“Rubber Valley”, fino dall`inizio
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“Rubber Valley”, fino dall`inizio
Mi sento “immerso” nel connettivo di quella che viene spesso ed amichevolmente chiamata “Rubber Valley” fino dall’inizio della mia professione di ingegnere. Non ho vissuto in prima persona gli albori di questo singolare sistema produttivo (non sono così anziano), ma mi è familiare la sua storia: per questo ho raccolto dei flash da alcuni dei veri protagonisti per tentare di descriverne qui l’evoluzione fino ai nostri giorni. La “Rubber Valley”: gli inizi. Una rapporto qualificato riguardante questa realtà (tra i pochi veramente focalizzati) è uno studio promosso dall’OPES (osservatorio dei sistemi produttivi), in collaborazione con l’Unione Camere di Commercio della Lombardia ed Università Bocconi. Risale ormai al 1999: ebbe però il pregio di descrivere, anche ai non addetti al settore, la dinamica della costituzione delle prime industrie specializzate nella produzione di guarnizioni, del loro sviluppo e del singolare processo di “gemmazione”, del contesto socio-economico e delle prospettive di crescita del loro comparto, cercando di raccogliere non facili dati dalle fonti istituzionali del tempo. Non posso non partire da quella “istantanea”, per tentare un aggiornamento relativo al decennio successivo che porta, con luci ed ombre, al giorno d’oggi ed aggiungervi qualche personale considerazione. Vi si legge: “Nato nel secondo dopoguerra a seguito dello sviluppo della gomma, il distretto industriale del Basso Sebino rappresenta oggi il maggiore produttore nazionale ed europeo delle guarnizioni in gomma....” A favorire l’iniziale sbocco “alternativo” all’innato spirito imprenditoriale degli artigiani locali (essenzialmente bergamaschi e qualche bresciano), ed alla base di questo positivo approccio alla trasformazione degli elastomeri, vi era un tessuto di imprese artigianali, competenti in meccanica, altamente specializzate nella lavorazione dei metalli, capaci di progettare sistemi, tra l’altro, per l’allora fiorente settore tessile (di cui piccolo, ma non insignificante satellite, era quello dello stampaggio dei bottoni!). La prima fabbrica di guarnizioni, infatti, nasce agli inizi degli anni millenovecentocinquanta a Sarnico: fu la Manifattura Colombo. Alla costruzione di sistemi meccanici abbinava la produzione di guarnizioni in amianto. Molto presto alcuni tecnici della ditta, intuendo che la richiesta di questi componenti di tenuta sarebbe sempre più aumentata a seguito dello sviluppo di settori quali l’automobile, l’elettrodomestico, la rubinetteria, si staccò dalla Colombo per fondare la Lanza. In entrambe le realtà cominciò ad essere sviluppato il settore dello stampaggio della gomma (uso questo termine “generico” per praticità e per indicare ogni tipologia di mescola adatta alla vulcanizzazione). L’originale comprensorio del Basso Sebino Gli articoli con essa prodotti non sarebbero stati destinati solo ad un mercato nazionale ma inevitabilmente, dato i settori di riferimento, erano rivolti anche a clienti europei e soprattutto tedeschi, evidenziando fin da allora una consistente vocazione all’esportazione delle aziende che sarebbero man mano sorte. Per i macchinari adatti allo stampaggio si potevano facilmente trovare soluzioni tra i produttori di presse, già in uso per le resine (ricordiamo i bottoni) o plastiche di allora. Si trattava di aziende essenzialmente italiane, come Mapelli, BM, Rutil o la bresciana MIR, che sarebbero entrate a far parte della filiera del comparto e che avrebbero messo a disposizione soluzioni via via più innovative. Anche per gli stampi non sussistevano problemi: il retroterra artigiano del settore era già specializzato e preparato ad utilizzare macchine a controllo numerico (e successivamente CAD/CAM), suggerire e progettare stampi con una certa competenza sul comportamento delle gomme. La gomma, invece, proveniva da un nuovo e diverso ambito produttivo: quello dei compoundatori, che si affacciarono alla ribalta agli inizi degli anni millenovecentosessanta. Anch’esso caratterizzato da notevole forza imprenditoriale legava così le proprie sorti a quelle degli stampatori. Il nucleo originale dei produttori di mescola è di derivazione “pirelliana” perché, per opera di tecnici fuoriusciti da quell’ambiente multiforme, la tecnologia di mescolazione venne “importata” dalla Manifattura Bresciana Gomma di Paderno F.C., per produrre al mescolatore aperto gomme che al proprio interno vulcanizzava in lastre o forniva a pochi clienti, come Bridgeport, che nello stabilimento di Ponte San Pietro nella bergamasca produceva valvole per pneumatici, o alla nascente bresciana CF, che cercava di riprodurre, sulla scorta delle esperienze Pirelli, gli articoli e complessivi gomma metallo (boccole, ammortizzatori, molle) per Fiat, OM, Ferrovie dello Stato. Già alla fine degli anni sessanta Manifattura Bresciana e CF, aggregandosi, diedero vita alla prima vera azienda a ciclo integrato per la produzione di componenti in gomma e gommametallo: fu la CF Gomma di Passirano-Ospitaletto. Questa, specializzandosi nella formulazione delle ricette, divenne il primo fornitore di mescole per conto terzi della zona, il punto di riferimento, cioè, della sempre più vasta schiera di piccoli stampatori, che si munivano di presse a compressione, anche di modeste dimensioni, installandole dove era loro permesso, spesso anche in qualche vecchio cascinale o nel garage di casa. La produzione di mescole passò velocemente dalla tecnologia a mescolatore aperto a quella con Banbury (a camera chiusa) consentendo una più elevata produttività, maggior possibilità di controllo e minor impatto per l’ambiente di lavoro. L’interesse sollevato da questo complesso di attività sensibilizzò alcuni dei protagonisti del mondo della chimica del periodo, che per fortuna (cosa dovremmo dire oggi?..) portavano anche nomi italiani, come Eni, Montecatini (successivamente Montedison ed ora Solvay), Bozzetto. Riuscirono a trasferire esperienze, assecondare aspettative ed intuizioni, modificare i loro prodotti per adeguarli ad un processo trasformativo capace di passare da una fase prevalentemente manuale ad una “in automatico”. Fu il tempo della messa a punto di elastomeri per la transizione da compressione ad inietto-compressione ed infine ad iniezione diretta. Anche grandi multinazionali straniere colsero l’occasione per introdurre loro specialità e migliorarle. Fra le più importanti: Bayer, DuPont, Polysar, 3M. Questo anche in virtù del fatto che le guarnizioni, gli o-rings o gli articoli tecnici prodotti sulle sponde dell’Iseo stavano conquistando per qualità e competitività anche i grandi colossi dell’industria tedesca ed europea. Inizialmente localizzata nella zona bergamasca del bacino a sud del Lago di Iseo (Sebino), in un triangolo delimitato da Paratico, Grumello ed Adrara, quindi comprendente anche i comuni di Sarnico, Villongo e Castelli Calepio, la “Rubber Valley” nel corso del ventennio 1970-1990 progrediva e si popolava, per merito di una vivace imprenditorialità e spirito di emulazione delle professionalità tecniche e commerciali cresciute nelle aziende antesignane. Le scarse barriere d’ingresso (limitato investimento iniziale, una tecnologia semplice e spesso senza veli) permisero la costituzione di un elevato numero di unità produttive, sì che già a metà degli anni novanta se ne potevano contare più di 200 con oltre 4000 addetti e configurare il comparto come distretto produttivo in sede regionale e, a livello mondiale, tra i maggiori cinque poli del settore. Dovremo poi constatare, con una certa delusione, che quest’importanza non era avvertita o particolarmente considerata sul piano istituzionale regionale, o addirittura locale. Cosa che non è andata migliorando nel corso del tempo. L’ultimo decennio. Per concludere il riferimento allo studio OPES: non potendo disporre di dati circa il fatturato complessivo del comparto, questo si rifaceva ad un’analisi del gettito di quelle che nel 1996 erano considerate le 6 maggiori aziende (le possiamo citare: Gapi, Argomm, Oldrati, Lanza Nuova, Tecnogomma, Ar-tex), valutate - ad allora - in grado di controllare, insieme ai terzisti del proprio gruppo, l’80% della produzione del distretto. Tradotto in euro, già nel 1997, il giro d’affari del comparto guarnizioni del Sebino bergamasco doveva aggirasi intorno a 125 milioni. Se volessimo ricalcolare questo fatturato oggi, ancora non troveremmo da Istat o Federazione Gomma Plastica dei dati “scompattati”. Fig. 1 - Import-Export "Altri Articoli Tecnici" 1000 900 Valore (milioni €) 800 700 600 Import Export 500 400 300 200 100 0 2000 2001 2002 2003 2004 Anno 2005 2006 2007 Dati Federazione Gomma Plastica - ISTAT Possiamo aiutarci assumendo come parametro di crescita l’andamento delle esportazioni alla voce “Altri articoli tecnici”, che riportiamo per gli ultimi sei anni in fig. 1 e 2. Da questi grafici notiamo che, nonostante la flessione congiunturale del 2002, nell’ultimo decennio l’export di questa voce, su scala nazionale, è raddoppiato. Fig. 2 - Andamento del saldo Export-Import di "Altri Articoli Tecnici" 50,0 48,2 45,0 40,0 Saldo (Milioni €) 300 35,0 30,0 25,0 200 20,0 16,7 15,4 100 15,0 10,0 10,3 5,0 3,9 0,0 -0,1 -3,6 0 Percentuale su anno precedente 400 Saldo Commerciale Scarto % su anno precedente -5,0 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Anno Dati Federazione Gom m a Plastica - ISTAT Potremmo quindi asserire che anche il fatturato del comparto dovrebbe aver seguito lo stesso andamento, ed oggi essere compreso tra 240 e 280 milioni di euro. Personalmente credo che, per l’attuale differenziazione ed eterogeneità dei prodotti, molti sfuggono alla classificazione “altri articoli tecnici” - vedasi il caso degli articoli per l'idrotermo-sanitario. Guardando con gli occhi di chi vive quotidianamente la filiera produttiva di questo comparto, sono dell’avviso che il loro fatturato 2007 sia stato comunque superiore a 300 milioni di euro. Il numero di aziende del comparto, sorte o dislocatesi anche in comuni contigui all’originario comprensorio tra le province di Bergamo e Brescia, non è di molto aumentato nell’ultimo decennio. Non più di quindici attualmente occupano oltre cinquanta dipendenti, due o tre solo oltre i duecento. Ciò anche perché alcune delle aziende di maggiori dimensioni, che per ragioni di controllo di processo e di rispondenza ai canoni dei sistemi qualità, inizialmente avevano creato all’interno un ciclo sufficientemente integrato, ne decentravano alcune fasi, come quelle relative alla finitura, o addirittura alla preparazione delle mescole, in nuove aziende esterne. Il processo di “gemmazione” che aveva caratterizzato l’ambiente degli stampatori si ripercosse anche su altri elementi della filiera: ad oggi possiamo contare almeno una decina di compoundatori che convergono sul territorio, oltre venti produttori di stampi ben qualificati anche all’estero, una schiera di aziende dedicate alle operazioni di sbavaggio e rettifica. I prodotti e le tecnologie. Accanto agli o-rings ed alle guarnizioni standard e di precisione, che vengono ormai stampate ad iniezione nell’intera gamma di polimeri disponibili (dai più costosi elastomeri perossidici per bassissime temperature, ai siliconi e fluorosiliconi, giù giù fino all’NBR, EPDM, SBR, ecc.), troviamo componenti a disegno per le più svariate applicazioni. Antivibranti, cornici, soffietti, copricandela, paraolio, membrane, oblò, isolatori e connettori ed anche … tortiere o articoli da cucina; per un insieme ormai interminabile di settori applicativi: auto e movimento terra, elettrodomestico e sanitario, idraulico e pneumatico, edilizia, gas e petrolchimico, alimentare e farmaceutico, elettrotecnico ed elettronico… Basta visitare il sito di alcune delle aziende della zona per avere una panoramica dell’enorme portafoglio e potenzialità del mercato del settore. Lo stampaggio ad iniezione è oggi la tecnologia prevalente: la sua evoluzione ha portato a diverse concezioni dei sistemi pressa/stampo: iniezione chiusa/aperta, capillare, multiugello (fino a 50 iniezioni), con stampi doppi o termoregolati, nella continua ricerca di ridurre costi di trasformazione e scarto di materiale, quindi di recuperare competitività nei confronti di una concorrenza che si sta spostando dall’Europa ai paesi emergenti dell’est. Coesistono, magari nella stessa fabbrica, anche altre tecnologie, come la compressione (ancora necessaria per chi stampa prodotti di nicchia come Aflas™, perfluoroelastomero o articoli gomma metallo), l’estrusione (adottata solo da due o tre importanti ditte della zona per la produzione di trafilati e profili) o il più recente, e dedicato, sistema di stampaggio per il silicone liquido. Una svolta significativa nella fase di ispezione finale dei prodotti, non priva d’impatto sociale, si è avuta con l’introduzione abbastanza recente di sistemi computerizzati di cernita ottica. Questi sono in grado di selezionare e separare, in base a criteri di conformità preimpostati, lo scarto di produzione, arrivando a garantire lo “zero-difetti” tanto preteso dalle case automobilistiche. Con l’adozione di questi sistemi diminuiscono i costi per non conformità, oltre che per l’operazione di cernita in se stessa, che prima richiedeva notevole manodopera, quasi esclusivamente femminile e spesso al proprio domicilio. Inevitabile conseguenza, per contro, è una leggera flessione dell’occupazione sul territorio, che comincia a fare i conti anche con queste dinamiche. Ultimamente si avverte anche la necessità di “re-integrare” nella fabbrica un’altra delle operazioni tradizionalmente subappaltate: la sbavatura/rettifica. Con piccole ed innovative postazioni dedicate a “bordo pressa”, alcune guarnizioni potranno veramente esser prodotte nell’abusato concetto di “just-in-time”. I sistemi qualità e ambiente. Considero un meritevole sforzo, che conferma la dinamicità e l’acquisita maturità delle imprese del comparto, quello comune alla quasi totalità di esse a conformare la propria struttura organizzativa ed i propri processi ai sempre più gravosi sistemi di qualità. Le aziende maggiormente coinvolte nel settore automotive, ad esempio, hanno scelto di certificarsi dapprima secondo le norme ISO 9000, e quindi secondo la TS 16949, per emergere e consolidarsi nel proprio segmento. Il mantenimento di questi sistemi, e delle relazioni con il cliente ad essi collegate, ha una certa incidenza sul costo dei prodotti, ma le imprese hanno saputo compensarlo con la continua ottimizzazione dei processi e solo ora, con la globalizzazione dei mercati, ci si rende conto che il vero ritorno economico consiste nello sbarramento tecnologico alla concorrenza proveniente dall’estremo oriente e da altri paesi emergenti. Va pure consolidandosi la certificazione del singolo prodotto, spesso in binomio con quella della mescola componente, soprattutto nei settori alimentare e medicale. La pratica sopperisce parzialmente al concetto di marchio, o di brevetto, non molto praticabili per la tipologia dei prodotti in gomma. Purtroppo, nemmeno a livello di comparto è mai passata l’iniziativa di dare rilevanza alle notevoli specializzazioni, promuovendole in una sorta di consorzio con “marchio di origine controllata”. E’ migliorata nel corso degli ultimi anni la sensibilità all’ambiente: le aziende hanno adottato sistemi di protezione sempre più avanzati nella necessità di limitare residui fattori di inquinamento (emissione fumi, scarichi idrici, rumore), e di risolvere alcuni contaddittori con enti istituzionali e locali (ARPA, ASL, comuni e comunità) sempre più ipersensibili ed inclini a limitare lo sviluppo delle stesse nei territori, ad esempio considerando anche le loro aree di cernita o di stoccaggio del finito in classe di impatto A. E fu appunto degli inizi anni novanta, in un contesto che da sempre vive di un singolare individualismo, forse l’unica iniziativa corporativa di un gruppo di aziende della zona (appunto denominata Associazione Produttori Guarnizioni), volta a raccogliere indicazioni per migliorare il rapporto tra produzione ed ambiente, quindi dimostrare la propria integrazione sul territorio non soltanto per la positiva influenza verso il tessuto socio-economico, ma anche per la sostenibilità dell’impatto ambientale. Ad oggi diverse imprese hanno raggiunto la certificazione ISO 14000 e lavorano in ambito EMAS per migliorare globalmente, in parallelo con le organizzazioni del lavoro, le condizioni di lavoro al proprio interno. Nuovi spazi. L’eccezionale evoluzione delle imprese è stata favorita, in una terra come la bergamasca che fa dei legami familiari un valore fondamentale, dalla coesione delle famiglie stesse intorno alla figura, a volte carismatica , dell’imprenditore. L’organigramma aziendale spesso prevede un percorso di crescita per le nuove generazioni: questo è indubbiamente un punto di forza per l’impresa, ma è insieme una delle ragioni di quell’individualismo che ancora non lascia spazi a forme diverse di collaborazione fra le aziende. Collaborazione che potrebbe favorire sinergie o forme di aggregazione in grado di rafforzarle e permettere loro affrontare la globalizzazione e le nuove sfide dei mercati. La figura dell’imprenditore, su cui si accentrano spesso tutti i poteri decisionali, è tuttora “monolitica” e, di conseguenza, in queste aziende a spiccato carattere familiare, vi è ancora poca propensione a delegare e favorire la crescita di una managerialità in grado di gestire rapide evoluzioni e significativi cambiamenti. Ne risente ovviamente anche la possibilità di dare vita ad una vera formazione di base di figure professionali interessate ad operare e rimanere nel settore. Lo spirito imprenditoriale, trasmesso anche alle seconde generazioni, ha comunque finora sopperito in modo dinamico ai pericoli di questo particolare individualismo: le maggiori aziende hanno costituito commerciali estere in paesi chiave come Stati Uniti e Cina, oppure delocalizzato alcune produzioni in paesi emergenti dell’area europea orientale, per seguire il continuo spostamento dei grandi gruppi automobilistici o dell’elettrodomestico (in questo seguite anche da alcuni produttori di mescola). Consolidata la qualità e competitività dei propri prodotti, molte aziende, e non solo le più importanti, hanno esteso il proprio mercato e migliorato la propria risonanza in ambito mondiale anche attraverso la partecipazione ad eventi internazionali, fiere ed expo. Nonostante il livello di eccellenza a loro attribuito in sede internazionale, a mio avviso, continuano a non godere di adeguata considerazione nel contesto istituzionale e politico locale: ancora elevati sono i costi indotti dalla burocrazia e dalla scarsità di infrastrutture che gravano sulle aziende del settore, insieme ad una storica diffidenza ed ostruzionismo dei comuni. E’ di buon auspicio la presenza nel Consiglio Direttivo dell’Unione Industriali della Provincia di Bergamo di un giovane imprenditore “di seconda generazione” appartenente ad una delle famiglie storiche del comparto: c’è da augurarsi che proprio attraverso una maggiore partecipazione alla vita associativa, e forse anche politica, si possano garantire al comparto quelle risorse ed opportunità di crescita indispensabili per gareggiare ad armi pari con la concorrenza proveniente dai paesi emergenti e fronteggiare le flessioni cicliche del mercato. Flessioni di mercato, crisi appunto: ne stiamo vivendo in questi mesi una completamente anomala: improvvisamente in quasi tutte le aziende del settore, dalle sei-otto settimane di “carico di produzione”, si arriva a due, poi ad una sola, poi alla necessità di produrre per scorta di magazzino, in attesa di che i clienti riattivino gli ordini dei programmi annullati ad ottobre, novembre e dicembre scorsi. Qualche ditta, anche tra le più importanti, ha già fatto ricorso alla CIG: non è mai successo in cinquant’anni di storia del comparto! Questa volta non è una delle solite striscianti, e tutto sommato modeste, crisi di settore. E’ tutto il comparto industriale che ha frenato e, con i mercati finanziari, tutta l’economia di questo mondo! Che sia una situazione contingente, e destinata ad assumere contorni molto meno preoccupanti, ce lo diciamo tutti con un certo solidale ottimismo; ma crisi rimane, e può rallentare qualche futuro progetto e qualche necessario investimento. E’ come se fosse passato qualcuno a spegnere anzitempo la luce a chi sta terminando di robotizzare l’isola di stampaggio ideale, quella che lavora 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, capace di risorvergli ogni problema di competitività.