Storie da due emisferi differenti
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Storie da due emisferi differenti
STORIE DA DUE EMISFERI DIFFERENTI Sisu 1 Aggiornamento storiografico La guerra non ci fu: sebbene la Cina e gli Stati Uniti avessero già mobilitato i loro contingenti armati sul confine in Europa, tutti sapevano che non si sarebbe mai giunti ad un conflitto aperto. I soldati cinesi e quelli americani si sarebbero guardati un po’ più da vicino, ma, a parte qualche insulto di troppo in lingue differenti, non sarebbe successo assolutamente nulla (se non, forse, l’allontanamento dai problemi di politica interna che sconvolgevano ambedue le nazioni). Tuttavia, qualcosa, in quella pratica ormai così nota da non spaventa e più quasi nessuno, andò storto. Ormai perfino i libri di scuola confermano l’ipotesi palese, quanto drammatica, che alla base del conflitto ci fu un semplice, banalissimo, disguido umano. Un bottone. E’ facile premere un bottone: forse un impiegato che sbadatamente aveva appoggiato la propria tazza sul posto sbagliato, forse una distrazione, una spinta da parte di uno sbadato, forse un semplice congegno difettoso, o forse un’azione premeditata da parte di uno di quei 2 fanatici interventisti, fatto sta che dalla base missilistica di Pearl Harbour partirono due piccole testate nucleari che distrussero gli ultimi resti di quella che fu la grandiosa muraglia cinese. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Erano infatti almeno due secoli che i Cinesi meditavano se staccarsi o meno dal globo terrestre, e, con questo atto, la risposta fu inevitabile. La Cina mandò un ultimatum all’America e ad i suoi protettorati: 24 ore per tutti i terrestri per scegliere in che parte del globo vivere, poi la Cina avrebbe fatto esplodere la bomba zeta nel tombino di Danzica (un buco abbastanza profondo da raggiungere quasi il centro della terra). Da lì l’Europa sarebbe stata distrutta totalmente, e poi…. ognuno per conto suo, l’America con gli Americani, e la Cina con i Cinesi… e poi basta! Niente più traffici, scambi di idee, di merci o di opinioni, men che meno di filosofie o religioni! Che gli Stati Uniti si tenessero pure le loro pseudo-razionaleggianti, che cercavano ancora di dare un’interpretazione deterministica del 3 mondo dopo più di duecento anni dalla scoperta del Principio di Indeterminazione di Heisenberg , che se le tenessero pure, quelle loro filosofie di derivazione europea, si tenessero i loro Descart, Schopenhauer od i loro Kant… e che non cercassero più di praticare lo Zen o il Kung-Fu, infangandoli. Che si tenessero quei panini molli ripieni di cadaveri di mucca o di topo, si tenessero quelle patatine intrise nell’olio verde, che si affogassero da soli in enormi piscine ripiene di quell’odioso e vischioso ketchup, che decidessero pure di vivere in quelle orride metropoli nauseanti, ossessionati dalle carte Visa o MasterCard, o dal conto in banca, che si vendessero pure la propria vita per un tozzo di pane, ma che non venissero più a chiedere che lo facessero loro. Che si tenessero le loro ipocrisie, le loro contraddizioni e che non provassero mai più ad esportarle! Così urlava rabbiosamente il presidente cinese girando attorno al bottone per l’azionamento della bomba zeta. 4 Gli Americani, dapprima, reagirono in modo polemico sostenendo che non era giusto nei confronti degli Europei e nemmeno nei confronti degli Africani, infine ammisero che, per quel poco che rimaneva dell’Europa quanto dell’Africa, tanto valeva distruggerle, e decisero di non interferire nei progetti cinesi. Così, diffusero il comunicato. Passate le ventiquattro ore, il presidente cinese non aspettò un secondo di più, il dito si appoggiò sul pulsante, lasciandolo scivolare giù. Uno scatto e la terra si separò in due emisferi: una metà da una parte, una metà dall’altra, separati da un centinaio di chilometri l’una da l’altra. Cento chilometri di vuoto assoluto, interrotto solo da fili di lava che si stava solidificando, improbabili passerelle tra i due emisferi, come fili di formaggio che uniscono due pezzi di pizza. “Già, ci mancherà la loro pizza”, pensò il presidente cinese subito dopo aver staccato la mano dal pulsante. Le due metà di mondo proseguirono così su due strade differenti, come se fossero su due binari paralleli, uniti solo da sottilissime asticelle di legno. Ben presto comunicare divenne impossibile , 5 poiché le due frontiere erano controllate regolarmente da sofisticate apparecchiature radar. Solo una stazione clandestina in una città dell’Antartide, Sisira (emisfero orientale), riusciva a rendere possibili comunicazioni in gran segreto. Coloro che gestivano le comunicazioni erano contrabbandieri di piccolo taglio il cui losco traffico tra i due mondi veniva gestito dal leggendario Smokiza, il più noto contrabbandiere di tutti i tempi. Era così stimato perfino dai Razionalizzanti della frontiera, che tutti erano sicuri che, se anche una volta fosse stato beccato da uno di loro, questi lo avrebbe lasciato andare, oppure lo avrebbe incarcerato sotto altro nome per non infangare la sua incredibile reputazione. Erano anni però che Smokiza sosteneva di voler finire la vita del contrabbandiere per ritirarsi in un qualche meraviglioso e caldo posto dell’emisfero. Tuttavia, sebbene queste dichiarazioni continuassero ormai da diversi anni, Smokiza andava avanti coi suoi traffici (anche se sempre più saltuari) senza che nessuno ne sapesse la causa. Forse la causa di questa 6 prolungata permanenza era semplicemente il fatto che cambiare vita per un uomo è sempre un’impresa difficile, e lo è ancora di più per chi ha avuto una vita straordinaria ed ammirata come quella che aveva avuto Smokiz. Comunque, a parte saltuarie comunicazioni, i due emisferi continuarono il loro cammino isolati l’uno dall’altro e palesandosi piano piano per quello che erano: complementari! L’emisfero occidentale aveva continuato infatti il suo sfrenato sviluppo tecnologico, devastando gli ultimi parchi ambientali e costruendo su tutto l’emisfero occidentale, un’unica megalopoli: America City. America City nacque seguendo gli ideali che gli furono ispiratori: Razionalità, Equilibrio e Rettitudine morale. In opposizione ad America City, l’emisfero orientale rispose abbandonando sempre di più le conquiste tecnologiche. per progredire invece nel campo della consapevolezza umana e dell’interazione tra l’uomo ed il divino. Mentre un emisfero, inneggiando alla razionalità, era riuscito (almeno apparentemente) a creare una società perfetta, basata sui principi della Razionalità e dell’Equilibrio, l’emisfero orientale invece aveva lasciato sempre di più che la società si 7 frantumass,e finchè, dopo il “Grande Silenzio” non fu decisa l’elezione di un Imperatore che gestisse almeno vagamente i problemi terreni, mentre i sudditi potevano tranquillamente percorrere il loro lunghissimo viaggio interiore. Dopo queste delucidazioni, si può ben capire cosa portassero i contrabbandieri di Sisira: essi trasportavano piante ed animali (ormai anch’essi completamente estinti nell’emisfero occidentale) da oriente ad occidente, in cambio di computer autocaricanti, pile atomiche, ed altri strumenti tecnologici che potevano essere utili nell’emisfero orientale,che certo non aveva le competenze necessarie a costruirli. 8 RACCONTI DALL’EMISFERO ORIENTALE MAUDIT “… Potreste voi nel vostro viaggio, capitare nel deserto occidentale: il deserto dei Gobi. Questa landa di ventura, rifugio di ladri, banditi, tempio della distruzione razionale, della prostituzione, della violenza, del degrado… Vedreste, persa nel deserto, Maudit. La vedreste comparire così, all’orizzonte, dietro una folata di vento torrido che solleva la sabbia. La vedreste comparire così nel nulla e vi ci avvicinereste per cercare un riparo dal sole accecante e per cercare conforto per le vostre labbra che bruciano. Cerchereste conforto per i vostri piedi affaticati e per la vostra gola arida. 9 Entrereste nella città e vedreste un bailamme di uomini e donne, ammucchiati tra di loro, li uni sopra li altri, sporchi di sabbia e fradici di sudore, per terra. Ne vedreste alcuni nudi, boccheggianti, sotto l’effetto di droghe sempre più potenti, capaci di bruciarvi tutto il cervello e portarvi per sempre a vivere in un’altra dimensione, piena di torrenti d’acqua e rigogliose valli. Una pasticca e basta, per volare via verso l’infinito. A volte ne arrivano anche di più raffinate e costose, che potrebbero portarvi ad un concerto di musica classica, dove sareste voi a dirigere il coro della nona di Beethoven, oppure in una cattedrale gotica, a sentire le requiem di Berliotz, al fresco, al riparo dal sole. E mentre la vostra mente è via, il vostro corpo rimarrebbe inerme a marcire e ad ustionarsi al sole, vittima dei desideri sessuali di qualsiasi pervertito. Ma tanto, niente vi importerebbe più, visto che il cervello se ne è andato per sempre da qualche altra parte… 10 La popolazione di Maudit vive comunque di stenti: l’acqua è poca e viene pagata in grammi di Devil’s Dream. La Devil’s Dream è l’unica pianta che vive da quelle parti: è una pianta grassa, tozza, di modeste dimensioni ma, soprattutto, è mimetica. E’ quasi invisibile ad occhio nudo , ma non al tatto, perché è spinosa ed i suoi aculei si conficcano facilmente nella pelle. I raccoglitori di Devil’s Dream, infatti, si rotolano per terra, confidando che gli aculei si conficchino nella pelle e la pianta si sradichi da sola (poiché, strano a dirsi, le sue radici sono superficiali e poco resistenti). A volte però, le radici sono troppo profonde e i Devil’s Dreamers ( i raccoglitori) sono costretti a staccarla con le dita, pungendosele (per questo si possono facilmente riconoscere i Devil’s Dreamers dal pollice e l’indice disfatti dalle migliaia di cicatrici). La Devil’s Dream è una pianta allucinogena di scarsa fattura, chiamata così perché è 11 attiva esclusivamente nel sonno, rendendo i sogni estremamente reali e vividi. Si narra che i primi a scoprire la Devil’s Dream furono dei monaci che, sperduti nel deserto da centinaia di giorni, decisero di lasciarsi morire lì. Quando uno dei due si sdraiò, fu punto dalla Devil’s Dream attraverso il sottile saio. I due monaci si resero finalmente conto di camminare da ore attorno a quelle piante che ad occhio nudo non riuscivano a vedere e, ringraziando il Divino per la sua misericordia, si misero a mangiare quante più piante riuscissero a localizzare. I due monaci si rifocillarono a sazietà, ma, non appena fu calata la notte, la pianta fece il suo effetto: uno dei due monaci (il più sereno) fece, a suo dire, il sogno più bello e reale mai visto. Il primo disse, infatti, di aver incontrato finalmente Dio e, appena sveglio, mentre l’altro stava ancora dormendo, si mise subito a pregare il Lode al Signore. L’altro invece si agitava per terra, dapprima 12 borbottando, poi gridando e gridando: “Il Diavolo! Il Diavolo” . Il primo monaco si spaventò e cercò di svegliarlo, ma troppo tardi: il secondo monaco era morto di infarto, tanto era convinto di trovarsi di fronte al Diavolo. Da quel momento la Devil’s Dream divenne una prova divina di fede, con la quale ogni giovane monaco doveva cimentarsi, prima di essere totalmente accettato nell’ordine. Infatti, ogni anno, una ventina di giovani monaci, provenienti dalle catene montuose, si recavano a Maudit, per scambiare la Devil’s Dream con acqua, cibo ed a volte ( quando camminavano veloci) perfino con piccole quantità di ghiaccio conservate in piccoli contenitori termici. (il valore del giacchio veniva considerato fino a due volte maggiore di quello dell’acqua). L’entrata dei monaci nel simulacro della dissoluzione, appariva agli occhi di un qualsiasi turista come una scena dalla sottile ed amara comicità. Questi giovani monaci, infatti, camminavano 13 arrossendo, a sguardo chino, emaciati, cercando di non farsi vedere, mentre lanciavano indiscreti e curiosi sguardi alle orge accanto a loro. Cercavano di non sentire gli inviti alla lussuria di puttane ustionate che volevano divertirsi, ed abbassavano ulteriormente lo sguardo alle offerte di nuovi mondi. Tutti rossi in viso, per la vergogna ed il caldo, essi si dirigevano, sempre lentamente, verso la sede dello scambio. In passato era un maschio a dirigere lo scambio, a misurare l’acqua, a controllare il ghiaccio e a valutare il cibo, poi gli abitanti di Maudit avevano deciso, per puro divertimento, di lasciare che fosse la più bella, eccitante e migliore amatrice della città a concludere l’affare. La ragazza si strusciava sulle carni del monaco, eccitandolo, provocandolo e così facevano altre con tutti gli altri monaci. Gli uomini di Maudit, invece, si divertivano scommettendo Devil’s Dream (o a volte perfino acqua) sulla fede di un monaco o su quella di un altro. 14 Mediamente, infatti, la fede di tre o quattro monaci veniva sopraffatta dal richiamo della lussuria ed essi decidevano di abbandonare la vita ecclesiastica ed unirsi per sempre alla vita dei “maledetti”, e l’abilità dello scommettitore stava nello scoprire quali . Capitava, poi, che qualche monaco riconoscesse nella folla un compagno che credeva morto. Questi, allora, chinava lo sguardo, come se il pudore gli fosse ritornato improvvisamente in corpo, costringendolo a coprire la sua nudità e, molto spesso, anche un’erezione. Poi i monaci se ne andavano via, carichi di Devil’s Dream, proprio come erano venuti: rossi, con il capo chino. Qualche monaco pensava, a volte, quando era solo e sdraiato nella sua fredda cella sulle montagne, lontana dal mondo, che non fosse la Devil’s Dream la vera prova di rigore morale nella quale il giovane si doveva cimentare, bensì l’acquisto di essa in quell’ incredibile ed affascinante, quanto triste e ributtante 15 città, chiamata Maudit. Dicevo, appunto, che potreste un giorno, nel vostro lunghissimo cammino verso l’Antartide, imbattervi nella città di Maudit, potreste entrare sotto la volta che ospitò santi e disperati, potreste vedere le carni degli uomini e delle donne contorte, aggrovigliate fra loro come in un unico nodo, godere in un unico gemito. Potreste unirvi a loro in quel vortice di lussuria, potreste lasciarvi risucchiare finché la vostra linfa vitale non andasse per sempre prosciugata, potreste comprare, per pochi bicchieri d’acqua, grosse quantità di Devil’s Dream ed aspettare il dolce morire del sole per fuggire in fantastiche vallate od in crudeli rupi, oppure… Oppure potreste continuare il vostro viaggio solo per qualcosa, per qualcosa che non sapete nemmeno voi, ma che vi chiama, da lontano e vi infiamma il cuore. Potreste andare via, lasciandovi la città alle spalle, con la faccia verso il vuoto deserto, verso nuove venture, verso nuovi e 16 meravigliosi luoghi, nuovamente verso la vita, o verso la morte, od entrambe, forse. Potreste continuare l’incredibile percorso della vostra vita, poiché voi sapete che la staticità è l’unica morte e voi non potete morire fintantoché il vostro sacchetto è ancora pieno…” MUSASHI Il treno correva inarrestabile lungo i binari infiniti, verso il sole che spariva all'orizzonte, attraverso le vallate verdi e le aspre montagne dalle cime innevate, liscio ed inarrestabile il treno correva, verso una meta ignota, come un viandante deciso nel suo percorso, senza remore, senza mai voltarsi indietro a gettare uno sguardo, senza rallentare di un passo, senza mai chiudere gli occhi, senza mai interrompere il respiro. Musashi era silenzioso nel suo chimono e guardava, di fronte a sé, il mondo che passava accanto a lui senza sfiorarlo, senza che si curasse minimamente di cogliere, in quel mare di oggetti e visioni, 17 la figura di un abete, di un cervo, di un cacciatore, di una casa, di una baita o di altro. No, non importava, lui aveva già chiuso nel suo cuore tutto quello di cui aveva bisogno. Musashi stava percorrendo quello che il suo maestro, Tamerlano, aveva definito il viaggio di Yatu. Tamerlano! Subito gli saltò in mente l' aria chiusa e calda dello studio di Tamerlano. E i libri, i codici con i quali si circondava, quei libri ormai scomparsi dal mondo, nei quali leggeva ogni giorno e nei quali scriveva con la sua penna ed il suo inchiostro, strumenti ormai ignoti agli uomini orientali... Subito gli saltarono in mente i suoi occhi azzurri come quelli di un bambino, immuni dall'opaco velo della vecchiaia, le mani secche e nodose con quel semplice anello d'argento nel quale era incastonata una pietra azzurra come il mare delle barriere coralline; gli saltarono in mente il suo naso lungo, i capelli bianchi, lunghi, pieni di nodi e mal curati, la 18 barba lunga e sottile, i due folti baffi e la sua voce, calda, che si mischiava omogeneamente al profumo del tabacco della sua pipa, come se essa stessa avesse un odore o l'odore stesso della sua pipa avesse un suono, il suono della saggezza. Quando Tamerlano gli parlava era come se Musashi potesse avere di fronte a sè tutto il sapere del mondo, milioni di vite che avevano guardato lo stesso sole e respirato la stessa aria che lui stava guardando e respirando, come se il passato si stesse unendo al presente ed il tempo al non-tempo ed il finito all'infinito. “Musashi,” gli aveva detto Tamerlano quando aveva saputo della sua partenza “ tu non stai solo andando a combattere, tu non stai andando solo per essere eletto, dall’Imperatore, suo consigliere. Forse gli altri lo staranno facendo, ma tu no. Tu stai ripercorrendo il viaggio di Yatu. Yatu era un uomo di tempi antichi, immemorabili, che vide il mondo e le sue brutture, che vide gli errori degli uomini e dei Consiglieri, che vide la fame, dentro 19 Pechino, che vide l’Imperatore ridotto in carne morta, che vide il Palazzo Imperiale cadere a pezzi, e seppe di essere stato chiamato a porvi rimedio. E fu allora che egli fece un lunghissimo viaggio in treno ( come tu farai ) sapendo… Fece un lunghissimo viaggio in treno sapendo di andare a combattere alla Città Imperiale; fece un lunghissimo viaggio in treno sapendo che il suo destino sarebbe stato vincere e risollevare poi le sorti dello stato. Il viaggio di Yatu è il viaggio di chi sa già di dover cambiare il mondo, di chi conosce il proprio destino, ma prima di urlarlo, aspetta, in silenzio, per un lunghissimo viaggio in treno…” Musashi sentì il corpo pervaso da una sorta di nuova energia come da un'ondata elettrizzante, come una diga che non riesce più a tenere la forza impetuosa del mare eppure resiste, ma nulla traspariva dal suo sguardo, imperscrutabile, dritto verso l'orizzonte. D'altronde, Musashi era così. 20 Era così quando si alzava all'alba e andava in riva al lago per allenarsi, quando ancora tutte le piante respirano con il respiro profondo del sonno, quando la nebbia comincia a diradarsi sotto i primi raggi solari e l'acqua gelida comincia a tingersi di rosa, quando gocce di rugiada scivolano sul muschio selvatico, quando le perle di vetro sospese sulle ragnatele riflettono la prima luce solare. Era così quando un orso gli si avvicinava ed era così anche quando doveva affrontare uno o più ksatriya nel folto della foresta. Il suo sguardo era sempre volto verso la frammentata linea dell'orizzonte dove volge il futuro, e possedeva una tale profondità che vi si poteva intravedere la forza dell’infinito. Gli ksatriya erano per lo più figli di guerrieri, figli o nipoti di soldati dispersi nell'ultimo conflitto. Quando il mondo improvvisamente si separò in due, gran parte delle comunicazioni andarono perse ed i contingenti spediti dal governo Cinese, al confine, non seppero mai né 21 della fine della guerra, né della separazione della terra in due emisferi. Nessuno riuscì mai ad avvertirli ed essi continuarono per decenni a combattere, a difendere avamposti, a tendere trappole nelle foreste disabitate. Ben presto, divennero espertissimi nel mimetismo, insuperabili nella guerriglia e nel tendere trappole; erano di una ferocia incredibile verso i nemici e potevano vivere per anni strisciando nella mota e rosicchiando radici selvatiche. Queste tribù vivevano ormai da decenni nelle più fitte foreste di tutto il mondo, staccati gli uni dagli altri, ma fedeli alla patria Cina in guerra con gli Americani. Molti di loro probabilmente erano evasi da alcuni campi di sterminio europei: infatti, fece notare un antropologo che riuscì per un breve tempo a studiarli prima di essere ucciso, le loro storie, che si raccontavano le sere di quiete attorno al fuoco, erano orribili storie sulla prigionia e sulle torture inflitte a prigionieri per costringerli a parlare. Era forse per questo che impedivano a 22 qualsiasi uomo estraneo di avvicinarsi ad uno qualsiasi dei loro avamposti. Ed era forse per questo che avevano paura ad arrendersi, anche quando gli veniva detto che la guerra era finita. A volte Musashi se ne ritrovava qualcuno di fronte, che magari l’aveva pedinato da ore passando da un tronco all’altro, senza provocare il minimo rumore, ed adattandosi alla forma ed al colore del terreno o della corteccia come un camaleonte. Si accorgeva della sua presenza solo quando poteva sentire il suo respiro: allora non si scomponeva e lo guardava con quei suoi occhi, quegli occhi con i quali avrebbe potuto gettare nella disperazione più nera il più forte dei forti, quegli occhi che non avrebbero fatto dormire il più crudele dei crudeli. E quando lo aveva guardato così, lo ksatriya gli soffiava sugli occhi: quando Musashi li riapriva, egli era scomparso per sempre. Musashi portava quel nome perché così lo aveva chiamato Tamerlano il mago. Infatti era stato lui a trovarlo, da giovane, 23 e ad insegnargli l’uso della parola. Lo trovò un giorno, uno dei primi giorni estivi in cui il sole risplende sull’erba ancora verde al limitare della foresta, vicino al grande masso su cui Tamerlano usava meditare. Lo vide là, che danzava una danza sconosciuta, al suono di una melodia impalpabile che Tamerlano non poteva sentire. Danzava o combatteva? Tamerlano non seppe dirlo, poiché quei movimenti sembravano mosse di un’ arte marziale, tuttavia la fluidità e la leggerezza con cui venivano eseguite sembravano proprie di una danza. Tamerlano non seppe mai di chi fosse figlio Musashi, e forse non lo seppe mai nemmeno Musashi: egli sembrava invece una produzione spontanea della foresta, come un elfo senza età. Quando Tamerlano vide la grande forza combattente del ragazzo, non ebbe dubbi: il suo nome sarebbe stato Musashi, in onore del guerriero giapponese. Ben presto Tamerlano rimase affascinato da quel ragazzo, da quei suoi occhi neri e dalla loro forza 24 espressiva, tanto che, quando arrivò il Bando nella città vicina, decise che Musashi doveva parteciparvi. Quello, infatti, era l’unico modo per salvare quell’ emisfero, per farlo ritornare sulla retta via: Musashi doveva diventare consigliere dell’Imperatore. E, adesso, Musashi era su quel treno, diretto verso il confine tra cielo e terra, con un compito da portare a termine ed il destino sulle sue spalle. Era diretto verso la città imperiale, era diretto verso la guerra, verso la vita o la morte. LE MONTAGNE INNEVATE “…Continuate, continuate pure il vostro viaggio verso la fine del mondo, attraverso il deserto, troverete poi le montagne, luogo di monaci e di preghiera, dove ancestrali tradizioni aprono la via dell’anima verso l’infinita conoscenza. Chiedete pure ai monaci di aprire la vostra anima ai più profondi segreti della 25 consapevolezza, chiedete pure loro di aprirvi la mente. Coloro potranno farvi salire fin sopra il monte innevato, fino alla sua cima d’argento. In cima al monte innevato, esiste, infatti, un tubo d’argento, lunghissimo. Colui che si vuole buttare là dentro, avrà l’impressione di cadere per sempre, per un’eternità. Egli avrà l’impressione di sprofondare nel vuoto per tempo immemorabile . Poi, quel precipitare, che gli era sembrato eterno, finirà ed egli raggiungerà una piccola valle nascosta dentro il monte: una piccola valle piena solo di cristalli, diamanti e cocci di vetro. Questo è un paradiso in cui si narra siano contenute tutte le anime degli uomini. Ciascun minerale è un anima. Un diamante è per un animo nobile. Un coccio di vetro, per colui che ha passato la propria vita a compiangere se stesso. Forse, attraverso la trasparenza del vetro, quell’anima potrà spostare la sua attenzione sugli altri e compiangere 26 un po’ anche loro. Un cristallo per ogni ladro o assassino: la loro voglia di reagire alla propria condizione era buona, ma sbagliata era la via. Il loro è un cristallo grezzo che non sarà mai lavorato. Cristalli di zucchero, per addolcire la vita amara di coloro che, pur lottando con tutte le loro forze, non sono mai riusciti a vedere i loro sogni realizzarsi. Un granello di sale per tutti coloro che hanno avuto una vita piatta e scipita. Un raggio di luce per i bambini morti che non hanno avuto ancora il tempo di peccare. E tutte queste anime riposano dentro la montagna innevata Sopra di esse, si può rotolare, giocare, le si possono baciare, si possono abbracciare, si possono piangere, oppure si può semplicemente aspettare in silenzio di diventare una di loro: un cristallo tra miliardi, alla fine di una lunga caduta nella montagna innevata. Ma voi non potete, non potete ancora. Lasciate pure, se voi volete, che i monaci 27 vi portino verso l’eterea pietra di cui è fatto il sigillo che sarà vostro, lasciate pure che quel blu intenso vi penetri negli occhi e vi conduca, per qualche ora, nelle valli infinite della conoscenza, ma state attenti: essa è pericolosa. Attorno a questa pietra meditano decine e decine di monaci, che si lasciano morire lentamente. La conoscenza è uno stato dal quale è difficile poter tornare indietro, ma voi dovete farlo. Dovete farlo. Quindi, lasciate pure che i monaci vi insegnino tutto ciò che vi possono dare, ma continuate il vostro viaggio, se esso non è ancora finito, poiché forse non siete ancora pronto, poiché ancora non vi siete liberato da tutte le corde terrene che vi legano a questa esistenza. Mi raccomando, continuate il vostro viaggio finchè il sacchetto è ancora pieno…” 28 YIN ZHEN (aghi d’argento) Pechino in quei giorni era in subbuglio: i mercanti erano in festa, i treni erano arrivati, e gli aspiranti pure. Ce n’ erano migliaia, che venivano da ogni parte dell’emisfero. Chi veniva dalle valli dell’akasa, chi dalle montagne innevate, chi dalle città sottomarine, chi dalle palafitte sulle risaie: tutti per rispondere al bando, tutti per diventare consiglieri dell’Imperatore. Tutti per rispondere al bando, sì, ma l’indomani. Quella sera invece… quella era la sera delle evasioni! Quella era la sera della baldoria! Questa è La Notte! L’ultima notte! Né monache, né bigotte: oggi esplode la vita, come aria contrita, che era repressa, guardate che ressa, 29 a bere e a fumare, ballare e scopare, la musica si è scatenata, e vola, fatata, attorno alla gente, avviluppando la mente, inebriando il cervello, scoppia tutta in un ballo, voluttuoso e sensuale, ringhioso ed animale, ora lento ora violento, ora veloce, ora feroce! E’ questa la notte è questa la notte, della fuga di ogni servitore! E’ questa la notte: la notte dell’Imperatore! L’Imperatore lo avevano visto in pochi. Viveva laggiù, nel suo palazzo, chiuso in quelle quattro mura dorate, con le sue 30 concubine; qualcuno credeva, perfino, che fosse morto qualche anno addietro. Le porte del Cielo si aprivano infatti solo una volta all’anno: subito dopo la raccolta dello Yin Zhen. Lo Yin Zhen era un tè il cui segreto era stato tramandato da generazione in generazione. Era un tè bianco, il più raffinato dei tè bianchi, proveniente da una raccolta imperiale, che veniva raccolto solo un giorno l’anno, all’alba. Originariamente esso poteva essere raccolto durante le albe di due giorni, nell’arco di un anno, ma il vecchio maestro, che poi si incaricò di trasmettere ai suoi successori le procedure per la raccolta, soffriva di tremende amnesie e quindi non riusciva più a ricordarsi come si calcolasse questo secondo giorno. Decise così di insabbiare la faccenda sostenendo ripetutamente che il tè poteva essere raccolto solo un giorno l’anno, all’alba. Quando lo Yin Zhen era stato appena colto, l’Imperatore ne assaggiava, in totale silenzio, una tazza sapientemente 31 preparata dal suo cuoco di fiducia (rigorosamente della valle dell’akasa). Se il tè era degno del palato regale, allora l’Imperatore emetteva il bando. Il bando era rivolto a tutti. Richiedeva ogni anno la stessa cosa: Un uomo valoroso, di indubbie capacità fisiche, di indubbia rettitudine morale e di incontestabile fede nei confronti dell’Imperatore, è richiesto per trasportare un sacco di Yin Zhen dalla capitale (Pechino) alla cittadina di Sisira e di riportare, da essa, ciò che gli verrà consegnato. Colui che porterà a termine la missione diventerà consigliere dell’Imperatore per sette anni. 32 La scelta del valoroso eroe verrà eseguita dall’ultimo consigliere dell’Imperatore. Questo era il bando, e la scelta avveniva proprio sotto la porta principale del palazzo imperiale: la porta del cielo. Quaggiù, per cinque giorni, gli uomini si sfidavano con lotte, duelli, sfide, a volte mortali, picchiandosi, uccidendosi tra di loro. Questa lunga sfida ininterrotta appariva, adi occhi esterni, come una massacrante guerra nel centro di Pechino. Nessuno si avvicinava ai luoghi dei combattimenti finché il sole non fosse tramontato per la quinta volta. Il sangue schizzava ovunque, imbrattando i guerrieri. Combattenti stroncati al suolo, con le gambe doloranti, boccheggiavano, sanguinavano con la faccia a contatto sulla terra; qualcuno si era ritirato nei cinque giorni di massacro, qualcuno vi era morto, qualcuno aveva aspettato in silenzio, facendo finta di essere morto, che la 33 porta del cielo si aprisse per poi alzarsi ed entrarvi. Era in quella bolgia infernale che Musashi si ritrovò, guardando il sangue che gli macchiava il kimono, cercando di difendersi dagli attacchi avversari. Musashi si difendeva prontamente, e ogni volta che riusciva a parare un colpo, spezzava un dito del piede all’avversario. Bisogna sapere infatti, che quando (dopo cinque giorni e quattro notti di lotta continua) le porte del cielo si sarebbero aperte, solo coloro che erano rimasti perfettamente integri, fisicamente perfetti, potevano entrare. Bastava quindi rompere un dito del piede, per eliminare l’avversario. Ma evidentemente non tutti la pensavano così: la terra era quasi interamente coperta dai corpi dei combattenti, caduti, o uccisi. Non c’era momento in cui non si sentissero gemiti, urla, a volte lamenti di chi non riusciva a trascinarsi fuori dalla battaglia. Il sangue scorreva, si coagulava, unendo ciocche di capelli: fetidi odori e miasmi 34 di morte si levavano dai corpi infetti e putrefatti, tutto sembrava distruzione e morte. Distruzione e morte. Alcuni, poi, non combattevano. Si rintanavano invece sotto i cadaveri, fingendosi morti anch’essi, aspettando che la battaglia finisse, anche se non sempre ci riuscivano. Infatti, dalle torri del castello, centinaia di cerbottane sparavano aghi argentati sugli sfidanti abbattuti. Aghi trafiggevano bocche, gole, occhi. orecchie, ché nessuno potesse scampare. E, chi scampava e veniva sorpreso dai combattenti , e identificato come uno zombie, veniva da essi torturato crudelmente. Ci fu un momento in cui Musashi cadde davanti ad uno zombie, sopra alcuni cadaveri.. Vide i suoi occhi aperti, mentre si rintanava sotto un corpo. Vide le sue pupille, tremanti di paura. Il sangue del morto gli gocciolava sulla 35 fronte. Lesse il suo terrore. Vide la sua faccia. Impaurita. Una perla di sudore. Sulla. Fronte. La battaglia. Sembrava. Lontana. Come un’eco distante. Un attimo che può. Valere. Una. Vita. Musashi si alzò di scatto e gli stroncò il dito di un piede, poi corse via, con i piedi che affondavano tra i corpi, attento a non pestare gli aghi d’argento. LA VALLE DELL’AKASA “…sicuramente vi troverete, poi, a camminare nelle foreste di Aranya nella valle dell’Akasa ed è possibile che vi imbattiate in uno yogalbero. Gli yogalberi 36 sono santoni secolari risalenti al “Grande Silenzio”. Voi forse non sapete cosa sia il “Grande Silenzio”. Esso fu iniziato da un santone indiano (Mahatma Tapasvin) il quale invitò, ormai cento anni or sono, tutta la popolazione di Est-Earth ad un’enorme meditazione di massa. Alle ore 8 del 21 Marzo tutta la popolazione di Est-Earth si ritirò mentalmente in se stessa, in meditazione. La meditazione era stata originariamente programmata per durare esclusivamente quindici minuti, ma almeno la metà degli abitanti fu travolta incredibilmente nel vortice meditativo senza che potesse più uscirne. A nulla valsero le grida, gli spintoni, i secchi d’acqua: non potevano essere svegliati e si lasciarono morire lentamente di fame. Quello stesso giorno successe una cosa ancora più sconvolgente: una centrale nucleare (rimasta incustodita durante l’esperimento) entrò in stato d’allarme emanando radiazioni incontrollate. Queste radiazioni investirono la vicina 37 foresta in cui si erano riuniti degli yoga per meditare nella foresta durante i quindici minuti del “Grande Silenzio”. Purtroppo l’enorme quantità di onde alfa emesse dagli uomini di tutto l’emisfero, gettò anche loro nell’eterno silenzio, impedendogli di rendersi conto del disastro nucleare dovuto alle radiazioni. Le radiazioni li investirono dolcemente, senza turbarli. Circa qualche anno più tardi, Boris Yoshimoto (anch’egli un corriere) li ritrovò nella foresta così come erano rimasti tutto quel tempo: immobili, con delle strane deformazioni agli arti che, come una sorta di radici, penetravano fin dentro la terra. I loro capelli erano diventati verdi e tutto faceva pensare che avessero sviluppato la possibilità di produrre clorofilla. Gli yogalberi sono ancora lì, nel loro infinito sonno, ma a volte può capitare che uno di essi si risvegli improvvisamente dalla sua meditazione e si scopra imprigionato a vita in una corteccia, ed allora cominci a gridare 38 aiuto, a piangere, a strepitare, a cercare di muoversi senza riuscirci. Quando e se dovesse succedere una cosa del genere, l’unica cosa da fare è convincere lo yogalbero a reimmergersi nella meditazione: solo questo può alleviare il suo dolore. Ma voi continuate a camminare nella valle, non vi fermate, continuate il vostro viaggio attraverso le valli dell’Akasa. L’Akasa si chiama così poiché di notte il colore dei suoi prati si confonde con il colore del cielo in un omogeneo blu luccicante sotto i raggi lunari. Nelle sue praterie abita il Karin. Il Karin è un animale assai strano, di quelli che non abitano più dalle nostre parti: assomiglia ad un elefante per la sua costituzione e ad un ghepardo per il colore del manto. Si dice che sia l’animale del Tao: egli solo infatti è riuscito a riunire gli opposti genetici dei suoi progenitori in un unico corpo. Il Karin è un animale grosso ed impacciato, goffo e con enormi occhi, la cui dolcezza non deve ingannarvi. 39 Di giorno, è un animale meditativo: infatti quando il sole si fa alto nelle praterie dell’Akasa ed il caldo si condensa, appesantendo ogni suo pensiero, decide di smettere di mangiare e si siede goffamente sotto un albero appoggiando la schiena al suo tronco (questo spiega il perché nella valle dell’Akasa la maggior parte degli alberi siano sbilenchi). Così, al riparo dal sole, egli si ritira in meditazione, almeno finché il sole non cali quel tanto che basta perché possa riprendere il suo pasto. Il karin mangia erba di giorno, ma non fatevi ingannare dal suo aspetto pacifico:: quando il sole cala e si fa sera, i geni del giaguaro riagguantano l’anima del karin, facendolo diventare subdolo e malvagio. E’ nel buio della notte che il karin dimostra tutta la sua malvagità, infatti si dirige verso il centro abitato, quando non c’è nessuno, e con passo felpato si nasconde tra le case e aspetta la sua preda. Aspetta pazientemente e, quando un 40 uomo esce di casa, lo rapisce e lo porta nelle praterie dell’Akasa, costringendolo a falciare, per tutta la notte, l’erba che il karin mangerà il giorno seguente. I karin, in questi luoghi, sono considerati animali sacri, per la loro carne divina, e nessuno torcerebbe loro un capello: sono invece loro che, giunti in prossimità d’esalare il loro ultimo respiro, si dirigono verso la città e si fanno uccidere perché gli uomini possano mangiarli Quando un Karin muore, avviene una grande festa e tutta la città si riunisce in un enorme banchetto (poiché vi è comunque tanta carne che potrebbe sfamare anche più di una città) e mentre le vergini danzano, eserciti di cuochi cucinano questo gigantesco animale su di un enorme spiedo, conservato attraverso generazioni. Lo spiedo (che sarà lungo una trentina di metri e spesso un paio) fu fabbricato, prima che la città sorgesse, da mille fabbri tra i più eccellenti della nazione al fine di cucinare un karin morto. Ci vollero quaranta giorni prima che lo 41 spiedo fosse pronto e, per questo motivo, quaranta giorni prima del giorno dell’ayas (anniversario dello spiedo) vi è un giorno di preghiera per ringraziare le braccia dei mille uomini che versarono sudore per la costruzione dello spiedo. Quando un karin muore, subito cinquecento persone (i kastha) vanno a raccogliere la legna necessaria alla cottura abbattendo gli alberi secolari che popolano la Aranya e mille cuochi preparano, in centinaia di piccole pentole, il brodo in cui va immersa la carne di karin per renderla ancora più deliziosa. I cuochi dell’Akasa sono di gran lunga i migliori cuochi dell’emisfero: perfino l’imperatore ne ha uno, che però è costretto ad assentarsi per una settimana ogni sei mesi, per partecipare ai preparativi. L’uomo più importante della città, laggiù nell’Akasa è l’agninarah ovvero colui che fa partire la scintilla. Costui è un vecchio saggio che vive digiunando e mangiando esclusivamente carne di karin fin dall’età di cinque anni 42 (ovvero quando sceglie di intraprendere la via dell’agninarah). Egli possiede una torcia , accesa, secondo la tradizione, grazie al fulmine divino. Il fuoco viene fatto vivere perennemente grazie alle continue cure nel tempio degli agninarah (sebbene si sospetti che un paio di volte la fiamma si sia spenta e che la fiamma odierna sia stata accesa con un volgare accendino). L’agninarah, insomma, accende la benzina che subito prende fuoco ed alimenta la legna. Con una vampata, il fuoco si accende, enorme come un incendio, sotto gli occhi dei bambini estasiati. Ma voi non dovete fermarvi: non assaggiate la carne di karin, perché, sappiate, che, una volta assaggiata, se ne è diventati succubi, e si è costretti a restare nella città, o a tornare ogni volta che muore un karin, perché non si potrà resistere di fronte alla possibilità di mangiarne . Potrebbero passare anche anni, ma appena saprete che accanto a voi vi è della carne di karin, non potrete resistere, farete qualsiasi cosa per averne 43 ancora. Io stesso, io stesso feci quell’errore e stavo per compromettere tutta la missione, la libertà del nostro emisfero…Adesso sono costretto a tenermi lontano dalla carne di karin, perché non saprei contenermi. Mi raccomando: non fermatevi in città per nessuna festa, non mangiate la carne che vi porgono, bensì proseguite il cammino, poiché il vostro sacchetto è ancora pieno…” PROVA DI FEDE Solo coloro il cui fisico era rimasto perfetto, immacolato, dopo i cinque giorni di battaglia, avevano il permesso di entrare nella porta del cielo, avevano la possibilità di lavarsi e di dormire un giorno ancora. Poi arrivava l’ultima scelta: la prova di fede. Musashi era lì, in coda, dietro ad altri duecento e davanti ad un altro centinaio. Era dentro il castello Imperiale, nel 44 giardino. Si era appena lavato, ed aveva lasciato che le carni, tese e disfatte per lo sforzo, si fossero riprese. Si era poi sparso il corpo di un particolare balsamo di una fattura così raffinata che ne possedeva solo il magazzino imperiale. Questo balsamo sembrò rinvigorire i muscoli così come il sonno sembrò rinvigorire la mente. Aveva, infatti dormito poco, nei cinque giorni di lotta: si era per lo più nascosto fra i cadaveri, quindi con il terrore di essere scoperto, oppure di essere trafitto dagli aghi d’argento. Ma questo era passato. Ora era un giorno splendido, la luce splendeva sui fiori rosa che profumavano l’aria, e il ronzio delle api turbava appena la quiete assoluta che regnava nel palazzo. Concubine trafelate si sporgevano da dietro le colonne, spiando i giovani guerrieri che si apprestavano a passare la prova e ridacchiando tra di loro. Qualcuna invece si chiudeva gli occhi quando uno di essi si tagliava un dito, e veniva, per questo, schernita dalle altre. 45 L’ultima prova consisteva infatti nel tagliarsi di netto un dito per provare la propria fede verso l’Imperatore. Il consigliere leggeva ad alta voce: “ l’Imperatore ti ordina di tagliarti un dito per dimostrare la tua fedele obbedienza alla sua parola. “ Poi, forniva all’esaminato un’affilato coltello. Qualcuno si ritirava ancora prima che la domanda gli fosse posta. Di solito, il pretendente si ritirava quando , diventato esiguo il numero di coloro che lo precedeva riusciva a vedere il sangue che schizzava ovunque: In genere, però, coloro che si ritiravano erano gli stessi codardi che si erano finti morti all’inizio del combattimento. Altri, invece, si troncavano il dito di netto. Alcuni, senza pensarci, si troncavano l’indice della mano sinistra, così come quando si affetta una carota. Il consigliere allora rispondeva “La tua fede è forte, ma ora tu sei inabile, non possiamo più prenderti con noi”. Altri si tagliavano il mignolo della mano sinistra ed allora il consigliere rispondeva: 46 “Per il tuo Imperatore non sacrifichi altro che il dito mignolo della tua mano sinistra? La tua devozione è bassa, non possiamo prenderti con noi”. Altri, alla richiesta, si ribellavano ed era capitata più di una persona che avesse provato a costringere il consigliere a sceglierlo con la forza. Ma, di questi uomini, la maggior parte moriva prima di aver finito la propria minaccia, il resto subito dopo. L’enigma posto dal consigliere sembrava insolubile a Musashi, come sembrava insolubile alle altre duecento persone prima di lui, che piano piano si amputavano una mano, o si ritiravano, o supplicavano e poi si amputavano, e via dicendo. Tutte le dita amputate venivano gettate in un pentolone a lato del consigliere, che si supponeva fosse il futuro pasto dei cani imperiali: in realtà andava ad aumentare la collezione di dita dell’Imperatore. L’Imperatore infatti ne aveva una stanza piena, ma nessuno ne era a conoscenza a 47 parte lui e, ovviamente, i consiglieri . Quella era la stanza della fede, in cui l’Imperatore si ritirava, prima di prendere importanti decisioni, e serviva per ricordargli che migliaia di persone dipendevano dalle sue decisioni. Tuttavia erano anni che egli non vi entrava , e, per le mancate cure apportate alle dita, queste avevano cominciato a marcire e putrefarsi come sinistro ed ironico presagio intorno alla fede dei suoi sudditi. Musashi si avvicinò al consigliere. Il consigliere era di origini meridionali, o forse europee: la sua carnagione era scura e la sua pelle coriacea come quella di un uomo del deserto. Vestiva con una tunica rosso vivo, aveva un piccolo e sobrio cappello nero ed un mantello rosso porpora, il cui colore era chiaramente di origine varnese. Varna era un’isola al Sud del Giappone che era incaricata della colorazione di tutte le stoffe imperiali. I colori di Varna erano, infatti, incredibilmente vividi e così resistenti, che nemmeno una vernice del 48 ventesimo secolo avrebbe potuto resistere di più. Alla base di quella tintura, stava nfatti, la mente geniale di Pivan: un grassone che riuscì a ricavare tutti i colori dell’arcobaleno da alcune bacche selvatiche (che abbondano ei boschi di Varna). Pivan vive ancora a Varna, ed è arrivato alla veneranda età di centoquaranta anni. Molti sospettano che egli sia morto da tempo, ma che i varnesi, per non perdere i privilegi acquisiti dalla figura di Pivan, lo abbiano imbalsamato e lasciato così come lo si trova ancora: seduto a gambe incrociate sul tappeto di casa sua, intento a meditare. Consigliere: “ L ’Imperatore ti ordina di tagliarti un dito per dimostrare la tua fedele obbedienza alla sua parola.” Musashi lo guardò fisso negli occhi, con quei suoi occhi neri, profondi come l’abisso. Poi prese il coltello e, sempre guardandolo fisso negli occhi, lo lasciò cadere sul dito ind… Fu fermato dalla mano del consigliere, il quale gli sorrise, lasciò cadere il coltello 49 per terra e disse: “ L’uomo del bando è stato trovato!” poi , a bassa voce “ Come ti chiami, ragazzo?” “Musashi.” “Musashi è il nuovo trasportatore! Egli ha superato la prova.” Subito nel pubblico serpeggiarono voci di scontento: qualcuno chiese cosa avesse fatto Musashi per aver superato la prova, ma nessuno gli seppe rispondere. Tuttavia nessuno protestò formalmente e tutti se ne tornarono a casa, felici di avere ancora dieci dita. Il consigliere avvolse Musashi in un mantello di velluto rosso, del colore porpora dell’isola di Varna, e lo portò dentro il palazzo. Il palazzo, contrariamente alle aspettative di Musashi, non era eccelso, anzi, era mal curato, in alcuni punti quasi decrepito. Le mura erano sicuramente testimoni di un epoca d’oro in cui erano state splendenti, ma ora, di tutto ciò non rimaneva altro che un ricordo sbiadito. C’era odore di marcio, e in alcuni angoli addirittura stava crescendo del muschio, 50 tanta era l’umidità. Lunghe crepe dividevano le pareti. Gli affreschi che vi erano disegnati erano ormai sfumati. Non sembrava affatto rispondere alle aspettative dell’invitato che, vedendolo da fuori magnifico e splendente, si immaginava l’interno altrettanto sfarzoso. Musashi chiese spiegazioni al consigliere. “ Vedi, Musashi… così ti chiami vero? Non è che non abbiamo soldi, è che deve essere l’Imperatore ad ordinare una qualsiasi ristrutturazione o pulizia.” “ E cosa aspetta?” “ Aspetta, perché ormai non vede quasi più nulla… sì, l’Imperatore è diventato ormai quasi cieco. Colpa di quei maledetti videogiochi che gli spediscono dall’altro emisfero. Lui passa giorni interi davanti allo schermo, ed ora è diventato miope.” “ Cosa sono i… video giochi?” “ Li vedrai, li vedrai: sono giochi di un’altra tecnologia. Ora li fanno così potenti che sono diventati vere e proprie droghe, e una volta che ne hai iniziato 51 uno, non puoi più staccarti senza averlo finito.” “ Capisco… Ma… non potete fargli portare degli occhiali?” “ No, assolutamente! Un imperatore non può portare gli occhiali, è l’etichetta… anche se tuttavia non gli farebbe male… va be’, dovremo solamente aspettare che diventi cieco del tutto… allora ci sarà bisogno di un altro supervisore alla pulizia ed allora…”. “ Scusa se ti chiedo un’altra cosa…”. “ Sì, fai pure…” “ Perché hai scelto me? Cosa ho fatto più degli altri duecento?” “ Niente… mi eri simpatico. Quell’enigma non può essere risolto da un umano, solo da un mutante con sei dita… ma, di quei mutanti, non ne esistono più (credo che l’ultimo sia stato Igor, il consigliere più vecchio) quindi da nove anni i consiglieri si limitano a scegliere esclusivamente in base alla simpatia nei riguardi degli sfidanti. Non c’è pericolo di sbagliare, tanto. Chiunque abbia resistito per cinque giorni e cinque 52 notti e sia pronto a tagliarsi un dito, deve essere per forza abbastanza forte per andare fino a Sisira e tornare. Quindi tanto vale scegliere a caso.” Musashi sorrise, mentre percorrevano il lungo corridoio, e mentre il suono delle loro scarpe rimbombava nelle stanze vuote. “ Eccoci dall’Imperatore.” JHALA “… Continuando poi vi troverete sulle rive delle acque di Jhaladhi, sull’estrema punta della terra ferma. Laggiù, nella città di Jhala, vivono solo pescatori. Sono abituati fin da piccoli a nuotare, e nuotano più veloci dei pesci. Generazioni di subacquei hanno reso i loro polmoni talmente capienti da poter stare decine di minuti senza respirare. Essi sono anche perfetti navigatori: fabbricano le loro navi così come Tharmas disse loro. Le forme dei loro scafi non mirano a fendere l’acqua, bensì ad assecondarla, a lasciarla scorrere sotto, 53 mentre loro volano, con le loro imbarcazioni, appena sopra di essa. Dico volano, perché sembra quasi di volare, su quelle tavole. Il loro scafo è mobile, e può essere modificato, per sfruttare le correnti, per reggere le mareggiate, oppure per diventare piatto nei giorni di calma, e poter scivolare ugualmente veloce. Ma state attento: non tutti sanno guidare tali imbarcazioni e voi meritate solo i migliori guidatori. Vi si presenteranno tre uomini. Uno sarà grasso e basso, uno di media corporatura e media statura ed uno alto e allampanato. Essi sapranno già chi siete, ma vorranno porvi un quesito (da sette anni è sempre lo stesso): Voi dovete andare in mare, ma più di tre non ci si può stare, chi di noi tre intendete lasciare? Voi dovrete rispondere: Se più di tre non ci si può stare, io in mare non potrò andare, perché solo voi tre potete guidare. Essi vi sorrideranno e vi permetteranno 54 di salire sulla loro imbarcazione. Sembra una formalità, quella dell’indovinello, eppure è utile: il passeggero capisce subito che non può contestare nulla nella loro barca e che non dovrà toccare nulla o cercare di guidare. Infatti tutti e tre i navigatori sono necessari per far andare la barca di cui stiamo parlando. L’uomo allampanato ha l’incarico infatti di arrampicarsi sull’albero della nave, montare ed aggiustare le vele quando lo scafo è piatto e la nave in corsa. Grazie allo scarso peso dell’uomo, la barca continua ad andare e non perde l’equilibrio. L’uomo di statura media è il timoniere e comandante: fornisce ordini agli altri due ed ha una forza nelle gambe che nemmeno l’onda più forte dell’oceano, potrebbe staccarlo da quella posizione. Pensate che a volte ho creduto che fosse stato fermato con dei chiodi. Il terzo grasso e goffo funziona da zavorra. Impedisce che il vento faccia 55 ribaltare la barca ed è l’unico che, saltando sul pontile, riesce a far diventare lo scafo, da piatto che era, a fondo con un unico colpo. Questi tre uomini saranno la vostra compagnia per tre settimane, ma state tranquillo, non lo rimpiangerete. Essi sono divertenti, freschi e vitali, vi aiuteranno a passare il tempo, sfidandovi in giochi di antichi marinai. Non vi faranno mai mancare alcun cibo: il più grasso è anche un ottimo cuoco ed il più magro un ottimo pescatore (fidatevi: l’ho visto pescare io stesso). Egli conosce una melodia particolare che agli uomini comuni non è dato sapere. Egli si immerge con la testa nell'acqua e la canta. Di li a poco i pesci più anziani, più grossi, più prossimi alla morte, forse i più tristi (i suicidi) saltano sul pontile della barca in corsa. E vi saltano a decine! Tanto che a volte sono costretti a ributtarli in mare. Grandi uomini i fratelli di Jhala! Dico fratelli perché si narra che siano nati dalla storia d’amore che ebbe Jhaladeva (il dio 56 dei mari) con Aniladevi (la dea del vento). Nessuno a Jhala li ha mai visti piccoli, nessuno conobbe mai i loro genitori. Li vide un giorno un pescatore, spuntare dall’oceano, dall’orizzonte, come se fossero stati creati lì: nell’oceano, su quella nave di loro invenzione. Si ambientarono subito nel posto e, sebbene tutti gli abitanti del luogo fossero dei provetti pescatori in apnea, essi sembravano avere qualcosa in più di tutti gli altri, che gli permetteva di superarli sempre in maestria. Vi dico che starete al sicuro se vi affiderete alle loro mani, ma state attento: essi sono dei bravi giocatori. Vi faranno giocare, vi insegneranno un gioco e vi faranno vincere, vincere e perdere. Vi faranno giocare sempre al loro gioco, ma ricordate: anche quando vincete saranno loro a farvi vincere! Poi cominceranno scommettendo un paio di pesci, contro i vostri due e li perderanno. 57 Ne scommetteranno quattro contro i vostri quattro, e li perderanno. Poi voi avrete una mano fantastica ed essi scommetteranno la loro barca. Cercheranno di far sì che voi scommettiate il vostro sacco, per poi barare e vincerlo. Voi non fatelo, poiché il sacco non è vostro. Essi bevvero una volta il tè e rimasero avvinghiati ad esso, ma voi non potete fare di più che offrirgliene una tazza a testa, quando vi avranno riportato sulla terra ferma. Una tazza a testa. Non di più, né di meno. Mi raccomando, non scommettete mai il vostro sacco. Io stesso lo persi e fui costretto a rubarlo a loro stessi la notte. I tre fratelli, per punizione, andarono via senza aspettarmi, gridando che non avrebbero mai più ubbidito all’Imperatore (ma ormai era troppo tardi, erano diventati dipendenti). Questo scherzo, però, mi costò un ritorno solitario in una barchetta naufragata. Ancora ricordo quei mesi passati alla deriva, prima di essere salvato. Il sole a picco sopra di 58 me, mentre cercavo con i miei vestiti di fare una vela, ma la nave si muoveva appena. Allora mi allontanai dal mio corpo e con le pratiche yoga che avevo appreso sulle montagne innevate, lasciai che il mio cuore battesse il minimo di colpi necessari per lasciarmi in vita. Non so quanto rimasi immobile, sotto il sole, senza acqua, forse mesi, forse solo un giorno, poi mi risvegliai su una nave di corrieri che stavano tornando dalle valli dei Qokka. State attento mi raccomando, poiché non tutti potrebbero essere fortunati come lo fui io…” L’IMPERATORE NEL REGNO DEI CIELI Musashi entrò nella stanza dei ricevimenti. La stanza dei ricevimenti, contrariamente al resto del palazzo, sembrava ancora ben curata: gli affreschi erano ancora vividi, i tappeti non sembravano risentire dell’usura secolare alla quale erano stati sottoposti. La stanza era enorme e per 59 tutta la stanza erano sparsi … ciò che lui aveva sentito solamente in alcune storie che gli aveva raccontato Tamerlano: i corpi imbalsamati dei precedenti imperatori. Erano ovunque, ed all’inizio Musashi aveva creduto che fossero semplicemente degli alti funzionari altamente riservati, poi, vedendo la loro incredibile fermezza ed immobilità, riconobbe meglio tra i vestiti i sigilli imperiali. L’unica cosa che stonava nell’ambiente erano tutti quegli apparecchi e quegli schermi ormai di un altro tempo, e poi …non riusciva a vedere l’Imperatore. “ Sua altezza imperiale. Il nuovo corriere è arrivato.” annunciò il settimo consigliere. “ Sì, sì… fallo sedere da qual…qualche p-p-parte.” rispose un vecchio con la faccia coperta da un casco che si agitava dentro una tuta nera. Musashi si sedette a gambe incrociate su un cuscino anch’esso del color porpora di Varna. Il settimo consigliere gli si avvicinò 60 all’orecchio e gli sussurrò: Si chiama realtà virtuale, fa parte dei videogames che ti avevo detto, egli ora è un cavaliere medioevale. “No! …Bastard…Bastardo! Non avrai la mia pelle! “ e l’ Imperatore, con movimenti veloci, ma goffi si lanciò con la mano verso il vuoto, poi ebbe come un sussulto e rimase immobile per un secondo. Dopo si tolse il casco dalla testa e guardò la macchina spenta. Poi vide il corriere e strizzò un occhio. Musashi sorrise in risposta all’occhiolino dell’Imperatore, ma lo sguardo di questi si fece interrogativo e cupo: Poi strizzò anche l’altro occhio, stavolta però allungando anche l’angolo della bocca. L’Imperatore sembrava un uomo incredibilmente vecchio per la sua reale età. Egli infatti aveva una cinquantina d’anni, ma ne dimostrava almeno un’ ottantina piena. Aveva una faccia cordiale e simpatica, ma che ricordava incredibilmente la faccia di un’idiota con una paresi alla bocca. 61 Era continuamente soggetto a tic nervosi ,ed oltre che strizzare l’occhio ad intervalli regolari, arcuare le sopracciglia, e cambiare improvvisante espressione, produceva frequentemente nuovi tic: Musashi riuscì a percepirne almeno un’altra decina nel corso della conversazione, tra cui una lieve balbuzienza ed una vistosa contrazione della spalla. Gli occhi dell’imperatore erano di un bellissimo nero profondo, tuttavia era talmente profondo che rimaneva fisso, come se stesse mirando a qualcosa dietro di lui e riuscisse a vedere attraverso il suo corpo trasparente. Musashi riuscì a trattenere a stento il disorientamento alla visione dell’Imperatore e per tutta la durata della conversazione cercò di non fissare troppo il suo sguardo sui suoi tic nervosi. “Bbene…b-bene! Ah..ah..l’avevo l’avevo sempre sostenuto io che sarebbe capitato, capitato prima o poi “ l’imperatore, girandosi poi con aria divertita verso i suoi sette consiglieri, 62 mostrò la bocca priva di denti ed indicò uno dei sette con un indice tremante “ Che… che vi avevo detto? Prima …o poi ce l’avreb-avrebbero fatt-ta… C-chi è il p-più saggio qui? C-cosa v-vi dicevo su-sull’esperienza? “ poi, girandosi e ritornando seriamente cordiale, disse : ” S-sono f-finalmente l-lieto c-che una donna s-sia r-riuscita a v-vincere i-il c-concorso. C-complimenti.” “ Grazie, Sua Altezza, tuttavia devo deludere le sue aspettative dicendo che sono un maschio.” L’Imperatore trasalì. “ U-un m-maschio? N-ne è s-sicuro?” “ Sì. “ rispose Musashi mentre delle risa soffocate provenivano da dietro l’Imperatore. L’Imperatore divenne rosso. “ Mi scusi… come si chiama?” “ Musashi.” “ Mi scusi, Musashi.” poi girandosi verso i consiglieri “ e voi, vipere! Ridete pure, tanto prima o poi c-ce la faranno! R-ride ben c-chi r-r-ride ultimo. E tu, settimo! S-spiegagli tu t-tutto, q-quest’anno non 63 ho voglia. “ “ Ma, Eccellenza, l’etichetta…” “ C-chi se ne frega d-dell’etichetta. Io t-torno nel m-medioevo che era di g-gran lunga più d-divertente.” “Ai suoi ordini, Altezza. “ e così dicendo il consigliere si avvicinò a Musashi, mentre il vecchio Imperatore raggiungeva traballando la sua macchina per la realtà virtuale. “ Allora, Musashi… “ disse il settimo consigliere con il tono di chi sta frugando ancora nella propria memoria per trovare il filo iniziale di un discorso “ Be’, fondamentalmente sai anche tu di che cosa si tratta, no? Una volta ogni anno viene raccolto lo Yin Zhen ed un sacco di esso deve essere mandato al Supervisore Supremo della Razionalità nell’altro emisfero. Abbiamo già un contrabbandiere, di cui probabilmente avrai sentito parlare, Smokiza che è pronto a farci da spola. Egli abita nella città di Sìsìra. Dalla consegna di questo tè, dipendono tutte le nostre vite. Infatti , in questo particolare tè, è stato sciolto 64 un infuso inodore ed insapore di carne di karin. Il Supervisore Supremo, ora, dipende da questo tè, ne ha bisogno psicologicamente e non ucciderebbe mai il nostro emisfero per non rischiare di rimanerne senza. Tuttavia se egli ne rimanesse senza per un anno, la sua ira potrebbe essere incontrollabile, potrebbe anche distruggerci immediatamente: questo è il problema. Ora tu puoi capire l’importanza della tua missione. Dall’esito di questa missione, non dipende esclusivamente la tua vita, bensì la vita di tutti noi. Sei pronto, ora, ad accollarti questa responsabilità? Musashi guardò il consigliere con i suoi occhi fieri e rispose: “ Sì, sono pronto.” LA CONCA D’ARGENTO “… Potreste poi trovare, proseguendo il vostro cammino, la Conca d’Argento, così chiamata poiché il ghiaccio là è liscio come l’argento lavorato per la conca di uno di quei antichi cucchiai che utilizzavano in occidente. 65 Essa è un’enorme e liscissima valle fatta di ghiaccio, nella quale il sole, senza scalfire la superficie, rimbalza dolcemente e scivola solitario in questa landa desolata. Accanto a questa valle, si trova una cittadina di pochi abitanti, i cui progenitori risalgono a millenni addietro. Questa città è stata costruita proprio sul limitare della conca. Vi è infatti una particolare piazza sacra agli indigeni, dalla quale esce un buco che dà sulla conca di ghiaccio. Una volta che un uomo è scivolato in tale buco, egli scivola inevitabilmente fino al centro della conca e non potrà più ritornare tra gli uomini. Bisogna sapere che questi uomini credevano che gli dei fossero costituiti di ghiaccio, e dato che la conca era l’unico posto dove il ghiaccio rimaneva eternamente, essi credevano che fosse la conca la dimora dei loro dei. Per questo che, quando un uomo stava per morire, ormai vecchio, lo lasciavano 66 scivolare nel buco della piazza, dolcemente, lo lasciavano libero di andare incontro al suo destino nella conca, e lo lasciavano scivolare senza viveri o coperte, in modo che la sua agonia fosse limitata. Lo lasciavano arrancare nella conca, nella valle degli dei, dimora di tutte le anime, affinché il suo corpo potesse morire più vicino alla sua anima. A volte, quando il moribondo non riusciva a camminare, oppure quando la morte lo coglieva all’improvviso, come una folata di vento, e se lo portava via, magari nel silenzio della notte, veniva costruito un piccolo slittino. Questa idea la ebbe per la prima volta lo straniero Andersson, più di due secoli fa, ed è proprio lui che lo costruiva apposta perché vi si potesse poggiare il corpo di chi si faceva scivolare così dal buco, dentro la valle. Quando, sempre secoli addietro, gli occidentali scoprirono il villaggio, decisero di vendere gli slittini Andersson perché perfetti e li vendevano a bambini di tutti i paesi 67 (ignari del macabro scopo a cui quegli slittini erano destinati). Nel paese, invece, il nome Andersson era diventato, per un palese processo di metonimia, il simbolo della morte nonché, a volte, perfino suo sinonimo. Era frequente incontrare persone (e forse voi lo sentirete) che si insultavano dicendo: Accidenti a te e che Andersson ti porti. Bastardo figlio di un Andersson! Ma egli non era un cattivo vecchio. Parlava perfino la nostra lingua. Era solo molto riservato. Egli era l’unico che sia riuscito ad uscire vivo dalla Conca, ma nessuno lo seppe e nessuno lo saprà, laggiù. Infatti egli finì laggiù da bambino quando prese una botta in testa. Cadde in un sonno profondo, talmente profondo che tutti credettero che fosse morto. Fu così che fu lasciato scivolare nella conca. Quando si risvegliò, si ritrovò in mezzo a tutti i cadaveri che il freddo aveva mantenuto pressoché intatti. Egli visse per venti anni mangiando i cadaveri che 68 la città gli buttava, coprendosi con le loro interiora, riparandosi in buchi sotterranei. Per venti anni Andersson non provò neppure a ritornare alla sua città natale: aveva paura che una volta tornato sarebbe stato considerato un reietto, infamato dai propri genitori, disdegnato persino dagli dei. Decise invece di rimanere quello che era nel cuore dei suoi genitori: un bambino innocente, morto giovane, privo di peccati. Poi, un giorno, vide calare i cadaveri dei suoi genitori e ne mangiò il cuore, quel cuore dove era contenuta l’ultima figura di quel bambino innocente. E poi, ora che il bambino era finalmente morto agli occhi di tutto il mondo, egli decise di risalire la Conca, aiutandosi con scarponi, le cui suole erano fatte di denti, e con piccozze fatte di ossa lavorate. Quando riuscì ad uscire la Conca, finse di essere un turista straniero di nome Andersson. Erano ancora pochi gli stranieri che erano riusciti a raggiungere 69 quel luogo, ed Andersson fu accolto come un eroe e poté ricominciare da capo una nuova vita. Tuttavia, credo che gran parte della sua mente sia rimasta ancora lì, in quella conca, e che gli sia precluso rientrarne in possesso. Forse è per quello che decise di fabbricare slittini sui quali appoggiare i morti. Oppure, Andersson decise questo pensando a tutti quei giorni maledetti in cui avrebbe dato un dito pur di trovare un tronco di legno in quella maledetta Conca: ora aveva trovato un modo per aiutare un ipotetico bambino che, come lui, era finito ingiustamente nella Conca. Io sentii questa storia dal suo discendente (anch’egli falegname fabbricante gli slittini mortuari) che me la raccontò in cambio di un bicchiere caldo di tè Olong. Guardate pure la cittadina, riposatevi per il lungo viaggio, godetevi pure il rosa tramontare del sole dentro la Conca, ma state attento la notte, quando dormite nel vostro letto sicuro, poiché gli abitanti di Hima (così si chiama la cittadella) 70 sono ora degli xenofobi ed approfitteranno del vostro sonno per derubarvi. Aspetteranno che il sole sia calato ed abbia finito di imporporare la Conca, aspetteranno che il freddo abbia allungato i suoi gelidi artigli e vi costringa a ritirarvi sotto le coperte della taverna. Aspetteranno che cadiate in un leggero torpore, per entrare in massa nella vostra camera, per spogliarvi di ogni vestito e di ogni avere e per gettarvi nella Conca nella quale morirete. Nessuno slittino potrà allora salvarvi e se voi morirete, forse anche noi tutti moriremo. Purtroppo, questo, lassù ad Hima, non lo sanno….” I SETTE CONSIGLIERI “ Imperatore, Imperatore, il corriere è pronto.” “ E’ pronto? B-bene. Ora… un attimo… bastardo! Prendi questa. “ Il consigliere guardò Musashi e trovò necessaria una spiegazione: 71 “ Molti pensano che l’Imperatore come tale debba essere l’uomo spiritualmente più elevato, così credevate anche voi, vero Musashi? “ “ Mi dai del voi, ora?” “ Sì, ora che avete accettato, sì. Avete diritto al voi almeno fino al vostro ritorno. Ma vi stavo dicendo che anche voi credevate che l’Imperatore dovesse essere l’uomo più spiritualmente elevato, vero?” “ Se devo essere sincero, lo speravo. “ “ Speranza inutile, se mi concedete. L’Imperatore è chiamato per regnare, per badare ai problemi materiali, non è una guida spirituale. Capite la differenza? L’Imperatore invece deve essere l’essere più materiale e materialista, più fermo e radicato sulla terra. Purtroppo, quello che era stato un grand’uomo” disse indicando l’Imperatore nella sua tuta virtuale “ ora non è altro che un cavaliere virtuale da quattro soldi…” “ Settimo! T-ti ho s-sentito sai? S-sei f-fortunato che sono proprio nel m-mezzo di un c-combattimento, 72 altrimenti… prendi marrano!..” “ Ora basta! Stai mancando di rispetto al corriere Musashi! Esci subito da quel videogioco! “ “ Ora! Ora e-esco… n-non vi p-preoccupate e… e-e voi Musashi, n-non vi offendete, è-è c-che ora s-sono in un m-momento c-crucial… Eccoti qui ti ho scovato, bastardo! Tieni questa! E Questa! E Quest’altra! “ Il Settimo Consigliere si coprì il viso con le mani per la disperazione, poi guardò il Quarto Consigliere che fece un cenno con la testa verso l’autoalimentatore. Il Settimo annuì ed il quarto diede un calcio all’alimentatore. Il gioco si spense immediatamente e poi si riaccese dalla schermata iniziale. Immediatamente l’Imperatore si tolse il casco: “ Che è successo, chi è stato! Chi è stato! “ gridò guardando tutti i consiglieri al loro posto. “ Uno sbalzo di tensione, sua altezza. “ disse imperturbabile il Settimo Consigliere. 73 “ Ah. “ replicò seccamente l’Imperatore volgendo lo sguardo verso l’auto-alimentatore. “ Colpa di quel Supervisione Soprano di… che mi da materiale scadente… ma se mi fa girare le palle… Zac… gli taglio la carne di karin, poi voglio vedere… “ disse ridendo l’Imperatore compiaciuto sia della sua colorita espressione, sia del potere nelle proprie mani. Poi riscoprendo Musashi ancora nella sala dei ricevimenti, divenne più serio e formale “ Voi, allora, Musashi…v-voi a-allora?… Sì! Voi avete, allora, deciso di portare a termine l-la v-vostra missione. Primo? Portategli il sacco. “ Il primo consigliere gli portò un sacco in tessuto di canapa indiana, con una doppia tracolla e lo montò sulle spalle di Musashi. “ Bene. Qua dentro si t-trova t-tutto, t-tutte le nostre vite s-sono s-sulle tue s-spalle” poi si girò soddisfatto verso il Settimo Consigliere “ eh? Ques-sta che mi d-dici? B-bella, n-no?” “ Stupenda, sua altezza.” 74 “ D-dentro si t-trova il tè per il Supremo…Sovrano etcc.., p-poi il c-compenso per i f-fratelli Jhala e quello p p e r Smo…Smo…Smo-quello-insomma. Capito, mio prode Musashi? “ “ Ai suoi ordini altezza, ma… chi sono i fratelli Jhala? Come farò a riconoscere Smokiza?” L’imperatore si girò disorientato verso il Settimo Consigliere: “ E già… come fa a riconoscerli? M-mica s-stupido i-il… Ah!! Dimenticavo “ si rivolse nuovamente verso Musashi e con aria seria e solenne disse recitando: “ Poiché tu, guerriero di nobile, hai scelto di proteggere il tuo emisfero ed hai dimostrato… d-dimostrato?… Ed hai dimostrato fedeltà assoluta al tuo imperatore, io ti ricompenserò nominandoti mio consigliere al tuo ritorno e ti auguro… ti auguro… ti auguro buon viaggio e… e… Ed in segno della mia benevolenza ti permetterò di ascoltare i sette consigli 75 che i miei sette saggi hanno da darti! Ciascun consiglio riguarda la parte del viaggio che loro hanno trovato più ostica nel percorrere. Ascoltali dunque, mio prode Musashi. “ e finito che ebbe il discorso, non poté negarsi un gran sorriso per essersi ricordato tutta la manfrina per intero, mentre di solito questa doveva essergli suggerita dal Settimo Consigliere. “ Allora ascolta ciò che il primo consigliere ha da dirti: SMOKIZA “…Passerete Hima e camminerete per tre giorni e tre notti, sempre dove cala il sole. Lo rincorrerete nel lungo cammino nella volta celeste, lo rincorrerete per giorni, vedendo di fronte a voi solo ghiaccio, mare e cielo ed una sola, piatta, linea che li divide. Dovrete sempre seguire il lungo costa, procedere con il mare alla vostra destra: questo è l’unico modo per non perdervi la notte. 76 Questa è la parte più difficile, mio caro Musashi, molti corrieri, centinaia di anni addietro, hanno perso la vita nella ricerca di Smokiza. Non dormirete, se non il minimo necessario per sopravvivere, poiché altrimenti morrete di freddo. La vostra acqua sarà il ghiaccio. Il vostro cibo sarà lo zucchero di cui è ricoperto questo vestito. Camminerete succhiando il vostro mantello, nel ghiaccio eterno dell’Antartide finché non vedrete, all’orizzonte, una lunga catena montuosa: il bordo del mondo. Quando la bomba Z cadde nel tubo di Danzica, provocando l’enorme esplosione, la crosta della superficie terrestre si rialzò e fiumi di lava incandescente si raffreddarono creando un altissimo bordo, chiamato il bordo del mondo. Sono queste catene montuose alte migliaia di metri, che impediscono all’acqua di scivolare via per sempre nello spazio, è a queste catene che noi dobbiamo la nostra vita (per 77 questo esse vengono anche chiamate le montagne della vita ). Quando arriverete ai piedi di esse, vedrete la fine del mondo e se non sarete andato troppo lento, la vedrete all’alba: quando il sole sorge sullo specchio del mare e si infrange sui picchi innevati. Ora siete arrivato: continuate a camminare lungo il litorale e vedrete una grotta (proprio dentro la montagna). Entrateci e, se non siete sfortunato, vedrete delle torce accese. Seguitele ed in fondo alla grotta troverete una porta in acciaio: una lega che non riusciamo ormai più a fare. Bussate e vi sarà aperto. Vedrete muoversi una città sotterranea illuminata di un colore caldo, di un arancione sicuramente innaturale, vedrete gente che corre, alcuni che ridono, altri che danzano, altri, ubriachi, che aspettano solo che qualcuno li porti via. Ma vedrete anche signore, a volte anziane, e bambini che giocano con spade di legno. Vedrete, nei negozi di questo mondo, 78 oggetti di cui non avreste mai sospettato l’esistenza, di una tecnologia avanzata, di una tecnologia di un altro emisfero: voi siete nella città di Sisira. Questa è la città del contrabbando: tutti i suoi abitanti adulti sono contrabbandieri, e tutti i suoi bambini presto lo saranno. Essi si intrufolano di nascosto nell’emisfero razionale, portando animali e piante che prendono dalle terre del nostro mondo, e ne tornano strisciando, pieni di microchip, medici-digitali, autoalimentatori e tutte le altre novità tecnologiche che riescono ad arraffare. Ciascuno di essi ha un suo modo particolare per penetrare il sistema di protezione, ed i loro sistemi sono talmente preziosi e segreti, che nessuno li conosce (nemmeno i figli). Solo in punto di morte, il contrabbandiere decide di rivelarsi ai suoi discendenti, perché continuino la tradizione. Solo uno non fa misteri del suo metodo, poiché nessuno è talmente pazzo per attuarlo: questi è Smokiza. Smokiza nacque nell’altro emisfero, era 79 figlio, mi disse egli stesso, di due alti funzionari della Razionalità, ma per la sua deformità egli fu mandato in Bassamerica. Smokiza è un uomo basso, incredibilmente basso e peloso, ma le sue braccia sono esrtemamente lunghe e nodose. Un giorno, nel carcere minorile della Patagonia, dove le difese della razionalità sono più basse, decise di scappare. Di notte, nel silenzio del campo, egli sgattaiolò tra i letti, stando attento a non respirare, e uscì dalla finestra. Ci mise due ore ad uscire da quella finestra, poiché essa era collegata ad allarme azionabile con il movimento. Lentamente, per quelle ore, strisciò fuori dalla finestra, e quando l’alba stava per sorgere, egli si arrampicava di già sul bordo dell’altro emisfero. Fortunatamente vide un passo montano, e fu così relativamente facile per lui portarsi in cima alla sua vetta. Con il sole sulla testa, vide il nero vuoto sotto di sé, un vuoto incredibile, lo spazio sotto i suoi piedi. Ed una lunga passerella verso 80 un altro mondo. Questa era uno di quei tanti fili di lava che si erano solidificati durante la separazione dei due mondi. Una passerella di lava solidificata, larga mezzo metro, e lunga cento chilometri. Ma egli vi salì e camminò per circa dodici giorni sulla passerella, con il vuoto sotto di sé, dormendo raramente, con quel poco di cibo che si era portato dietro e quel poco di acqua che aveva. Camminò nel vuoto, mirando l’altra sponda, che sembrava sempre distante uguale. Poi, però, un giorno arrivò al bordo. Vi si arrampicò ed ora è dentro quella montagna (la prima montagna che vide del nuovo mondo) che vive. Ora egli non cammina, corre. Quella passerella è capace di percorrerla in due giorni, con il carico addosso. Egli sfrutta anche le mani, correndo, come una scimmia, si china e corre, con piedi e mani, veloce, sopra il baratro. Nessuno ha la forza di eguagliarlo, nessuno lo batte nella velocità delle consegne. 81 Tutti prima o poi vengono beccati. Ma Smokiza no. Smokiza non potrà mai essere beccato, poiché nessun Razionalizzante potrà mai credere che un uomo si faccia cento chilometri correndo, con le braccia e con le gambe, su una passerella di mezzo metro. Eppure egli lo fa. Per questo l’Imperatore ha scelto lui. Quando lo vedrai, e vedrai la sua faccia brutta, la sua barba incolta, il suo portamento animalesco, non crederai ai tuoi occhi. Ma se poi guarderai bene, fin dentro i suoi occhi, vedrai due perle di giada verde risplendere e capirai che a lui dovrai affidarti. Consegnagli il sacco e mostragli il sigillo dell’Imperatore (egli ha smesso da anni il suo lavoro, lo compie solo per l’Imperatore). Lui ti guarderà, e si girerà verso la passerella. Poi ti riguarderà nuovamente, allora tu mostra il pacco di carne di karin e digli: Il tuo compenso ti aspetta, finito il tuo lavoro. 82 Egli capirà cosa si nasconde dentro il pacco e lo vedrai fremere, forse piangere, forse diventerà quasi aggressivo, cercherà di strappartelo, ma poi ritornerà in sé e, piangendo, comincerà a correre sulla passerella, con il sacco di tè sulle sue spalle. Tu scendi pure nuovamente nella città, divertiti, goditi i piaceri della carne se vuoi, riposa le tue membra nei loro bagni così famosi, ma dopo cinque giorni ritorna al luogo dove lo hai lasciato e lo troverai lì, in piedi, ti porgerà un delicato sacco pieno di oggetti di cui non riuscirai a capire il funzionamento. Tu prendilo. Dai a Smokiza la sua carne di karin e guardalo, se ti piace, sbranarla piangendo. Ma poi ritorna qua nella città imperiale e ricorda: il tuo viaggio è solo a metà…” 83 BUON VIAGGIO “ Ed-d ora c-che t-tutti gli altri han-no det-to…” “ No, sua altezza “ disse il Settimo Consigliere “ io non ho ancora detto la mia…” “ A-allora d-dilla, c-che as-aspetti? P-perché mi avete fatto int-interrompere il gioco? “ Il Settimo Consigliere guardò Musashi profondamente e disse: “ Poiché tutti i pericoli di questo viaggio ti sono già stati illustrati dagli altri Consiglieri, io non posso fare a meno che darti la mia Benedizione e consegnarti questo “ disse, porgendogli una collana. Musashi la guardò. Era fatta in corda, ma sebbene il collare fosse grezzo, vi era attaccato un bellissimo ciondolo di una pietra di un azzurro straordinario (che gli ricordò l’anello di Tamerlano). Era un azzurro chiaro come quello dell’acqua 84 limpida nei pressi di una barriera corallina, era un azzurro come nemmeno in cielo si può trovare. Lo strinse nella mano e sentì un forte calore provenire dalla pietra. “ M-ma… n-non d-dovevo d-dargliela i-io?…” “ Cosa è ? “ “ E’ il sigillo del corriere, ciascuno di noi ne ha uno uguale. E’ un amuleto, fabbricato nelle montagne innevate dai monaci più illuminati, con una pietra unica. Ovunque tu andrai, questo amuleto ti proteggerà. Vedendo quella pietra (ovunque tu la porterai) tutti capiranno chi sei, cosa hai fatto, oppure qual è la tua missione. Solo gli stolti non rispettano la sua sacralità . Solo gli stolti, perché la strada di fronte a te è illuminata. Andate Musashi, e tornate presto. “ Disse il Settimo Consigliere e invitò con un gesto i servi, perché aprissero la porta intarsiata. “ A-andate Mu-Musaci… e t-tornate p-presto! “ 85 Musashi si legò al collo la collana. E con il sacco in spalla diede un ultimo sguardo alla stanza, all’imperatore, ai consiglieri, ai videogiochi, ai servi, agli imperatori imbalsamati, a tutti, a tutti che con il cuore sospeso lo guardavano uscire. In quel momento i suoi occhi sorrisero e quel sorriso si stampò nella mente del Settimo Consigliere. Quei suoi occhi si impressero indelebilmente nei suoi pensieri. Quando la porta si richiuse, il Settimo Consigliere si girò e sorrise dicendo: “Tornerà, tornerà come ogni anno. Ed egli sarà il mio successore. “ Ora Musashi camminava verso il confine tra il cielo e la terra. Aveva un compito da portare a termine, ed il suo destino sulle sue spalle. 86 RACCONTI DA AMERICOPOLI INTRODUZIONE Dopo la divisione del mondo in due distinti emisferi, il governo Americano decise che era tempo di una profonda ristrutturazione nel suo sistema produttivo (che si basava fino ad allora sullo sfruttamento della manodopera orientale a basso costo). Decise così di sviluppare un nuovo sistema, compatibile con il precedente, ma fondamentalmente basato su tre principi: quello della Razionalità, dell’Equilibrio e della Rettitudine Morale. Prima di tutto fu necessario abolire gli ultimi stralci di religioni sopravvissute ai secoli ventiduesimo e ventitreesimo ed eliminare ogni rimasuglio di filosofie orientali , di modo che la Razionalità divenisse imperante. Per evitare che il 87 principio della razionalità fosse mai contestato da sovversivi o rivoluzionari, fu creata la Razionale Inquisizione (tribunale speciale istituito per isolare i soggetti irrazionali e filo-orientali). In seguito fu stabilito un rigido codice morale-penale (il cui nome derivava dal fatto che - nell’occhio della Razionalità i due codici coincidono e sono assolutamente rigidi, privi di ogni elasticità se formulati correttamente). In seguito fu necessario riformare il sistema di produzione: Lo sviluppo capitalista, che era, per sua definizione intrinseca, portatore di sviluppo ineguale, non si miscelava bene (almeno nelle sue caratteristiche primordiali) con l’ideologia della massima Razionalità. Così il governo di Americopoli decise di dividere ulteriormente l’emisfero in due metà: Americalta e Bassamerica. Americalta era l’America dei cittadini liberi, ovvero dei salariati e dei salarianti: dove la ricchezza e l’opulenza si alternavano tra gli imprenditori, i dirigenti e comunque 88 l’alto-proletariato. La vera manodopera ed il basso proletariato vivevano invece in Bassamerica. Bassamerica era un’ enorme prigione autosufficiente e finalizzata anche al mantenimento dei bisogni primari dell’Altamerica. In questa prigione venivano rinchiusi a vita tutti coloro che avessero infranto il codice penale per un crimine qualsiasi (dal furto in un supermercato, all’omicidio). Fu così possibile un notevole snellimento dell’apparato giudiziario che si era bloccato su casi di persone defunte da ormai centinaia di anni. Adesso, infatti, i processi venivano richiesti esclusivamente per casi molto particolari. Solo i rivoluzionari ed i sovversivi non venivano rinchiusi in Bassamerica e venivano invece giustiziati o esiliati nell’altro emisfero a seconda della colpa. Controllati a vista da eserciti di poliziotti (o Razionalizzanti), i criminali erano così costretti a vivere in comode celle (singole o doppie a seconda dello stato 89 civile) nelle quali potevano perfino riprodursi (sempre però a patto che non infrangessero le regole dell’ordine e della moralità definite dalla sorveglianza). I bambini che nascevano durante questi permessi atteggiamenti promiscui, venivano considerati galeotti anch’essi (come se fossero stati rei di un invisibile peccato originale) e rinchiusi nel carcere minorile della Patagonia. Quando qualcuno dell’Americalta richiedeva manodopera per un qualche lavoro di manovalanza, avanzava una richiesta formale al tribunale dell’Alta Razionalità il quale esaminava la richiesta e, se la reputava razionale, la sottoponeva al Delegato Razionale in Bassamerica. Costui spediva prontamente un’accurata selezione di galeotti composta dai più sicuri ed dai più docili tra coloro che permettessero la maggior efficienza combinata al minor disturbo verso la classe superiore. Ogni tanto però avvenivano dei momenti di crisi: la manodopera non copulava, si riproduceva poco, oppure 90 una carestia si diffondeva e mieteva vittime oppure nessuno di Americalta commetteva alcun crimine. In questi casi, in cui la manodopera scarseggiava, la polizia era costretta a condurre ferree indagini nell’Americalta e pronti arresti (a volte immotivati) come avvenne all’inizio del nuovo progetto per la detenzione criminale. Avveniva, invece, che altre volte le leggi Maltusiane sulla capacità massima della Bassamerica si avverassero. Veniva così stimolato un moto (grazie alle provocazioni di certi agenti, a volte in borghese) che permettesse la sua repressione e giustificasse l’enorme massacro. Un rapporto del ministero della Razionalità al Capo Delegato Razionale della Polizia Carceraria, delucidò bene l’influenza e la funzione estremamente positiva di questi moti fasulli. Come succede per le foreste, a volte è necessario appiccare un fuoco per evitare che se ne appicchino altri. Infatti, oltre che uccidere milioni di detenuti (che 91 sarebbero comunque morti di lì a poco per mancanza di cibo), questo metodo selezionava automaticamente i detenuti più pericolosi e li eliminava. Inoltre, queste rappresaglie servivano di esempio agli altri detenuti, disincentivandoli dall’ imitare i loro predecessori. Una statistica del ministero della Razionalità Statistica dimostrava infatti che, nelle zone dove era stato recentemente represso un moto, c’era il 97% di probabilità in più che non ne accadesse un altro. Chiaramente questa probabilità scemava con il passare degli anni e di qui la necessità, messa in luce dal rapporto, di aumentare paradossalmente il numero di moti, per impedire che essi avvenissero. Di tutto questo in Americalta non veniva fatta parola onde evitare incontrollati stupori e disapprovazioni. Era infatti proibito ai galeotti comunicare con i cittadini liberi senza l’intermediazione di un poliziotto. I galeotti infatti, quando ricevevano l’ordine di un lavoro in Americalta, venivano forniti di un 92 silenziatore che veniva loro innestato in bocca. Questo silenziatore modulava le frequenze della voce per renderle ultrasuoni, quindi impercettibili ad orecchi umani privi di demodulatore. Chiaramente solo le guardie del sistema carcerario possedevano il demodulatore di frequenza che potevano azionare o disattivare per comprendere le proteste o le proposte dei galeotti. Capitava poi, a volte, che i galeotti (passando per strada in fila indiana) si divertissero a gridare ai cani di libere signore, i quali si impaurivano e scappavano via. Quando facevano ciò, le guardie si incattivivano con il fautore dello scherzo, picchiandolo, oppure picchiandoli tutti se il nome non riusciva a venire fuori. Si narra la storia della comitiva operatrice 5017 che fece scappare un cane, talchè la guardia addetta a tale comitiva (Frank Sullivan) ammazzò di botte tutti i prigionieri poiché nessuno voleva fare il nome del colpevole. Frank Sullivan scoprì, infine, di essersi dimenticato di 93 accendere il demodulatore di frequenza e che era quella la ragione per cui non aveva sentito le loro confessioni. Il poliziotto fu condannato dalla Razionale Inquisizione per aver ritardato ingiustificatamente i lavori di ristrutturazione della Banca Razionale Americana e fu a sua volta rinchiuso in Bassamerica. Lì, visse per circa due giorni prima di essere riconosciuto ed ucciso durante la notte. I colpevoli non saltarono mai fuori, ma il capo provinciale delle guardie decise di insabbiare tutto per evitare di finire come lo sventurato collega e lasciò che i detenuti si godessero la loro piccola vittoria. Da quel giorno fu inventata la canzone che divenne popolarissima tra i galeotti: “The Day of Frank’s Murder” , che non poté più essere cancellata dalla loro tradizione. 94 LO’ NG A casa di Jack D’Angelo viveva un drago. Sì, ormai erano almeno un paio di anni che lo teneva nascosto nel suo appartamento al riparo dagli occhi indiscreti. Lo teneva, quando Lòng glielo permetteva, in un piccolo anfratto che aveva appositamente costruito Jack con le sue mani, dentro il terzo cassetto dell’armadio in legno. Quello, sebbene ora cominciasse a diventare piccolo come nascondiglio, serviva nelle situazioni di emergenza in cui Jack riceveva ospiti o ragazze a casa: a costoro era infatti proibita la vista del draghetto. Bisogna infatti sapere che ad Americopoli i draghi e gli altri animali esotici portatori di irrazionalità (come gli unicorni, i karin, i grifoni etc, etc…) erano banditi categoricamente e chi veniva sorpreso in possesso di uno di essi, veniva considerato un sovversivo: in men che non si dica, la Razionale Inquisizione lo avrebbe processato e quindi condannato (“in base ai diritti 95 concessomi dalla Razionalità”) all’esilio dall’emisfero occidentale ed al confino nell’emisfero orientale (terra di barbari ed alienati). Jack conosceva bene il codice morale-penale, tuttavia quando gli fu proposto di barattare il suo vecchio medico-digitale con un piccolo di drago… Lui, Jack D’angelo, appassionato di draghi fin dall’infanzia, non seppe dire di no, anzi accettò al volo ringraziando il mercante clandestino. Ma quel drago, il cui nome era Lòng, non era uno di quei draghetti che era abituato a vedere nei suoi sogni programmati o nelle “vite virtuali”: non era docile e sensibile, o divertente ed accomodante. Invece, frustrato per l’essere impossibilitato a volare a suo piacimento nel cielo, era diventato stizzoso ed irascibile. Poi Lòng, comprendendo sempre di più il potere che deteneva ed il rischio che correva il suo padrone, era diventato man mano sempre più autoritario, comandando il padrone a bacchetta e 96 costringendolo alle più impreviste rivoluzioni di orario per accudirlo, raccontargli storie d’avventura sui perfidi cavalieri ammazza-draghi e via dicendo. Lo costringeva così a continui ed ingiustificati cambiamenti nell’orario di lavoro, gli impediva di vedere gli amici e lo portò perfino ad interrompere la sua storia amorosa che durava da circa un paio di anni. Se fosse stato per Jack, se ne sarebbe liberato al più presto, tuttavia egli non lo poteva vendere (perché rischiava di essere scoperto), non poteva parlarne , e , di ammazzarlo (sebbene ci avesse pensato un paio di volte), non ne aveva il coraggio. Continuava così a rimanere succube dell’unico elemento di irrazionalità nel mondo della Razionalità. Ultimamente, però, aveva cercato di far capire al draghetto (che parlava fluentemente la sua lingua) dei problemi che gli stava causando e degli scombussolamenti che la sua presenza apportava alla sua vita. Ma il draghetto, che ormai era bello che cresciuto (sia 97 fisicamente visto che misurava quasi un metro di lunghezza, sia intellettualmente) reagiva sempre in modi diversi ed incredibilmente adatti alla circostanza. Quando vedeva che Jack si sentiva solo, non era arrabbiato con lui, ed era pronto a compiangere se stesso, allora Lòng frignava come un bambino dicendo, con incredibile precisione, esattamente quello che Jack pensava di sé , spingendolo così ad una facile compassione, che si tramutava in un ancora più facile perdono. Quando invece Jack non era in vena di sentimentalismi, ed era invece irritato profondamente da un suo comportamento, il drago faceva finta di capire, ammettendo le sue colpe e scusandosi per tutti gli errori commessi (senza che questo, però, comportasse un minimo sforzo da parte sua di evitarli la volta successiva). Jack era, però, pronto a dimenticare ogni sofferenza, quando si godeva una bella avventura virtuale, seduto sul divano con il suo draghetto sulla pancia che 98 respirava piano, strofinandosi ai suoi vestiti. Bisogna poi sapere che i draghetti sono gli esseri con la pancia più morbida del mondo ed adorano farsi coccolare lasciandosela carezzare. Così, non appena Jack rientrava a casa, Lòng prendeva la rincorsa dal salotto per scivolare sulla schiena per tutto il corridoio e presentarsi immediatamente alle scarpe di Jack con la pancia pronta alle coccole del padrone. Alla vista di quella incredibile dimostrazione di affetto, Jack non poteva fare a meno di sorridere e di contentare subito il draghetto carezzandogli le squame morbide. Quella, comunque, fu una mattina particolare per Jack, molto particolare. Egli doveva infatti essere assolutamente al lavoro in orario. Era infatti sull’orlo di un’importante conferma di un suo progetto che, grazie anche agli sforzi del dottor Whithman, era in fase operativa da almeno un paio di anni. Whithman gli aveva telefonato per l’appunto il giorno precedente dicendo che era necessaria la 99 sua presenza, che il computer era arrivato a risultati apprezzabili , e che la biblioteca di Rational Luis era interessata allo sviluppo del progetto. Jack mise quindi la sveglia alle sette della mattina, ma fu svegliato alle otto da Lòng che si stava scusando per aver rotto la sveglia. Jack, resosi conto dell’estremo ritardo, aprì la finestra (come ogni mattina per aerare il locale), corse in bagno, si fece rapidamente la barba, si cosparse la faccia di sapone, si lavò i denti aspettando che l’acqua diventasse calda, poi si sciacquò la bocca, si pulì la faccia, si mise il dopobarba, si riempì di deodorante, per mascherare la doccia non fatta, si mise al volo i pantaloni di sobrio blu, la camicia autostirante, la giacca, la cravatta elastica, poggiò i piedi nelle scarpe ed agganciando al volo la sua ventiquattrore uscì dal suo alloggio. Ora, l’inverno, si sa, è la stagione degli amori dei draghetti ed il piccolo Lòng, infatuato dai bollori ormonali dovuti alla stagione, credette di intravedere una 100 graziosa draghetta che lo salutava da un grattacielo poco distante. Ebbro d’amore non pensò nemmeno un istante al rischio che stava facendo correre al povero e frenetico Jack che aveva, sventuratamente, lasciato aperta la finestra, e si lanciò nel vuoto. Fu una meravigliosa passeggiata sulle punte dei grattacieli, fino a raggiungere colei che credeva la sua amorosa draghettina e che, invece, non era altro che un avviso pubblicitario. Deluso d’amore, Lòng ritornò a capo chino dentro l’appartamento (e qualcuno riuscì benissimo ad identificarlo) di Jack D’Angelo. La finestra si richiuse dietro di lui emettendo un suono sinistro. BIBLIOTECA ETERNA Paul Whithman osservava il computer girare e la stampante emettere fogli, come sempre. Da anni ormai il computer continuava a stampare paginate e paginate, a volte senza senso, 101 a volte interessanti, a volte stupefacenti. Paul Whithman era un letterato, uno dei pochi laureati in Matematica applicata alla letteratura. Questa infatti era una branca alquanto strana nel Dipartimento delle Università Razionali e sembrava, alla maggior parte dei benpensanti, uno stupido rimasuglio di quelle vecchie facoltà umanistiche, giustamente abolite dalla saggia Razionalità. La Matematica applicata alla Letteratura era vista di cattivo occhio dalla società, ma sicuramente in modo minore che della Filosofia della Fisica, che era invece considerata il parcheggio per eccellenza dove sbandati, disadattati, facinorosi e perditempo sprecavano le loro facoltà razionali. Paul aveva avuto una ragazza che frequentava Filosofia della Fisica, tuttavia era stata arrestata per aver cercato di convincere un impiegato, con argomenti pseudo-razionali, che il mondo fosse irrazionale. Era una sovversiva e, tutto sommato, Paul non ebbe di che recriminare, alla luce di questa accusa. 102 Una volta, infatti, ci aveva provato perfino con lui, sostenendo che il mondo decideva a caso i propri stati ed altre castronerie di quella stessa fattura. D’altrond,e era una cosa comune: Paul pensava che ci fosse una predisposizione all’irrazionalità fra i frequentanti ai corsi di Filosofia della Fisica. Non sapeva se questo fosse dovuto ad una selezione naturale a priori, oppure ad una trasformazione dovuta al tipo di materia. Tuttavia, sentiva molto spesso parlare di studenti arrestati e a volte perfino di professori accusati di essere irrazionali e condannati all’esilio. Tuttavia, l’università frequentata da Paul non era così soggetta ad irrazionalità nascoste, era bensì semplicemente inutile, come tutte le cose inutili era affascinante, e come tutte le cose affascinanti si trainava dietro una serie infinita di pregiudizi e di stereotipi (nel bene e nel male). A volte infatti camminava sentendosi chiamare con l’appellativo dispregiativo di letterato: Eccolo il letterato! Ma di che cosa parla, lui? 103 Che ha una conoscenza matematica da quinta superiore! E via discorrendo… A parte queste uscite, Paul Whithman era sempre stato stimato e reputato uno tra i più innovativi e creativi scienziati nel suo campo. Si era laureato con una tesi di Laurea sulla ricostruzione della “Commenda” di Dante Alighieri sostenendo la rivoluzionaria tesi che il testo si intitolasse la “Commedia”. Ad avvallare questa sua teoria vi era un documento, ritrovato nella Biblioteca Razionale della Patagonia (biblioteca del carcere minorile e quindi rifornita da libri di secondaria importanza). Questa scoperta non fu accolta eccezionalmente bene dagli altri professori, specie i più dogmatici, tuttavia il tribunale della Razionale Inquisizione decise di non avallare nessun procedimento inquisitorio. Dall’uscita di quella laurea aad oggi, Paul Whithman non aveva creato che uno scandalo dietro l’altro, aumentando, di anno in anno, la sua fama nel campo accademico e 104 procurandosi, di anno in anno, nuovi nemici. Ogni sua azione era al limite tra la legalità ammessa dal codice morale-penale e, bisogna dirlo, se Paul Whithman era ancora in libertà, lo doveva certamente ad una buona stella che gli illuminava il cammino nei momenti di buio. E fu proprio quella stella, la sera di due anni prima, che gli aveva fatto balzarei balzare in testa un’idea che avrebbe rivoluzionato ogni idea di letteratura o biblioteca. Aveva chiamato subito il suo collega Jack D’Angelo e lo aveva incontrato in un piccolo bar di periferia quella sera stessa, alle dieci di sera. Jack lo aveva raggiunto trafelato, sporco di latte (gli era appena arrivato il Drago in casa, ma Paul non poteva saperlo). Paul aveva espresso la sua idea. - Un libro di centomila caratteri non è altro che il risultato di una disposizione con ripetizione di trenta elementi (l’alfabeto più qualche carattere di punteggiatura) raggruppati a gruppi di centomila.… Supponendo che un libro, 105 mediamente, contenga meno di un milione di caratteri, immaginiamo di lasciare che un computer provi ad eseguire tutte le possibili disposizioni in ordine alfabetico (partendo quindi da un documento di cinquecento pagine fatto di sole A, per arrivare ad un ultimo documento fatto di sole Zeta). Il computer, allora, avrà stampato anche tutti i libri di lunghezza minore uguale di cinquecento pagine. Ma la cosa più assurda è il computer avrà stampato non solo tutti i libri esistenti lunghi meno di cinquecento pagine, bensì anche tutti i libri che dovranno essere scritti e che saranno minori di cinquecento pagine. Ma la cosa ancora più assurda è che tra tutti questi libri ve ne sarà anche uno che racconta la nostra vita, anzi, ve ne saranno migliaia che racconteranno la nostra vita, persa in altre migliaia di vite parallele. Pensa ad una biblioteca che possieda tutti questi libri… - Capisco, Paul, ma saranno miliardi di miliardi di miliardi, non è possibile stampare, per esempio cinquecento 106 pagine di A… - E’ vero! E’ qui che entri in ballo tu! Tu dovresti creare un programma che riconosca le parole possibili da quelle impossibili ed autorizzi la stampa dei testi che sono completamente possibili. - Ma non faremmo prima a far girare, invece che delle lettere, le parole intere? Un libro può essere considerato anche come una semplice disposizione di parole esistenti nel vocabolario. - No… ci avevo pensato anch’io, ma io ti ho detto di riconoscere le parole possibili dalle impossibili, non le esistenti dalle inesistenti, altrimenti mi limiti ogni neologismo, ogni cognome, e non vi sarà più scritta la mia vita… I due avevano continuato un bel po’, l’uno discutendo sull’impossibilità del progetto e l’altro discutendo sui particolari della sua realizzazione. Fatto sta che quando ebbero finito il caffè che avevano ordinato, Jack D’Angelo era convinto del progetto ed era pronto a proporlo alla Commissione Razionale per l’Approvazione dei Progetti. 107 Ed ecco che ora che aveva appena ottenuto il consenso della biblioteca di Rational Luis per l’acquisto di tutti i suoi tomi, ora Jack era sparito, lasciandolo solo a lavorare per tutti e due. Paul Whithman ,sconsolato, prese un libro dal mucchio e lo sfogliò. Era discretamente corto, si intitolava: “Storie da due emisferi differenti”, ma cominciava come un libro di storia. Lesse le prime dieci righe, poi, annoiandosi per la banalità e la piattezza con cui erano stati riportati semplici dati storiografici lo chiuse. Passeggiò avanti ed indietro. La stampante continuava a sfogliare fogli. Ne stampava sessantaquattro in parallelo (purtroppo non avevano potuto permettersi niente di meglio). Il rumore della stampa. I fogli si sfregavano. Paul si avvicinò alla finestra per osservare l’ultimo stralcio di un tramonto precoce. Bussarono alla porta. Chi è? 108 La Razionalità. Paul Whithman aprì la porta: - Cosa volete nel mio studio nel dipartimento? Non fece in tempo a finire la frase che un Razionalizzante gli immobilizzò le mani lo girò contro il muro e gli mise le manette. - Allora? Dove sono? - Sono cosa? - Le irrazionali ingiurie sul Supervisore Supremo, i segreti di stato. - Quali ingiurie? Quali segreti? - Quelli scritti dal tuo computer. - Il mio computer ha scritto tutto! - Allora confessi! Portatelo via. Sbattetelo in Bassamerica, non lo voglio più vedere quaggiù! – poi, uscendo si girò verso un suo inferiore e sbraitò: - E questa roba… non la voglio più vedere! Disintegratela! Disintegrate tutto! Non possiamo permettere che un solo foglio rimanga integro. Distruggete anche il computer! – e così dicendo uscì fuori. 109 SUPERVISORE SUPREMO DELLA RAZIONALITA’ Era inverno, una di quelle giornate in cui il sole svanisce verso le quattro. Una di quelle giornate in cui il sole lascia che per qualche secondo ancora i suoi raggi si riflettano un ultima volta sulle finestre a specchio dei grattacieli bluastri immersi nelle nuvole e poi svanisce, dolcemente, come un sogno che si dilegua improvvisamente lasciando dietro di sé il freddo. Era una di quelle giornate in cui Jack era contento di trovarsi dentro la propria casa, con la luce soffusa e calda a godersi, sdraiato sul divano, le morbide coccole del suo draghetto che faceva le fusa. Era una di quelle sere in cui il buio ed il freddo sembrano spiare dalle fessure, dietro i vetri gelidi , e, attaccati ad essi, sembrano urlare, graffiare, per attirare l’attenzione, come belve feroci, pronte a sbranare ogni brandello di carne, mentre invece, al di qua del vetro, vi godete la calma ed il silenzio della vostra casa. 110 Lòng era più calmo quella sera, si strusciava, si faceva coccolare, come faceva quando era in carenza d’affetto oppure quando doveva farsi perdonare qualcosa. L’atteggiamento sospetto di Lòng, però, non turbò più di tanto la rilassata e distesa mente di Jack, finalmente sgombra di ogni pensiero. Era uno di quei brevi momenti in cui l’uomo riesce, per un istante, a spostare la propria mente dal passato o dal futuro e a diventare cosciente totalmente del suo presente. Era uno di quei rari momenti in cui l’uomo riesce finalmente ad assaporare a pieno la propria condizione presente, a cogliere l’attimo in cui nessun altro desiderio intercorre tra lui e la felicità. Finalmente Jack poteva assaporare quella sensazione. Quella superba e completa sensazione fu subito stracciata da un imponente squillo del campanello. Jack a malincuore spostò Lòng sul divano e si avvicinò al videocitofono. - Chi è? - La Suprema Razionalità – rispose un 111 uomo con lenti a contatto scure seguito da una mezza dozzina di uomini. Jack sbiancò improvvisamente. - State cercando me? - Lei è Jack D’Angelo? - Sì. - Il Supervisore intende parlarle. -Il Supervisore della Suprema Razionalità? Proprio lui? A Casa mia? -Abbiamo l’ordine di entrare. -Subito… subito… vi apro… - disse aprendo il portone del palazzo. Subito corse in salotto. - Long! Long! Dove sei? Fila nell’armadio! Fila nel nascondiglio! - Ora non ho… - Fila o qui è finita per tutti e due! Fila nell’armadio! Lòng, cogliendo finalmente l’urgenza dell’ordine, corse dentro la cuccia nel terzo cassetto dell’armadio, mentre alle insistenze dei Razionalizzanti Jack fu costretto ad aprire la porta. I Razionalizzanti erano un corpo speciale della Polizia utilizzato principalmente dalla Razionale Inquisizione. Tuttavia 112 ogni membro di spicco ne possedeva sei come scorta, pronti a morire pur di salvare il Supervisore. La loro divisa era completamente bianca fatta eccezione per i bottoni (neri) e le lenti a contatto (nere anch’esse). Il bianco, autopulente e quasi abbagliante, poteva però diventare mimetico ed adattarsi ai colori del paesaggio a seconda se la situazione fosse una parata, una visita di routine oppure se si trattasse di un’azione operativa. Le lenti a contatto, sebbene apparissero esteriormente nere, permettevano la visione normale, a raggi infrarossi, a rilevazione termica e a rilevazione di attività mentale. I Razionalizzanti erano il corpo speciale che faceva più paura, poiché erano addestrati a vincere sulle macchine. Se essi, infatti, fossero risultati meno efficienti di qualche uomo cibernetico, sarebbero stati immediatamente sostituiti. Erano invece stati addestrati per vincere qualsiasi tipo di uomo o macchina e proteggere in qualsiasi condizione. I maligni sostenevano infatti 113 che non fosse per la loro bravura che i Razionalizzanti non erano mai stati sostituiti con apparecchi cibernetici, ma fosse stato proprio per quel “in qualsiasi condizione”. Era, infatti, comune che un Razionalizzante potesse morire e, ad essere cinici, costava meno lasciar morire un uomo che un cyber-uomo, ma queste sono tutte ipotesi. Immediatamente entrarono nel corridoio due Razionalizzanti con il compito di controllare che la stanza fosse sicura, poi ne entrarono altri due accompagnando il Supervisore, e gli ultimi due rimasero fuori dalla porta, a controllare nessuno entrasse da dietro. I primi due Razionalizzanti presero Jack di forza (ognuno per un braccio) e lo trascinarono fino alla sua poltrona in salotto, dove fu messo a sedere forzatamente. Il Supervisore, vestito in nero, si avvicinò lentamente sorridendo. Non era affatto come Jack credeva: era giovane e non sembrava ringiovanito (l’operazione di ringiovanimento, infatti non era ancora perfetta e si riusciva 114 comunque a notare una lieve differenza tra giovani e ringiovaniti). Aveva una quarantina d’anni: che erano estremamente pochi per una carica così importante e potente come quella rivestita. Sul viso non aveva nessun segno particolare, la pelle era giovane, ben rasata, lievemente scura a causa del sole (oppure di una lampada). Era accuratamente rasata anche la testa, come predisponevano le leggi dettate dalla Razionalità e dalla Comodità Razionale. Sembrava un qualsiasi giovane funzionario, rigido all’etichetta e al bon-ton, rigoroso, ma semplice, sciatto, se non fosse stato per quei suoi occhi grigi particolarissimi che attiravano immediatamente l’attenzione e ristabilivano un certo ordine nelle gerarchie. Improvvisamente Jack si rese conto di come non era esteriormente pronto ad una visita del genere: non si faceva la barba dalla mattina stessa, e questa cominciava a spuntare, ma soprattutto non si radeva i capelli da 115 almeno una settimana, tanto che erano cresciuti sopra i due millimetri consentiti dalle buone maniere. Mentre pensava ciò, cercò di passarsi le mani sulla testa per sentire quanto erano alti i propri capelli, ma il suo gesto fu impedito dai due Razionalizzanti. - Non riusciamo a trovarlo, signore. – disse un Razionalizzante che si era un attimo assentato dal salotto per ispezionare le altre camere. Il Supervisore fece cenno con un dito al Razionalizzante di avvicinarsi e quando egli fu sufficientemente vicino gli bisbigliò alcune parole nell’orecchio. Quando ebbe finito il Razionalizzante si rialzò immediatamente e disse: - Compreso! – a lunghi passi si diresse verso la camera del letto. Jack sentì aprire l’armadio e poi cominciò a sentire la voce di Lòng che strillava: - Mettetemi giù, mettetemi giù o vi faccio vedere io… vi brucio… ora se … vi brucio! Senza prestare la benché minima attenzione alle parole del draghetto, il 116 Razionalizzante schioccò le dita ed uscì fuori, seguito dagli altri tre in fila indiana. Nella stanza rimasero solo Jack ed il Supervisore Supremo della Razionalità. Rimasero un attimo in totale silenzio a guardarsi negli occhi: quelli di Jack, esterrefatti, quasi increduli, quelli del Supervisore, invece, lucidi, calmi e sicuri. Accennò un sorriso dalla sfumatura quasi paternalista nei confronti di Jack. I MISTERI DI AVALON - Per dieci volte svolgi Main.life; Controlla vita; Se spada = attivata e Artù.init = vero, Allora associa a scenario 24. – Tom stava ancora finendo di dettare il suo ultimo programma al computer, quando il tramonto del penultimo giorno dalla consegna si esaurì. Aveva, da allora, ancora ventiquattro ore e non aveva nemmeno collaudato il funzionamento del gioco. Adesso aveva bisogno di uno scenario, uno scenario… uno scenario… guardò sulla credenza: 117 Esploratore Americano, Ingegnere Europeo, Architetto Africano, Contrabbandiere…. La mano rimase sospesa indecisa tra il barattolo denominato contrabbandiere e quello denominato ingegnere europeo. Optò finalmente per l’ingegnere europeo. Tutto stava, adesso, nel frugare nelle recondite memorie di quel cervello e trovare uno scenario adatto per l’ultimo atto del suo nuovo video-game: “I Misteri di Avalon”. Ormai infatti risultava inutile passare mesi a progettare uno scenario surreale, per poi passare altri mesi per renderlo credibile: i lavori di un tempo erano adesso completamente superflui. Prima che i video-giochi diventassero illegali, le avanguardie avevano già da tempo acquisito le procedure che permettevano di scaricare una serie di immagini e scenari direttamente dalle memorie di un defunto e di modificarle quel tanto che bastava ad eliminare ogni riferimento a persone o cose capaci di denunciarli per furto di immagine. 118 Così il laboratorio di Tom ora sembrava (più che lo studio di un programmatore) il laboratorio di un anatomista del settecento. Egli, infatti, conservava, in barattoli di vetro posti diligentemente sulla credenza, una notevole quantità di cervelli pronti all’uso. Da essi, poi, scaricava le immagini necessarie allo sviluppo del gioco, alternando paesaggi europei (pre-conflitto) fino ad arrivare a recenti cervelli orientali. Ad essi aggiungeva alcuni fotogrammi (invisibili a livello cosciente, ma percettibili a livello inconscio) atti a trasmettere messaggi subliminali all’utente. I video-game, però, erano proibiti in Altamerica ormai da qualche decennio. Cinquantaquattro anni prima, infatti, il Ministero dello Sfruttamento Razionale delle Doti Minorili mise ben in luce, grazie ad una ricerca avallata anche dal Ministero della Razionalità Statistica, come lo stupefacente sviluppo tecnologico avesse reso pressoché 119 indistinguibile la vita nel mondo reale da quella di un videogioco e ciò avesse quindi aumentato drasticamente i disordini giovanili, dovuti ad una desensibilizzazione nei confronti della violenza. Ben presto venne infatti emesso un decreto il quale vietava ogni videogame violento in realistic-mode (realtà virtuale totale). Successivamente, in seguito ad uno scandalo sui messaggi subliminali inseriti deliberatamente da alcuni programmatori per rendere i ragazzi dipendenti ai loro giochi, fu realizzato anche un codice che impediva severamente l’inserimento di fotogrammi non autorizzati (e quindi anche di messaggi subliminali) nei videogiochi. Poi il Ministero della Sanità Razionale diffidò dall’uso la maggior parte dei videogiochi in realistic-mode perché causa di tic nervosi e a volte nevrosi. Infatti i videogiochi in realistic-mode erano creati utilizzando memorie di defunti, a volte non autorizzate. 120 Capitava, infatti, che qualcuno rivedesse alcuni scenari caratteristici della propria città oppure (specialmente in caso di programmatori locali) rivedesse perfino la sua casa con un diverso arredamento (forse prima che vi si trasferisse). Incidenti di questo tipo accadevano frequentemente e spesso portavano ad una sovrapposizione dei due mondi, oppure ad una confusione tra essi, oppure, quando le memorie del morto cercavano di riprendere vita, ad una scissione tra uomo e protagonista del gioco. I bambini non riuscivano più a distinguere se stessi dal protagonista del gioco e a volte la conclusione era che l’uno viveva la vita dell’altro. Ben presto, quindi, ogni sorta di videogioco fu bandito. Le uniche forme di videogioco che rimasero in vita, furono i videogiochi educativi nei quali il soggetto, mentre svolgeva simulazioni di azioni moralmente utili all’umanità, apprendeva (grazie all’utilizzo di messaggi subliminali) notizie 121 storiografiche, matematiche, informatiche e fisiche. Ma poi anche questi giochi fallirono, cosicché le ditte di videogiochi chiusero definitivamente non meno di quaranta anni fa. L’unico programmatore autorizzato in tutto l’emisfero occidentale, rimaneva Tom. Il suo compito consisteva nel programmare un videogioco l’anno e consegnarlo (assolutamente entro il giorno prestabilito) al Supervisore Supremo. Egli non aveva obblighi o restrizioni di alcun tipo (sempre nell’ambito della civile razionalità si intende), non aveva limitazioni di denaro o di risorse, ma al tramonto del 21 Marzo di ogni anno, il Supervisore Supremo si presentava a casa sua con una scorta di sei Razionalizzanti e pretendeva il suo videogioco in una valigetta nera, una ventiquattr’ore chiusa, coordinata con il numero segreto 2 1 6 . Mancare a quell’appuntamento poteva 122 significare la perdita di ogni privilegio, nonché la reclusione in Bassamerica per frode alla pubblica Razionalità. Era l’unica scadenza che Tom aveva. Del perché il Supervisore necessitasse dei suoi videogiochi, Tom non ne era al corrente, e non se ne interessava. L’unica cosa che gli interessava in quel momento era finire i Misteri di Avalon prima del tramonto del 21 Marzo. Tom scaricò l’ultimo scenario. UNO SQUARCIO SUL PRESENTE “Diacroniche vittorie Risplendono Come perle di giada Perse nell’immensità” Jack: - Cosa vuol dire? Supremo Supervisore della Razionalità: Nessuno lo sa, mio caro Jack. Non in questo emisfero, almeno – precisò poi sorridendo. Poi, scorgendo segni di stupore sul viso di Jack, accavallò le gambe e continuò annuendo: SSR:Esatto, Jack: vengono 123 dall’emisfero orientale. J:- Ma io credevo… che insomma… fosse proibito… soprattutto per un alto funzionario come lei, il più alto! SSR (scuotendo la testa negativamente, ma continuando sempre a sorridere) : - No… no… a volte mi diletto anch’io leggendo le loro poesie, meditando sui loro buffi koan o bevendo i loro particolari tè bianchi… J :- Ma come? Credevo che i loro koan fossero pericolosi! SSR:- In un certo qual senso lo sono, Jack. Vedi, certe cose sono proibite agli uomini , pericolose per la società perché portatrici di malanni incurabili nei pensieri delle masse. Devi imparare, Jack, che essere civili significa limitarsi, e certi piccoli sacrifici sono necessari per il razionale svolgimento del mondo. Per questo abbiamo deciso un blocco così radicale tra i due mondi: loro non vogliono noi e noi non vogliamo loro. Nessuno dei due metodi di pensiero è giusto o sbagliato, ma ciascuno dei due è pericoloso per l’altro. Vedi, negli ultimi 124 anni il nostro emisfero si è andato sempre di più sviluppando tecnologicamente, mentre il loro interiormente. La tecnologia, la scienza, è andata sempre più decadendo nell’emisfero orientale, tanto che ora sono forse meno sviluppati tecnologicamente di quando sganciarono la bomba Z (ovvero quasi due secoli fa). La nostra industria tecnologica e bellica è ora talmente sviluppata che potremmo impossessarci in poco più di una settimana della totalità del loro emisfero e perfino ricollegare le due metà in un unico globo terrestre. J :- E perché non lo fate? SSR :- Perché? Be’, ci sono tante ragioni: la prima è che siamo finalmente riusciti ad instaurare un regime di perfetto ordine. Inglobare un’altra società come quella orientale mantenendo il regime che siamo finalmente riusciti ad installare, vorrebbe dire cancellare totalmente il loro passato, il loro modo di pensare, le loro religioni, la loro storia. Questo è impossibile, ci 125 costringerebbero ad ucciderli tutti e a radere al suolo ogni loro costruzione, distruggere ogni loro documento, ogni loro ornamento e poi ricostruire tutto ex-novo. Come puoi ben capire, risulterebbe inutile visto che l’emisfero orientale non ha più niente da fornirci riguardo a risorse minerarie, e soprattutto sarebbe più facile riorganizzare e colonizzare la luna, progetto al quale stiamo peraltro lavorando da decine di anni. J:- Cosa farete della luna? SSR:- Ma… per il momento stiamo solo facendo ricerche per analizzare tutti i materiali presenti nel sottosuolo. Se queste ricerche avessero esito positivo ( stiamo comunque parlando di processi che richiedono decine e decine di anni) potremmo trasferire la colonia penale lassù. J :- La luna in mano ad i criminali? SSR :- Sì, un po’ come abbiamo fatto per la Bassamerica, ma questa è comunque un’altra storia e molto lontana. Ti stavo dicendo: la seconda ragione per cui non 126 invaderemo l’emisfero orientale è perché esso è il luogo ideale dove spedire i rivoluzionari come te. Vedi, per tutti i crimini esiste la colonia penale, ma per i rivoluzionari no. E’ troppo pericoloso. Ciascun uomo che lavora nella colonia (e te lo garantisco personalmente) è e rimane comunque un bravo uomo, pentito dei suoi peccati, convinto di meritarsi la propria punizione. Assolutamente non penserebbe mai a ribellarsi alla propria condizione, proprio come Adamo accettò le parole di Dio quando lo cacciò fuori dal paradiso terrestre costring… scusa, mi ero dimenticato che tu non conosci questo mito. J :- E’ orientale? SSR :- No, era ebreo, poi divenne tipico di tutta l’Europa e si diffuse anche da queste parti secoli fa. J:- Europeo? SSR:- Sì, era un continente che andò distrutto dalla bomba Z. Era alla stessa altezza dell’Africa ( di cui ora rimane solo qualche piccola frangia). In effetti la terra 127 non fu divisa in due parti, bensì in tre, ma la parte su cui cascò la bomba, andò distrutta, per questo, per pura praticità continuiamo a dire che fu divisa in due emisferi. J:- Capisco, e come era l’Europa? SSR:- Il caos, Jack, il caos. Pensa che in poco più di un centinaio di anni avevano provocato tre guerre mondiali. Non credevano in nulla. Non esiste bianco, non esiste nero, per loro tutto era grigio e tutto era relativo ad un punto di vista. Per loro non esisteva l’assoluto. E poi le lingue…. In certi momenti parlavano più di venti lingue in un solo continente (ci pensi) e poi… poi erano troppi. Oh, scusa, ma abbiamo nuovamente divagato. Ti dicevo che l’emisfero orientale è il miglior modo di eliminare pacificamente gli spiriti sovversivi. Se uccidi un ribelle se ne formano altri trenta. Questo ci ha insegnato la storia. Ma se lo esili… Certo, poi se vengono ribeccati nella nostra terra, la pena è la morte, ma fino a quel momento gli sarà permesso vivere in luoghi selvaggi ed 128 avventurosi (che in pratica era poi il loro desiderio)… Certo rispetto a vivere in questo emisfero… non c’è veramente paragone, io preferirei persino vivere nella colonia penale… tuttavia l’esilio è il prezzo che devono pagare i ribelli, e quello sarà il prezzo che pagheranno. Ogni tanto ne parlo con L’Imperatore Orientale. Lui è l’unico a possedere un recapito telefonico (gliel’ ho fornito io in cambio di quel suo tè sopraffino). Vedi, io e l’Imperatore siamo in ottimi rapporti: una volta l’anno lui mi fa recapitare (attraverso un messaggero clandestino) un pacco di tè bianco raffinatissimo. D’altro canto io gli spedisco dei videogames o altri apparecchi della nostra tecnologia avanzata come video-telefoni, computer, a volte anche progetti per centrali nucleari. Tutto in perfetta pace ed armonia. Lui mi spedisce il tè ed io simulo che sia questo a mantenere la mia non belligeranza nei suoi confronti ed in fondo, molto in fondo, è vero: non 129 potrei mai privarmi per un anno intero di quel suo tè pregiatissimo, è quasi una droga. D’altronde questa è la stessa cosa che io faccio con lui: gli fornisco videogames contenenti messaggi subliminali, di modo che egli non possa fare a meno che continuare a giocare. Tutto sommato siamo dipendenti l’uno da l’altro. Dipendenti… forse complementari, come due emisferi del cervello: il sinistro (qui dove siamo noi) ed il destro (laggiù). Non esiste nessun cervello con un unico globo dove le funzioni dei due emisferi sono mischiate, come non esiste nessun cervello con un solo emisfero attivato. Questa è la verità: separati, ma presenti entrambi. J :- Ed io cosa c’entro? LA MISSIONE SSR:- Vedi, Jack, io non ti voglio male. Ma tu sei stato trovato con un draghetto in casa. Non stiamo parlando di una poesia, di una tecnica di meditazione o di un po’ di tè, stiamo parlando di un 130 animale! Un animale esotico trasportato di contrabbando, possibile portatore di malattie, possibile scatenatore di una qualsiasi insurrezione e, soprattutto, portatore di un alto coefficiente di irrazionalità (un draghetto può sfiorare punte del 90% di irrazionalità). Gente che ho incontrato nella mia lunga carriera è morta per molto meno vedendo che Jack si sta raggelando e sta diventando pallido, aggiunge:- Ma non è il tuo caso, Jack. J:- Ah, no? SSR:- No. Tu hai reso buoni servizi a questo mondo: la tua mente, sebbene forse troppo tendente all’irrazionalità, è comunque potente ed utile alla società. J:- Capisco. SSR:- Questo ti ha salvato ai miei occhi, ed io sono disposto a salvarti agli occhi di questo emisfero a tre condizioni: la prima è che tu lasci in mano nostra il tuo draghetto e prometta di non entrare più in contatto con ogni essere irrazionale. J(guardando per terra ed intrecciando le mani tra loro):- E… che ne farete? 131 SSR:- Non ti preoccupare, non morirà. Lo porteremo nel Parco Naturale delle Hawaii. Starà bene: c’è una zona riservata esclusivamente alle creature della sua specie. J:- Come Parco Naturale? SSR:- E’ una delle altre cose che voi non sapete… allora, accetti la prima condizione? J:- Sì. SSR:- Bene, ne ero certo. Ora passiamo alla seconda, che è di gran lunga la più importante. Il tuo pegno verso la società verrà riscattato se tu sarai pronto a farmi da corriere per questa valigetta. J:- Cosa… SSR:- Qua dentro vi sono i videogiochi dell’Imperatore e tu dovrai consegnarli per me. J:- All’Imperatore? SSR (sorridendo per l’ingenuità di Jack):No, non all’Imperatore. Tu dovrai portarli fino a Iced-end, nel sud dell’Antartide: laggiù dovrai consegnare la valigetta da solo ad un contrabbandiere “autorizzato” chiamato 132 Smokiza. Egli ti darà, in cambio, un sacco pieno di tè: tu dovrai prenderlo e riportarlo a casa tua. Verrà uno dei miei uomini a riprenderlo quando sarà il momento. Non vi sono pericoli, solo perdite di tempo. Dovrai assentarti qualche giorno, poiché i trasporti in Bassamerica non sono eccellenti. Dovrai anche fare uno spostamento di tre chilometri a piedi, all’interno di un campo, per un’interruzione di una linea. Non ti preoccupare, sarai scortato a vista dai Razionalizzanti. Poi, arrivato lì, non dovrai fare altro che seguire le istruzioni che ti saranno date. J:- Mi state dicendo di andare in Bassamerica? SSR:- Sì, sta a te decidere se andarci da turista oppure da carcerato (sempre che il Tribunale Razionale sia eccezionalmente clemente con te). J:- Da turista. SSR:- vedo che capisci al volo le mie argomentazioni. Per questo ho scelto te. Vedi, ormai è passato il tempo in cui si affidavano commissioni segrete ed 133 importanti ad energumeni forti, ma stupidi come macchine. E’ empiricamente dimostrabile che vi sono meno rischi che l’operazione fallisca se viene affidata ad una persona intelligente, capace di pensiero autonomo e convinta in ciò che fa. E tu, mio caro Jack, corrispondi perfettamente a questa richiesta. J:- La ringrazio. Il Supervisore Supremo si alzò porgendogli la mano tesa: - Sono io che ringrazio te e mi complimento con te per l’ottima scelta. Tieni la borsa – disse porgendogli la ventiquattrore chiusa. Quando devo cominciare? - Che discorsi sono? Da adesso, è chiaro! Ora io uscirò, aspetta dieci minuti e suonerà alla tua porta un Razionalizzante. Segui quell’uomo e buon viaggio. Il Supervisore Supremo si avvicinò alla porta, poi si girò, e sorridendo disse: - Ah, la terza condizione è che tu non mi hai mai visto, non hai mai preso nulla 134 da me e non hai mai fatto questo viaggio. Attento, perché potrebbe andarne della tua vita stessa. Detto questo uscì dalla vita di Jack. Jack rimase solo nella casa vuota con la valigia chiusa sulle ginocchia. Pensò a Lòng e fu sull’orlo di piangere un’unica lacrima calda, proprio come una madre, felice del destino del figlio, non può far a meno di piangere quando esso si separa da lei. Rimase così. Con la valigia sulle gambe, senza pensare a nulla. Con. Il. Vuoto. Nella. Mente. Per dieci minuti. Poi suonò il campanello. FRANK’S MURDER …. Kill! Kill! Kill! Kill! Death against their will! No more guys, not one I’ve seen From the Fifty-Seventeen…. 135 Cops! You can kill me Cops! You can shoot me Cops! Can’t go further ‘Cause I say: “ Warning!” We say: “ Warning!” That’s the day of Frank’s Murder… …. Cantavano, le schiene chine, mentre dall’alto i vestiti bianchi sorvegliavano in silenzio. Gli addetti alla sorveglianza in Bassamerica non erano Razionalizzanti, anzi, a volte erano detenuti, promossi per la loro buona condotta, oppure poliziotti che un qualche dipartimento voleva togliersi dai piedi. Non c’era effettivamente una grossa differenza tra lo stile di vita dei detenuti e quello delle guardie. L’unica differenza era che le guardie possedevano una pistola ed i detenuti una vanga e, mentre i detenuti vangavano, le guardie rimanevano con le pistole in mano, indecisi se anche loro dovessero usare il loro strumento o meno. Le guardie rimanevano a sedere discutendo, a volte fumando (contro 136 l’ordine della Razionalità Suprema) sigarette confiscate a qualche detenuto, oppure sorseggiando qualche bicchierino di liquido trasparente, prodotto anch’esso da galeotti che si erano tramandati da generazioni le ricette per quei liquori. Nella nuova società infatti non esistevano né liquori, né sigarette, né droghe di alcun tipo. Gli unici rimasugli erano rimasti nella Bassamerica, vuoi per i contrabbandi con l’altro emisfero, vuoi per i metodi permissivi delle guardie. Le Guardie, infatti, lasciavano alle popolazioni della Bassamerica questi piccoli divertimenti con i quali sfogarsi e nel quale perdere le proprie volontà. Le lasciavano deliberatamente, chiudendo un occhio su tutte le piccole infrazioni, a volte quasi incoraggiandoli. Era un modo come un altro per permettere loro di trovare un piccolo sfogo in qualche cosa e per essere certi di come passassero le sere di libertà. Proibire tutto (era stato infatti dimostrato dal ministero della Razionalità Empirica) era come dire: “Fate un po’ voi quello che volete la 137 sera” ed assicurava un minore controllo sia sulle loro attività fisiche, che, soprattutto, sui loro stati mentali. Invece, una politica lievemente permissiva, dimostrava subito i suoi vantaggi: lasciare un locale aperto, significava vederli tutti in quel locale, e lasciare che nel locale si servissero di sottobanco alcolici, significava vederli ubriachi tutti prima della fine della sera. Questo era il miglior modo per controllare le loro menti e tenerli stretti. In caso di sommosse, infatti, i locali venivano immediatamente chiusi, gli alcolici sparivano immediatamente dalla circolazione, e la gente cominciava a dividersi. Il Ministero della Tautologia Indiretta esternò un giorno una massima che divenne poi la politica del sistema carcerario: “Togli agli uomini tutto e non potrai più togliergli nulla”. L’idea implicita era quindi quella di lasciare loro qualcosa per poi toglierla, oppure di lasciar loro qualcosa per poi accusarli di averla. Era capitato più volte, infatti, che una guardia (alla ricerca di un pretesto 138 per picchiare a sangue un galeotto) riscoprisse improvvisamente l’illegalità degli alcolici e ne approfittasse per pestarne il possessore. Questo accadeva soprattutto a dicembre, quando il vero freddo cominciava a salire ed era necessario sfoltire le numerose file di galeotti. Era quello che chiamavano il regalo di Babbo Razionatale che, con le sue pistole tintinnanti, riempiva la sua slitta di sacchi pieni di cadaveri. Pablo continuava a zappare la terra fredda, dissodando e separando le pietre, mentre Olivier accanto a lui ansimava. Era il freddo, e le cattive cure. Pablo conosceva Olivier: era troppo magro per qualsiasi tipo di sforzo, soffriva d’asma ed era tanto gracile che ce n’era più d’ uno che aveva scommesso che non avrebbe superato l’anno. Uno di questi era Kent. Kent era una guardia dai dubbi requisiti morali, che un tempo viveva nell’Altamerica. Kent era figlio di due alti funzionari della Razionalità, tanto che essi, una volta scopertolo pazzo, supplicarono il Supervisore Supremo di 139 lasciarlo andare in Bassamerica come guardia e non come galeotto, per paura che alla prima provocazione di una guardia, egli reagisse immediatamente e venisse ucciso. Il Supervisore Supremo tentennò un poco, ma poi decise di accettare e lasciò che Kent diventasse una guardia temporanea nella linea in costruzione nei pressi di El Calafate. Kent, tutte le volte che passava Olivier, lo guardava come per dire “vedi di crepare in fretta, amico” e Olivier abbassavo lo sguardo. Sfortunatamente per Kent, Olivier non si decideva a crepare e l’anno stava ormai per finire, e così Kent decise di ricorrere ad una scorrettezza, proprio quel giorno. Quello era un freddo giorno di dicembre ed ormai, da una decina di giorni, i galeotti sapevano che Babbo Razionatale sarebbe venuto a far visita. I più svegli avevano anche arguito che il “Babbo” doveva aver pronto un regalino per il povero Olivier, ed i più furbi cercavano di starsene alla larga. Così, seduto sulla sua sedia dall’alto della recinzione, 140 finendo la sigaretta di contrabbando che si era procurato, Kent decise che Babbo Razionatale doveva cominciare a scampanellare con le sue renne e tolse la sicura alla propria pistola. Inserì il silenziatore. Poi si mise a mirare alla testa di Olivier. Il capo. Il cuore. Le…le gambe. I…piedi. Trattenne il respiro e premette il grilletto. La pietra di fronte a Olivier scattò via, scheggiandosi. Olivier si guardò attorno, vide Kent seduto con la pistola e, con una goccia di sudore che gli rigava la fronte, tornò in silenzio a raccogliere pietre. Kent corrucciò la fronte. Poi riprese la mira, trattenne nuovamente il respiro. Nuovamente una pietra si mosse accanto a Olivier. Egli fece nuovamente finta di nulla e continuò a raccogliere pietre. Kent ora era irritato, prese la mira e 141 sparò un colpo rapido mirato alla testa. Pablo cadde per terra con una pallottola conficcata in fronte. Olivier vide improvvisamente Pablo per terra. Kent sorrise pronto alla reazione ed inquadrò nel mirino la testa di Olivier. Non poteva sparargli prima che fosse insorto per non perdere la scommessa, ma poteva farlo immediatamente dopo. Olivier, tremante e piangendo calde e silenziose lacrime, continuò a raccogliere pietre, in silenzio per quasi dieci minuti. Ogni tanto gettava sguardi al corpo dell’amico per terra. Vedeva. Il. Sangue. Che scorreva. Sulla terra. Fredda. Il corpo morto in una contrazione di. Terrore. Stupore. Nel disinteresse. Nella noncuranza. Finchè non trovò la pietra giusta. 142 Olivier la prese in mano e con tutta la forza che aveva la scagliò verso Kent. Non fece in tempo a vedere cadere il sasso che una pallottola gli trafisse il cervello. Ancora oggi si chiedono, dopo quell’orribile massacro, come avesse fatto Olivier De Keyser a lanciare con una tale forza e precisione un sasso da una distanza simile. Tuttavia quel sasso raggiunse proprio al centro della fronte Kent, che cadde all’indietro e morì. Alla vista di quella reazione, una delle guardie, senza pensare a chi ci fosse nel campo, aprì il fuoco trasformando quel campo di lavoro in un’enorme massacro. I morti tuttavia furono per la maggior parte sorveglianti. La guardia che aprì il fuoco, infatti, sparò senza saperlo a cinque infiltrati razionali, in missione al fine di sobillare le masse e uccise solo tre galeotti. In compenso furono molti i feriti: una decina, tra cui un Razionalizzante che, per evitare che colui che stava scortando si ferisse, si 143 interpose tra il suo corpo e le pallottole, venendo ferito ad una gamba. Mentre la sua scorta gli cadeva addosso Jack pensava che sarebbe morto lì in quel campo di prigionia. MEDAGLIA AL VALORE Sven si aggiustò nuovamente il colletto, rendendolo perfetto. Nella sua divisa di Razionalizzante. Si guardò allo specchio. Nella sua uniforme. I bottoni neri. L’uniforme splendeva. Il bianco incredibile. Appena rasato (sia barba che capelli). Dagli occhi neri, una lacrima appena vista scivolò fino a rigare tutto il volto. Quella era forse l’ultima volta che si vestiva così. L’ultima volta dopo tanti anni, dopo tante missioni, dopo tanti colleghi che aveva visto cadere, dopo tanti uomini che aveva fatto cadere, dopo tante vite che aveva salvato, dopo anni di totale obbedienza. 144 Si sentiva come un cavallo da corsa ferito, con una gamba stroncata in due. Chissà dove sarebbe andato ora, forse dietro una scrivania a supervisionare i processi automatici dei computer, oppure come guardia silenziosa in una Banca Razionale, a non fare nulla, a sedere, a guardare la gente passare. Erano ormai quindici anni che non avveniva più un colpo in banca a viso aperto. Quindici anni da quella pazzesca rapina mai risolta. Tutto sommato, Sven rispettava quei ladri, capaci di rubare un milione di dollari sotto gli occhi di tutti, in pieno giorno, con la pistola in faccia al cassiere, protetti solo da una maschera. Entrare con il viso coperto, urlare, seminare panico: la guardia non riesce nemmeno ad alzare il suo culo grosso e flaccido che si ritrova una canna puntata alla tempia. Fredda. Insulti alla cassiera. Ordine di sbrigarsi. Erano rapine come non si usavano più da secoli, ormai. Eppure l’avevano fatto, 145 sorprendendo tutti e rubando un milione di dollari. A quell’epoca, non si rubava più così. Tutti i colpi (almeno i più grossi) avvenivano dalla casa di qualche persona (a volte senza che essa stessa lo sapesse): si accedeva alla rete globale attraverso l’abbonamento di un altro utente (rubato al database degli iscritti) e si cercava di penetrare il sistema informatico. Di solito i furti avvenivano di venerdì sera e nessuno se ne accorgeva (a volte nemmeno la banca). Essi infatti, quando vi riuscivano, penetravano nel sistema informativo lasciandovi un cavallo di Troia. Questo cavallo spiava il sistema automodificante cercando di carpirne qualche parola chiave. Dopo una settimana, sempre di venerdì sera, il ladro era pronto ad entrare in azione: per prima cosa prelevava il programma che vi aveva lasciato ritrovandoci tutte le password, poi provava le password finché non riusciva ad entrare dentro alcuni conti correnti. Una volta penetrato dentro, prelevava da ogni 146 conto corrente qualche centesimo (giusto per arrotondare tutti i conti) e, dopo aver prelevato mezzo dollaro da dieci milioni di persone, si creava un altro conto, in un’altra banca, smuoveva un po’ i capitali per perderne le tracce, poi li riportava a Panama, in un conto creato per l’occorrenza, e spegneva il computer. Poi si dirigeva verso l’aeroporto dove un aereo per Panama lo aspettava. Domenica sera alle 20.35 atterrava come turista nello Stato di confine di Panama, Lunedì alle 12.45 ripartiva accompagnato da cinque milioni di dollari, e da allora era sparito per sempre. Quando, il lunedì mattina, la Banca accendeva i computer e scopriva di essere stata derubata, i sistemisti e gli investigatori arrivavano facilmente alle seguenti conclusioni: il computer utilizzato risultava inesistente, l’abbonamento utilizzato risultava di un altro computer, c’ erano scarse probabilità di rintracciare il colpevole ed ancora più scarse che 147 qualcuno esterno denunciasse il furto. Così la Banca insabbiava tutto per evitare che si sapesse che le sicurezze implementate non erano sufficienti ed il ladro era via per sempre. Raramente era possibile rintracciare il colpevole e se invece era possibile, era un gioco da ragazzi. Ormai i Razionalizzanti Indagativi nelle banche svolgevano solo un lavoro di routine: controllavano tutto ciò che potevano controllare e quando avevano scoperto di non poter fare di più, smettevano. Forse Sven sarebbe andato lì a lavorare, a passare ore in silenzio davanti al computer, con un pacco di ciambelle senza colesterolo alla sua destra ed un barattolone di caffè alla sua sinistra, a passare ore a fissare lo schermo che si stampa sulla retina degli occhi. Forse era così che sarebbe andata a finire: Sven, pluridecorato, reduce da due sommosse di notevole importanza, reduce dal massacro di El Calafate, nel quale aveva guadagnato una medaglia al valore e nel quale aveva perso una 148 gamba, ridotto a controllare che il computer non sbagli nei suoi procedimenti. Questo era quanto. Ma ne era valsa la pena? Di distruggersi la vita, non poter più correre per salvare la vita di un uomo e la sua valigia. Ne sarà valsa la pena? Sperò solo questo, mentre, di fronte a centinaia di Razionalizzanti, gli consegnavano la medaglia al valore per essere sopravvissuto al massacro di El Calafate. COME OGNI ANNO Jack guardò l’orizzonte vuoto: riusciva a malapena ad intravedere l’altra sponda, nel vuoto assoluto, quando gli parve di vedere un punto all’orizzonte. Gli parve di vedere un puntino che correva verso di lui, a gattoni, correva veloce sulle passerelle, nere come lo spazio. Jack si girò: sotto di lui una vettura di Razionalizzanti lo aspettava. Lasciò silenziosamente che l’uomo 149 all’orizzonte si avvicinasse, borbottando, sbuffando, tutto paonazzo per lo sforzo, sudato. Lasciò che arrivasse sulla vetta, mentre il sole moriva dolcemente alle sue spalle. Lo vide cadere sull’erba fresca ed ansimare. Jack non voleva mettergli fretta, ma la visione di quell’essere deforme, primitivo, lo disgustava e gli faceva contorcere lo stomaco. Distolse lo sguardo e si girò indietro, come per dare al contrabbandiere quel tanto che basta di privacy per ricomporsi e rendersi presentabile. Jack pensava a come dovesse essere la vita in quell’altro emisfero, in un emisfero fatto di mostri e mostruosità e al solo pensiero che se non fosse per quell’occasione che gli era stata data, egli sarebbe finito in quell’incubo, rabbrividì. Dietro di lui, intanto, Smokiza si era rialzato e rantolava parole incomprensibili, visto che lo sforzo gli impediva ancora di articolare parole di senso compiuto. Alcuni si spiegavano questo strano comportamento da parte di Smokiza, sostenendo che egli possedesse due 150 respirazioni: la prima con la quale riusciva a parlare, che era quella comune a tutti gli esseri umani, e la seconda (sua propria) che utilizzava quando correva. Questa era profonda e capace: estremamente lenta, ma altrettanto potente. Con questa respirazione egli non riusciva ad emettere suoni comprensibili, ma solo lunghi sibili oppure energici botti e così continuava, finché non riusciva a cambiare di nuovo respirazione. Tuttavia, in quel momento, non era sua intenzione cambiare alcuna respirazione: egli voleva sbrigarsi e riprendere immediatamente il viaggio. Sentendo i sibili strani ed le esplosioni di aria improvvise, Jack credette che Smokiza stesse parlando in una lingua a lui sconosciuta e maledisse mentalmente il Supervisore Supremo che non l’aveva avvisato di ciò che doveva esattamente fare. Jack gli porse, con calma assoluta e mostrando bene i palmi delle mani, la valigetta. Aveva un grosso e finto sorriso, con il quale nascondeva una paura isterica. Poi, raccogliendo tutto il 151 fiato che aveva in corpo, cercò di imitare uno di quei sibili che uscivano dalla bocca di Smokiza. Smokiza rimase improvvisamente interdetto, poi guardò meglio Jack ed infine scoppiò a ridere fino al cadere per terra bocconi. Le risate echeggiarono nella valle per qualche secondo, sebbene a Jack paressero ore. Jack, quasi stizzito, porse nuovamente la valigetta, stavolta senza dire nulla. Smokiza la prese, la aprì, la richiuse e gli porse un sacco pieno di tè. Jack lo guardò, lo aprì, lo richiuse, e sorrise a Smokiza. Ma questi stava già correndo verso la carne di karin, correndo e piangendo, come ogni anno. Jack si mise il sacco del tè sulle spalle e girò lo sguardo nuovamente verso la razionalità. Il corriere aveva raccolto il pacco di tè. Come ogni anno. FINE 152 INDICE Aggiornamento storiografico………….2 Racconti dall’emisfero orientale Maudit………………………………...9 Musashi………………………………17 Le montagne innevate………………..25 Yin Zhen…………………………….29 La valle dell’Akasa……………………36 Prova di fede…………………………44 Jhala………………………………….53 L’Imperatore nel regno dei cieli……....59 La conca d’argento…………………...65 I sette consiglieri……………………..71 Smokiza………………………………76 Buon viaggio…………………………84 Racconti da Americopoli Introduzione………………………….87 Lòng………………………………….95 Biblioteca eterna……………………...101 Supervisore Supremo della Razionalità.110 I misteri di Avalon……………………117 Uno squarcio sul presente…………….123 La missione…………………………..130 Frank’s murder…………………….…135 Medaglia al valore…………………….144 Come ogni anno………………………149 153