Storie da due emisferi differenti

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Storie da due emisferi differenti
STORIE DA
DUE
EMISFERI
DIFFERENTI
Sisu
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Aggiornamento storiografico
La guerra non ci fu: sebbene la Cina e gli Stati
Uniti avessero già mobilitato i loro contingenti
armati sul confine in Europa, tutti sapevano che
non si sarebbe mai giunti ad un conflitto aperto.
I soldati cinesi e quelli americani si sarebbero
guardati un po’ più da vicino, ma, a parte
qualche insulto di troppo in lingue differenti, non
sarebbe successo assolutamente nulla (se non,
forse, l’allontanamento dai problemi di politica
interna che sconvolgevano ambedue le nazioni).
Tuttavia, qualcosa, in quella pratica ormai così
nota da non spaventa e più quasi nessuno, andò
storto.
Ormai perfino i libri di scuola confermano
l’ipotesi palese, quanto drammatica, che alla
base del conflitto ci fu un semplice, banalissimo,
disguido umano.
Un bottone. E’ facile premere un bottone: forse
un impiegato che sbadatamente aveva appoggiato
la propria tazza sul posto sbagliato, forse una
distrazione, una spinta da parte di uno sbadato,
forse un semplice congegno difettoso, o forse
un’azione premeditata da parte di uno di quei
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fanatici interventisti, fatto sta che dalla base
missilistica di Pearl Harbour partirono due
piccole testate nucleari che distrussero gli ultimi
resti di quella che fu la grandiosa muraglia
cinese.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Erano infatti almeno due secoli che i Cinesi
meditavano se staccarsi o meno dal globo
terrestre, e, con questo atto, la risposta fu
inevitabile.
La Cina mandò un ultimatum all’America e ad
i suoi protettorati: 24 ore per tutti i terrestri per
scegliere in che parte del globo vivere, poi la
Cina avrebbe fatto esplodere la bomba zeta nel
tombino di Danzica (un buco abbastanza
profondo da raggiungere quasi il centro della
terra). Da lì l’Europa sarebbe stata distrutta
totalmente, e poi…. ognuno per conto suo,
l’America con gli Americani, e la Cina con i
Cinesi… e poi basta! Niente più traffici, scambi
di idee, di merci o di opinioni, men che meno di
filosofie o religioni!
Che gli Stati Uniti si tenessero pure le
loro pseudo-razionaleggianti,
che
cercavano
ancora
di
dare
un’interpretazione deterministica del
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mondo dopo più di duecento anni dalla
scoperta
del
Principio
di
Indeterminazione di Heisenberg , che se
le tenessero pure, quelle loro filosofie di
derivazione europea, si tenessero i loro
Descart, Schopenhauer od i loro Kant…
e che non cercassero più di praticare lo
Zen o il Kung-Fu, infangandoli.
Che si tenessero quei panini molli ripieni
di cadaveri di mucca o di topo, si
tenessero quelle patatine intrise nell’olio
verde, che si affogassero da soli in
enormi piscine ripiene di quell’odioso e
vischioso ketchup, che decidessero pure
di vivere in quelle orride metropoli
nauseanti, ossessionati dalle carte Visa o
MasterCard, o dal conto in banca, che si
vendessero pure la propria vita per un
tozzo di pane, ma che non venissero più
a chiedere che lo facessero loro. Che si
tenessero le loro ipocrisie, le loro
contraddizioni e che non provassero mai
più ad esportarle!
Così urlava rabbiosamente il presidente cinese
girando attorno al bottone per l’azionamento
della bomba zeta.
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Gli Americani, dapprima, reagirono in modo
polemico sostenendo che non era giusto nei
confronti degli Europei e nemmeno nei confronti
degli Africani, infine ammisero che, per quel
poco che rimaneva dell’Europa quanto
dell’Africa, tanto valeva distruggerle, e decisero
di non interferire nei progetti cinesi. Così,
diffusero il comunicato.
Passate le ventiquattro ore, il presidente cinese
non aspettò un secondo di più, il dito si appoggiò
sul pulsante, lasciandolo scivolare giù. Uno
scatto e la terra si separò in due emisferi: una
metà da una parte, una metà dall’altra, separati
da un centinaio di chilometri l’una da l’altra.
Cento chilometri di vuoto assoluto, interrotto
solo da fili di lava che si stava solidificando,
improbabili passerelle tra i due emisferi, come fili
di formaggio che uniscono due pezzi di pizza.
“Già, ci mancherà la loro pizza”, pensò il
presidente cinese subito dopo aver staccato la
mano dal pulsante.
Le due metà di mondo proseguirono così su due
strade differenti, come se fossero su due binari
paralleli, uniti solo da sottilissime asticelle di
legno.
Ben presto comunicare divenne impossibile ,
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poiché le due frontiere erano controllate
regolarmente da sofisticate apparecchiature
radar.
Solo una stazione clandestina in una città
dell’Antartide, Sisira (emisfero orientale),
riusciva a rendere possibili comunicazioni in
gran segreto.
Coloro che gestivano le comunicazioni erano
contrabbandieri di piccolo taglio il cui losco
traffico tra i due mondi veniva gestito dal
leggendario
Smokiza,
il
più
noto
contrabbandiere di tutti i tempi.
Era così stimato perfino dai Razionalizzanti
della frontiera, che tutti erano sicuri che, se
anche una volta fosse stato beccato da uno di
loro, questi lo avrebbe lasciato andare, oppure lo
avrebbe incarcerato sotto altro nome per non
infangare la sua incredibile reputazione.
Erano anni però che Smokiza sosteneva di voler
finire la vita del contrabbandiere per ritirarsi in
un qualche meraviglioso e caldo posto
dell’emisfero. Tuttavia, sebbene queste
dichiarazioni continuassero ormai da diversi
anni, Smokiza andava avanti coi suoi traffici
(anche se sempre più saltuari) senza che nessuno
ne sapesse la causa. Forse la causa di questa
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prolungata permanenza era semplicemente il
fatto che cambiare vita per un uomo è sempre
un’impresa difficile, e lo è ancora di più per chi
ha avuto una vita straordinaria ed ammirata
come quella che aveva avuto Smokiz.
Comunque, a parte saltuarie comunicazioni, i
due emisferi continuarono il loro cammino isolati
l’uno dall’altro e palesandosi piano piano per
quello che erano: complementari! L’emisfero
occidentale aveva continuato infatti il suo
sfrenato sviluppo tecnologico, devastando gli
ultimi parchi ambientali e costruendo su tutto
l’emisfero occidentale, un’unica megalopoli:
America City. America City nacque seguendo
gli ideali che gli furono ispiratori: Razionalità,
Equilibrio e Rettitudine morale. In opposizione
ad America City, l’emisfero orientale rispose
abbandonando sempre di più le conquiste
tecnologiche. per progredire invece nel campo
della consapevolezza umana e dell’interazione
tra l’uomo ed il divino. Mentre un emisfero,
inneggiando alla razionalità, era riuscito
(almeno apparentemente) a creare una società
perfetta, basata sui principi della Razionalità e
dell’Equilibrio, l’emisfero orientale invece aveva
lasciato sempre di più che la società si
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frantumass,e finchè, dopo il “Grande Silenzio”
non fu decisa l’elezione di un Imperatore che
gestisse almeno vagamente i problemi terreni,
mentre i sudditi potevano tranquillamente
percorrere il loro lunghissimo viaggio interiore.
Dopo queste delucidazioni, si può ben capire
cosa portassero i contrabbandieri di Sisira: essi
trasportavano piante ed animali (ormai anch’essi
completamente estinti nell’emisfero occidentale)
da oriente ad occidente, in cambio di computer
autocaricanti, pile atomiche, ed altri strumenti
tecnologici che potevano essere utili nell’emisfero
orientale,che certo non aveva le competenze
necessarie a costruirli.
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RACCONTI
DALL’EMISFERO
ORIENTALE
MAUDIT
“… Potreste voi nel vostro viaggio,
capitare nel deserto occidentale: il
deserto dei Gobi.
Questa landa di ventura, rifugio di ladri,
banditi, tempio della distruzione
razionale, della prostituzione, della
violenza, del degrado…
Vedreste, persa nel deserto, Maudit. La
vedreste comparire così, all’orizzonte,
dietro una folata di vento torrido che
solleva la sabbia. La vedreste comparire
così nel nulla e vi ci avvicinereste per
cercare un riparo dal sole accecante e per
cercare conforto per le vostre labbra che
bruciano. Cerchereste conforto per i
vostri piedi affaticati e per la vostra gola
arida.
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Entrereste nella città e vedreste un
bailamme di uomini e donne,
ammucchiati tra di loro, li uni sopra li
altri, sporchi di sabbia e fradici di sudore,
per terra.
Ne vedreste alcuni nudi, boccheggianti,
sotto l’effetto di droghe sempre più
potenti, capaci di bruciarvi tutto il
cervello e portarvi per sempre a vivere in
un’altra dimensione, piena di torrenti
d’acqua e rigogliose valli. Una pasticca e
basta, per volare via verso l’infinito.
A volte ne arrivano anche di più raffinate
e costose, che potrebbero portarvi ad un
concerto di musica classica, dove sareste
voi a dirigere il coro della nona di
Beethoven, oppure in una cattedrale
gotica, a sentire le requiem di Berliotz, al
fresco, al riparo dal sole.
E mentre la vostra mente è via, il vostro
corpo rimarrebbe inerme a marcire e ad
ustionarsi al sole, vittima dei desideri
sessuali di qualsiasi pervertito.
Ma tanto, niente vi importerebbe più,
visto che il cervello se ne è andato per
sempre da qualche altra parte…
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La popolazione di Maudit vive
comunque di stenti: l’acqua è poca e
viene pagata in grammi di Devil’s
Dream. La Devil’s Dream è l’unica
pianta che vive da quelle parti: è una
pianta grassa, tozza, di modeste
dimensioni ma, soprattutto, è mimetica.
E’ quasi invisibile ad occhio nudo , ma
non al tatto, perché è spinosa ed i suoi
aculei si conficcano facilmente nella
pelle.
I raccoglitori di Devil’s Dream, infatti, si
rotolano per terra, confidando che gli
aculei si conficchino nella pelle e la
pianta si sradichi da sola (poiché, strano
a dirsi, le sue radici sono superficiali e
poco resistenti).
A volte però, le radici sono troppo
profonde e i Devil’s Dreamers ( i
raccoglitori) sono costretti a staccarla
con le dita, pungendosele (per questo si
possono facilmente riconoscere i Devil’s
Dreamers dal pollice e l’indice disfatti
dalle migliaia di cicatrici). La Devil’s
Dream è una pianta allucinogena di
scarsa fattura, chiamata così perché è
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attiva esclusivamente nel sonno,
rendendo i sogni estremamente reali e
vividi.
Si narra che i primi a scoprire la Devil’s
Dream furono dei monaci che, sperduti
nel deserto da centinaia di giorni,
decisero di lasciarsi morire lì. Quando
uno dei due si sdraiò, fu punto dalla
Devil’s Dream attraverso il sottile saio.
I due monaci si resero finalmente conto
di camminare da ore attorno a quelle
piante che ad occhio nudo non
riuscivano a vedere e, ringraziando il
Divino per la sua misericordia, si misero
a mangiare quante più piante riuscissero
a localizzare.
I due monaci si rifocillarono a sazietà,
ma, non appena fu calata la notte, la
pianta fece il suo effetto: uno dei due
monaci (il più sereno) fece, a suo dire, il
sogno più bello e reale mai visto.
Il primo disse, infatti, di aver incontrato
finalmente Dio e, appena sveglio, mentre
l’altro stava ancora dormendo, si mise
subito a pregare il Lode al Signore. L’altro
invece si agitava per terra, dapprima
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borbottando, poi gridando e gridando:
“Il Diavolo! Il Diavolo” . Il primo
monaco si spaventò e cercò di svegliarlo,
ma troppo tardi: il secondo monaco era
morto di infarto, tanto era convinto di
trovarsi di fronte al Diavolo.
Da quel momento la Devil’s Dream
divenne una prova divina di fede, con la
quale ogni giovane monaco doveva
cimentarsi, prima di essere totalmente
accettato nell’ordine.
Infatti, ogni anno, una ventina di giovani
monaci, provenienti dalle catene
montuose, si recavano a Maudit, per
scambiare la Devil’s Dream con acqua,
cibo ed a volte ( quando camminavano
veloci) perfino con piccole quantità di
ghiaccio conservate in piccoli contenitori
termici. (il valore del giacchio veniva
considerato fino a due volte maggiore di
quello dell’acqua).
L’entrata dei monaci nel simulacro della
dissoluzione, appariva agli occhi di un
qualsiasi turista come una scena dalla
sottile ed amara comicità. Questi giovani
monaci,
infatti,
camminavano
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arrossendo, a sguardo chino, emaciati,
cercando di non farsi vedere, mentre
lanciavano indiscreti e curiosi sguardi alle
orge accanto a loro. Cercavano di non
sentire gli inviti alla lussuria di puttane
ustionate che volevano divertirsi, ed
abbassavano ulteriormente lo sguardo
alle offerte di nuovi mondi. Tutti rossi in
viso, per la vergogna ed il caldo, essi si
dirigevano, sempre lentamente, verso la
sede dello scambio.
In passato era un maschio a dirigere lo
scambio, a misurare l’acqua, a controllare
il ghiaccio e a valutare il cibo, poi gli
abitanti di Maudit avevano deciso, per
puro divertimento, di lasciare che fosse
la più bella, eccitante e migliore amatrice
della città a concludere l’affare. La
ragazza si strusciava sulle carni del
monaco, eccitandolo, provocandolo e
così facevano altre con tutti gli altri
monaci. Gli uomini di Maudit, invece, si
divertivano
scommettendo
Devil’s
Dream (o a volte perfino acqua) sulla
fede di un monaco o su quella di un
altro.
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Mediamente, infatti, la fede di tre o
quattro monaci veniva sopraffatta dal
richiamo della lussuria ed essi decidevano
di abbandonare la vita ecclesiastica ed
unirsi per sempre alla vita dei
“maledetti”,
e
l’abilità
dello
scommettitore stava nello scoprire quali .
Capitava, poi, che qualche monaco
riconoscesse nella folla un compagno
che credeva morto. Questi, allora,
chinava lo sguardo, come se il pudore gli
fosse ritornato improvvisamente in
corpo, costringendolo a coprire la sua
nudità e, molto spesso, anche
un’erezione.
Poi i monaci se ne andavano via, carichi
di Devil’s Dream, proprio come erano
venuti: rossi, con il capo chino.
Qualche monaco pensava, a volte,
quando era solo e sdraiato nella sua
fredda cella sulle montagne, lontana dal
mondo, che non fosse la Devil’s Dream
la vera prova di rigore morale nella quale
il giovane si doveva cimentare, bensì
l’acquisto di essa in quell’ incredibile ed
affascinante, quanto triste e ributtante
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città, chiamata Maudit.
Dicevo, appunto, che potreste un
giorno, nel vostro lunghissimo cammino
verso l’Antartide, imbattervi nella città di
Maudit, potreste entrare sotto la volta
che ospitò santi e disperati, potreste
vedere le carni degli uomini e delle
donne contorte, aggrovigliate fra loro
come in un unico nodo, godere in un
unico gemito.
Potreste unirvi a loro in quel vortice di
lussuria, potreste lasciarvi risucchiare
finché la vostra linfa vitale non andasse
per sempre prosciugata, potreste
comprare, per pochi bicchieri d’acqua,
grosse quantità di Devil’s Dream ed
aspettare il dolce morire del sole per
fuggire in fantastiche vallate od in crudeli
rupi, oppure… Oppure potreste
continuare il vostro viaggio solo per
qualcosa, per qualcosa che non sapete
nemmeno voi, ma che vi chiama, da
lontano e vi infiamma il cuore. Potreste
andare via, lasciandovi la città alle spalle,
con la faccia verso il vuoto deserto,
verso nuove venture, verso nuovi e
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meravigliosi luoghi, nuovamente verso la
vita, o verso la morte, od entrambe,
forse. Potreste continuare l’incredibile
percorso della vostra vita, poiché voi
sapete che la staticità è l’unica morte e
voi non potete morire fintantoché il
vostro sacchetto è ancora pieno…”
MUSASHI
Il treno correva inarrestabile lungo i
binari infiniti, verso il sole che spariva
all'orizzonte, attraverso le vallate verdi e
le aspre montagne dalle cime innevate,
liscio ed inarrestabile il treno correva,
verso una meta ignota, come
un
viandante deciso nel suo percorso, senza
remore, senza mai voltarsi indietro a
gettare uno sguardo, senza rallentare di
un passo, senza mai chiudere gli occhi,
senza mai interrompere il respiro.
Musashi era silenzioso nel suo chimono
e guardava, di fronte a sé, il mondo che
passava accanto a lui senza sfiorarlo,
senza che si curasse minimamente di
cogliere, in quel mare di oggetti e visioni,
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la figura di un abete, di un cervo, di un
cacciatore, di una casa, di una baita o di
altro. No, non importava, lui aveva già
chiuso nel suo cuore tutto quello di cui
aveva bisogno.
Musashi stava percorrendo quello che il
suo maestro, Tamerlano, aveva definito il
viaggio di Yatu.
Tamerlano!
Subito gli saltò in mente l' aria chiusa e
calda dello studio di Tamerlano.
E i libri, i codici con i quali si circondava,
quei libri ormai scomparsi dal mondo,
nei quali leggeva ogni giorno e nei quali
scriveva con la sua penna ed il suo
inchiostro, strumenti ormai ignoti agli
uomini orientali...
Subito gli saltarono in mente i suoi occhi
azzurri come quelli di un bambino,
immuni dall'opaco velo della vecchiaia, le
mani secche e nodose con quel semplice
anello d'argento nel quale era incastonata
una pietra azzurra come il mare delle
barriere coralline; gli saltarono in mente
il suo naso lungo, i capelli bianchi,
lunghi, pieni di nodi e mal curati, la
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barba lunga e sottile, i due folti baffi e la
sua voce, calda, che si mischiava
omogeneamente al profumo del tabacco
della sua pipa, come se essa stessa avesse
un odore o l'odore stesso della sua pipa
avesse un suono, il suono della saggezza.
Quando Tamerlano gli parlava era come
se Musashi potesse avere di fronte a sè
tutto il sapere del mondo, milioni di vite
che avevano guardato lo stesso sole e
respirato la stessa aria che lui stava
guardando e respirando, come se il
passato si stesse unendo al presente ed il
tempo al non-tempo ed il finito
all'infinito.
“Musashi,” gli aveva detto Tamerlano
quando aveva saputo della sua partenza “
tu non stai solo andando a combattere,
tu non stai andando solo per essere
eletto, dall’Imperatore, suo consigliere.
Forse gli altri lo staranno facendo, ma tu
no. Tu stai ripercorrendo il viaggio di
Yatu. Yatu era un uomo di tempi antichi,
immemorabili, che vide il mondo e le sue
brutture, che vide gli errori degli uomini
e dei Consiglieri, che vide la fame, dentro
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Pechino, che vide l’Imperatore ridotto in
carne morta, che vide il Palazzo
Imperiale cadere a pezzi, e seppe di
essere stato chiamato a porvi rimedio. E
fu allora che egli fece un lunghissimo
viaggio in treno ( come tu farai )
sapendo…
Fece un lunghissimo viaggio in treno
sapendo di andare a combattere alla
Città Imperiale; fece un lunghissimo
viaggio in treno sapendo che il suo
destino sarebbe stato vincere e
risollevare poi le sorti dello stato.
Il viaggio di Yatu è il viaggio di chi sa già
di dover cambiare il mondo, di chi
conosce il proprio destino, ma prima di
urlarlo, aspetta, in silenzio, per un
lunghissimo viaggio in treno…”
Musashi sentì il corpo pervaso da una
sorta di nuova energia come da
un'ondata elettrizzante, come una diga
che non riesce più a tenere la forza
impetuosa del mare eppure resiste, ma
nulla traspariva dal suo sguardo,
imperscrutabile, dritto verso l'orizzonte.
D'altronde, Musashi era così.
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Era così quando si alzava all'alba e
andava in riva al lago per allenarsi,
quando ancora tutte le piante respirano
con il respiro profondo del sonno,
quando la nebbia comincia a diradarsi
sotto i primi raggi solari e l'acqua gelida
comincia a tingersi di rosa, quando gocce
di rugiada scivolano sul muschio
selvatico, quando le perle di vetro
sospese sulle ragnatele riflettono la prima
luce solare. Era così quando un orso gli
si avvicinava ed era così anche quando
doveva affrontare uno o più ksatriya nel
folto della foresta.
Il suo sguardo era sempre volto verso la
frammentata linea dell'orizzonte dove
volge il futuro, e possedeva una tale
profondità che vi si poteva intravedere la
forza dell’infinito.
Gli ksatriya erano per lo più figli di
guerrieri, figli o nipoti di soldati dispersi
nell'ultimo conflitto. Quando il mondo
improvvisamente si separò in due, gran
parte delle comunicazioni andarono
perse ed i contingenti spediti dal governo
Cinese, al confine, non seppero mai né
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della fine della guerra, né della
separazione della terra in due emisferi.
Nessuno riuscì mai ad avvertirli ed essi
continuarono per decenni a combattere,
a difendere avamposti, a tendere
trappole nelle foreste disabitate.
Ben presto, divennero espertissimi nel
mimetismo, insuperabili nella guerriglia e
nel tendere trappole; erano di una ferocia
incredibile verso i nemici e potevano
vivere per anni strisciando nella mota e
rosicchiando radici selvatiche.
Queste tribù vivevano ormai da decenni
nelle più fitte foreste di tutto il mondo,
staccati gli uni dagli altri, ma fedeli alla
patria Cina in guerra con gli Americani.
Molti di loro probabilmente erano evasi
da alcuni campi di sterminio europei:
infatti, fece notare un antropologo che
riuscì per un breve tempo a studiarli
prima di essere ucciso, le loro storie, che
si raccontavano le sere di quiete attorno
al fuoco, erano orribili storie sulla
prigionia e sulle torture inflitte a
prigionieri per costringerli a parlare.
Era forse per questo che impedivano a
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qualsiasi uomo estraneo di avvicinarsi ad
uno qualsiasi dei loro avamposti. Ed era
forse per questo che avevano paura ad
arrendersi, anche quando gli veniva detto
che la guerra era finita.
A volte Musashi se ne ritrovava qualcuno
di fronte, che magari l’aveva pedinato da
ore passando da un tronco all’altro,
senza provocare il minimo rumore, ed
adattandosi alla forma ed al colore del
terreno o della corteccia come un
camaleonte. Si accorgeva della sua
presenza solo quando poteva sentire il
suo respiro: allora non si scomponeva e
lo guardava con quei suoi occhi, quegli
occhi con i quali avrebbe potuto gettare
nella disperazione più nera il più forte dei
forti, quegli occhi che non avrebbero
fatto dormire il più crudele dei crudeli.
E quando lo aveva guardato così, lo
ksatriya gli soffiava sugli occhi: quando
Musashi li riapriva, egli era scomparso
per sempre.
Musashi portava quel nome perché così
lo aveva chiamato Tamerlano il mago.
Infatti era stato lui a trovarlo, da giovane,
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e ad insegnargli l’uso della parola.
Lo trovò un giorno, uno dei primi giorni
estivi in cui il sole risplende sull’erba
ancora verde al limitare della foresta,
vicino al grande masso su cui Tamerlano
usava meditare. Lo vide là, che danzava
una danza sconosciuta, al suono di una
melodia impalpabile che Tamerlano non
poteva sentire.
Danzava o combatteva? Tamerlano non
seppe dirlo, poiché quei movimenti
sembravano mosse di un’ arte marziale,
tuttavia la fluidità e la leggerezza con cui
venivano eseguite sembravano proprie di
una danza. Tamerlano non seppe mai di
chi fosse figlio Musashi, e forse non lo
seppe mai nemmeno Musashi: egli
sembrava invece una produzione
spontanea della foresta, come un elfo
senza età. Quando Tamerlano vide la
grande forza combattente del ragazzo,
non ebbe dubbi: il suo nome sarebbe
stato Musashi, in onore del guerriero
giapponese. Ben presto Tamerlano
rimase affascinato da quel ragazzo, da
quei suoi occhi neri e dalla loro forza
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espressiva, tanto che, quando arrivò il
Bando nella città vicina, decise che
Musashi doveva parteciparvi.
Quello, infatti, era l’unico modo per
salvare quell’ emisfero, per farlo ritornare
sulla retta via: Musashi doveva diventare
consigliere dell’Imperatore.
E, adesso, Musashi era su quel treno,
diretto verso il confine tra cielo e terra,
con un compito da portare a termine ed
il destino sulle sue spalle.
Era diretto verso la città imperiale, era
diretto verso la guerra, verso la vita o la
morte.
LE MONTAGNE INNEVATE
“…Continuate, continuate pure il vostro
viaggio verso la fine del mondo,
attraverso il deserto, troverete poi le
montagne, luogo di monaci e di
preghiera, dove ancestrali tradizioni
aprono la via dell’anima verso l’infinita
conoscenza.
Chiedete pure ai monaci di aprire la
vostra anima ai più profondi segreti della
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consapevolezza, chiedete pure loro di
aprirvi la mente.
Coloro potranno farvi salire fin sopra il
monte innevato, fino alla sua cima
d’argento. In cima al monte innevato,
esiste, infatti, un tubo d’argento,
lunghissimo.
Colui che si vuole buttare là dentro, avrà
l’impressione di cadere per sempre, per
un’eternità. Egli avrà l’impressione di
sprofondare nel vuoto per tempo
immemorabile .
Poi, quel precipitare, che gli era sembrato
eterno, finirà ed egli raggiungerà una
piccola valle nascosta dentro il monte:
una piccola valle piena solo di cristalli,
diamanti e cocci di vetro.
Questo è un paradiso in cui si narra
siano contenute tutte le anime degli
uomini. Ciascun minerale è un anima.
Un diamante è per un animo nobile.
Un coccio di vetro, per colui che ha
passato la propria vita a compiangere se
stesso. Forse, attraverso la trasparenza
del vetro, quell’anima potrà spostare la
sua attenzione sugli altri e compiangere
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un po’ anche loro.
Un cristallo per ogni ladro o assassino: la
loro voglia di reagire alla propria
condizione era buona, ma sbagliata era la
via. Il loro è un cristallo grezzo che non
sarà mai lavorato.
Cristalli di zucchero, per addolcire la vita
amara di coloro che, pur lottando con
tutte le loro forze, non sono mai riusciti
a vedere i loro sogni realizzarsi.
Un granello di sale per tutti coloro che
hanno avuto una vita piatta e scipita.
Un raggio di luce per i bambini morti
che non hanno avuto ancora il tempo di
peccare.
E tutte queste anime riposano dentro la
montagna innevata Sopra di esse, si può
rotolare, giocare, le si possono baciare, si
possono abbracciare, si possono
piangere, oppure si può semplicemente
aspettare in silenzio di diventare una di
loro: un cristallo tra miliardi, alla fine di
una lunga caduta nella montagna
innevata.
Ma voi non potete, non potete ancora.
Lasciate pure, se voi volete, che i monaci
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vi portino verso l’eterea pietra di cui è
fatto il sigillo che sarà vostro, lasciate
pure che quel blu intenso vi penetri negli
occhi e vi conduca, per qualche ora, nelle
valli infinite della conoscenza, ma state
attenti: essa è pericolosa. Attorno a
questa pietra meditano decine e decine
di monaci, che si lasciano morire
lentamente. La conoscenza è uno stato
dal quale è difficile poter tornare
indietro, ma voi dovete farlo.
Dovete farlo.
Quindi, lasciate pure che i monaci vi
insegnino tutto ciò che vi possono dare,
ma continuate il vostro viaggio, se esso
non è ancora finito, poiché forse non
siete ancora pronto, poiché ancora non
vi siete liberato da tutte le corde terrene
che vi legano a questa esistenza.
Mi raccomando, continuate il vostro
viaggio finchè il sacchetto è ancora
pieno…”
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YIN ZHEN (aghi d’argento)
Pechino in quei giorni era in subbuglio: i
mercanti erano in festa, i treni erano
arrivati, e gli aspiranti pure. Ce n’ erano
migliaia, che venivano da ogni parte
dell’emisfero. Chi veniva dalle valli
dell’akasa, chi dalle montagne innevate,
chi dalle città sottomarine, chi dalle
palafitte sulle risaie: tutti per rispondere
al bando, tutti per diventare consiglieri
dell’Imperatore.
Tutti per rispondere al bando, sì, ma
l’indomani. Quella sera invece… quella
era la sera delle evasioni! Quella era la
sera della baldoria!
Questa è La Notte!
L’ultima notte!
Né monache, né bigotte:
oggi esplode la vita,
come aria contrita,
che era repressa,
guardate che ressa,
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a bere e a fumare,
ballare e scopare,
la musica si è scatenata,
e vola, fatata,
attorno alla gente,
avviluppando la mente,
inebriando il cervello,
scoppia tutta in un ballo,
voluttuoso e sensuale,
ringhioso ed animale,
ora lento
ora violento,
ora veloce,
ora feroce!
E’ questa la notte
è questa la notte,
della fuga di ogni servitore!
E’ questa la notte:
la notte dell’Imperatore!
L’Imperatore lo avevano visto in pochi.
Viveva laggiù, nel suo palazzo, chiuso in
quelle quattro mura dorate, con le sue
30
concubine; qualcuno credeva, perfino,
che fosse morto qualche anno addietro.
Le porte del Cielo si aprivano infatti solo
una volta all’anno: subito dopo la
raccolta dello Yin Zhen.
Lo Yin Zhen era un tè il cui segreto era
stato tramandato da generazione in
generazione. Era un tè bianco, il più
raffinato dei tè bianchi, proveniente da
una raccolta imperiale, che veniva
raccolto solo un giorno l’anno, all’alba.
Originariamente esso poteva essere
raccolto durante le albe di due giorni,
nell’arco di un anno, ma il vecchio
maestro, che poi si incaricò di
trasmettere ai suoi successori le
procedure per la raccolta, soffriva di
tremende amnesie e quindi non riusciva
più a ricordarsi come si calcolasse questo
secondo giorno. Decise così di
insabbiare la faccenda sostenendo
ripetutamente che il tè poteva essere
raccolto solo un giorno l’anno, all’alba.
Quando lo Yin Zhen era stato appena
colto, l’Imperatore ne assaggiava, in
totale silenzio, una tazza sapientemente
31
preparata dal suo cuoco di fiducia
(rigorosamente della valle dell’akasa). Se
il tè era degno del palato regale, allora
l’Imperatore emetteva il bando.
Il bando era rivolto a tutti. Richiedeva
ogni anno la stessa cosa:
Un uomo valoroso,
di indubbie capacità fisiche,
di indubbia rettitudine morale
e di incontestabile fede nei confronti
dell’Imperatore,
è richiesto
per trasportare
un sacco di Yin Zhen
dalla capitale (Pechino)
alla cittadina di Sisira
e di riportare, da essa,
ciò che gli verrà consegnato.
Colui che
porterà a termine la missione
diventerà
consigliere dell’Imperatore
per sette anni.
32
La scelta del valoroso eroe
verrà eseguita
dall’ultimo consigliere
dell’Imperatore.
Questo era il bando, e la scelta avveniva
proprio sotto la porta principale del
palazzo imperiale: la porta del cielo.
Quaggiù, per cinque giorni, gli uomini si
sfidavano con lotte, duelli, sfide, a volte
mortali, picchiandosi, uccidendosi tra di
loro. Questa lunga sfida ininterrotta
appariva, adi occhi esterni, come una
massacrante guerra nel centro di
Pechino. Nessuno si avvicinava ai luoghi
dei combattimenti finché il sole non
fosse tramontato per la quinta volta.
Il
sangue
schizzava
ovunque,
imbrattando i guerrieri. Combattenti
stroncati al suolo, con le gambe
doloranti, boccheggiavano, sanguinavano
con la faccia a contatto sulla terra;
qualcuno si era ritirato nei cinque giorni
di massacro, qualcuno vi era morto,
qualcuno aveva aspettato in silenzio,
facendo finta di essere morto, che la
33
porta del cielo si aprisse per poi alzarsi
ed entrarvi.
Era in quella bolgia infernale che
Musashi si ritrovò, guardando il sangue
che gli macchiava il kimono, cercando di
difendersi dagli attacchi avversari.
Musashi si difendeva prontamente, e
ogni volta che riusciva a parare un colpo,
spezzava un dito del piede all’avversario.
Bisogna sapere infatti, che quando (dopo
cinque giorni e quattro notti di lotta
continua) le porte del cielo si sarebbero
aperte, solo coloro che erano rimasti
perfettamente
integri,
fisicamente
perfetti, potevano entrare.
Bastava quindi rompere un dito del
piede, per eliminare l’avversario. Ma
evidentemente non tutti la pensavano
così: la terra era quasi interamente
coperta dai corpi dei combattenti, caduti,
o uccisi. Non c’era momento in cui non
si sentissero gemiti, urla, a volte lamenti
di chi non riusciva a trascinarsi fuori dalla
battaglia.
Il sangue scorreva, si coagulava, unendo
ciocche di capelli: fetidi odori e miasmi
34
di morte si levavano dai corpi infetti e
putrefatti, tutto sembrava distruzione e
morte.
Distruzione e morte.
Alcuni, poi, non combattevano. Si
rintanavano invece sotto i cadaveri,
fingendosi morti anch’essi, aspettando
che la battaglia finisse, anche se non
sempre ci riuscivano.
Infatti, dalle torri del castello, centinaia di
cerbottane sparavano aghi argentati sugli
sfidanti abbattuti.
Aghi trafiggevano bocche, gole, occhi.
orecchie, ché nessuno potesse scampare.
E, chi scampava e veniva sorpreso dai
combattenti , e identificato come uno
zombie, veniva da essi torturato
crudelmente.
Ci fu un momento in cui Musashi cadde
davanti ad uno zombie, sopra alcuni
cadaveri..
Vide i suoi occhi aperti, mentre si
rintanava sotto un corpo.
Vide le sue pupille, tremanti di paura.
Il sangue del morto gli gocciolava sulla
35
fronte.
Lesse il suo terrore.
Vide la sua faccia.
Impaurita.
Una perla di sudore.
Sulla.
Fronte.
La battaglia.
Sembrava.
Lontana.
Come un’eco distante.
Un attimo che può.
Valere.
Una.
Vita.
Musashi si alzò di scatto e gli stroncò il
dito di un piede, poi corse via, con i
piedi che affondavano tra i corpi, attento
a non pestare gli aghi d’argento.
LA VALLE DELL’AKASA
“…sicuramente vi troverete, poi, a
camminare nelle foreste di Aranya nella
valle dell’Akasa ed è possibile che vi
imbattiate in uno yogalbero. Gli yogalberi
36
sono santoni secolari risalenti al “Grande
Silenzio”. Voi forse non sapete cosa sia il
“Grande Silenzio”.
Esso fu iniziato da un santone indiano
(Mahatma Tapasvin) il quale invitò,
ormai cento anni or sono, tutta la
popolazione di Est-Earth ad un’enorme
meditazione di massa. Alle ore 8 del 21
Marzo tutta la popolazione di Est-Earth
si ritirò mentalmente in se stessa, in
meditazione.
La meditazione era stata originariamente
programmata per durare esclusivamente
quindici minuti, ma almeno la metà degli
abitanti fu travolta incredibilmente nel
vortice meditativo senza che potesse più
uscirne. A nulla valsero le grida, gli
spintoni, i secchi d’acqua: non potevano
essere svegliati e si lasciarono morire
lentamente di fame.
Quello stesso giorno successe una cosa
ancora più sconvolgente: una centrale
nucleare (rimasta incustodita durante
l’esperimento) entrò in stato d’allarme
emanando radiazioni incontrollate.
Queste radiazioni investirono la vicina
37
foresta in cui si erano riuniti degli yoga
per meditare nella foresta durante i
quindici minuti del “Grande Silenzio”.
Purtroppo l’enorme quantità di onde alfa
emesse dagli uomini di tutto l’emisfero,
gettò anche loro nell’eterno silenzio,
impedendogli di rendersi conto del
disastro nucleare dovuto alle radiazioni.
Le radiazioni li investirono dolcemente,
senza turbarli.
Circa qualche anno più tardi, Boris
Yoshimoto (anch’egli un corriere) li
ritrovò nella foresta così come erano
rimasti tutto quel tempo: immobili, con
delle strane deformazioni agli arti che,
come una sorta di radici, penetravano fin
dentro la terra. I loro capelli erano
diventati verdi e tutto faceva pensare che
avessero sviluppato la possibilità di
produrre clorofilla.
Gli yogalberi sono ancora lì, nel loro
infinito sonno, ma a volte può capitare
che
uno
di
essi
si
risvegli
improvvisamente dalla sua meditazione e
si scopra imprigionato a vita in una
corteccia, ed allora cominci a gridare
38
aiuto, a piangere, a strepitare, a cercare di
muoversi senza riuscirci. Quando e se
dovesse succedere una cosa del genere,
l’unica cosa da fare è convincere lo
yogalbero
a
reimmergersi
nella
meditazione: solo questo può alleviare il
suo dolore.
Ma voi continuate a camminare nella
valle, non vi fermate, continuate il vostro
viaggio attraverso le valli dell’Akasa.
L’Akasa si chiama così poiché di notte il
colore dei suoi prati si confonde con il
colore del cielo in un omogeneo blu
luccicante sotto i raggi lunari.
Nelle sue praterie abita il Karin. Il Karin è
un animale assai strano, di quelli che non
abitano più dalle nostre parti: assomiglia
ad un elefante per la sua costituzione e
ad un ghepardo per il colore del manto.
Si dice che sia l’animale del Tao: egli solo
infatti è riuscito a riunire gli opposti
genetici dei suoi progenitori in un unico
corpo.
Il Karin è un animale grosso ed
impacciato, goffo e con enormi occhi, la
cui dolcezza non deve ingannarvi.
39
Di giorno, è un animale meditativo:
infatti quando il sole si fa alto nelle
praterie dell’Akasa ed il caldo si
condensa, appesantendo ogni suo
pensiero, decide di smettere di mangiare
e si siede goffamente sotto un albero
appoggiando la schiena al suo tronco
(questo spiega il perché nella valle
dell’Akasa la maggior parte degli alberi
siano sbilenchi). Così, al riparo dal sole,
egli si ritira in meditazione, almeno
finché il sole non cali quel tanto che
basta perché possa riprendere il suo
pasto. Il karin mangia erba di giorno, ma
non fatevi ingannare dal suo aspetto
pacifico:: quando il sole cala e si fa sera, i
geni del giaguaro riagguantano l’anima
del karin, facendolo diventare subdolo e
malvagio.
E’ nel buio della notte che il karin
dimostra tutta la sua malvagità, infatti si
dirige verso il centro abitato, quando
non c’è nessuno, e con passo felpato si
nasconde tra le case e aspetta la sua
preda.
Aspetta pazientemente e, quando un
40
uomo esce di casa, lo rapisce e lo porta
nelle praterie dell’Akasa, costringendolo
a falciare, per tutta la notte, l’erba che il
karin mangerà il giorno seguente.
I karin, in questi luoghi, sono considerati
animali sacri, per la loro carne divina, e
nessuno torcerebbe loro un capello:
sono invece loro che, giunti in prossimità
d’esalare il loro ultimo respiro, si
dirigono verso la città e si fanno uccidere
perché gli uomini possano mangiarli
Quando un Karin muore, avviene una
grande festa e tutta la città si riunisce in
un enorme banchetto (poiché vi è
comunque tanta carne che potrebbe
sfamare anche più di una città) e mentre
le vergini danzano, eserciti di cuochi
cucinano questo gigantesco animale su di
un enorme spiedo, conservato attraverso
generazioni.
Lo spiedo (che sarà lungo una trentina di
metri e spesso un paio) fu fabbricato,
prima che la città sorgesse, da mille
fabbri tra i più eccellenti della nazione al
fine di cucinare un karin morto.
Ci vollero quaranta giorni prima che lo
41
spiedo fosse pronto e, per questo
motivo, quaranta giorni prima del giorno
dell’ayas (anniversario dello spiedo) vi è
un giorno di preghiera per ringraziare le
braccia dei mille uomini che versarono
sudore per la costruzione dello spiedo.
Quando un karin muore, subito
cinquecento persone (i kastha) vanno a
raccogliere la legna necessaria alla cottura
abbattendo gli alberi secolari che
popolano la Aranya e mille cuochi
preparano, in centinaia di piccole
pentole, il brodo in cui va immersa la
carne di karin per renderla ancora più
deliziosa. I cuochi dell’Akasa sono di
gran lunga i migliori cuochi dell’emisfero:
perfino l’imperatore ne ha uno, che però
è costretto ad assentarsi per una
settimana ogni sei mesi, per partecipare
ai preparativi.
L’uomo più importante della città, laggiù
nell’Akasa è l’agninarah ovvero colui che fa
partire la scintilla.
Costui è un vecchio saggio che vive
digiunando e mangiando esclusivamente
carne di karin fin dall’età di cinque anni
42
(ovvero quando sceglie di intraprendere
la via dell’agninarah). Egli possiede una
torcia , accesa, secondo la tradizione,
grazie al fulmine divino. Il fuoco viene
fatto vivere perennemente grazie alle
continue cure nel tempio degli agninarah
(sebbene si sospetti che un paio di volte
la fiamma si sia spenta e che la fiamma
odierna sia stata accesa con un volgare
accendino).
L’agninarah,
insomma,
accende la benzina che subito prende
fuoco ed alimenta la legna. Con una
vampata, il fuoco si accende, enorme
come un incendio, sotto gli occhi dei
bambini estasiati.
Ma voi non dovete fermarvi: non
assaggiate la carne di karin, perché,
sappiate, che, una volta assaggiata, se ne
è diventati succubi, e si è costretti a
restare nella città, o a tornare ogni volta
che muore un karin, perché non si potrà
resistere di fronte alla possibilità di
mangiarne . Potrebbero passare anche
anni, ma appena saprete che accanto a
voi vi è della carne di karin, non potrete
resistere, farete qualsiasi cosa per averne
43
ancora.
Io stesso, io stesso feci quell’errore e
stavo per compromettere tutta la
missione, la libertà del nostro
emisfero…Adesso sono costretto a
tenermi lontano dalla carne di karin,
perché non saprei contenermi. Mi
raccomando: non fermatevi in città per
nessuna festa, non mangiate la carne che
vi porgono, bensì proseguite il cammino,
poiché il vostro sacchetto è ancora
pieno…”
PROVA DI FEDE
Solo coloro il cui fisico era rimasto
perfetto, immacolato, dopo i cinque
giorni di battaglia, avevano il permesso di
entrare nella porta del cielo, avevano la
possibilità di lavarsi e di dormire un
giorno ancora.
Poi arrivava l’ultima scelta: la prova di
fede.
Musashi era lì, in coda, dietro ad altri
duecento e davanti ad un altro centinaio.
Era dentro il castello Imperiale, nel
44
giardino. Si era appena lavato, ed aveva
lasciato che le carni, tese e disfatte per lo
sforzo, si fossero riprese. Si era poi
sparso il corpo di un particolare balsamo
di una fattura così raffinata che ne
possedeva solo il magazzino imperiale.
Questo balsamo sembrò rinvigorire i
muscoli così come il sonno sembrò
rinvigorire la mente. Aveva, infatti
dormito poco, nei cinque giorni di lotta:
si era per lo più nascosto fra i cadaveri,
quindi con il terrore di essere scoperto,
oppure di essere trafitto dagli aghi
d’argento. Ma questo era passato. Ora
era un giorno splendido, la luce
splendeva
sui fiori rosa che
profumavano l’aria, e il ronzio delle api
turbava appena la quiete assoluta che
regnava nel palazzo. Concubine trafelate
si sporgevano da dietro le colonne,
spiando i giovani guerrieri che si
apprestavano a passare la prova e
ridacchiando tra di loro. Qualcuna invece
si chiudeva gli occhi quando uno di essi
si tagliava un dito, e veniva, per questo,
schernita dalle altre.
45
L’ultima prova consisteva infatti nel
tagliarsi di netto un dito per provare la
propria fede verso l’Imperatore. Il
consigliere leggeva ad alta voce:
“ l’Imperatore ti ordina di tagliarti un
dito per dimostrare la tua fedele
obbedienza alla sua parola. “ Poi, forniva
all’esaminato un’affilato coltello.
Qualcuno si ritirava ancora prima che la
domanda gli fosse posta. Di solito, il
pretendente si ritirava quando , diventato
esiguo il numero di coloro che lo
precedeva riusciva a vedere il sangue che
schizzava ovunque: In genere, però,
coloro che si ritiravano erano gli stessi
codardi che si erano finti morti all’inizio
del combattimento.
Altri, invece, si troncavano il dito di
netto. Alcuni, senza pensarci, si
troncavano l’indice della mano sinistra,
così come quando si affetta una carota.
Il consigliere allora rispondeva “La tua
fede è forte, ma ora tu sei inabile, non
possiamo più prenderti con noi”.
Altri si tagliavano il mignolo della mano
sinistra ed allora il consigliere rispondeva:
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“Per il tuo Imperatore non sacrifichi
altro che il dito mignolo della tua mano
sinistra? La tua devozione è bassa, non
possiamo prenderti con noi”.
Altri, alla richiesta, si ribellavano ed era
capitata più di una persona che avesse
provato a costringere il consigliere a
sceglierlo con la forza. Ma, di questi
uomini, la maggior parte moriva prima
di aver finito la propria minaccia, il resto
subito dopo.
L’enigma posto dal consigliere sembrava
insolubile a Musashi, come sembrava
insolubile alle altre duecento persone
prima di lui, che piano piano si
amputavano una mano, o si ritiravano, o
supplicavano e poi si amputavano, e via
dicendo.
Tutte le dita amputate venivano gettate
in un pentolone a lato del consigliere,
che si supponeva fosse il futuro pasto dei
cani imperiali: in realtà andava ad
aumentare la collezione di dita
dell’Imperatore.
L’Imperatore infatti ne aveva una stanza
piena, ma nessuno ne era a conoscenza a
47
parte lui e, ovviamente, i consiglieri .
Quella era la stanza della fede, in cui
l’Imperatore si ritirava, prima di
prendere importanti decisioni, e serviva
per ricordargli che migliaia di persone
dipendevano dalle sue decisioni.
Tuttavia erano anni che egli non vi
entrava , e, per le mancate cure apportate
alle dita, queste avevano cominciato a
marcire e putrefarsi come sinistro ed
ironico presagio intorno alla fede dei
suoi sudditi.
Musashi si avvicinò al consigliere. Il
consigliere era di origini meridionali, o
forse europee: la sua carnagione era
scura e la sua pelle coriacea come quella
di un uomo del deserto. Vestiva con una
tunica rosso vivo, aveva un piccolo e
sobrio cappello nero ed un mantello
rosso porpora, il cui colore era
chiaramente di origine varnese. Varna
era un’isola al Sud del Giappone che era
incaricata della colorazione di tutte le
stoffe imperiali. I colori di Varna erano,
infatti, incredibilmente vividi e così
resistenti, che nemmeno una vernice del
48
ventesimo secolo avrebbe potuto
resistere di più. Alla base di quella
tintura, stava nfatti, la mente geniale di
Pivan: un grassone che riuscì a ricavare
tutti i colori dell’arcobaleno da alcune
bacche selvatiche (che abbondano ei
boschi di Varna). Pivan vive ancora a
Varna, ed è arrivato alla veneranda età di
centoquaranta anni. Molti sospettano
che egli sia morto da tempo, ma che i
varnesi, per non perdere i privilegi
acquisiti dalla figura di Pivan, lo abbiano
imbalsamato e lasciato così come lo si
trova ancora: seduto a gambe incrociate
sul tappeto di casa sua, intento a
meditare.
Consigliere: “ L ’Imperatore ti ordina di
tagliarti un dito per dimostrare la tua
fedele obbedienza alla sua parola.”
Musashi lo guardò fisso negli occhi, con
quei suoi occhi neri, profondi come
l’abisso. Poi prese il coltello e, sempre
guardandolo fisso negli occhi, lo lasciò
cadere sul dito ind…
Fu fermato dalla mano del consigliere, il
quale gli sorrise, lasciò cadere il coltello
49
per terra e disse: “ L’uomo del bando è
stato trovato!” poi , a bassa voce “ Come
ti chiami, ragazzo?”
“Musashi.”
“Musashi è il nuovo trasportatore! Egli
ha superato la prova.” Subito nel
pubblico
serpeggiarono
voci
di
scontento: qualcuno chiese cosa avesse
fatto Musashi per aver superato la prova,
ma nessuno gli seppe rispondere.
Tuttavia nessuno protestò formalmente
e tutti se ne tornarono a casa, felici di
avere ancora dieci dita.
Il consigliere avvolse Musashi in un
mantello di velluto rosso, del colore
porpora dell’isola di Varna, e lo portò
dentro il palazzo.
Il
palazzo,
contrariamente
alle
aspettative di Musashi, non era eccelso,
anzi, era mal curato, in alcuni punti quasi
decrepito. Le mura erano sicuramente
testimoni di un epoca d’oro in cui erano
state splendenti, ma ora, di tutto ciò non
rimaneva altro che un ricordo sbiadito.
C’era odore di marcio, e in alcuni angoli
addirittura stava crescendo del muschio,
50
tanta era l’umidità. Lunghe crepe
dividevano le pareti. Gli affreschi che vi
erano disegnati erano ormai sfumati.
Non sembrava affatto rispondere alle
aspettative dell’invitato che, vedendolo
da fuori magnifico e splendente, si
immaginava
l’interno
altrettanto
sfarzoso.
Musashi chiese spiegazioni al consigliere.
“ Vedi, Musashi… così ti chiami vero?
Non è che non abbiamo soldi, è che
deve essere l’Imperatore ad ordinare una
qualsiasi ristrutturazione o pulizia.”
“ E cosa aspetta?”
“ Aspetta, perché ormai non vede quasi
più nulla… sì, l’Imperatore è diventato
ormai quasi cieco. Colpa di quei
maledetti videogiochi che gli spediscono
dall’altro emisfero. Lui passa giorni interi
davanti allo schermo, ed ora è diventato
miope.”
“ Cosa sono i… video giochi?”
“ Li vedrai, li vedrai: sono giochi di
un’altra tecnologia. Ora li fanno così
potenti che sono diventati vere e proprie
droghe, e una volta che ne hai iniziato
51
uno, non puoi più staccarti senza averlo
finito.”
“ Capisco… Ma… non potete fargli
portare degli occhiali?”
“ No, assolutamente! Un imperatore non
può portare gli occhiali, è l’etichetta…
anche se tuttavia non gli farebbe male…
va be’, dovremo solamente aspettare
che diventi cieco del tutto… allora ci
sarà bisogno di un altro supervisore alla
pulizia ed allora…”.
“ Scusa se ti chiedo un’altra cosa…”.
“ Sì, fai pure…”
“ Perché hai scelto me? Cosa ho fatto
più degli altri duecento?”
“ Niente…
mi eri simpatico.
Quell’enigma non può essere risolto da
un umano, solo da un mutante con sei
dita… ma, di quei mutanti, non ne
esistono più (credo che l’ultimo sia stato
Igor, il consigliere più vecchio) quindi da
nove anni i consiglieri si limitano a
scegliere esclusivamente in base alla
simpatia nei riguardi degli sfidanti. Non
c’è pericolo di sbagliare, tanto. Chiunque
abbia resistito per cinque giorni e cinque
52
notti e sia pronto a tagliarsi un dito, deve
essere per forza abbastanza forte per
andare fino a Sisira e tornare. Quindi
tanto vale scegliere a caso.”
Musashi sorrise, mentre percorrevano il
lungo corridoio, e mentre il suono delle
loro scarpe rimbombava nelle stanze
vuote.
“ Eccoci dall’Imperatore.”
JHALA
“… Continuando poi vi troverete sulle
rive delle acque di Jhaladhi, sull’estrema
punta della terra ferma. Laggiù, nella città
di Jhala, vivono solo pescatori. Sono
abituati fin da piccoli a nuotare, e
nuotano più veloci dei pesci.
Generazioni di subacquei hanno reso i
loro polmoni talmente capienti da poter
stare decine di minuti senza respirare.
Essi sono anche perfetti navigatori:
fabbricano le loro navi così come
Tharmas disse loro. Le forme dei loro
scafi non mirano a fendere l’acqua, bensì
ad assecondarla, a lasciarla scorrere sotto,
53
mentre loro volano, con le loro
imbarcazioni, appena sopra di essa.
Dico volano, perché sembra quasi di
volare, su quelle tavole. Il loro scafo è
mobile, e può essere modificato, per
sfruttare le correnti, per reggere le
mareggiate, oppure per diventare piatto
nei giorni di calma, e poter scivolare
ugualmente veloce.
Ma state attento: non tutti sanno guidare
tali imbarcazioni e voi meritate solo i
migliori guidatori.
Vi si presenteranno tre uomini.
Uno sarà grasso e basso, uno di media
corporatura e media statura ed uno alto e
allampanato. Essi sapranno già chi siete,
ma vorranno porvi un quesito (da sette
anni è sempre lo stesso):
Voi dovete andare in mare,
ma più di tre non ci si può stare,
chi di noi tre intendete lasciare?
Voi dovrete rispondere:
Se più di tre non ci si può stare,
io in mare non potrò andare,
perché solo voi tre potete guidare.
Essi vi sorrideranno e vi permetteranno
54
di salire sulla loro imbarcazione.
Sembra
una
formalità,
quella
dell’indovinello, eppure è utile: il
passeggero capisce subito che non può
contestare nulla nella loro barca e che
non dovrà toccare nulla o cercare di
guidare.
Infatti tutti e tre i navigatori sono
necessari per far andare la barca di cui
stiamo parlando.
L’uomo allampanato ha l’incarico infatti
di arrampicarsi sull’albero della nave,
montare ed aggiustare le vele quando lo
scafo è piatto e la nave in corsa. Grazie
allo scarso peso dell’uomo, la barca
continua ad andare e non perde
l’equilibrio.
L’uomo di statura media è il timoniere e
comandante: fornisce ordini agli altri due
ed ha una forza nelle gambe che
nemmeno l’onda più forte dell’oceano,
potrebbe staccarlo da quella posizione.
Pensate che a volte ho creduto che fosse
stato fermato con dei chiodi.
Il terzo grasso e goffo funziona da
zavorra. Impedisce che il vento faccia
55
ribaltare la barca ed è l’unico che,
saltando sul pontile, riesce a far diventare
lo scafo, da piatto che era, a fondo con
un unico colpo.
Questi tre uomini saranno la vostra
compagnia per tre settimane, ma state
tranquillo, non lo rimpiangerete. Essi
sono divertenti, freschi e vitali, vi
aiuteranno a passare il tempo, sfidandovi
in giochi di antichi marinai. Non vi
faranno mai mancare alcun cibo: il più
grasso è anche un ottimo cuoco ed il più
magro un ottimo pescatore (fidatevi: l’ho
visto pescare io stesso). Egli conosce una
melodia particolare che agli uomini
comuni non è dato sapere.
Egli si immerge con la testa nell'acqua e
la canta. Di li a poco i pesci più anziani,
più grossi, più prossimi alla morte, forse i
più tristi (i suicidi) saltano sul pontile
della barca in corsa. E vi saltano a
decine! Tanto che a volte sono costretti
a ributtarli in mare.
Grandi uomini i fratelli di Jhala! Dico
fratelli perché si narra che siano nati dalla
storia d’amore che ebbe Jhaladeva (il dio
56
dei mari) con Aniladevi (la dea del
vento). Nessuno a Jhala li ha mai visti
piccoli, nessuno conobbe mai i loro
genitori. Li vide un giorno un pescatore,
spuntare dall’oceano, dall’orizzonte,
come se fossero stati creati lì:
nell’oceano, su quella nave di loro
invenzione.
Si ambientarono subito nel posto e,
sebbene tutti gli abitanti del luogo
fossero dei provetti pescatori in apnea,
essi sembravano avere qualcosa in più di
tutti gli altri, che gli permetteva di
superarli sempre in maestria.
Vi dico che starete al sicuro se vi
affiderete alle loro mani, ma state
attento: essi sono dei bravi giocatori. Vi
faranno giocare, vi insegneranno un
gioco e vi faranno vincere, vincere e
perdere.
Vi faranno giocare sempre al loro gioco,
ma ricordate: anche quando vincete
saranno loro a farvi vincere!
Poi cominceranno scommettendo un
paio di pesci, contro i vostri due e li
perderanno.
57
Ne scommetteranno quattro contro i
vostri quattro, e li perderanno. Poi voi
avrete una mano fantastica ed essi
scommetteranno
la
loro
barca.
Cercheranno di far sì che voi
scommettiate il vostro sacco, per poi
barare e vincerlo. Voi non fatelo, poiché
il sacco non è vostro.
Essi bevvero una volta il tè e rimasero
avvinghiati ad esso, ma voi non potete
fare di più che offrirgliene una tazza a
testa, quando vi avranno riportato sulla
terra ferma. Una tazza a testa. Non di
più, né di meno. Mi raccomando, non
scommettete mai il vostro sacco.
Io stesso lo persi e fui costretto a rubarlo
a loro stessi la notte. I tre fratelli, per
punizione,
andarono
via
senza
aspettarmi, gridando che non avrebbero
mai più ubbidito all’Imperatore (ma
ormai era troppo tardi, erano diventati
dipendenti). Questo scherzo, però, mi
costò un ritorno solitario in una
barchetta naufragata. Ancora ricordo
quei mesi passati alla deriva, prima di
essere salvato. Il sole a picco sopra di
58
me, mentre cercavo con i miei vestiti di
fare una vela, ma la nave si muoveva
appena. Allora mi allontanai dal mio
corpo e con le pratiche yoga che avevo
appreso sulle montagne innevate, lasciai
che il mio cuore battesse il minimo di
colpi necessari per lasciarmi in vita. Non
so quanto rimasi immobile, sotto il sole,
senza acqua, forse mesi, forse solo un
giorno, poi mi risvegliai su una nave di
corrieri che stavano tornando dalle valli
dei Qokka. State attento mi raccomando,
poiché non tutti potrebbero essere
fortunati come lo fui io…”
L’IMPERATORE NEL REGNO DEI
CIELI
Musashi entrò nella stanza dei
ricevimenti.
La stanza dei ricevimenti, contrariamente
al resto del palazzo, sembrava ancora
ben curata: gli affreschi erano ancora
vividi, i tappeti non sembravano risentire
dell’usura secolare alla quale erano stati
sottoposti. La stanza era enorme e per
59
tutta la stanza erano sparsi … ciò che lui
aveva sentito solamente in alcune storie
che gli aveva raccontato Tamerlano: i
corpi imbalsamati dei precedenti
imperatori. Erano ovunque, ed all’inizio
Musashi aveva creduto che fossero
semplicemente degli alti funzionari
altamente riservati, poi, vedendo la loro
incredibile fermezza ed immobilità,
riconobbe meglio tra i vestiti i sigilli
imperiali. L’unica cosa che stonava
nell’ambiente
erano
tutti
quegli
apparecchi e quegli schermi ormai di un
altro tempo, e poi …non riusciva a
vedere l’Imperatore.
“ Sua altezza imperiale. Il nuovo corriere
è arrivato.” annunciò il settimo
consigliere.
“ Sì, sì… fallo sedere da qual…qualche
p-p-parte.” rispose un vecchio con la
faccia coperta da un casco che si agitava
dentro una tuta nera.
Musashi si sedette a gambe incrociate su
un cuscino anch’esso del color porpora
di Varna.
Il settimo consigliere gli si avvicinò
60
all’orecchio e gli sussurrò:
Si chiama realtà virtuale, fa parte dei
videogames che ti avevo detto, egli ora è
un cavaliere medioevale.
“No! …Bastard…Bastardo! Non avrai la
mia pelle! “ e l’ Imperatore, con
movimenti veloci, ma goffi si lanciò con
la mano verso il vuoto, poi ebbe come
un sussulto e rimase immobile per un
secondo. Dopo si tolse il casco dalla
testa e guardò la macchina spenta. Poi
vide il corriere e strizzò un occhio.
Musashi sorrise in risposta all’occhiolino
dell’Imperatore, ma lo sguardo di questi
si fece interrogativo e cupo: Poi strizzò
anche l’altro occhio, stavolta però
allungando anche l’angolo della bocca.
L’Imperatore sembrava un uomo
incredibilmente vecchio per la sua reale
età.
Egli infatti aveva una cinquantina d’anni,
ma ne dimostrava almeno un’ ottantina
piena. Aveva una faccia cordiale e
simpatica,
ma
che
ricordava
incredibilmente la faccia di un’idiota con
una paresi alla bocca.
61
Era continuamente soggetto a tic nervosi
,ed oltre che strizzare l’occhio ad
intervalli regolari, arcuare le sopracciglia,
e cambiare improvvisante espressione,
produceva frequentemente nuovi tic:
Musashi riuscì a percepirne almeno
un’altra decina nel corso della
conversazione, tra cui una lieve
balbuzienza ed una vistosa contrazione
della spalla.
Gli occhi dell’imperatore erano di un
bellissimo nero profondo, tuttavia era
talmente profondo che rimaneva fisso,
come se stesse mirando a qualcosa dietro
di lui e riuscisse a vedere attraverso il suo
corpo trasparente.
Musashi riuscì a trattenere a stento il
disorientamento
alla
visione
dell’Imperatore e per tutta la durata della
conversazione cercò di non fissare
troppo il suo sguardo sui suoi tic nervosi.
“Bbene…b-bene! Ah..ah..l’avevo l’avevo
sempre sostenuto io che sarebbe
capitato, capitato prima o poi “
l’imperatore, girandosi poi con aria
divertita verso i suoi sette consiglieri,
62
mostrò la bocca priva di denti ed indicò
uno dei sette con un indice tremante “
Che… che vi avevo detto? Prima …o
poi ce l’avreb-avrebbero fatt-ta… C-chi
è il p-più saggio qui? C-cosa v-vi dicevo
su-sull’esperienza? “ poi, girandosi e
ritornando seriamente cordiale, disse :
” S-sono f-finalmente l-lieto c-che una
donna s-sia r-riuscita a v-vincere i-il
c-concorso. C-complimenti.”
“ Grazie, Sua Altezza, tuttavia devo
deludere le sue aspettative dicendo che
sono un maschio.”
L’Imperatore trasalì.
“ U-un m-maschio? N-ne è s-sicuro?”
“ Sì. “ rispose Musashi mentre delle risa
soffocate provenivano da dietro
l’Imperatore.
L’Imperatore divenne rosso.
“ Mi scusi… come si chiama?”
“ Musashi.”
“ Mi scusi, Musashi.” poi girandosi verso
i consiglieri “ e voi, vipere! Ridete pure,
tanto prima o poi c-ce la faranno! R-ride
ben c-chi r-r-ride ultimo. E tu, settimo!
S-spiegagli tu t-tutto, q-quest’anno non
63
ho voglia. “
“ Ma, Eccellenza, l’etichetta…”
“ C-chi se ne frega d-dell’etichetta. Io
t-torno nel m-medioevo che era di
g-gran lunga più d-divertente.”
“Ai suoi ordini, Altezza. “ e così dicendo
il consigliere si avvicinò a Musashi,
mentre
il
vecchio
Imperatore
raggiungeva traballando la sua macchina
per la realtà virtuale.
“ Allora, Musashi… “ disse il settimo
consigliere con il tono di chi sta
frugando ancora nella propria memoria
per trovare il filo iniziale di un discorso “
Be’, fondamentalmente sai anche tu di
che cosa si tratta, no? Una volta ogni
anno viene raccolto lo Yin Zhen ed un
sacco di esso deve essere mandato al
Supervisore Supremo della Razionalità
nell’altro emisfero. Abbiamo già un
contrabbandiere, di cui probabilmente
avrai sentito parlare, Smokiza che è
pronto a farci da spola. Egli abita nella
città di Sìsìra. Dalla consegna di questo
tè, dipendono tutte le nostre vite. Infatti
, in questo particolare tè, è stato sciolto
64
un infuso inodore ed insapore di carne di
karin. Il Supervisore Supremo, ora,
dipende da questo tè, ne ha bisogno
psicologicamente e non ucciderebbe mai
il nostro emisfero per non rischiare di
rimanerne senza. Tuttavia se egli ne
rimanesse senza per un anno, la sua ira
potrebbe essere incontrollabile, potrebbe
anche distruggerci immediatamente:
questo è il problema. Ora tu puoi capire
l’importanza
della
tua
missione.
Dall’esito di questa missione, non
dipende esclusivamente la tua vita, bensì
la vita di tutti noi. Sei pronto, ora, ad
accollarti questa responsabilità?
Musashi guardò il consigliere con i suoi
occhi fieri e rispose: “ Sì, sono pronto.”
LA CONCA D’ARGENTO
“… Potreste poi trovare, proseguendo il
vostro cammino, la Conca d’Argento,
così chiamata poiché il ghiaccio là è liscio
come l’argento lavorato per la conca di
uno di quei antichi cucchiai che
utilizzavano in occidente.
65
Essa è un’enorme e liscissima valle fatta
di ghiaccio, nella quale il sole, senza
scalfire
la
superficie,
rimbalza
dolcemente e scivola solitario in questa
landa desolata.
Accanto a questa valle, si trova una
cittadina di pochi abitanti, i cui
progenitori risalgono a millenni addietro.
Questa città è stata costruita proprio sul
limitare della conca. Vi è infatti una
particolare piazza sacra agli indigeni, dalla
quale esce un buco che dà sulla conca di
ghiaccio.
Una volta che un uomo è scivolato in
tale buco, egli scivola inevitabilmente
fino al centro della conca e non potrà
più ritornare tra gli uomini. Bisogna
sapere che questi uomini credevano che
gli dei fossero costituiti di ghiaccio, e
dato che la conca era l’unico posto dove
il ghiaccio rimaneva eternamente, essi
credevano che fosse la conca la dimora
dei loro dei.
Per questo che, quando un uomo stava
per morire, ormai vecchio, lo lasciavano
66
scivolare nel buco della piazza,
dolcemente, lo lasciavano libero di
andare incontro al suo destino nella
conca, e lo lasciavano scivolare senza
viveri o coperte, in modo che la sua
agonia fosse limitata.
Lo lasciavano arrancare nella conca, nella
valle degli dei, dimora di tutte le anime,
affinché il suo corpo potesse morire più
vicino alla sua anima.
A volte, quando il moribondo non
riusciva a camminare, oppure quando la
morte lo coglieva all’improvviso, come
una folata di vento, e se lo portava via,
magari nel silenzio della notte, veniva
costruito un piccolo slittino.
Questa idea la ebbe per la prima volta lo
straniero Andersson, più di due secoli fa,
ed è proprio lui che lo costruiva apposta
perché vi si potesse poggiare il corpo di
chi si faceva scivolare così dal buco,
dentro la valle. Quando, sempre secoli
addietro, gli occidentali scoprirono il
villaggio, decisero di vendere gli slittini
Andersson perché perfetti e li
vendevano a bambini di tutti i paesi
67
(ignari del macabro scopo a cui quegli
slittini erano destinati).
Nel paese, invece, il nome Andersson era
diventato, per un palese processo di
metonimia, il simbolo della morte
nonché, a volte, perfino suo sinonimo.
Era frequente incontrare persone (e
forse voi lo sentirete) che si insultavano
dicendo:
Accidenti a te e che Andersson ti porti.
Bastardo figlio di un Andersson!
Ma egli non era un cattivo vecchio.
Parlava perfino la nostra lingua. Era solo
molto riservato.
Egli era l’unico che sia riuscito ad uscire
vivo dalla Conca, ma nessuno lo seppe e
nessuno lo saprà, laggiù. Infatti egli finì
laggiù da bambino quando prese una
botta in testa. Cadde in un sonno
profondo, talmente profondo che tutti
credettero che fosse morto. Fu così che
fu lasciato scivolare nella conca.
Quando si risvegliò, si ritrovò in mezzo
a tutti i cadaveri che il freddo aveva
mantenuto pressoché intatti. Egli visse
per venti anni mangiando i cadaveri che
68
la città gli buttava, coprendosi con le
loro interiora, riparandosi in buchi
sotterranei.
Per venti anni Andersson non provò
neppure a ritornare alla sua città natale:
aveva paura che una volta tornato
sarebbe stato considerato un reietto,
infamato dai propri genitori, disdegnato
persino dagli dei.
Decise invece di rimanere quello che era
nel cuore dei suoi genitori: un bambino
innocente, morto giovane, privo di
peccati.
Poi, un giorno, vide calare i cadaveri dei
suoi genitori e ne mangiò il cuore, quel
cuore dove era contenuta l’ultima figura
di quel bambino innocente.
E poi, ora che il bambino era finalmente
morto agli occhi di tutto il mondo, egli
decise di risalire la Conca, aiutandosi con
scarponi, le cui suole erano fatte di denti,
e con piccozze fatte di ossa lavorate.
Quando riuscì ad uscire la Conca, finse
di essere un turista straniero di nome
Andersson. Erano ancora pochi gli
stranieri che erano riusciti a raggiungere
69
quel luogo, ed Andersson fu accolto
come un eroe e poté ricominciare da
capo una nuova vita.
Tuttavia, credo che gran parte della sua
mente sia rimasta ancora lì, in quella
conca, e che gli sia precluso rientrarne in
possesso. Forse è per quello che decise
di fabbricare slittini sui quali appoggiare i
morti. Oppure, Andersson decise questo
pensando a tutti quei giorni maledetti in
cui avrebbe dato un dito pur di trovare
un tronco di legno in quella maledetta
Conca: ora aveva trovato un modo per
aiutare un ipotetico bambino che, come
lui, era finito ingiustamente nella Conca.
Io sentii questa storia dal suo
discendente
(anch’egli
falegname
fabbricante gli slittini mortuari) che me la
raccontò in cambio di un bicchiere caldo
di tè Olong.
Guardate pure la cittadina, riposatevi per
il lungo viaggio, godetevi pure il rosa
tramontare del sole dentro la Conca, ma
state attento la notte, quando dormite
nel vostro letto sicuro, poiché gli abitanti
di Hima (così si chiama la cittadella)
70
sono
ora
degli
xenofobi
ed
approfitteranno del vostro sonno per
derubarvi.
Aspetteranno che il sole sia calato ed
abbia finito di imporporare la Conca,
aspetteranno che il freddo abbia
allungato i suoi gelidi artigli e vi costringa
a ritirarvi sotto le coperte della taverna.
Aspetteranno che cadiate in un leggero
torpore, per entrare in massa nella vostra
camera, per spogliarvi di ogni vestito e di
ogni avere e per gettarvi nella Conca
nella quale morirete.
Nessuno slittino potrà allora salvarvi e se
voi morirete, forse anche noi tutti
moriremo. Purtroppo, questo, lassù ad
Hima, non lo sanno….”
I SETTE CONSIGLIERI
“ Imperatore, Imperatore, il corriere è
pronto.”
“ E’ pronto? B-bene. Ora… un attimo…
bastardo! Prendi questa. “
Il consigliere guardò Musashi e trovò
necessaria una spiegazione:
71
“ Molti pensano che l’Imperatore come
tale debba essere l’uomo spiritualmente
più elevato, così credevate anche voi,
vero Musashi? “
“ Mi dai del voi, ora?”
“ Sì, ora che avete accettato, sì. Avete
diritto al voi almeno fino al vostro
ritorno. Ma vi stavo dicendo che anche
voi credevate che l’Imperatore dovesse
essere l’uomo più spiritualmente elevato,
vero?”
“ Se devo essere sincero, lo speravo. “
“ Speranza inutile, se mi concedete.
L’Imperatore è chiamato per regnare,
per badare ai problemi materiali, non è
una guida spirituale. Capite la differenza?
L’Imperatore invece deve essere l’essere
più materiale e materialista, più fermo e
radicato sulla terra. Purtroppo, quello
che era stato un grand’uomo” disse
indicando l’Imperatore nella sua tuta
virtuale “ ora non è altro che un cavaliere
virtuale da quattro soldi…”
“ Settimo! T-ti ho s-sentito sai? S-sei
f-fortunato che sono proprio nel
m-mezzo di un c-combattimento,
72
altrimenti… prendi marrano!..”
“ Ora basta! Stai mancando di rispetto al
corriere Musashi! Esci subito da quel
videogioco! “
“ Ora! Ora e-esco… n-non vi
p-preoccupate e… e-e voi Musashi,
n-non vi offendete, è-è c-che ora s-sono
in un m-momento c-crucial… Eccoti qui
ti ho scovato, bastardo! Tieni questa! E
Questa! E Quest’altra! “
Il Settimo Consigliere si coprì il viso con
le mani per la disperazione, poi guardò il
Quarto Consigliere che fece un cenno
con la testa verso l’autoalimentatore. Il
Settimo annuì ed il quarto diede un
calcio all’alimentatore. Il gioco si spense
immediatamente e poi si riaccese dalla
schermata iniziale.
Immediatamente l’Imperatore si tolse il
casco:
“ Che è successo, chi è stato! Chi è stato!
“ gridò guardando tutti i consiglieri al
loro posto.
“ Uno sbalzo di tensione, sua altezza. “
disse
imperturbabile
il
Settimo
Consigliere.
73
“ Ah. “ replicò seccamente l’Imperatore
volgendo
lo
sguardo
verso
l’auto-alimentatore. “ Colpa di quel
Supervisione Soprano di… che mi da
materiale scadente… ma se mi fa girare
le palle… Zac… gli taglio la carne di
karin, poi voglio vedere… “ disse
ridendo l’Imperatore compiaciuto sia
della sua colorita espressione, sia del
potere nelle proprie mani. Poi
riscoprendo Musashi ancora nella sala dei
ricevimenti, divenne più serio e formale
“ Voi, allora, Musashi…v-voi a-allora?…
Sì! Voi avete, allora, deciso di portare a
termine l-la v-vostra missione. Primo?
Portategli il sacco. “
Il primo consigliere gli portò un sacco
in tessuto di canapa indiana, con una
doppia tracolla e lo montò sulle spalle di
Musashi.
“ Bene. Qua dentro si t-trova t-tutto,
t-tutte le nostre vite s-sono s-sulle tue
s-spalle” poi si girò soddisfatto verso il
Settimo Consigliere “ eh? Ques-sta che
mi d-dici? B-bella, n-no?”
“ Stupenda, sua altezza.”
74
“ D-dentro si t-trova il tè per il
Supremo…Sovrano etcc.., p-poi il
c-compenso per i f-fratelli Jhala e quello
p
p
e
r
Smo…Smo…Smo-quello-insomma.
Capito, mio prode Musashi? “
“ Ai suoi ordini altezza, ma… chi sono i
fratelli Jhala? Come farò a riconoscere
Smokiza?”
L’imperatore si girò disorientato verso il
Settimo Consigliere:
“ E già… come fa a riconoscerli?
M-mica
s-stupido
i-il…
Ah!!
Dimenticavo “ si rivolse nuovamente
verso Musashi e con aria seria e solenne
disse recitando:
“ Poiché tu, guerriero di nobile, hai
scelto di proteggere il tuo emisfero ed
hai dimostrato… d-dimostrato?… Ed
hai dimostrato fedeltà assoluta al tuo
imperatore,
io
ti
ricompenserò
nominandoti mio consigliere al tuo
ritorno e ti auguro… ti auguro… ti
auguro buon viaggio e… e… Ed in
segno della mia benevolenza ti
permetterò di ascoltare i sette consigli
75
che i miei sette saggi hanno da darti!
Ciascun consiglio riguarda la parte del
viaggio che loro hanno trovato più ostica
nel percorrere. Ascoltali dunque, mio
prode Musashi. “ e finito che ebbe il
discorso, non poté negarsi un gran
sorriso per essersi ricordato tutta la
manfrina per intero, mentre di solito
questa doveva essergli suggerita dal
Settimo Consigliere.
“
Allora ascolta ciò che il primo
consigliere ha da dirti:
SMOKIZA
“…Passerete Hima e camminerete per
tre giorni e tre notti, sempre dove cala il
sole. Lo rincorrerete nel lungo cammino
nella volta celeste, lo rincorrerete per
giorni, vedendo di fronte a voi solo
ghiaccio, mare e cielo ed una sola, piatta,
linea che li divide.
Dovrete sempre seguire il lungo costa,
procedere con il mare alla vostra destra:
questo è l’unico modo per non perdervi
la notte.
76
Questa è la parte più difficile, mio caro
Musashi, molti corrieri, centinaia di anni
addietro, hanno perso la vita nella ricerca
di Smokiza.
Non dormirete, se non il minimo
necessario per sopravvivere, poiché
altrimenti morrete di freddo.
La vostra acqua sarà il ghiaccio.
Il vostro cibo sarà lo zucchero di cui è
ricoperto questo vestito.
Camminerete succhiando il vostro
mantello,
nel
ghiaccio
eterno
dell’Antartide finché non vedrete,
all’orizzonte, una lunga catena montuosa:
il bordo del mondo.
Quando la bomba Z cadde nel tubo di
Danzica,
provocando
l’enorme
esplosione, la crosta della superficie
terrestre si rialzò e fiumi di lava
incandescente si raffreddarono creando
un altissimo bordo, chiamato il bordo
del mondo. Sono queste catene
montuose alte migliaia di metri, che
impediscono all’acqua di scivolare via per
sempre nello spazio, è a queste catene
che noi dobbiamo la nostra vita (per
77
questo esse vengono anche chiamate le
montagne della vita ).
Quando arriverete ai piedi di esse,
vedrete la fine del mondo e se non sarete
andato troppo lento, la vedrete all’alba:
quando il sole sorge sullo specchio del
mare e si infrange sui picchi innevati.
Ora siete arrivato: continuate a
camminare lungo il litorale e vedrete una
grotta (proprio dentro la montagna).
Entrateci e, se non siete sfortunato,
vedrete delle torce accese. Seguitele ed in
fondo alla grotta troverete una porta in
acciaio: una lega che non riusciamo
ormai più a fare.
Bussate e vi sarà aperto.
Vedrete muoversi una città sotterranea
illuminata di un colore caldo, di un
arancione
sicuramente
innaturale,
vedrete gente che corre, alcuni che
ridono, altri che danzano, altri, ubriachi,
che aspettano solo che qualcuno li porti
via. Ma vedrete anche signore, a volte
anziane, e bambini che giocano con
spade di legno.
Vedrete, nei negozi di questo mondo,
78
oggetti di cui non avreste mai sospettato
l’esistenza, di una tecnologia avanzata, di
una tecnologia di un altro emisfero: voi
siete nella città di Sisira.
Questa è la città del contrabbando: tutti i
suoi abitanti adulti sono contrabbandieri,
e tutti i suoi bambini presto lo saranno.
Essi si intrufolano di nascosto
nell’emisfero razionale, portando animali
e piante che prendono dalle terre del
nostro mondo, e ne tornano strisciando,
pieni di microchip, medici-digitali,
autoalimentatori e tutte le altre novità
tecnologiche che riescono ad arraffare.
Ciascuno di essi ha un suo modo
particolare per penetrare il sistema di
protezione, ed i loro sistemi sono
talmente preziosi e segreti, che nessuno li
conosce (nemmeno i figli). Solo in punto
di morte, il contrabbandiere decide di
rivelarsi ai suoi discendenti, perché
continuino la tradizione.
Solo uno non fa misteri del suo metodo,
poiché nessuno è talmente pazzo per
attuarlo: questi è Smokiza.
Smokiza nacque nell’altro emisfero, era
79
figlio, mi disse egli stesso, di due alti
funzionari della Razionalità, ma per la sua
deformità egli fu
mandato in
Bassamerica.
Smokiza
è
un
uomo
basso,
incredibilmente basso e peloso, ma le sue
braccia sono esrtemamente lunghe e
nodose. Un giorno, nel carcere minorile
della Patagonia, dove le difese della
razionalità sono più basse, decise di
scappare. Di notte, nel silenzio del
campo, egli sgattaiolò tra i letti, stando
attento a non respirare, e uscì dalla
finestra. Ci mise due ore ad uscire da
quella finestra, poiché essa era collegata
ad allarme azionabile con il movimento.
Lentamente, per quelle ore, strisciò
fuori dalla finestra, e quando l’alba stava
per sorgere, egli si arrampicava di già sul
bordo dell’altro emisfero.
Fortunatamente vide un passo montano,
e fu così relativamente facile per lui
portarsi in cima alla sua vetta. Con il sole
sulla testa, vide il nero vuoto sotto di sé,
un vuoto incredibile, lo spazio sotto i
suoi piedi. Ed una lunga passerella verso
80
un altro mondo.
Questa era uno di quei tanti fili di lava
che si erano solidificati durante la
separazione dei due mondi.
Una passerella di lava solidificata, larga
mezzo metro, e lunga cento chilometri.
Ma egli vi salì e camminò per circa dodici
giorni sulla passerella, con il vuoto sotto
di sé, dormendo raramente, con quel
poco di cibo che si era portato dietro e
quel poco di acqua che aveva. Camminò
nel vuoto, mirando l’altra sponda, che
sembrava sempre distante uguale.
Poi, però, un giorno arrivò al bordo. Vi
si arrampicò ed ora è dentro quella
montagna (la prima montagna che vide
del nuovo mondo) che vive.
Ora egli non cammina, corre.
Quella passerella è capace di percorrerla
in due giorni, con il carico addosso.
Egli sfrutta anche le mani, correndo,
come una scimmia, si china e corre, con
piedi e mani, veloce, sopra il baratro.
Nessuno ha la forza di eguagliarlo,
nessuno lo batte nella velocità delle
consegne.
81
Tutti prima o poi vengono beccati.
Ma Smokiza no.
Smokiza non potrà mai essere beccato,
poiché nessun Razionalizzante potrà mai
credere che un uomo si faccia cento
chilometri correndo, con le braccia e con
le gambe, su una passerella di mezzo
metro. Eppure egli lo fa. Per questo
l’Imperatore ha scelto lui.
Quando lo vedrai, e vedrai la sua faccia
brutta, la sua barba incolta, il suo
portamento animalesco, non crederai ai
tuoi occhi. Ma se poi guarderai bene, fin
dentro i suoi occhi, vedrai due perle di
giada verde risplendere e capirai che a lui
dovrai affidarti.
Consegnagli il sacco e mostragli il sigillo
dell’Imperatore (egli ha smesso da anni il
suo lavoro, lo compie solo per
l’Imperatore).
Lui ti guarderà, e si girerà verso la
passerella.
Poi ti riguarderà nuovamente, allora tu
mostra il pacco di carne di karin e digli:
Il tuo compenso ti aspetta, finito il tuo
lavoro.
82
Egli capirà cosa si nasconde dentro il
pacco e lo vedrai fremere, forse piangere,
forse diventerà quasi aggressivo, cercherà
di strappartelo, ma poi ritornerà in sé e,
piangendo, comincerà a correre sulla
passerella, con il sacco di tè sulle sue
spalle.
Tu scendi pure nuovamente nella città,
divertiti, goditi i piaceri della carne se
vuoi, riposa le tue membra nei loro bagni
così famosi, ma dopo cinque giorni
ritorna al luogo dove lo hai lasciato e lo
troverai lì, in piedi, ti porgerà un delicato
sacco pieno di oggetti di cui non riuscirai
a capire il funzionamento.
Tu prendilo.
Dai a Smokiza la sua carne di karin e
guardalo, se ti piace, sbranarla
piangendo.
Ma poi ritorna qua nella città imperiale e
ricorda: il tuo viaggio è solo a metà…”
83
BUON VIAGGIO
“ Ed-d ora c-che t-tutti gli altri han-no
det-to…”
“ No, sua altezza “ disse il Settimo
Consigliere “ io non ho ancora detto la
mia…”
“ A-allora d-dilla, c-che as-aspetti?
P-perché mi avete fatto int-interrompere
il gioco? “
Il Settimo Consigliere guardò Musashi
profondamente e disse:
“ Poiché tutti i pericoli di questo viaggio
ti sono già stati illustrati dagli altri
Consiglieri, io non posso fare a meno
che darti la mia Benedizione e
consegnarti questo “ disse, porgendogli
una collana.
Musashi la guardò. Era fatta in corda,
ma sebbene il collare fosse grezzo, vi era
attaccato un bellissimo ciondolo di una
pietra di un azzurro straordinario (che gli
ricordò l’anello di Tamerlano). Era un
azzurro chiaro come quello dell’acqua
84
limpida nei pressi di una barriera
corallina, era un azzurro come nemmeno
in cielo si può trovare. Lo strinse nella
mano e sentì un forte calore provenire
dalla pietra.
“ M-ma… n-non d-dovevo d-dargliela
i-io?…”
“ Cosa è ? “
“ E’ il sigillo del corriere, ciascuno di noi
ne ha uno uguale. E’ un amuleto,
fabbricato nelle montagne innevate dai
monaci più illuminati, con una pietra
unica. Ovunque tu andrai, questo
amuleto ti proteggerà. Vedendo quella
pietra (ovunque tu la porterai) tutti
capiranno chi sei, cosa hai fatto, oppure
qual è la tua missione. Solo gli stolti non
rispettano la sua sacralità . Solo gli stolti,
perché la strada di fronte a te è
illuminata. Andate Musashi, e tornate
presto. “
Disse il Settimo Consigliere e invitò con
un gesto i servi, perché aprissero la porta
intarsiata.
“ A-andate Mu-Musaci… e t-tornate
p-presto! “
85
Musashi si legò al collo la collana.
E con il sacco in spalla diede un ultimo
sguardo alla stanza, all’imperatore, ai
consiglieri, ai videogiochi, ai servi, agli
imperatori imbalsamati, a tutti, a tutti che
con il cuore sospeso lo guardavano
uscire. In quel momento i suoi occhi
sorrisero e quel sorriso si stampò nella
mente del Settimo Consigliere. Quei suoi
occhi si impressero indelebilmente nei
suoi pensieri.
Quando la porta si richiuse, il Settimo
Consigliere si girò e sorrise dicendo:
“Tornerà, tornerà come ogni anno. Ed
egli sarà il mio successore. “
Ora Musashi camminava verso il confine
tra il cielo e la terra. Aveva un compito
da portare a termine, ed il suo destino
sulle sue spalle.
86
RACCONTI DA
AMERICOPOLI
INTRODUZIONE
Dopo la divisione del mondo in due
distinti emisferi, il governo Americano
decise che era tempo di una profonda
ristrutturazione
nel
suo
sistema
produttivo (che si basava fino ad allora
sullo sfruttamento della manodopera
orientale a basso costo).
Decise così di sviluppare un nuovo
sistema, compatibile con il precedente,
ma fondamentalmente basato su tre
principi: quello della Razionalità,
dell’Equilibrio e della Rettitudine Morale.
Prima di tutto fu necessario abolire gli
ultimi stralci di religioni sopravvissute ai
secoli ventiduesimo e ventitreesimo ed
eliminare ogni rimasuglio di filosofie
orientali , di modo che la Razionalità
divenisse imperante. Per evitare che il
87
principio della razionalità fosse mai
contestato da sovversivi o rivoluzionari,
fu creata la Razionale Inquisizione
(tribunale speciale istituito per isolare i
soggetti irrazionali e filo-orientali). In
seguito fu stabilito un rigido codice
morale-penale (il cui nome derivava dal
fatto che - nell’occhio della Razionalità i due codici coincidono e sono
assolutamente rigidi, privi di ogni
elasticità se formulati correttamente). In
seguito fu necessario riformare il sistema
di produzione:
Lo sviluppo capitalista, che era, per sua
definizione intrinseca, portatore di
sviluppo ineguale, non si miscelava bene
(almeno
nelle sue caratteristiche
primordiali) con l’ideologia della massima
Razionalità. Così il governo di
Americopoli
decise
di
dividere
ulteriormente l’emisfero in due metà:
Americalta e Bassamerica. Americalta era
l’America dei cittadini liberi, ovvero dei
salariati e dei salarianti: dove la ricchezza
e l’opulenza si alternavano tra gli
imprenditori, i dirigenti e comunque
88
l’alto-proletariato. La vera manodopera
ed il basso proletariato vivevano invece
in Bassamerica.
Bassamerica era un’ enorme prigione
autosufficiente e finalizzata anche al
mantenimento dei bisogni primari
dell’Altamerica. In questa prigione
venivano rinchiusi a vita tutti coloro che
avessero infranto il codice penale per un
crimine qualsiasi (dal furto in un
supermercato, all’omicidio).
Fu così possibile un notevole
snellimento dell’apparato giudiziario che
si era
bloccato su casi di persone
defunte da ormai centinaia di anni.
Adesso, infatti, i processi venivano
richiesti esclusivamente per casi molto
particolari. Solo i rivoluzionari ed i
sovversivi non venivano rinchiusi in
Bassamerica e venivano invece giustiziati
o esiliati nell’altro emisfero a seconda
della colpa.
Controllati a vista da eserciti di poliziotti
(o Razionalizzanti), i criminali erano così
costretti a vivere in
comode celle
(singole o doppie a seconda dello stato
89
civile) nelle quali potevano perfino
riprodursi (sempre però a patto che non
infrangessero le regole dell’ordine e della
moralità definite dalla sorveglianza).
I bambini che nascevano durante questi
permessi
atteggiamenti
promiscui,
venivano considerati galeotti anch’essi
(come se fossero stati rei di un invisibile
peccato originale) e rinchiusi nel carcere
minorile della Patagonia.
Quando
qualcuno
dell’Americalta
richiedeva manodopera per un qualche
lavoro di manovalanza, avanzava una
richiesta formale al tribunale dell’Alta
Razionalità il quale esaminava la richiesta
e, se la reputava razionale, la sottoponeva
al Delegato Razionale in Bassamerica.
Costui spediva prontamente un’accurata
selezione di galeotti composta dai più
sicuri ed dai più docili tra coloro che
permettessero la maggior efficienza
combinata al minor disturbo verso la
classe superiore.
Ogni tanto però avvenivano dei
momenti di crisi: la manodopera non
copulava, si riproduceva poco, oppure
90
una carestia si diffondeva e mieteva
vittime oppure nessuno di Americalta
commetteva alcun crimine. In questi casi,
in cui la manodopera scarseggiava, la
polizia era costretta a condurre ferree
indagini nell’Americalta e pronti arresti (a
volte immotivati) come avvenne all’inizio
del nuovo progetto per la detenzione
criminale.
Avveniva, invece, che altre volte le leggi
Maltusiane sulla capacità massima della
Bassamerica si avverassero. Veniva così
stimolato un moto (grazie alle
provocazioni di certi agenti, a volte in
borghese) che permettesse la sua
repressione e giustificasse l’enorme
massacro.
Un rapporto del ministero della
Razionalità al Capo Delegato Razionale
della Polizia Carceraria, delucidò bene
l’influenza e la funzione estremamente
positiva di questi moti fasulli. Come
succede per le foreste, a volte è
necessario appiccare un fuoco per evitare
che se ne appicchino altri. Infatti, oltre
che uccidere milioni di detenuti (che
91
sarebbero comunque morti di lì a poco
per mancanza di cibo), questo metodo
selezionava automaticamente i detenuti
più pericolosi e li eliminava. Inoltre,
queste rappresaglie servivano di esempio
agli altri detenuti, disincentivandoli dall’
imitare i loro predecessori.
Una statistica del ministero della
Razionalità Statistica dimostrava infatti
che, nelle zone dove era stato
recentemente represso un moto, c’era il
97% di probabilità in più che non ne
accadesse un altro. Chiaramente questa
probabilità scemava con il passare degli
anni e di qui la necessità, messa in luce
dal
rapporto,
di
aumentare
paradossalmente il numero di moti, per
impedire che essi avvenissero.
Di tutto questo in Americalta non veniva
fatta parola onde evitare incontrollati
stupori e disapprovazioni. Era infatti
proibito ai galeotti comunicare con i
cittadini liberi senza l’intermediazione di
un poliziotto. I galeotti infatti, quando
ricevevano l’ordine di un lavoro in
Americalta, venivano forniti di un
92
silenziatore che veniva loro innestato in
bocca. Questo silenziatore modulava le
frequenze della voce per renderle
ultrasuoni, quindi impercettibili ad
orecchi umani privi di demodulatore.
Chiaramente solo le guardie del sistema
carcerario possedevano il demodulatore
di frequenza che potevano azionare o
disattivare per comprendere le proteste o
le proposte dei galeotti.
Capitava poi, a volte, che i galeotti
(passando per strada in fila indiana) si
divertissero a gridare ai cani di libere
signore, i quali si impaurivano e
scappavano via. Quando facevano ciò, le
guardie si incattivivano con il fautore
dello scherzo, picchiandolo, oppure
picchiandoli tutti se il nome non riusciva
a venire fuori.
Si narra la storia della comitiva operatrice
5017 che fece scappare un cane, talchè la
guardia addetta a tale comitiva (Frank
Sullivan) ammazzò di botte tutti i
prigionieri poiché nessuno voleva fare il
nome del colpevole. Frank Sullivan
scoprì, infine, di essersi dimenticato di
93
accendere il demodulatore di frequenza e
che era quella la ragione per cui non
aveva sentito le loro confessioni. Il
poliziotto fu condannato dalla Razionale
Inquisizione
per
aver
ritardato
ingiustificatamente
i
lavori
di
ristrutturazione della Banca Razionale
Americana e fu a sua volta rinchiuso in
Bassamerica. Lì, visse per circa due
giorni prima di essere riconosciuto ed
ucciso durante la notte. I colpevoli non
saltarono mai fuori, ma il capo
provinciale delle guardie decise di
insabbiare tutto per evitare di finire
come lo sventurato collega e lasciò che i
detenuti si godessero la loro piccola
vittoria. Da quel giorno fu inventata la
canzone che divenne popolarissima tra i
galeotti: “The Day of Frank’s Murder” ,
che non poté più essere cancellata dalla
loro tradizione.
94
LO’ NG
A casa di Jack D’Angelo viveva un drago.
Sì, ormai erano almeno un paio di anni
che lo teneva nascosto nel suo
appartamento al riparo dagli occhi
indiscreti. Lo teneva, quando Lòng glielo
permetteva, in un piccolo anfratto che
aveva appositamente costruito Jack con
le sue mani, dentro il terzo cassetto
dell’armadio in legno. Quello, sebbene
ora cominciasse a diventare piccolo
come nascondiglio, serviva nelle
situazioni di emergenza in cui Jack
riceveva ospiti o ragazze a casa: a costoro
era infatti proibita la vista del draghetto.
Bisogna infatti sapere che ad
Americopoli i draghi e gli altri animali
esotici portatori di irrazionalità (come gli
unicorni, i karin, i grifoni etc, etc…)
erano banditi categoricamente e chi
veniva sorpreso in possesso di uno di
essi, veniva considerato un sovversivo:
in men che non si dica, la Razionale
Inquisizione lo avrebbe processato e
quindi condannato (“in base ai diritti
95
concessomi dalla Razionalità”) all’esilio
dall’emisfero occidentale ed al confino
nell’emisfero orientale (terra di barbari
ed alienati).
Jack conosceva bene il codice
morale-penale, tuttavia quando gli fu
proposto di barattare il suo vecchio
medico-digitale con un piccolo di
drago…
Lui,
Jack
D’angelo,
appassionato di draghi fin dall’infanzia,
non seppe dire di no, anzi accettò al volo
ringraziando il mercante clandestino. Ma
quel drago, il cui nome era Lòng, non era
uno di quei draghetti che era abituato a
vedere nei suoi sogni programmati o
nelle “vite virtuali”: non era docile e
sensibile, o divertente ed accomodante.
Invece,
frustrato
per
l’essere
impossibilitato a volare a suo piacimento
nel cielo, era diventato stizzoso ed
irascibile.
Poi Lòng, comprendendo sempre di più
il potere che deteneva ed il rischio che
correva il suo padrone, era diventato
man mano sempre più autoritario,
comandando il padrone a bacchetta e
96
costringendolo alle più impreviste
rivoluzioni di orario per accudirlo,
raccontargli storie d’avventura sui perfidi
cavalieri ammazza-draghi e via dicendo.
Lo costringeva così a continui ed
ingiustificati cambiamenti nell’orario di
lavoro, gli impediva di vedere gli amici e
lo portò perfino ad interrompere la sua
storia amorosa che durava da circa un
paio di anni.
Se fosse stato per Jack, se ne sarebbe
liberato al più presto, tuttavia egli non lo
poteva vendere (perché rischiava di
essere scoperto), non poteva parlarne , e
, di ammazzarlo (sebbene ci avesse
pensato un paio di volte), non ne aveva il
coraggio. Continuava così a rimanere
succube
dell’unico
elemento
di
irrazionalità nel mondo della Razionalità.
Ultimamente, però, aveva cercato di far
capire al draghetto (che parlava
fluentemente la sua lingua) dei problemi
che gli stava causando e degli
scombussolamenti che la sua presenza
apportava alla sua vita. Ma il draghetto,
che ormai era bello che cresciuto (sia
97
fisicamente visto che misurava quasi un
metro di lunghezza, sia intellettualmente)
reagiva sempre in modi diversi ed
incredibilmente adatti alla circostanza.
Quando vedeva che Jack si sentiva solo,
non era arrabbiato con lui, ed era pronto
a compiangere se stesso, allora Lòng
frignava come un bambino dicendo, con
incredibile precisione, esattamente quello
che Jack pensava di sé , spingendolo
così ad una facile compassione, che si
tramutava in un ancora più facile
perdono.
Quando invece Jack non era in vena di
sentimentalismi, ed era invece irritato
profondamente
da
un
suo
comportamento, il drago faceva finta di
capire, ammettendo le sue colpe e
scusandosi per tutti gli errori commessi
(senza che questo, però, comportasse un
minimo sforzo da parte sua di evitarli la
volta successiva).
Jack era, però, pronto a dimenticare ogni
sofferenza, quando si godeva una bella
avventura virtuale, seduto sul divano
con il suo draghetto sulla pancia che
98
respirava piano, strofinandosi ai suoi
vestiti. Bisogna poi sapere che i draghetti
sono gli esseri con la pancia più morbida
del mondo ed adorano farsi coccolare
lasciandosela carezzare. Così, non
appena Jack rientrava a casa, Lòng
prendeva la rincorsa dal salotto per
scivolare sulla schiena per tutto il
corridoio e presentarsi immediatamente
alle scarpe di Jack con la pancia pronta
alle coccole del padrone.
Alla vista di quella incredibile
dimostrazione di affetto, Jack non
poteva fare a meno di sorridere e di
contentare
subito
il
draghetto
carezzandogli le squame morbide.
Quella, comunque, fu una mattina
particolare per Jack, molto particolare.
Egli doveva infatti essere assolutamente
al lavoro in orario. Era infatti sull’orlo di
un’importante conferma di un suo
progetto che, grazie anche agli sforzi del
dottor Whithman, era in fase operativa
da almeno un paio di anni. Whithman gli
aveva telefonato per l’appunto il giorno
precedente dicendo che era necessaria la
99
sua presenza, che il computer era
arrivato a risultati apprezzabili , e che la
biblioteca di Rational Luis era interessata
allo sviluppo del progetto.
Jack mise quindi la sveglia alle sette della
mattina, ma fu svegliato alle otto da
Lòng che si stava scusando per aver
rotto la sveglia. Jack, resosi conto
dell’estremo ritardo, aprì la finestra
(come ogni mattina per aerare il locale),
corse in bagno, si fece rapidamente la
barba, si cosparse la faccia di sapone, si
lavò i denti aspettando che l’acqua
diventasse calda, poi si sciacquò la bocca,
si pulì la faccia, si mise il dopobarba, si
riempì di deodorante, per mascherare la
doccia non fatta, si mise al volo i
pantaloni di sobrio blu, la camicia
autostirante, la giacca, la cravatta elastica,
poggiò i piedi nelle scarpe ed
agganciando al volo la sua ventiquattrore
uscì dal suo alloggio.
Ora, l’inverno, si sa, è la stagione degli
amori dei draghetti ed il piccolo Lòng,
infatuato dai bollori ormonali dovuti alla
stagione, credette di intravedere una
100
graziosa draghetta che lo salutava da un
grattacielo poco distante. Ebbro d’amore
non pensò nemmeno un istante al
rischio che stava facendo correre al
povero e frenetico Jack che aveva,
sventuratamente, lasciato aperta la
finestra, e si lanciò nel vuoto.
Fu una meravigliosa passeggiata sulle
punte dei grattacieli, fino a raggiungere
colei che credeva la sua amorosa
draghettina e che, invece, non era altro
che un avviso pubblicitario. Deluso
d’amore, Lòng ritornò a capo chino
dentro l’appartamento (e qualcuno riuscì
benissimo ad identificarlo) di Jack
D’Angelo.
La finestra si richiuse dietro di lui
emettendo un suono sinistro.
BIBLIOTECA ETERNA
Paul Whithman osservava il computer
girare e la stampante emettere fogli,
come sempre.
Da anni ormai il
computer continuava a stampare
paginate e paginate, a volte senza senso,
101
a volte interessanti, a volte stupefacenti.
Paul Whithman era un letterato, uno dei
pochi laureati in Matematica applicata
alla letteratura. Questa infatti era una
branca alquanto strana nel Dipartimento
delle Università Razionali e sembrava,
alla maggior parte dei benpensanti, uno
stupido rimasuglio di quelle vecchie
facoltà umanistiche, giustamente abolite
dalla saggia Razionalità. La Matematica
applicata alla Letteratura era vista di
cattivo occhio dalla società, ma
sicuramente in modo minore che della
Filosofia della Fisica, che era invece
considerata il parcheggio per eccellenza
dove sbandati, disadattati, facinorosi e
perditempo sprecavano le loro facoltà
razionali.
Paul aveva avuto una ragazza che
frequentava Filosofia della Fisica, tuttavia
era stata arrestata per aver cercato di
convincere un impiegato, con argomenti
pseudo-razionali, che il mondo fosse
irrazionale. Era una sovversiva e, tutto
sommato, Paul non ebbe di che
recriminare, alla luce di questa accusa.
102
Una volta, infatti, ci aveva provato
perfino con lui, sostenendo che il
mondo decideva a caso i propri stati ed
altre castronerie di quella stessa fattura.
D’altrond,e era una cosa comune: Paul
pensava che ci fosse una predisposizione
all’irrazionalità fra i frequentanti ai corsi
di Filosofia della Fisica. Non sapeva se
questo fosse dovuto ad una selezione
naturale a priori, oppure ad una
trasformazione dovuta al tipo di materia.
Tuttavia, sentiva molto spesso parlare di
studenti arrestati e a volte perfino di
professori accusati di essere irrazionali e
condannati all’esilio.
Tuttavia, l’università frequentata da Paul
non era così soggetta ad irrazionalità
nascoste, era bensì semplicemente
inutile, come tutte le cose inutili era
affascinante, e come tutte le cose
affascinanti si trainava dietro una serie
infinita di pregiudizi e di stereotipi (nel
bene e nel male). A volte infatti
camminava sentendosi chiamare con
l’appellativo dispregiativo di letterato:
Eccolo il letterato! Ma di che cosa parla, lui?
103
Che ha una conoscenza matematica da quinta
superiore!
E via discorrendo…
A parte queste uscite, Paul Whithman era
sempre stato stimato e reputato uno tra i
più innovativi e creativi scienziati nel suo
campo. Si era laureato con una tesi di
Laurea
sulla
ricostruzione
della
“Commenda” di Dante Alighieri
sostenendo la rivoluzionaria tesi che il
testo si intitolasse la “Commedia”. Ad
avvallare questa sua teoria vi era un
documento, ritrovato nella Biblioteca
Razionale della Patagonia (biblioteca del
carcere minorile e quindi rifornita da libri
di secondaria importanza). Questa
scoperta non fu accolta eccezionalmente
bene dagli altri professori, specie i più
dogmatici, tuttavia il tribunale della
Razionale Inquisizione decise di non
avallare
nessun
procedimento
inquisitorio. Dall’uscita di quella laurea
aad oggi, Paul Whithman non aveva
creato che uno scandalo dietro l’altro,
aumentando, di anno in anno, la sua
fama nel campo accademico e
104
procurandosi, di anno in anno, nuovi
nemici. Ogni sua azione era al limite tra
la legalità ammessa dal codice
morale-penale e, bisogna dirlo, se Paul
Whithman era ancora in libertà, lo
doveva certamente ad una buona stella
che gli illuminava il cammino nei
momenti di buio.
E fu proprio quella stella, la sera di due
anni prima, che gli aveva fatto balzarei
balzare in testa un’idea che avrebbe
rivoluzionato ogni idea di letteratura o
biblioteca. Aveva chiamato subito il suo
collega Jack D’Angelo e lo aveva
incontrato in un piccolo bar di periferia
quella sera stessa, alle dieci di sera. Jack
lo aveva raggiunto trafelato, sporco di
latte (gli era appena arrivato il Drago in
casa, ma Paul non poteva saperlo). Paul
aveva espresso la sua idea.
- Un libro di centomila caratteri non è
altro che il risultato di una disposizione
con ripetizione di trenta elementi
(l’alfabeto più qualche carattere di
punteggiatura) raggruppati a gruppi di
centomila.… Supponendo che un libro,
105
mediamente, contenga meno di un
milione di caratteri, immaginiamo di
lasciare che un computer provi ad
eseguire tutte le possibili disposizioni in
ordine alfabetico (partendo quindi da un
documento di cinquecento pagine fatto
di sole A, per arrivare ad un ultimo
documento fatto di sole Zeta). Il
computer, allora, avrà stampato anche
tutti i libri di lunghezza minore uguale di
cinquecento pagine. Ma la cosa più
assurda è il computer avrà stampato non
solo tutti i libri esistenti lunghi meno di
cinquecento pagine, bensì anche tutti i
libri che dovranno essere scritti e che
saranno minori di cinquecento pagine.
Ma la cosa ancora più assurda è che tra
tutti questi libri ve ne sarà anche uno che
racconta la nostra vita, anzi, ve ne
saranno migliaia che racconteranno la
nostra vita, persa in altre migliaia di vite
parallele. Pensa ad una biblioteca che
possieda tutti questi libri…
- Capisco, Paul, ma saranno miliardi di
miliardi di miliardi, non è possibile
stampare, per esempio cinquecento
106
pagine di A…
- E’ vero! E’ qui che entri in ballo tu! Tu
dovresti creare un programma che
riconosca le parole possibili da quelle
impossibili ed autorizzi la stampa dei testi
che sono completamente possibili.
- Ma non faremmo prima a far girare,
invece che delle lettere, le parole intere?
Un libro può essere considerato anche
come una semplice disposizione di
parole esistenti nel vocabolario.
- No… ci avevo pensato anch’io, ma io
ti ho detto di riconoscere le parole
possibili dalle impossibili, non le esistenti
dalle inesistenti, altrimenti mi limiti ogni
neologismo, ogni cognome, e non vi sarà
più scritta la mia vita…
I due avevano continuato un bel po’,
l’uno discutendo sull’impossibilità del
progetto e l’altro discutendo sui
particolari della sua realizzazione. Fatto
sta che quando ebbero finito il caffè che
avevano ordinato, Jack D’Angelo era
convinto del progetto ed era pronto a
proporlo alla Commissione Razionale
per l’Approvazione dei Progetti.
107
Ed ecco che ora che aveva appena
ottenuto il consenso della biblioteca di
Rational Luis per l’acquisto di tutti i suoi
tomi, ora Jack era sparito, lasciandolo
solo a lavorare per tutti e due.
Paul Whithman ,sconsolato, prese un
libro dal mucchio e lo sfogliò. Era
discretamente corto, si intitolava: “Storie
da due emisferi differenti”, ma
cominciava come un libro di storia.
Lesse le prime dieci righe, poi,
annoiandosi per la banalità e la piattezza
con cui erano stati riportati semplici dati
storiografici lo chiuse.
Passeggiò avanti ed indietro.
La stampante continuava a sfogliare
fogli.
Ne stampava sessantaquattro in parallelo
(purtroppo non avevano potuto
permettersi niente di meglio).
Il rumore della stampa.
I fogli si sfregavano.
Paul si avvicinò alla finestra per osservare
l’ultimo stralcio di un tramonto precoce.
Bussarono alla porta.
Chi è?
108
La Razionalità.
Paul Whithman aprì la porta:
- Cosa volete nel mio studio nel
dipartimento?
Non fece in tempo a finire la frase che
un Razionalizzante gli immobilizzò le
mani lo girò contro il muro e gli mise le
manette.
- Allora? Dove sono?
- Sono cosa?
- Le irrazionali ingiurie sul Supervisore
Supremo, i segreti di stato.
- Quali ingiurie? Quali segreti?
- Quelli scritti dal tuo computer.
- Il mio computer ha scritto tutto!
- Allora confessi! Portatelo via.
Sbattetelo in Bassamerica, non lo voglio
più vedere quaggiù! – poi, uscendo si girò
verso un suo inferiore e sbraitò:
- E questa roba… non la voglio più
vedere! Disintegratela! Disintegrate tutto!
Non possiamo permettere che un solo
foglio rimanga integro. Distruggete
anche il computer! – e così dicendo uscì
fuori.
109
SUPERVISORE SUPREMO DELLA
RAZIONALITA’
Era inverno, una di quelle giornate in cui
il sole svanisce verso le quattro. Una di
quelle giornate in cui il sole lascia che per
qualche secondo ancora i suoi raggi si
riflettano un ultima volta sulle finestre a
specchio dei grattacieli bluastri immersi
nelle nuvole e poi svanisce, dolcemente,
come un sogno che si dilegua
improvvisamente lasciando dietro di sé il
freddo. Era una di quelle giornate in cui
Jack era contento di trovarsi dentro la
propria casa, con la luce soffusa e calda a
godersi, sdraiato sul divano, le morbide
coccole del suo draghetto che faceva le
fusa.
Era una di quelle sere in cui il buio ed il
freddo sembrano spiare dalle fessure,
dietro i vetri gelidi , e, attaccati ad essi,
sembrano urlare, graffiare, per attirare
l’attenzione, come belve feroci, pronte a
sbranare ogni brandello di carne, mentre
invece, al di qua del vetro, vi godete la
calma ed il silenzio della vostra casa.
110
Lòng era più calmo quella sera, si
strusciava, si faceva coccolare, come
faceva quando era in carenza d’affetto
oppure quando doveva farsi perdonare
qualcosa. L’atteggiamento sospetto di
Lòng, però, non turbò più di tanto la
rilassata e distesa mente di Jack,
finalmente sgombra di ogni pensiero.
Era uno di quei brevi momenti in cui
l’uomo riesce, per un istante, a spostare
la propria mente dal passato o dal futuro
e a diventare cosciente totalmente del
suo presente. Era uno di quei rari
momenti in cui l’uomo riesce finalmente
ad assaporare a pieno la propria
condizione presente, a cogliere l’attimo
in cui nessun altro desiderio intercorre
tra lui e la felicità. Finalmente Jack
poteva assaporare quella sensazione.
Quella superba e completa sensazione fu
subito stracciata da un imponente squillo
del campanello.
Jack a malincuore spostò Lòng sul
divano e si avvicinò al videocitofono.
- Chi è?
- La Suprema Razionalità – rispose un
111
uomo con lenti a contatto scure seguito
da una mezza dozzina di uomini.
Jack sbiancò improvvisamente.
- State cercando me?
- Lei è Jack D’Angelo?
- Sì.
- Il Supervisore intende parlarle.
-Il
Supervisore
della
Suprema
Razionalità? Proprio lui? A Casa mia?
-Abbiamo l’ordine di entrare.
-Subito… subito… vi apro… - disse
aprendo il portone del palazzo. Subito
corse in salotto.
- Long! Long! Dove sei? Fila
nell’armadio! Fila nel nascondiglio!
- Ora non ho…
- Fila o qui è finita per tutti e due! Fila
nell’armadio!
Lòng, cogliendo finalmente l’urgenza
dell’ordine, corse dentro la cuccia nel
terzo cassetto dell’armadio, mentre alle
insistenze dei Razionalizzanti Jack fu
costretto ad aprire la porta. I
Razionalizzanti erano un corpo speciale
della Polizia utilizzato principalmente
dalla Razionale Inquisizione. Tuttavia
112
ogni membro di spicco ne possedeva sei
come scorta, pronti a morire pur di
salvare il Supervisore. La loro divisa era
completamente bianca fatta eccezione
per i bottoni (neri) e le lenti a contatto
(nere anch’esse). Il bianco, autopulente e
quasi abbagliante, poteva però diventare
mimetico ed adattarsi ai colori del
paesaggio a seconda se la situazione fosse
una parata, una visita di routine oppure
se si trattasse di un’azione operativa. Le
lenti a contatto, sebbene apparissero
esteriormente nere, permettevano la
visione normale, a raggi infrarossi, a
rilevazione termica e a rilevazione di
attività mentale.
I Razionalizzanti erano il corpo speciale
che faceva più paura, poiché erano
addestrati a vincere sulle macchine. Se
essi, infatti, fossero risultati meno
efficienti di qualche uomo cibernetico,
sarebbero
stati
immediatamente
sostituiti. Erano invece stati addestrati
per vincere qualsiasi tipo di uomo o
macchina e proteggere in qualsiasi
condizione. I maligni sostenevano infatti
113
che non fosse per la loro bravura che i
Razionalizzanti non erano mai stati
sostituiti con apparecchi cibernetici, ma
fosse stato proprio per quel “in qualsiasi
condizione”. Era, infatti, comune che un
Razionalizzante potesse morire e, ad
essere cinici, costava meno lasciar morire
un uomo che un cyber-uomo, ma queste
sono tutte ipotesi.
Immediatamente
entrarono
nel
corridoio due Razionalizzanti con il
compito di controllare che la stanza
fosse sicura, poi ne entrarono altri due
accompagnando il Supervisore, e gli
ultimi due rimasero fuori dalla porta, a
controllare nessuno entrasse da dietro. I
primi due Razionalizzanti presero Jack di
forza (ognuno per un braccio) e lo
trascinarono fino alla sua poltrona in
salotto, dove fu messo a sedere
forzatamente. Il Supervisore, vestito in
nero, si avvicinò lentamente sorridendo.
Non era affatto come Jack credeva: era
giovane e non sembrava ringiovanito
(l’operazione di ringiovanimento, infatti
non era ancora perfetta e si riusciva
114
comunque a notare una lieve differenza
tra giovani e ringiovaniti).
Aveva una quarantina d’anni: che erano
estremamente pochi per una carica così
importante e potente come quella
rivestita.
Sul viso non aveva nessun segno
particolare, la pelle era giovane, ben
rasata, lievemente scura a causa del sole
(oppure di una lampada). Era
accuratamente rasata anche la testa,
come predisponevano le leggi dettate
dalla Razionalità e dalla Comodità
Razionale. Sembrava un qualsiasi giovane
funzionario, rigido all’etichetta e al
bon-ton, rigoroso, ma semplice, sciatto,
se non fosse stato per quei suoi occhi
grigi particolarissimi che attiravano
immediatamente
l’attenzione
e
ristabilivano un certo ordine nelle
gerarchie. Improvvisamente Jack si rese
conto di come non era esteriormente
pronto ad una visita del genere: non si
faceva la barba dalla mattina stessa, e
questa cominciava a spuntare, ma
soprattutto non si radeva i capelli da
115
almeno una settimana, tanto che erano
cresciuti sopra i due millimetri consentiti
dalle buone maniere. Mentre pensava
ciò, cercò di passarsi le mani sulla testa
per sentire quanto erano alti i propri
capelli, ma il suo gesto fu impedito dai
due Razionalizzanti.
- Non riusciamo a trovarlo, signore. –
disse un Razionalizzante che si era un
attimo assentato dal salotto per
ispezionare le altre camere. Il
Supervisore fece cenno con un dito al
Razionalizzante di avvicinarsi e quando
egli fu sufficientemente vicino gli
bisbigliò alcune parole nell’orecchio.
Quando ebbe finito il Razionalizzante si
rialzò immediatamente e disse:
- Compreso! – a lunghi passi si diresse
verso la camera del letto. Jack sentì
aprire l’armadio e poi cominciò a sentire
la voce di Lòng che strillava:
- Mettetemi giù, mettetemi giù o vi
faccio vedere io… vi brucio… ora se …
vi brucio!
Senza prestare la benché minima
attenzione alle parole del draghetto, il
116
Razionalizzante schioccò le dita ed uscì
fuori, seguito dagli altri tre in fila indiana.
Nella stanza rimasero solo Jack ed il
Supervisore Supremo della Razionalità.
Rimasero un attimo in totale silenzio a
guardarsi negli occhi: quelli di Jack,
esterrefatti, quasi increduli, quelli del
Supervisore, invece, lucidi, calmi e sicuri.
Accennò un sorriso dalla sfumatura quasi
paternalista nei confronti di Jack.
I MISTERI DI AVALON
- Per dieci volte svolgi Main.life;
Controlla vita;
Se spada = attivata e Artù.init = vero,
Allora associa a scenario 24. –
Tom stava ancora finendo di dettare il
suo ultimo programma al computer,
quando il tramonto del penultimo giorno
dalla consegna si esaurì.
Aveva, da allora, ancora ventiquattro ore
e non aveva nemmeno collaudato il
funzionamento del gioco. Adesso aveva
bisogno di uno scenario, uno scenario…
uno scenario… guardò sulla credenza:
117
Esploratore
Americano,
Ingegnere
Europeo,
Architetto
Africano,
Contrabbandiere….
La mano rimase sospesa indecisa tra il
barattolo denominato contrabbandiere e
quello denominato ingegnere europeo. Optò
finalmente per l’ingegnere europeo.
Tutto stava, adesso, nel frugare nelle
recondite memorie di quel cervello e
trovare uno scenario adatto per l’ultimo
atto del suo nuovo video-game: “I
Misteri di Avalon”. Ormai infatti
risultava inutile passare mesi a progettare
uno scenario surreale, per poi passare
altri mesi per renderlo credibile: i lavori
di
un
tempo
erano
adesso
completamente superflui.
Prima che i video-giochi diventassero
illegali, le avanguardie avevano già da
tempo acquisito le procedure che
permettevano di scaricare una serie di
immagini e scenari direttamente dalle
memorie di un defunto e di modificarle
quel tanto che bastava ad eliminare ogni
riferimento a persone o cose capaci di
denunciarli per furto di immagine.
118
Così il laboratorio di Tom ora sembrava
(più che lo studio di un programmatore)
il laboratorio di un anatomista del
settecento. Egli, infatti, conservava, in
barattoli di vetro posti diligentemente
sulla credenza, una notevole quantità di
cervelli pronti all’uso.
Da essi, poi, scaricava le immagini
necessarie allo sviluppo del gioco,
alternando
paesaggi
europei
(pre-conflitto) fino ad arrivare a recenti
cervelli orientali.
Ad essi aggiungeva alcuni fotogrammi
(invisibili a livello cosciente, ma
percettibili a livello inconscio) atti a
trasmettere
messaggi
subliminali
all’utente.
I video-game, però, erano proibiti in
Altamerica ormai da qualche decennio.
Cinquantaquattro anni prima, infatti, il
Ministero dello Sfruttamento Razionale
delle Doti Minorili mise ben in luce,
grazie ad una ricerca avallata anche dal
Ministero della Razionalità Statistica,
come
lo
stupefacente
sviluppo
tecnologico avesse reso pressoché
119
indistinguibile la vita nel mondo reale da
quella di un videogioco e ciò avesse
quindi aumentato drasticamente i
disordini giovanili, dovuti ad una
desensibilizzazione nei confronti della
violenza.
Ben presto venne infatti emesso un
decreto il quale vietava ogni videogame
violento in realistic-mode (realtà virtuale
totale).
Successivamente, in seguito ad uno
scandalo sui messaggi subliminali inseriti
deliberatamente da alcuni programmatori
per rendere i ragazzi dipendenti ai loro
giochi, fu realizzato anche un codice che
impediva severamente l’inserimento di
fotogrammi non autorizzati (e quindi
anche di messaggi subliminali) nei
videogiochi.
Poi il Ministero della Sanità Razionale
diffidò dall’uso la maggior parte dei
videogiochi in realistic-mode perché
causa di tic nervosi e a volte nevrosi.
Infatti i videogiochi in realistic-mode
erano creati utilizzando memorie di
defunti, a volte non autorizzate.
120
Capitava, infatti, che qualcuno rivedesse
alcuni scenari caratteristici della propria
città oppure (specialmente in caso di
programmatori locali) rivedesse perfino
la sua casa con un diverso arredamento
(forse prima che vi si trasferisse).
Incidenti di questo tipo accadevano
frequentemente e spesso portavano ad
una sovrapposizione dei due mondi,
oppure ad una confusione tra essi,
oppure, quando le memorie del morto
cercavano di riprendere vita, ad una
scissione tra uomo e protagonista del
gioco.
I bambini non riuscivano più a
distinguere se stessi dal protagonista del
gioco e a volte la conclusione era che
l’uno viveva la vita dell’altro.
Ben presto, quindi, ogni sorta di
videogioco fu bandito. Le uniche forme
di videogioco che rimasero in vita,
furono i videogiochi educativi nei quali il
soggetto, mentre svolgeva simulazioni di
azioni moralmente utili all’umanità,
apprendeva (grazie all’utilizzo di
messaggi
subliminali)
notizie
121
storiografiche,
matematiche,
informatiche e fisiche.
Ma poi anche questi giochi fallirono,
cosicché le ditte di videogiochi chiusero
definitivamente non meno di quaranta
anni fa.
L’unico programmatore autorizzato in
tutto l’emisfero occidentale, rimaneva
Tom.
Il suo compito consisteva nel
programmare un videogioco l’anno e
consegnarlo (assolutamente entro il
giorno prestabilito) al Supervisore
Supremo.
Egli non aveva obblighi o restrizioni di
alcun tipo (sempre nell’ambito della
civile razionalità si intende), non aveva
limitazioni di denaro o di risorse, ma al
tramonto del 21 Marzo di ogni anno, il
Supervisore Supremo si presentava a
casa sua con una scorta di sei
Razionalizzanti e pretendeva il suo
videogioco in una valigetta nera, una
ventiquattr’ore chiusa, coordinata con il
numero segreto 2 1 6 .
Mancare a quell’appuntamento poteva
122
significare la perdita di ogni privilegio,
nonché la reclusione in Bassamerica per
frode alla pubblica Razionalità.
Era l’unica scadenza che Tom aveva.
Del perché il Supervisore necessitasse dei
suoi videogiochi, Tom non ne era al
corrente, e non se ne interessava. L’unica
cosa che gli interessava in quel momento
era finire i Misteri di Avalon prima del
tramonto del 21 Marzo.
Tom scaricò l’ultimo scenario.
UNO SQUARCIO SUL PRESENTE
“Diacroniche vittorie
Risplendono
Come perle di giada
Perse nell’immensità”
Jack: - Cosa vuol dire?
Supremo Supervisore della Razionalità: Nessuno lo sa, mio caro Jack. Non in
questo emisfero, almeno – precisò poi
sorridendo. Poi, scorgendo segni di
stupore sul viso di Jack, accavallò le
gambe e continuò annuendo:
SSR:Esatto,
Jack:
vengono
123
dall’emisfero orientale.
J:- Ma io credevo… che insomma…
fosse proibito… soprattutto per un alto
funzionario come lei, il più alto!
SSR (scuotendo la testa negativamente,
ma continuando sempre a sorridere) :
- No… no… a volte mi diletto anch’io
leggendo le loro poesie, meditando sui
loro buffi koan o bevendo i loro
particolari tè bianchi…
J :- Ma come? Credevo che i loro koan
fossero pericolosi!
SSR:- In un certo qual senso lo sono,
Jack. Vedi, certe cose sono proibite agli
uomini , pericolose per la società perché
portatrici di malanni incurabili nei
pensieri delle masse. Devi imparare, Jack,
che essere civili significa limitarsi, e certi
piccoli sacrifici sono necessari per il
razionale svolgimento del mondo. Per
questo abbiamo deciso un blocco così
radicale tra i due mondi: loro non
vogliono noi e noi non vogliamo loro.
Nessuno dei due metodi di pensiero è
giusto o sbagliato, ma ciascuno dei due è
pericoloso per l’altro. Vedi, negli ultimi
124
anni il nostro emisfero si è andato
sempre
di
più
sviluppando
tecnologicamente, mentre il loro
interiormente. La tecnologia, la scienza, è
andata
sempre
più
decadendo
nell’emisfero orientale, tanto che ora
sono
forse
meno
sviluppati
tecnologicamente di quando sganciarono
la bomba Z (ovvero quasi due secoli fa).
La nostra industria tecnologica e bellica è
ora talmente sviluppata che potremmo
impossessarci in poco più di una
settimana della totalità del loro emisfero
e perfino ricollegare le due metà in un
unico globo terrestre.
J :- E perché non lo fate?
SSR :- Perché? Be’, ci sono tante ragioni:
la prima è che siamo finalmente riusciti
ad instaurare un regime di perfetto
ordine. Inglobare un’altra società come
quella orientale mantenendo il regime
che siamo finalmente riusciti ad
installare, vorrebbe dire cancellare
totalmente il loro passato, il loro modo
di pensare, le loro religioni, la loro storia.
Questo
è
impossibile,
ci
125
costringerebbero ad ucciderli tutti e a
radere al suolo ogni loro costruzione,
distruggere ogni loro documento, ogni
loro ornamento e poi ricostruire tutto
ex-novo. Come puoi ben capire,
risulterebbe inutile visto che l’emisfero
orientale non ha più niente da fornirci
riguardo a risorse minerarie, e
soprattutto
sarebbe
più
facile
riorganizzare e colonizzare la luna,
progetto al quale stiamo peraltro
lavorando da decine di anni.
J:- Cosa farete della luna?
SSR:- Ma… per il momento stiamo solo
facendo ricerche per analizzare tutti i
materiali presenti nel sottosuolo. Se
queste ricerche avessero esito positivo (
stiamo comunque parlando di processi
che richiedono decine e decine di anni)
potremmo trasferire la colonia penale
lassù.
J :- La luna in mano ad i criminali?
SSR :- Sì, un po’ come abbiamo fatto per
la Bassamerica, ma questa è comunque
un’altra storia e molto lontana. Ti stavo
dicendo: la seconda ragione per cui non
126
invaderemo l’emisfero orientale è perché
esso è il luogo ideale dove spedire i
rivoluzionari come te. Vedi, per tutti i
crimini esiste la colonia penale, ma per i
rivoluzionari no. E’ troppo pericoloso.
Ciascun uomo che lavora nella colonia (e
te lo garantisco personalmente) è e
rimane comunque un bravo uomo,
pentito dei suoi peccati, convinto di
meritarsi
la
propria
punizione.
Assolutamente non penserebbe mai a
ribellarsi alla propria condizione, proprio
come Adamo accettò le parole di Dio
quando lo cacciò fuori dal paradiso
terrestre costring… scusa, mi ero
dimenticato che tu non conosci questo
mito.
J :- E’ orientale?
SSR :- No, era ebreo, poi divenne tipico
di tutta l’Europa e si diffuse anche da
queste parti secoli fa.
J:- Europeo?
SSR:- Sì, era un continente che andò
distrutto dalla bomba Z. Era alla stessa
altezza dell’Africa ( di cui ora rimane solo
qualche piccola frangia). In effetti la terra
127
non fu divisa in due parti, bensì in tre,
ma la parte su cui cascò la bomba, andò
distrutta, per questo, per pura praticità
continuiamo a dire che fu divisa in due
emisferi.
J:- Capisco, e come era l’Europa?
SSR:- Il caos, Jack, il caos. Pensa che in
poco più di un centinaio di anni avevano
provocato tre guerre mondiali. Non
credevano in nulla. Non esiste bianco,
non esiste nero, per loro tutto era grigio
e tutto era relativo ad un punto di vista.
Per loro non esisteva l’assoluto. E poi le
lingue…. In certi momenti parlavano più
di venti lingue in un solo continente (ci
pensi) e poi… poi erano troppi. Oh,
scusa, ma abbiamo nuovamente
divagato. Ti dicevo che l’emisfero
orientale è il miglior modo di eliminare
pacificamente gli spiriti sovversivi. Se
uccidi un ribelle se ne formano altri
trenta. Questo ci ha insegnato la storia.
Ma se lo esili… Certo, poi se vengono
ribeccati nella nostra terra, la pena è la
morte, ma fino a quel momento gli sarà
permesso vivere in luoghi selvaggi ed
128
avventurosi (che in pratica era poi il loro
desiderio)… Certo rispetto a vivere in
questo emisfero… non c’è veramente
paragone, io preferirei persino vivere
nella colonia penale… tuttavia l’esilio è il
prezzo che devono pagare i ribelli, e
quello sarà il prezzo che pagheranno.
Ogni tanto ne parlo con L’Imperatore
Orientale. Lui è l’unico a possedere un
recapito telefonico (gliel’ ho fornito io in
cambio di quel suo tè sopraffino).
Vedi, io e l’Imperatore siamo in ottimi
rapporti: una volta l’anno lui mi fa
recapitare (attraverso un messaggero
clandestino) un pacco di tè bianco
raffinatissimo. D’altro canto io gli
spedisco dei videogames o altri
apparecchi della nostra tecnologia
avanzata come video-telefoni, computer,
a volte anche progetti per centrali
nucleari.
Tutto in perfetta pace ed armonia.
Lui mi spedisce il tè ed io simulo che sia
questo a mantenere la mia non
belligeranza nei suoi confronti ed in
fondo, molto in fondo, è vero: non
129
potrei mai privarmi per un anno intero
di quel suo tè pregiatissimo, è quasi una
droga. D’altronde questa è la stessa cosa
che io faccio con lui: gli fornisco
videogames
contenenti
messaggi
subliminali, di modo che egli non possa
fare a meno che continuare a giocare.
Tutto sommato siamo dipendenti l’uno
da
l’altro.
Dipendenti…
forse
complementari, come due emisferi del
cervello: il sinistro (qui dove siamo noi)
ed il destro (laggiù). Non esiste nessun
cervello con un unico globo dove le
funzioni dei due emisferi sono mischiate,
come non esiste nessun cervello con un
solo emisfero attivato. Questa è la verità:
separati, ma presenti entrambi.
J :- Ed io cosa c’entro?
LA MISSIONE
SSR:- Vedi, Jack, io non ti voglio male.
Ma tu sei stato trovato con un draghetto
in casa. Non stiamo parlando di una
poesia, di una tecnica di meditazione o di
un po’ di tè, stiamo parlando di un
130
animale! Un animale esotico trasportato
di contrabbando, possibile portatore di
malattie, possibile scatenatore di una
qualsiasi insurrezione e, soprattutto,
portatore di un alto coefficiente di
irrazionalità (un draghetto può sfiorare
punte del 90% di irrazionalità). Gente
che ho incontrato nella mia lunga
carriera è morta per molto meno vedendo che Jack si sta raggelando e sta
diventando pallido, aggiunge:- Ma non è
il tuo caso, Jack.
J:- Ah, no?
SSR:- No. Tu hai reso buoni servizi a
questo mondo: la tua mente, sebbene
forse troppo tendente all’irrazionalità, è
comunque potente ed utile alla società.
J:- Capisco.
SSR:- Questo ti ha salvato ai miei occhi,
ed io sono disposto a salvarti agli occhi
di questo emisfero a tre condizioni: la
prima è che tu lasci in mano nostra il tuo
draghetto e prometta di non entrare più
in contatto con ogni essere irrazionale.
J(guardando per terra ed intrecciando le
mani tra loro):- E… che ne farete?
131
SSR:- Non ti preoccupare, non morirà.
Lo porteremo nel Parco Naturale delle
Hawaii. Starà bene: c’è
una zona
riservata esclusivamente alle creature
della sua specie.
J:- Come Parco Naturale?
SSR:- E’ una delle altre cose che voi non
sapete… allora, accetti la prima
condizione?
J:- Sì.
SSR:- Bene, ne ero certo. Ora passiamo
alla seconda, che è di gran lunga la più
importante. Il tuo pegno verso la società
verrà riscattato se tu sarai pronto a farmi
da corriere per questa valigetta.
J:- Cosa…
SSR:- Qua dentro vi sono i videogiochi
dell’Imperatore e tu dovrai consegnarli
per me.
J:- All’Imperatore?
SSR (sorridendo per l’ingenuità di Jack):No, non all’Imperatore. Tu dovrai
portarli fino a Iced-end, nel sud
dell’Antartide: laggiù dovrai consegnare
la
valigetta
da
solo
ad
un
contrabbandiere “autorizzato” chiamato
132
Smokiza. Egli ti darà, in cambio, un
sacco pieno di tè: tu dovrai prenderlo e
riportarlo a casa tua. Verrà uno dei miei
uomini a riprenderlo quando sarà il
momento. Non vi sono pericoli, solo
perdite di tempo. Dovrai assentarti
qualche giorno, poiché i trasporti in
Bassamerica non sono eccellenti. Dovrai
anche fare uno spostamento di tre
chilometri a piedi, all’interno di un
campo, per un’interruzione di una linea.
Non ti preoccupare, sarai scortato a vista
dai Razionalizzanti. Poi, arrivato lì, non
dovrai fare altro che seguire le istruzioni
che ti saranno date.
J:- Mi state dicendo di andare in
Bassamerica?
SSR:- Sì, sta a te decidere se andarci da
turista oppure da carcerato (sempre che
il
Tribunale
Razionale
sia
eccezionalmente clemente con te).
J:- Da turista.
SSR:- vedo che capisci al volo le mie
argomentazioni. Per questo ho scelto te.
Vedi, ormai è passato il tempo in cui si
affidavano commissioni segrete ed
133
importanti ad energumeni forti, ma
stupidi
come
macchine.
E’
empiricamente dimostrabile che vi sono
meno rischi che l’operazione fallisca se
viene affidata ad una persona intelligente,
capace di pensiero autonomo e convinta
in ciò che fa. E tu, mio caro Jack,
corrispondi perfettamente a questa
richiesta.
J:- La ringrazio.
Il Supervisore Supremo si alzò
porgendogli la mano tesa:
- Sono io che ringrazio te e mi
complimento con te per l’ottima scelta.
Tieni la borsa – disse porgendogli la
ventiquattrore chiusa.
Quando devo cominciare?
- Che discorsi sono? Da adesso, è chiaro!
Ora io uscirò, aspetta dieci minuti e
suonerà
alla
tua
porta
un
Razionalizzante. Segui quell’uomo e
buon viaggio.
Il Supervisore Supremo si avvicinò alla
porta, poi si girò, e sorridendo disse:
- Ah, la terza condizione è che tu non
mi hai mai visto, non hai mai preso nulla
134
da me e non hai mai fatto questo viaggio.
Attento, perché potrebbe andarne della
tua vita stessa.
Detto questo uscì dalla vita di Jack.
Jack rimase solo nella casa vuota con la
valigia chiusa sulle ginocchia.
Pensò a Lòng e fu sull’orlo di piangere
un’unica lacrima calda, proprio come una
madre, felice del destino del figlio, non
può far a meno di piangere quando esso
si separa da lei. Rimase così. Con la
valigia sulle gambe, senza pensare a nulla.
Con.
Il.
Vuoto.
Nella.
Mente.
Per dieci minuti.
Poi suonò il campanello.
FRANK’S MURDER
….
Kill! Kill! Kill! Kill!
Death against their will!
No more guys, not one I’ve seen
From the Fifty-Seventeen….
135
Cops! You can kill me
Cops! You can shoot me
Cops! Can’t go further
‘Cause I say: “ Warning!”
We say: “ Warning!”
That’s the day of Frank’s Murder…
….
Cantavano, le schiene chine, mentre
dall’alto i vestiti bianchi sorvegliavano in
silenzio. Gli addetti alla sorveglianza in
Bassamerica non erano Razionalizzanti,
anzi, a volte erano detenuti, promossi
per la loro buona condotta, oppure
poliziotti che un qualche dipartimento
voleva togliersi dai piedi. Non c’era
effettivamente una grossa differenza tra
lo stile di vita dei detenuti e quello delle
guardie. L’unica differenza era che le
guardie possedevano una pistola ed i
detenuti una vanga e, mentre i detenuti
vangavano, le guardie rimanevano con le
pistole in mano, indecisi se anche loro
dovessero usare il loro strumento o
meno. Le guardie rimanevano a sedere
discutendo, a volte fumando (contro
136
l’ordine della Razionalità Suprema)
sigarette confiscate a qualche detenuto,
oppure sorseggiando qualche bicchierino
di
liquido
trasparente,
prodotto
anch’esso da galeotti che si erano
tramandati da generazioni le ricette per
quei liquori. Nella nuova società infatti
non esistevano né liquori, né sigarette, né
droghe di alcun tipo. Gli unici rimasugli
erano rimasti nella Bassamerica, vuoi per
i contrabbandi con l’altro emisfero, vuoi
per i metodi permissivi delle guardie.
Le Guardie, infatti, lasciavano alle
popolazioni della Bassamerica questi
piccoli divertimenti con i quali sfogarsi e
nel quale perdere le proprie volontà. Le
lasciavano deliberatamente, chiudendo
un occhio su tutte le piccole infrazioni, a
volte quasi incoraggiandoli. Era un modo
come un altro per permettere loro di
trovare un piccolo sfogo in qualche cosa
e per essere certi di come passassero le
sere di libertà. Proibire tutto (era stato
infatti dimostrato dal ministero della
Razionalità Empirica) era come dire:
“Fate un po’ voi quello che volete la
137
sera” ed assicurava un minore controllo
sia sulle loro attività fisiche, che,
soprattutto, sui loro stati mentali. Invece,
una politica lievemente permissiva,
dimostrava subito i suoi vantaggi: lasciare
un locale aperto, significava vederli tutti
in quel locale, e lasciare che nel locale si
servissero di sottobanco alcolici,
significava vederli ubriachi tutti prima
della fine della sera. Questo era il miglior
modo per controllare le loro menti e
tenerli stretti.
In caso di sommosse, infatti, i locali
venivano immediatamente chiusi, gli
alcolici sparivano immediatamente dalla
circolazione, e la gente cominciava a
dividersi. Il Ministero della Tautologia
Indiretta esternò un giorno una massima
che divenne poi la politica del sistema
carcerario: “Togli agli uomini tutto e non
potrai più togliergli nulla”. L’idea
implicita era quindi quella di lasciare loro
qualcosa per poi toglierla, oppure di
lasciar loro qualcosa per poi accusarli di
averla. Era capitato più volte, infatti, che
una guardia (alla ricerca di un pretesto
138
per picchiare a sangue un galeotto)
riscoprisse improvvisamente l’illegalità
degli alcolici e ne approfittasse per
pestarne il possessore. Questo accadeva
soprattutto a dicembre, quando il vero
freddo cominciava a salire ed era
necessario sfoltire le numerose file di
galeotti. Era quello che chiamavano il
regalo di Babbo Razionatale che, con le
sue pistole tintinnanti, riempiva la sua
slitta di sacchi pieni di cadaveri.
Pablo continuava a zappare la terra
fredda, dissodando e separando le pietre,
mentre Olivier accanto a lui ansimava.
Era il freddo, e le cattive cure. Pablo
conosceva Olivier: era troppo magro per
qualsiasi tipo di sforzo, soffriva d’asma
ed era tanto gracile che ce n’era più d’
uno che aveva scommesso che non
avrebbe superato l’anno. Uno di questi
era Kent. Kent era una guardia dai dubbi
requisiti morali, che un tempo viveva
nell’Altamerica. Kent era figlio di due alti
funzionari della Razionalità, tanto che
essi, una volta scopertolo pazzo,
supplicarono il Supervisore Supremo di
139
lasciarlo andare in Bassamerica come
guardia e non come galeotto, per paura
che alla prima provocazione di una
guardia, egli reagisse immediatamente e
venisse ucciso. Il Supervisore Supremo
tentennò un poco, ma poi decise di
accettare e lasciò che Kent diventasse
una guardia temporanea nella linea in
costruzione nei pressi di El Calafate.
Kent, tutte le volte che passava Olivier,
lo guardava come per dire “vedi di
crepare in fretta, amico” e Olivier
abbassavo lo sguardo. Sfortunatamente
per Kent, Olivier non si decideva a
crepare e l’anno stava ormai per finire, e
così Kent decise di ricorrere ad una
scorrettezza, proprio quel giorno.
Quello era un freddo giorno di dicembre
ed ormai, da una decina di giorni, i
galeotti sapevano che Babbo Razionatale
sarebbe venuto a far visita. I più svegli
avevano anche arguito che il “Babbo”
doveva aver pronto un regalino per il
povero Olivier, ed i più furbi cercavano
di starsene alla larga. Così, seduto sulla
sua sedia dall’alto della recinzione,
140
finendo la sigaretta di contrabbando che
si era procurato, Kent decise che Babbo
Razionatale doveva cominciare a
scampanellare con le sue renne e tolse la
sicura alla propria pistola. Inserì il
silenziatore. Poi si mise a mirare alla testa
di Olivier.
Il capo.
Il cuore.
Le…le gambe.
I…piedi.
Trattenne il respiro e premette il
grilletto. La pietra di fronte a Olivier
scattò via, scheggiandosi. Olivier si
guardò attorno, vide Kent seduto con la
pistola e, con una goccia di sudore che
gli rigava la fronte, tornò in silenzio a
raccogliere pietre.
Kent corrucciò la fronte.
Poi
riprese
la mira, trattenne
nuovamente il respiro.
Nuovamente una pietra si mosse accanto
a Olivier.
Egli fece nuovamente finta di nulla e
continuò a raccogliere pietre.
Kent ora era irritato, prese la mira e
141
sparò un colpo rapido mirato alla testa.
Pablo cadde per terra con una pallottola
conficcata in fronte.
Olivier vide improvvisamente Pablo per
terra. Kent sorrise pronto alla reazione
ed inquadrò nel mirino la testa di Olivier.
Non poteva sparargli prima che fosse
insorto per non perdere la scommessa,
ma poteva farlo immediatamente dopo.
Olivier, tremante e piangendo calde e
silenziose lacrime, continuò a raccogliere
pietre, in silenzio per quasi dieci minuti.
Ogni tanto gettava sguardi al corpo
dell’amico per terra.
Vedeva.
Il.
Sangue.
Che scorreva.
Sulla terra.
Fredda.
Il corpo morto in una contrazione di.
Terrore.
Stupore.
Nel disinteresse.
Nella noncuranza.
Finchè non trovò la pietra giusta.
142
Olivier la prese in mano e con tutta la
forza che aveva la scagliò verso Kent.
Non fece in tempo a vedere cadere il
sasso che una pallottola gli trafisse il
cervello.
Ancora oggi si chiedono, dopo
quell’orribile massacro, come avesse
fatto Olivier De Keyser a lanciare con
una tale forza e precisione un sasso da
una distanza simile. Tuttavia quel sasso
raggiunse proprio al centro della fronte
Kent, che cadde all’indietro e morì. Alla
vista di quella reazione, una
delle
guardie, senza pensare a chi ci fosse nel
campo, aprì il fuoco trasformando quel
campo di lavoro in un’enorme massacro.
I morti tuttavia furono per la maggior
parte sorveglianti. La guardia che aprì il
fuoco, infatti, sparò senza saperlo a
cinque infiltrati razionali, in missione al
fine di sobillare le masse e uccise solo tre
galeotti. In compenso furono molti i
feriti: una decina, tra cui un
Razionalizzante che, per evitare che colui
che stava scortando si ferisse, si
143
interpose tra il suo corpo e le pallottole,
venendo ferito ad una gamba.
Mentre la sua scorta gli cadeva addosso
Jack pensava che sarebbe morto lì in
quel campo di prigionia.
MEDAGLIA AL VALORE
Sven si aggiustò nuovamente il colletto,
rendendolo perfetto.
Nella sua divisa di Razionalizzante.
Si guardò allo specchio.
Nella sua uniforme.
I bottoni neri.
L’uniforme splendeva.
Il bianco incredibile.
Appena rasato (sia barba che capelli).
Dagli occhi neri, una lacrima appena
vista scivolò fino a rigare tutto il volto.
Quella era forse l’ultima volta che si
vestiva così. L’ultima volta dopo tanti
anni, dopo tante missioni, dopo tanti
colleghi che aveva visto cadere, dopo
tanti uomini che aveva fatto cadere,
dopo tante vite che aveva salvato, dopo
anni di totale obbedienza.
144
Si sentiva come un cavallo da corsa
ferito, con una gamba stroncata in due.
Chissà dove sarebbe andato ora, forse
dietro una scrivania a supervisionare i
processi automatici dei computer,
oppure come guardia silenziosa in una
Banca Razionale, a non fare nulla, a
sedere, a guardare la gente passare.
Erano ormai quindici anni che non
avveniva più un colpo in banca a viso
aperto. Quindici anni da quella pazzesca
rapina mai risolta.
Tutto sommato, Sven rispettava quei
ladri, capaci di rubare un milione di
dollari sotto gli occhi di tutti, in pieno
giorno, con la pistola in faccia al cassiere,
protetti solo da una maschera. Entrare
con il viso coperto, urlare, seminare
panico: la guardia non riesce nemmeno
ad alzare il suo culo grosso e flaccido che
si ritrova una canna puntata alla tempia.
Fredda.
Insulti alla cassiera.
Ordine di sbrigarsi.
Erano rapine come non si usavano più
da secoli, ormai. Eppure l’avevano fatto,
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sorprendendo tutti e rubando un milione
di dollari.
A quell’epoca, non si rubava più così.
Tutti i colpi (almeno i più grossi)
avvenivano dalla casa di qualche persona
(a volte senza che essa stessa lo sapesse):
si accedeva alla rete globale attraverso
l’abbonamento di un altro utente (rubato
al database degli iscritti) e si cercava di
penetrare il sistema informatico. Di
solito i furti avvenivano di venerdì sera e
nessuno se ne accorgeva (a volte
nemmeno la banca). Essi infatti, quando
vi riuscivano, penetravano nel sistema
informativo lasciandovi un cavallo di Troia.
Questo cavallo spiava il sistema
automodificante cercando di carpirne
qualche parola chiave. Dopo una
settimana, sempre di venerdì sera, il
ladro era pronto ad entrare in azione: per
prima cosa prelevava il programma che
vi aveva lasciato ritrovandoci tutte le
password, poi provava le password
finché non riusciva ad entrare dentro
alcuni conti correnti. Una volta
penetrato dentro, prelevava da ogni
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conto corrente qualche centesimo
(giusto per arrotondare tutti i conti) e,
dopo aver prelevato mezzo dollaro da
dieci milioni di persone, si creava un
altro conto, in un’altra banca, smuoveva
un po’ i capitali per perderne le tracce,
poi li riportava a Panama, in un conto
creato per l’occorrenza, e spegneva il
computer. Poi si dirigeva verso
l’aeroporto dove un aereo per Panama lo
aspettava. Domenica sera alle 20.35
atterrava come turista nello Stato di
confine di Panama, Lunedì alle 12.45
ripartiva accompagnato da cinque milioni
di dollari, e da allora era sparito per
sempre.
Quando, il lunedì mattina, la Banca
accendeva i computer e scopriva di
essere stata derubata, i sistemisti e gli
investigatori arrivavano facilmente alle
seguenti conclusioni:
il
computer
utilizzato
risultava
inesistente, l’abbonamento utilizzato
risultava di un altro computer, c’ erano
scarse probabilità di rintracciare il
colpevole ed ancora più scarse che
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qualcuno esterno denunciasse il furto.
Così la Banca insabbiava tutto per evitare
che si sapesse che le sicurezze
implementate non erano sufficienti ed il
ladro era via per sempre.
Raramente era possibile rintracciare il
colpevole e se invece era possibile, era
un gioco da ragazzi. Ormai i
Razionalizzanti Indagativi nelle banche
svolgevano solo un lavoro di routine:
controllavano tutto ciò che potevano
controllare e quando avevano scoperto
di non poter fare di più, smettevano.
Forse Sven sarebbe andato lì a lavorare,
a passare ore in silenzio davanti al
computer, con un pacco di ciambelle
senza colesterolo alla sua destra ed un
barattolone di caffè alla sua sinistra, a
passare ore a fissare lo schermo che si
stampa sulla retina degli occhi.
Forse era così che sarebbe andata a
finire: Sven, pluridecorato, reduce da due
sommosse di notevole importanza,
reduce dal massacro di El Calafate, nel
quale aveva guadagnato una medaglia al
valore e nel quale aveva perso una
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gamba, ridotto a controllare che il
computer non sbagli nei suoi
procedimenti.
Questo era quanto.
Ma ne era valsa la pena? Di distruggersi
la vita, non poter più correre per salvare
la vita di un uomo e la sua valigia. Ne
sarà valsa la pena? Sperò solo questo,
mentre, di fronte a centinaia di
Razionalizzanti, gli consegnavano la
medaglia al
valore
per
essere
sopravvissuto al massacro di El Calafate.
COME OGNI ANNO
Jack guardò l’orizzonte vuoto: riusciva a
malapena ad intravedere l’altra sponda,
nel vuoto assoluto, quando gli parve di
vedere un punto all’orizzonte.
Gli parve di vedere un puntino che
correva verso di lui, a gattoni, correva
veloce sulle passerelle, nere come lo
spazio.
Jack si girò: sotto di lui una vettura di
Razionalizzanti lo aspettava.
Lasciò silenziosamente che l’uomo
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all’orizzonte si avvicinasse, borbottando,
sbuffando, tutto paonazzo per lo sforzo,
sudato. Lasciò che arrivasse sulla vetta,
mentre il sole moriva dolcemente alle sue
spalle. Lo vide cadere sull’erba fresca ed
ansimare. Jack non voleva mettergli
fretta, ma la visione di quell’essere
deforme, primitivo, lo disgustava e gli
faceva contorcere lo stomaco.
Distolse lo sguardo e si girò indietro,
come per dare al contrabbandiere quel
tanto che basta di privacy per ricomporsi
e rendersi presentabile. Jack pensava a
come dovesse essere la vita in quell’altro
emisfero, in un emisfero fatto di mostri e
mostruosità e al solo pensiero che se
non fosse per quell’occasione che gli era
stata data, egli sarebbe finito in
quell’incubo, rabbrividì. Dietro di lui,
intanto, Smokiza si era rialzato e
rantolava parole incomprensibili, visto
che lo sforzo gli impediva ancora di
articolare parole di senso compiuto.
Alcuni si spiegavano questo strano
comportamento da parte di Smokiza,
sostenendo che egli possedesse due
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respirazioni: la prima con la quale
riusciva a parlare, che era quella comune
a tutti gli esseri umani, e la seconda (sua
propria) che utilizzava quando correva.
Questa era profonda e capace:
estremamente lenta, ma altrettanto
potente. Con questa respirazione egli
non riusciva ad emettere suoni
comprensibili, ma solo lunghi sibili
oppure energici botti e così continuava,
finché non riusciva a cambiare di nuovo
respirazione. Tuttavia, in quel momento,
non era sua intenzione cambiare alcuna
respirazione: egli voleva sbrigarsi e
riprendere immediatamente il viaggio.
Sentendo i sibili strani ed le esplosioni di
aria improvvise, Jack credette che
Smokiza stesse parlando in una lingua a
lui sconosciuta e maledisse mentalmente
il Supervisore Supremo che non l’aveva
avvisato di ciò che doveva esattamente
fare. Jack gli porse, con calma assoluta e
mostrando bene i palmi delle mani, la
valigetta. Aveva un grosso e finto
sorriso, con il quale nascondeva una
paura isterica. Poi, raccogliendo tutto il
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fiato che aveva in corpo, cercò di imitare
uno di quei sibili che uscivano dalla
bocca di Smokiza.
Smokiza
rimase
improvvisamente
interdetto, poi guardò meglio Jack ed
infine scoppiò a ridere fino al cadere per
terra bocconi. Le risate echeggiarono
nella valle per qualche secondo, sebbene
a Jack paressero ore.
Jack, quasi stizzito, porse nuovamente la
valigetta, stavolta senza dire nulla.
Smokiza la prese, la aprì, la richiuse e gli
porse un sacco pieno di tè.
Jack lo guardò, lo aprì, lo richiuse, e
sorrise a Smokiza.
Ma questi stava già correndo verso la
carne di karin, correndo e piangendo,
come ogni anno.
Jack si mise il sacco del tè sulle spalle e
girò lo sguardo nuovamente verso la
razionalità. Il corriere aveva raccolto il
pacco di tè.
Come ogni anno.
FINE
152
INDICE
Aggiornamento storiografico………….2
Racconti dall’emisfero orientale
Maudit………………………………...9
Musashi………………………………17
Le montagne innevate………………..25
Yin Zhen…………………………….29
La valle dell’Akasa……………………36
Prova di fede…………………………44
Jhala………………………………….53
L’Imperatore nel regno dei cieli……....59
La conca d’argento…………………...65
I sette consiglieri……………………..71
Smokiza………………………………76
Buon viaggio…………………………84
Racconti da Americopoli
Introduzione………………………….87
Lòng………………………………….95
Biblioteca eterna……………………...101
Supervisore Supremo della Razionalità.110
I misteri di Avalon……………………117
Uno squarcio sul presente…………….123
La missione…………………………..130
Frank’s murder…………………….…135
Medaglia al valore…………………….144
Come ogni anno………………………149
153