazione dei
viandanti”. Le ultime notizie riguardanti l’ospizio si trovano nella descrizione che il Capitano
Boccia fece dei luoghi da lui visitati nel 1804: “Uscendo da Berceto per andare all’Appennino si
incontra immediatamente il monte Cavallo. La strada mulattiera passa al di sotto e continua
salendo sino all’Appennino per cinque miglia fra la boscaglia ed i prati sino alla cresta del luogo
chiamato la Cisa. Poco tratto avanti la Cisa vi è la casetta che serve di ricovero alle truppe che
guardano i confini. Immediatamente a questa scorgonsi i fondamenti di una chiesa e di un
monastero che dicesi essere stato dei benedettini. Parte di quelle pietre piccate hanno servito per
costruire la suddetta casetta”.
Giurisdizionalmente l’ospizio dipese sempre dalla chiesa di Berceto, finché non venne unito, nel
decennio 1472-1482, all’Ospedale Maggiore di Parma Rodolfo Tanzi.
Tra la fine del 1600 e i primi del 1800 l’ospizio venne abbandonato80.
Xenodochio di San Giacomo di Roncaglia.
La località Roncaglia come oratorio ed ospitale é più volte menzionata nei documenti. La cappella
Ospitalis de Roncalio é ricordata nella pergamena delle decime del Vescovo di Parma del 1230;
nella Ratio decimarum del 1299; nell’Estimo del Vescovo di Parma Ugolino Rossi del 1354;
nell'elenco degli ospitali della diocesi redatto nel 1436 dal Mastaggi; nel Libro-mastro Morello
dell'Ospedale Maggiore Rodolfo Tanzi di Parma del 1492; dal sacerdote Andrea Guarnieri nel 1520
e, in ultimo, nella Descrizione di tutte le chiese della città e della Diocesi composta dal 1563 al
1585 da Cristoforo dalla Torre. Nel 1471 circa l'Ospitale venne aggregato, con tutte le sue rendite,
all’Ospedale Maggiore di Parma. Nei Cenni storici sugli antichi pievati e castelli di Salavolta e
Soragna si ricorda che, distrutto l’ospedale, rimase l’oratorio che sussisteva ancora nel 1700.81
80
G. ALLODI, Serie cronologica dei Vescovi di Parma, Vol. I, Parma 1856, p. 713; R. BARBUTI, Ricordo
del Passo della Cisa, Milano 1934, p. 18, nota 32; R. BARBUTI, Giovane montagna, 23-7-24; A. BOCCIA,
Viaggio ai monti di Parma 1804, Parma 1970; B. CAMPI, Memorie storiche di Pontremoli, cap. XVI,
Pontremoli 1975; Libro Morello (1492), manoscritto parmense 1626, p. 16; F. MAGANI, Ordinamento
canonico della Diocesi, Vol. I, Parma 1910, p. 96; L. MOLOSSI, Vocabolario topografico dei Ducati, Parma
1832, p. 92; Monumenta Parm. et PIac., Statuta communi Parmae, 1266-1304, pp. 16-101-352; N.
PELICELLI, Storia dell’Ospedale Maggiore di Parma, Parma 1935, p. 17; A. PEZZANA, Storia di Parma,
Parma 1859, Vol. IV, p. 312; Vol, V app. p. 32; G. SCHIANCHI, Gli antichi ospedali di Roncaglia e della
Cisa, Parma 1926; A. SCHIAVI, Diocesi di Parma, Vol. I, Parma 1940, pp. 33-48-82; Vol. II, pp. 60-100220; A. VIGNALI, La strada romea di Monte Bardone, in Il Resto del Carlino, 2-10-1959; ZANONI,
Giovane Montagna, 6-9-24.
81
G. ALLODI, Serie cronologica dei Vescovi di Parma, Vol. I, Parma 1856, p. 713; Libro Maestro Morello
(1492),manoscritto parmense 1626 p. 16; F. MAGANI, Ordinamento canonico della Diocesi di Parma, Vol.
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Xenodochio dell’Ospedaletto del Groppo del Vescovo.
L’ospizio era posto in un punto chiave, ovvero sorvegliava il Passo del Groppo del Vescovo,
essendo situato a levante dello stesso, ove passava sia una variante della strada di Monte Bardone
sia la via di Staiola verso Corniglio. Per tale ragione, nel 1271 il Comune di Parma ordinò che,
unitamente all’ospitale di S. Maria della Cisa, gli uomini di Berceto lo fortificassero e lo
guarnissero giorno e notte: “Item providentur quod in Alpe della Cisa fiat unus receptus tutus et
securus et bene guarnitus omnibus opportunitatibus, et unus alius fiat ad Spedaletum per homines
de Berceto et eorum expensis eodem modo et simili; qui duo receptus custodiantur, et custodire
debeant per Commune Berceti et homines dictae villae de die et de nocte”.
L’ospizio non viene menzionato nelle Carte curiali.82
Bergotto
Nel Liber feudorum Palacii Episcopalis in diversis locis sono indicate alcune località in prossimità
di Bergotto, coinvolte in un contratto di affitto datato 29 dicembre 1304. In particolare sono citate
Fagiolo, Pellerzo, Groppo Maggio (anticamente chiamato Groppo di Marte), Torricella e Carpena.
“In loco qui dicitur Faxolum, qui consueverunt colligi per dominos de Gurro et de Pelertio". Item
in quarterin Conformosi, cui sunt fines ab una Manublola, ab alia Groppus Martius (Groppo
Maggio) infra, et a Faxola infra, et de Torixellis infra, et de Rio Cane intus. Item de Ara Armani,
quae est in Monte Bergupti, scilicet a Tana de Torexellis in sursum, et a Carpena in sursum.” 83
Don Giorgio Franchi testimonia invece la pratica della ricerca di oro presso Bergotto:
Nocta come alli 23 de augusto veni tri boemi da Fiorenza /
mandati dal duca Cosmo Medici duca de Fiorenza per / cavare la vena
dal'oro a Bergoto. Et alli 24 andono / a vedere il loco perché il
I, Parma 1910, p. 96; Monumenta Parm. et Plac., Statuta communi Parmae 1266-1304, Ed. Fiaccadori 1853,
p. 101; N. PELICELLI, Storia dell'Ospedale Maggiore di Parma, Parma 1935, p.17; A. PEZZANA, Storia
di Parma, , Parma 1859, Vol. V appendice n.30, p. 32; O. SALAVOLTI, A. SORAGNA Cenni storici sugli
antichi pievati e castelli, Parma 1906, p. 210; G. SCHIANCHI, Gli antichi ospedali di Roncaglia e della
Cisa, Parma 1926; A. SCHIAVI, Diocesi di Parma, Parma 1940, Vol. I, pp. 33-48-82; Vol. II, pp. 60-100200-343.
82
Monumenta Par. et Plac.; Statuta communis ab anno 1266 ad anno 1304, p. 352; G. SCHIANCHI, Gli
antichi ospedali di Roncaglia e della Cisa, Parma 1926, p. 41.
83
G. MICHELI, I livellari Vescovili di Berceto, codice pergamenaceo di 36 grandi carte intitolato Liber
feudorum Palacii Episcopalis in diversis locis, così segnato nel Mazzatini, (Manoscritti delle Biblioteche
d’Italia), Parma 1935.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Potestà di Bercetto aveva incomenzato // a cavare et gli haveva mise
sopra messer Nazzo Picio de / comission del Duca. Et alli 26 feccni fare una fornase/la in rocha de Bercetto per fare la experienza.
Et portone della / terra de tre sorte et la infoseni. Come reusise, non
so io, / ma il primo de setembre se andoni con Dio dicti boieme,
perché non // il so dire. / 84
Un altro passo, sempre del Franchi, indica con precisione l’ubicazione della cava d’oro di Bergotto.
Adi 10 del predicto veni messer Francesco Bono Homo de Parma
manda/ / to da Sua Excelentia per cavare la vena dall’oro da Bergoto
et / adi 11 comenzò a fare cavare et taliò uno pezo di vigna / a don
Bercedan Baron da Bercetto. /
Adi 14 de augusto una domenica ad hore 15 il signore conto
Pietro / Maria Roso conto di Bercetto, Marchese de Sancto Secondo,
Gen//erale deli taliani del Re cristianissimo de Franza et Ca/valgiere
de Sancto Michel si passò di questa vita presente / a Santo Secondo
et in tal hora veni una grandissima tem/pesta a Bercetto, a Fugazollo,
alla Rocha et a Bergoto de sorte / che non vi remasse uva et era de
bocha de scarpa // in tuti li lochi predicti. /
Adi 17 del predicto torvoni la porta a Bergoto alla cava con le /
sue mape, carchari, serata, maderata et le travate qualle / andavani in
modo de una via. Nocta che la porta é / de co delle vigne de contra
alla bocha del ri Cataiese. //85
L’indicazione precisa del Franchi è confermata da recenti studi effettuati presso le miniere di
Corchia che confermano l’esistenza di oro nativo.
Bussetolo
La località di Bussetolo è citata nella donazione di Ugo Re d’Italia ai canonici di Berceto, datata 17
febbraio 927, come riportato precedentemente.
Il 23 giugno 1308 Bussetolo viene affittato ad Opizzone figlio di Umberto da Cornazzano 86.
84
C. 93r 12-19 1556.
C. 18r 14-30.
86
G. MICHELI, I livellari Vescovili di Berceto, codice pergamenaceo di 36 grandi carte intitolato Liber
feudorum Palacii Episcopalis in diversis locis, così segnato nel Mazzatini, (Manoscritti delle Biblioteche
d’Italia), Parma 1935.
85
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Casaselvatica
Lo xenodochio di Casaselvatica era posto a metà strada fra Ravarano e Berceto. Gli studiosi
Salavolti e Soragna riportano la notizia di un antico ospedale detto “Della Casa”, il quale, fin dal
1560, era stato unito all’Ospedale Maggiore di Parma Rodolfo Tanzi: “et hospitale Della Casa,
unitum hospitali Magno”. 87
Castellonchio.
Nelle Cronache di Don Giorgio Franchi è nominata una bicocca nella località di Castellonchio:
potrebbe trattarsi di un sito fortificato non ancora individuato.
Adi 21 tempestò a Castelonchio, qualla pilgiò tuto dalla stra’ / in
giù, incomenzando alla Maistà perfine in fondo la Bicocha // a picto,
perfine in Gronton, che non li remaste niente. /88
Corchia.
Da una Memoria dell'Archivio Sanvitali (A.t 1., 8.) citata dallo storico Pezzana nel volume I della
“Storia della città di Parma continuata: 1346 - 1400” si è a conoscenza che, il 21 ottobre del 1355,
Bernabò Visconti concesse a Giberto Sanvitale la conferma del Castello di Belforte e delle ville di
Lozzola, Pagazzano, Fugazzolo, Valbona, Cozzo, Bergotto, Castellonchio, Casaca, Corchia e dei
loro abitanti. Quindi, Corchia entrò nell'orbita dei Sanvitale dal XIV al XVIII secolo, per poi
passare alla famiglia comitale dei Tarasconi-Smeraldi.
La più antica attestazione di Corchia si trova in un documento rogato da Puteolixium notarium del
febbraio 1107 riguardante Ubertus Mellitarius il quale ha in feudum medietatem Castelli de Corcla,.
L’abitato di Corchia è presente nei documenti medievali come dipendenza di Berceto dal punto di
vista sia amministrativo che religioso. Infatti "Corcla" o "Corcha" viene dichiarata "de districtu
Berceti" già nei documenti del XII secolo.
La chiesa di San Martino (Santo "romeo"), non più utilizzata ma tuttora visibile, nel XIV secolo era
parte dell'area plebana di Berceto.
87
F. MAGANI, Ordinamento canonico della Diocesi, Vol. I, Parma 1910, p. 86; O. SALAVOLTI, A.
SORAGNA, Antichi pievati e castelli, Parma 1906, p. 194.
88
C. 34r 9-11.
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49
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Casacca.
Il complesso denominato "Casacca" nel Comune di Berceto è costituito dalla connessione di un
"palazzo", una chiesa e sette case, che formano un insieme architettonico omogeneo, tipico esempio
di antica dimora appenninica. L'esistenza di Casacca è testimoniata nei documenti antichi a partire
dall’VIII secolo. La chiesa risale almeno al 1230 come testimonia la Decima di quell’anno.
La rilevanza del borgo è confermata dalla sua menzione nel testo "Atlante Italia" redatto da Magini
nel 1620. Successivamente, le mappe catastali borboniche del 1823 individuano con precisione i
singoli edifici ancora esistenti.
Fugazzolo.
La prima attestazione di Fugazzolo è del 15 gennaio 1226 secondo la quale Rolando Rangoni et
dominus Abbas Rangoni habent in feudum decimam de Fugaxolo.89
Il castello di Fugazzolo è menzionato in un documento del 1240, dove si nomina un appezzamento
in località detta al “Lago” presso il castrum de Fugazolo. Nel 1312 il Comune di Parma dona il
castello di Fugazzolo, insieme con Belforte, a Giovan Quirico Sanvitale. 90
Lozzola.
Viene citata in un Rogito di Opizzone Tranchedi il 2 settembre 1230, “…feudatarii in Ponticulo et
per filios in villa de Lozolla ed in Laghedello et in eorum pertinentiis.”
Nelle cronache di Don Giorgio Franchi è indicato che in località Lozzola viene lasciata una guardia
ad istanza di sua Signoria Monsignore Ettore Rossi. Questa testimonianza potrebbe suffragare la
tradizione popolare secondo la quale, sulla terminazione della Costa della Guardia, vi era una
postazione fortificato oggi scomparsa.
Adi 12 del predicto andò il Cavalero di Bercetto con li coreri a
tore il // posseso della Ecclesia di Lozulla a nome delo illustrissimo
et reverendo / monsignorc Hectore de Rosi; et uno messer Giovan
Pietro da San Secondo, / magistro de casa di Sua Signoria Illustrissimo, andò a Bergoto con sero Matheo da / Lozulla et Antonio
Zambelan secundo nocaro et anche con dicci ho/mini a tore il
possesso per instrumento. Poi andò ancho a Lozulla, // poi li lassò la
89
G. MICHELI, i livellari Vescovili di Berceto, codice pergamenaceo di 36 grandi carte intitolato Liber
feudorum Palacii Episcopalis in diversis locis, cosi segnato nel Mazzatini, (Manoscritti delle Biblioteche
d’Italia) Parma 1935.
90
G. CAPACCHI, Castelli della montagna parmigiana, Parma 1976, p.170.
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guardia ad instantia di Sua Signoria Reverenda. /91
Pietramogolana.
Petra Mugulana viene nominata per la prima volta nel documento del 23 ottobre 674, in cui il re
Pertarido stabilisce i confini tra Parma e Piacenza92.
In un atto divisionale dei beni del Conte Plato Platoni del 1022 compare che al figlio Begarolo
spetta il forte di Pietramogolana93.
Nel 1210 Il Vescovo Obizzo fortifica la rocca di Pietramogolana: “Altre delle sue Rocche fortificò,
particolarmente quella di Pietramogolana; e in simil guisa ridonando al Sacerdotal Principato
l’antico lustro, seppe procacciarsi l’aumento di quella stima, che la sua nascita, il carattere, e la
dignità richiedevano”.94
Nel 1212, sempre il Vescovo Obizzo assolve gli abitanti di Casacca e di Pagazzano dalla
collaborazione economica del restauro della rocca di Pietramogolana: “Nella stessa rocca di San
Secondo osservai un originale Istrumento del giorno 7 Settembre del 1212, per cui il Vescovo
Obizzo ad istanza di Maestro Martino Arciprete di Berceto assolve gli abitatori di Casacca e di
Pagazzano dal concorrere alle fazioni pel risarcimento della Rocca di Pietramogolana, presente
fra gli altri testimonj Simone Dottor di Leggi, a Rogito di Bernardo Notajo Imperiale”. 95
Nei secoli, il castello di Pietramogolana ed il suo abitato furono contesi più volte da diversi
proprietari.
Roccaprebalza.
Il castello di Roccaprebalza esisteva già prima della contesa del 1219-1221 tra vescovo e comune di
Parma. Il vescovo Ugolino lo trasmise alla sua famiglia mettendolo nel conto di quei debiti che
diceva di avere nei confronti dei nipoti (1355-1370).
91
C. 45v 19-26 agosto 1549.
Da “Istoria Ecclesiastica di Piacenza” del Campi. “…deinde in monte Specla illa parte Cene, ubi termine
otat, deinde in monte Claudio & Petra Mugulana quod est super fl uvio Taro & illa parte Taro per rigo
Gautera”. M. ZONI, I castelli delle valli di Taro e Ceno: uno studio di Guido Schenoni Visconti, in “Uno
storico e un territorio: Vito Fumagalli e l'Emilia occidentale nel Medioevo”, a cura di R. Greci e D.
Romagnoli, Bologna 2005, pp. 393-404.
93
M. ZONI, I castelli delle valli di Taro e Ceno: uno studio di Guido Schenoni Visconti, in “Uno storico e un
territorio: Vito Fumagalli e l'Emilia occidentale nel Medioevo”, a cura di R. Greci e D. Romagnoli, Bologna
2005, pp. 393-404.
94
I. AFFO’, Storia di Parma, Parma 1795.
95
Archivio di Stato di Parma, Notai Camerali, Rogito di Bernardo Notajo Imperiale del 7 settembre 1212.
92
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51
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Un documento duecentesco, in cui si riferisce che Giovanni de Caminata di Roccaprebalza deve
pagare dodici lire imperiali, attesta l’impiego del nome “caminata” anche nella Valle del Taro. Può
darsi che l’antica caminata di Roccaprebalza sorgesse dove ora si trova la casa-torre Camisani,
esattamente del tipo a caminata, che domina un edificio fortificato con due vestigia di torrioncelli
angolari merlati.
E’ da ricordare inoltre che la tradizione locale testimonia la presenza di misteriosi cunicoli
sotterranei che, un tempo, collegavano il castello con la caminata e la chiesa.
8.
NUOVE ACQUISIZIONI E TRADIZIONI ORALI.
Individuazioni da ricognizioni di superficie (survey).
Per incrementare i dati archeologici sul comune di Berceto sono state realizzate delle ricognizioni di
superficie su suggerimento del Funzionario di zona della Soprintendenza ai Beni Archeologici
dell’Emilia Romagna, dott.ssa Manuela Catarsi.
Le survey hanno consentito di individuare numerosi siti ad oggi non segnalati che potranno
consentire in futuro di fare luce sulle dinamiche insediative del Comune di Berceto. La copertura
delle indagini è da considerarsi parziale sia per la grande estensione del comune che per la scarsa
visibilità di moltissime zone attualmente a bosco e difficilmente raggiungibili.
Di seguito si riportano le nuove acquisizioni.
Diaspro scheggiato di Roccaprebalza.
A Roccaprebalza, in una linea di caduta posta a nord del picco ofiolitico sulla cui sommità sorgeva
il castello rossiano, è stato rinvenuto un diaspro scheggiato attribuibile a epoca preistorica.
Coppella su un masso del picco ofiolitico di Roccaprebalza.
Sul picco ofiolitico di Roccaprebalza è stato individuato un masso con una probabile coppella
ascrivibile ad epoca preistorica, di difficile individuazione in quanto ricoperto dalla vegetazione e
documentabile solo nei primi mesi dell’anno in condizioni favorevoli.
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52
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Linea di caduta Lozzola Castello.
A Lozzola località Castello sul retro del picco ofiolitico, è stata individuato una linea di caduta,
grazie al rinvenimento di due pietre scheggiate, un diaspro ed un calcare silicizzato databili ad
epoca preistorica. La dispersione di materiali parte dall’area antistante una casa posta su un piccolo
rilievo separato da una sella dal picco ofiolitico. La linea di caduta è posta a valle di un traliccio la
cui posa potrebbe aver interessato strati in giacitura primaria.
Castellaro di Vendronara – Pianelli.
Sul crinale che divide la Val Baganza dalla Val Manubiola, a poche centinaia di metri a nord della
terminazione su sui è posto il fortino napoleonico, sono state individuate strutture di natura
prettamente militare riferibili ai secoli centrali del medioevo sulla base di confronti tipologici.
Il sito, posto tra le zone conosciute come Vendronara e Pianelli, sfrutta un rilievo naturale che
domina tutta la Val Baganza e la Val Manubiola e controlla la viabilità verso la Lunigiana.
L’altura è cinta ad ovest, dove la pendenza è più dolce, da una potente opera in muratura di circa un
metro di larghezza ed individuata per circa 80 metri lineari, lungo i quali, partendo da sud andando
verso nord, sono state riconosciute una torre semicircolare di circa 5 metri di diametro, una struttura
che chiude nel lato sud la parte più alta del rilievo ed un ambiente quadrangolare di circa 2,5 metri
di lato. E' stata individuata un'altra grande struttura trasversale al rilievo e posta nel punto più alto;
essa chiude verso est la parte meridionale del sito.
La presenza delle strutture è stata notata grazie ad una ricognizione di superficie, convalidata poi
dall’osservazione delle fotografie aeree e da satellite.
Con l’elaborazione delle foto satellitari è stato possibile individuare nella vegetazione discontinuità
che potrebbero suggerire la presenza di strutture che chiudono anche il lato est del sito. Le ipotesi
potrebbero essere verificate sul campo con un’attenta opera di pulizia e rilievo.
La natura delle fortificazioni, la tessitura muraria e il collegamento visivo con altri siti fortificati
suggeriscono una datazione tra IX e XII secolo, che andrebbe confermata con ulteriori ricognizioni.
Ad oggi, la datazione di questo sito castrense è riconducibile sulla base dei confronti strutturali
all’Alto Medioevo e nulla vieta di pensare che il sito potesse essere parte integrante del Limes
Longobardo Bizantino. Il sito fortificato consente un controllo pressoché totale sull’alta Val
Baganza fino al Crinale Tosco Emiliano.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Castello di Castellonchio.
A Castellonchio, sul rilievo immediatamente a sud est dell’abitato, sono state individuate strutture
di natura prettamente militare riferibili sulla base della tecnica costruttiva e della tessitura muraria ai
secoli finali del Medioevo.
Il sito si presenta sul lato ovest con un imponente crollo composto da conci di arenaria squadrati, di
media dimensione, disposti lungo tutto il lato ovest del rilievo.
Le strutture riscontrate anche dall’analisi delle foto satellitari della zona sono realizzate in conci di
media grandezza, legati da malta ed hanno una larghezza di circa 90 cm.
Nella parte settentrionale del sito è stata riconosciuta una torre circolare in crollo.
La natura boschiva del sito non ha permesso di individuare, al momento, linee di caduta e ritrovare
materiali che potrebbero chiarire le fasi di vita del sito.
Linea di caduta di Roccaprebalza.
Lungo il versante nord del picco ofiolitico di Roccaprebalza è stata individuata, in seguito ad una
ricognizione di superficie, una linea di caduta che ha restituito alcuni frammenti ceramici medievali
e post medievali relativi all’occupazione della sommità del castello raffigurato nella Camera d’oro
del Castello di Torrechiara.
Setto murario della chiesetta rossiana di Roccaprebalza.
Durante la ricognizione, al limite di un piccolo pianoro al di sopra di Casa Camisani, è stato
possibile riconoscere uno dei perimetrali superstiti della chiesetta (raffigurata nell’affresco del
Bembo al castello di Torrechiara). La struttura, conosciuta dagli anziani del paese come l’edificio
sacro e posta esattamente dove il Bembo raffigurò la chiesa, è di difficile accesso anche per il fatto
che il pianoro è stato investito da crolli di massi e detriti scivolati dalla parte superiore del Picco.
Inoltre, a nord di Casa Camisani e del Picco è stata riconosciuta l’antica via originaria di accesso al
sito realizzata con la costruzione di terrazzamenti che consentivano la risalita dal sottostante Rio. Su
quest'ultimo sono ancora visibili i resti di una passerella mobile con pilastri in muratura ed utilizzata
fino alla metà del secolo scorso.
Linea di caduta Lozzola Castello.
A Lozzola località castello, ad est dei due affioramenti ofiolitici che la tradizione orale vorrebbe
sede originaria di un castello e di una chiesa, è stata individuata una linea di caduta che ha restituito
materiali riferibili ai secoli XV-XVII.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
La dispersione di materiali parte dall’area antistante una casa posta su un piccolo rilievo separato da
una sella dal picco ofiolitico. La zona di affioramento materiali, tra cui frammenti di graffita
invetriata, è posta a ridosso del piccolo pianoro disturbato dalla costruzione dell’abitazione civile.
Il culmine del picco ofiolitico ha una forma cilindrica e domina un pianoro che da una prima
osservazione potrebbe essere frutto di una sistemazione antropica. Altre ricognizioni potrebbero far
meglio comprenderne l’origine e la natura del luogo.
Insediamento di San Rocco.
Il sito di San Rocco è stato segnalato dagli abitanti di Corchia: secondo la tradizione le campane
della chiesa vecchia provengono dall’antico insediamento di San Rocco, ora scomparso e posto sul
crinale che divide Corchia da Valbona e sul quale, sempre secondo la tradizione orale, dovrebbe
trovarsi un Castello.
Le ricognizioni hanno permesso di individuare una strada medievale di ottima fattura, in parte
abbandonata e solo per alcuni tratti ripresa dalla carraia in uso tuttora e che porta a Casa Findoni.
La strada, realizzata con lastre di arenaria e transitabile con carri, porta fino al sito denominato San
Rocco. Nell’insellatura tra le due cime è stato individuato un grande edificio in crollo, di forma
rettangolare e che risulta orientato verso Est, perpendicolare all’andamento del crinale e posto su un
pianoro raggiungibile grazie alla strada sopra menzionata.
Non è stato possibile riconoscere ambienti o situazioni particolari che possono chiarire la funzione
dell’edificio. E’ da escludersi, comunque, che si tratti di un essiccatoio o di un’abitazione a scopo
agricolo (presenti capillarmente in zona). Infatti, l’abbandono è databile almeno a 3-400 anni fa data
la presenza di castagni secolari sui setti murari individuati.
Affioramento di materiali post-medievali a Pellerzo.
A Pellerzo nei pressi di Bergotto, in Val Manubiola, sono stati raccolti alcuni frammenti ceramici
inquadrabili ai sec XV – XVIII e rinvenuti al centro dell’abitato, in un piccolo appezzamento di
terra zappato poco prima della ricognizione. Si segnala l’alta concentrazione di materiali e la
presenza di frammenti di ceramica graffita invetriata rinascimentale.
Torre medievale del fortino napoleonico di Berceto.
Il fortino Napoleonico di Berceto (località Poggio) è posto su di una terminazione di crinale che
divide la Val Baganza dalla Val Manubiola, in posizione dominante su Berceto.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Durante un sopralluogo, per verificare la presenza di strutture precedenti o linee di caduta, sono
state riconosciute nel semicerchio più interno del fortino strutture più antiche defunzionalizzate ed
in parte inglobate nell’edificio.
Il confronto fra la tessitura muraria, le malte e la tipologia architettonica delle fasi più antiche
riscontrabili nel Castello di Berceto e le suddette strutture permette di ipotizzare la preesistenza di
una torre circolare che , successivamente, è stata rasata sulla sommità e tagliata nella parte
settentrionale per permettere la costruzione del muraglione di chiusura del forte ottocentesco e la
fondazione di un pozzo. Queste evidenze sono state riscontrate nel semicerchio interno del forte
ottocentesco. Inoltre, è documentabile la presenza di feritoie interne, chiuse però esternamente da
grandi conci rettangolari di arenaria.
La preesistenza di una torre di avvistamento in fase con il Castello di Berceto potrebbe inquadrarsi
nella necessità di controllare la media Val Baganza.
Castello di Bergotto.
Poco a monte di Cà La Torre, conosciuta in zona come Cà del Moro, sono state individuate
imponenti strutture riferibili ad un antico insediamento fortificato, forse il castello di Bergotto.
Sono state identificate: una coorte quadrangolare cinta sui quattro lati da un muro che si conserva in
alzato anche per due metri e due strutture angolari, una ad andamento circolare nell’angolo nord-est
ed una struttura chiusa di grandi dimensioni con crollo imponente nell’angolo sud-ovest. L’accesso
al sito era garantito da una strada che lo collegava con la via che da Bergotto proseguiva verso
Corchia e i valichi appenninici.
La dimensione e tipologia delle strutture e la tessitura muraria permettono di ipotizzare una
funzione militare del sito, mai rintracciato ma presente nelle tradizioni orali che individuavano nei
pressi di Ca’ del Moro l’antico castello scomparso di Bergotto, citato nelle fonti storiche e da ultimo
nel romanzo storico dell’ex Direttore della Biblioteca Palatina Carlo Malaspina “Adelina e la strega
di Bergotto”.
Segnalazioni orali.
Al fine di cercare di recuperare più dati possibili sul territorio comunale di Berceto è stata condotta
un’indagine tra la popolazione, raccogliendo eventuali segnalazioni e racconti su ritrovamenti o
strutture scomparse.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
A Berceto, nel secolo scorso, si è assistito alla perdita di moltissimi dati a causa del fervore edilizio
e di una scarsa, se non inesistente, attenzione per le testimonianze archeologiche che sarebbero stati
fondamentali per ricostruire la storia di uno dei più importanti centri dell’Appennino emiliano.
I casi più lampanti sono il Castello e il Duomo. Il primo, ancora in funzione nella prima metà
dell’ottocento96, appare oggi un rudere, dove, negli anni ’50, a ridosso è stata costruita la scuola del
paese. Il Duomo è stato invece interessato da pesantissimi lavori di restauro, a metà degli anni ’80,
senza nessun tipo di sorveglianza archeologica né tantomeno documentazione scientifica, con la
totale perdita delle stratificazioni che avrebbero potuto restituire importanti dati sulle prime fasi di
vita della chiesa.
L’unica zona che potrebbe ancora consegnare importanti informazioni è l’area del chiostro che
viene indicato nell’attuale giardino della canonica, in prossimità di Piazza San Giovanni.
Alcune segnalazioni hanno permesso di ricostruire in parte alcuni tasselli mancanti ormai
irrimediabilmente perduti.
In Via Martino Jasoni, proprio di fronte al campo sportivo parrocchiale, durante i lavori di
costruzione di un condominio e dei magazzini del supermercato Savani, come asserisce la maggior
parte dei testimoni oculari, sarebbero state scoperte palificazioni in legno descritte come “palafitte”
o “il recinto di un forte romano”, immediatamente ricoperte per evitare problemi o blocchi ai lavori.
La zona notoriamente paludosa e ricca d’acqua è stata bonificata riportando terreno durante gli anni
‘60 e ’70 e rialzando il livello di calpestio. La quota di calpestio precedente alla sistemazione
dell’area è riscontrabile nel giardino posto a lato del supermercato.
Nella parte sud dell'abitato di Berceto sono noti altri ritrovamenti, in particolare, durante i lavori per
il collegamento del paese con l'attuale casello autostradale. Alcuni testimoni oculari segnalano il
ritrovamento di monete di bronzo con la scritta SC e spilloni. La scritta SC potrebbe indicare
“Senato Consulto”.
Dalla località Tugo, durante i lavori di restauro della via Francigena negli anni ’60 del secolo
scorso, è segnalato il ritrovamento di una moneta di età repubblicana databile al 58 a.C. con sul
fronte il re Aretas genuflesso che offre pace al popolo romano e sul retro Giove conduce una
quadriga. La moneta è custodita presso il Museo del Duomo di Berceto.97
Lungo la parte ovest delle mura di cinta del paese, dove negli anni ’70 vennero realizzati dei box
che ne occultarono la vista, sono stati segnalati ritrovamenti di monete.
96
97
A. BOCCIA, Viaggio ai monti di Parma, 1804, Parma 1970, pp. 69-76.
F. GRISENTI, Berceto, Una finestra aperta sul passato, Fidenza 1964.
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57
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
9.
ANALISI TOPONOMASTICA.
Dalla raccolta degli studi compiuti negli ultimi anni dal Professor Baruffini 98 e da studiosi come
Giorgio e Giulia Petracco Sicardi99 e Sergio Mussi100 è stato possibile produrre un’analisi
toponomastica del Comune di Berceto. Questo contributo, avendo unicamente la pretesa di riunire
studi pubblicati e nuove considerazioni, è da considerarsi per ora parziale. Come noto la
toponomastica è una disciplina complessa, in particolar modo per le difficoltà d’interpretazione
linguistica e per le oggettive difficoltà di ricostruzione delle dinamiche insediative e socioeconomiche del passato. Una ricerca toponomastica è utile nei casi in cui vi sono ampie lacune dal
punto di vista documentario, in zone del territorio dove i dati archeologici sono deficitarii e le
ricerche storiche sono ancora a livello embrionale. Il contributo dato dall’analisi dei toponimi ha
consentito di aumentare l’affidabilità dei dati ricavati da survey, analisi archivistica e storica ai
quali ci si augura in futuro possano unirsi dati provenienti da ricerche archeologiche programmate.
In questa analisi, che viene riportata di seguito, si è deciso di accorpare alcuni toponimi che sono
presenti più volte nel territorio comunale prendendo in considerazione il luogo più prestigioso,
come, ad esempio Ronco, Ronchi, Roncaglia, termini di origine medievale. Altri toponimi di
interesse storico come castello, castellaro, castellaccio, sono stati indicati in cartografia o nelle
schede relative alle segnalazioni presentate.
Alvara.
In dialetto l’Alvèra, è un termine di origine germanica o dal Gotico Alt (vecchio) warjia (difesa) ma
potrebbe essere simile come origine a Castel Alfero in provincia di Alessandria (in cui si riconosce
il gotico Alfaharijis, latinizzato in Alferius).
Baganza.
Originariamente Bagantia, dal celtico *bagos ‘quercia’, o piuttosto dal gallico *bāgos ‘faggio’ < ie.
*bhāgós; da confrontarsi col latino fāgus e l’idronimo ticinese Bavóna < *bāgonā].
98
G. BARUFFINI, Dizionario toponomastico parmense, Parma 2005.
G. PETRACCO, G. PETRACCO SICARDI, S. MUSSI, Il Monte Bardone e l’origine di Berceto, in
“Poteri, territorio e popolamento in Val di Taro, tra antichità e Medioevo”, Atti della giornata di studio:
Berceto, 2 luglio 2011. Parma 2011, pp. 91-110.
100
S. MUSSI, I luoghi si raccontano: atlante toponomastico della provincia di Parma, Parma 2008.
99
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58
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Braia.
Nel Bercetano vi sono vari luoghi con questo toponimo, che deriverebbe dal longobardo “Braida”:
ovvero campi aperti.
Brolo.
Corrisponde all'italiano brolo ʿorto, fruttetoʾ. Dal gallico *brogilos ovvero boschetto (recintato),
campo.
Berceto.
Da identificarsi con i saltus prediaque Berusetis appartenenti ai coloni lucchesi citati nella Tavola
Veleiate di età traianea. Il toponimo tuttavia potrebbe anche essere ricondotto ad un fitonimo,
Quercetum, con esito Q > B presente in area toscana che sposterebbe l’origine della denominazione
ai secoli VII- VIII e quindi al tempo della fondazione del monastero da parte di Liutrando (712).
Bergotto.
Si tratta di una frazione del comune di Berceto la cui pronuncia dialettale è bargùt o bergùt. La
località è citata nel 'Privilegio di re Ugo' del 927 come 'Bergante'. Si tratta certamente di un
toponimo di origine germanica. Si può ipotizzare una derivazione da berg + haupt, ove haupt ha lo
stesso significato del latino caput, quindi un calco dal latino caput montis, "là dove termina il
monte", con riferimento al monte che scende ripido nel cuneo fra le due Manubiole, di Corchia e di
Valbona, proprio davanti a Bergotto.
Berluara.
Località, divisa in due gruppi di case e posta a destra del torrente Manubiola, il cui toponimo è di
probabile origine celto-ligure e deriva da “Ver” + “Lor” ovvero sopra il fiume.
Monte Borgognone.
Il toponimo potrebbe essere legato allo stanziamento di un gruppo di Burgundi nell’alta val
Baganza ma l’avvenimento è difficile da situare cronologicamente. Inoltre questo toponimo non è
documentato.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Bragazzano.
Forse è un prediale da Bracatius, possibile andronimo su bracatus ovvero vestito alla celtica e
quindi forestiero.
Bussetolo.
Località situata a nord-ovest di Roccaprebalza, la pronuncia dialettale è büsèidel. Si tratta di un
fitotoponimo composto da buxus (bosso) più il suffisso -eto, quindi un 'bosco di bossi', a cui è stato
aggiunto il suffisso -ulo, forse a indicare un luogo piccolo. La prima attestazione del nome è nel
Privilegio di re Ugo del 927. "...in Busitolo mansos duos".
Calamello.
Da Calamulum ovvero canneto. I comites del Calamello, documentati nell’ultimo decennio del XII
secolo, sono probabilmente coincidenti con i conti di Bardi e probabilmente provenivano da località
omonima ovvero l’odierno Monte Carameto.
Carpignano.
Prediale da Carpinius anche se è possibile un collegamento col fitonimo carpino.
Casacca.
La pronuncia dialettale è Casàca, con s sorda ed intensa. All'origine del toponimo potrebbe esserci
un prediale romano formato dal gentilizio Cassius e dal suffisso -aco di origine celtica, quindi
probabilmente una colonia Cassiaca, oppure, deriva da un neutro plurale, loca Cassiaca. La
scomparsa della i la si trova anche nei tanti 'Cassano', derivati da originari fundus Cassianus; infatti
hanno la stessa etimologia di Casacca anche Cassacco in Friuli a nord di Udine e Cassago in
Brianza. La vicinanza del paese di Cassio, anch'esso toponimo prediale formato dal gentilizio
Cassius nella forma senza suffisso, suggerisce che la gens Cassia abbia avuto un ruolo importante
nella proprietà fondiaria della zona.
Casaselvatica.
Nei documenti antichi Casaselvatica è presente come Domus Silvaticorum o simili, che significa
residenza di tagliaboschi oppure il luogo dove veniva riscosso il silvaticum (tributo per lo
sfruttamento delle foreste).
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60
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Castellonchio.
Da Castelunculum diminutivo di castello. E’ forse il Castiliculo in cui nel 1158 esisteva la chiesa di
San Michele dipendente da San Giovanni di Parma.
Cavazzola.
Dal latino medievale cavatiola ovvero piccola cava.
Corchia.
Con ogni probabilità si tratta della 'Corticella di Viriano' citata nel Privilegio di re Ugo del 927. La
pronuncia dialettale di Corchia è Còrcia. Deriverebbe da una forma intermedia *curtula, che a sua
volta è il corrispondente nella lingua parlata di curticella. Non lontano da Corchia, ma già nella
valle della Manubiola di Valbona, troviamo il toponimo Corciara (Curciàra in dialetto), che ha alla
base un *loca curtularia, col significato di "zona appartenente alla curtula". Si può quindi
ragionevolmente pensare che la “Curticella de Viriano” comprendesse, oltre alla conca di Corchia,
anche parte della conca di Valbona.
Costa della Guardia.
Punto di osservazione posto tra la villa del Castello e Pellerzo, deriva dal gotico o longobardo
Warjia ovvero “guardia”.
Donano .
Toponimo derivante dal gallico latinizzato dūnum ovvero fortezza, collina o dal gallico e celtico
comune *dūnon ovvero cittadella, monte.
Erbettola.
Erbettola deriverebbe da Orbitula, che ha alla base il gentilizio Orbius, o un suo derivato, più il
suffisso -ula. Il nome della silva Orbitula richiama anche quello del fundus Orbianacus della
Tavola di Veleia, sito nel pago Dianio nell'odierna Valmozzola, dall'altra parte del Taro rispetto a
Casacca.
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Fagiolo
Si tratta di toponimo derivante dal latino fagus ovvero faggio cui è stato aggiunto il suffisso -olo,
qui usato in senso diminutivo, reso poi in italiano nella forma 'fagiolo', a voler significare un faggio
di modeste dimensioni. Il luogo è posto in costa di monte a sud-ovest della frazione di Bergotto.
Faino.
Si tratta di area di coltivo posto in leggero pendio in costa di monte a sud di Casacca e sovrastante a
nord-est il paese di Ghiare dove ci sono due distinti caseggiati prospicienti il fondo agricolo: al faì
'd tzùra e al faì 'd tzùta, 'il Faino di sopra' e 'il Faino di sotto'. La forma dialettale del nome è faì
italianizzata in 'Faino' derivato dal latino faginus e passato a faynus in dialetto emiliano dove si
perde la g. Questi nomi di luogo potrebbero derivare anche dal longobardo fagile o faghile che
prende dal latino fagus cioè 'faggio' con risultato faì, oppure dal più toscano fageum con risultato
fajé.
Felgara.
Piccolo nucleo di origine medievale situato ai piedi della terminazione di crinale meridionale del
Monte Cavallo lungo la via Francigena, la quale, in questo punto percorrendo il crinale, si dirige
verso il Monte Valoria. Il toponimo potrebbe derivare dal longobardo “Feld” + “Wardia” campo
della guardia.
Fugazzolo.
Potrebbe essere collegato al fitotoponimo Ficaciolum da ficus ma l’altitudine del luogo (830 m.)
crea delle perplessità. Potrebbe forse derivare da fuga termine col significato di caccia o da fugacia
ovvero parte di campagna riservata ai cervi ed alla selvaggina.
Gaietta.
Il toponimo sembrerebbe derivare dall’etnia gota come testimoniano alcune località con
terminologia simile quali Gudo Visconti e Gudo Gambaredo a Milano, Goito a Mantova, Goido a
Pavia, Godi a Piacenza e Godo a Ravenna ma come anche Gaita e Gussolengo.
Gambettola.
Località posta alle pendici del Monte Castellaro di fronte a Roccaprebalza. L’origine del nome è
probabilmente germanica e legata ad un antroponimo come per Gambara (BS) o Gambettola (FC).
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Gazzo.
Corrisponde ad una zona boschiva che risale la costa del monte posto alle spalle di Casacca nel
comune di Berceto. Gazzo potrebbe derivare dal termine longobardo gahagi, col significato di
"luogo recintato e sottoposto a defensum". Da gahagi, attraverso le forme intermedie gahaio, gaio e
gagio, attestate nei documenti, si arriva agli esiti gaggio o gazzo della toponomastica attuale.
Ghiare.
Toponimo legato ad insediamenti ai margine dei corsi d’acqua prima del loro sbocco nelle basse
pianure.
Granica (case).
Dal latino granica ovvero deposito di grano o di attrezzi agricoli. Di solito costituisce una proprietà
monastica e quindi potrebbe essere stata una dipendenza dell’Abbazia di Berceto.
Groppo Maggio.
Anticamente era chiamato Martius, ovvero toponimo di origine romana che significherebbe “Monte
di Marte”.
Isola.
E’ una località posta nel cuneo formato dalla confluenza del torrente Grontone nel Taro e consiste
in un grande podere con boschi e campi. Il termine latino insula veniva usato nel Tardo Antico e
nell'Alto Medioevo anche per indicare il terreno compreso fra due corsi d'acqua, come in questo
caso, o circondato per tre lati da un meandro di un fiume.
Lago del Portico.
Il toponimo deriva forse dal latino Locus porticatus ovvero luogo porticato.
Lozzola.
Secondo il Formentini sarebbe il vicus Ucciae della Tavola di Veleia i cui saltus praediaque sono
nella stessa zona di Berusetis e appartengono ai coloni lucchesi. Il toponimo forse è connesso con
l’andronimo Ulcius, dal quale deriverebbe il diminutivo Ucciola e quindi Ozzola o Ozola.
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Manubiola.
Il torrente Manubiola, come molti altri torrenti, è nominato al femminile "la Manubiola" in quanto
in epoca romana il toponimo era preceduto dal sostantivo acqua.
Mattaleto.
Corrisponde alla località chiamata in dialetto Matalèi (con la t intensa) e ubicata sulla sinistra del
torrente Grontone a nord-est di Pagazzano e a sud di Isola. Le case indicate nella cartina IGM come
C. Matteo in dialetto sono nominate Cà d'matalèi. Si tratterebbe quindi di un fitotoponimo
composto da matàl + eto. E' invece incerto se il significato sia specificamente quello di 'bosco di
sorbi' o più genericamente di 'luogo dove crescono piante adatte a fornire pali'. Infatti, ancora oggi
si chiama màtero il pollone di castagno, utilizzato per fare pali per le viti. Infine, il termine potrebbe
risalire ad una origine celtica mattaris / mataris / matara con il significato di giavellotto. Si può
quindi ipotizzare una base celtica originaria *mattàl / mattàr col significato di palo o asta.
Monte Cornia.
Monte posto in Val Baganza il cui toponimo sembra essere di origine pre-romana o celto-ligure e
derivare da Corn ovvero roccia.
Pagazzano.
L'abitato di Pagazzano è posto su un crinale a circa 695 metri d'altitudine con esposizione
prevalente a ovest. La pronuncia dialettale è Pagasàn (s sorda). Il toponimo deriverebbe da un
prediale proveniente dal gentilizio romano Picatius. All'origine potrebbe quindi esservi un * fundus
Pacatianus.
Passo della Cisa.
Potrebbe derivare da Incisa ovvero taglio nella roccia o nel monte o nel fianco della vallata.
Pellerzo.
Il toponimo forse è derivato dalla radice latina pal ovvero montagna.
Perneto.
Potrebbe derivare dal fitotoponimo Piruletum da pirulus ovvero pero corvino.
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Pietramogolana.
Da petra e legato quindi alla rupe ofiolita. Mogoliana invece deriva dall’andronimo Mogolius.
Documentata per la prima volta nel Giudicato di Arioaldo (626-636) in cui viene indicata come uno
dei confini del Gastaldo piacentino.
Razzola.
Il nome corrisponde alla località Razzola, in dialetto Rasöla (con s sonoro), o anche al Rasöli. Si
tratta di una zona ampia, con molto bosco e una parte di coltivo, situata a sud-ovest di Pagazzano.
Razzola deriverebbe da Roationi. Il termine iniziale *rogationis è di origine tardo-latina,
probabilmente un *loca rogationis, col significato di luogo del taglio. La parola rogatio nell'Alto
Medioevo veniva utilizzato per indicare il taglio, nel nostro caso nel bosco. Roationi rappresenta
un’evoluzione del termine originale in cui si è verificata solo la caduta della g intervocalica, ma non
la fusione delle vocali. L'aggiunta del suffisso -ola è certamente avvenuta in epoca medievale,
portando a Ragiole o alle Regiole.
Rio delle Quaine.
Quaina significa banchina su corso d’acqua ed è di origine celto-ligure.
Roccaprebalza.
Le tre componenti del nome (rocca-pietra-balzo) indicano tutte il carattere scosceso del luogo. La
prima notizia si ha nel Libellus del 1218 in cui risulta che un certo Engezus de Lacu era stato
incarcerato in turri de Petrabarci.
Roncaglia.
Sede dell’Ospitale detto di Roncaglia, il toponimo deriva dal termine latino runcare di origine
medievale col significato di “dissodare un terreno”.
Scorza.
Il toponimo va ricondotto all’espressione *ex curtula, cioè parte della curtula e segnala quindi
l'esistenza di una curtis, con ogni probabilità quella di Pietramogolana che doveva estendersi sulle
due sponde del Taro.
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Stabi.
Da stabel, stabbia ovvero stalla. Nelle vicinanze vi è il toponimo Pian Cavallo che conferma la
vocazione della zona.
Tecchio dei Frassi.
Luogo presente a pochi metri dall’attuale passo della Cisa, lungo la via Francigena nell’area in cui
la strada scollina verso la Lunigiana. Il termine deriverebbe dal germanico taikna o dal gotico taikn,
o ancora dall’anglo-sassone tekan che significano segno, incisione, passo. Questo toponimo è molto
interessante poiché è riferibile ad aree di insediamento abitativo.
Tolara.
La Tolara è una collina situata alle spalle di Ghiare. Il toponimo Tolara ha alla base il termine latino
tegula cui è stato aggiunto il suffisso –ario che indicherebbe un posto dove si svolge un’attività. Ne
deriverebbe quindi tegulariam che vuol dire 'luogo dove si fabbricano le tegole'.
Valbona.
In dialetto è detto Verbona, per questo il toponimo potrebbe risultare di probabile origine celtoligure e deriverebbe dall’unione tra “ver” sopra e “bonne” limite, confine.
Vaccarezza.
Dal latino vaccaricia ovvero abitazione di vaccari. Si trattava probabilmente di una fattoria nella
quale, intorno all’VIII secolo, si praticava l’allevamento di bestiame.
Vercornara.
Toponimo di origine pre-romana, probabilmente Celto-ligure derivante da “Ver” + “Corn” che
significa sopra la roccia.
10.
ANALISI FINALI DEL DATO ARCHEOLOGICO .
Il territorio comunale di Berceto ha restituito numerosi dati archeologici e storici che possono
portare ad una definizione del livello di rischio e potenzialità archeologiche dell’area in questione.
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Bisogna prestare molta attenzione ai centri abitati, alcuni dei quali presentano una particolare
densità di segnalazioni e ritrovamenti.
Il capoluogo.
La struttura del paese è in gran parte ancora quella rappresentata dal Bembo nell’affresco nella
camera d’oro del castello di Torrechiara. I percorsi delle mura sono ripresi con precisione da Via
Ripasanta, Via Martiri della Libertà, Via Divisione Julia, Via Pellizzari, Via Marconi e dal piccolo
borgo parallelo a Vicolo della Marina. Osservando la morfologia di Berceto è possibile
comprendere che l’andamento della cortina muraria consentiva di sfruttare la parte più elevata e
sicuramente più stabile ai piedi della roccia madre che ospita il castello e i salti di quota verso la
Val Manubiola ad ovest ed il Brolo ad est.
Delle mura restano importanti avanzi in Via Divisione Julia e parte di una torre circolare (visibile
anche nell’affresco di Torrechiara). Altri brevi lacerti sono riconoscibili in altre zone ma in gran
parte sono stati inglobati nelle fondazioni degli edifici che ne seguono fedelmente l’andamento
lungo gran parte del percorso. Nulla rimane visibile delle porte, a parte quella di Tramontana messa
in luce durante i lavori per il recupero del Castello.
Un appunto particolare merita la parte centrale del paese dove troviamo il Duomo. Sappiamo,
infatti, che il dislivello tra l’attuale pavimentazione del Duomo e Piazza San Moderanno è di circa
3.80 metri. Da foto di archivio e dall’analisi delle architetture esistenti in Via Pier Maria Rossi e via
Romea (Via Francigena) è risultato che le soglie degli edifici di epoca rinascimentale avevano già la
quota attuale, ma è lecito ipotizzare in questa zona una crescita dei suoli, con conseguente
stratigrafia sepolta, sia per la continuità di vita sia per la raccolta di depositi ed infiltrazioni di acque
meteoriche che hanno causato problemi di stabilità al Duomo.
L’area denominata “il brolo” compresa tra Piazza Micheli (comunemente chiamata Piazza della
Marina) e Via Pellizzari (antica Via Rasa) ha restituito, nel corso degli anni, alcune segnalazioni
riassunte in questo lavoro. E’ ipotizzabile una frequentazione in epoca romana che potrebbe essere
confermata da adeguati controlli in corso d’opera, operazioni da sempre ignorate o escluse in fase di
programmazione. Quest’area, in origine esterna alle mura del paese, come è ben visibile dalle foto
d’archivio, è stata urbanizzata solamente a partire dalla fine del XIX secolo. Le testimonianze orali
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ci raccontano di grandi riporti di terra per rendere stabile il terreno paludoso con il risultato che
l’attuale livello di calpestio è ben diverso in alcuni punti da quello originale.
Le frazioni.
Le frazioni del comune di Berceto meritano un approfondimento a parte. Quasi tutte sono nuclei già
presenti nei secoli centrali del medioevo, con alcune testimonianze anche per l’Altomedioevo.
L’architettura e la conformazione di questi insediamenti è profondamente legata al contesto in cui si
trovano. Si è deciso, come già detto in precedenza, di elevare il rischio in queste aree anche in
assenza di segnalazioni archeologiche o evidenze materiali poiché tutte le frazioni di Berceto sono
menzionate già dal 1230. Difatti, il contesto appenninico, che ora appare periferico, in antichità era
al centro delle vicende socio politiche riguardanti il nord della penisola, dall’età del bronzo fino
all’unità d’Italia. L’alto grado di incastellamento, l’alta densità di abitati e la necessità di controllare
importanti vie di comunicazione è un dato che va tenuto in considerazione per effettuare una
corretta tutela.
Casaselvatica e Fugazzolo sono due centri posti sotto il displuvio tra Val Baganza e Val Parma sede
di importanti ritrovamenti di ambito Preistorico e Protostorico. Quindi, in sede di programmazione
di infrastrutture e grandi opere, andrà posta molta attenzione al fine di non ripetere gli errori
commessi nel passato.
Le due frazioni, così come l’insediamento sparso, conservano importanti testimonianze
architettoniche relative al Basso Medioevo oltre a numerose testimonianze nelle fonti antiche, tra
cui spicca la presenza, anche per questi insediamenti, di un Ospitale e di un Castello non ancora
individuati.
Castellonchio è posto sulla Via Francigena in una posizione dalla quale era possibile controllare la
media alta Val Baganza e la Val Grontone. L’abitato fiancheggia la strada e proprio lungo questa
strada sono conservati pregevoli esempi di architettura di XV e XVI secolo. La posizione del
Castello, su un’altura a nord dell’abitato, è ideale per controllare sia la più importante via del
Medioevo che altri insediamenti fortificati oltre a tutta la zona orientale del territorio Bercetano.
Tra il Taro e la Manubiola si trovano una buona densità di siti storico-archeologici che se da un lato
testimoniano l’antichità dell’abitato dall’altro ci restituiscono, grazie ai dati acquisiti da survey,
importanti suggerimenti sull’organizzazione di questa grande area soprattutto in epoca medievale.
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
Lozzola con i suoi due nuclei ha restituito importanti dati durante ricognizioni di superficie ed altri
ne arriveranno sicuramente in futuro. Un grande edificio fortificato potrebbe essere il Castello di
Bergotto, frazione in Val Manubiola, già citato nel IX secolo così come alcune località vicine.
Corchia appare come un insediamento medievale organizzato come ricetto fortificato posto a
ridosso dei valichi appenninici e a valle del crinale. Su quest’ultimo in sede di survey sono state
riscontrate frequentazioni medievali e indizi della presenza di un castello (citato nel 1107) che
doveva probabilmente controllare una importante percorrenza alternativa alla Via Francigena. Lo
stesso discorso vale per Valbona, abitato posto dall’altra parte del crinale.
Pietramogolana in Val Taro è citata assieme al castello già nel VII secolo, Roccaprebalza nel VIII
secolo, mentre Pagazzano e Casacca già dal X secolo.
Le percorrenze di crinale.
Le percorrenze di crinale, naturali vie di comunicazione ed insediamento soprattutto nella preprotostoria e nel medioevo, andranno monitorate con molta attenzione alla luce delle esperienze
passate legate ai grandi lavori per infrastrutture e linee elettriche o alla posa di metanodotti. Ad
esempio la posa di impianti eolici potrebbe pregiudicare la conservazione del patrimonio
archeologico a causa del conseguente impatto sul territorio. Quindi sarebbe opportuno valutare tutti
i passaggi necessari per la tutela dei dati archeologici, già nelle fasi di programmazione di queste
grandi opere.
Il crinale tra Baganza e Parma, che costituisce anche il limite tra Berceto e Corniglio ad est e
Berceto e Calestano a sud, è stato in parte indagato in occasione dei lavori per il metanodotto Snam.
Questo territorio difatti presenta alcuni interessanti siti e percorrenze preistoriche; inoltre,
l’insediamento alle pendici dello spartiacque, in gran parte di origine medievale, è diffuso
capillarmente.
Molto interessante è il crinale che si trova tra i due rami del torrente Manubiola comunemente
chiamati Manubiola di Corchia e Manubiola di Valbona. Questa formazione che prende il nome di
Groppo di Simone e Rondanara separa i due nuclei medievali, dei quali Corchia ha origine
sicuramente altomedievale. La via di crinale permette ancora oggi di giungere direttamente al valico
della Cisa per chi viene dall’alta Val Taro.
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La superficie dell’intero paese di Berceto, fino a comprendere l’area del crinale tra il fortino e San
Genesio, deve essere considerata ad alto rischio archeologico per le numerose testimonianze
archeologiche presenti e le potenzialità che le segnalazioni orali suggeriscono per alcune aree, dalle
quali provengono anche ritrovamenti sporadici.
La viabilità.
L’asse viario antico più importante corrisponde in grande parte alla via Francigena. Sono emersi, sia
dall’analisi degli antichi statuti che dalla ricognizione diretta, dati molto interessanti sulla grande
opera di organizzazione viaria a partire dai secoli centrali del Medioevo. E’ stato possibile
individuare un controllo continuo, durante le diverse epoche storiche, dello stesso asse della via
Francigena di epoca medievale, unito ad altre percorrenze di crinale parallele e sulle quali si
impostavano vie di comunicazione, nuclei abitati e fortificazioni per il controllo strategico dell’area.
Da citare a tal proposito, in senso diacronico, il Castello di Castellonchio, il Castello di Berceto, il
Castellaro di Vendronara-Pianelli, le fortificazioni presenti a monte della località Felegara e quelle
citate dalle fonti sul passo della Cisa.
Dati interessanti paiono arrivare anche dalle recenti ricerche eseguite sul Monte Valoria, che
potrebbero far ipotizzare un percorso alternativo al passo della Cisa attuale. Non lontano da questo
vi è il passo naturale vicino al Groppo del Vescovo al quale fa riferimento, probabilmente, Case
Rombecco, edificio posto sulla strada che sale dalla Val Baganza e che potrebbe essere un
avamposto di controllo di questa percorrenza. Il rischio, quindi, che elettrodotti, metanodotti ed
altre grandi opere possano compromettere contesti di interesse storico archeologico è da tenere in
grande considerazione.
Si è già accennato alla percorrenza che dalla Val Manubiola porta al Passo della Cisa seguendo un
percorso di crinale parallelo alla Francigena.
Per quando riguarda le percorrenze intravallive, è molto interessante la direttrice che dal cornigliese
e dalla Maestà di Graiana arriva a Fugazzolo e da qui attraversa la Baganza per scendere verso i
bacini di Manubiola e Grontone. In ricognizione sono stati individuati alcuni assi viari antichi di
origine quantomeno medievale ed abbandonati a partire dal XIX secolo: a Lozzola, Pellerzo e
Corchia (tratti relativi ad un asse viario che portava dalla Val Taro attraverso la Val Manubiola fino
al Passo della Cisa), ed infine a Roccaprebalza dove, alle spalle del picco ofiolitico, è ben visibile il
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Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
percorso dell’antica strada che poi attraversava il Rio di Roccaprebalza per andare verso Pagazzano
e da qui a Pietramogolana.
N°
SCHEDA
LOCALIZZAZ.
DEFINIZ.
EPOCA
INDIVIDUAZ.
AFFIDA
BILITA’
1-01
Pietramogolana
Castello
VII sec.
Alto Medioevo
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
1-02
Pietramogolana
Nucleo medievale
5-02
Villa del castello
Lozzola
5-03
Villa del castello
Lozzola
VII
secolo
Medioevo
Medioevo
Nucleo medievale
XII Sec.
Linea di caduta con Basso
materiali di XV - Medioevo- Post
XVI secolo
Medioevo
Linea di caduta con
materiali preistorici
5-04
Costa
della
Guardia strada
Strada
medievale
5-05
Lozzola
Nucleo medievale
5-06
Bussetolo
Nucleo medievale
6-01
Castellonchio
Castello
Medioevo
6-02
Castellonchio
Nucleo medievale
Medioevo
XII secolo
6-03
Case
Alvara
Pagazzano
6-04
Pagazzano
Complesso religioso
XV-XV secolo
medievale
Medioevo
Nucleo medievale
XII secolo
Noto,
fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Survey
Olari Malaraggia
2012
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Survey
Olari Malaraggia
2012
Noto,
fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Survey
Olari Malaraggia
2012
Noto,
fonti
archivistiche
Già conosciuto,
analisi muraria
Noto,
fonti
archivistiche
Edificio di culto
Post medievale
Esistente
Alta
Tomba con corredo
Cava di selce
Accampamento
stagionale
Accampamento
stagionale
Età del Ferro
Paleolitico
Edita
Edita, Ghiretti
Edito,
Bernabà
Brea
Edito,
Bernabà
Brea
Esistente,
Fonti
archivistiche
Alta
Alta
5-01
Casacca
7-01
7-02
San
Rocco
Pagazzano
Sepoltura, Casino
La Riva
7-03
Monte Scarabello
7-04
Le Pietre
7-05
Piovolo
Casasalvatica
6-05
basolata
Edificio religioso
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Medioevo
Medioevo
XII secolo
Alto Medioevo
IX secolo
Mesolitico
Mesolitico
Medioevo
XIII secolo
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Buona
Buona
Buona
Media
Buona
Buona
Buona
Buona
Alta
Alta
Alta
Alta
Alta
Alta
71
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
7-06
7-07
7-08
8-01
8-02
9-01
9-02
Santa
Maria
Maddalena
de
Pazzi Gavazzolo
Casino
Pallavicino
Casaselvatica
San
Bernardo
Selci
San
Bernardo
Oratorio
Costa
della
Guardia
Castello
di
Roccapreblza
Complesso religioso
Basso Medioevo
medievale
Esistente,
Fonti
archivistiche
Alta
Palazzo
XVI secolo
Esistente
Alta
Nucleo medievale
Medioevo
XII secolo
Noto,
fonti
Buona
archivistiche
Frequentazione
Preistoria
Edito, Ghiretti
Edificio religioso
XVII secolo
Punto
osservazione
di
Medioevo
Castello
XI secolo
Noto,
fonti
archivistiche
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Noto,
fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Buona
Alta
Media
Alta
9-03
Pellerzo
Nucleo medievale
X secolo
9-04
Chiesa
Roccaprebalza
Edificio religioso
XII secolo
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Alta
9-05
Linea di caduta
Roccaprebalza
X-XV secolo
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Alta
9-06
Linea di caduta
Roccaprebalza
Preistoria
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Media
Ceramica medievale
in
giacitura
secondaria
Diaspro scheggiato
in
giacitura
secondaria
Grande coppella su
masso
Insediamento
medievale
Roccaprebalza
coppella
San
Rocco
Corchia
Bergotto Ca' La
Edificio Fortificato
Torre
Vena d`oro di
Sito minerario
Cattaia
San
Rocco,
Edificio religioso
Pellerzo
Preistoria,
protostoria
9-12
Corchia
Nucleo medievale
X secolo
9-13
Bergotto
Nucleo medievale
X secolo
9-14
Valbona
Nucleo medievale
XII secolo
Noto,
fonti
Buona
archivistiche
9-15
Roccaprebalza
Nucleo medievale
VIII secolo
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
9-07
9-08
9-09
9-10
9-11
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Medioevo
Medioevo
XVI secolo
XVIII secolo
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Noto,
fonti
archivistiche
Alta
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Media
Alta
Alta
Alta
Alta
Alta
Alta
72
Piano strutturale comunale. Carta del rischio archeologico.
10-01
Castellaro
Roccaprebalza
Sito fortificato
Alto Medioevo
Edito, Ghiretti
Alta
10-02
Castello Berceto
Castello
VIII-XIX
Noto,
indagato
archeologicament
e, fonti antiche
Alta
Sito fortificato
Alto Medioevo
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Alta
Pozzo sacro
Alto Medioevo
Fonti
archivistiche
Buona
10-03
10-04
10-05
10-06
10-07
10-08
10-09
10-10
10-11
10-12
Castellaro
Vendronara
Pianelli
Pozzo di San
Moderanno
Berceto
Casa
Torre
Berceto
Duomo Berceto
Monete
via
divisione
Julia
Berceto
SS
Trinità
Berceto
Xenodochio
di
San
Giovanni
Berceto
Xenodochio
di
San Niccolò da
Tolentino
Berceto,
Torre
Medievale presso
Fortino
Berceto, Fortino
Napoleonico
10-13
Monete romane
SC Berceto
10-14
Palizzate lignee
Savani Berceto
10-15
Berceto Monete
Romane
Bocciofila
10-16
Gladio Romano
Palazzo di origine
Noto,
fonti
XIV secolo
Alta
medievale
archivistiche
VIII
–
XV Noto,
fonti
Edificio religioso
Alta
secolo
archivistiche
Monete d’argento
-
Segnalazione
orale
Ospitale
XIII secolo
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Xenodochio
XIV secolo
Fonti
archivistiche
Media
Xenodochio
XV secolo
Fonti
archivistiche
Bassa
Torre d’avvistamento
XV secolo
Survey
Olari
Malaraggia 2012
Buona
Forte semicircolare
XIX secolo
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Epoca romana
Segnalazione
orale
Bassa
Epoca romana?
Segnalazione
orale
Bassa
III secolo d.C
Edito, Bertozzi
Media
Epoca romana
Museo
del
Duomo di Berceto
Media
Numero indefinito di
monete
con
SC
"senatus consultum "
Palificazioni lignee
individuate durante
la costruzione di un
edificio
3 monete di III
secolo
d.C
individuate durante
la costruzione di un
edifico
Gladio
rinvenuto
all’esterno
della
Porta dei Canòni
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Bassa
73
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10-17
10-18
San
Genesio
Berceto
Vezzara
Medioevo
10-19
Vezzara Preistoria
10-20
Mura Orientali
10-21
Mura meridionali
e porta
10-22
Mura occidentali
e porte
10-23
10-24
Edificio religioso
XV secolo
Ceramica in aratura
X- XVII secolo
Selce scheggiata
Preistoria
Mura
di
San
Giovanni, porta dei Medioevo
Canòni
Torre circolare, porta
Medioevo
di Co’ di Campo
Porta di tramontana,
porta del Pozzo di Medioevo
San Moderanno
Madonna
della
Edificio religioso
Quercia Berceto
Fugazzolo
di
Nucleo medievale
sopra
XVI secolo
XII secolo
10-25
Fugazzolo di sotto
Nucleo medievale
XII secolo
10-26
Ponte Fugazzolo
Ponte a
d’asino
XVI secolo
13-01
13-02
13-03
Hospitale di San
Donnino
Xenodochio
Roncaglia
Hospitale di Santa
Maria della Cisa
schiena
Ospitale
XIV secolo
Xenodochio
XIV secolo
Ospitale
IX secolo
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Survey
Olari
Media
Malaraggia 2012
Survey
Olari
Bassa
Malaraggia 2012
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Noto,
fonti
Alta
archivistiche
Noto,
archivistiche
Noto,
archivistiche
Noto,
archivistiche
Noto,
archivistiche
Fonti
archivistiche
Fonti
archivistiche
Fonti
archivistiche
fonti
fonti
fonti
fonti
Alta
Buona
Buona
Alta
Bassa
Buona
Buona
13-04
Area archeologica
di epoca romana
del Valoria
Fornace romana, area
Epoca romana
sacra, strada
In corso di scavo,
Alta
Ghiretti
13-05
Selci Valoria
Nucleo di selce
Preistoria
Edito, Ghiretti
Buona
14-01
Focolare
Ghiretti
Frammenti ceramici
Età del Ferro
Edito, Ghiretti
Media
14-02
Monte cavallo
Selci scheggiate
Preistoria
14-03
Case Fioritola
Frammenti ceramici
Età del Bronzo
14-04
Felegara
Sito fortificato
Medioevo
14-05
Rombecco
Edificio fortificato
Medioevo
Ligure
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Survey
Olari
Malaraggia 2012
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Segnalazione
orale
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Alta
Bassa
Bassa
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11.
INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI RISCHIO ARCHEOLOGICO.
Una "Carta del Potenziale Archeologico" del Comune di Berceto deve costituire uno strumento
fondamentale non solo per la conoscenza e la tutela del patrimonio archeologico sepolto, ma
soprattutto per la pianificazione urbanistica e territoriale. La valutazione del potenziale archeologico
è da considerarsi un elemento imprescindibile per orientare le politiche di governo del territorio.
La Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna ha il compito di tutela e
valorizzazione del patrimonio archeologico di Berceto, fornendo indicazioni sull’approccio da
tenere in ambito preventivo o in corso d’opera durante eventuali lavori. Inoltre, spetta proprio alla
Soprintendenza approvare gli elaborati progettuali prima della consegna definitiva.
Nella cartografia relativa alla presente relazione sono state distinte delle aree di rischio, lasciando
però alla Soprintendenza stessa la competenza di definirne il grado, l’importanza e il tipo di
approccio utile.
Le macroaree definite sono:

Aree a rischio accertato, ovvero le aree dove sono stati individuati con precisione siti
archeologici noti o di nuova acquisizione, emergenze, segnalazioni, tutti raccolti nelle
schede allegate alla relazione.

Aree a rischio diffuso, ovvero le zone limitrofe alle aree sopra descritte o all’interno di
contesti tali per cui è molto probabile la presenza di evidenze archeologiche.
Il resto del territorio comunale presenta anch’esso interessanti testimonianze di carattere storico e
documentale ed il fatto che non sia compreso nelle aree a rischio non significa assolutamente che
non vi siano possibili siti archeologici. L’indagine fin qui condotta è stata realizzata sulla base dei
dati editi e di quelli recuperati nell’ultimo anno di ricognizioni di superficie, quindi in futuro si
dovrà porre particolare attenzione nelle zone dove compaiono dei vuoti, che potrebbero essere
dovuti ai dati parziali ed in continua evoluzione tipici delle carte archeologiche.
Se per indicare il rischio e/o la potenzialità archeologica delle aree a rischio accertato sono
sufficienti le schede e la relazione presente, per le altre aree definite a rischio diffuso è opportuno
fare qualche precisazione.
Sono stati compresi in quest’area i seguenti contesti:

Area di crinale sullo spartiacque tra Toscana ed Emilia, ovvero il confine sud del Comune di
Berceto. Su questa fascia sono numerose le aree archeologiche note, numerose le
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attestazioni in antico non ancora individuate archeologicamente e grande è il rischio se si
pensa che sono in programma la costruzione di parchi eolici come quello Cisa-Cirone e
l’adeguamento di altre grandi opere come gasdotti, elettrodotti, strade.

Area di crinale tra Parma e Baganza e confine con il Comune di Corniglio ad Ovest. E’ una
zona già di grande interesse per i ritrovamenti e i problemi sorti in passato (danni causati al
patrimonio archeologico e vertenze legali legate al Metanodotto Algerino). L’area è anche
interessata da percorrenze transvallive tra Val Parma e Val Baganza, dall’alta Val Bagnza
verso i valici del Groppo del Vescovo, verso la via Francigena nel tratto compreso tra
Felegara e Valoria.

Via Francigena. Tutto il percorso della via più importante del medioevo italiano presenta
zone di estremo interesse dal punto di vista archeologico, con una densità che comprova la
grande attenzione che va riposta nella tutela di questo grande asse viario. Inoltre le fasce
limitrofe possono comprendere spesso ospitali, fortificazioni, ricetti difensivi o nuclei di
origine medievale.

Area di crinale tra Manubiola e Grontone comprendente San Genesio (nucleo con edificio
religioso di origine medievale), la località Torre, il Monte Castellaro (fortilizio
altomedievale) ed infine il paese di Roccaprebalza.

Costa tra Corchia e il Passo della Cisa, ovvero un’area interessata da una percorrenza
sicuramente medievale e posta tra il borgo minerario di Corchia e Valbona. Su questo
crinale sorge probabilmente il castello citato nelle fonti e di cui rimane traccia nella
toponomastica. La strada basolata identificata da survey è da considerarsi un’alternativa alla
via Francigena canonica. Inoltre, sullo stesso crinale sono stati segnalati altri siti medievali e
postmedievali.

Area che comprende i nuclei di Lozzola, Villa del Castello, Costa Bandita, Costa della
Guardia e Pellerzo. L’importanza di questa zona è data sia dalle segnalazioni sia dalle
percorrenze che dal Taro portano verso Bergotto – Corchia e quindi verso i valichi
appenninici.

Pietramogolana, Pagazzano e zone limitrofe, poste su una direttrice che da Pietramogolana
portava fino a Roccaprebalza.

L’area di Casaselvatica.

Area attorno al Casino cinquecentesco della Famiglia Pallavicino. In questa fascia è stata
trovata la nota “tomba di Casaselvatica”. La presenza, inoltre, dell’ex chiesa di Santa Maria
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Maddalena de Pazzi a Gavazzolo e di un tratto dei Salti del Diavolo testimoniano un grande
interesse dal punto di vista archeologico e sacrale della zona.

I due nuclei di origine medievale di Fugazzolo e il ponte rinascimentale posto su una strada
che da Corniglio portava a Berceto attraversando il crinale e scendendo in Val Baganza.
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