Quelli grossi scappano sempre - Il Pensiero Scientifico Editore

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Quelli grossi scappano sempre - Il Pensiero Scientifico Editore
Quelli grossi scappano sempre
“Quelli grossi scappano sempre”. Questa frase di Raymond Carver
continuava a girarmi nella testa proprio nei giorni in cui con Michele
Tansella convenivamo infine sull’opportunità di affidare alla Cambridge
University Press la cura editoriale della rivista Epidemiologia e Psichiatria
Sociale. “Quelli grossi scappano sempre”, scriveva infatti Carver in un
commento ad un racconto di William Humphrey e si riferiva alla
vicenda di un uomo “che prende all’amo e poi si lascia scappare il Pesce
Grosso, e non attraversa nessuna crisi. Anzi, scopre che la sua vita ha
acquistato più spessore e ricchezza da questa esperienza”.
“Quelli grossi scappano sempre” ed è del tutto evidente che la mia
mente associasse questa frase ad un evento – la rinuncia ad un
“prodotto” importante – spesso vissuto in maniera sofferta all’interno
di una azienda editoriale. Ma proprio dalla lettura di quel piccolo libro
introdotto da Carver nell’edizione italiana arrivavano parole di
conforto, tali da restituire una giusta misura di serenità ad una scelta
fatta nell’interesse degli autori e dei lettori. Una scelta confortata dalla
convinzione di aver comunque ricavato “spessore e ricchezza”
professionale e umana da questa esperienza.
Il “piccolo libro” annotato da Carver ha il titolo My Moby Dick sia
nell’edizione originale sia in quella italiana ed è stato sul comodino le
pochissime sere necessarie alla sua lettura. Il libro più in alto di una pila
sempre pericolante nella quale il Moby Dick di Melville ha invece un
posto stabile, necessario alla frequente rilettura dei brevi e
fondamentali capitoli. Una rivista, a diciannove anni, lasciava la casa
editrice, avendo raggiunta una maggiore età che rendeva forse
opportuno il superamento di un orizzonte nazionale ormai
PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DEL SUICIDIO
x
condizionante. Ma presto una suggestione nuova veniva a sollecitare
riflessione e progettualità.
Si trattava di pensare a dei Quaderni. E, come sa chi gioca a Scarabeo,
quando c’è di mezzo la Q le cose si complicano. O, al contrario,
diventano più semplici, perché le opzioni si riducono e i percorsi
diventano (quasi) obbligati e diverse di queste strade – non solo nei
giochi di parole – portano al Moby Dick e alla Nantucket quacquera
piena proprio di Q. Ed è così che l’Editor e il Pensiero hanno deciso
che proprio il PEQUOD avrebbe potuto essere la nave sulla quale partire
per una nuova avventura. Una nave destinata da ospitare Quaderni,
come mappe per approfondire e comprendere l’epidemiologia
psichiatrica italiana.
E sono ancora le pagine di Melville che, nel capitolo 64, illuminano su
utilità e senso della “carta”. Questo, infatti, il termine scelto da Cesare
Pavese per tradurre la parola chiave del libro, map. La carta gualcita che
Achab svolge sul tavolo (“avvitato”, precisa, quasi a contrapporre la
saldezza della determinazione del protagonista alla ondivaga
mutevolezza del mare). Carta che il capitano annotava febbrilmente
con segni di matita a indicare maree, correnti e derive del cibo; per
giungere, scrive Melville, a “ragionevoli congetture, quasi a certezze”
capaci di guidare la sua caccia.
Era il 1851. Lo stesso anno in cui il luogotenente Matthew Maury
dell’Osservatorio nazionale di Washington annunciava la preparazione
di una mappa dell’oceano frutto del lavoro condiviso delle navi che
solcavano il Pacifico: ciascun ammiraglio inviava la propria carta
geografica al termine della traversata e le note di tutti contribuivano
alla definizione di una meta-mappa sulla quale basare le ricerche e le
navigazioni successive. Sarebbe bello se PEQUOD sollecitasse
contributi utili e originali, per giungere a “ragionevoli congetture, quasi
a certezze” sui percorsi da seguire per arrivare ad una salute mentale
migliore per i cittadini del nostro paese.
Luca De Fiore