Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è
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Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è
4 Tecnologia, innovazione, operations Dal punto di vista macroeconomico, Robert Merton Solow è stato il primo studioso che ha aiutato a comprendere il portato della tecnologia nell’ambito del sistema economico. Grazie ai suoi studi seminali sulla produttività dei sistemi economici, che lo hanno insignito del premio Nobel nel 1981, lo studioso americano è riuscito a illustrare l’impatto complessivo dell’innovazione tecnologica ai fini della formazione del PIL di un paese. Quello che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, veniva rilevato negli studi economici sulla crescita del prodotto interno lordo di un paese come «residuo» statistico, ovvero la componente di crescita non spiegata, fu per la prima volta ascritto al progresso tecnico nel celebre studio relativo alla crescita del PIL pro capite statunitense fra il 1909 e il 1949 (Solow, 1957). Sulla base dell’indagine pluriennale emergeva come l’innovazione tecnologica avrebbe aiutato ad aumentare la produttività che si può ottenere da una determinata quantità di fattori di produzione, intesi questi ultimi in termini di capitale e lavoro. Il «residuo di Solow» rappresenta quindi una pietra miliare dell’economia; ed è anche grazie a Solow se oggi la politica economica dei paesi è impostata sulla comprensione dell’evoluzione tecnologica e sul miglioramento della qualità dell’innovazione tecnologica. A questo proposito la Fig. 1.1 descrive la crescita del PIL pro capite di una serie di economie a diverso grado di modernizzazione. La rilevanza della tecnologia a livello nazionale e internazionale ha portato l’Unione Europea a definire specifici parametri di crescita di sviluppo il cui Figura 1.1 Il PIL pro capite nell’orizzonte temporale 1971-2003 Dollari 30.000 Economie sviluppate Mondo Economie in sviluppo 15.000 5.000 0 1971 Fonte: Schilling (2005) 1983 1991 2003 5 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa rispetto potrà essere foriero di importanti risultati a livello macroeconomico. In particolare, la strategia di Lisbona, definita durante il Consiglio Europeo del 2000, si propone di far divenire l’Europa, entro il 2010, «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile – possibile attraverso competitività, innovazione e promozione della cultura imprenditoriale e così via – con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale» (Consiglio Europeo di Lisbona, marzo 2000, paragrafo 5). Sono tre gli strumenti chiave, strettamente interrelati, sui quali strutturare e implementare le azioni volte al raggiungimento di un simile traguardo: la scienza, la tecnologia e l’innovazione. In tale direzione, tra i diversi obiettivi preposti, sono due ad assumere una particolare rilevanza: il raggiungimento entro il 2010 di un livello medio di spesa in Ricerca & Sviluppo pari al 3 per cento del PIL e una forte accelerazione del processo di riforma strutturale ai fini della competitività, e soprattutto dell’innovazione, del sistema1. La spesa in R&S è un classico e naturale indicatore di crescita di competitività di un paese nel lungo periodo. Se l’innovazione è, infatti, il cuore della produttività di un paese, l’investimento in R&S ne costituisce una delle chiavi strategiche. Il grafico espresso in Fig. 1.2, con riferimento a quest’ultimo punto, evidenzia Figura 1.2 Spesa in Ricerca & Sviluppo (percentuale del PIL, 2004) 5 4 3 2 1 Per informazioni più analitiche si rinvia alla fonte: www.governo.it. Messico Grecia Polonia Turchia Portogallo Spagna Repubblica Slovacca Fonte: http://www.oecd.org/home Ungheria Italia Nuova Zelanda Irlanda Australia Repubblica Ceca Norvegia Paesi Bassi Lussemburgo Media Europa a 25 Belgio Regno Unito Francia Canada Media OCSE Austria Svizzera Germania Danimarca Corea del Sud Islanda Stati Uniti Giappone Svezia 0 Finlandia 1 6 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 1.1 Livello medio di spesa in Ricerca & Sviluppo come percentuale del PIL (1994-2004) EU (25 paesi) EU (15 paesi) 1994 — 1,89 1995 1,85 1,88 1996 1,83 1,87 1997 1,82 1,87 1998 1,83 1,87 1999 1,87 1,92 2000 1,89 1,94 2001 1,93 1,98 2002 1,93 1,98 2003 1,92 1,97 2004 1,90 1,95 * I dati riportati nella tabella sono stime e valori previsti elaborati da Eurostat Fonte: http://epp.eurostat.cec.eu.int/portal/page una situazione fortemente articolata e differente tra i diversi paesi dell’Unione Europea: la Svezia e la Finlandia, per esempio, registrano una percentuale di spesa perfino maggiore dell’obiettivo del 3 per cento di cui si è detto sopra, mentre l’Italia non riveste evidentemente una posizione di rilievo. La Tab. 1.1, inoltre, mostra una percentuale media di spesa (EU-25) che dal 2001 si attesta intorno all’1,92 per cento e che risulta essere non solo inferiore, per più di un punto percentuale, dall’obiettivo preposto, ma anche, in un panorama competitivo sempre più globale, dai valori registrati dagli Stati Uniti (2,7 per cento nel 2003) e dal Giappone (3,1 per cento nel 2002). Come si può osservare, la situazione europea che emerge non sembra essere tra le più rosee. A questo proposito in European Innovation Scoreboard e la posizione dell’Italia si forniscono una serie di dati puntuali legati a questo tema. European Innovation Scoreboard e la posizione dell’Italia Al fine di una visione più completa, è possibile dare uno sguardo, tra le altri fonti, ai dati prodotti nell’ambito dell’European Innovation Scoreboard (EIS) – il quadro di valutazione 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa 7 Figura 1.3 Il Summary Innovation Index 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 Turchia Romania Malta Lettonia Grecia Repubblica Slovacca Polonia Bulgaria Repubblica Ceca Lituania Portogallo Cipro Spagna Ungheria Slovenia Estonia Italia Norvegia Irlanda Media Europa a 25 Lussemburgo Islanda Francia Media Europa a 15 Regno Unito Paesi Bassi Belgio Austria Germania Stati Uniti Danimarca Giappone Finlandia Svizzera Svezia 0,0 Fonte: http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2005/pdf/EIS%202005.pdf (costituito da 26 indicatori) dell’innovazione predisposto dalla Commissione Europea in seguito al Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 – in cui l’innovazione è stata identificata come una priorità dell’Unione (www.cordis.lu). Se a un livello di media di singoli indicatori emergono alcuni risultati confortanti, gli indicatori sintetici, che riassumono il potenziale complessivo di innovazione, non risultano così positivi se confrontati, a livello globale, con gli altri paesi (quali, per esempio, il Giappone e gli Stati Uniti). Gli indicatori dell’EIS, infatti, una volta aggregati, forniscono un indice sintetico: il Summary Innovation Index (SII), e quest’ultimo, riportato di seguito, evidenzia – a livello comunitario – una palese posizione di singoli innovation leader di paesi quali la Svezia, Finlandia, Danimarca e Germania, e colloca l’Italia in una posizione intermedia (Fig. 1.3). La posizione non peculiare dell’Unione Europea, nell’ambito di un quadro in cui è stata riconosciuta la stretta connessione della spesa in Ricerca & Sviluppo al tessuto socio-economico di un paese e il ruolo chiave dell’innovazione tecnologica nel sostenimento di una competizione sempre più globale tra i paesi, merita però, con riferimento all’Italia, un’ulteriore osservazione. Distaccandosi da una analisi di sintesi, è interessante porre attenzione, infatti, su uno dei 26 indicatori, singolare rilevatore del livello dell’innovazione tecnologica di un paese: la vendita di prodotti innovativi al mercato. Sebbene l’Italia non si sia distinta, negli ultimi anni, quale un paese fortemente investitore in Ricerca & Sviluppo, è emersa, però, come interessante «innovatore» (si veda la Tab. 1.2) registrando, nel 2005, uno dei valori percentuali più alti tra i diversi paesi, e avendo già registrato, nel 2004, un valore pari a 9,5 per cento rispetto a una media europea (EU-15) del 5,9 per cento (http://www.innovazione.gov.it/). Questo risultato trova giustificazione nell’esistenza – all’interno del tessuto industriale italiano – di una creatività e capacità di innovazione (di prodotto, di processo) «sommersa», non 8 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 1.2 Vendita di prodotti innovativi al mercato come percentuale sul fatturato industriale (2005) Media Europa a 25 n.a. Media Europa a 25 n.a. Belgio 5,1 Media Europa a 15 n.a. Repubblica Ceca 1,4 Austria 7,6 Danimarca 5,9 Polonia 3,4 Germania 4,5 Portogallo Estonia 4,5 Slovenia Grecia 2,9 Repubblica Slovacca Spagna 4,5 Finlandia 5,1 Francia 5,8 Svezia — Irlanda — Regno Unito 1,7 10,8 3,5 10,9 Italia 8,1 Bulgaria 2,1 Cipro 1,4 Romania 7,6 Lettonia 1,5 Turchia — Lituania 4,3 Svizzera — Lussemburgo 9,1 Islanda 2,0 Ungheria 0,8 Norvegia 1,9 Malta 4,8 Stati Uniti — Paesi Bassi 3,8 Giappone — Fonte: http://trendchart.cordis.lu/scoreboards/scoreboard2005/scoreboard_papers.cfm formalizzata, e quindi non facilmente valutabile e documentabile nei documenti ufficiali (per esempio, il bilancio d’esercizio). Se dal punto di vista macroeconomico la tecnologia rappresenta uno dei fattori portanti dello sviluppo, dal punto di vista industriale essa rappresenta l’ossatura di un settore. Essa infatti incide in modo evidente sulla produttività e dinamica industriale. Da una parte, la tecnologia contribuisce a plasmare e consolidare le barriere all’entrata che proteggono i concorrenti dagli operatori non presenti nell’industria; per esempio, l’analisi intertemporale della produttività dei settori rappresentati nella Fig. 1.4 e la difficoltà di ingresso negli stessi, seppur ascrivibile a diversi antecedenti, è dovuta, in buona sostanza, anche alle caratteristiche della 9 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa ROE-Ke Figura 1.4 La diversa produttività dei settori nell’ambito dell’economia statunitense (1978-1994) 20% 15% –15% 0 300 Fonte: Ghemawat (1999) Steel Airline Paper Software Automobile Retailing Oil Banks Chemicals Newspaper 200 Financial services 100 –10% Consumer electronic Food –5% House 0% Health Pharmaceutical Softdrink Tobacco Rubber 5% Machinery 10% 400 500 600 700 800 900 1.000 1.100 1.200 1.300 Media del capitale investito (miliardi di dollari statunitensi) tecnologia. Dall’altra parte, la dinamica tecnologica può evolversi in modo endogeno, rafforzando le barriere all’entrata illustrate nella figura (come è accaduto nel caso dei settori farmaceutico e automobilistico), oppure può comportare processi di convergenza intersettoriale che conducono a un intreccio strategico tra settori differenti. A questo proposito, la Fig. 1.5 evidenzia la recente convergenza di device nell’ambito delle tecnologie di comunicazione. I settori televisivo, informatico e telefonico hanno difatti, nel corso degli anni, subito un profondo processo di convergenza sia dal punto di vista delle infrastrutture che dei contenuti editoriali. La tecnologia, in sostanza, tanto dal punto di vista statico quanto dinamico rappresenta un fondamentale antecedente della struttura dei settori. Più precisamente, la ricerca seminale compiuta da Pavitt e più recentemente anche dai suoi colleghi (Pavitt, 1984; Tidd, Bessant e Pavitt, 1997) ha permesso di classificare i settori dell’economia a seconda delle uniformità tecnologiche di riferimento in: • • • • • supplier dominated; scale intensive; science based; information intensive; specialized suppliers. 10 Tecnologia, innovazione, operations Figura 1.5 La convergenza tecnologica nei sistemi di trasmissione, tecnologie di comunicazione e terminali di connessione Terminali/End device: Telefoni cellulari, Smartphone, Personal Computer, Personal Data Assistance (PDA), Personal Digital Assistant (PDA), TV, Notebook ecc. Tecnologie di comunicazione: Short Message System (SMS), Multimedia Message Service (MMS), Wireless Application Protocol (WAP), Voice over Internet Protocol (VoIP), Digital Audio Broadcasting (DAB), Linux ecc. Sistemi trasmissivi/Sistemi di networking Locali o Wireless Local Area Network (WLAN) Ad ampio raggio o Wide Area Network (WAN) Sistema di networking che connette End device presenti all’interno di un’area limitata. Le reti Wi-Fi costituiscono più diffuso di una tecnologia WLAN. Sistema di networking che connette End device presenti all’interno di uno Stato, continente o l’esempio nell’intero pianeta. Internet è un esempio di rete mondiale. Fonte: Prandelli e Verona (2006a) La Tab. 1.3 illustra le caratteristiche principali dei settori in questione e, sulla base della ricerca compiuta negli ultimi anni da diversi studiosi di economia industriale, identifica anche le principali fonti del vantaggio competitivo sostenibile nel breve e nel lungo termine con specifico riferimento alle traiettorie tecnologiche. A questo proposito, si può osservare come, nonostante la tecnologia presenti delle profonde specificità di natura settoriale, essa si caratterizzi altresì per delle uniformità che consentono di tagliare trasversalmente interi gruppi di settori. In particolare, è evidente la dipendenza della dinamica competitiva dalle caratteristiche industriali dei diversi settori, plasmate a loro volta dalla natura della tecnologia a disposizione negli stessi. • Agricoltura • Servizi • Produzione tradizionale Supplier dominated • • • • • Bulk material Consumo durevole Automobili Ingegneria civile Engineering Scale intensive • Elettronico • Chimico Science based Finanza Retailing Editoria Viaggi • Fornitori • Sofwtare • • • • Information intensive • Progettazione • Utenti chiave • Macchinari • Strumentistica • Software Specialized suppliers Risposta flessibile nei con- Diffusione di best practice Ottenimento di risorse Allineamento delle oppor- Forte legame con i lead fronti degli utenti nel design nella produzio- complementari tunità informatiche con user ne e nella distribuzione utenza Processi chiave Fonte: Tidd, Bessant e Pavitt (1997) Crescente impiego di IT in Integrazione incrementale Sfruttamento di ricerca di Progettazione e gestione Allineamento delle opporfinanza e distribuzione di nuova conoscenza base di complessi sistemi di tunità tecnologiche con trattamento dell’informa- utenza zione Sentieri evolutivi Vantaggio Non basato sulla tecnolo- Basato su efficienza e su Basato su prodotti com- Basato su continui nuovi Basato su monitoraggio competitivo gia standardizzazione plessi prodotti e servizi dei bisogni dei clienti • Ricerca & Sviluppo Principale • Fornitori • Fornitori fonte • Apprendimento nella • Apprendimento nella • Ricerca di base tecnologica produzione produzione • Ingegnerizzazione nella produzione Esempi di prodotti Settore Tabella 1.3 Le principali caratteristiche strutturali e traiettorie tecnologiche dei cinque settori in cui è articolabile il sistema industriale 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa 11 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa 13 Attività di supporto Figura 1.6 La value chain Infrastruttura dell’impresa M Human Resource Management ar g in Information Technology i Procurement Logistica in entrata Operations Logistica in uscita Marketing and Sales Customers support i in g ar M Attività primarie Fonte: Porter (1985); Grant (1999) Seguendo una rappresentazione tradizionale dell’impresa, intesa in qualità di catena del valore (Fig. 1.6), è possibile constatare come tutte le attività alla base della produzione di valore, siano esse attività primarie (ovvero logistica in entrata, produzione, logistica in uscita, marketing e vendite, servizi post vendita) o attività di supporto (infrastruttura, human resource management, sistemi informativi, acquisti), dipendano più o meno direttamente dalla tecnologia. Come si evince dalla Fig. 1.7, tutte le attività possono infatti essere svolte, o comunque sostanzialmente migliorate, grazie all’impiego di specifiche conoscenze tecniche, che le singole funzioni aziendali devono impiegare per la loro gestione. Il presidio delle conoscenze legate a quelle attività risulta rilevante per sostenere il vantaggio competitivo e pone la tecnologia al centro della creazione di valore. Anche nelle rappresentazioni più moderne dell’impresa, la tecnologia svolge un ruolo cardine, poiché è strettamente idiosincratica a tutti i prodotti e processi aziendali. Da una parte, infatti, i prodotti e servizi di cui un’azienda dispone in portafoglio si fondano su specifiche tecnologie. Ciascun prodotto e servizio è di norma scomponibile in tecnologie di base possedute da un’azienda (Fusfeld, 1978); è noto, per esempio, che tutti i prodotti presenti nel portafoglio di Canon all’inizio degli anni Novanta erano, da un punto di vista tecnologico, descrivibili sulla base di almeno una delle tre tecnologie distintive che hanno reso l’azienda giapponese una multinazionale di successo nel corso degli anni Ottanta: la meccanica di precisione, la microelettronica e l’ottica di precisione (Prahalad e Hamel, 1990)3. Seguendo una logica resource-based diventa, quindi, naturale attribuire centralità alla tecnologia in qualità di infrastruttura cardine dell’impresa. 3 Su questo punto, e su questa esemplificazione, si tornerà ampiamente nel capitolo 3. • Knowledge transfer e dissemination on line • Reporting delle spese e del tempo elettronico Fonte: Porter (2001) Logistica in uscita • Transazioni in tempo reale verso consumatori finali, distributori, clienti intermedi o personale di vendita • Termini automatizzati di contratti legati agli agreement con i clienti • Accesso della forza di vendita, del canale e dei partner allo sviluppo prodotti • Integrazione collaborativa con il sistema di pianificazione del cliente • Channel management integrato Operations • Informazione completamente integrata, relativa allo scambio, alla tempistica e al decision making della produzione interna • Informazione in tempo reale e perfettamente integrata relativa alle componenti e ai prodotti finiti da trasferire alla sales force e ai canali Logistica in entrata • Canali di vendita on line • Accesso alle informazioni sul cliente in tempo reale • Configuratori di prodotto on line • Push advertising • Accesso customizzato del cliente • Analisi on lined ei clienti prodotta in tempo reale Marketing e sales • Supporto al cliente attraverso sistemi di e-mailing e telemarketing • Customer selfservice attraverso il web site e i servizi intelligenti • Accesso della forza di vendita in tempo reale sui customers account Servizio post vendita • Requisiti a pagare automatizzati • Procurement diretto e indiretto attraverso marketplace, private e public exchange Procurement • Directories accessibili da tutte le partidell’azienda • Accesso alla R&S in tempo reale alle on line sales e ai servizi informativi • Scheduling, shipping, gestione magazzino, integrati in tempo reale all’interno dell’impresa e tra le imprese fornitrici e i clienti • Disseminazione all’interno dell’impresa di informazione completa e in progress, elaborata in tempo reale • Pianificazione della domanda basata su Internet • Link con i fornitori su acquisti, magazzino e sistemi diprevisione • Sviluppo dei prodotti tra diverse funzioni, diverse località geografiche e diverse catene del valore Information Technology • Amministrazione self service dei beneficiindividuali • E-learning per la formazione Human resource management • ERP basati sul web • Gestione delle relazioni on line Infrastruttura dell’impresa Figura 1.7 La tecnologia alla base della catena del valore 14 Tecnologia, innovazione, operations 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa 15 Figura 1.8 I processi gestionali che alimentano l’impresa in una concezione moderna Innovation Operations Economie di velocità Economie di scala CRM Economie di varietà Fonte: Hagel e Singer (1999) Dall’altra parte, la tecnologia informa i processi gestionali che alimentano nel corso degli anni la vita delle aziende. Per esempio, facendo propria l’articolazione d’impresa impostata sui processi di innovazione, operations e customer relationship management (Hagel e Singer, 1999), si può facilmente constatare come la tecnologia rappresenti il perno sui cui vengono gestite alcune delle scelte più delicate a livello aziendale (Fig. 1.8). Entrando più direttamente nel merito, il processo di operations, volto a preservare la continuità aziendale dal punto di vista tecnico-produttivo e l’efficienza economica dei processi di trasformazione fisico-tecnica, si basa sul conseguimento e sfruttamento delle economie di scala; il processo di customer relationship management, finalizzato a sviluppare nuove relazioni di mercato e a preservarle nel tempo con un’azione di marketing efficace, si fonda, invece, sulle economie di raggio di azione. Infine, il processo di sviluppo prodotti, legato al rinnovamento continuo del portafoglio prodotti aziendale e conseguentemente della stessa immagine dell’impresa, si basa sulla velocità ovvero sul conseguimento del time to market prima dei concorrenti. Ciascuno di questi tre processi, richiedendo una logica gestionale dedicata, dovrà basarsi su specifiche tecnologie di supporto sostanzialmente differenti. La relazione più diretta tra tecnologia ed economia d’impresa si riferisce anche al fatto che il vantaggio competitivo sostenibile è negli ultimi anni sempre più associato alla capacità di generare conoscenza e innovazione, ovvero di cambiare in modo dinamico la tecnologia di riferimento (Teece, Pisano e Shuen, 1997). Lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti e servizi sono quindi divenute, per le imprese, attività imprescindibili ai fini della crescita e del miglioramento continuo delle stesse. 18 Tecnologia, innovazione, operations cologici non sono solamente legate alle scienze biologiche, bensì anche di natura informatica. E difatti, negli ultimi anni, si è assistito a un impressionante incremento di esperti di informatica nei laboratori delle imprese farmaceutiche. Le peculiarità dei test su computer è giunta a portare alla formazione di nuove discipline, tra cui la chimica combinatoriale, che permette di creare migliaia di composti virtuali, e l’High Throughput Screening, che completa il procedimento, permettendo di effettuare screening su migliaia di composti. A questo proposito, si pensi che sino a qualche anno fa un laboratorio era mediamente in grado di sintetizzare 300 o 400 sostanze al mese. Oggi, invece, grazie alla chimica combinatoriale è possibile operare lo screening su addirittura 20.000 nuove sostanze al mese. Similmente, anche la capacità di High Throughput Screening sta crescendo a livello esponenziale. Mentre nei primi anni Novanta la tecnologia robotizzata permetteva di testare alcune migliaia di sostanze al giorno, oggi la media giornaliera è salita a più di 100.000 sostanze al giorno (per tutti si guardino i dati nell’ambito di www.phrma.org). In sintesi le tecnologie digitali favoriscono un costante presidio della conoscenza e rappresentano un importante strumento per l’innovazione. La tecnologia oltre quindi a dipendere dalla scienza dal punto di vista eziologico, ne è anche profondamente somigliante dal punto di vista del funzionamento e dell’evoluzione. Anzi, è interessante notare che le principali divergenze che si possono riscontrare dall’impiego di questa metafora evolutiva dipendono dal fatto che la scienza tende a essere interamente codificata poiché si riconduce al sapere astratto, mentre in realtà gran parte della conoscenza relativa alla tecnologia è meno articolata e quindi meno codificata, essendo parte delle esperienze e a volte anche delle conoscenze tacite (Dosi, 1982). Al pari dell’evoluzione scientifica, i fattori che incidono nella definizione di specifiche traiettorie tecnologiche sono rappresentati dalle imprese, dai mercati e dalle istituzioni in generale. A questo proposito è possibile ipotizzare in modo esplicito l’esistenza di una filiera cognitiva, volta alla produzione di valore che, dal sapere astratto del sistema scientifico, giunge sino al sapere concreto dell’ambiente operativo in cui operano le imprese (Fig. 1.9). Da un punto di vista storico, in effetti, in tutti gli stadi dello sviluppo del capitaFigura 1.9 La filiera cognitiva del capitalismo industriale Scienza Fonte: Di Bernardo e Rullani (1990) Tecnologia Organizzazione Mercato 1 • La tecnologia nel sistema economico e nell’economia dell’impresa 23 Intranet. Come infatti sostengono Watson e colleghi, mentre «Internet è una rete globale di reti [...] Intranet è un mini Internet separato che opera al solo interno dell’organizzazione» (Watson, Berthon, Pitt e Zinkhan, 2000, pp. 25-26). La separazione è resa possibile da sistemi di sicurezza (i cosiddetti firewall) che formano vere e proprie barriere protettive e limitano l’accesso al sistema. Tali sistemi consentono anche a diversi Intranet di entrare in contatto tra loro, formando le Extranet aziendali che permettono di collegare in sistemi di private exchange i sistemi informativi tra diverse imprese. La Fig. 1.10 illustra la filiera nel paradigma dell’era della connessione impostato sulla capacità di coordinamento virtuale. La rete basata su Internet, punta dell’iceberg del cambiamento in questione, fornisce da un punto di vista esemplificativo il laboratorio più concreto per comprendere le dinamiche su cui si proietta il nuovo paradigma. I mercati tendono sempre più a essere intesi come reti finalizzate allo scambio di conoscenza, quali luoghi di scambio di esperienza, e le imprese divengono un fondamentale contenitore, versatile e fungibile, ai fini della produzione della stessa. In estrema sintesi, anche all’inizio di questo nuovo millennio la tecnologia ha contribuito, come già accadde più di due secoli or sono, a plasmare la natura di impresa e mercati e, più in generale, continua a dare l’impulso evolutivo al sistema economico e industriale in cui sono immerse le imprese. Figura 1.10 Il nuovo paradigma: il management nell’era della connessione Scienza delle comunicazioni Fonte: Vicari (2001) Internet e ICT Impresa virtuale Mercati connessi 26 Tecnologia, innovazione, operations Tasso di innovazione Figura 2.1 La dinamica dell’innovazione di prodotto e di processo Innovazione di prodotto Innovazione di processo Tempo Fonte: Abernathy e Utterback (1978) Tabella 2.1 Le caratteristiche delle fasi di formazione della dinamica di innovazione di prodotto e di processo Caratteristiche Enfasi competitiva Fase fluida Aspetti funzionali del prodotto Informazioni sugli utenti e loro bisogni Fase di transizione Varietà del prodotto Opportunità derivanti dall’espansione delle capacità interne Tipo predominante di innovazione Innovazione di prodotto Innovazione di processo Linea di prodotto Diversi design Processo di produzione Flessibile e inefficiente Attrezzatura Generalista Materiali Generalisti da diversi fornitori Impianti Piccola scala Controllo organizzativo Informale Stimolo all’innovazione Fonte: Abernathy e Utterback (1978) Almeno un dominant design Accrescimento della rigidità Accrescimento dell’automazione in alcuni processi Accrescimento della specializzazione Accrescimento dimensionale Verso la formalizzazione Fase specifica Riduzione di costo Riduzione dei costi Incrementale sia nel prodotto sia nel processo Prodotti standardizzati Efficiente e rigida Specialista Specialisti Grande scala Strutturale 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia 29 Tabella 2.2 Una ricca esemplificazione relativa all’emersione di dominant design in diversi settori Categoria di prodotto Anno d’introduzione del prodotto Anno di affermazione del dominant design Descrizione dettagliata del dominant design 1. Drive floppy da 3,5 pollici 1979 1984 Sony’s design 2. AM stereo 1982 1986 Motorola’s C-Quam System 3. Audiocassette player 1962 1969 Philips’s design 4. Cable modem 1995 1998 DOCSIS specifications 5. CD player 1982 1985 Philips-Sony’s design 6. CD-ROM drive 1983 1986 Sony’s design 7. Color television 1951 1957 National Television System Commitee 8. Database software 1981 1986 Server Query Language (SQL) 9. Desktop publishing software 1984 1987 Adobe Pagemaker 10. Dial-up modem 56k 1979 1998 56kKFlex 11. Dot matrix printer 1964 1968 ESC/P from Epson 12. DSL modem 1996 1999 G. Lite 13. DVD player 1996 1999 DVD design from Zenith 14. Fax machine 1960 1983 GIII 15. Graphics software 1990 1996 Adobe Photoshop 16. HDTV 1987 1993 Standard Definition Television 17. Instant photografy 1948 1955 Polaroid 18. Mainframe computer 1946 1964 IBM 360 19. Microprocessor chip 1971 1979 Intel 4004 20. Operating System for PCs 1977 1984 MS DOS 21. PC 1975 1983 IBM PC 22. Personal finance software 1983 1987 Intuit 30 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 2.2 (segue) Anno d’introduzione del prodotto Anno di affermazione del dominant design Descrizione dettagliata del dominant design 23. Photocopiers 1950 1959 Xerox 914 24. Portable file document software 1993 1999 Adobe PDF 25. Presentation graphic software 1986 1991 Harvard Presentation Graphics 26. Spreadsheet software 1979 1984 Lotus 1-2-3 27. Home video recorders 1975 1978 JVC VHS 28. Word-processing software 1979 1983 Wordstar 29. Work station 1980 1986 Sun’s Unix 30. Zip driver 1995 1997 Iomega Categoria di prodotto Fonte: Srinivasan, Lilien e Rangaswamy (2006) La Fig. 2.2 evidenzia due cicli tecnologici dove, a partire da un dominant design (il sistema operativo DOS e i sistemi operativi della nuova generazione quali Windows e Mac), si susseguono periodi di innovazioni incrementali finalizzate a differenziare ancora meglio le prestazioni del prodotto e a ottimizzare il processo produttivo. In un numero limitato di anni, si è avuto il passaggio dal sistema operativo DOS, al tentativo di affermazione dei sistemi chiusi Mac di Macintosh e OS/2 di IBM, al successo di Windows a opera di Microsoft. Passando al secondo quesito, ovvero le contingenze di natura settoriale, un’ipotesi interpretativa di particolare rilievo è stata avanzata da Cappetta, Cillo, Ponti (2006), e si riferisce al fatto che in diversi settori low tech il fenomeno moda è comunque dominante nell’influenzare le dinamiche di affermazione dei prodotti. In quest’ottica lo stile può essere inteso come il quadro entro cui si va a formare lo standard nell’ambito del settore. Più specificamente le autrici sostengono che, a differenza delle innovazioni basate squisitamente sulla tecnologia, in cui è l’alterazione degli attributi tangibili di prodotto che rendono quest’ultimo differente dai modelli precedenti, le innovazioni basate sullo stile si riconducono al mutamento negli attributi di prodotto e al conseguente mutamento dei significati sociali associati agli attributi di prodotto a partire da un gruppo sociale di riferimento (il richiamo è alla teoria di Hirschman, 1982). Applicando l’idea in questione alla dinamica evolutiva nell’ambito del settore del prêt-à-porter con riferimento all’abbigliamento femminile nell’orizzonte temporale 1984-1999, si trovano interessanti analogie con l’affermazione dei dominant design secondo la teoria originale (Fig. 2.3). 31 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia Tasso di innovazione Figura 2.2 Innovazione di prodotto e processo nell’industria dei sistemi operativi Sistema operativo DOS Tempo Windows, Macintosh, OS/2 Windows 92 Dominant design Fonte: Utterback (1994) Dominant design Figura 2.3 L’evoluzione dello stile nei prodotti del prêt-à-porter nell’orizzonte temporale 1984-1999 Period of incremental change Period of incremental change Period of incremental change Dominant design Dominant design Period of ferment Period of ferment Dominant design 80 75,7 68,1 70 60,6 60 52,9 Maschile 40 29,7 30 41,6 31,6 26,3 Kitch 52,2 Minimale 50 35,2 32,3 31,4 42,8 36,6 35,7 29,2 20 30,8 20,8 17,1 10,7 10 0,56 0,62 0,51 88 90 0 84 85 86 87 Fonte: Cappetta, Cillo e Ponti (2006) 89 91 92 93 94 95 96 97 98 99 34 Tecnologia, innovazione, operations Figura 2.4 La concorrenza intersettoriale: un esempio di settori ad alto utilizzo delle tecnologie ICT Lo spazio digitale negli anni Ottanta Elettronica professionale Kodak, Xerox, Canon, Intel, Motorola, Hughes Elettronica di consumo Sony, Philips, Matsushita, Sharp, Toshiba Contenuto informativo CBS, 3DO, Time Warner, Disney, Viacom, Ninetendo TLC AT&T, MCI, British Telecom, Baby Bells, McCaw, TCI Computer hardware IBM, NEC, Siemens, Alcatel, DEC, Apple, HP, Hitachi, Fujitsu Computer software Microsoft, Lotus, Electronic Arts, Oracle, Computer Associates Servizi tecnologici Computer Sciences, Cap Sogetti, Andersen Consulting, EDS Lo spazio digitale negli anni Novanta Sony, Philips, Matsushita, Sharp, Toshiba, IBM, NEC, Siemens, Alcatel, DEC, Apple, HP, Hitachi, Fujitsu, Microsoft, Lotus, Electronic Arts, Oracle, Computer Associates, Computer Sciences, Cap Sogetti, Andersen Consulting, EDS, AT&T, MCI, British Telecom, Baby Bells, McCaw, TCI, CBS, 3DO, Time Warner, Disney, Viacom, Ninetendo, Kodak, Xerox, Canon, Intel, Motorola, Hughes Fonte: Hamel e Prahalad (1994) presentate nella Fig. 2.4 erano separate da rigide barriere all’entrata nel corso degli anni Settanta e Ottanta. L’emersione di discontinuità tecnologiche (dall’avvento della telefonia cellulare, all’affermazione di Internet, dallo sviluppo della domotica, alla nascita della TV interattiva) ha ampliato i confini di ciascuno dei sette settori fino a includerli tutti. In sintesi, la gestione delle tecnologie ICT sarà sempre di più in futuro oggetto di discontinuità e sempre di più intersettoriale. La dicotomia destroying-enhancing è assai utile per fornire una lettura organizzativa dell’operato delle imprese di fronte alla dinamica organizzativa. In questa direzione sono soprattutto Abernathy e Clark (1985) a evidenziare come l’efficace gestione di ogni tipo di tecnologia richieda non solamente il naturale presidio di conoscenze tecnologiche (legate allo sviluppo e alla gestione della tecnologia stessa), ma anche il presidio di conoscenze di mercato (legate in particolare al lancio e alla commercializzazione). Tali conoscenze si riflettono naturalmente nelle competenze che l’impresa deve mettere in campo per progettare e per gestire l’innovazione e hanno, di conseguenza, un impatto sostanziale sulla capacità di que- 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia 35 Figura 2.5 I tipi di innovazione di prodotto secondo la classificazione interdisciplinare delle competenze Competenze di mercato Competenze tecnologiche Mutate Preservate Preservate Mutate Innovazione di nicchia Innovazione strutturale Innovazione incrementale Innovazione rivoluzionaria Fonte: Abernathy e Clark (1985) st’ultima di sostenere il vantaggio competitivo in seguito a mutamenti nelle conoscenze legate al sistema di prodotto. Più precisamente, ciò sta a significare che i cambiamenti innovativi possono riguardare sia le conoscenze tecnologiche sia le conoscenze di mercato. La Fig. 2.5 esprime concettualmente tali diversità. L’innovazione può anzitutto far leva su limitati mutamenti delle competenze esistenti siano esse tecnologiche e di mercato e, in tal caso, assume la forma di innovazione incrementale, coerente con la dotazione di competenze abitualmente messe in campo dalle imprese operanti in un dato settore. L’innovazione può, inoltre, risultare strutturale (o radicale) quando muta in modo sostanziale la logica del prodotto presentato sul mercato e fa leva su elementi completamente differenti sia con riferimento alla tecnologia impiegata che con riferimento alla conoscenza di mercato. In questo secondo caso, l’innovazione è maggiormente aperta ad attori che operano all’esterno del settore. L’aspetto più interessante della matrice, tuttavia, si collega al fatto che il cambiamento delle competenze di mercato non si riflette necessariamente nel cambiamento delle competenze tecnologiche. Ecco quindi che l’innovazione può riguardare prevalentemente gli aspetti commerciali oppure quelli tecnologici. Nel primo caso assume la forma di innovazione di nicchia quando, a parità di competenze tecnologiche, propone profondi cambiamenti nelle competenze di mercato. Nel secondo caso prende il nome di innovazione rivoluzionaria, quando cioè muta la conoscenza tecnologica, ma non quella di mercato. L’argomentazione offerta dai due autori, seppur storicamente datata, è divenuta centrale nella nuova economia. Da un lato, si assiste infatti a una rapida obsolescenza delle competenze tecnologiche guidata dal fattore relativo alla velocità con cui le nuove tecnologie penetrano i mercati. Si pensi ai mutamenti continui che è opportuno operare nelle aziende che producono software e che sono costrette a 38 Tecnologia, innovazione, operations Figura 2.6 I tipi di innovazione di prodotto secondo una classificazione product-based Conoscenze specialistiche Conoscenze architettoniche Mutate Accresciute Accresciute Mutate Innovazione modulare Innovazione radicale Innovazione incrementale Innovazione architettonica Fonte: Henderson e Clark (1990) valore diverso e divengono centrali nell’economia delle reti virtuali. Al già evidenziato problema di perdita della leadership di mercato a favore di nuovi entranti, in seguito all’affermazione di innovazioni che coinvolgono conoscenze di mercato e architettoniche, si aggiunga che non raramente si è assistito all’incapacità dell’innovatore pioniere di godere della rendita annessa all’innovazione, la cosiddetta rendita schumpeteriana (Rumelt, 1987), a scapito di altre aziende presenti nel settore. Alcune delle principali ragioni legate all’incapacità di aziende innovatrici di sostenere il vantaggio competitivo con le competenze esistenti è stato efficacemente espresso dal modello di Teece (1987). A questo proposito, l’autore identifica due variabili fondamentali: il regime di appropriabilità della rendita e la presenza di competenze complementari (Fig. 2.7). Il regime di appropriabilità, che qualitativamente può essere graduato con riferimento a una presenza forte o debole, deriva dal grado di codificabilità della Figura 2.7 Le tipologie di innovazione secondo la difendibilità Regime di appropriabilità Competenze complementari Ampiamente disponibili Strettamente detenute Forte Debole Fonte: Teece (1987) Innovazione protetta Innovazione inattaccabile Innovazione indefendibile Innovazione differenziabile 40 Tecnologia, innovazione, operations dendo l’innovazione differenziata sul mercato e riducendo il rischio di imitabilità per il valore aggiunto posto sulla stessa. 2.3 I modelli di diffusione della tecnologica Le implicazioni normative che possono trarsi dai modelli illustrati nei paragrafi precedenti sono raccolte nei modelli di diffusione dell’innovazione, che assumono la prospettiva del gestore dell’innovazione tecnologica. In particolare, la curva a «S» di Foster permette di cogliere la relazione che intercorre tra lo sforzo tecnologico sostenuto dalle imprese e i miglioramenti della tecnologia stessa. L’autore illustra che il tasso di progresso tecnologico è funzione dello sforzo sostenuto nella tecnologia e assume la forma di una S, come evidenzia la Fig. 2.8. Difatti, il progresso tecnologico produce inizialmente effetti limitati sino al raggiungimento di un flesso positivo, in seguito al quale cresce esponenzialmente. La crescita, per i noti limiti legati alla produttività marginale decrescente, si comincia a ridurre all’incontro di un ulteriore flesso (questa volta negativo) dopo il quale non si manifestano più andamenti fortemente crescenti a causa del raggiungimento del limite fisico legato alla tecnologia. In sintesi, lo sforzo investito nella tecnologia di riferimento e il limite fisico della tecnologia stessa rappresentano le due variabili chiave esplicative del modello della curva a «S». La curva a «S» è quindi di radicale importanza, poiché consente di predire il potenziale tecnologico a disposizione in virtù dello sforzo tecnologico soste- Tasso di progresso tecnologico Figura 2.8 Il modello della curva a «S» Fonte: Foster (1986) Limite fisico Sforzo di investimento 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia 41 Tasso di progresso tecnologico Figura 2.9 La curva a «S» con riferimento ai supercomputer Fonte: Afuah (1998) Vincolo fisico legato alla seconda generazione di supercomputer Vincolo fisico legato alla prima generazione di supercomputer Sforzo di investimento nuto. Dal momento in cui da essa dipendono inoltre sia il ciclo di vita del settore sia il ciclo di vita del prodotto (poiché settore e prodotti del settore sono, a livello macro e micro, derivazioni delle opportunità tecnologiche esistenti), la curva a «S» ha una rilevanza veramente singolare sotto il profilo della capacità predittiva. In Un caso di curva a «S»: la legge di Moore si fornisce un esempio eclatante di curva a «S»: la curva di evoluzione della produttività dei transistor. La Fig. 2.9 illustra, invece, l’esempio delle curve a «S» associate alla tecnologia del supercomputer (Afuah e Utterback, 1991). Come si nota dalla prima curva, i supercomputer erano tradizionalmente progettati usando l’architettura con processore unico, fino al raggiungimento del limite della velocità della luce, oltre al quale non erano in grado di evolvere. L’architettura multi-processori ha quindi dato vita a una nuova curva a «S», che presenta un nuovo limite fisico, dato dalla capacità di comunicazione e coordinamento tra i diversi processori. In termini complessivi le curve tendono a innalzarsi nella forma e a sostituirsi quindi in sequenza, come evidenziato dalla curva. Un caso di curva a «S»: la legge di Moore Le tecnologie digitali si connotano infatti per una singolare produttività che, sin dalla loro nascita, manifesta una crescita di natura geometrica (Downes e Mui, 1998). La descrizione di tale proprietà è abitualmente condotta a partire da un principio fisico che prende il nome del co-inventore del microprocessore nonché fondatore dell’Intel Corporation, Gordon Moore. Secondo Moore, la struttura dei semiconduttori poteva subire delle sorprendenti riduzioni dimensionali che consentivano un potenziamento dei circuiti a essi applicati. Una volta ridotti 42 Tecnologia, innovazione, operations nella dimensione i transistor, da un lato, possono essere applicati in maggior numero nei chip; inoltre la progressiva miniaturizzazione permette di avvicinare i circuiti a essi applicati, ampliando notevolmente il loro potenziale complessivo. L’intuizione di Moore fu tempificata e traslata in una vision aziendale per l’Intel, che la fece propria a partire dal 1968. La vision si è dimostrata talmente vera nel corso degli anni, che viene attualmente illustrata nei manuali di fisica elettronica sotto il nome di Legge di Moore. La sua formulazione più semplice è la seguente: ogni diciotto mesi è possibile raddoppiare il numero di transistor contenuti in un chip di computer a parità di costo. Da cui si deduce che ogni diciotto mesi è possibile raddoppiare la capacità di memorizzazione e processamento di un chip di computer a parità di costo. Tale legge ha un naturale limite derivante dalla possibilità di miniaturizzare corpi al di sotto di certe dimensioni, ma la sua validità è stata indiscutibile negli ultimi trent’anni e si manterrà valida almeno per altri dieci in modo da includere presumibilmente altre cinque generazioni di processori. In particolare si ritiene che intorno al 2010 un chip potrà contenere un numero di transistor 450 volte superiore a quello possibile nel 1997 e, a quell’epoca, sarà veramente improbabile riuscire ulteriormente a ridurre lo spazio contenuto sul chip stesso (Evans e Wurster, 2000). La formidabile produttività a crescita geometrica che caratterizza le tecnologie digitali è quindi foriera di continue innovazioni incrementali nelle applicazioni abitualmente impiegate in tutti i processi di gestione. La Fig. 2.10 è esplicativa in proposito e illustra la dinamica storica delle applicazioni che sono state prodotte a partire dal 1970. A questo proposito si pensi banalmente che la potenza del processore di un mainframe nel 1978 era la metà di quella di un palmare nel 2000, ovvero che la capacità di calcolo e di elaborazione di un computer grande come una stanza da ufficio è divenuta grande quanto un oggetto che oggigiorno sta letteralmente in un palmo di mano. Aspetto ancora più affascinante è che altre tecnologie digitali sperimentano, per ragioni analoghe, progressi simili alla legge di Moore che regola la crescita del numero di transistor nei chip (Downes e Mui, 1998). Per esempio, il cavo a fibra ottica, i satelliti e le tecnologie di comunicazione permettono all’ampiezza di banda delle telecomuni- Numero di transistor per chip Figura 2.10 La crescente produttività delle ICT secondo la legge di Moore 1.000.000.000 100.000.000 10.000.000 1.000.000 100.000 1.000 1970 Fonte: Evans e Wurster (2000) 1980 1990 2000 2010 44 Tecnologia, innovazione, operations Vendite Figura 2.11 Il modello di Bass Fonte: Crawford e Di Benedetto (2005) Anni q è un parametro del tasso di diffusione Y (t ) è il totale numero di acquisti al tempo t La recente apertura associata alle tecnologie di informazione e comunicazione permette di velocizzare il processo facendo leva sulla possibile presenza di esternalità positive dal lato della domanda, come evidenziato in Adozione di prodotto ed esternalità positive: il caso della legge di Metcalfe. A questo proposito è da notare che tali esternalità possono anche essere indotte non necessariamente dalle caratteristiche del prodotto, come nel caso delle ICT, ma anche dallo sfruttamento delle stesse ai fini dell’adozione. Per esempio, le comunità virtuali consentono di stimolare la diffusione in modo veloce e allo stesso tempo efficace (Prandelli e Verona, 2006a). Adozione di prodotto ed esternalità positive: il caso della legge di Metcalfe Le ICT sono sottoposte a importanti esternalità positive che favoriscono una loro rapida diffusione. Com’è noto un’esternalità emerge quando il comportamento di un agente del sistema economico influenza positivamente o negativamente quello di un altro senza che avvenga una compensazione monetaria. Come osserva Arthur (1990), le tecnologie possono articolarsi in due grandi categorie: le tecnologie materiali (bulk processing) e quelle immateriali (knowledge-based). Le prime sono quelle che sfruttano le risorse naturali (quali le tecnologie legate al settore primario e alla chimica pesante), le seconde sfruttano invece prevalentemente la conoscenza (ne sono esempi il settore farmaceutico e il settore dei computer e software). Ora, mentre le prime sono sottoposte a ritorni decrescenti, le seconde si caratterizzano 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia 45 per ritorni crescenti, chiamati anche positive feedbacks nella dizione inglese. Tali tecnologie, infatti, non solo presentano costi marginali decrescenti, ma tendono spesso a manifestare un’utilità marginale crescente. In particolare, tutte le tecnologie basate su una rete di utenti si caratterizzano per la presenza di esternalità positive, dal momento in cui all’aumentare del numero di partecipanti alla rete, aumenta anche l’utilità che ciascun partecipante può trarre dalla stessa (Shapiro e Varian, 1999, capitolo 7). Ne è un classico esempio l’e-mail. Se una sola persona al mondo possedesse l’e-mail, l’utilità di questa applicazione sarebbe nulla. Se invece almeno due persone possiedono un indirizzo e-mail, è possibile comunicare a distanza via personal computer. È naturale che all’aumentare del numero di persone che hanno accesso a questa tecnologia, l’utilità che ciascun utente ne può trarre risulta progressivamente elevata. Questa utilità crescente che si può trarre dall’utilizzo dell’e-mail si riconduce proprio alle esternalità positive sottese da questa particolare applicazione tecnologica. Robert Metcalfe, fondatore della 3Com Co, ha fotografato la crescita dell’utilità coniando una legge di particolare interesse, che esprime in modo chiaro il potenziale diffusivo delle tecnologie digitali (Downes e Mui, 1998). La Legge di Metcalfe evidenzia che l’utilità che una tecnologia a rete presenta per un singolo utente della rete è pari al quadrato del numero di utenti che utilizzano quella tecnologia. Ciò significa che al crescere del numero di utenti di una tecnologia reticolare, l’utilità relativa all’impiego della stessa tecnologia cresce esponenzialmente. Come si osserva dalla Fig. 2.12, l’utilità associata all’impiego della tecnologia assume la forma di una parabola, e cresce in modo esponenziale rispetto al numero di utenti che l’impiegano. Per poter beneficiare delle esternalità positive legate alla tecnologia digitale, è opportuno raggiungere la massa critica che permette di attivare un circolo virtuoso legato all’effetto utilitaristico espresso dalla legge di Metcalfe. Tale massa critica è in funzione di due fattori: le economie di scala dal lato della domanda e la presenza di una situazione di lock-in rispetto a una Utilità utente Figura 2.12 Le esternalità positive secondo la legge di Metcalfe Fonte: Downes e Mui (1998) Numero utenti 2 • I modelli sull’evoluzione della tecnologia 47 Performance su parametro dominante Figura 2.13 Relazione tra sustaining e disruptive technology Fonte: Christensen (1997) Disruptive technology Sustaining technology Tempo vazione in questione, venendo comunque lanciata da imprese minori, riesca nel corso degli anni a conseguire un miglioramento nella performance nei parametri dominanti tale da superare la traiettoria evolutiva della tecnologia originaria. La Fig. 2.13 descrive questo tipo di andamento. In queste circostanze, la tecnologia emergente (disruptive) metterà in secondo piano la tecnologia tradizionale (sustaining) poiché risulterà nel lungo termine superiore su tutti i parametri rilevanti nel mercato in generale. La tecnologia emergente è stata definita da Christensen disruptive, in quanto distrugge le fondamenta economiche su cui si basa il mercato originario e spiazza la tecnologia più tradizionalista, chiamata appunto sustaining, in quanto premia una logica incrementalista del ciclo innovativo. Senza voler entrare nel vivacissimo dibattito suscitato da questo modello con riferimento all’eterna dialettica tra marketing e Ricerca & Sviluppo4, ci sembra tuttavia assai utile cogliere una spinta significativa del modello con riferimento al problema dell’adozione. Come osservato anche in Il caso della mini-fotocopiatrice Canon, è opportuno non 4 L’argomentazione di Christensen risulta infatti particolarmente attuale soprattutto se riportata all’infinita dialettica tra marketing e R&S. Seguendo pedissequamente il suggerimento di Christensen, infatti, sarebbe opportuno mantenere un orientamento squisitamente tecnologico nell’investimento in R&S, giacché l’orientamento al mercato potrebbe penalizzare la ricerca di nuove opportunità offerte dalla scienza. A fronte di queste considerazioni, è bene osservare che l’orientamento al mercato promosso dalle aziende più innovative non è certamente quello miope tipico della funzione vendite, ma è quello di medio-lungo termine offerto dai principi della strategia di marketing (Slater e Narver, 1998). Si vedano anche Henderson (2006) e Danneels (2002) 50 Tecnologia, innovazione, operations Figura 3.1 La formazione delle SBU secondo il modello di Abell Technology Customers SBU 1 Fonte: Abell (1987) Products presa e la conseguente architettura strategica che lo raccoglie presentano una profonda dipendenza tecnologica. L’articolazione proposta ha rappresentato per anni la logica di formulazione della strategia corporate e della strategia competitiva con riferimento alle scelte di espansione tramite diversificazioni correlate e conglomerali3. Come si evince anche dalla Fig. 3.2 anche la logica degli organigrammi delle aziende, seguendo il paradigma chandleriano strategia-struttura, ha portato a una riorganizzazione del business attorno ad aree di affari fortemente influenzate dalla triade: prodotto, mercato e tecnologia (Chandler, 1990). Seppure premiante dal punto di vista gestionale questa modellazione è stata profondamente messa in discussione nel corso della seconda metà degli anni Ottanta, periodo storico in cui è emersa in modo chiaro e preciso la visione immateriale della tecnologia enunciata in capo al capitolo 1. Abbracciando una visuale cognitiva del problema tecnologico, in base alla quale come detto per tecnologia si deve intendere non solamente i macchinari, gli artefatti e i prodotti, ma anche il substrato cogntivo legato alla loro creazione e gestione, non si può sottovalutare l’impatto trasversale che in generale la conoscenza afferente i prodotti e i processi produce su ogni singola impresa. Da questo punto di vista Hamel e Prahalad, sono stati tra i primi a fornire una visione olistica dell’impiego della tecnologia in azienda (Prahalad e Hamel, 1990). Studiando e comparando i portafogli prodotti di realtà aziendali provenienti da diversi contesti geografici, e in particolare le aziende americane e le aziende nipponiche della seconda metà degli anni Ottanta, si accorsero come le prime 3 I modelli del portafoglio prodotti degli anni Settanta a cura tra gli altri della BCG e della McKinsey/GE ne sono un celebre esempio. Si rinvia a un qualsiasi manuale di strategia aziendale, nazionale o internazionale. 3 • La gestione strategica della tecnologia 51 Figura 3.2 La strutturazione delle aree di affari a livello organizzativo SBU 1 SBU 2 SBU 3 SBU 4 Fonte: nostra elaborazione tendevano a organizzare la propria strategia intorno ai prodotti e alle relative quote di mercato maturate nelle rispettive industrie (esattamente in base a quanto visto finora nella trattazione del presente paragrafo), mentre le seconde (tra cui per esempio, NEC, Canon, Honda e Casio) si proponevano di valorizzare la conoscenza maturata attorno ai core product e alla quota di penetrazione di questi ultimi in differenti mercati. I core product sono dei semilavorati tecnologici che provengono da conoscenza dedicata e che gemmano molteplici prodotti. Ne sono un esempio i motori in miniatura ideati e sviluppati da Honda (che alimentano una molteplicità di prodotti finiti nei settori delle macchine agricole) dei motocicli e delle automobili. Lo stesso gruppo SVH, celebre al mondo per aver ideato e prodotto gli orologi Swatch, è divenuto leader nella produzione di microchip per accessori, parte fondamentale a garantire la produzione e l’affidabilità in termini di precisione e durata del celebre orologio, divenuto prodotto di culto a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Questa prospettiva strategica incentrata sui core product sembrava in particolare essere più coerente sia con le dinamiche competitive che si sono manifestate a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sia con la stessa natura tecnologica dell’innovazione. Anziché massimizzare la quota di mercato nei mercati finali, le aziende hanno maggior gioco strategico a ottimizzare la quota di mercato dei core product, dato che questi ultimi permettono percorsi di crescita anche più congruenti sotto il profilo competitivo. Gli stessi Hamel e Prahalad giungono a sostenere che la vera fonte dei core product è appunto la conoscenza tecnologica in essi contenuti. Per esempio, nel caso di Canon è proprio la capacità di garantire competenze nel campo della microelettronica, della meccanica di precisione e dell’ottica a consentire all’azienda di produrre in via sistematica core product e prodotti finiti (tra cui le celebri fotocopiatrici e macchine fotografiche). La produzione e gestione dei core product porta cioè ad abbracciare in toto una visione trasversale e cognitiva della tecnologia. Le 52 Tecnologia, innovazione, operations Figura 3.3 La metafora dell’albero: una comparazione tra prospettiva tradizionalista (prodotti e mercati) con la prospettiva della risorse Product view Market view Fonte: nostra elaborazione Competence view core competence altro non sono che: «the collective learning in the organization, especially how to coordinate diverse production skills and integrate multiple streams of technologies» (Prahalad e Hamel, 1990, p. 82). La definizione che le illustra, come si vede, identifica la loro natura sostanzialmente immateriale e incentrata sulla tecnologia. In base alla celebre metafora impiegata dai due autori per illustrare la relazione tra competenze e prodotti, i prodotti e servizi sviluppati da un’impresa sono i frutti di un albero, le cui radici sono invece rappresentate dalle core competence. Da questo punto di vista l’architettura strategica d’impresa deve essere interamente incentrata sulle competenze che definiscono i core product (i rami dell’albero) e in ultima istanza i prodotti aziendali. La Fig. 3.3 sta a indicare questo mutamento di prospettiva e ha una duplice valenza. Sotto il profilo spaziale mette in luce l’errore strategico compiuto dalle imprese che organizzano la propria agenda strategica attorno ai prodotti anziché ai core product e alle competenze4. Esse sbagliano a sondare il panorama competitivo: concentrarsi infatti sui frutti dell’albero non permette di cogliere il ruolo portante svolto dai rami (core product) e soprattutto dalle radici dell’albero (appunto le core competence)5. Sotto il profilo temporale invece, formulare la strategia con gli occhi del presente (i frutti) non permette di 4 La metafora in questione è ben più efficace di quella impiegata nell’articolo considerato manifesto della cosiddetta resource-based view, in base a cui risorse e prodotti sono due facce della stessa medaglia (Wernerfelt, 1984). Questa seconda metafora ponendo sullo stesso piano risorse e prodotti non consente di cogliere la supremazia delle prime nei confronti dei secondi, quantomeno sotto il profilo generativo e quindi strategico. 5 Ciò ha profonde analogie con quanto in altri tempi Theodor Levitt ha denominato miopia di mercato (Levitt, 1960). 54 Tecnologia, innovazione, operations Figura 3.4 La distintività delle competenze secondo Hamel e Prahalad Valore per il cliente Fonte: Hamel e Prahalad (1994) Area della distintività Imitabilità per i concorrenti Estendibilità tecnologica la fruizione di un numero di canzoni tendenzialmente infinito considerando l’utente medio di musica. Oltre al valore per il cliente, gli stessi fattori non devono essere facilmente imitabili dai concorrenti, poiché in tal caso verrebbe fortemente ridotta la loro capacità di generare valore. La loro complessità, costosità o in generale la non facile comprensione dei processi alla base della loro formazione li rende coerenti con questa proprietà fondamentale che richiama i limiti ex ante ed ex post alla concorrenza (Peteraf, 1993). La facilità con cui è stato imitato lo strumento diagnostico TAC (tomografia assiale computerizzata) introdotto nel mercato statunitense a opera di EMI verso la fine degli anni Settanta ha portato all’uscita dal business della stessa EMI (Teece, 1987). Similmente, il lancio del browser Internet Explorer a opera di Microsoft in seguito al successo di Navigator 2.0 di Netscape ha ridotto drasticamente la capacità di generare valore da parte di quest’ultima, portandola al fallimento. Infine, a giudizio dei due autori, i fattori devono risultare estendibili sotto un profilo tecnologico. Per amplificare il loro potenziale è infatti opportuno che i fattori d’impresa abbiano una valenza replicabile in differenti business in cui l’impresa è presente o in cui può entrare come, per esempio, dimostra la capacità di miniaturizzazione di Sony o la piattaforma tecnologica di CRM per navigare in ambiente Internet di Amazon che ha permesso all’azienda di Seattle di estendere le sue linee di business a prodotti sostanzialmente differenti. Seguendo un ragionamento analogo a quello esposto, Collis e Montgomery (1995) evidenziano efficacemente che il valore posseduto da una risorsa o competenza è relativo, ovvero dipenda dall’intreccio di specifiche forze di mercato in un determinato contesto temporale. Nessuna risorsa, sia essa un brevetto o una particolare abilità, né competenza, quale una forma di reputation o capacità di integrazione di un team di sviluppo prodotti, può avere una valenza che prescinde dalla 3 • La gestione strategica della tecnologia 57 Le domande sono le seguenti: • valore: la risorsa o competenza in questione è in grado di rispondere a minacce ambientali o a cogliere specifiche opportunità dal punto di vista del mercato? • rarità: altre imprese possiedono la stessa risorsa o competenza, o delle risorse o competenze analoghe? • inimitabilità: le imprese che non presentano analoghe risorse o competenze sono comunque in grado di svilupparle a un costo non elevato? • organizzazione: è possibile sfruttare completamente il potenziale contenuto nella risorsa/competenza? L’aspetto distintivo dello schema proposto da Barney si riallaccia, tra le altre cose, alla possibilità di stabilire se l’attività alla base del valore sia semplicemente un punto di forza (o di debolezza) oppure sia una competenza distintiva. In quest’ultimo caso l’autore fornisce anche un criterio per studiarne la sostenibilità nel tempo. Come illustra la Tab. 3.1, la presenza delle quattro proprietà permette di associare a ciascuna risorsa/competenza la capacità di sostenere il vantaggio competitivo nel tempo. Al contrario, una parziale adesione alle quattro proprietà rende la risorsa/competenza meno attrattiva da un punto di vista competitivo. Per chiarire ulteriormente lo schema in questione, si pensi alla competenza legata allo sviluppo di computer da parte di Apple e alla capacità di introdurre diverse innovazioni negli anni sotto il brand Macintosh e, più recentemente, iPod (Barney ed Hesterly, 2005). La competenza in questione è frutto della presenza di molteplici ingegneri e top manager, del lavoro in team che ha portato a condividere per anni l’ideale dello sviluppo di un computer che, a differenza dei primi personal computer, fosse facile da utilizzare e della presenza di una vision unificante e rappresentativa di questa prospettiva customer-based. Tabella 3.1 L’identificazione delle risorse/competenze distintive che sono in grado di sostenere il valore, secondo lo schema VRIO Tipo di fattore Valore Rarità Inimitabilità Sfruttabile dall’impresa (organization) Debolezza No — — No Forza Sì No — Sì Competenza distintiva Sì Sì No Sì Competenza distintiva sostenibile Sì Sì Sì Sì Fonte: Barney e Hastley (2005) 3 • La gestione strategica della tecnologia 59 già dal lontano 1995, quando i tassi di penetrazione di Internet erano ancora limitati, era possibile compiere questa operazione. Bastava trovare un prodotto che fosse: sufficientemente di massa per scalare le economie relative alla dimensione; non eccessivamente complicato da poter essere gestito con semplicità dal punto di vista dei flussi logistici; e che suscitasse una grande passione nel pubblico per poter favorire velocemente consenso e, soprattutto, legarsi ai fenomeni di moda. Se alle intuizioni menzionate, si aggiungono una serie di artifizi di dettaglio, come per esempio: • la scelta di localizzare la nascente azienda nel lontano stato di Washington (in particolare a Seattle) e, conseguentemente, poter beneficiare: delle esternalità di rete del rigoglioso distretto del software stimolato da Microsoft; di uno dei sistemi di tassazione più bassi degli Stati Uniti; dell’opportunità di servire qualsiasi cliente statunitense entro 24 ore grazie al gioco di fuso orario che vede la costa orientale a tre ore di anticipo rispetto a quella occidentale (un libro ordinato alle 21:00 a New York, riusciva ancora a essere spedito alle 18:00 da Seattle per poter raggiungere l’acquirente il giorno successivo); • la decisione di puntare su un sito efficiente, che presta poca attenzione agli elementi di estetica, a suo tempo non agevolati da una tecnologia ancora in fase di miglioramento; • il desiderio di stimolare conversazioni e classifiche impostate dai clienti sul proprio sito; • una campagna pubblicitaria basata sul fatto che l’azienda, seppur non abbia punti vendita fisici, è la «Libreria più grande del mondo»; ben si coglie come in breve tempo Amazon possa esser riuscita ad avere un importante riscontro dal mercato servito e ad aver sviluppato un busines model a scarsa imitabilità. Più in particolare, si osservi la Tab. 3.2 sottostante che compara a tre anni dall’esordio sul mercato di Amazon alcuni indicatori strategici di quest’ultima con quelli dell’operatore leader del mercato tradizionale, Barnes and Noble – azienda quotata e caratterizzata da una storia e un’immagine altrettanto innovative. I dati espressi nella tabella sono abitualmente ricondotti a un principio di carattere teorico, che è stato indotto dal portato di cambiamento di Internet: il superamento definitivo del Tabella 3.2 La comparazione tra Amazon e Barnes and Noble Amazon Barnes and Noble 23 milioni di clienti 900.000 clienti 60 miliardi di visite all’anno 300 milioni di visite all’anno Presente in tutto in globo Rete commerciale in Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e, tramite Nippon Express, Giappone Presente negli Stati Uniti con 666 store 4,5 milioni di volumi in catalogo 200.000 volumi in punto vendita Diversificazione in 32 categorie di prodotti tra Diversificazione in libri, riviste, giornali, coffee le quali, CD, DVD, aste, computer, software, shop e musica giocattoli, cosmesi, cucina, arte Fonte: Prandelli e Verona (2006b) 3 • La gestione strategica della tecnologia 61 Tabella 3.3 Le aziende che abbracciano una prospettiva di innovazione continua Azienda Settore Pratica di innovazione continua Intel ICT (microprocessori) • Raddoppio della capacità di transistor per chip ogni 18 mesi • Costruzione di un nuovo impianto per la produzione dei microprocessori ogni 9 mesi 3M Abrasivi e adesivi • Generare ogni anno almeno il 30 per cento delle vendite con nuovi prodotti Microsoft ICT (software e sistemi operativi) • Upgrading a cadenza triennale del sistema operativo Starbucks Ristorazione veloce Amazon.com e-Commerce • Lanciare 300 punti vendita all’anno sino al raggiungimento di quota 2.000 • Sviluppare nuovi concept di consumo ogni 6 mesi • Ridefinire la profondità dell’assortimento ogni 3 mesi • Ridefinire l’estensione dell’assortimento ogni 6 mesi Fonte: Verona e Prandelli (2006a) fini della loro gestione. La Tab. 3.3 fornisce alcuni esempi delle imprese in questione. La spiegazione del comportamento altamente dinamico di alcune imprese è proprio da ricercarsi nella loro abilità di abbracciare una logica di competenze dinamiche. In ambienti dinamici, tipici dei contesti ad alta intensità di tecnologia, le competenze devono cioè pure presentare natura dinamica12. Il sostenimento del vantaggio competitivo è frutto cioè di una competizione schumpeteriana ovvero della capacità di introdurre con continuità innovazioni di prodotto e di processo. Teece, Pisano e Shuen (1997) evidenziano che per poter generare valore le competenze non devono presentare le sole proprietà indicate precedentemente, ma devono anche essere in grado di esercitare tre processi di fondamentale importanza: • l’integrazione; 12 Nel manifesto delle competenze dinamiche gli autori espongono l’idea alla base del costrutto portante della teoria nel seguente modo: «The term “dynamic” refers to the capacity to renew competences so as to achieve congruence with changing environment [...]. The term “capabilities” emphasize the role of Strategic Management in appropriately adapting, integrating, and reconfiguring internal and external organizational skills, resources, and functional competences to match the requirements of a changing world» (Teece, Pisano e Shuen, 1997, p. 510). 68 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 4.1 Alcuni esempi di variabili organizzative alla base delle competenze delle imprese farmaceutiche Competenza Riferimento Descrizione alle variabili organizzative Pro-publication Sistema di incentivo Pubblicare i risultati della ricerca svolta nell’ambito dei laboratori d’azienda in riviste accademiche di prestigio University Sistema di incentivo Profondo coinvolgimento delle università nell’attività di ricerca Dictator Struttura organizzativa Allocazione delle risorse che dipende da un singolo direttore Cross-functional Struttura organizzativa Ricco e frequente scambio di informazione tra aree disciplinari di ricerca differenti Geography Struttura fisica Vicinanza dell’headquarter aziendale a campus accademici Global organization Struttura organizzativa Ricerca a livello mondiale che dipende da un singolo direttore Fonte: Henderson e Cockburn (1994) sono depositate nelle skill del personale e nella cultura aziendale, e vengono movimentate continuamente grazie alla particolare forma che assume la struttura organizzativa e alle caratteristiche dei sistemi operativi. Oltre quindi a una dimensione cognitiva, le competenze presentano una dimensione materiale, che, permettendo di visualizzarle e localizzarle, è determinante per progettare la loro creazione e per operare la loro gestione (Cillo, Verona e Vicari, 2007). Le skill sono le unità elementari su cui si basano le competenze: senza le abilità dei singoli individui che compongono l’impresa e che ne sostengono il carico lavorativo, la conoscenza organizzativa non avrebbe senso di esistere. La struttura organizzativa è il collante hard che organizza per task e mansione la divisione del lavoro organizzativo tra le persone. Allo stesso tempo, le norme e i valori aziendali ne rappresentano il collante soft, che tiene unite le persone nel progetto aziendale. I meccanismi operativi, infine, ne rappresentano l’elemento dinamico che permette il funzionamento e il dinamismo richiesto a livello gestionale. Le quattro variabili evidenziate rappresentano la dimensione materiale delle competenze d’impresa, il cui contenuto è, come si è potuto vedere nel capitolo precedente, di natura cognitiva: fatto cioè di conoscenza tecnologica, di mercato e architettonica. Le competenze si basano tutte sulle medesime variabili: ciò che muta nella formazione di una specifica competenza è il contenuto delle singole variabili 4 • La gestione organizzativa della tecnologia 69 Figura 4.1 Il mix cognitivo che produce le competenze d’impresa dinamiche e distintive Skill Cultura Competenze d’impresa Struttura organizzativa Meccanismi operativi Fonte: Vicari e Verona (2001) organizzative e il modo in cui si combinano tra loro le variabili stesse. In analogia, quindi, a una delle più riuscite e celebri metafore adottate nel campo del marketing, che fa dipendere la realizzazione delle politiche di marketing da un insieme di ingredienti (le 4p) che, se bilanciati adeguatamente, compongono una miscela esplosiva – il marketing mix – ciascuna risorsa cognitiva può quindi intendersi in termini di organizational mix, ovvero quale frutto (cognitivo) di una miscela che compone adeguatamente le principali leve strutturali dell’impresa (Vicari e Verona, 2001). La specifica composizione e adeguata ponderazione in cui si intrecciano le variabili organizzative (skill, cultura, struttura, meccanismi operativi) dà cioè vita a una particolare formula cognitiva, che altro non è se non la singola competenza. Naturalmente, le imprese si basano su diverse competenze e necessariamente dovranno presentare molteplici cognitive mix. Le variabili strutturali saranno così ponderate diversamente anche all’interno di una stessa impresa in modo da alimentare un portafoglio di competenze adeguato alla generazione del vantaggio competitivo (Fig. 4.1). 4.2 Scelte di make or buy Sin dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo, il raggio d’azione delle attività messe in atto dalle imprese in termini sia di scala (ovvero dimensione) sia di scopo (cioè di ampiezza) è molto cambiato. Sebbene il numero di piccole imprese sia ancora particolarmente elevato in molteplici settori, la dimensione dell’attività economica globale intrapresa da ciò che Chandler ha definito la grande impresa è venuta a dominare numerosi settori di economie avanzate e ha anche esercitato una forte influenza sulle recenti percezioni di che cosa sia un’organizzazione economica. La realtà è tuttavia molto variegata e ben più complessa della semplice dicotomia grande vs. piccolo. In Il settore navale: il crescente outsourcing e le ragioni sottostanti e Il settore automobilistico americano: dall’in- 76 Tecnologia, innovazione, operations La creazione di network tecnologici richiede la predisposizione aziendale di capacità di assorbimento da fonti esterni. Più in particolare, l’absorptive capacity è la capacità a valutare, assimilare, integrare e utilizzare nuova conoscenza (Cohen e Levinthal, 1990). La maggior parte degli studi empirici dello scorso decennio ha analizzato il rapporto tra la presenza di absorptive capacity di un’impresa e la sua capacità a innovare – per esempio la reale capacità a utilizzare e sfruttare la conoscenza assimilata e assorbita. Questi studi evidenziano come diverse variabili possono influenzare la capacità di un’impresa ad assorbire conoscenza esterna e quindi mitigare il rapporto tra absorptive capacity e i suoi effetti sui processi innovativi di un’impresa (si veda Zahra e George, 2002, per una review degli studi). La Fig. 4.2 richiama le variabili fondamentali alla base della capacità di assorbimento che deve essere attivata da un’impresa per partecipare a un network tecnologico. Come si osserva dalla Fig. 4.2, il potenziale di conoscenza dipende fortemente dall’esperienza maturata nel contesto di apprendimento e dalle fonti da cui si apprende. L’idea di poter contribuire opportunisticamente al network è mitigata dalla complessità della conoscenza in esso contenuta e dalla necessità di garantire un investimento adeguato per poter continuamente partecipare al network assorbendo conoscenza. La figura mette altresì in evidenza un annoso problema legato alle imprese che intendono sfruttare le fonti di conoscenza esterna: assorbire non significa necessariamente sfruttare. Ovvero, è per le imprese fondamentale predisporre adeguati meccanismi di integrazione interni e processi di trasformazione e sfruttamento della conoscenza in modo che la conoscenza assorbita divenga poi parte fondamentale dei processi aziendali. La rilevanza dei network tecnologici e del mercato esterno della conoscenza tecnologica è estremizzato nel caso dei Markets for Technology (MT) i mercati Figura 4.2 Le variabili alla base dell’absorptive capacity Fonti di conoscenza e complementarietà Capacità potenziale Capacità effettiva Acquisizione di conoscenza Trasformazione Esperienza Sfruttamento Vantaggio competitivo (flessibilità strategica, innovazione, performance) Assimilazione Stimoli per l’attivazione Fonte: Zahra e George (2002) Meccanismi sociali di integrazione Regimi di appropriabilità 92 Tecnologia, innovazione, operations Figura 5.1 La «teoria delle catastrofi» come modello per l’innovazione no Novi tà de di un bis og lle c onos c enze ncr eti zza zio ne a Co e b c Fonte: Vicari (1998) Innovaz ione Il grafico è leggibile in termini di assi cartesiani, che sono disegnati in uno spazio tridimensionale. Innanzitutto il punto di partenza è dato dal punto a, punto nel quale si dispone solo delle conoscenze esistenti; il mercato, d’altro canto, non manifesta alcun nuovo bisogno: la situazione è tranquilla e non vi è alcuno spazio per l’innovazione: siamo su un piano che può essere definito «situazione esistente». Si immagini ora l’illustrazione della Fig. 5.1 come un foglio di carta parzialmente piegato e si pensi a una pallina che scivoli lentamente dalla posizione a alla posizione e. All’aumento delle conoscenze, per esempio, tramite investimenti in Ricerca & Sviluppo, si ha un movimento caratterizzato da piccoli cambiamenti incrementali sul piano della conoscenza, con il passaggio al punto e. Come si può vedere, a questo aumento di conoscenze non è corrisposta la capacità di soddisfare un nuovo bisogno presente nel mercato, e dunque l’incremento di conoscenza non ha prodotto per il momento alcuna innovazione. Solo quando il mercato evolverà e si manifesteranno bisogni coerenti con la nuova tecnologia, vale a dire vi sarà una concretizzazione di nuovi bisogni, allora la pallina potrà muoversi dal punto e al punto c: saremo così giunti al piano dell’innovazione, in cui sono presenti entrambi gli elementi della nostra definizione. Un esempio di questa situazione è stato lo sviluppo della tecnologia WAP (Wireless Application Protocol), che avrebbe potuto consentire la navigazione sul Web utilizzando un telefono cellulare. Dopo il suo sviluppo essa fu adottata dai principali operatori telefonici 96 Tecnologia, innovazione, operations Figura 5.2 Le reazioni al cambiamento Atteggiamento difensivo Ambiente Fonte: tratto e adattato da Vicari (1998) Atteggiamento adattivo Atteggiamento innovativo normativa civilistica e societaria a quella derivante dagli accordi riguardanti il commercio estero. Le variabili ambientali possono avere una dinamica molto diversa in funzione del livello di stabilità di ciascuna di esse e del loro insieme. In certe fasi storiche o con riferimento a determinati paesi o anche a specifici settori, l’ambiente tende a essere piuttosto statico, mentre in altre situazioni il contesto diviene fortemente dinamico e altamente imprevedibile. Da quanto detto, possiamo vedere nel comportamento innovativo dell’impresa non solo la propria capacità di sfruttare l’evoluzione delle conoscenze e delle competenze, ma anche di rispondere alle esigenze e ai bisogni della domanda, in sostanza agli stimoli e alle sollecitazioni che il mercato o l’ambiente più generale pone. Sotto questo profilo possiamo osservare che non tutte le imprese manifestano la stessa capacità di risposta agli stimoli dell’ambiente. In particolare possiamo classificare il modo in cui un’impresa reagisce agli stimoli dell’ambiente secondo lo schema riportato nella Fig. 5.2. Un primo atteggiamento può essere difensivo, di resistenza al cambiamento posto dall’ambiente, nel senso che l’impresa giudica gli stimoli provenienti dal mercato o dal contesto competitivo come fortemente aggressivi nei suoi confronti. Ciò può accadere quando, per esempio, l’evoluzione della domanda tende a spostare le preferenze verso prodotti diversi da quelli offerti dall’impresa o verso canali distributivi non coperti o ancora quando lo sviluppo si manifesta in zone geografiche non servite. Oppure quando la concorrenza opera azioni che hanno un certo successo e che sono difficilmente imitabili, vuoi per le conoscenze possedute o per il tipo di cultura esistente. I motivi per cui un’impresa sceglie un comportamento difensivo possono essere molteplici. Una prima causa piuttosto frequente è quella derivante dal ritardo con cui il management si rende conto del cambiamento nella tecnologia, nella domanda o nella concorrenza. In questo caso la reazione può essere talmente tardiva da non consentire altra risposta che quella difensiva. Un secondo motivo è riconducibile alla posizione di leadership consolidata nel settore, derivante dalle competenze tecniche e dalla superiorità del prodotto: in questi casi un cambiamento di tecnologia o di prodotto penalizzerebbe soprattutto 5 • Innovazione e sviluppo 99 Figura 5.3 Le organizzazioni creative Organizzazioni Organizzazioni creative Ambiente dinamico Adattabilità, flessibilità Creatività, sperimentazione, innovazione Ambiente statico Atteggiamento passivo, imitazione, scarsa innovazione Raccolta dati, analisi dettagliate, ricerche di mercato, anticipazione del futuro Ambiente Organizzazioni non creative Fonte: adattato da Daft e Weick (1984, p. 289) ascolto passivo, mantengono un livello ridotto di innovazione, preferiscono imitare i concorrenti più dinamici. Tali imprese operano solitamente all’interno di confini dati, non cercando di ridefinire il proprio ambito di attività in modo diverso da quanto viene tradizionalmente fatto nel settore. Nel quadrante in alto a sinistra, troviamo organizzazioni che, pur non essendo creative, operano in un contesto fortemente dinamico, a causa dall’attività dei concorrenti o da cambiamenti nella tecnologia, nella domanda o nelle variabili istituzionali. Le imprese non creative reagiscono al cambiamento utilizzando una forte capacità di adattamento ai mutamenti che intervengono nell’ambiente. Sono imprese spesso capaci di rispondere alle sollecitazioni che provengono dal mercato o dal contesto mantenendosi altamente flessibili, senza tuttavia proporsi per prime nel cambiamento. Nel quadrante in basso a destra troviamo organizzazioni creative, che cioè non si adattano passivamente all’ambiente, ma che cercano di sondare ogni possibilità esistente nel contesto. Sono imprese che si dotano della capacità di ricercare tutte le informazioni relative al mercato in cui operano. Il management infatti raccoglie dati, effettua ricerche di mercato, dispone di analisi dettagliate sullo scenario. Tali imprese sono dunque in grado di anticipare i cambiamenti futuri che, in un contesto sostanzialmente statico, risultano essere prevedibili. Nell’ultimo quadrante, in alto a destra, abbiamo le organizzazioni creative nei confronti di un ambiente che è estremamente dinamico. Tali imprese sono altamente creative: non aspettano il cambiamento ma sono in grado di generarlo attraverso la costruzione della realtà in cui operano. Sono imprese che fanno della sperimentazione la loro filosofia di gestione, che fa perno su strategie continuamente innovative. L’introduzione di nuovi prodotti, con prestazioni superiori o comunque con caratteristiche differenzianti rispetto a quelli esistenti, consente alle imprese di sottrarsi a una concorrenza di prezzo, in cui conta solo 106 Tecnologia, innovazione, operations Figura 6.1 Le combinazioni problemi-soluzioni Soluzione Problema Problema esistente Problema nuovo Soluzione attuale Nessun vantaggio competitivo Estensione di mercato Soluzione innovativa Acquisizione di un vantaggio competitivo Creazione di un nuovo mercato Fonte: adattato da Afuah (2003) alcun vantaggio competitivo attraverso l’innovazione e la concorrenza si svolge quindi attraverso altri strumenti, quali la differenziazione qualitativa dell’offerta, le politiche di distribuzione e di comunicazione, la competizione sui costi. Nel secondo quadrante, in alto a destra, una soluzione in essere viene utilizzata per risolvere un problema nuovo. In questo caso viene trovata una nuova applicazione per un prodotto già esistente. Per esempio, Saran wrap, un polimero in vinylide chloride, resistente a ossigeno, acqua, acidi e solventi1, era inizialmente prodotto dalla Dow Chemical in un colore verde scuro ed era utilizzato per avvolgere parte degli aeroplani da combattimento a protezione contro gli spruzzi di acqua marina. Solo dopo la seconda guerra mondiale l’azienda produttrice pensò di utilizzare il prodotto come avvolgente per alimenti. Ed è per questo tipo di applicazione che il film ebbe un successo enorme in tutto il mondo. Si tratta dunque di un’estensione del mercato per il prodotto, che trova nuove possibilità di sviluppo, in qualche caso (come nell’esempio riportato), migliori di quelle prima esistenti. L’impresa che riesce a realizzare un’estensione di mercato non acquisisce direttamente un vantaggio competitivo nel primo mercato, ma attraverso lo sviluppo del secondo può realizzare economie di scala legate agli acquisti, alla produzione e/o alla logistica, capaci di ridurre il costo unitario del prodotto, dando così indirettamente un vantaggio in termini di efficienza. Nel terzo quadrante, in basso a sinistra, siamo di fronte a un’innovazione in grado di risolvere meglio un problema esistente, che consente dunque una migliore posizione sul piano competitivo all’impresa innovatrice. Il vantaggio di quest’ultima è tanto maggiore quanto più efficace è l’innovazione nel rispondere all’esigenza prima soddisfatta da vecchi prodotti. Un esempio può essere quello della lampada Tizio (nella foto, tratta da illuminazione.webmobili.it), 1 In Italia il film trasparente analogo è conosciuto attraverso il marchio Domopack. 6 • L’approccio strategico all’innovazione 111 può comunque godere di un forte vantaggio di costo basato su una discesa più rapida lungo le curve di esperienza. Queste ultime derivano dal fatto che i vantaggi di costo possono essere connessi non solo alla dimensione della produzione in un dato momento (economie di scala), ma talvolta all’entità della produzione cumulata fino a un certo periodo. In numerosi casi è stato osservato che esiste una stretta relazione tra la diminuzione del costo medio e il livello cumulato della produzione, secondo modalità che sono talora misurabili e prevedibili. Tale fenomeno è stato per esempio studiato nei settori più diversi, quali l’automobile, il petrolchimico, i trasporti aerei, le cucine a gas, i calcolatori, i fazzoletti detergenti, le fibre sintetiche. In sintesi si è individuato che in molti settori il costo di un’unità del prodotto diminuisce di una percentuale costante ogni volta che la produzione cumulata raddoppia. Tale percentuale è naturalmente diversa da settore a settore: in alcuni arriva a livelli molto elevati (oltre il 70 per cento, per esempio, nel settore dei semiconduttori), in altri è invece del tutto trascurabile. La relazione tra la diminuzione del costo medio e la produzione cumulata è detta curva di esperienza ed è rappresentata graficamente nella Fig. 6.2. Vi sono numerosi motivi alla base di questo fenomeno. Una prima ragione è individuabile nell’apprendimento, legato al semplice fatto di ripetere più volte una certa attività, migliorandone ogni volta l’efficienza. Per esempio, con il passare del tempo, i tecnici preposti alla produzione sono in grado di migliorare il processo produttivo, di programmare in modo più corretto la produzione e di eliminare i tempi morti. Un altro motivo della riduzione dei costi è individuabile nelle innovazioni Costo medio Figura 6.2 La curva di esperienza Fonte: nostra elaborazione Produzione cumulata 6 • L’approccio strategico all’innovazione 119 funzioni, riducendo le dimensioni e rendendo il prodotto sempre superiore rispetto alle imitazioni. Un approccio di questo tipo spesso comporta che l’innovatore debba esso stesso cannibalizzare il proprio prodotto e rendere obsolete le proprie capacità. Continuando con l’esempio precedente, nel settembre 2005 Apple presentò un nuovo prodotto sviluppato insieme a Motorola – Motorola ROKR –, vale a dire un telefono cellulare con integrate funzioni di music player, in particolare l’unico disponibile in Italia provvisto di software iTunes (da www.apple.com). Il nuovo telefono-iPod diventa inevitabilmente concorrente dell’originario iPod, che non può che essere cannibalizzato dal nuovo prodotto. È possibile classificare le strategie di velocità in funzione dell’obsolescenza delle capacità e del grado di cannibalizzazione del prodotto, come illustrato nella Fig. 6.3. Nella strategia di rinnovamento di prodotto l’impresa lancia un nuovo prodotto prima che l’innovazione da essa stessa introdotta abbia esaurito il proprio potenziale e talvolta prima che raggiunga lo stadio della maturità. Il sacrificio immediato è ovviamente molto elevato: basti pensare che è proprio nella fase di maturità che il prodotto è in grado di generare la più elevata redditività e i maggiori flussi di cassa. Tuttavia, una siffatta politica può dare frutti elevati anche in termini di redditività quando l’impresa innovatrice è in grado di sfruttare le potenzialità delle innovazioni in tempi brevi, attraverso una rapida diffusione nel mercato. Un esempio significativo è stata la politica di Intel, la quale ha lanciato sistematicamente e regolarmente nuovi microprocessori prima di esaurirne fino in fondo le potenzialità di mercato, rendendo dunque obsoleti quelli esistenti. La strategia di rinnovamento radicale è quella che richiede sacrifici maggiori, in quanto comporta non solo la cannibalizzazione dei prodotti esistenti ma anche l’obsolescenza delle capacità disponibili. Un approccio di questo tipo è giustificato solo dalla necessità di mantenere una capacità innovativa e di leadership attraverso un rinnovamento radicale dei prodotti esistenti. Devono cioè essere sfidate Figura 6.3 Le strategie di velocità Cannibalizzazione del prodotto Alta Obsolescenza delle capacità esistenti Bassa Alta Rigenerazione di capacità Rinnovamento radicale Salvaguardia di prodotto Rinnovamento di prodotto Bassa Fonte: adattato da Afuah (2003, p. 195) 6 • L’approccio strategico all’innovazione 121 pri apparecchi cede a terzi la possibilità di realizzare programmi basati su OS, il sistema operativo dei propri apparecchi: più si diffondono software capaci di girare sui suoi dispositivi, più si amplia il mercato di Palm. Un ulteriore motivo è quello di acquisire capacità e competenze mancanti perché il prodotto possa avere un rapido ed esteso successo. Talvolta l’impresa innovatrice, infatti, ha sviluppato competenze tecnologiche relative al nuovo prodotto, ma non dispone di capacità necessarie per lo sviluppo successivo, per attività complementari necessarie alla diffusione del prodotto o per la sua commercializzazione. In questi casi la partnership con terzi dà un contributo a un rapido sviluppo del prodotto nel mercato. Per esempio, non sono rari i casi di piccole imprese che, una volta introdotta l’innovazione nel mercato domestico, si appoggiano a partner stranieri per lo sviluppo internazionale. Un ultimo motivo è collegato al tema della compatibilità: soprattutto in alcuni mercati è fondamentale per il cliente che l’uso di un certo prodotto sia compatibile con altri prodotti presenti nel mercato. Per esempio, nel caso del software è importante la trasportabilità dei programmi da un computer a un altro. Per ottenere questa compatibilità l’impresa innovatrice può cedere a terzi l’utilizzo della propria tecnologia, come si vedrà più a fondo nel prossimo paragrafo. La forma con cui la cooperazione avviene può assumere diverse configurazioni, da un’alleanza strategica, a un accordo di licenza, di distribuzione, di co-marketing e molti altri ancora. Scelta della strategia più opportuna – Talvolta i tre tipi di strategie non corrispondono a una distinzione così netta come descritto nelle pagine precedenti, ma la scelta migliore è quella di una combinazione tra di esse. Per esempio, nel processo di sviluppo di un nuovo prodotto un’impresa potrebbe adottare approcci differenti, come illustrato nella Fig. 6.4. Il tipo di strategia che un’impresa sceglie è spesso funzione dell’imitabilità della tecnologia e della natura degli asset complementari necessari per lo sviluppo del prodotto. Per esempio, se la tecnologia è fortemente imitabile perché le competenze necessarie sono ampiamente disponibili, una strategia di proteFigura 6.4 Esempio di combinazione di strategie a seconda delle diverse fasi di sviluppo del prodotto Generazione dell’idea Produzione Lancio sul mercato Protezione Team up Velocità Proteggere i risultati della ricerca Dare in licenza a terzi Lanciare sistematicamente nuovi prodotti Fonte: nostra elaborazione 6 • L’approccio strategico all’innovazione 127 Per quanto riguarda il primo punto, quando l’impresa vuole dare vita a un nuovo prodotto che richiede nuove conoscenze tecnologiche, organizzative e/o di mercato, deve attrezzarsi per produrre le nuove conoscenze, il che significa assumere personale tecnico specializzato, predisporre i laboratori, acquistare le eventuali attrezzature e così via. Alcune attività possono essere svolte in condizioni economiche solo a partire da una certa dimensione, mentre altre possono essere condotte anche senza una scala elevata. Un primo elemento importante di giudizio è dunque costituito dalla dimensione dell’attività innovativa in relazione alla dimensione aziendale. Stiegler (Stiegler, 1951) nel suo teorema sulla divisione del lavoro osservava che se la produzione di un bene è la risultante di più parti/componenti la cui fabbricazione è ottenuta con curve di costo differenti – crescenti, decrescenti e con forma a «U» –, alcune aziende si specializzeranno nella produzione e nella vendita ad altri soggetti di quei componenti la cui produzione comporta economie di scala, rendendo così la produzione del bene finale più efficiente. Il discorso non vale evidentemente solo per la produzione di componenti/parti, ma può essere esteso allo svolgimento di tutte le funzioni aziendali, quali la Ricerca & Sviluppo o la pubblicità per la commercializzazione di un nuovo prodotto. Ciò che è importante, ai fini della decisione di acquistare le attività necessarie all’innovazione all’esterno, è dunque l’esame dell’andamento della funzione di costo delle attività connesse all’innovazione: se esse sono crescenti, decrescenti oppure con un punto di minimo, come illustrato nella Fig. 6.5. Costo delle attività Figura 6.5 Costi e dimensioni delle attività per l’innovazione δ α β O A B Dimensione delle attività 6 • L’approccio strategico all’innovazione 129 Figura 6.6 Coerenza strategica e difendibilità delle tecnologie Coerenza strategica Alta Difesa della tecnologia Bassa Non importante/ non possibile Acquisto della tecnologia Collaborazione o outsourcing Collaborazione o outsourcing Ricerca & Sviluppo svolti internamente Critica Fonte: adattato da Baglieri (2003, p. 65) possibile una sua difesa – per esempio, perché le competenze sono ampiamente disponibili nel mercato –, può essere conveniente per l’impresa affidare la propria attività di Ricerca & Sviluppo a un laboratorio specializzato o intraprendere un’attività di collaborazione con altre imprese. In modo analogo, quando la coerenza strategica della tecnologia è bassa e tuttavia si tratta di un tecnologia critica per il successo del nuovo prodotto, tale per cui è necessario che i concorrenti imitino il più tardi possibile quel ritrovato tecnologico, l’impresa può decidere di intraprendere una collaborazione per lo sviluppo del prodotto con altre imprese, ovviamente attraverso accordi di esclusiva. 6.7 Le strategie di apertura della Rete Fino al secolo scorso la nostra economia e l’attività produttiva si sono basate su unità indipendenti, le singole imprese, che per operare, per interagire, dovevano necessariamente entrare in contatto quasi fisico tra loro. Nel XX secolo le capacità di comunicazione sono aumentate enormemente, al contatto fisico si è aggiunta la comunicazione a distanza, con il telefono e con le onde radio. Questa aumentata capacità di comunicazione ha fatto sì che l’attività economica fosse sempre meno legata a compiti isolati e sempre più fondata sulla formalizzazione delle conoscenze in codici capaci di facilitare la trasmissione dell’informazione da un’unità a un’altra. La possibilità di comunicare, di scambiare cioè informazioni da un luogo a un altro ha consentito di rompere i confini chiusi delle organizzazioni, che hanno potuto operare senza limiti geografici e con una capacità di coordinamento delle attività prima impensabili. Alla necessità del contatto fisico, si è a poco a poco affiancato, in parte sostituendolo, lo scambio di conoscenza. Se, per esempio, era 132 Tecnologia, innovazione, operations ampia possibilità di comunicazione. Quando nacque Netscape, per esempio, i fondatori crearono uno standard aperto proprio perché erano convinti che la rete richiedesse la massima facilità di comunicazione e, dunque, piattaforme il più aperte possibile (Yoffie e Cusumano, 1999, p. 12). Nell’economia della virtualità di rete è fondamentale la scelta tra l’apertura massima della rete oppure il controllo esclusivo esercitato su di essa (Shapiro e Varian, 1999, pp. 238-252). Infatti, laddove esiste un forte effetto di rete, il valore totale dipende da quanto può essere diffusa una certa innovazione, cioè dalle dimensioni della rete. Questa alternativa, fra apertura della rete e controllo esclusivo, può essere illustrata nella Fig. 6.7. Sull’asse delle ordinate è rappresentata la quota del mercato appartenente a una singola impresa e sull’asse delle ascisse il peso dello standard nel settore. Ogni impresa deve stabilire in quale punto situarsi, cioè se controllare un’elevata quota di un piccolo mercato, definito dal limitato peso dello standard nel settore oppure una piccola quota di un mercato molto più ampio, oppure se scegliere una situazione mediana (come il punto di ottimo della Fig. 6.7). Un esempio è quello della tecnologia del tubo catodico utilizzato per i televisori, sviluppata inizialmente da RCA, la quale ha scelto di non produrre televisori in esclusiva, collocandosi dunque nel grafico in alto a sinistra, ma di rendere disponibile la tecnologia a tutti i produttori di televisori, collocandosi così in basso a destra, vale a dire in una posizione dove, pur controllando da un punto di vista competitivo una quota bassa, tuttavia possedeva il controllo di uno standard che rappresentava il totale del mer- Quota di mercato posseduta direttamente dall’innovatore Elevata Figura 6.7 L’alternativa tra apertura della rete e controllo esclusivo Bassa Ottimo Ridotto Fonte: adattato da Shapiro e Varian (1999, p. 243) Significativo Peso dello standard nel settore 6 • L’approccio strategico all’innovazione 133 cato. In questo modo non ha impedito la concorrenza di altri, ma ha ottenuto che il proprio standard fosse adottato da tutti e, dunque, l’unico disponibile sul mercato. Ciò significa che, in un’economia di rete, sfruttare al massimo la propria innovazione può significare condividerla con altri attori del mercato. In questo caso, l’alleanza tra le imprese è orientata soprattutto alla promozione di un certo standard all’interno del mercato, che consente alla tecnologia di conquistare una quota significativa del valore aggiunto del mercato. Questo stesso concetto può essere esaminato osservando le decisioni che le imprese compiono in termini di scelta tra le alternative compatibilità e performance, ove per compatibilità s’intende un’innovazione tecnologica compatibile con altre tecnologie concorrenti o complementari, mentre per performance si intende un’innovazione tecnologica che voglia garantirsi una performance superiore rispetto agli standard esistenti sul mercato. Un esempio della prima opzione è quello dell’offerta di IBM di un sistema compatibile con altri, il DOS, mentre l’esempio di seconda opzione è quello di Apple, che scelse inizialmente un sistema superiore a quelli esistenti ma non compatibile. Dalla combinazione di queste quattro opzioni (Fig. 6.8) nascono strategie di base nelle economie di rete. Puntare sulla performance significa orientarsi verso una strategia ad alto rischio ma ad alto rendimento, il che vuol dire puntare su una tecnologia in grado di superare tutte quelle esistenti sul mercato, e quindi capace di vincere rispetto alla concorrenza offrendo vantaggi di performance alla clientela. Un tentativo in questo senso è stato compiuto da Sony, quando offrì al mercato videoregistratori basati su una tecnologia esclusiva, la Betamax, superiore sul piano tecnologico rispetto a quella denominata VHS, ma non compatibile con questa. A ben trent’anni di distanza la storia si ripresenta con riferimento al formato dei DVD: Sony offre una tecnologia Blu Ray, esclusiva, superiore e incompatibile rispetto a quella HD di Toshiba e Nec. Nel caso di una strategia di migrazione controllata, l’impresa offre una nuova tecnologia, che risulta compatibile con quelle esistenti. L’impresa non condivide la tecnologia con terzi, ma l’apre a quelle concorrenti o esistenti sul mercato. Per Figura 6.8 Le strategie di base nella Rete Controllo Apertura Compatibilità Migrazione controllata Migrazione aperta Performance Performance Discontinuità Fonte: Shapiro e Varian (1999, p. 249) 140 Tecnologia, innovazione, operations Figura 7.1 Le forme di creatività Creatività individuale Alta Bassa Creatività organizzativa Alta • Organizzazioni basate sul miglioramento continuo, sulla sistematica ricerca di efficienza • Organizzazioni di successo • Elevato tasso di innovazioni • Basso tasso di innovazioni, solo imitazioni • Organizzazioni poco efficaci • Poche innovazioni, talvolta radicali, basate sullo spirito imprenditoriale dei singoli Bassa Fonte: Vicari (1998) Nel quadrante in basso a destra abbiamo imprese che generano innovazioni frutto di elevata creatività individuale, ma di bassa creatività organizzativa. Sono le imprese in cui la capacità di cambiamento e di innovazione è legata all’intuito e allo spirito imprenditoriale di singole persone, spesso del fondatore. In queste imprese le innovazioni sono piuttosto sporadiche, legate alla capacità e alle idee di una singola persona. Tuttavia i cambiamenti possono essere di tipo radicale, in quanto l’innovazione è, non di rado, rivoluzionaria. Nel quadrante in alto a sinistra, vi sono le organizzazioni che operano in termini di elevata creatività organizzativa, pur non possedendo al proprio interno individui altamente creativi. Il cambiamento, in questo caso, è basato su centinaia di cambiamenti continui, nessuno dei quali è in grado di operare cambiamenti rivoluzionari, ma la somma dei quali può generare innovazioni significative. Si tratta delle organizzazioni che agiscono basandosi su una sistematica e continua ricerca di migliore efficienza o di maggiore efficacia. In queste imprese, la logica è quella del miglioramento continuo e del contributo collettivo al cambiamento. Un tipico esempio sono le imprese giapponesi, le quali pur non possedendo spesso al proprio interno persone dotate di elevata creatività, sono capaci di produrre innovazioni significative lungo la propria esistenza basandosi sulla ricerca di una maggiore qualità e sul miglioramento continuo dei processi da parte di tutte le maestranze e di tutto il management. Nel quadrante in alto a destra, infine, vi sono le organizzazioni di maggior successo, quelle in grado di un continuo cambiamento, dotate di capacità di evoluzione, estremamente innovative e capaci di generare sistematicamente il nuovo. Si tratta di imprese che fanno dell’innovazione la propria filosofia di gestione. Sono capaci di coniugare un’elevata creatività dei singoli, che viene favorita in ogni modo, con una capacità di far partecipare al miglioramento continuo e all’incre- 146 Tecnologia, innovazione, operations Figura 7.2 Spesa per Ricerca & Sviluppo intra-muros delle imprese per tipologia di ricerca (anni 1998-2003, valori in milioni di euro correnti) 4.000 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 1998 1999 2000 2001 Ricerca di base Ricerca applicata Fonte: ISTAT, statistiche sulla ricerca scientifica 2002 2003 Sviluppo sperimentale sperimentale. Come si può vedere dalla Fig. 7.2, la spesa per la ricerca cresce in tutte le sue componenti, seppure lentamente nel tempo, mutando tuttavia dal 2001 i rapporti tra le varie tipologie. L’Italia, in generale, nel contesto europeo e a maggior ragione in quello internazionale, ha una spesa totale inferiore alla media degli altri paesi europei. Dunque, per l’Italia, la questione di incrementare le attività di R&S si pone in modo ancora più pressante che per il resto dell’Unione Europea, che pure deve incrementare i propri sforzi per rimanere al passo con gli Stati Uniti (si veda Il piano Lisbona per il 2010). Il piano Lisbona per il 20103 Nel 2000, il Consiglio di Lisbona ha riconosciuto l’inadeguatezza degli sforzi della ricerca europea in generale, l’inadeguatezza o la mancanza di coordinamento delle attività e delle politiche e il calo d’interesse da parte dei giovani per la scienza. Per contrastare tali tendenze, nel 2002 è stato creato lo Spazio Europeo della Ricerca (ERA). L’ERA doveva occuparsi delle reti dei centri d’eccellenza e della creazione di centri virtuali, fornire un approccio comune per finanziare grandi infrastrutture per la ricerca, permettere un più coerente svolgimento delle attività di ricerca nazionali ed europee e fornire risorse umane più numerose e dinamiche, promuovendo allo stesso tempo valori sociali ed etici comuni in ambito scientifico e tecnologico. Nel 2002, il Consiglio di Barcellona ha stabilito che gli investimenti nella Ricerca & Svi3 Tratto da www.scientificambitalia.org. 162 Tecnologia, innovazione, operations Vendite Figura 8.1 Ciclo di vita del prodotto e potenziale di mercato Potenziale di mercato Ciclo di vita del prodotto Introduzione Fonte: nostra elaborazione Tempo • scompositivo; • statistico. Il metodo aggregativo vuole identificare in un determinato ambito geografico e in un certo periodo di tempo qual è il numero di clienti potenzialmente interessati all’acquisto del prodotto/servizio. Il passo successivo consiste nella stima della quantità acquistabile da ogni singolo cliente e nell’eventuale tasso di riacquisto nel periodo considerato. Da ultimo, è necessario stimare il costo che ogni singolo cliente è disponibile a sostenere per entrare in possesso del nuovo prodotto. In sintesi: P = N ×Q × r × p dove: P = potenziale di mercato N = numero di clienti potenzialmente interessati Q = quantità acquistabile da ogni cliente r = riacquisto medio del periodo p = costo che ogni cliente è disponibile a sostenere (possibile prezzo di vendita) Il metodo scompositivo, invece, consiste nel partire dal numero della popolazione totale e nella successiva scomposizione dello stesso moltiplicandolo per una serie di quozienti calcolati sulla base delle ipotesi d’interesse/propensione 166 Tecnologia, innovazione, operations Tempo Vendite Vendite Vendite Figura 8.2 Le diverse forme della curva di adozione mettendo in relazione le vendite e il tempo Tempo Tempo Fonte: nostra elaborazione relazione per esempio, le vendite e il tempo, il livello di penetrazione e il tempo, e ancora le vendite e il livello di penetrazione. Un certo prodotto può avere un livello di adozione iniziale molto elevato e poi subire un brusco rallentamento mentre, all’opposto, un prodotto può avere un’adozione iniziale molto bassa e poi conoscere una forte diffusione; altri prodotti, ancora, possono essere oggetto di una crescita del livello di diffusione piuttosto costante nel tempo. Nella Fig. 8.2 sono rappresentate le tre modalità ora descritte. Il livello di penetrazione esprime la dimensione del mercato. Esso può pertanto essere rappresentato come il rapporto tra il totale delle vendite del nuovo prodotto rispetto alle vendite totali del mercato. Queste ultime sono date dalla somma del totale delle vendite del nuovo prodotto e dei prodotti simili già presenti sul mercato o comunque di prodotti altamente sostitutivi. Ovviamente, nel caso di un prodotto totalmente nuovo, che dà vita a una nuova categoria, il concetto di tasso di penetrazione perde significato essendo per definizione comunque pari a 1. Il livello di penetrazione può essere esaminato ex post oppure ex ante: nel primo caso si tratta di un rapporto tra il totale delle vendite effettive del nuovo prodotto e il mercato totale; nel secondo caso di un rapporto tra il totale delle vendite potenziali per il nuovo prodotto e il mercato totale. Ovviamente il livello di penetrazione dipende, oltre che dai benefici effettivi del nuovo prodotto rispetto ai prodotti esistenti, anche dalle azioni di marketing del produttore. Questi, infatti, con il livello degli investimenti per la commercializzazione dell’innovazione può influenzare non solo il tasso e lo schema di diffusione, ma anche il livello di penetrazione che il nuovo prodotto può raggiungere nel mercato. Le modalità di adozione di un’innovazione possono essere esaminate anche in relazione alle caratteristiche dei clienti e in particolare alla loro propensione a un’adozione precoce o ritardata del prodotto. In particolare, con riferimento ai beni di consumo durevole – per i quali il processo di acquisto è caratterizzato da 8 • Il mercato dell’innovazione 167 un livello maggiore di complessità – Rogers (1995) ha identificato cinque categorie di consumatori: 1. 2. 3. 4. 5. gli innovatori; gli adottanti iniziali; la maggioranza anticipatrice; la maggioranza ritardataria; i lenti. Gli innovatori, rappresentati nel primo segmento della Fig. 8.3, sono consumatori particolarmente interessati al prodotto e in particolare alle caratteristiche innovative che esso presenta. Si tratta solitamente di persone altamente competenti e comunque con una forte propensione all’acquisto delle novità, perlomeno con riferimento alla categoria di prodotto cui l’innovazione appartiene. Solitamente si tratta di persone con un livello di reddito piuttosto elevato e con un alto grado di istruzione, anche se ciò che caratterizza maggiormente queste tipologie di clienti è, come si diceva, il livello di interesse. Gli adottanti iniziali sono, invece, consumatori che, pur non essendo così esperti del prodotto o così interessati alle caratteristiche innovative, tuttavia aspirano a essere tra i primi a entrare in possesso di quel particolare tipo di prodotto. Talvolta si tratta di persone comunque interessate alle novità, perlomeno con riferimento alla categoria di prodotto in questione. Gli adottanti iniziali, insieme agli innovatori, svolgono spesso la funzione di opinion leader nei con- Vendite non cumulate Figura 8.3 Gli adottanti in funzione del tempo di adozione Innovatori Adottanti iniziali Fonte: nostro adattamento Maggioranza anticipatrice Maggioranza ritardataria Lenti Tempo 170 Tecnologia, innovazione, operations Figura 8.4 La segmentazione come divisione «naturale» del mercato Segmento A Segmento B Segmento C Fonte: Vicari (1998) Segmento D mercato in base a proprietà oggettive della domanda, quali le caratteristiche sociali, demografiche, psicologiche/psicografiche. L’obiettivo, in fase di progettazione dell’offerta, è individuare i criteri adeguati di segmentazione da cui è possibile inferire il comportamento dei consumatori. Come si vede un concetto di segmentazione in cui prevale la necessità di prendere atto dell’articolazione esistente è quello di cui l’impresa deve tenere conto nel definire la propria offerta. Nella Fig. 8.4 è rappresentato un mercato (disegnato come un ovale), nel quale ogni punto rappresenta un consumatore (o meglio un bisogno della domanda): il mercato risulta diviso in una serie di segmenti, che l’impresa deve individuare e a cui deve cercare di indirizzare le scelte di marketing. Il mercato è un dato di fatto e i segmenti (A, B. C, D) sono il frutto dei comportamenti dei clienti, a loro volta determinati dalle caratteristiche personali. Per esempio, fino alla fine degli anni Settanta il mercato degli orologi era sostanzialmente segmentato sulla base delle caratteristiche sociodemografiche degli acquirenti, in particolare del reddito disponibile e della propensione a pagare un prezzo più o meno elevato per l’orologio. Un’impresa operante nel settore, pertanto, nel definire le caratteristiche differenziali di un nuovo orologio, avrebbe dovuto innanzitutto prendere atto della segmentazione esistente per poi indirizzare correttamente il nuovo prodotto a una particolare tipologia di clienti, sia in termini di reddito che di propensione a un certo prezzo, al fine di progettare e definire caratteristiche qualitative del prodotto offerto coerenti con il segmento prescelto. Mentre le innovazioni incrementali si inseriscono nel mercato senza modificare in modo sostanziale la segmentazione esistente, ogni qualvolta un prodotto radicalmente nuovo irrompe nel mercato, l’assetto in essere viene solitamente sconvolto. Ogni innovazione radicale modifica completamente la struttura del mercato e la vecchia segmentazione perde totalmente di significato. Sotto il profilo della segmentazione possiamo anche sostenere che un’innovazione radi- 8 • Il mercato dell’innovazione 171 cale tende sempre a trasformare le modalità di aggregazione dei clienti, i quali di fronte al nuovo prodotto reagiscono in modo differente rispetto al passato, essendo la sensibilità della domanda alle caratteristiche di novità necessariamente diversa in funzione della varietà della clientela. Per esempio, un’innovazione di processo che renda i costi di varie tipologie di prodotto sostanzialmente identici può invalidare una politica di differenziazione di prezzo, divenuta oramai non più significativa. Il mercato, da quel momento in poi, non può più essere segmentato sulla base della variabile «prezzo». Se un’impresa, infatti, decidesse coerentemente di non azionare più la leva del prezzo, i segmenti preesistenti non avrebbero più ragione di esistere. Un’innovazione radicale determina dunque nuovi segmenti di mercato aggregando clienti prima appartenenti a segmenti diversi in nuovi segmenti sulla base della sensibilità alle caratteristiche di novità del prodotto. Quindi l’innovazione è in grado di aggregare i bisogni dei clienti in modo nuovo, sconvolgendo gli assetti prima esistenti. Il mercato degli orologi, di cui si faceva cenno poc’anzi, dopo l’introduzione di Swatch, non è stato più segmentabile solo sulla base della variabile prezzo, ma piuttosto in funzione della sensibilità alla funzione dell’orologio non solo come strumento di misurazione del tempo, ma anche come elemento accessorio di moda, come è illustrato in Il lancio di Swatch. Nella Fig. 8.5 è riportato lo stesso mercato, in cui i punti – come nel grafico precedente – rappresentano i bisogni; questi sono attraversati da linee create dall’innovazione, che aggregano però i bisogni secondo modalità del tutto differenti rispetto alla segmentazione esistente prima. Ogni innovazione è in grado quindi di tracciare linee di articolazione in un mercato aggregando i bisogni senza alcun limite aprioristico. Le modalità di aggregazione sono potenzialmente tante quante sono le combinazioni possibili in un mercato, sono cioè virFigura 8.5 La segmentazione come risultato di un processo innovativo Segmento A Segmento B Segmento C Segmento E Fonte: Vicari (1998) Segmento D 8 • Il mercato dell’innovazione 173 Tabella 8.1 Le caratteristiche del progetto Idea Produrre un orologio al prezzo di un movimento (max 40 franchi svizzeri) Tecnologia Produzione integrata iniezione plastica Vantaggi Possibilità di adattamento del design Obiettivo Produzione di massa e penetrazione globale era risultato un orologio in materiale sintetico molto resistente, impermeabile fino a una profondità di 30 m, con una precisione di ± 1 secondo al giorno. Nel dicembre del 1982 la SWDC organizzò il test di mercato in 100 magazzini della Sanger Harris a Dallas, Salt Lake City e San Diego. Esso non fu accompagnato da alcuna iniziativa pubblicitaria né da alcuna operazione di PR. La risposta del pubblico fu negativa. Il management ETA, tuttavia, non si scoraggiò e nel marzo del 1983 l’orologio fu lanciato ufficialmente in Svizzera. Nell’aprile del 1983 la SWDC predispose un secondo test di mercato per il mese di dicembre dello stesso anno. Questa volta l’orologio Swatch fu distribuito attraverso la catena di gioiellerie Zales e i magazzini Macy’s di Dallas e New York. Thomke e Sprecher vollero che questa volta il lancio fosse accompagnato da uno spot pubblicitario trasmesso principalmente in TV. La realizzazione fu affidata alla McCann Erickson. L’idea di non esaltare le caratteristiche tecniche dell’orologio e di posizionarlo come accessorio di moda, cioè l’idea di Sprecher, il consulente di Thomke, sembrava a Imgrueth la migliore, ma costui si era reso conto che dal test di mercato non risultava affatto che la domanda lo percepisse come tale. Si doveva pertanto ripensare alla configurazione estetica dell’orologio e si sarebbe dovuto, a tal fine, predisporre anche un programma pubblicitario che esaltasse la funzione di accessorio dello Swatch, differenziandolo, per la sua semplicità, dai sofisticati orologi multiuso che i concorrenti giapponesi andavano proponendo. Thomke aveva deciso fin dal progetto iniziale che ETA avrebbe presentato ogni anno due diverse collezioni composte da 12 modelli, ma, per esprimere le diverse tendenze della moda, stabilì insieme ai designer, che il target sarebbe stato individuato in 4 gruppi: classico, elegante-sofisticato, sportivo e, infine, moderno-trendy. 8.4 I test per il nuovo prodotto Sotto il profilo di marketing, il lancio di un nuovo prodotto richiede che vi sia un processo di affinamento progressivo, che per certi versi ricalca quello che esamineremo più avanti nel capitolo 9, riguardante lo sviluppo di un prodotto. Prima di dare via al lancio del prodotto, una volta che sono state selezionate le idee, in base alle quali si ha una ragionevole probabilità che il prodotto abbia successo, è necessario sviluppare un’idea più precisa del prodotto finito. Si tratta dello sviluppo del «concetto di prodotto» o come viene solitamente chiamato nella pratica manageriale product concept (a questo proposito, sui test di mercato si veda diffusamente Crawford e Di Benedetto, 2006). 9 Gestione e organizzazione del processo innovativo 9.1 Lo sviluppo del nuovo prodotto Lo sviluppo di un nuovo prodotto può essere visto come un processo in cui una certa possibilità di innovazione si traduce progressivamente in un progetto e poi, alla fine, in un prodotto che viene lanciato nel mercato. Questo processo può quindi essere visto come un percorso costituito da più fasi, in cui un’iniziale idea di innovazione si trasforma in un prodotto vero e proprio e in cui ciascuna fase contribuisce al processo di trasformazione. Possiamo pertanto descrivere lo sviluppo del nuovo prodotto come indicato Fig. 9.1. Investimento cumulato Figura 9.1 Il processo sequenziale di sviluppo di un nuovo prodotto Lancio Test di mercato Produzione Industrializzazione Prototipazione Ricerca & Sviluppo Ideazione Durata del processo 9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo 185 Investimento cumulato Figura 9.2 Il processo parallelo di sviluppo di un nuovo prodotto Lancio Test di mercato Produzione Industrializzazione Prototipazione Ricerca & Sviluppo Ideazione Durata del processo mazioni necessarie alla fase successiva cominciano a fluire dall’una all’altra. Perché ciò sia possibile è tuttavia necessario che la squadra che opera in ciascuna fase sia composta di persone che abbiano competenze anche relative alla – e in qualche caso che compongano poi la squadra che opererà nella – fase successiva. Ogni qualvolta nasca all’interno di una fase un problema che inevitabilmente condizionerebbe gli stadi successivi, la soluzione che viene cercata tiene già conto delle esigenze di questi ultimi. La sovrapposizione, quindi, non riguarda solo l’arco temporale tra le fasi, ma anche le competenze. In molti casi lo sviluppo del nuovo prodotto è affidato a un unico team, costituito da persone con competenze nelle diverse aree aziendali interessate. In ogni caso, un elemento fondamentale perché un processo parallelo funzioni efficacemente è il continuo flusso di informazioni da una fase all’altra. Il risultato che l’adozione di metodi paralleli nel processo di sviluppo di nuovi prodotti ha comportato concerne non solo una forte riduzione del time to market, ma anche una significativa flessibilità: il lavoro dei gruppi interfunzionali garantisce un «robusto» processo di apprendimento, che consente di modificare i progetti via via che le informazioni divengono più complete e che l’attività di sviluppo fornisce nuovi elementi. Inoltre, è il forte trasferimento di informazioni in una logica fortemente interfunzionale a far sì che sia possibile affrontare rapidamente eventuali problemi inaspettati, che sistematicamente emergono in un qualunque processo di questa natura. 9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo 187 Numero di progetti Figura 9.3 Curva di decadimento dei progetti di innovazione Ideazione Ricerca & Sviluppo Stage gate Prototipazione Stage gate Industrializzazione Stage gate Lancio Durata del processo Stage gate I criteri che vengono utilizzati per valutare la bontà del progetto innovativo tengono conto sia delle potenzialità di mercato sia delle possibilità di sviluppo sotto il profilo tecnologico. Ovviamente viene utilizzato un criterio di tipo economico, vale a dire il livello di profittabilità del nuovo prodotto una volta lanciato nel mercato. Un indice sviluppato a questo proposito consiste nel considerare i profitti probabili rispetto ai costi di sviluppo del progetto: A= T × M ×O C In particolare, l’attrattività di un progetto (A) è funzione dei profitti previsti (P) pesati per la probabilità di concludere con successo lo sviluppo tecnologico del progetto (T) e per la probabilità che il prodotto venga accolto favorevolmente dal mercato (M). I profitti attesi vengono poi messi a confronto con i costi di sviluppo del progetto (C), ricavandone appunto l’indice di attrattività (A). La complessità nella valutazione dei progetti innovativi deriva dal fatto che l’arco di tempo necessario perché il progetto si sviluppi dalla prima idea fino al lancio del prodotto può essere molto lungo e quindi possono variare molto sia le condizioni della tecnologia sia quelle del mercato. Per affrontare la questione-valutazione vengono non di rado formati dei 189 9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo Figura 9.4 Mappatura dei progetti di innovazione Maggiore Maggiore Grado di modificazione del processo Minore Ricerca & Sviluppo avanzata Processo di nuova generazione Riconversione a livello di singolo reparto Cambiamento marginale Grado di modificazione del prodotto Nuovo prodotto Prodotto di nuova generazione Minore Prodotti Estensione derivati della famiglia di prodotti e miglioramenti Progetti radicalmente innovativi Progetti piattaforma Progetti derivati Fonte: Wheelwright e Clark (1992) stente o a dare vita a nuove esigenze della domanda. Questi progetti possono avere orizzonti temporali di lungo termine e non avere uno sviluppo applicativo immediato. Talvolta essi sono condotti insieme all’università, come esplorazione delle possibili applicazioni della ricerca di base, in vista appunto di nuovi futuri progetti innovativi. Quando sono previsti sia nuovi prodotti sia nuovi processi, i progetti possono essere definiti come radicalmente innovativi, in quanto comportano il ripensamento degli assetti produttivi e del rapporto con il mercato. Ovviamente si tratta dei progetti più rischiosi e con le maggiori opportunità, che coinvolgono tutta l’organizzazione aziendale, dal vertice fino alle maestranze. I progetti piattaforma sono, invece, quelli che richiedono innovazioni significative nel prodotto originario o attraverso nuove versioni che lo sostituiscono o che si affiancano a esso e che, nel contempo, richiedono modifiche nei processi produttivi a livello di singolo reparto o comunque non di tipo sostanziale. Tali progetti consentono di ampliare di molto l’offerta oppure di allungare, talvolta in modo rilevante, la vita del prodotto originario. Essi vengono definiti «piattaforma» in quanto danno vita a sviluppi del prodotto a partire dalla medesima base tecnologica, che consente una grande varietà di caratteristiche del prodotto finito. 9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo 193 delle attività che, da un formale momento iniziale fino a un momento finale, racchiude tutti i compiti necessari per arrivare al lancio del nuovo prodotto. Nel progetto si sostanziano le attività di coordinamento, che possono assumere diverse modalità organizzative: • funzionale; • project management; • team autonomo. Nel modello di tipo funzionale non vi è una responsabilità precisa nell’ambito del progetto e ogni funzione aziendale ha il compito di sviluppare al meglio la parte del progetto che compete alla stessa (Fig. 9.5). Tale struttura consente di enfatizzare il contributo di competenza che ciascuna area aziendale può apportare al progetto. Una struttura di questo tipo pone ovviamente forti problemi di coordinamento e non è adottabile nel caso di progetti complessi. Come si è detto poc’anzi, infatti, ciascuna funzione possiede competenze, linguaggi e obiettivi diversi. Tale modello può trovare qualche applicazione in piccole imprese, dove in realtà la funzione di coordinamento viene svolta dal vertice, o in imprese technology driven, dove il coordinamento delle diverse attività è comunque guidato, anche solo culturalmente, dalle competenze tecnologiche. In ogni caso, per risolvere e dirimere eventuali conflitti, in questo approccio è quasi sempre prevista l’istituzione di un comitato di coordinamento cui solitamente partecipano i responsabili delle funzioni coinvolte. Non appena i progetti aumentano di complessità, è necessario che il coordinamento venga svolto dal cosiddetto project manager (PM), il quale ha la responsabilità di coordinare le risorse che ogni funzione aziendale mette a disposizione per la conduzione del processo di sviluppo del nuovo prodotto (Fig. 9.6). La gestione per progetto, con un responsabile del processo, ha notevoli vantagFigura 9.5 Modello funzionale Ricerca & Sviluppo Produzione Marketing Comitato di coordinamento Progetto di nuovo prodotto Amministrazione e controllo 194 Tecnologia, innovazione, operations Figura 9.6 Project management Ricerca & Sviluppo Produzione Marketing Amministrazione e controllo Manager della funzione Project manager gi. In primo luogo viene formalizzata l’esistenza di un progetto, che solitamente ha una scadenza e delle risorse di tempo ed economiche assegnate. Vi è poi una responsabilità chiara per le attività di processo, che vengono assegnate al PM. Quest’ultimo dispone solitamente degli strumenti per pianificare le attività di progetto, per assegnare i compiti al suo interno, per controllare l’andamento delle attività e per coordinare il lavoro dei vari membri che generalmente dedicano solo un parte del proprio tempo al progetto. Vi sono due versioni diverse di questo tipo di coordinamento: quello attraverso i cosiddetti lightweight project manager e i heavyweight project manager (Clark e Fujimoto, 1991). Nel caso del lightweight PM le persone assegnate al progetto rispondono per il proprio operato ai rispettivi responsabili di funzione, che ne dirigono sostanzialmente l’azione. Il PM può essere dedicato al progetto totalmente o parzialmente, ma in ogni caso non ha un potere gerarchico diretto sulle risorse assegnate al progetto. Il suo è sostanzialmente un ruolo di raccordo e di coordinamento, mentre l’operato delle persone è determinato e valutato dalle rispettive funzioni aziendali. Il limite principale di tale modalità di coordinamento è proprio nello scarso potere del PM, il quale talvolta deve subire lo schema di lavoro, i tempi di svolgimento delle attività, i problemi di conflitto tra le diverse aree, non avendo una capacità di intervento diretto. Egli può solo influenzare il processo fornendo le informazioni, illustrando i problemi, aiutando quando nascono conflitti. Solo nel caso in cui i problemi superino un certo livello, può cercare di agire rivolgendosi direttamente alla Direzione generale perché quest’ultima affronti le aree problematiche o di conflitto. Tali problemi possono diventare un limite significativo nel caso in cui i progetti di innovazione siano particolarmente complessi, tecnologicamente complicati e richiedano conoscenze multidisciplinari. Proprio per superare questi problemi talvolta si ricorre alla modalità di coordinamento «pesante». In questo caso l’heavyweight PM ha un potere più forte sulle modalità di svolgimento del progetto. Solitamente si tratta di un senior manager con una certa 196 Tecnologia, innovazione, operations Figura 9.7 Task force Direzione generale Ricerca & Sviluppo Produzione Marketing Amministrazione e controllo Task force Project manager Non di rado, quando il gruppo di progetto sviluppa un prodotto realmente innovativo e interessante per lo sviluppo aziendale, a esso viene dato mandato di continuare nella gestione del prodotto anche nella fase del lancio e nella fase di sviluppo del mercato, dando quindi vita a una nuova unità organizzativa di tipo divisionale. 9.5 Il Quality Function Deployment Un modo per migliorare il processo di sviluppo di un nuovo prodotto, collegando le modalità di lavoro dei progettisti a quelle delle funzioni di marketing e di produzione, è stato sviluppato in Giappone dopo la seconda guerra mondiale: il Quality Function Deployment (QFD). Si tratta di un metodo che vuole fornire un modello per risolvere i problemi di progettazione, collegando le specifiche del prodotto alle esigenze dei clienti. Esso è basato sull’idea che il successo di un prodotto dipende dalla propria capacità (definita come qualità) di rispondere in modo adeguato ai bisogni del mercato e che, perché ciò accada, è necessario che fin dalle prime fasi di sviluppo del prodotto le esigenze dei clienti «entrino» nel processo di progettazione. L’adozione del metodo QFD ha costituito, per molte imprese, uno strumento per lo sviluppo di nuovi prodotti e ha prodotto risultati significativi in termini di: • coerenza tra la caratteristiche dell’offerta e le esigenze della domanda; • comparazione sistematica con la concorrenza; • informazione diffusa sul significato di qualità del prodotto; 5 10 15 Ingombro minimo Prezzo contenuto Estetica piacevole X Sgancio della lametta 10 8 X Scorrimento dell’acqua 5 4 X Colore 5 1 X V 15 3 X V 20 1 X 15 4 V V X x Design 15 3 X x Competitor X B B M B B A B A B M M M A A A A CompetitorY Legenda: X = relazione molto importante; x = relazione mediamente importante; V = relazione negativa; A = performance alta; M = performance media; B = performance bassa 15 10 Facile pulizia 2 5 Sostituzione della lametta x Difficoltà tecnica 10 Facile impugnabilità Dimensione Importanza/priorità in percentuale 15 Morbidezza della rasatura Costi stimati 30 Grado di importanza Efficacia della rasatura Esigenze del cliente Caratteristiche tecniche Materiali impiegati Correlazione tra specifiche tecniche Lametta utilizzabile Figura 9.8 Esempio di applicazione della «casa della qualità» al caso di un rasoio Forma ergonomica 198 Tecnologia, innovazione, operations 9 • Gestione e organizzazione del processo innovativo 201 necessarie, l’impresa sia in grado di procedere allo sviluppo di nuovi prodotti in modo coerente con gli obiettivi di sviluppo prefissati e alla luce delle attività analoghe svolte dalla concorrenza. Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello dell’oggetto della misurazione, un’impresa può concentrare la propria attenzione sulla fase finale del processo innovativo oppure sugli aspetti intermedi. Nel primo caso, essa si concentra sull’output, mentre nel secondo caso sulle attività svolte lungo tutto il processo. Combinando entrambe le dimensioni ora descritte, possiamo classificare le diverse attività e i diversi sistemi di misurazione delle performance in un’unica matrice (Fig. 9.9). Un sistema di misurazione delle performance integrato è dunque in grado di monitorare tutti gli aspetti rilevanti delle attività innovative di un’impresa. Esso è in grado di monitorare, come indicato nel quadrante I, la qualità e l’efficacia del know-how, misurando di quanto aumentano le conoscenze, la qualità della tecnologia posseduta rispetto alla concorrenza e la coerenza di quest’ultima con gli obiettivi di sviluppo che l’impresa si è data. Il monitoraggio può riguardare poi la qualità e l’efficacia del processo di ricerca e in generale di acquisizione di nuove conoscenze dall’esterno, capaci di alimentare costantemente le attività innovative dell’impresa, secondo le modalità del quadrante II. Il contributo dei processi innovativi deve tradursi, ovviamente, in un tasso di nuovi prodotti che possano essere lanciati sul mercato e dall’individuazione di processi produttivi efficienti. In ultima analisi, la qualità dei processi innovativi deve tradursi in valore economico per l’impresa, misurabile in termini di ritorno Figura 9.9 Le misure di performance del processo di innovazione Dominio della misurazione Fase di acquisizione Fase di transizione Oggetto della misurazione I Output II Processo • Livello incrementale delle conoscenze • Grado di eccellenza tecnologica • Coerenza con gli obiettivi dell’impresa • Efficienza del processo di ricerca • Qualità delle attività di ricerca Fonte: adattato da Baglieri (2003) III • Qualità e quantità dei nuovi prodotti • Impattio sull’efficienza produttiva • Contributo alla generazione di valore IV • Coerenza con le esigenze delle diverse funzioni aziendali • Coerenza con le esigenze della clientela • Efficienza del processo produttivo 10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi 207 Figura 10.1 Processo di formulazione strategica aziendale, operations strategy e operations management Strategia aziendale Corporate strategy Business strategy Marketing Operations ... Operations strategy Functional strategy Market-driven o resource-based strategy Decisioni tattiche Decisioni operative Operations management Decisoni strategiche Fattori competitivi e performance • Order qualifier • Order winner Le decisioni di operations management debbono essere prese coerentemente alle scelte strategiche aziendali, le quali rappresentano la direzione e lo scope di un’organizzazione nel lungo termine; quest’ultima, idealmente, deve ottimizzare l’impiego delle risorse disponibili, tenendo in conto le mutevoli esigenze e attese espresse sia dai propri mercati, clienti o consumatori, sia dai propri stakeholder (Johnson et al., 2005). Il processo di formulazione strategica, generalmente, segue una direttrice top-down e si sviluppa lungo tre livelli – corporate, di business e di funzione – in una declinazione di obiettivi via via più specifici, come illustrato nella Fig. 10.1: • al primo livello, corporate, si elaborano gli obiettivi e le linee guida di lungo 210 Tecnologia, innovazione, operations consegna, ma anche per qualunque altro parametro la cui entità sia determinata dall’operato di molteplici funzioni aziendali, come accade per le scorte. Criteri di acquisto del cliente Priorità di miglioramento nelle operations Alfa Beta Gamma 1. Prezzo 1. Prezzo 1. Prezzo 2. Conformità del prodotto finito e servizio logistico 2. Conformità del prodotto finito e servizio logistico 2. Conformità del prodotto finito e servizio logistico 1. Produttività 1. Produttività 1. Produttività 2. Conformità del prodotto finito 2. Conformità del prodotto finito 2. Conformità del prodotto finito In sintesi, nella tabella soprariportata, per ciascuno dei casi studiati è stato riportato l’ordine di priorità sia dei criteri di acquisto del cliente sia nei piani di miglioramento in ambito produttivo. L’operations strategy, pertanto, si colloca al terzo livello dell’articolazione descritta e, al pari delle altre strategie funzionali, quali quelle del marketing, della finanza ecc. può trovare realizzazione secondo due differenti prospettive (Greasley, 2006): • la prima, definita market-driven operations strategy, secondo la quale le scelte aziendali discendono dagli obiettivi di posizionamento sui mercati target e, al loro interno, dagli obiettivi di customer satisfaction, dai quali derivare il livello di performance necessario per competere con successo e, in cascata, le modalità di organizzazione, gestione e controllo dei processi e delle risorse idonei alla loro efficiente ed efficace generazione; si pensi, a titolo di esempio, al caso di alcune catene fast food che, volendo penetrare ampi mercati con un posizionamento fondato su una formula imprenditoriale tesa a offrire ai propri clienti prodotti di discreta qualità, a basso costo, pronti in pochi minuti, in un ambiente pulito ecc. perseguono performance di qualità, rapidità di servizio ed efficienza basate sulla progettazione e gestione di processi fortemente standardizzati, impiego di risorse umane appositamente formate, applicazioni tecnologiche sviluppate ad hoc e infrastrutture progettate su criteri quasi industriali; • la seconda, definita resource-based operations strategy, che formula le scelte aziendali partendo dalla consapevolezza del proprio patrimonio di risorse (competence) tangibili e intangibili, in base alle quali è in grado di strutturare un set di capacità operative (operations capability) funzionali al perseguimento del successo competitivo nei propri mercati target; è il caso, per esemplificare, di alcune società di progettazione di sistemi che, grazie alle competenze dei propri ricercatori e progettisti, alla disponibilità di laboratori e tec- 10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi 213 ridotti) e di volume (o elasticità, capacità di modificare i volumi produttivi a costi e in tempi ridotti); • tempo, in termini di velocità di introduzione di nuovi prodotti e rapidità e puntualità delle consegne che attengono, come illustrato nel capitolo 13, alla capacità di soddisfare le richieste dei singoli clienti in tempi brevi o nel rispetto delle date promesse. Dalla fase industriale fordista a oggi si sono succeduti nel tempo modelli di fabbrica che hanno visto, di volta in volta, strutture produttive focalizzate sull’efficienza e sulla standardizzazione produttiva, sulla versatilità e flessibilità, sulla qualità totale, sino ai più recenti modelli della time based competition e della fabbrica snella; i diversi modelli produttivi, si sono affermati in contesti storici e socio-economici specifici come «compromessi di governo d’impresa» (Boyer e Freyssenet, 2005), ovvero come scelte volte a mediare le diverse esigenze di volta in volta espresse dalle politiche di prodotto, dall’organizzazione produttiva e dalle relazioni salariali più appropriate per consentire una strategia di profitto durevole. Così, come illustrato nella Tab. 10.1, nella fabbrica fordista sono prevalsi i principi della divisione scientifica del lavoro, della standardizzazione di prodotti e processi, dell’utilizzo della manodopera al servizio della macchina, e della ricerca dell’efficienza; a tale modello si è poi sostituito quello della fabbrica flessibile, nella quale gamme produttive più ampie e prodotti differenziati sono ottenuti attraverso macchinari versatili, elevata automazione, una concezione di fabbrica meno integrata ecc.; nella fabbrica orientata alla qualità, i principi del Total Quality Management (TQM), e del Company Wide Quality Control (CWQC), i primi sviluppati da autori statunitensi e i secondi perfezionati in Giappone, hanno posto l’accento più sulla progettazione e gestione di processi affidabili che sull’ispezione finale dell’output, sulla prevenzione più che sul controllo, sulla formazione e sull’addestramento dell’operatore ecc.; l’esigenza di introdurre velocemente nuovi prodotti, attraverso la proTabella 10.1 Obiettivi e caratteristiche di fondo dei diversi modelli di fabbrica Modello di fabbrica Obiettivo Esempi di leve e strumenti Fabbrica fordista Efficienza, costo, volumi Standardizzazione e ripetitività Fabbrica flessibile Versatilità, volumi Automazione flessibile Fabbrica della qualità Qualità totale TQM, CWQC Fabbrica snella Efficienza, velocità, qualità Just-in-time, modularità, TPM Fabbrica virtuale Responsiveness ICT, modularità, outsourcing, e-business 10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi 215 Figura 10.2 Performance e condizioni operative Leve (scelte di progettazione e di gestione) Variabili ambientali Sistema produttivo Condizioni operative Prestazioni Fonte: adattamento da Bartezzaghi e Turco (1990) ne del sistema e dall’insieme dei vincoli cui questo è sottoposto; si riferiscono a elementi quali i lead time, le potenzialità, gli utilizzi e i rendimenti dei fattori impiegati, la dimensione del lotto ecc. Il management delle operations, di fatto, si trova a dover agire costantemente sulle condizioni operative per poter migliorare le prestazioni finali, le uniche apprezzabili dal mercato. In tal senso, in situazioni di elevata concorrenzialità, poiché il cliente è in grado di operare una selezione attraverso il confronto tra le performance offerte da più produttori, secondo il meccanismo descritto degli order qualifier e degli order winner, assume particolare criticità la gestione e il controllo delle prestazioni finali, qualità, tempo, flessibilità e costo proposti al mercato, mentre nei casi in cui l’offerente si trova nell’invidiabile posizione prossima a quella del monopolista, può emergere un’attenzione al governo delle prestazioni interne, nella ricerca di maggiori efficienze, non necessariamente trasferite sul mercato. È il caso delle case automobilistiche, fornitrici di autotelai ai produttori di veicoli speciali che, in virtù del potere contrattuale detenuto, impongono lunghi tempi di consegna (quattro o cinque mesi dall’ordine), a prescindere dalle effettive necessità logistiche, al fine di ottimizzare la propria programmazione della produzione. È opportuno sottolineare che le prestazioni indicate manifestano stretti legami di interdipendenza e si influenzano reciprocamente. Si dia il caso di un sistema produttivo che, in virtù di insufficienti livelli di affidabilità del proprio processo di trasformazione, generi output difettosi. Qualora le non conformità vengano intercettate e corrette prima dell’immissione dei prodotti sul mercato (non conformità in house), l’esigenza di avviare operazioni di ripresa e correzioni ridurrà inevitabilmente la produttività dei fattori impiegati. Per contro, nel caso in cui le difettosità vengano invece riversate sul mercato (non conformità in field), l’opportunità di contenerne l’effetto negativo è vincolato all’offerta di opportuni servizi di assistenza e riparazione in garanzia. L’insieme di prestazioni offerte da un sistema produttivo-logistico evidenzia pertanto strette interdipendenze e reciproci condizionamenti lungo più direttrici: 10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi 217 organizzative e tecnologiche, che ne fanno una realtà assolutamente all’avanguardia per quanto concerne l’applicazione di prassi e strumenti gestionali per la ricerca del miglioramento in ambito produttivo. Le soluzioni implementate nello stabilimento Datasensor sono state armonizzate all’interno di un programma di miglioramento chiamato Datasensor Lean Manufacturing System (DS-LMS). Il programma si basa sullo svolgimento continuativo di workshop dedicati, ovvero brevi progetti interfunzionali basati su working group finalizzati al mantenimento e al miglioramento del sistema di lean manufacturing implementato. Contestualmente al programma è stato sviluppato un sistema di total productive maintenance, che, migliorando l’affidabilità degli impianti, determina una delle condizioni essenziali per il conseguimento di una produzione «snella». L’elemento costitutivo del sistema di lean manufacturing di Datasensor è rappresentato dal sistema DYBAN™ (DYnamic KanBAN), ovvero un kanban elettronico brevettato da Datasensor che consente operativamente di gestire il flusso dei materiali in logica pull. Infine, all’interno del DS-LMS si evidenzia il ricorso a tecniche e soluzioni organizzative atte a stimolare il processo di miglioramento continuo, ovvero il metodo plan-do-check-act, il team-working e la pianificazione sistematica di workshop per la gestione di progetti interfunzionali. Nel corso degli anni, il ripensamento delle operations aziendali ha consentito il conseguimento di risultati significativi in termini di incremento dell’EBITDA, di riduzione delle giacenze di magazzino pur a fronte di un incremento del livello di servizio, di abbassamento dei costi del- Figura 10.3 Prestazioni manifatturiere. Sintesi LT medio di consegna (giorni) 100 80 60 Rispetto del piano di produzione (percentuale) 40 97,2 96,0 20 14,0 0 50,0 98,8 Flessibilità della manodopera (percentuale) Fonte: IBFA-SDA Bocconi (2005) Tasso di conformità (percentuale) Puntualità della consegna (percentuale) 218 Tecnologia, innovazione, operations Figura 10.4 Analisi dei set-up time Tempo di lavorazione di un lotto di componenti (giorni) 60 50 Set-up per assemblaggio finale – massimo (min.) Set-up per produzione componenti – minimo (min.) 40 30 20 10 10 4 1 10 2 1 0 Set-up per assemblaggio finale – medio (min.) Set-up per produzione componenti – medio (min.) 60 Set-up per assemblaggio finale – minimo (min.) Set-up per produzione componenti – massimo (min.) Fonte: IBFA-SDA Bocconi (2005) la non qualità. Inoltre, a ulteriore dimostrazione del successo di Datasensor nell’applicazione delle più note best practices manifatturiere, è significativo che SAP abbia selezionato lo stabilimento di Monte San Pietro quale case-history come una delle migliori implementazioni del sistema lean a livello mondiale (Belvedere, 2006). I progetti di benchmarking consentono alle aziende partecipanti di confrontare le proprie prestazioni con quelle di un panel di aziende simili per caratteristiche specifiche, quali, il settore, la dimensione, la tipologia dei processi coinvolti ecc. A titolo esemplificativo, nelle Figg. 10.3 e 10.4, si illustrano due rappresentazioni grafiche relative, rispettivamente, a uno spaccato delle principali prestazioni manifatturiere ottenute da Datasensor nel 2005 e a un approfondimento relativo alla prestazione di flessibilità, espressa dalla durata dei tempi di set-up, rilevati nel medesimo esercizio. La necessità di sviluppare un sistema di controllo delle prestazioni delle operations si giustifica, di primo acchito, per la crescente rilevanza che, in molti settori, le operazioni in parola riverberano sulla determinazione dei valori economici di 220 Tecnologia, innovazione, operations Figura 10.5 Il reporting integrato Prospettiva finanziaria Obiettivi Misure Prospettiva del cliente Obiettivi Prospettiva interna Misure Obiettivi Misure Prospettiva dell'innovazione Obiettivi Misure Fonte: Kaplan e Norton (1993) mento di interesse risiede nel tentativo di integrare le diverse misure e nel sottolineare come ogni intervento di tipo gestionale, perché possa essere considerato di successo e generatore di vero valore, debba necessariamente proiettare i suoi effetti in miglioramenti leggibili non solo sul fronte delle misure operative, ma anche su quello delle misure economico-finanziarie. In secondo luogo, è apprezzabile lo sforzo di coniugare l’analisi storica con quella prospettica: le misure (in specie quelle finanziarie), tradizionalmente orientate a un esame critico ex post, debbono integrarsi con la prospettiva dell’innovazione e dell’apprendimento, sì da garantire continuità tra conservazione e miglioramento continuo. Con riferimento al tema oggetto del presente scritto, assumono rilievo primario gli indicatori di prestazione chiave, valutati nella prospettiva del cliente, in termini di customer satisfaction, e nella prospettiva interna, intendendosi, con tale locuzione, la prospettiva delle misure di prestazione dispiegabili lungo nelle operations. Tali misure debbono comunque necessariamente riverberarsi in riflessi sulle dimensioni economico-finanziarie, da intendersi quale sintesi dell’efficacia e dell’efficienza delle scelte di gestione. Il secondo modello si sviluppa, invece, secondo una traiettoria di indagine dif- 222 Tecnologia, innovazione, operations Figura 10.6 La piramide delle performance e gli anelli di feed-back Visione dell’azienda Aspetti finanziari Soddisfazione del cliente Flessibilità Produttività Tempo ciclo Consegna Qualità Unità di business Sistemi operativi aziendali Sprechi Misura Obiettivi Mercato Reparti e centri di lavorazione Operations Maggiore grado di dettaglio e frequenza di reporting Efficacia esterna Efficienza interna Visione aziendale Anello 4: confrontare, aggiustare e valutare Valutazione della performance Zona d’interfaccia Finanza Accounting Sistema di reporting Determinazione degli obiettivi Unità di business Anello 3: confrontare, aggiustare e valutare Anello 2: confrontare, aggiustare e valutare Sistemi operativi aziendali Traduzione in termini economico-finanziari Traduzione in termini operativi Anello 1: confrontare, aggiustare e valutare Report Obiettivi Performance Fonte: elaborazione da Lynch e Cross (1992) Reparti e centri di lavorazione 224 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 10.2 Misure di prestazione Gruppo A (valori medi) Gruppo B (valori medi) Servizio al cliente Customer satisfaction 4,19 3,54 Personalizzazione del prodotto 3,95 3,51 Velocità di consegna 3,95 3,47 4,10 3,37 Affidabilità delle consegne 4,13 3,64 Responsiveness 4,24 3,89 Flessibilità nella ricezione ordini 4,03 3,40 4,19 3,59 Sistemi informativi di supporto 4,12 2,79 Capacità di gestione dell’ordine 4,16 3,60 Avviso di spedizione anticipato 3,89 3,18 Rotazione scorte 4,63 3,17 Return on Asset 3,77 3,29 49,91 42,75 Costi Costi logistici Qualità Flessibilità nelle consegne Produttività Asset management Prestazione globale maggiormente le performance complessive aziendali; le principali sono riconducibili alla capacità di integrazione a valle con il consumatore, ovvero la capacità di progettare una proposta di valore coerente con le aspettative dei principali segmenti di mercato serviti, e alla capacità di integrare efficacemente i processi interni, ovvero la capacità di coordinare le operations interne, al fine di garantire il massimo livello di servizio possibile a costi logistici globali contenuti. 10.3 Scelte strategiche e leve di progettazione Al fine di orientare le operations al perseguimento del set di prestazioni delineate, e per questa via alla creazione di valore, l’operations management opera manovrando una serie di «leve» di progettazione che possono essere raggruppate in leve di struttura e leve di gestione. 10 • Le operations nella produzione industriale e nei servizi 225 Figura 10.7 L’approccio strategico alle scelte di produzione Ambiente competitivo Obiettivi strategici generali Sub obiettivi funzionali Opportunità e minacce Missione Focalizzazione • espansione mercato • immagine • penetrazione • ecc. • costo • qualità • servizio • innovazione • ecc. Hardware Leve di progettazione Software L’utilizzo delle leve di progettazione, siano esse rivolte a un riorientamento o a una vera e propria riorganizzazione, non può pertanto prescindere dalla chiara identificazione degli obiettivi primari del sistema produttivo, a loro volta desunti, come si è detto, dalle più generali mission e strategia dell’impresa. Queste ultime pervadono l’intera attività aziendale e, indicando la traiettoria cui debbono tendere gli sforzi competitivi, definiscono gli obiettivi strategici generali e, in cascata, i subobiettivi funzionali. Come illustrato nella Fig. 10.7, e limitatamente ai processi oggetto di questo scritto, i subobiettivi possono essere numerosi e spesso antitetici. Si pensi, per esempio, a un sistema logistico che tenti di perseguire congiuntamente contenuti investimenti in scorte ed elevati livelli di servizio, o a un processo produttivo cui si richieda massima saturazione ed elasticità. L’approccio tradizionale alle scelte di produzione si basa pertanto sul concetto di focalizzazione: in presenza di obiettivi divergenti, occorre privilegiarne uno e considerare gli altri in via residuale, alla stregua di variabili dipendenti; competere sul costo, per esempio, non può che tradursi in rinunce in termini di qualità e servizio. Detto assioma, negli anni più recenti, è stato messo in crisi dal repentino avvento delle metodologie di gestione di ispirazione giapponese (just-in-time, company wide quality control, continuous flow manufacturing ecc.), dall’affermarsi delle tecnologie di automazione flessibile (CN, controllo numerico, CNC, controllo Materie prime Materie prime Componenti Componenti Logistica in entrata Attività operative Fabbricazione Fabbricazione Logistica in uscita Approvvigionamento Sviluppo della tecnologia Gestione delle risorse umane Attività infrastrutturali Assemblaggio Marketing e vendite Figura 10.8 Catena del valore e processi di acquisto, produzione e logistica distributiva M g ar e in e in Magazzino periferico Magazzino centrale Servizi ar g M Punto vendita Punto vendita Punto vendita 234 Tecnologia, innovazione, operations 238 Tecnologia, innovazione, operations Figura 10.9 Missione di uno stabilimento all’estero, incremento competenze locali ed evoluzione di ruolo Elevata Evoluzione delle competenze Ampiezza di competenze e processi produttivo-logistici svolti presso lo stabilimento Leader tecnologico Distaccamento produttivo specializzato • Diviene il global hub e il centro di conoscenza per prodotti e processi Produttore per il mercato locale e centro di sviluppo • Assume il ruolo di fornitore per il global market • Sviluppo di prodotti nuovi • Sviluppo dell’ingegneria di processo per le tecnologie produttive Produttore per il mercato locale • Adattamento dei prodotti al mercato locale • Sviluppo della rete di fornitori locali • Miglioramenti dei processi industriali Distaccamento produttivo • Pianificazione, acquisti e logistica locale • Manutenzione e gestione dei processi • Compiti e responsabilità di produzione (Avamposto tecnologico) Limitata Vicinanza Accesso ai fattori Uso di risorse al mercato tecnologiche di produzione locali a basso costo Ragione primaria per un insediamento produttivo estero Fonte: adattamento da Ferdows (1988, 1997) autonomia nei processi di scambio di flussi informativi e fisici con fornitori e clienti locali. • il produttore per il mercato globale e centro di sviluppo (contributor factory), che assomma al ruolo svolto dal produttore per il mercato globale l’ulteriore e strategico ruolo di centro di sviluppo di competenze specialistiche, potenzialmente esportabili nell’intero sistema produttivo aziendale. A queste unità produttive è spesso delegato il ruolo di impianti-pilota per lo sviluppo e il presidio continuo di specifici know-how tecnologici, in specie per quanto attiene all’introduzione di prodotti nuovi. Sotto tale profilo le competenze manageriali e tecniche presenti presso lo stabilimento sono generalmente articolate e ricche; 248 Tecnologia, innovazione, operations cesso assieme), per poi deciderne la destinazione produttiva, oggi si assiste con crescente insistenza a team di sviluppo prodotto-processo al cui interno vengono integrate competenze logistiche; le scelte relative alla localizzazione delle produzioni possono infatti influenzare alcune caratteristiche progettuali e specifiche di prodotto e processo, sin dalle fasi iniziali del percorso di innovazione. Con riferimento alle interdipendenze tra scelte localizzativo-logistiche e processi di innovazione di prodotto e processo, due sembrano essere le variabili maggiormente in grado di impattare sulla decisione finale: • incidenza del costo logistico, correlato alla densità di valore del prodotto13, ovvero dal rapporto tra valore del bene e una grandezza proxy dei costi logistici di mantenimento e trasporto, quale l’ingombro o il peso, da valutarsi in termini di oneri di trasporto e stoccaggio; • incidenza del costo di produzione, legato al costo del fattore di produzione prevalente; in particolare ci si riferisce all’intensità di manodopera che può caratterizzare il processo produttivo, e il conseguente potenziale sfruttamento di differenziali salariali locali. Come illustrato nella Fig. 10.10, la localizzazione di una produzione industriale discende prevalentemente dalle caratteristiche descritte. In proposito si veda anche Innovazione di prodotto, processo e localizzazione produttiva. Figura 10.10 Variabli rilevanti ed esempi di scelte localizzative Labour intensity Capital intensity Cina, Birmania, Pakistan B A In prossimità dell’assembly plant (Stati Uniti, Europa ecc.) Densità di valore del prodotto Alta Bassa Fonte: adattamento da Grando e Manzini (2003) 13 Per densità di valore si intende il rapporto tra una misura espressiva del valore (euro) di un prodotto o di un ordine e una misura significativa sotto il profilo logistico, generalmente espressa da volume (metri cubi) o dal peso (chilogrammi). 252 Tecnologia, innovazione, operations Figura 10.11 Il Gruppo BasicNet Attività del Gruppo BasicNet BasicNet.com Altri servizi Ricerca & Sviluppo Know-how Attività industriali Global marketing Know-how Know-how Royalties Sourcing center Beni Attività delle aziende licenziatarie Commissioni Beni Informazioni Robe di Kappa Finanza Informazioni Aziende licenziatarie Marketing locale Vendite Logistica Beni Sport and leisurewear retailer Beni Consumatori Fonte: rielaborato da http://www.microsoft.com/italy/startup/casi/basicnet.htm La rete si compone in larga prevalenza di aziende indipendenti, alle quali sono concessi in licenza i marchi di proprietà del Gruppo: oggi BasicNet conta su 37 licenziatari, di cui due controllati direttamente (Kappa Italia SpA e Kappa USA Inc.), che operano in tutti i paesi del mondo. Il Gruppo non svolge direttamente attività di produzione industriale, ma mediante specifiche società controllate, chiamate Sourcing Center, presidia tutte le fasi di trasformazione per conto delle imprese licenziatarie, verificando la rispondenza dei prodotti finiti agli standard imposti in sede contrattuale. Il network di produzione non è chiuso e rigido, ma aperto e riconfigurabile. In particolare, i Sourcing Center identificano e selezionano su base mondiale i terzisti che garantiscono le migliori condizioni di prezzo e che meglio si adattano alle esigenze di affidabilità e qualità richieste dai licenziatari. 258 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.1 I legami tra sistema industriale e indotto Variabili ambientali Variabili aziendali Opportunità/ minacce Punti di forza e debolezza Sistema industriale Strategie aziendali Indotto Strategia di approvvigionamento Offerta di materiali Fabbisogno di materiali • Grado di integrazione • Decisioni di make or buy Fonte: rielaborazione da Ferrando (1984) duttive dei differenti soggetti aziendali, delineando la natura, i caratteri e i confini della contrapposizione tra domanda e offerta di fornitura. I secondi, invece, condizionano l’evoluzione generale del sistema stesso, le scelte strategiche d’azienda e quelle relative agli approvvigionamenti. Dal punto di vista gestionale, infatti, il rapporto indotto-impresa si esplicita nelle relazioni generate dalle politiche di procurement mix, frutto delle strategie di approvvigionamento, come evidenziato nella Fig. 11.2. Le interdipendenze tra azienda terminale e fornitori, dunque, appaiono condizionate in via generale dalle caratteristiche tecnico-produttive dei soggetti interessati in termini di prodotti, processi e mercati, che sfociano in fenomeni di esternalizzazione, deverticalizzazione, specializzazione ecc.; a livello di strategia aziendale assumono invece rilevanza le politiche di approvvigionamento e i legami che si instaurano con l’indotto di riferimento in termini di gestione del portafoglio fornitori. La rilevanza degli approvvigionamenti nella gestione aziendale, dunque, muta in ragione della natura del rapporto che si instaura tra unità terminale (azienda 11 • La gestione degli approvvigionamenti 259 Figura 11.2 I legami tra strategia aziendale e indotto Strategia aziendale Variabili ambientali Strategia di approvvigionamento Competenze manageriali negli approvvigionamenti Procurement mix Indotto Fonte: rielaborazione da Ferrando (1984) acquirente o committente) e subfornitori. Un classico elemento di analisi si pone distinguendo tra subfornitura di capacità o specialità e subfornitura permanente o occasionale (Sallez, 1972). La distinzione tra subfornitura di capacità e di specialità fa riferimento rispettivamente a un apporto in termini di elasticità di processo, cioè i volumi di produzione incrementale, altrimenti non generabili dal committente, ovvero a un apporto in termini di competenze distintive – generalmente tecnologiche – differenti da quelle padroneggiate dall’acquirente. La subfornitura viene inoltre definita permanente, se frutto di un rapporto costante nel tempo e relativamente strutturato, ovvero occasionale se episodica e connessa a esigenze di natura contingente. Appare chiaro come il differente combinarsi di questi attributi qualifichi rapporti, per un verso, indotti da fenomeni di ciclicità e stagionalità del fabbisogno, complessità tecnologica dei processi e dei prodotti e, per un altro, connaturati alle specificità settoriali e al potere contrattuale delle controparti. Tipologie di fabbisogno e scelte di subfornitura L’incrocio tra scelte di subfonitura permanenti o occasionali e di capacità e specialità, illustrato nella Fig. 11.3, costituisce il quadro all’interno del quale si strutturano i rapporti tra azienda terminale e suoi partner di fornitura. In alcuni settori, quali il calzaturiero o il tessile abbigliamento, sono possibili diverse modalità 260 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.3 Esempi di scelte di subfonitura Occasionali Permanenti Capacità Calzaturifico (manovia) Montaggi meccanici esterni Specialità Finiture e verniciature particolari Tessile abbigliamento Calzaturifico (giunteria) Meccanica (galvanica) Cablaggi di relazione indotte dalle caratteristiche stesse dei processi produttivi e dall’elevata stagionalità della domanda; si pensi, per esempio, alla realtà di molti calzaturifici che acquisiscono, nel corso dell’esercizio, forniture di specialità, legate a lavorazioni di fase, quali taglio, giunteria, cucitura ecc., non più realizzate all’interno, seguendo l’andamento ciclico delle stagioni e delle collezioni. Tali forniture si possono considerare permanenti, in quanto ricorsive nel susseguirsi delle stagioni. Talvolta, tuttavia, le stesse imprese debbono acquistare capacità produttiva occasionale per far fronte a picchi di ordinazioni anche per quelle fasi produttive, come l’assemblaggio in manovia, comunque presenti al loro interno. Al tempo stesso, in alcuni settori del tessile abbigliamento, la scelta di specialità è ormai permanente, per cui ci si avvale di laboratori e unità esterne, sempre più frequentemente localizzate in paesi a basso costo della manodopera (Romania, Tunisia, Pakistan, India ecc.). Diverso è il caso della meccanica, per cui possono sussistere apporti di specialità permanenti, come nel caso delle aziende che si avvalgono di terzisti per alcune lavorazioni particolari, quali per esempio, i trattamenti galvanici, le lavorazioni superficiali, o per lavorazioni assai semplici ma a basso valore aggiunto; quest’ultimo è il caso di imprese meccaniche che producono macchinario industriale, assegnando all’esterno le carpenterie pesanti per la predisposizione dei basamenti, per poi realizzare all’interno poche componenti qualificate e l’assemblaggio finale. Analogamente, sono molti i casi di fornitura di specialità permanente nel settore dell’elettromeccanica, per cui l’azienda terminale si avvale di terzisti specializzati per la realizzazione dei controlli elettronici o per la cablatura di assiemi e complessivi. Altrove si utilizzano apporti di capacità permanenti in alcuni montaggi manuali; è il caso, per esempio, di un’azienda che progetta e realizza gruppi di pompe per il petrolchimico e che si avvale di alcune realtà esterne per il montaggio di precisione di sottogruppi. Infine, il caso meno frequente è quello delle subforniture di specialità occasionale, tipico dei casi in cui, su commesse particolari, debbono essere svolte lavorazioni, finiture e o verniciature non standard. Si pensi alla verniciatura per impianti che debbono operare in condizioni di esercizio specifiche e che necessitano di trattamenti superficiali ad hoc. Un ulteriore elemento che induce a un’approfondita analisi del ruolo svolto dalla funzione approvvigionamenti è legato al mutato peso relativo degli acquisti 262 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 11.1 Incidenza degli acquisti di materiali diretti e totali sul fatturato in alcuni settori industriali Settore Percentuale acquisti diretti Percentuali acquisti totali Alimentare 63 80 Automobili 48 67 Chimico 29 55 Costruzioni 34 72 Elettronica 48 68 Impianti-macchine 43 67 Petrolio 61 75 Tessile-abbigliamento 38 70 Totale 44 68 Fonte: Aceti et al. (2006) La rilevanza degli acquisti in Italia2 L’indagine qui sintetizzata si riferisce a un data set relativo ad aziende classificate nel «Rapporto Mediobanca su 1950 imprese» (Mediobanca, 2004), appartenenti a otto settori: abbigliamento, alimentari, chimico, gomma e cavi, impiantistico, imprese di costruzione, meccanico e siderurgico. Il confronto è stato svolto per un intervallo temporale di dieci anni (dal 1994 al 2003) osservando i valori medi a distanza quinquennale. Se si osservano la Tab. 11.2 e la Fig. 11.4, si rileva che, a dimostrazione concreta di quanto detto in precedenza, nei settori citati, rappresentati dalle aziende di maggiori dimensioni censite dal Rapporto di Mediobanca, vi sia stato per sette settori su otto una marcata tendenza alla crescita delle già elevate spese per acquisti, mentre appare in leggera controtendenza o comunque stabile il mondo delle costruzioni. è comunque significativo sottolineare che la tendenza alla deverticalizzazione è un fenomeno non più recente in Italia, visto che già da dieci anni l’incidenza degli acquisti sul fatturato oscilla intorno a valori tra il 69 e l’89 per cento, e Tabella 11.2 Anni Abbigliamento Alimentare Chimico Gomma e cavi Impiantistico Imprese costruzioni Meccanico Siderurgico 1994 80,78% 78,61% 80,93% 69,47% 69,09% 88,67% 80,93% 82,96% 1999 79,55% 79,93% 84,02% 79,02% 83,39% 87,96% 84,02% 81,82% 2003 81,05% 85,02% 85,03% 83,23% 84,19% 87,38% 85,03% 85,77% 2 Fonte: Sintesi e adattamento da Stabilini (2005), elaborazione da dati Mediobanca (2004). 11 • La gestione degli approvvigionamenti 263 Percentuale spesa sul fatturato Figura 11.4 Andamento storico della spesa per acquisti sul fatturato 90% 85% 80% Abbigliamento Alimentari Chimico Gomma e cavi Impiantistico Imprese costruzione Meccanico Siderurgico 75% 70% 65% 1999 1994 2003 Anni tale incidenza appare ormai ampiamente consolidata dal momento che si polarizza su un range superiore all’80 per cento del fatturato, con punte dell’87 per cento circa. Riferendoci allo studio originario di De Meyer, la Tab. 11.3 mostra la composizione del costo del prodotto in termini di acquisti di materiali e componenti, lavoro diretto e costi generali. Appare evidente come il costo totale per unità di prodotto sia fortemente influenzato – per la maggior parte delle aziende osservate – dalla componente acquisti, rispetto agli altri elementi di costo. Tabella 11.3 Effetto leva degli acquisti Ricavi e costi del prodotto Ricavi Effetto della riduzione del 10 per cento nel costo dei fattori 150 Materiali 52 • Materiali ➜ Utile 55,2 Lavoro 18 • Lavoro ➜ Utile 51,8 Generali 30 • Generali ➜ Utile 53,0 Costo totale Utile 100 50 Fonte: adattamento da New e De Meyers (1987) 267 11 • La gestione degli approvvigionamenti dal ritmo di sviluppo tecnologico nei nuovi materiali, dalle barriere all’entrata, dal costo e dalla complessità dei fattori logistici e del grado di concorrenza in cui si opera (Kraljic, 1983). Incrociando le variabili descritte emergono le alternative di fondo perseguibili nella gestione degli approvvigionamenti, come illustrato nella Fig. 11.5. In presenza di scarsa rilevanza degli acquisti e limitata complessità del mercato, l’impresa opera con una tradizionale gestione degli acquisti, orientata al breve periodo, a scelte di natura strettamente operativa e a forti elementi di negoziazione con i fornitori; realtà diffusa in molte aziende del nostro paese, la gestione degli acquisti soffre di limiti crescenti quanto più ci si allontana da sistemi caratterizzati da scarsa evoluzione tecnologica, dimensione locale dei mercati e orientamento di breve. Nella situazione opposta, caratterizzata da notevole importanza degli acquisti ed elevata complessità dei mercati di approvvigionamento, si realizza la gestione strategica degli approvvigionamenti. In questo caso gli acquisti assumono rilevanza critica per la sopravvivenza stessa dell’azienda, che si vede costretta a elaborare politiche e accordi di lungo periodo con fornitori strategici. I due quadranti, caratterizzati rispettivamente da elevata complessità dei mercati e scarso impatto degli acquisti sui valori economici di impresa, ovvero ridotta complessità dei mercati e notevole importanza degli acquisti, sono definiti sistemi di gestione delle fonti di approvvigionamento e sistemi di gestione dei materiali. Nel primo caso si tratta di assicurare la continuità della fornitura e la disponibilità di materiali e componenti che condizionano il ciclo di trasformazione, sia Figura 11.5 Il modello di Kraljic Complessità del mercato della fornitura Modesta Elevata Elevata Importanza degli acquisti Gestione dei materiali Gestione strategica degli approvvigionamenti Criteri di rendimento fondamentali: • costo/prezzo • gestione del flusso Criteri di rendimento fondamentali: • disponibilità a lungo termine Gestione degli acquisti Gestione delle fonti di approvvigionamento Criteri di rendimento fondamentali: • efficienza funzionale Modesta Fonte: adattamento da Kraljic (1983) Criteri di rendimento fondamentali: • gestione dei costi • fonti affidabili a breve termine 268 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.6 I sentieri di sviluppo della funzione approvvigionamenti Complessità del mercato della fornitura Modesta Elevata Elevata Gestione strategica degli approvvigionamenti Importanza degli acquisti Gestione dei materiali Gestione degli acquisti Modesta Gestione delle fonti di approvvigionamento Fonte: Zanoni (1984) per l’alto contenuto tecnologico specifico, sia per l’incerta reperibilità sui mercati. Nel secondo caso, invece, assumendo rilevanza i volumi e i prezzi-costo degli acquisti, si ricerca una razionalizzazione dei flussi fisici, pur mantenendo fonti di approvvigionamento consolidate. Il modello di Kraljic si presta a un’interpretazione dinamica del fenomeno. Molteplici evidenze empiriche, infatti, hanno dimostrano che la funzione si rinnova in logica incrementale, lungo una direttrice che va dalla gestione degli acquisti alla gestione strategica degli approvvigionamenti, passando attraverso uno dei due stadi intermedi (Zanoni, 1984). I comportamenti descritti sono illustrati nella Fig. 11.6. Il primo sentiero – evoluzione attraverso la fase di gestione dei materiali – sembra il più comune, perché tipico di aziende in cui i volumi e i costi relativi agli acquisti assumono notevole rilevanza, stimolando la ricerca di processi di razionalizzazione dei flussi fisici e degli stoccaggi, sia all’interno, sia nei confronti dell’esterno. In questo caso l’evoluzione dalla gestione degli acquisti alla gestione dei materiali rappresenta un cambiamento relativamente spontaneo, i cui benefici risultano facilmente quantificabili. Il secondo sentiero – evoluzione attraverso la gestione delle fonti di approvvigionamento – è tipico di realtà in cui gli acquisti assumono rilevanza strategica in ragione della loro unicità, complessità tecnologica e dei loro elevati standard qualitativi. In questo caso si instaurano stretti rapporti di collaborazione tra cliente e fornitore, intesi allo sviluppo congiunto di tecnologie e processi che possono anche dare vita a vere e proprie alleanze e partenership tecnologiche. I due percorsi indicati mostrano come l’importanza degli approvvigionamenti, 274 Tecnologia, innovazione, operations L’esigenza di attuare una corretta politica del prodotto trae spunto, in prima istanza, dall’osservazione del proprio «portafoglio materiali», ovvero della classificazione in termini di maggior o minor criticità dei componenti gestiti nell’esercizio di impresa. Da ciò deriva la possibilità di orientare coerentemente la ricerca del fornitore e la successiva negoziazione; al fine di pervenire alla costruzione del portafoglio materiali di un’azienda è possibile classificare i materiali e i componenti in base al loro impatto sulla redditività aziendale e al grado di rischio connesso all’approvvigionamento. Per quanto attiene alla prima dimensione, ci si riferisce al valore del materiale, al suo impatto economico rispetto al costo industriale, o sulla qualità tecnica o percepita da consumatore; la rischiosità dell’approvvigionamento è invece connessa alla numerosità delle alternative di approvvigionamento esistenti, alla loro localizzazione e accessibilità, alle caratteristiche dell’offerta, all’evoluzione delle tecnologie intrinseche al prodotto ecc. Il modello, rappresentato nella precedente Fig. 11.7, individua quattro quadranti, cui corrispondono differenti tipologie di materiali o servizi (Kraljic, 1983): • materiali «non critici», con scarse ripercussioni sulla redditività e contenuto rischio di approvvigionamento. È il caso di materiali o servizi ampiamente diffusi, spesso considerati commodity perché omologati e normati, di contenuto valore economico, facilmente acquisibili da un’estesa base di fornitura; Impatto sulla redditività e strategicità dei materiali (profit impact) ➊ Figura 11.7 Il portafoglio materiali matrice di Kraljic Rischi e complessità del mercato della fornitura (supply risk) ➋ Bassa Alta Materiali leva Materiali strategici Minimizzazione dei costi Miglioramento del prodotto-servizio Competizione tra fornitori Accordi di partnership Materiali non critici Materiali collo di bottiglia Semplificazione del processo acquisto Riduzione del rischio Accordi quadro annuali Bassa ➊ • rilevanza valore di acquisto • criticità di disponibilità Fonte: adattamento da Kraljic (1983) Alta Ricerca di alternative e analisi del rischio ➋ • ristrettezza alternative di fornitura • potere negoziale del fornitore • rischiosità della fornitura 276 Tecnologia, innovazione, operations zienda committente; sono materiali con effetto leva i motori elettrici ad alta potenza impiegati nell’assemblaggio di alcuni prodotti finiti di media gamma; sono acquisti strategici alcuni gruppi albero-motore, realizzati da pochi fornitori e di elevato impatto economico e tecnico sui prodotti finiti di alta gamma. Il terzo esempio si riferisce invece a una catena alberghiera di alto rango, per la quale si considerano acquisti non critici tutti i materiali di consumo impiegati nella pulizia e nella gestione delle camere; sono invece acquisti con effetto leva alcune dotazioni sofisticate, quali le vasche idromassaggio e altre attrezzature collocate nelle camere; stante la natura dell’attività svolta non si ravvisano casi di acquisti collo di bottiglia, mentre risultano strategici, per l’impatto sul servizio reso al cliente e per la non sempre facile reperibilità, l’acquisizione di competenze e professionalità legate al personale di front office. L’impiego di metodologie quali quella illustrata si presta a interventi mirati, tesi anche a modificare le caratteristiche del bene-servizio approvvigionato al fine di spostarlo in quadranti diversi rispetto alla collocazione originaria, nell’intento di acquisire vantaggi di efficienza, minori rischi di approvvigionamento e, più in generale, aumentare il valore offerto al mercato. In proposito si veda l’esempio riportato nella Fig. 11.8. Con riferimento alla distinzione svolta tra materiali diretti e MRO, si sottolinea che mentre i primi, per loro natura, possono collocarsi in tutti i quadranti della matrice, i secondi, generalmente, manifestando bassa complessità della fornitura a fronte di importanza strategica ed economica variabile, si configurano come materiali e servizi non critici o, al più, con effetto leva. Figura 11.8 La matrici di Kraljic e le strategie di approvvigionamento Complessità del mercato della fornitura (supply risk) Importanza del bene acquistato (profit impact) Bassa Alta Alta Materiali con effetto leva 3 Competizione 2 Materiali strategici Partnership Collaborazione 4 e integrazione Materiali non critici 4 Materiali “collo di bottiglia” 1 Efficienza 2 Standardizzare e centralizzare 5 6 Standardizzare 6 Scorte 7 8 8 Ricerca di alternative Bassa Fonte: adattamento di Gelderman e Van Weele (2003), in Baglieri (2004) 280 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 11.4 Esempio di check list di abilitazione 1. Dimensione Numero dipendenti Fatturato Numero stabilimenti Capacità installata Localizzazione 2. Aspetti tecnici Metodi di produzione Assicurazione qualità 3. Assistenza clienti Consegne 4. Aspetti economico-finanziari Condizioni di pagamento Fonte: rielaborazione da documentazione ADACI sancirne l’appartenenza a una potenziale rosa di fornitori alternativi; in proposito si veda l’esempio di check list riportato nella Tab. 11.4. È appena il caso di sottolineare che queste procedure debbono essere applicate per gruppi di codici articolo o, più spesso, per famiglia di prodotti o classe merceologica, in quanto il medesimo fornitore può risultare abilitato per un determinato articolo, ma non per altri; inoltre esse devono essere ripetute nel tempo per riesprimere giudizi che possono di fatto modificarsi nel medio periodo. Per quanto attiene alle indagini tese a definire l’abilitazione del fornitore, gli strumenti generalmente impiegati sono le interviste e le visite ispettive agli impianti del fornitore, la raccolta di informazioni in via diretta, attraverso questionari, e indiretta, attraverso l’acquisizione di informazioni pubbliche, quali i bilanci e le eventuali certificazioni, e referenze, relative ai principali clienti serviti. L’obiettivo principale di tali indagini risiede nell’esigenza di acquisire informazioni a tutto tondo sul potenziale fornitore, in modo da poter esprimere una valutazione in merito alla sua adeguatezza organizzativa e gestionale, alla sua solidità economica e patrimoniale, alle competenze tecniche, alle capacità produttive ecc. Nelle procedure di abilitazione raramente si inserisce il prezzo tra le variabili osservate, in quanto questo rientra nella valutazione dell’offerta e quindi assume rilevanza in sede di negoziazione. 282 Tecnologia, innovazione, operations • costanza della qualità: il punteggio viene assegnato in funzione della percentuale di righe di consegna non conformi sul numero di righe totali consegnate nel quadrimestre; • accuratezza: il punteggio viene assegnato in funzione del rispetto delle quantità dichiarate, della conformità degli imballi e della corretta e completa compilazione della documentazione di supporto. Indice di servizio Fattori: • termini di consegna: il punteggio viene assegnato in base alla capacità del fornitore di consegnare entro le tempistiche stabilite dalla pianificazione di Alfa; • rispetto dei termini di consegna: il punteggio viene assegnato in base al numero di righe d’ordine in ritardo rispetto al totale delle righe d’ordine consegnate; • flessibilità: il punteggio viene assegnato in base alla capacità del fornitore di gestire le variazioni di consegna richieste da Alfa. Figura 11.9 Mappatura processo di valutazione delle prestazioni Approvvigionamenti/ Buyer Enti aziendali di interfaccia con il fornitore Comitato di valutazione Rilevazione dati Ricevimento dati e tabulazione Analisi delle prestazioni Sì No Discussione e approvazione delle azioni correttive Comunicazione al fornitore dei risultati e/o delle azioni correttive Aggiornamento Vendor rating Fornitore 11 • La gestione degli approvvigionamenti 285 Tabella 11.5 Principali indici di controllo del fornitore. Qualità Numero resi o scarti/pezzi forniti Garanzia di rimpiazzo Certificazione Affidabilità consegne Tempo medio di consegna (velocità) Ritardo medio (puntualità) Costo Prezzo Sconti Dilazioni Plus di fornitura • Collaborazione tecnica • Facilità di comunicazione • Possibilità prove congiunte • Assistenza postfornitura • Possibilità forniture speciali • ecc. Fonte: Grando (1995) L’ufficio approvvigionamenti, nel gestire la politica del prezzo, deve quindi considerare anche l’effetto delle differenti scelte di natura finanziaria e l’incidenza di eventuali sconti per quantità. L’orientamento amministrativo che ha caratterizzato la funzione approvvigionamenti in passato ha garantito il rispetto di tali cautele; la modificazione in atto coinvolge, invece, una diversa sensibilità richiesta agli approvvigionatori, intesa ad apprezzare la qualità delle forniture, l’affidabilità delle consegne e, più in generale, il livello di servizio fornito. Tale limite trova superamento nella progressiva integrazione della funzione con la produzione, la progettazione e la gestione magazzini; con ciò gli effetti di forniture insoddisfacenti sotto i profili enunciati non rimangono circoscritti a livello di produzione, ma si ribaltano a monte verso la funzione responsabile degli acquisti, contribuendo ad accrescerne la sensibilità operativa. Sempre più frequentemente le aziende si dotano di enti e metodologie per il controllo qualità in accettazione, costituendo veri e propri laboratori con attrezzature di misurazione e controllo. In altri casi – si pensi alla realtà calzaturiera in cui l’azienda terminale raccoglie i semilavorati da numerose «giunterie esterne» – ai controlli in accettazione si affiancano ispettori che hanno il compito di visitare e valutare le produzioni dei terzisti, le modalità di trasformazione e i materiali da 288 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.10 Il piano di approvvigionamento rolling q Gennaio Febbraio Marzo Aprile +40% +20% α Q –20% –40% T A T+1 1+2 Graranzia di produrre 1+3 B t 1+4 Impegno ad acquistare Fonte: Grando (1995) periodo di riferimento, scaturisce dal potere contrattuale delle parti e dalla possibilità di giustapporre le esigenze dell’acquirente con quelle del fornitore. Come verrà illustrato in seguito, l’intensificazione degli scambi informativi tra cliente e fornitore sta alla base dello sviluppo di forme collaborative più strutturate ed evolute, quali quelle che si stanno sempre più diffondendo in molti contesti industriali. 11.5 La complessità del processo di acquisto e le soluzioni di e-procurement Il processo di acquisto è costituito da una serie di fasi sequenziali che prendono avvio dal sorgere di un fabbisogno e si esauriscono con il suo soddisfacimento (Stabilini, 2005); lungo tale processo si intersecano più flussi – informativo, fisico e finanziario – e vengono interessati più soggetti – interni ed esterni all’azienda – come illustrato nella mappatura di un processo di acquisto e nella sintesi riportate, rispettivamente, nella Tab. 11.6 e nella Fig. 11.11. Ufficio Approvvigionamenti Ufficio Acquisti Ufficio Approvvigionamenti / Ufficio Acquisti Ufficio Acquisti Ufficio Acquisti Ufficio Acquisti Fornitore di beni e/o servizi Ufficio acquisti e contabilità ciclo passivo Ricerca dei potenziali fornitori Invio della Richiesta d’Offerta (RdO) Tabulazione e analisi offerte Negoziazione Scelta del fornitore e definizione accordo Elaborazione e invio Ordine di Acquisto (OdA) Evasione dell’ordine Riconciliazione, pagamento e archiviazione dati Fonte: rielaborazione da Puschmann e Rainer (2005) e Stabilini (2005) Ufficio Acquisti Pianificazione dell’acquisto Soggetto interessato Ente/funzione richiedente Nascita del fabbisogno e definizione Richiesta d’Aquisto (RdA) Fase del processo Tabella 11.6 Fasi, soggetti e caratteristiche del processo di acquisto Output della fase Verifica contabilità e pagamento fattura Consegna del bene e/o erogazione del servizio ed emissione fattura cliente Emissione OdA Definizione clausole contrattuali Affinamento elementi alla base della trattativa Ranking RdO Emissione RdO Selezione rosa fornitori qualificati Analisi RdA, eventuale accorpamento RdA per rilasci pianificati Emissione RdA Elementi critici Ricevimento e saldo fattura, previa riconciliazione con OdA ed eventuali documenti di consegna Consegna del bene o erogazione del servizio, rilascio informazioni su stato d’avanzamento ordine, predisposizione documentazione accessoria (bolle di consegna) Elaborazione OdA in base alle clausole e condizione contrattuali e invio al fornitore Selezione di uno o più fornitori e definizione delle clausole contrattuali di regolazione del rapporto cliente-fornitore Sviluppo di una trattativa legata alla specifica transazione sotto diversi profili: economico, tecnico, logistico, di servizio ecc. Analisi delle RdO inviate dai fornitori e valutazione rispetto alle specifiche richieste e selezione numero ristretto potenziali fornitori Invito ai fornitori a presentare la migliore offerta che soddisfi le specifiche della RdA in termini economici, logistici, tecnici e di servizio. Selezione fornitori all’interno dell’albo fornitori qualificati o ricerca nuovi fornitori Analisi RdA alla luce delle policy d’acquisto, quali rispetto dei vicoli di budegt, tetti di spesa, standardizzazione articolo ecc. Definizione specifiche del bene o servizio, vincoli logistici, termini di consegna, servizi accessori ecc. 11 • La gestione degli approvvigionamenti 289 290 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.11 Mappatura di un processo di acquisto Approvvigionamenti Acquisti/ Buyer Ricevimento RdA Analisi RdA e assegnazione a buyer Verifica completezza documentazione ed eventuale integrazione Definizione della rosa di possibili fornitori Elaborazione RdO e invio ai fornitori Ricevimento offerte e analisi completezza Invio offerte all’ente richiedente per le verifiche Trasmissione parere dell’ente richiedente al buyer Tabulazione intermedia offerte e selezione potenziali fornitori No Sì Ente richiedente Altri enti aziendali Fornitore 11 • La gestione degli approvvigionamenti 291 Figura 11.11 (segue) Approvvigionamenti Acquisti/ Buyer Ente richiedente Altri enti aziendali Trattative con i fornitori Tabulazione definitiva e scelta del fornitore Preparazione ordine e documentazione richiesta Convalida e firma di approvazione Invio ordine al fornitore e agli enti interni Expediting e ricevimento merci Controllo quantitativo e qualitativo Azioni correttive in caso di non conformità Chiusura ordine e inizio ciclo passivo No Sì Fornitore 296 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.12 La classificazione A.D. Little dei materiali acquistati Complessità del prodotto acquistato Importanza economica relativa del valore dell’ordine sul costo del processo di acquisto Bassa Standard/Commodity Alta Specialty Alta Materiali diretti a elevato valore Materie prime o materiali diretti a elevati volumi Riduzione dei costi di acquisto Soluzioni buy-side (cataloghi e aste) Market place verticali MRO Riduzione dei costi di processo Soluzioni buy-side (cataloghi e aste) Market place orizzontali 2 3 Riduzione dei costi di processo (integrazione della supply chain) e di acquisto Soluzioni sell-side Approcci collaborativi 1 4 Materiali diretti a basso valore Impatto limitato Soluzioni sell-side Bassa Fonte: adattamento da Arthur D. Little (2000) opportune sembrano legate all’impiego di supporti web-based, al fine di ridurre, attraverso opportuni automatismi, il costo del processo di acquisto. Per tali tipologie di materiali e servizi, la soluzione estrema è costituita dall’outsourcing completo del processo di approvvigionamento, che si giustifica con l’obiettivo di giovarsi della specializzazione del provider esterno e di limitare ingiustificati aggravi alla gestione degli enti di approvvigionamento interni, che possono in tal modo focalizzarsi sulle componenti di acquisto maggiormente critiche; • nel secondo quadrante, caratterizzato dalla presenza di materie prime acquistate in grandi volumi e materiali diretti commodity, grazie alla presenza di fonti alternative e di una ridotta complessità dei beni da approvvigionare, l’opportunità di conseguire riduzioni nel prezzo di acquisto giustifica il sostenimento di processi negoziali anche onerosi, a fronte di ordini caratterizzati comunque da volumi elevati o beni ad alto valore unitario; • nel terzo quadrante, nel quale si trovano prodotti specialty ordinati per importi consistenti, la complessità del prodotto acquistato suggerisce approcci di integrazione della supply chain; trattandosi, in gran parte, di prodotti su specifica e acquisti ripetitivi, l’esigenza di ridurre sia l’onerosità del processo, in specie per le fasi di ricerca, valutazione e selezione del fornitore, sia i prezzi di acquisto, induce alla ricerca di partner con cui stabilire relazioni stabili e processi di integrazione dei flussi fisici e informativi; • nel quarto quadrante, infine, si collocano tutti i materiali diretti, caratterizzati da basso valore dell’ordine, ancorché complessi; possono essere i casi di acqui- 11 • La gestione degli approvvigionamenti 299 Figura 11.13 Supply chain a quattro attori Ordini Fornitore Ordini Produttore Prodotti Ordini Dettagliante Grossista Prodotti Ordini Prodotti Mercato Prodotti riscontrare un significativo effetto di amplificazione della domanda – che divenne noto in seguito come effetto Forrester – nel trasferimento degli ordini dagli attori a valle del supply network a quelli a monte. Inoltre, le scorte lungo la supply chain possono essere soggette a oscillazioni ampie e irregolari. In pratica, ciò che accade è molto simile al gioco noto come «telefono senza fili» o dei «bisbigli cinesi». Un gruppo di ragazzi si dispone in fila; il primo sussurra una frase al secondo che, indipendentemente dal fatto che abbia sentito chiaramente o meno, la ripete a voce bassa al ragazzo successivo e così via: man mano che il messaggio viene trasmesso, tende a distorcersi. L’effetto Forrester comunque non è causato soltanto da errori di comunicazione e distorsioni. La causa principale è il desiderio da parte di ogni attore di ottimizzare localmente la propria porzione del supply network. Per meglio comprendere ciò che Forrester ha dimostrato si consideri una supply chain composta da quattro attori: un dettagliante, un grossista, un produttore e un fornitore, riportata nella Fig. 11.13. Come evidenziato nell’ultima colonna a destra della Tab. 11.7, si suppone che la domanda del mercato finale al dettagliante si riduca da 100 pezzi nel periodo 1 a 95 nei successivi periodi. Ciò impatta sulla dinamica degli ordini, della produzione e delle scorte di tutti gli attori della supply chain. Per semplicità si supponga che tutti gli attori adottino la stessa politica di gestione delle scorte: avere a magazzino alla fine di ciascun periodo un quantitativo di prodotti (Sf) pari alla domanda relativa allo stesso periodo. In pratica, ogni attore ha deciso di avere scorte a magazzino in grado di soddisfare la domanda dei propri clienti per un periodo. Si suppone che la scorta all’inizio del periodo 1 (Si) sia di 100 pezzi per tutti gli attori. Per semplicità si considerino tutti i lead time nulli. All’inizio del periodo 1, il dettagliante ha 100 pezzi a magazzino (Si) e si trova a dovere soddisfare una domanda di 100 pezzi. Dal momento che intende avere a magazzino alla fine del periodo 1 un numero di pezzi (Sf) pari alla domanda – che è di 100 pezzi – provvede ad acquistare dal grossista 100 pezzi (per esempio Acquisti = Sf – Si + Domanda). Il grossista, dovendo soddisfare una domanda di 100 pezzi da parte del dettagliante, si trova in una situazione del tutto simile e quindi a sua volta provvede a richiedere al produttore 100 pezzi. Analogamente il produttore per soddisfare la domanda di 100 pezzi da parte del grossista – adottando la stessa modalità di gestione delle scorte – deve produrre 100 pezzi (per esempio Produzione = Sf – Si + Domanda) ed emettere un ordine di acquisto dello stesso quantitativo al fornitore. Quest’ultimo si trova in una situazione ancora simile, dovendo soddisfare una domanda di 100 pezzi da parte del produttore, e quindi a sua volta provvede a produrre 100 pezzi. Per i periodi successivi al primo si prosegue nello stesso modo. La Fig. 11.14 riporta l’andamento della domanda per il dettagliante, il grossista, il produttore e il fornitore. Si noti come, a fronte di una domanda finale di mercato relativamente stabile si generino delle fluttuazioni sempre più ampie – spostandosi a monte lungo la catena di fornitura. 300 Tecnologia, innovazione, operations Tabella 11.7 Andamento della domanda in una supply chain Fornitore Produzione Scorte Produttore Produzione Si = 100 P = 100 Grossista Scorte Acquisti Si = 100 A = 100 Sf = 100 Si = 100 P = 20 Si = 100 P = 95 Si = 95 Sf = 95 Si = 95 A = 95 Sf = 95 P = 95 Si = 95 A = 95 Sf = 95 P = 95 Si = 95 Sf = 95 Si = 95 A = 95 Sf = 95 Sf = 95 Si = 95 A = 95 Sf = 95 Si = 100 Si = 90 P = 100 Sf = 95 Si = 90 P = 90 Sf = 90 Si = 100 A = 90 A = 100 Sf = 100 Si = 120 P = 60 Sf = 100 Sf = 90 Si = 80 Sf = 120 Si = 100 Si = 100 P = 120 Si = 95 A = 95 Sf = 95 Si = 95 A = 95 Scorte A = 100 A = 80 Sf = 80 Si = 60 P = 180 Acquisti Sf = 100 P = 60 Sf = 60 Scorte Si = 100 P = 100 Sf = 100 Dettagliante Si = 95 Sf = 95 A = 95 Si = 95 Periodo domanda finale Periodo 1 Domanda = 100 Periodo 2 Domanda = 95 Periodo 3 Domanda = 95 Periodo 4 Domanda = 95 Periodo 5 Domanda = 95 Periodo 6 Domanda = 95 Fonte: Slack et al. (2004). Domanda Figura 11.14 Impatto dell’effetto Forrester sull’andamento della domanda 130 Dettagliante Grossista Produttore Fornitore 120 110 100 90 80 70 60 50 1 2 3 4 5 6 Periodi 304 Tecnologia, innovazione, operations Figura 11.15 Le alternative di allocazione delle quote di fornitura Strategie alternative di allocazione delle quote di fornitura Monofornitura Sole sourcing Fornitura multipla Single sourcing Second sourcing Parallel sourcing Multiple sourcing Fonte: Dellantonio e Stabilini (2004) in ragione del numero di fornitori coinvolti nella relazione, delle performance attese e dei rischi associati. Si parla di sole sourcing, quando l’intero fabbisogno aziendale per una specifica famiglia merceologica viene acquisito da un singolo fornitore. Si tratta di contesti vincolati, in cui la presenza di un solo operatore sul mercato è dovuta all’esistenza di elevate barriere all’entrata, economiche, legali o di conoscenza, prevalentemente connesse alla disponibilità di know-how non riproducibile da altri. In tal caso, il potere contrattuale del fornitore lascia pochi spazi di discrezionalità all’operato della funzione approvvigionamenti dell’azienda cliente, che si vede talvolta costretta a ricercare forme di integrazione verticale a monte o, in rari casi, a stimolare attraverso investimenti diretti la nascita di fornitori alternativi. La prassi del single sourcing si riferisce ai contesti in cui, pur esistendo sul mercato disponibilità di fonti alternative, l’azienda cliente si orienta a privilegiarne una per l’intera fornitura di una famiglia merceologica; a favore di tale approccio sta la possibilità di ricercare e ottenere da un unico fornitore un rapporto privilegiato di collaborazione, in termini di affidabilità, qualità ed economie di acquisto. In tal caso si manifesta l’esigenza di instaurare rapporti duraturi, basati sulla condivisione del rischio attraverso continui scambi di informazioni, forte coordinamento operativo e pianificazione congiunta degli investimenti. Il legame univoco e di lungo periodo garantisce entrambe le controparti: il cliente, che trova un partner sollecito nel soddisfare i propri fabbisogni e il fornitore, che vede allocata gran parte della sua capacità produttiva per orizzonti temporali rassicuranti. Si sviluppano rapporti di second sourcing, invece, nei casi in cui, a fianco del fornitore principale, si instaurano relazioni anche con una fonte alternativa, secondaria per volumi allocati e intensità della relazione; si tratta di una scelta cautelativa, volta a contenere i rischi della monofornitura, a mantenere «in tensione» il rapporto contrattuale con il fornitore principale e a garantire margini di ulteriore flessibilità in presenza di punte di fabbisogno. 310 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.1 Profili rilevanti per l’analisi dei sistemi produttivi Classificazione secondo il modo di rispondere alla domanda Singola Fabbricazione Per parti Montaggio Produzione continua Produzione su commessa Produzione intermittente (a lotti) Ripetitiva Produzione unitaria Produzione per il magazzino Classificazione secondo il modo di realizzare il volume di produzione Per processo (fabbricazione) Classificazione secondo il modo di realizzare il prodotto Fonte: Brandolese et al. (1985) zate da flussi intrecciati o alternati, e si annulla per estesi intervalli temporali nelle produzioni in serie o continue, svolte su prodotti sostanzialmente indifferenziati per cicli ripetitivi. Lungo la terza dimensione, infine, viene riportato il profilo rappresentato dalla natura intrinseca del prodotto; in tal senso si distingue tra produzioni per processo e produzioni discrete o per parti. Le prime, cui appartengono i processi siderurgici, petrolchimici, cartari, alimentari ecc., si dicono per processo perché la trasformazione avviene per modificazioni chimiche e fisiche, per cui appare virtualmente impossibile risalire dal prodotto finito ai materiali componenti, come non è possibile, per esempio, risalire dal vetro al silicio, dai prodotti di cracking al greggio, dall’acciaio al ferro e al carbone in esso combinati. Detti processi possono, a loro volta, essere distinti in processi di integrazio- 312 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.2 La matrice prodotto-processo Mix di prodotti Esemplare unico Altissimi volumi; Alti volumi; alcuni modelli standardizzazione (commodity) principali Bassi volumi; molti modelli Flusso discontinuo con una linea tipo ea Ar di za en er Flusso condizionato da: • ritmi della manodopera • ritmi degli impianti co Modelli di processo Flusso frammentario Flusso continuo rigido automatizzato Fonte: adattato da Hayes e Wheelwright (1984); Schmenner (1990) • reparti, caratterizzati da un’organizzazione del processo produttivo articolata per macchinari e operazioni omogenee sotto il profilo funzionale, con flussi fisici molto complessi e intrecciati. Appartengono a questa tipologia le produzioni calzaturiere (trancia, giunteria, manovia), mobiliere (taglio, squadratura, nastro-bordatura, finitura), meccaniche ecc.; • linea, caratterizzata da una disposizione dei macchinari, generalmente dedicati, sequenziata secondo le necessità dettate dallo specifico ciclo tecnologico di un prodotto o di una famiglia di prodotti. Si dice non connessa la linea, altrove definita linea spezzata, in cui il trasferimento tra una workstation e un’altra avviene in modo non automatico, tramite operatori, carrelli, e altri sistemi di movimentazione, generalmente in presenza di accumuli di giacenze opportunamente collocate in magazzini interoperazionali. Ciò per distinguere dalla linea connessa, in cui la movimentazione, a ritmo imposto o non imposto (linee asin- o sti g ag io r o ic M Puntualità consegne Qualità (differenziazione produttiva); elasticità e possibilità nei volumi di output di personalizzare il prodotto Obiettivi critici del management Fonte: adattato da Hayes e Wheelwright (1984); Schmenner (1990) Prezzo Flusso continuo Flusso in linea Flusso in linea tà ni tu r o pp Flusso continuo rigido automatizzato Flusso condizionato da: • ritmi della manodopera • ritmi degli impianti Flusso a lotti Alti volumi; Altissimi volumi; Bassi volumi; alcuni modelli standardizzazione (commodity) molti modelli principali Mix di prodotti ti Flusso discontinuo con una linea tipo Flusso frammentario Job-shop Esemplare unico Figura 12.3 Le aree di coerenza e le modalità competitive s Co Modelli di processo Compiti critici del management Investimenti per aumenti di capacità; innovazione tecnologica, gestione materiali; integrazione verticale Motivazione maestranze, bilanciamento; mantenere sufficiente flessibilità Scheduling, affidabilità, consegne, eliminazione colli di bottiglia 314 Tecnologia, innovazione, operations 316 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.4 Tipologie di produzione dei servizi: la matrice varietà-volumi Costo unitario Elevato Elevata Basso Capability Complessi lità ibi Bassa so Varietà dei processi ti os r pe Grado di definizione dei processi s s fle di s ce ec C ti pe sti ns ri fic uf ien lu vo i m Co Bassa Commodity Semplici Bassi Elevata Elevati Volumi unitari delle transazioni Fonte: adattamento da Johnston e Clark (2005) plesse, competenze distintive, approcci fortemente personalizzati, tempi e impegno consistenti, sempre ben remunerati. La progettazione dei processi di operations nei servizi sono dunque influenzati da due parametri fondamentali: il volume unitario delle transazioni in un determinato periodo temporale e la varietà dei compiti che debbono essere svolti dal personale e delle attività insite nei processi di erogazione (Johnston e Clark, 2005). La maggior parte dei servizi si colloca lungo la diagonale che va dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra e che, analogamente a quanto illustrato precedentemente per i beni, rappresenta l’area di coerenza. A un estremo, si posizionano i processi commodity, meno costosi, caratterizzati da elevati volumi, bassa varietà, attività e compiti ben definiti che lasciano ridotti margini di discrezionalità al personale addetto; si pensi, per esempio, a un autolavaggio automatico o allo sportello di un ufficio postale. All’estremo opposto, si trovano invece i processi capability, più costosi, scarsamente standardizzabili e che richiedono, di volta in volta, capacità di problem solving specifiche, personale di notevole esperienza, spesso in grado di aiutare il cliente nell’identifi- 318 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.5 Tipologie di produzione di servizi: la matrice di Lovelock Livello di intensità del lavoro Elevato Basso Livello di interazione e personalizzazione Elevato Service shop Servizi professionali Service factory Servizi di massa Basso Fonte: Lovelock (1988) L’incrocio tra le due variabili evidenzia quattro possibili modelli di gestione del servizio (Greasley, 2006): • i servizi professionali, caratterizzati da un elevato livello di interazione e di intensità di lavoro; è il caso delle professioni liberali, quali quelle svolte da medici, avvocati, architetti ecc.; • le service factory si collocano sul versante opposto; le compagnie aeree, le catene alberghiere, le strutture cinematografiche multisala e molti servizi assicurativi appartengono a questa categoria, essendo orientati alla standardizzazione del servizio offerto e caratterizzati da una rilevanza della componente tecnologica-infrastrutturale; • i servizi di massa, connotati da elevata incidenza di personale e contenuta personalizzazione, come nel caso di alcuni servizi logistici, della distribuzione, o dell’educazione; • i service shop, nei quali, come nel caso degli ospedali o delle autofficine, la personalizzazione del servizio viene realizzata in virtù di una bassa incidenza del costo del lavoro rispetto al valore complessivo delle tecnologie e infrastrutture impiegate. Le due logiche di classificazione sopra esposte possono peraltro essere efficacemente integrate, come illustrato nella Fig. 12.6. Le classificazioni proposte non esauriscono, ovviamente, la casistica reale, nella quale emergono di frequente modelli ibridi, sia sotto il profilo del grado di personalizzazione, sia sotto quello dell’intensità di lavoro; ciò anche all’interno della medesima realtà aziendale, nella quale possono efficacemente convivere servizi personalizzati e servizi standard, maggiore o minor impiego di personale nei processi di erogazione. Si pensi, a titolo di esempio al caso delle compagnie di assicurazioni che, 12 • La gestione della produzione 319 Figura 12.6 Tipologie di produzione dei servizi: una visione integrata Costo unitario Elevato Basso Capability Complessi Varietà dei processi Servizi professionali Bassa o ss ce à c r e ilit pe ssib i t s le Co di f Grado di definizione dei processi Elevata Service shop ti s Co Bassa ien fic f u ns r i umi e l ti p vo Servizi di massa e service factory Commodity Semplici Bassi Elevata Elevati Volumi unitari delle transazioni Fonte: adattamento da Lovelock (1988); Johnston e Clark (2005); Greasley (2006) oltre a polizze standard possono configurare coperture assicurative specifiche costruite sulle esigenze del cliente; o al caso delle banche in cui alcune operazioni di prelievo possono essere realizzate agli sportelli automatici e altre attività, più complesse come la gestione titoli, necessitano dell’interazione con personale qualificato. Nella produzione di servizi, inoltre, si assiste con frequenza alla progettazione di processi di erogazione orientati a una standardizzazione quasi-industriale nelle attività di back office, ovvero dei processi connotati da bassa o nulla intensità di contatto con il cliente, e una personalizzazione, e una conseguente intensità del contatto, più spinta in quelle di front office. Vi è una sottile linea che separa i processi di back office, spesso orientati all’efficienza, da quelli di front office, maggiormente focalizzati sull’efficacia, e che conseguentemente distingue tra fasi standardizzate e personalizzate; tale diaframma, che distingue le attività «visibili» dal cliente da quelle che questi non può osservare direttamente, può collocarsi differentemente lungo il complessivo processo di erogazione di un servizio, in funzione dell’eterogeneità dei servizi forniti o per scelte di posizionamento competi- 12 • La gestione della produzione 323 Tabella 12.1 Principali caratteristiche delle scelte di layout. Confronto di layout per prodotto e layout per processo Layout per prodotto Layout per processo a. Vantaggi relativi dei due tipi 1. Minore costo totale del trasporto di materiale 1. Minore duplicazione di macchine, quindi minori investimenti in attrezzature fisse 2. Minore tempo complessivo di produzione 2. Maggiore flessibilità di produzione 3. Controllo e supervisione più specializzati e quindi più efficaci 3. Minori scorte di produzione 4. Maggiori incentivi, per vari reparti, ad aumentare la produttività 4. Maggiori incentivi, per singoli dipendenti, ad aumentare la produttività 5. Minore superficie di stabilimento richiesta per unità di prodotto 5. Migliore controllo di processi ad alta precisione o particolarmente complessi 6. Semplificazione del controllo della produzione 6. Maggiori possibilità di ovviare ad avarie del macchinario b. Situazioni a favore di un tipo di layout 1. Lavorazione limitata a uno o a pochi prodotti standard 1. Produzione concernente numerosi prodotti diversi o produzione su commessa 2. Grande volume di produzione per ciascun prodotto 2. Produzione limitata per ogni singolo prodotto 3. Possibilità di attuare analisi dei tempi e dei metodi per il controllo della produttività 3. Analisi dei tempi e dei metodi difficili o impossibili da effettuare 4. Possibilità di buon bilanciamento della produzione 4. Difficoltà di ottenere il bilanciamento della produzione 5. Pochi controlli necessari durante le fasi di lavorazione 5. Necessità di molti controlli durante le fasi di lavorazione 6. Pochi macchinari speciali richiesti per la produzione 6. Alta proporzione di macchinario speciale o macchinario che necessita trattamenti speciali 7. I materiali e i prodotti possono essere trasportati in modo continuo o in forti quantitativi 7. Esistenza di materiali e prodotti troppo voluminosi o troppo pesanti per trasporti continui o in grande quantità 8. Possibilità di destinare ogni macchina o stazione di lavoro a una sola operazione 8. Frequente necessità di impiegare la stessa macchina per due o più operazioni diverse Fonte: Maraschi (1992, p. 254) 328 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.7 Il processo di programmazione della produzione Previsione domanda Disponibilità scorte PF Portafoglio ordini Fabbisogno di produzione CPN Parametri tecnici CPD Piano aggregato PP/RRP Piano principale MPS/RCCP Elaborazione MRP/CRP Richiesta d’acquisto RdA Richiesta di lavorazione RdL Ordine d’aquisto OdA Piano operativo scheduling OdL Fornitori Reparti Controllo avanzamento e reporting 338 Tecnologia, innovazione, operations Figura 12.8 Classificazione delle diverse applicazioni di supply chain management Progettare le relazioni che coinvolgono le imprese (attività di sviluppo congiunto del prodotto e attività di organizzazione dei flussi fisici) Supply chain configuration Ricercare il corretto equilibrio tra le quantità richieste dal mercato e le quantità che possono essere prodotte e distribuite all’interno di una particolare catena logistica Network design Supply chain planning ATP/CTP APS Dare esecuzione ai piani ottimizzati considerando i vincoli predefiniti Demand forecasting Supply chain execution TMS Fornitori Acquisto WMS Produzione Distribuzione Vendita Clienti tempi opportuni le informazioni necessarie affinché il management possa compiere le scelte più adeguate per soddisfare le attese espresse dal mercato. Anche gli stessi sistemi ERP, che coprono in modo soddisfacente tutta l’area transazionale, ossia quella relativa alle rilevazioni che interessano i principali accadimenti legati alla gestione aziendale, non si dimostrano generalmente in grado di soddisfare appieno gli specifici fabbisogni informativi della sfera produttivo-logistica. Una possibile alternativa per superare il gap oggi esistente tra le esplicite esigenze informative delle aziende e i supporti informatici più diffusi è rappresentata da un insieme di applicazioni, comunemente indicate con l’espressione Supply Chain Management (SCM), che sono state progettate e sviluppate in modo da fornire delle soluzioni adeguate per risolvere le principali problematiche di gestione delle catene logistiche. Come illustrato nella Fig. 12.8 è possibile classificare le diverse applicazioni in funzione della tipologia di attività che sono chiamate a supportare: attività di configurazione della catena logistica (supply chain configuration), attività di pianificazione dei flussi all’interno degli anelli della catena logistica (supply chain planning) e attività di natura esecutiva finalizzate a garantire l’operatività quotidiana (supply chain execution). La configurazione della catena logistica – Con questo profilo di classificazione si è soliti fare riferimento alle problematiche di organizzazione dei flussi fisici, 12 • La gestione della produzione 341 Figura 12.9 Articolo A1 100 80 60 40 20 0 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Consumo A1 Articolo A2 140 120 100 80 60 40 20 0 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Consumo A2 Giugno Luglio Media mobile ordine 4 Giugno Luglio Media mobile ordine 4 Figura 12.10 Famiglia A 160 140 120 100 80 60 40 20 0 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Consumo famiglia A Luglio Giugno Media mobile ordine 4 Anche i processi di gestione degli ordini stanno assumendo progressivamente un’importanza fondamentale, in specie nei contesti ove la capacità di comunicare tempestivamente la conferma della data di consegna o la presunta data di evasione rappresenta un vero fattore critico di successo. Si tratta di un’informazione importante, perché consente al cliente, opportunamente avvisato dell’eventuale impossibilità di ricevere la merce per una certa data, di rivedere i pro- 348 Tecnologia, innovazione, operations Figura 13.1 La progettazione del sistema logistico Progettazione del servizio al cliente Strategia di servizio Progettazione del canale Progettazione della rete logistica Scelte di assetto strutturale Progettazione dei magazzini Progettazione dei trasporti Progettazione modalità di gestione materiali Macro-scelte di gestione (funzioni) Attrezzature e infrastrutture Tecnologie di supporto Politiche, processi e procedure Gestione del personale Micro-scelte di gestione (operations) Misure di prestazione e reporting Valutazione, feed-back e feed-forward Fonte: adattamento da Copacino (1997) delegato il compito di garantire livelli di operatività adeguati al conseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza statuiti. La progettazione deve pertanto entrare nel merito di molteplici decisioni relative a: • • • • tipologie di infrastrutture e attrezzature di cui dotarsi; tecnologie e sistemi informativi di supporto; disegno dei processi e delle procedure operative; gestione del personale addetto alle attività logistiche. Tali scelte sono fortemente influenzate, oltre che dagli obiettivi di servizio, da una serie di variabili rilevanti sotto il profilo logistico, in grado di vincolare significativamente l’operatività delle componenti di progetto e che, pertanto, debbono essere valutate con estrema attenzione. In proposito si veda l’esempio riportato in Problematiche logistiche nell’home delivery. Con l’obiettivo di svolgere tale attività di controllo, cruciale ai fini del progres- 352 Tecnologia, innovazione, operations Figura 13.2 Livello di servizio e costo logistico globale Servizio Alto Basso Alti Aziende marketing oriented Costi logistici Aziende logistics oriented Aziende ad alto rischio II I IV III Aziende production oriented Bassi Fonte: Ferrozzi, Shapiro ed Heskett (1987) Ovviamente, anche nella medesima realtà aziendale possono coesistere sistemi logistici diversamente orientati, come nel caso di un’impresa che produce prodotti a catalogo a fianco di un’offerta personalizzata. Sotto il profilo degli obiettivi cui ispirare la progettazione logistica, si possono idealmente identificare diversi orientamenti, come riportato nella Fig. 13.2: • nel primo quadrante, caratterizzato da alti costi logistici e modesto livello di servizio, si collocano pertanto le aziende dall’incerto futuro, gravate da preoccupanti inefficienze e non in grado di soddisfare le attese del mercato; spesso si manifesta un lento scivolamento verso questo quadrante, frutto di miopia progettuale, radicamento su posizioni progressivamente obsolete, o incapacità di seguire i trend di sviluppo dei principali concorrenti; • nel quadrante opposto, il quarto, si collocano invece le realtà logistics oriented, in grado di competere con successo, e promotrici di una formula che associa costi logistici contenuti con elevati livelli di soddisfazione del cliente, sotto il profilo del servizio erogato. Tali aziende sono rappresentate, in genere, dalle realtà più accorte che, attraverso frequenti progetti di ridisegno dei propri processi logistici, innovano costantemente, alla ricerca del modello organizzativo-logistico pro tempore più appropriato; • il secondo e il terzo quadrante, infine, possono essere considerati come aree di transizione: l’una, detta marketing oriented, è propria delle imprese che sviluppano una particolare attenzione al servizio, anche a dispetto di elevati oneri logistici; a queste ultime, più aggressive sotto il profilo dell’efficacia logistica, si contrappongono le realtà production (o efficiency) oriented, maggiormente sensibili al contenimento dei costi logistici, per le quali il livello di servizio viene erogato in logica sostanzialmente residuale rispetto ad altri vettori competitivi. 13 • La logistica distributiva 353 Per quanto, in ragione del gioco tra variabili logistiche dominate e subite, molte realtà manifestano una sorta di vocazione all’uno o all’altro fronte, la crescita transita attraverso graduali miglioramenti su entrambi, attraverso la progressiva erosione di ogni area di inefficienza, l’uso attento dell’innovazione tecnologica, l’informatizzazione, l’attenzione alla voce del cliente, l’identificazione della più opportuna strategia logistica e la progettazione di un coerente sistema in grado di supportarla. Tra le diverse scelte di posizionamento illustrate, l’alternativa logistics oriented appare sempre più ispirata a principi, oggi sintetizzati dalla locuzione time based competition7, nella quale la dimensione temporale del servizio al cliente sembra prevalere. Con riferimento ai sistemi logistici in oggetto, detta dimensione temporale può diversamente configurarsi, facendo prevalere, di volta in volta, il valore della velocità (o tempestività) o quello della puntualità (o affidabilità); per connotare i diversi sistemi, la prassi di settore ha coniato i termini di sistemi logistici time critical, nei quali la dimensione della velocità, espressa da lead time di risposta al cliente ridotti, spicca tra i desiderata del mercato, e di sistemi logistici time definite, per i quali la puntualità, espressa dal minor scostamento rispetto alla data di consegna promessa o concordata, appare la dimensione più apprezzata. Come illustrato nella Fig. 13.3, per quanto in molte realtà prevalga vuoi l’una, vuoi l’altra prestazione, la tensione al miglioramento indotta dal gioco competitivo unita alle crescenti aspettative dei clienti conducono, frequentemente, a sempre più stringenti performance su entrambi i profili. A titolo di esempio, si riportano i casi di alcune imprese, appartenenti a setto- Figura 13.3 Sistemi logistici time critical e time definite Velocità di consegna Sistemi time critical 1 Sistemi time based 1 3 2 2 Sistemi time definite 3 Fonte: Grando (2000) Puntualità di consegna 7 Per approfondimenti sul tema della competizione sul tempo si vedano Blackburn, 1993; De Toni e Meneghetti, 1997. 358 Tecnologia, innovazione, operations Significato Utilità per il consumatore Attributi di natura logistica Prossimità Espressione della distanza spazio- Garantisce la riduzione dei costi contemporale tra punto vendita e con- nessi alla distanza fisica (trasporto e sumatore tempo) Ampiezza dell’assortimento Espressione della numerosità dei co- Garantisce la concentrazione degli dici (referenze) offerti acquisti Orario di apertura Espressione dell’estensione tempora- Garantisce l’uso del tempo con il più le delle fasce orarie di accessibilità basso costo opportunità soggettivo Attributi di natura informativa Preselezione Espressione della selezione operata Garantisce la riduzione dei costi di dal distributore sul catalogo offerto ricerca Profondità dell’assortimento Espressione del numero di alternati- Garantisce la riduzione dei costi di ve di prodotto esistenti sul catalogo ricerca offerto Informazione diretta Espressione del supporto consulen- Garantisce la riduzione dei costi di ziale (tecnico) offerto in loco ricerca (costi di informazione) Altri attributi rilevanti Servizi di postvendita Espressione della quantità e qualità Garantisce la riduzione dei costi di di servizi accessori offerti durante la gestione del prodotto (costi legati al ricorso ad alternative) vita utile del prodotto Comfort d’acquisto Espressione della qualità ambientale Garantisce una più bassa percezione complessiva offerta nel punto vendita soggettiva del costo del tempo Velocità del servizio Espressione del tempo di evasione Garantisce la riduzione del tempo dell’ordine d’acquisto Si noti che in molti trattati di logistica gli attributi «servizio postvendita» e «velocità del servizio» rientrano nella categoria degli attributi di natura logistica; in proposito, si veda, a titolo di esempio, Bowersox, Closs ed Helferich (1989). Ovviamente non tutti i beni si prestano a tale azione di decostruzione della catena fisica da quella informativa (Evans e Wurster, 2000). La necessità di mantenere un canale fisico permane, dunque, in molti casi, per almeno due ordini di considerazioni, legati, rispettivamente ai citati attributi di natura logistica e informativa, propri del servizio commerciale. a. Il profilo logistico si riferisce alla diversa capacità dei prodotti, legata alla dinamica dei loro margini di contribuzione, di assorbire gli incrementi di costo deri- 361 13 • La logistica distributiva • scelte di polarizzazione, ovvero del grado di accentramento/decentramento del sistema logistico; • scelte di postponement/speculation, ovvero del grado di anticipazione o dilazione di operazioni di personalizzazione, rispetto alle specifiche di prodotto e ai fabbisogni logistici del cliente; • scelte di outsourcing, ovvero grado di terziarizzazione delle strutture e delle attività logistiche. Nel seguito si osservano i principali elementi suscettibili di influenzare tali alternative progettuali. Scelte di polarizzazione – I due parametri che condizionano maggiormente la scelta del modello di riferimento in sede di definizione della strategia di polarizzazione logistica di un’impresa, sono costituiti dal grado di densità di valore del prodotto e dal grado di incertezza dei flussi logistici, illustrati nella matrice riportata nella Fig. 13.4; circa il primo si è già avuto modo di accennare; per il secondo si intende il grado di incertezza quali-quantitativa della domanda, che influenza la prevedibilità della stessa e la programmabilità dei flussi in uscita, nonché l’incertezza dei flussi in entrata, che è funzione del grado di affidabilità del sistema produttivo e della fornitura. Come illustrato nella Fig. 13.4, la densità di valore del prodotto influenza il grado di polarizzazione delle strutture, mentre l’incertezza dei flussi logistici orienta a scelte di efficienza o di efficacia logistica (Gosso, 1998). Al crescere della densità di valore del prodotto, infatti, aumenta la convenienza a realizzare sistemi logistici fortemente centralizzati, in quanto gli oneri finanziari connessi al mantenimento delle giacenze aumentano all’aumentare del valore per Figura 13.4 Polarizzazione della struttura e politiche di efficienza/efficacia logistica Incertezza dei flussi Alta Bassa Alta Densità di valore del prodotto Logistica a elevata flessibilità Logistica a elevata polarizzazione Struttura logistica polarizzata focalizzata su interventi di compensazione Struttura logistica polarizzata focalizzata su recuperi di efficienza Logistica a elevata reattività Logistica a elevata efficienza Struttura logistica decentrata focalizzata su interventi di compensazione Struttura logistica decentrata focalizzata su recuperi di efficienza Bassa Fonte: rielaborazione da Gosso (1998) 13 • La logistica distributiva 365 Figura 13.5 La matrice postponement/speculation di Pagh e Cooper e le relative strategie logistiche Speculation Scorte decentrate Logistica Postponement Scorte accentrate e distribuzione diretta Strategia di postponement produttivo Strategia di speculation completa Speculation Make to stock • costi di produzione bassi • costi di scorta medio-bassi • costi di distribuzione elevati • livello di servizio medio-basso • costi di produzione bassi • costi di scorta elevati • costi distributivi bassi • livello di servizio elevato I Produzione II III IV Postponement Make to order Strategia di postponement logistico Strategia di postponement completo • costi di produzione medio-alti • costi di scorta medio-alti • costi distributivi bassi • livello di servizio medio-alto • costi di produzione medio-alti • costi di scorta bassi • costi distributivi elevati • livello di servizio basso Fonte: rielaborazione da Pagh e Cooper (1998) manda, accompagnata dall’elevato grado di versatilità e modularità delle tecnologie produttive odierne, sia di prodotto, sia di processo, ha in gran parte ridotto la portata delle scelte di speculation, limitandole ai contesti di relativa prevedibilità dei fabbisogni, vincoli di lottizzazione e scala, standardizzazione del prodotto e livelli di servizio diversamente non conseguibili. Come illustrato, dette strategie possono essere riferite sia a operazioni strettamente produttive, sia a operazioni logistiche; contrapponendo le scelte di postponement e di speculation, rispettivamente, con riferimento a decisioni di natura produttiva e logistica, è possibile definire quattro corsi d’azione alternativi, detti strategie di base di postponement; queste ultime appaiono qualificate da prospettive prestazionali differenti in termini di costi logistici e livello di servizio, come illustrato nella Fig. 13.5. La prima strategia18, di speculation completa, è tuttora adottata e trova appropriata realizzazione in contesti facilmente prevedibili, nei quali, in virtù di scelte di pianificazione produttiva orientata al make to stock e decentramento di giacenze lungo la rete distributiva, è possibile conseguire elevati livelli di servizio per la prossimità spazio-temporale degli inventari rispetto alle necessità del consumo, nonché costi di produzione e distribuzione contenuti grazie a possibili economie 18 La descrizione delle alternative strategiche di speculation e postponement è ispirata a Pagh e Cooper (1998). 369 13 • La logistica distributiva Figura 13.6 Una classificazione delle scelte di esternalizzazione Incertezza dei flussi Bassa Elevata Elevata Livello di complessità gestionale Outsourcing di soluzione Outsourcing strategico (per esempio, internal auditing) (per esempio, logistica integrata) Outsourcing tradizionale Outsourcing tattico (per esempio, paghe e contributi) (per esempio, produzione di codici non critici) Bassa Fonte: Boin, Merlino e Savoldelli (1998) ro della numerosità e delle interdipendenze tra attività gestite) e della loro prossimità al core business, si configurano forme di outsourcing alternative (Boin, Merlino e Savoldelli, 1998). Stante la crescente complessità di alcuni processi logistici, e la crucialità per il business presidiato dalle imprese, le nuove forme di terziarizzazione si configurano come scelte di outsourcing strategico22. Tali tensioni hanno condotto molte aziende a ricercare partner esterni, specializzati nella fornitura di servizi logistici; corrispondentemente alla maturazione intervenuta nella domanda di servizi logistici si è assistito negli anni recenti a una modificazione dell’offerta che si è progressivamente evoluta e arricchita; da fornitori di servizi elementari, connessi alle funzioni logistiche di base, quali i trasporti e il magazzinaggio, lo spettro di offerta si è via via allargato ad attività a maggior valore aggiunto sia sotto il profilo del trattamento fisico dei beni, sia sotto quello concernente il flusso informativo a essi correlato. Le crescenti richieste di servizio da parte del mercato stanno, infatti, rapidamente modificando le strategie distributive di molte realtà industriali, le quali sono indotte a ricercare nuove modalità operative per garantire consegne connotate da sempre più elevati livelli di velocità, puntualità, capillarità, completezza e precisione. Tali esigenze debbono peraltro essere soddisfatte a costi logistici globali contenuti. Ciò ha progressivamente indotto molte imprese a ricercare nuove soluzioni logistiche e a terziarizzare porzioni crescenti dei pro22 Si pensi ai numerosi esempi di cessione di rami di azienda di imprese industriali a operatori logistici incaricati di presidiare direttamente attività gestite in precedenza all’interno, come il caso del recente accordo tra Fiat e TNT Automotive Logistics inerente la distribuzione di tutte le parti di ricambio. In tal senso, l’outsourcing logistico si configura come un’alleanza strategica. 372 Tecnologia, innovazione, operations Grado di integrazione Figura 13.7 Evoluzione della relazione fornitore-cliente nei processi di outsourcing logistici Accordi di servizi logistici integrati Accordi di terza parte Accordi di partnership Transazioni ripetute Transazioni singole Fonte: Bowersox et al. (1989) Grado di commitment nella natura dei servizi resi, nell’orizzonte, negli obiettivi e nella formalizzazione dell’accordo, nel grado di indipendenza tra le parti, nei compiti e responsabilità assegnate rispettivamente al cliente e al fornitore, nelle specifiche di fornitura, nel grado di personalizzazione del servizio, nel grado di integrazione degli investimenti e nella dotazione di risorse dedicate fornite dagli attori in gioco. Non potendo, per brevità, entrare nel dettaglio di ogni singolo attributo distintivo, si rimanda alla sintesi riportata nella Tab. 13.1. Rispetto alla realtà di qualche anno addietro, in cui le scelte di esternalizzazione sembravano prevalentemente motivate da obiettivi di efficienza e riduzione di costo, oggi attraverso l’outsourcing si ricerca il miglioramento del servizio, la flessibilità operativa e la riconfigurabilità degli assetti logistici. Il tasso di sviluppo atteso dei processi di outsourcing logistico sembra dunque differenziarsi in ragione della natura dei servizi richiesti, a loro volta dipendente da necessità competitive industry specific e dalle scelte di struttura operate dai vertici d’impresa; nei prossimi anni, pertanto, si assisterà con grande probabilità a diverse velocità di adozione delle pratiche di outsourcing: in alcuni settori, come quelli del farmaceutico, dell’elettronica, dei beni di consumo, le imprese avanzeranno pressanti richieste di servizi evoluti e complessi, quali servizi integrati, postponement spinto, servizi sul punto vendita (rack jobbing, replenishment ecc.); in altri, come il chimico, il tessile, parte del meccanico, si manifesteranno tassi di crescita più contenuti nella richiesta di tali servizi a valore aggiunto, mentre è più probabile che si estenda la quota delegata a terzi dei processi più convenzionali, quali il trasporto e il magazzinaggio, nella ricerca di maggiori efficienze operative. Riduzione costi della sin- Riduzione costi delle opegola operazione razioni nell’orizzonte dell’accordo Obiettivi Nullo Grado di personalizzazione Elementare (per esempio, scelta mezzi ecc.) Bassa formalizzazione, Formalizzazione legata al contratto spot contratto quadro Assoluta Grado di formalizzazione Indipendenza Assoluta delle parti Spot Orizzonte dell’accordo Breve (1-3 anni) Servizi tradizionali (preva- Servizi tradizionali (tralentemente trasporto) sporto/magazzinaggio) Transazioni ripetute Natura dei servizi Transazioni singole (occasionali) Rapporti di transazione Lungo (5-10 anni) Ampio range di servizi tradizionali e valore aggiunto di tipo fisico (postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking e fulfillment, tracking e tracing del collo ecc.) Accordi di terza parte logistica Progettazione, gestione e ottimizzazione di ampie porzioni dei processi logistici con fornitura integrata di servizi a valore aggiunto di tipo fisico e informativo Lungo (5-10 anni e oltre) Ampio range di servizi integrati, tradizionali e valore aggiunto di tipo fisico (postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking e fulfillment, tracking e tracing del collo ecc.) Accordi di servizi logistici integrati Medio-alto Elevato, talvolta processi Massimo, processi e rie risorse dedicati sorse dedicati Piena formalizzazione e Piena formalizzazione e Piena formalizzazione e regolazione contrattuale regolazione contrattuale regolazione contrattuale complessa complessa complessa Accordi non equity con Accordi non equity, forte- Accordi talvolta equity, mutue obbligazioni mente regolamentati, con fortemente regolamentati mutue obbligazioni Incremento servizio logi- Progettazione, gestione e stico e contenimento co- ottimizzazione dei processto globale si logistici, con fornitura anche di servizi a valore aggiunto Medio (3-5 anni) Servizi tradizionali, primi servizi a valore aggiunto di tipo fisico (postponement produttivo e logistico) e informativo (order tracking, pagamenti, fatturazione ecc.) Accordi di partnership Relazioni cooperative (alleanze strategiche) Tabella 13.1 Modelli di relazione cliente-fornitore, profili di integrazione, impegni e obiettivi reciproci 13 • La logistica distributiva 373 Chiamata spot Impegni del cliente Fonte: Grando (2002) Negoziazione Criticità nella gestione della relazione Negoziazione e contratto di fornitura standard Selezione del fornitore Selezione sull’affidabilità sull’offerta (costi) generale, competenze su processi e servizi elementari e reference list Compiti esecutivi connessi a singole attività elementari Pianificazione, gestione e controllo attività Elementari Elementi di selezione del partner Impegni Compiti esecutivi del fornitore Elementari Specifiche di fornitura Transazioni ripetute Rapporti di transazione Transazioni singole (occasionali) Tabella 13.1 (segue) Accordi di servizi logistici integrati Selezione su capacità progettuali e gestionali sia operative sia orientate al problem solving, competenze di filiera, presenza sui mercati, integrazione informatica Selezione su capacità progettuali e gestionali sia operative sia orientate al problem solving, competenze di filiera, presenza sui mercati, integrazione informatica Team congiunti di lavoro; talvolta responsabilità diretta di mezzi, attrezzature e personale del cliente Contratti complessi; mi- Accordi contrattuali arti- Piani strategici comuni, sura prestazioni e siste- colati e complessi; co- accordi ad ampio spettro, ma di reporting stante monitoraggio pre- investimenti collegati stazioni, forme di incentivazione sul risultato Selezione su affidabilità, solidità, compatibilità processi, servizi resi, compatibilità flussi informativi Esecuzione delle opera- Pianificazione e gestione tions e reporting presta- dei processi logistici e zioni logistiche controllo delle prestazioni logistiche Pianificazione, gestione e Definizione fabbisogni e Team congiunti di lavoro controllo delle attività e specifiche di servizio e focalizzati su ottimizzadelle prestazioni controllo dei risultati zione processi e risultati Dettagliate su servizi, co- Dettagliate su servizi, co- Dettagliate su servizi, costi e reporting sti e reporting sti e reporting Accordi di terza parte logistica Relazioni cooperative (alleanze strategiche) Accordi di partnership 374 Tecnologia, innovazione, operations 376 Tecnologia, innovazione, operations scono in qualità di progettisti di catene logistiche e integratori di competenze specialistiche e soluzioni tecnologiche di terzi. Anche in questo caso le nuove tecnologie introducono innovazione organizzativa: sono in corso di sperimentazione avviata le prime piattaforme logistiche virtuali, le quali, attraverso la connessione informatica, organizzano una ampia e variegata rete di rapporti con operatori logistici fornendo soluzioni specifiche ad alto valore aggiunto. Tali imprese, fornitrici di soluzioni logistiche integrate, si connotano per una nuova e diversa qualità delle loro expertise e conoscenze; esse, infatti, non sviluppano competenze operative di tipo logistico, né si strutturano per erogare alcuna forma di servizio diretto, ma offrono capacità fondate sul loro patrimonio di conoscenza e di relazioni: conoscenza diagnostica e progettuale nell’elaborare soluzioni logistiche a tutto tondo; capacità realizzativa mediata dal network di relazioni costruito con partner specializzati e affidabili, sui diversi versanti del trattamento dei beni fisici, dell’integrazione informatica e telematica, della multimodalità di trasporto ecc. Tabella 13.2 Esempi di interdipendenze tra scelte logistiche Strategia Postponement completa Postponement logistico Speculation completa Postponement produttivo Struttura Logistica a elevata flessibilità (alta densità di valore e alta incertezza dei flussi) Logistica a elevata polarizzazione (alta densità di valore e bassa incertezza dei flussi) Logistica a elevata efficienza (bassa densità di valore e bassa incertezza dei flussi) Logistica a elevata reattività (bassa densità di valore e alta incertezza dei flussi) Fabbisogni Infrastrutture logistici in centralizzate, outsourcing prevalenza di servizi a valore aggiunto in ottica global service (servizi di postproduzione e logistici) Infrastrutture centralizzate, Servizi logistici tradizionali (magazzinaggio, trasporto secondario) Infrastrutture distribuite, prevalenza di servizi logistici tradizionali (magazzinaggio, trasporto primario e secondario) Infrastrutture distribuite, servizi a valore aggiunto (servizi di postproduzione, personalizzati su esigenze locali) Modello prevalente Hub & spoke con polarizzazione di servizi logistici a valore aggiunto Hub & spoke con polarizzazione di servizi logistici tradizionali Rete con terminali erogatori di servizi logistici convenzionali Rete con terminali erogatori di servizi logistici a valore aggiunto Esempio Elettronica di consumo (prodotti configurabili) Ricambi (prodotti specificati) Alimentare secco (prodotti specificati) Mobiliero componibile (prodotti configurabili) Fonte: Grando (2000) 382 Tecnologia, innovazione, operations Figura 13.8 Le alternative di progettazione logistica nella tratta dell’ultimo miglio Modello Buy-Hold-Sell 4 1 Fornitore 2 Distributore 3 Cliente 5 1 = acquisto anticipato (speculation) al fornitore 2 = consegna del bene al magazzino del distributore 3 = mantenimento a scorta del bene presso il distributore 4 = ricevimento dell’ordine dal cliente 5 = prelievo dal magazzino e consegna fisica Flussi fisici Flussi informativi Modello Sell-Source-Ship 1 2 Fornitore Distributore Cliente 3 1 = ricevimento dell’ordine dal cliente 2 = trasmissione dell’ordine al fornitore 3 = prelievo dal magazzino del fornitore e consegna fisica diretta progettuali. Nella Tab. 13.3 si sintetizzano tali legami logici, limitatamente ai due casi estremi accennati30: • il modello B-H-S sembra adattarsi a sistemi di offerta connotati da bassa densità di valore dei beni offerti e relativa certezza dei flussi; tende a operare attraverso strutture logistiche composte da reti distribuite, ispirate a scelte di speculation logistica, attraverso il decentramento di inventari costituiti da beni specificati ex ante sulle esigenze locali; tale alternativa sembra premiante nei casi in cui prevalgono approcci logistici orientati a soddisfare il cliente attraverso la disponibilità locale, nei quali la prossimità al consumo è garanzia di velocità di risposta; i sistemi logistici così progettati palesano vantaggi sotto il profilo del servizio, ma si espongono a significativi investimenti in scorte; ciò li porta a essere preferiti, come si è detto, nei casi di bassa densità di valore e modesto grado di personalizzazione dei prodotti. Il modello B-H-S si presta inoltre a gestire i flussi fisici in contesti di multicanalità, che consentono di assorbire i maggiori costi di struttura in ragione di un grado di instabilità della domanda 30 Per la descrizione di ulteriori modelli logistici per l’e-commerce, si veda Gandolfo, 2000. 13 • La logistica distributiva 383 Tabella 13.3 Una visione di insieme: le alternative Variabili e scelte rilevanti Approccio buy-hold-sell Approccio sell-source-ship Caratteristiche del sistema di offerta Profilo del valore dei beni Bassa densità di valore Alta densità di valore Personalizzazione dei beni e complessità delle operazioni logistiche Bassa personalizzazione e complessità Alta personalizzazione e complessità Priorità criticità consegna Efficienza Urgenza/servizio Caratteristiche dei flussi Incertezza nei flussi Bassa Alta Variabili di struttura Mono/multicanalità Multicanalità (on/off-line) Monocanalità (on-line) Polarizzazione/decentramento Struttura distribuita Struttura polarizzata Postponement/speculation Speculation Postponement Outsourcing Servizi logistici convenzionali Servizi logistici a valore aggiunto Disponibilità Approcci time critical Orientamento sistema logistico Garantire la soddisfazione del cliente attraverso Fonte: Grando (2001a) attenuato dalla presenza del canale consolidato; grazie a bassi livelli di incertezza dei flussi, è possibile ricercare elevati livelli di efficienza operativa attraverso scelte di lottizzazione negli acquisti ed economie dimensionali nei trasporti; per contro, il notevole impegno finanziario correlato alla moltiplicazione dei punti di giacenza può far propendere per soluzioni di outsourcing, generalmente limitate a operazioni tradizionali (stoccaggio, confezionamento, spedizione ecc.) dato l’elevato grado di standardizzazione dei prodotti e l’assenza di opzioni di configurazione; • il modello S-S-S, invece, opera attraverso strutture logistiche tendenzialmente polarizzate, spesso orientate a opzioni di postponement produttivo e logistico, vuoi per l’incertezza dei flussi, in specie della domanda, vuoi per la complessità del prodotto che si presta a opzioni di configurazione e personalizzazione. Il sistema logistico si caratterizza per un approccio prevalentemente time critical, nel quale risulta premiante la velocità della consegna; il grado di reattività del sistema dipende strettamente dalla capacità di sollecitare l’intera supply chain sulla base della richiesta del cliente; il modello S-S-S, pur impiegato anche nella logistica convenzionale (per esempio, come