Atti dei congressi SIDiLV 2008 - Società Italiana di Diagnostica di
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Atti dei congressi SIDiLV 2008 - Società Italiana di Diagnostica di
SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Alghero Hotel Calabona 22-24 Ottobre 2008 VOLUME DEGLI ATTI SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Alghero Hotel Calabona 22-24 Ottobre 2008 VOLUME DEGLI ATTI CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.DI.L.V. Gianluca Autorino, Presidente Maria Caramelli, Vice Presidente Alfredo Caprioli, Segretario Antonio Fasanella, Tesoriere Monica Cagiola, Membro Gabriella Conedera, Membro Sergio Rosati, Membro Alessandra Stancanelli, Membro Guido Leori, Revisore dei conti Mario Luini, Revisore dei conti Stefano Reale, Revisore dei conti COMITATO SCIENTIFICO DEL X CONGRESSO Aldo Marongiu, Sassari Marco Pittau, Sassari Salvatore Rubino, Sassari Il Consiglio Direttivo della S.I.Di.L.V. SEGRETERIA ECM Giovanna Mulas, Sassari Pietro Ruiu, Sassari Tel. 079-2892270/73 COMITATO ORGANIZZATIVO DEL X CONGRESSO Guido Leori, Sassari Chicca Masala, Sassari Elisa Piras, Sassari Giuseppe Schianchi, Sassari Leonarda Cuccu, Sassari SEGRETERIA ORGANIZZATIVA New Team Via C. Ghiretti, 2 - 43100 Parma Tel. 0521 293913 Fax 0521 294036 e-mail: [email protected] Lettera del Presidente Cari Colleghi, La volontà espressa lo scorso anno a Roma dall’Istituto Zooprofilattico della Sardegna di ospitare il X° Congresso S.I.Di.L.V. si è concretizzata attraverso l’impegno corrisposto dal mese di gennaio, finalizzato a garantire la migliore riuscita dell’evento. Ancora una volta, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo annuale grazie all’iniziativa di un Istituto che, con la sua partecipazione attiva ha, negli anni, contribuito anche alla crescita della nostra Società scientifica. Tutti coloro che, a diverso titolo nel corso della propria vita professionale, si sono cimentati nella realizzazione di un evento scientifico come questo sono consapevoli dell’impegno necessario. Questo il motivo per il quale, a nome del Consiglio Direttivo, mi ritengo onorato di esprimere il più sincero riconoscimento ed apprezzamento al Comitato Organizzativo ed allo staff che con lo stesso ha collaborato. La crescita d’interesse nei confronti della S.I.Di.L.V. è testimoniata dall’aumento dei contributi scientifici presentati (152, a fronte dei 125 del 2007), che costituisce un indicatore dello sviluppo tecnico scientifico della società ed è al tempo stesso sia volano, sia espressione dell’attività di ricerca corrente e di base che caratterizza le nostre Istituzioni. La nostra presenza, organizzazione e radicamento al territorio è l’elemento di forza che rende possibile il rapido adeguamento e la capacità di rendere servizi efficienti rispetto alle situazioni contingenti ed alle numerose emergenze sanitarie. Tuttavia, sebbene le nostre istituzioni costituiscano uno strumento insostituibile per la Sanità Pubblica e Veterinaria e la Sicurezza Alimentare, il complesso dei servizi resi non è sempre riconosciuto in maniera adeguata. Non è certo il caso della Regione Autonoma della Sardegna che, contribuendo in maniera sostanziale alla realizzazione di questo Congresso, ha confermato la propria attenzione sia nei confronti del proprio Istituto Zooprofilattico e della Facoltà di Medicina Veterinaria, sia delle tematiche che saranno oggetto di confronto nel corso dei lavori. L’organizzazione di questi eventi scientifici crea occasioni di confronto e crescita per la ricerca veterinaria e per l’attività corrente, che già oggi è orientata ad operare in tali ambiti. A questo proposito, riteniamo siano cogenti gli argomenti e le tematiche delle letture plenarie e delle sessioni scientifiche associate, individuati dal Consiglio Direttivo e dal Comitato Scientifico del Congresso. Le recenti epidemie di malattie trasmesse da vettori, anche a carattere zoonosico, verificatesi in Italia e in altri Paesi europei, richiedono una sempre maggiore preparazione: dal controllo dei casi sporadici “importati” del passato si è ormai passati ad un complesso di attività di sorveglianza e di gestione delle emergenze epidemiche causate da patogeni un tempo considerati esotici. Oltre che in termini di cambiamenti climatici, l’impatto ambientale si misura oggi attraverso il continuo verificarsi di problematiche ed emergenze connesse ad inquinamento e contaminazioni. Pertanto, ai fini della sicurezza alimentare, non si può più prescindere da valutazioni integrate che tengano conto sia dalla vocazione alla zootecnia dei distretti territoriali in funzione della presenza e concentrazione di sostanze residuali, sia da un approccio più orientato alla prevenzione (microbiologia predittiva) piuttosto che al controllo del prodotto finito, così come univocamente definito dai più recenti regolamenti comunitari. Non ultimo, la selezione genetica di animali resistenti alle malattie costituisce oggi una delle sfide allo steso tempo più difficili ma anche avvincenti non solo per chi è coinvolto nella ricerca ma anche nell’interesse dei produttori zootecnici. Un sentito riconoscimento va rinnovato al Comitato Scientifico del X° Congresso per la disponibilità offerta a valutare, fra i numerosi contributi, quelli oggetto di presentazione orale. Nel merito, ricordiamo che per la selezione si è tenuto conto dell’attinenza agli argomenti delle sessioni tematiche, del valore scientifico ed innovativo e anche della opportunità di avere rappresentati i soggetti istituzionali (Istituti, Università, ISS, strutture territoriali del SSN) che partecipano attivamente alla nostra Società. Un grazie anche agli esperti che hanno accettato di presentare le letture plenarie, agli sponsor del settore che hanno aderito numerosi, e a tutti voi che, presenti a diverso titolo al Congresso e al Corso per tecnici di laboratorio avete contribuito alla riuscita di questa manifestazione. Il Presidente S.I.Di.L.V. Gian Luca Autorino V Il Comitato Organizzatore del X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo fornito alla realizzazione dell’evento Regione Autonoma della Sardegna Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Biotest Italia Celbio Foss Italia GeneSystems ID Vet Idexx Institut Pourquier Promevet Qiagen VII Indice LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA De Castro P., “ 3 INTERAZIONE VIRUS-VETTORE Dottori M., “ 5 CHIKUNGUNYA: PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI E LORO UTILIZZO NELLA DIAGNOSI SIEROLOGICA Lelli D., Moreno A., Lavazza A., Sozzi E., Luppi A., Canelli E., Tamba M., Capucci L., Brocchi E., Cordioli P., “ 7 RICERCA DEL VIRUS WEST NILE MEDIANTE REAL TIME RT- PCR PER IL GENE CODIFICANTE LA PROTEINA NON STRUTTURALE (NS2a) Cersini A., Ciabatti I.M., Damiani A., Manna G., Letizia E., Denisi A., Scicluna M.T., Autorino G.L., “ 9 CLONAGGIO, ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA VP7 DI BLUETONGUE VIRUS Coradduzza E., Addis M.F., Alberti A., Chessa B., Pagnozzi D., Pittau M., “ 11 IDENTIFICAZIONE DEI CEPPI DI LEISHMANIA MEDIANTE ANALISI DEI MICROSATELLITI Reale S., Lupo T., Manna L., Gravino A.E., Rea S., Migliazzo A., Piazza M., Cipri’ V., Vitale F., “ 13 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBATTERI TUBERCOLARI ISOLATI IN SARDEGNA DA VARIE SPECIE ANIMALI, DI ALLEVAMENTO E SELVATICHE Lollai S.A., Manunta D., Bandino E., Canu G., Carboni G.A., D’Ascenzo V., Ponti N., Rolesu S., Ziccheddu M., Pacciarini M.L., Patta C., “ 15 MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI AGENTI INFETTIVI CHE CAUSANO ABORTO NELLA SPECIE BOVINA Tramuta C., Lacerenza D., Zoppi S., Goria M., Dondo A., Rosati S., Nebbia P., “ 17 PRESENTAZIONE DI CASI CLINICI DI INTERESSE VETERINARIO CON L’UTILIZZO DI UN PORTALE SCIENTIFICO WEB (PSW) Dondo A., Zoppi S., Bergagna S., Grattarola C., Rossi F., Aliberti E., Iacobelli G., Failla R., “ 19 LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE SRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO Koutsoumanis K., “ 21 LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO: DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF LIFE DEGLI ALIMENTI RTE Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Monastero P., Boni P., “ 22 ANALISI DEL PIANO REGIONALE CAMPIONAMENTO ALIMENTI NELL’OTTICA DELLA VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA DEL RISCHIO ALIMENTARE Barrucci F., Mancin M., Cibin V., Capello K., Barco L., Ricci A., “ 24 INDAGINE PRELIMINARE E CARATTERIZZAZIONE DI LISTERIA SPP IN DIFFERENTI MATRICI ALIMENTARI Cogoni M.P., Brignardello S., Sabiu R., Cosentino S., Pisano M.B., Decastelli L., Mantoan P., Brunetti R., Parisi A., Normanno G., “ 26 STUDIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP., IN CASEIFICI LUCANI MEDIANTE IL MONITORAGGIO DEI POZZETTI DI DRENAGGIO DELLE ACQUE - DATI PRELIMINARI Parisi A., Latorre L., Fraccalvieri R., Sarli G., Contò L., Normanno G., Santagada G., “ 28 IX INDAGINE SULLA PRESENZA DI NEMATODI ANISAKIDAE IN SPECIE ITTICHE MARINE Costa A., Sciortino S., Reale S., Alio V., Cusimano M., Caracappa S., “ 30 COMPARATIVE GENOMIC HYBRIDISATION (CGH) MICROARRAY DI DUE CLONI MULTIRESISTENTI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM Lucarelli C., Anjum M., Saunders M., Dionisi A.M., Owczarek S., Villa L., Caprioli A., Luzzi I., “ 32 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN METODO AUTOMATIZZATO PER LA NUMERAZIONE DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI Bianchi D.M., Gallina S., Giovannini T., Mantoan P., Dérépas F., Giardino R., Decastelli L., “ 34 STIMA DELL’INCERTEZZA DI MISURA DEI METODI DI MICROBIOLOGIA ALIMENTARE DELL’IZSVE SECONDO LE NORME ISO 7218:2007 E ISO 19036:2006 Mancin M., Grimaldi M., Trevisan R., Mioni R., “ 36 MELAMINA: UN ANNO DI CONTROLLI UFFICIALI Ferro G., L., Mauro C., Amato G., Poma Genin E., Loria A., Marchis D., Abete M.C., “ 38 DETERMINAZIONE DI ALLERGENI IN ALIMENTI A BASE DI CARNE: ATTIVITA’ DI MONITORAGGIO NELLA REGIONE PIEMONTE Fragassi S., Lai J., Fabbri M., Adriano D., Gallina S., Bianchi DM., Barbaro A., Decastelli L., “ 40 IDENTIFICAZIONE CON TECNICA ESR DI CARNI IRRADIATE (EQUINO, SUINO, OVINO, CAPRINO, CONIGLIO, TACCHINO) CONTENENTI OSSA Mangiacotti M., Chiaravalle A.E., Marchesani G., “ 42 RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE NEGLI ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO MEDIANTE PCR., CONFRONTO TRA DIFFERENTI METODI DI ESTRAZIONE DEL DNA Vodret B., Schiavo M.R., Serratrice G., Sparacino L., Altissimi M.S., Haouet M.N., “ 44 APPLICAZIONE DEL TEXTURE PROFILE ANALYSIS (TPA) TEST NELLA DEFINIZIONE DELLE PROPRIETÀ REOLOGICHE DEL PROSCIUTTO DI PECORA SARDA Busia G., Colleo M.M., Melillo R., Piras F., Meloni D., Mazzette R., “ 46 RESISTENZA GENETICA ALLE MALATTIE NELLE SPECIE DI INTERESSE ZOOTECNICO Williams J.L., “ 48 STUDIO DEI DIFFERENTI ALLELI DEL GENE NRAMP1 IN BUFALE BATTERIOLOGICAMENTE POSITIVE A BRUCELLA SPP. Alfano F., Corrado F., Galiero G., Iovane G., “ 50 GLI ALLELI AT137RQ E ARQK176 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA PROTEGGONO LE PECORE DALLA SCRAPIE Vaccari G., Scavia G., Sala M., Cosseddu G., Chiappini B., Conte M., Esposito E., Ciaravino G., Lorenzetti R., Perfetti G., Marconi P., Scholl F., Barbaro K., Babsa S., Parisi C., Nonno R., Bella A., Agrimi U. “ 52 CODONI DEL GENE CHE CODIFICA PER LA PROTEINA PRIONICA (PRNP) COME MARKER GENETICI PER RUMINANTI SARDI DOMESTICI E SELVATICI Maestrale C., Attene S., Galistu A., Crudeli S., Cabras P., Firinu A., Marongiu E., Ligios C., “ 54 VALUTAZIONE DI MARCATORI GENETICI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE E VALIDAZIONE DEL PROTOCOLLO OPERATIVO STANDARD Riina M.V., Colussi S., Peletto S., Trisorio S., Mignone W., Dellepiane M., Robetto S., Domenis L., Orusa R., Caramelli M., Acutis P.L., “ 56 GENOTIPIZZAZIONE INDIVIDUALE NELL’AMBITO DEL PIANO STRAORDINARIO PER LE EMERGENZE SANITARIE Scasciamacchia S., Garofalo G., Chiocco D., Losito S., Mongelli O., Avetta M., Fasanella A., “ 58 LEGAME TRA MAGNETISMO E PROTEINA PRIONICA Balzano F., Basagni M., Marongiu A., Ligios C., Fresu S., Sanna V., “ 60 X BACKGROUND FILOGENETICO E PROFILI DI VIRULENZA IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI SENSIBILI E RESISTENTI ALLA CIPROFLOXACINA ISOLATI DA UOMO E DA SPECIE AVIARE Graziani C., Luzzi I., Corrò M., Tomei F., Parisi G., Accogli M., Morabito S., Caprioli A., Cerquetti M., “ 62 LE INDAGINI BIOMOLECOLARI APPLICATE ALLO STUDIO DEI FOCOLAI DI TUBERCOLOSI BOVINA Mazzone P., Cagiola M., Biagetti M., Crotti S., Ortenzi R., Faccenda L., Ferrante G., Bugatti M., Savini G., Boni M., Farinelli M., Boniotti B., Pacciarini M., “ 64 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI PORCINE ENTEROVIRUS E TESCHOVIRUS ISOLATI IN ITALIA NEL 2006-2007 Sozzi E., Barbieri I., Lavazza A., Moreno A., Lelli D., Luppi A., Canelli E., Bugnetti M., Cordioli P., “ 66 INDAGINI SIEROLOGICHE E VIROLOGICHE IN UN ALLEVAMENTO CAPRINO UFFICIALMENTE INDENNE DA LENTIVIRUS OVI-CAPRINI Reina R., Grego E., Robino P., Profiti M., Quasso A., Masoero L., De Meneghi D., Rosati S., “ 68 VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULO-MEDIATA A SEGUITO DELLA VACCINAZIONE CONTRO ABORTO OVINO DA SALMONELLA Cagiola M., Severi G., Forti K., Filippini G., Papa P., Bugatti M., De Giuseppe A., Mazzone P., Fumanti P., Pasquali P., “ 70 RUOLO DEI FENOTIPI LEUCOCITARI BOVINI NELLA VALUTAZIONE DELL’IMMUNITA’ CELLULARE IN CORSO DI MASTITI DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS Sottili R., Donvito V.M., Pavone D., Montagna C.O., “ 72 STUDIO E ALLESTIMENTO DI UN VACCINO A DNA CONTRO Magalactiae Chessa B., Pittau M., Piras I., Lai A., Puricelli M., Dall’Ara P., Carcangiu L., Cacciotto C., Rosati S., Alberti A., “ 74 DIAGNOSI DI ECHINOCCOSI CISTICA UMANA MEDIANTE ELISA E IMMUNOBLOTTING Longheu C., Corona L., Mastrandrea S., Cillara G., Masala G., Tola S., “ 76 EQUINE INFECTIOUS ANEMIA: SHOULD THE AGID TEST STILL BE USED AS A SCREENING AND AS UNIQUE CONFIRMATORY TEST? Scicluna M.T., Zini M., Caprioli A., Cordioli P., Vulcano G., Della Verità F., Gregnanini S., Palmerini T., Simula M., Stilli D., Autorino G.L., “ 78 UTILIZZO DELL’ANTIGENE RICOMBINANTE NS3, ESPRESSO TRAMITE BACULOVIRUS, NEI TEST SIEROLOGICI PER ANTICORPI ANTI-PESTIVIRUS Pezzoni G., Brocchi E., “ 80 ESPRESSIONE DELLA PROTEINA CAPSIDICA DI UN CEPPO DI EPATITE E SUINO E SVILUPPO DI ANTICORPI MONOCLONALI Di Bartolo I., Ponterio E., Inglese N., Martelli F., Caprioli A., Ostanello F., Ruggeri F.M., “ 82 POSTERS CONTAMINANTI INORGANICI E PROTOZOI ZOONOSICI IN VONGOLE (Chamelea gallina) e VONGOLE FILIPPINE (Ruditapes philippinarum) IN UN COMPRENSORIO DELL’ALTO ADRIATICO Abete M.C., Prearo M., Caffara M., Tarasco R., Gavinelli S., Florio D., Gustinelli A., Fioravanti M.L., “ 87 ISOLAMENTO DI BRUCELLA SUIS IN ALLEVAMENTI SUINI DELLA SARDEGNA Alongi C., Spazziani A., Zulato B., Deiana A., Frongia M., Orrù G., Liciardi M., “ 89 IMPORTANZA DEL CONTROLLO MICROBIOLOGICO NEL LATTE CRUDO ALLA SPINA Amatiste S., Patriarca D., Pietrini P., Battisti S., Palmieri P., Scaramella L., Rosati R., “ 91 XI VALUTAZIONE IN VIVO E IN VITRO DELLA FERTILITA’ DEL VERRO IN CONTESTO AZIENDALE Bacci M.L., Fantinati P., Alborali G.L., Zannoni A., Penazzi P., Bernardini C., Forni M., Ostanello F., “ 93 CELLULE STAMINALI DA GRASSO DI EQUINO: LORO APPLICAZIONE NELLA RIGENERAZIONE OSSEA Barbaro K., Autorino G.L., Bonini P., Gentili C., Cancedda R., Scholl F., Canonici F., Amaddeo D., “ 95 UTILIZZO DI STRUMENTI BIOINFORMATICI “WEB-BASED” PER LO STUDIO DI UN NUOVO PROTOCOLLO MOLECOLARE PER LA RILEVAZIONE DI PCV2 Barocci S., Briscolini S., Silenzi V., Nardi S., Simoni E., Sabbatini M., “ 97 ESAME BATTERIOLOGICO/PCR SU TAMPONI NASALI BOVINI IN FOCOLAI DI MALATTIA RESPIRATORIA Benedetti V., Luini M., Manzoli C., Vezzoli F., “ 99 QUADRI ANATOMO-PATOLOGICI E ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP., IN ALLEVAMENTI BOVINI PIEMONTESI Bergagna S., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Adriano D., Fgrattarola C., “ 101 PRESENZA DI COXIELLA BURNETII E MYCOBACTERIUM PARATUBERCULOSIS NEL LATTE CRUDO: MONITORAGGIO MEDIANTE TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE Bertasi B., Maccabiani G., Tilola M., Daminelli P., Boni P., “ 103 SVILUPPO DI METODICHE DIAGNOSTICHE INNOVATIVE PER IL RILEVAMENTO DEI PRINCIPALI AGENTI ABORTIGENI NEI RUMINANTI Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Magistrali C., Ortenzi R., Checcarelli S., Lauterio C., Pittau M., Passotti C., Marini M., Atzori M., De Montis A., “ 105 CRITERI DI IGIENE DEL PROCESSO (REG., CE 1441/2007): L’AUTOMAZIONE IN LABORATORIO PER IL CONTEGGIO MICROBICO Bianchi D.M., Gallina S., Sant S., Liuni F.F., Adriano D., Decastelli L., “ 107 APPLICAZIONE DELL’ART., 223 DEL D., L., vo 271/89 “NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E TRANSITORIE DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE” SU CAMPIONI DI ALIMENTI NEL PERIODO 1999-2007 Bogdanova T., Bugattella S., Flores Rodas E.M., Sampieri C., Pecchi S., Bilei S., “ 109 ANALISI DELLE SOTTOPOPOLAZIONI LINFOCITARIE IN PECORE INOCULATE CON DIFFERENTI SIEROTIPI DEL VIRUS DELLA BLUE TONGUE Bonelli P., Savini G., Canalis M., Re R., Pilo G.A., Colorito P., Fresi S., Pais L., Nicolussi P., “ 111 LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO: DINAMICA DI COMPORTAMENTO DEI PATOGENI DURANTE IL PROCESSO PRODUTTIVO Boni P., Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Bonometti E., “ 113 UNA ESPERIENZA DI CONDIVISIONE INFORMATICA DELLE ANAGRAFICHE DEGLI ALLEVAMENTI BASATA SULLA COOPERAZIONE APPLICATIVA NELLA REGIONE VENETO Bortolotti L., Ponzoni A., Rizzo S., Redigolo L., Benvegnù F., Rostellato D., D’Este L., Mazzagallo S., Farina G., Brinchese M., Marangon S., “ 115 SVILUPPO DI METODICHE ALTERNATIVE PER LA RICERCA DI FRAMMENTI OSSEI DI ORIGINE ANIMALE NEI MANGIMI Buonincontro G., Squadrone S., Benedetto A., Fragassi S., Sant S., Della Torre E., Parasacco M., Decastelli L., “ 116 FRAZIONAMENTO DEI SUBPROTEOMI DI MICOPLASMI AGENTI EZIOLOGICI DI AGALASSIA CONTAGIOSA Cacciotto C., Addis M.F., Alberti A., Chessa B., Carcangiu L., Pittau M., “ 118 INDAGINE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP., IN ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE DEL NORD ITALIA Cammi G., Arrigoni N., Belletti G.L., Garilli F., Ricchi M., Vicari N., Tamba M., Galletti G., “ 120 XII ALLESTIMENTO DI UN METODO ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI ANTI-STREPTOCOCCUS UBERIS NEGLI OVINI Campesi F., Marogna G., Uzzau S., Leori G.S., “ 122 ALLESTIMENTO ED USO DI UN METODO MULTIPLEX-PCR PER LA DIAGNOSI DI STREPTOCOCCUS UBERIS E ENTEROCOCCUS FAECALIS DA LATTE OVINO Campesi F., Marogna G., Uzzau S., Leori G.S., “ 124 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA IN SITU DI FOLLICOLI LINFATICI SECONDARI E TERZIARI IN ORGANI DI OVINI Cancedda M., G., Demontis F., Macciocu S., Denti S., Ligios C., “ 126 TIPIZZAZIONE GENETICA DI CEPPI DEL VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA (BVDV) ISOLATI IN LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA DAL 1999 AL 2007 Canelli E., Luppi A., Barbieri I., Lavazza A., Moreno Martin A., Sozzi E., Lelli D., Cordioli P., “ 128 MALATTIA PERIODONTALE OVINA (BROKEN MOUTH): ASPETTI CLINICO-PATOLOGICI E BATTERIOLOGICI Canu G., Cancedda G., Piredda M.A., Patta C., Ligios C., Mancosu A., Carboni G.A., “ 130 IPOTESI DI CONTROLLO CENTRALIZZATO DELLE PROVE DIAGNOSTICHE BASATE SULLA METODICA ELISA Capello K., Nardelli S., “ 132 ANALISI BIOMOLECOLARI, SEROLOGICHE ED ISOLAMENTO IN UN GATTO INFETTO DA LEISHMANIA SPP. Caracappa S., Migliazzo A., Lupo T., Lo Dico M., Calderone S., Rea S., Currò V., Vitale M., “ 134 VIROSI DELLE API E MORTALITA’ DEGLI ALVEARI Cardeti G., Lavazza A., Cittadini M., Ponticello L., Formato G., Tittarelli C., Amaddeo D., “ 136 BETANODAVIRUS IN SPECIE ITTICHE ALLEVATE E SELVATICHE: RISULTATI DI INDAGINI DI LABORATORIO CONDOTTE NEL PERIODO NOVEMBRE 2004 - LUGLIO 2008 PRESSO L’IZS LAZIO E TOSCANA Cardeti G., Lorenzetti R., Conti R., Del Bove M., Amiti S., Dell’Aira E., Bossù T., Amaddeo D., “ 138 MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI VIBRIO ALGINOLYTICUS E VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS Colussi S., Corvonato R., Zuccon F., Giorgi I., Serracca L., Acutis P., L., Prearo M., “ 140 REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E PRODOTTI DI GASTRONOMIA: RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU TRAMEZZINI Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Milan M., Mioni R., “ 142 REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E INSACCATI FERMENTATI: RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU COPPE STAGIONATE Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Cassini S., Mioni R., “ 144 IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BUFALINA IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ANALISI MICROSATELLITARE Corrado F., Galiero G., Cutarelli A., Girardi S., Iovane G., “ 146 POSITIVITA’ PER TAYLORELLA EQUIGENITALIS IN UN ALLEVAMENTO DEL VENETO Corrò M., Friso S., Perin R., Qualtieri K., Sturaro A., La Greca E., Donati V., Lorenzetti S., Battisti A., “ 148 LA PREPARAZIONE DEI LABORATORI DIAGNOSTICI IN CASO DI EMERGENZE VETERINARIE Dalla Pozza M., Ceolin C., Marangon S., “ 150 METODI DIAGNOSTICI E SUSCETTIBILITÀ GENETICA NELLA PARATUBERCOLOSI DEGLI OVINI De Grossi L., Gelli A., Pifferi A., Giordani F., De Sanctis B., Scorsino G., Pariset L., Sezzi E., “ 152 XIII CARATTERIZZAZIONE BIOCHIMICA DI CEPPI DI PAENIBACILLUS LARVAE ISOLATI DALL’IZS-LT MEDIANTE API(r) 50CH Dell’Aira E., Milito M., Tomassetti F., Bragagnolo A., Saccares S., Formato G., “ 154 GENI CODIFICANTI PER FATTORI DI PATOGENICITA’, ANTIBIOTICO RESISTENZA E BIOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA CONIGLI DA ALLEVAMENTI INTENSIVI DEL CENTRO ITALIA Dettori A., D’Angelo G., Grelloni V., Mangili P.M., Maresca C., Pezzotti G., Sebastiani C., Magistrali C.F., “ 156 DETERMINAZIONE TRAMITE GC/MS DI ETILENTIOUREA (ETU) IN URINE DI LAVORATORI DI UNA AZIENDA VITIVINICOLA SICILIANA ESPOSTI A MANCOZEB Di Noto A.M., D’Oca M.C., Cardamone C., Randisi B., Dara S., Caracappa S., Verso M.G., Schillaci S., Picciotto D., “ 158 DIFFUSIONE DELLA SARCOSPORIDIOSI NELLE CARNI PROVENIENTI DA SUINI E BOVINI ALLEVATI E MACELLATI PER AUTOCONSUMO NELLA PROVINCIA DI BIELLA Domenis L., Guidetti C., Sacchi L., Clementi E., Genchi M., Felisari L., Felisari C., Mo P., Vottari F., Cognata D., Pellegrini S., Sala L., Peletto S., Campanella C., Zuccon F., Acutis P., “ 159 STUDIO DELL’ACCURATEZZA E DELL’ATTENDIBILITA’ DEL CALIFORNIA MASTITIS TEST (CMT) NEL LATTE DI CAPRA Dore S., Doro P., Fiori S., Denti G.V., Manai M., A., L., Cannas E.A., “ 161 RISCONTRO DI CASI DI LINFOSARCOMA IN BOVINI INFETTI DA VIRUS DELLA LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA Feliziani F., Casciari C., Farneti S., Vitelli F., Manuali E., Salamida S., Lepri E., Rutili D., “ 163 IGIENE DEL PROCESSO DI MACELLAZIONE: VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI AUTOCONTROLLO NELLA PROVINCIA DI TRENTO NEL PERIODO 2003 - 2008 Ferrari L., Pizzo E., Debiasi K., Simonato S., Lucchini R., Farina G., Dalvit P., “ 165 RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA: STUDIO SUI CAMPIONI BORDERLINE AL TEST ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI TOTALI CONTRO BHV 1 Ferraris M., Palermo P., Bisignano G., Guidetti C., Orusa R., “ 167 BOTULISMO ALIMENTARE ASSOCIATO AL CONSUMO DI SALSA TARTUFATA Flores Rodas E.M., Fenicia L., Anniballi F., De Angelis V., Del Frate S., Di Domenico I., Bilei S., “ 169 VALUTAZIONE DELLA CAPACITA’ PREDITTIVA DEL POZZETTO DI DRENAGGIO DELLE ACQUE PER IL MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA MONOCYTOGENES NEI CASEIFICI Fraccalvieri R., Parisi A., Latorre L., Sarli G., Normanno G., Santagada G., “ 171 TAYLORELLA ASINIGENITALIS: PRIMA SEGNALAZIONE IN ITALIA IN STALLONI ASININI Franco A., Di Egidio A., Troiano P., Putrella A., Maggi A., Iurescia M., Lorenzetti R., Zini M., Ianzano A., Onorati R., Onorati C., Cerci T., Autorino G.L., Battisti A., “ 173 CIRCUITO INTERLABORATORIO DI MICROBIOLOGIA DIAGNOSTICA: RICERCA TAYLORELLA EQUIGENITALIS Friso S., Perin R., Mancin M., Corrò M., “ 175 RIFLESSI CLINICI E LABORATORISTICI DI UN REGIME ALIMENTARE IPEPROTEICO NEL CANE Fusari A., Ubaldi A., Quintavalla F., Venturelli B., Venturelli G., “ 177 PREPARAZIONE MEDIANTE FPLC DI IgG DI CAPRA ANTI IgG DI BUFALO Fusco G., Amoroso M., G., Serpe F., P., De Felice A., Sarnelli P., Iovane G., “ 179 RICERCA DI MICRORGANISMI CAUSA DI TOSSINFEZIONE MEDIANTE PCR MULTIPLEX IN UOVA DI ALLEVAMENTI RURALI E ALIMENTI CONTENENTI CARNI DI POLLAME Fusco G., Proroga Y., T., R., Romano M., Salzano C., Zinno V., “ 181 XIV RICERCA DI MICRORGANISMI PATOGENI MEDIANTE PCR MULTIPLEX NEL LATTE DI BUFALA E SUOI DERIVATI Fusco G., Proroga Y., T., R., Guarino A., Mosca E., Napoletano M., Capuano F., “ 183 RICONOSCIMENTO DI SPECIE ANIMALI IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ISOFOCALIZZAZIONE RAPIDA DELLE PROTEINE MIOFIBRILLARI Gagliardi R., Di Luccia A., Trani A., Lo Izzo P., Capo S., Bove D., Iovane G., “ 185 EPISODIO TOSSIFETTIVO DA ENTEROTOSSINA STAFILOCOCCICA IN PRODUZIONI D’ALPEGGIO Gallina S., Buonincontro G., Cassinelli G., Cazzorla M., Di Bari O., Mantoan P., Sant S., Ghia C.A., Bianchi D.M., Adriano D., Sommaria M., Fontana E., Mogliotti P., Monticone C., Decastelli L., Brusa F., “ 187 CASO DI BOTULISMO DA SEMICONSERVE DI PRODUZIONE ARTIGIANALE Gallina S., Bianchi D.M., Giovannini T., Mantoan P., Civalleri N., Rubini D., Boni P., Molino M., Decastelli L., “ 189 OSSERVAZIONI PRELIMINARI PER LA RICERCA DI M. avium subsp. paratuberculosis IN CAMPIONI FECALI DI BOVINO MEDIANTE L’ALLESTIMENTO in house DI UN METODO HEMINESTED PCR Garrone A., Fulghesu L., Benedetto A., Soncin A.R., Carlino F., Dondo A., Goria M., “ 191 PRODUZIONE DI ENTEROTOSSINE DA Staphylococcus aureus ISOLATI DA LATTE DI CAPEZZOLO BOVINO Giacinti G., Tammaro A., Gemma L., Signoretti G., L., Amatiste S., “ 193 MICOBATTERIOSI ATIPICHE IN PESCI ORNAMENTALI D’IMPORTAZIONE: NUOVI DATI RELATIVI AL TRIENNIO 2006-2008 Giorgi I., Pezzolato M., Florio D., Arsieni P., Fioravanti M.L., Varello K., Bozzetta E., Zanoni R.G., Prearo M., “ 195 MERCURIO IN PRODOTTI ITTICI PRELEVATI AL MERCATO ITTICO DI GENOVA Giorgi I., Prearo M., Ferrari A., Droetto A., Tarasco R., Pellegrino M., Leogrande M., Vivaldi B., Abete M.C. “ 197 MESSA A PUNTO DI UN METODO PER RILEVARE LA PRESENZA DI SPORE DI NOSEMA APIS/NOSEMA CERANAE IN CAMPIONI DI MIELE Granato A., Caldon M., Cristofanon A.M., Boscarato M., Colamonico R., Falcaro C., Gallina A., Mutinelli F., “ 199 STUDIO SUGLI EFFETTI IMMUNOMODULATORI DERIVANTI DALLA SOMMINISTRAZIONE DI GAMMA GLOBULINE UMANE E ADIUVANTE DI FREUND COMPLETO NELLA TROTA IRIDEA (Oncorhynchus mykiss) Gregori M., Cecchini S., Abramo F., Leotta R., Pretti C., Prearo M., “ 201 APPLICAZIONE DEL TEST ELISA SU LATTE DI MASSA PER LA RICERCA DI ANTICORPI NEI CONFRONTI DELL’IBR, NELL’AMBITO DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO E SORVEGLIANZA IN PIEMONTE Guglielmetti C., De Marco L., Vitale N., Chiavacci L., Andrà M., Biosa M., T., Masoero L. “ 203 UTILIZZO DELLA PROVA DEL g-INTERFERON QUALE DIAGNOSI COMPLEMENTARE IN ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI NEL SETTORE ITALIANO NORD OCCIDENTALE Guidetti C., Demurtas G., Pepe E., Ferraris M., Marchisio F., Ragionieri M., Spedicato R., Bossotto T., Petruccelli G., Cazzaniga G., Orusa R., 205 “ IL MONITORAGGIO MICROBIOLOGICO AMBIENTALE DELL’ARIA IN LABORATORIO: ESPERIENZA DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA Guzzo S., De Angelis E., Sibilia L., Di Giamberardino F., “ 207 ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: METODI DI RICERCA A CONFRONTO - NOTA PRELIMINARE La Salandra G., Normanno G., Crisetti E., Salinetti A.P., Mioni R., Bove D., Tola S., XV “ 209 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E GENETICA DELLA RESISTENZA ANTIMICROBICA IN PATOGENI MASTITICI Lollai S.A., Ziccheddu M., Manunta D., Patta C., Leori G., “ 211 PCR PER LA DETERMINAZIONE DEL SESSO IN SPECIE AVIARIE MONOMORFICHE: UN FLUSSO DI LAVORO SEMPLIFICATO Lorenzetti R., Fanelli R., Puccica S., Ruggeri M.T., Zini M., Ciabatti I., Amaddeo D., “ 213 UTILIZZO DEL MODELLO MURINO PER L’EVIDENZA D’INQUINAMENTO AMBIENTALE AEROGENO DA FIBRE ASBESTIFORMI Loria G.R., Monteverde V., Manno C., Schiavo M.R., Sparacino L., Chicca M., Caracappa S., “ 215 VALUTAZIONE COMPARATIVA DI reverse transcription BOOSTER PCR E METODI IN REAL TIME PCR PER LA RICERCA DI NOROVIRUS IN ALIMENTI E CAMPIONI BIOLOGICI Losio M.N., Zanardini N., Pavoni E., Moro E., Suffredini E., Croci L., Boni P., “ 217 MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE MICROBIOLOGICA DEI LUOGHI DI PRODUZIONE DI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE IN TRENTINO Lucchini R., Lucchi A., Andreatti G., Rodas S., Mioni R., Fasoli F., Costanzi C., Chin F., Farina G., Dalvit P., “ 219 SISTEMA INFORMATIVO SANITARIO DELLA REGIONE VENETO: SISTEMA INTEGRATO PER LA GESTIONE DEI PIANI DI CONTROLLO NEGLI ALLEVAMENTI Manca G., Bortolotti L., Vescovi M., Rizzo S., Marangon S., Brichese M., “ 221 PIANO NAZIONALE INFLUENZA AVIARIA:RISULTATI DELLE ATTIVITA’ DI SORVEGLIANZA ATTIVA E PASSIVA 2006-2007-2008 SU SPECIE SELVATICHE IN PIEMONTE, LIGURIA E VALLE D’AOSTA Mandola M., L., Barcucci E., Rizzo F., Orusa R., Vaschetti G., Giammarino M., “ 222 SVILUPPO E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UNA ELISA HOME MADE DA UTILIZZARE PER LA DIAGNOSI INDIRETTA DI TOXOPLASMOSI OVINA Mangili P., M., Vesco G., Feliziani F., Paoloni A., Menichelli M., Cagiola M., Marini C., Pourquier P., Papa P., “ 224 VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELLA TERAPIA CON MILTEFOSINE E ALLOPURINOLO IN CORSO DI LEISHMANIA MEDIANTE REAL-TIME PCR Manna L., Picillo E., Vitale F., Gravino A.E., “ 226 RUOLO DEI LINFOCITI T REGOLATORI CD4+ CD25+ NELLA DETERMINAZIONE DELLO STATO DI BENESSERE NELLA SPECIE SUINA Marcaccio S., Severi G., Moscati L., Sensi M., Forti K., Curina G., Pasquali P., Bizzaro D., agiola M., “ 228 IDENTIFICAZIONE E QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO GENETICAMENTE MODIFICATO MAIS MON810: STUDIO COLLABORATIVO DELLA RETE ITALIANA DI LABORATORI DEL CONTROLLO UFFICIALE Marchesi U., Gatto F., Verginelli D., Paternò A., Quarchioni C., Fusco C., Amaddeo D., Ciabatti I., “ 230 INDAGINE SULLA PRESENZA DI STAPHYLOCOCCUS SPP., E DI STAFILOCCHI METICILLINO RESISTENTI (MRS) NEL CAVALLO: VALUTAZIONE DI FATTORI DI RISCHIO Maresca C., Biagetti M., Neri M.C., Pepe M., Scoccia E., Tentellini M., Venditti G., Magistrali C.F., “ 232 LESIONI DA STAPHYLOCOCCUS CHROMOGENES E STREPTOCOCCUS UBERIS: RILIEVI ISTOPATOLOGICI SU MAMMELLE E LINFONODI DI PECORA Marogna G., Rocca S., Bionda S., Leori S.G., “ 234 INFEZIONE SPERIMENTALE DI SUINI CONVENZIONALI CON VIRUS DELL’EPATITE E (HEV) E CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2): RISULTATI PRELIMINARI Martelli F., Di Bartolo I., Ruggeri F.M., Militerno G., Panarese S., Sarli G., Marcato P.S., Luppi A., Caprioli A., Ostanello F., “ 236 XVI PREVALENZA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN ALLEVAMENTI SUINI DEL NORD ITALIA Martinelli N., Luppi A., Lelli D., Sozzi E., Canelli E., Fontana R., Moreno Martin A., Lavazza A., Lombardi G., “ 238 PIANO NAZIONALE DI CONTROLLO DELLA MALATTIA DI AUJESZKY: SITUAZIONE IN PIEMONTE Masoero L., Vitale N., Gobbi E., Maglione D., Meci D., Sciarra A., Chiavacci L., Pitti M., “ 240 INDAGINE PRELIMINARE SUL CONTENUTO DI ISTAMINA NEI FORMAGGI SARDI D.O.P. Mele P., Pinna G., Soro B., Vodret B., Mancuso R., “ 242 DETERMINAZIONE DI METALLI PESANTI IN muscolo DI PESCE mediante voltammetria di stripping anodico ad onda quadra (swasv) Meucci V., Intorre L., Pretti C., Laschi S., Minunni M., Soldani G., Mascini M., “ 244 STUDIO DELLA DINAMICA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN VEGETALI DELLA IV GAMMA Mioni R., Comin D., Fornasiero E., Milan M., Grimaldi M., “ 246 OTTIMIZZAZIONE DI UN METODO DI ESTRAZIONE E CONCENTRAZIONE DEL VIRUS DELL’HAV DA CAMPIONI DI COZZE (Mitylus Galloprovincialis) Mira F., Di Bella S., Cannella V., De Gregorio V., Purpari G., Guercio A., “ 248 DIAGNOSTICA MOLECOLARE DI NEOSPORA CANINUM NEI BOVINI: VALIDAZIONE DI UNA METODICA IN SIMPLEX PCR Monnier M., Lacerenza D., Benedetto A., Lai J., Tramuta C., Nebbia P., Rosati S., Zoppi S., Dondo A., “ 250 PRIMO CIRCUITO INTER-LABORATORIO PER L’IDENTIFICAZIONE E LA TIPIZZAZIONE DI CEPPI DI Escherichia coli PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA (VTEC) ORGANIZZATO DAL LABORATORIO NAZIONALE DI REFERENZA PER E. coli Morabito S., Scavia G., Minelli F., Marziano M.L., Tozzoli R., Graziani C., Escher M., Baldinelli F., Caprioli A., “ 252 PREVALENZA DELL’INFEZIONE DA SALMONELLA ENTERICA IN ALLEVAMENTI DEL NORD ITALIA:MODELLO DI DISTRIBUZIONE IN FASCE A DIFFERENTE PREVALENZA Nigrelli A., D., Alborali L., Fabbi M., Vezzoli F., “ 254 ANTIBIOTICO RESISTENZA E TIPIZZAZIONE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS EPIDERMIDIS ISOLATI DA LATTE OVINO MEDIANTE PFGE Onni T., Sanna G., Lecca V., Piras M., G., Marogna G., Leori G., Tola S., “ 256 AVVELENAMENTI DI ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI IN TRENTINO: UN PROBLEMA CRESCENTE NEGLI ULTIMI ANNI (2005-2008) Paoli M., Cova M., Simonato S., Binato G., Gallocchio F., Pasolli C., Farina G., Dalvit P., “ 258 RAPID ALERT SYSTEM FOR FOOD AND FEED (RASFF): NOTIFICHE PER CONTAMINANTI AMBIENTALI IN EUROPA 2004-2006 Pecorelli I., Paoloni A., Scoccia E., Maresca C., “ 260 PRESENZA DI METALLI PESANTI IN SALMONIDI PESCATI NEI BACINI IDROGRAFICI DELL’ITALIA NORD-OCCIDENTALE Pellegrino M., Leogrande M., Squadrone S., Tarasco R., Gavinelli S., Giorgi I., Poma Genin E., Prearo M., Abete M.C., “ 262 PRODUZIONE DELLA PROTEINA NS3 DI BVDV (BOVINE VIRAL DIARRHEA VIRUS) IN BACULOVIRUS CON CARATTERISTICHE CONFORMAZIONALI ED ANTIGENICHE ANALOGHE ALLA PROTEINA NATIVA Pezzoni G., Brocchi E., “ 264 XVII ISOLAMENTO E CARATTERIZZAZIONE DEL GENOMA DI UN NUOVO PAPILLOMAVIRUS ASSOCIATO A CARCINOMA SQUAMOCELLULARE NELLA PECORA SARDA Pintore F., Chessa B., Pittau M., Corraduzza E., Carcangiu L., Addis M., F., Cacciotto C., Lecis R., Pirino S., Alberti A., “ 266 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI HERPESVIRUS IN ALLEVAMENTI CAPRINI PIEMONTESI Pitti M., Angiolillo S., Guglielmetti C., Riva A., Spagnolo M., Tassone MC., Masoero L., “ 268 LA DIAGNOSI AL MATTATOIO, UN OSSERVATORIO EPIDEMIOLOGICO PRIVILEGIATO PER L’ECHINOCOCCOSI CISTICA Poglayen G., Stancampiano L., Garippa G., Varcasia A., Pipia A., P., Bio C., Romanelli C., “ 270 MONITORAGGIO DELLA POPOLAZIONE SELVATICA E D’ALLEVAMENTO DI SALMONIDI IN PIEMONTE: STUDI SU SETTICEMIA EMORRAGICA VIRALE (SEV) E NECROSI EMATOPOIETICA INFETTIVA (NEI) Prearo M., Arsieni P., Giorgi I., Squadrone S., Abete M., C., Moda G., Vignetta P., “ 272 VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI PROTOCOLLI DI PULIZIA E DISINFEZIONE IN RELAZIONE ALL’INCREMENTO PONDERALE DEI SUINETTI Rampin F., Mioni R., Azzalin M., Iob L., Schiavon E., “ 274 PERMANENZA E DIFFUSIONE DI ESCHERICHIA COLI MULTIRESISTENTE IN UN ALLEVAMENTO DI VITELLI A CARNE BIANCA Rampin F., Schiavon E., Cristaudo I., Sturaro A., Iob L., “ 276 RT REAL TIME PCR E ISOLAMENTO VIRALE SU UOVA EMBRIONATE DI POLLO S.P.F., NELLA DIAGNOSI DEI VIRUS INFLUENZALI H5 E H7 Rizzo F., Sidoti F., Costa C., Bergallo M., Cavallo R., Mandola M.L., “ 278 IDENTIFICAZIONE DI CAMPYLOBACTER TERMOFILI MEDIANTE PCR-REA DI UN FRAMMENTO DEL GENE GROEL Robino P., Tramuta C., Rodo M., Barberis M., Giammarino M., Vaschetti A., Nebbia P., “ 280 FOCOLAIO DI TUBERCOLOSI DA MYCOBACTERIUM BOVIS IN UN PARCO SAFARI IN PIEMONTE Rossi F., Zoppi S., Bergagna S., Tinelli F., Borella A., Bollo E., Suma G., Goria M., Dondo A., “ 282 EFFETTO DI UN TRATTAMENTO DI PASTEURIZZAZIONE POST-CONFEZIONAMENTO SU PORZIONI DI MORTADELLA NEI CONFRONTI DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP. Rugna G., Bardasi L., Vecchi G., Mazzini C., Bacchi M., Galletti G., Merialdi G., Fontana M.C., “ 284 EPIDEMIOLOGIA BIOMOLECOLARE DELL’INFEZIONE DA Giardia duodenalis NEL BOVINO IN SARDEGNA (ITALY) Scala A., Tanda B., Giannetto S., Poglayen G., Garippa G., Polinas L., Paoletti B., Varcasia A., Iorio R., Pipia A.P., Giangaspero A., “ 286 CONFRONTO TRA DUE METODICHE DI PRELIEVO DA ORGANO PER L’ESECUZIONE DELLE RICERCHE MICROBIOLOGICHE Schiavon E., Fantinelli A., Carraro N., Boscaro G., Cristaudo I., Iob L., Rampin F., “ 288 CONFRONTO TRA IMMUNOFLUORESCENZA INDIRETTA ED IMMUNOISTOCHIMICA NELLA DIAGNOSI DI PMWS Schiavon E., Qualtieri K., Rampin F., Marchioro W., Vio D., Mutinelli F., “ 290 VALIDAZIONE DI METODO RT-HEMINESTED PCR PER LA DETERMINAZIONE DEL VIRUS DELL’EPATITE A DA UTILIZZARSI NELL’AMBITO DEI CONTROLLI UFFICIALI DEI MOLLUSCHI E VEGETALI FRESCHI Serracca L., Gallo F., Rossini I., Benedetto A., Lacerenza D., Callipo M.R., Garrone A., Goria M., “ 292 ESPRESSIONE DELLE PROTEINE DEL VIRUS DEL CIMURRO IN ENCEFALI DI CANI CON INFEZIONE SPONTANEA Soncin A.R., Dondo A., Capucchio M.T., Pregel P., Bollo E., 294 XVIII “ INDAGINE SUL CONTENUTO IN METALLI PESANTI IN MANGIMI PER GATTI Tarasco R., Leogrande M., Gavinelli S., Pellegrino M., Poma Genin E., Vivaldi B., Abete M.C., Squadrone S., Marchis D., Prearo M., “ 296 INDAGINE SIEROLOGICA PER ENCEPHALITOZOON CUNICULI IN CONIGLI DA COMPAGNIA: OSSERVAZIONI PRELIMINARI Tittarelli C., Tranquillo V., Luppi A., Nassuato C., Grilli G., Lavazza A., “ 298 DIAGNOSI IMMUNOELETTRONMICROSCOPICA DELLE ENTERITI VIRALI DEL CANE NEL NORD ITALIA DURANTE IL PERIODO 2002-2008 Tittarelli C., Cerioli M., Canelli E., Lavazza A., 300 “ ANALISI DEL GENE vtx2B INATTIVATO DALLA SEQUENZA DI INSERZIONE IS1203v IN UN CEPPO DI Escherichia coli O103 ISOLATO DA UN’EPIDEMIA DI SINDROME EMOLITICO UREMICA Tozzoli R., Fioravanti R., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S., “ 302 EFFETTO DELLA RESERPINA SULL’ATTIVITA’ IN VITRO DI 8 FLUOROCHINOLONI VERSO CEPPI DI S., INTERMEDIUS E S., SCHLEIFERI ISOLATI DAL CANE Vanni M., Tognetti R., Pretti C., Soldani G., Meucci V., Intorre L., “ 304 SENSIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS INTERMEDIUS E STAPHYLOCOCCUS SCHLEIFERI ISOLATI NEL CANE Vanni M., Tognetti R., Pretti C., Soldani G., Meucci V., Intorre L., “ 306 PREVALENZA DI LEISHMANIA INFANTUM IN SICILIA NEGLI ANNI 2006 - 2007 E PRIMO SEMESTRE 2008 Vitale F., Reale S., Migliazzo A., Lupo T., Rapisarda G., Contarino B., Bozzotta A., Landino A., Piazza M., Nifosi’ D., “ 308 DIAGNOSI MOLECOLARE DI TOXOPLASMA GONDII IN DUE ABORTI OVINI CON DNA ESTRATTO DAL COAGULO EMATICO Vitale M., Currò V., Giangrosso G., La Giglia M., A., Giangrosso I., E., Vesco G., “ 310 MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI IN CAMPIONI DI BURRO PROVENIENTI DAL PIEMONTE Vivaldi B., Masiello L., Marazzotta G., Tarchino F., Ottonello G., Ferrari A., “ 312 APPLICAZIONE DI UNA METODICA ELISA PER LA RICERCA DI GLUTINE NEGLI ALIMENTI: DATI SPERIMENTALI Vodret B., Mancuso M., R., Soro B., Sparacino L., Puleio R., Schiavo M.R., “ 314 IDENTIFICAZIONE DI SPECIE ANIMALI IN MATRICI ALIMENTARI MEDIANTE PCR REAL TIME Zampieron C., Costa A., Comin D., Mioni R., “ 316 PCR PER L’IDENTIFICAZIONE E SCREENING DI ISOLATI DI CAMPO APPARTENENTI AL GENERE VIBRIO Zuccon F., Corvonato R., Colussi S., Giorgi I., Acutis P.L., Prearo M., “ 318 INDICE DEGLI AUTORI “ 321 XIX X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Letture plenarie, comunicazioni orali 1 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 2 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA Paola De Castro Settore Attività Editoriali, Istituto Superiore di Sanità, Roma L’importanza di comunicare la scienza In quasi tutte le professioni, ma in particolare in quelle che gravitano intorno al mondo della ricerca scientifica, il trasferimento rapido delle informazioni e la comunicazione interpersonale hanno un ruolo fondamentale per un corretto svolgimento del proprio lavoro e fanno parte del bagaglio delle responsabilità che è necessario assumersi, non solo a livello istituzionale, ma anche individuale. In particolare, tutti noi partecipanti a questo convegno, che a vario titolo abbiamo un ruolo in attività di ricerca, servizio e intervento, a tutela della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente in cui viviamo, dobbiamo essere consapevoli dell’importanza strategica che oggi assume la diffusione delle informazioni a garanzia dell’integrità del nostro operato, del riconoscimento del lavoro svolto e, non ultimo, del progresso della scienza. Oggi come ieri, infatti, è necessario lasciare una traccia delle scoperte fatte, dei risultati anche negativi - ottenuti nello svolgimento delle nostre attività, perché altri ne possano trarre vantaggio, perché sia possibile il confronto, la crescita, la condivisione e lo sviluppo di nuove idee; d’altro canto, noi stessi, traiamo vantaggio dagli scritti e dai discorsi degli altri, nel nostro doppio ruolo di produttori e utilizzatori di informazioni. Le grandi rivoluzioni nella comunicazione Oggi, grazie alle nuove tecnologie, sono cambiati i mezzi a nostra disposizione per far circolare idee, informazioni e conoscenze. La comunicazione scientifica ha avuto varie forme espressive attraverso i secoli, dalle dissertazioni filosofiche nelle agorà dell’antica Grecia, agli scambi epistolari tra pochi eletti, alle disquisizioni scientifiche nelle accademie, alla pubblicazione dei lavori nei primi periodici scientifici. La nascita del periodico scientifico, che per secoli è stato il mezzo ottimale per la diffusione di informazioni, risale alla seconda metà del diciassettesimo secolo; la produzione di periodici si è potuta sviluppare grazie alla rivoluzionaria scoperta della stampa a caratteri mobili che - dopo la scrittura - rappresenta una delle più importanti rivoluzioni culturali di tutti i tempi. La diffusione dei periodici, caratterizzati dal processo di referaggio cui generalmente sono sottoposti i lavori prima di essere accettati per la pubblicazione, ha rappresentato un fondamentale passo in avanti verso una maggiore circolazione dei contenuti, pur rimanendo il loro utilizzo per molti anni ancora elitario, per motivi di censo, di cultura e, soprattutto, di appartenenza a determinati gruppi di lettori privilegiati, i soli ad avere l’accesso a fonti documentarie possedute da università e grandi istituzioni, ma difficilmente acquisibili a livello individuale. Tornando a tempi ben più vicini a noi, la rivoluzione posta in essere dalle nuove tecnologie dell’informazione è paragonabile a quella operata da Gutenberg nel 1500. Da allora, per circa tre secoli si afferma una relativa stabilità nei processi di produzione di volumi cartacei, che tuttavia ha fatto registrare un netto incremento in quantità di volumi prodotti grazie alla specializzazione delle scienze, alla fine del 1800, che ha contribuito a determinare la fortuna dei grandi editori (successivamente grandi gruppi editoriali), per molto tempo gli unici a poter garantire la produzione e la diffusione della letteratura scientifica, realizzando per contro grandi investimenti e profitti a livello d’impresa. Internet, che nasce e si sviluppa come mezzo di comunicazione soltanto alla fine degli anni settanta, ha nuovamente rivoluzionato i processi comunicativi raggiungendo livelli precedentemente non prevedibili nella democratizzazione della diffusione di conoscenze. L’accesso alla rete apre i cancelli al sapere eliminando, almeno teoricamente, tutti i vincoli spaziali e temporali che per secoli avevano rallentato lo sviluppo: oggi viviamo in un villaggio globale dove le distanze geografiche e i tempi di trasmissione non rappresentano più un ostacolo alla comunicazione. Non va tuttavia trascurata la drammatica esistenza di un “digital divide” che, nonostante i grandi progressi tecnologici, determina il perdurare di una forte separazione tra ricchi e poveri del mondo: tra coloro cioè che hanno accesso alla rete e alla sua straordinaria fonte di offerta informativa, e coloro che ancora non lo hanno. Le fonti online si moltiplicano in maniera non più controllata e a volte diventa difficile sapersi orientare nel mare magnum dell’offerta informativa che Google ci presenta, spesso con ingannevole generosità, offrendoci anche quelle informazioni che circolano attraverso i più innovativi sistemi di comunicazione quali i blog, i wiki, le liste di discussione, etc., che consentono di attivare un colloquio diretto tra chi condivide interessi comuni, pur riconoscendo che spesso le informazioni che si trovano rappresentano punti di vista ancora non convalidati. Addirittura oggi si parla di “Google generation” per definire chi è nato o cresciuto (noi) nell’era in cui ogni richiesta di informazioni passa per Google, ormai quasi sinonimo di motore di ricerca aldilà del “brand” che lo contraddistingue. E’ indubbio che l’aumentata disponibilità di dati online abbia una diretta ricaduta sulla salute pubblica infatti l’informazione più rilevante è disseminata in maniera globale e immediata creando un corpus unico integrato, vivente e ricercabile anche grazie allo sfruttamento dei metadati (il cosiddetto semantic web). Un nodo cruciale ancora in parte da sciogliere verso il più libero utilizzo dei prodotti editoriali resta quello del copyright (il diritto, o meglio, i diritti acquisiti dall’autore che pone in essere un’opera d’ingegno); il copyright è oggi oggetto di diversi tipi di negoziazione con gli editori, soprattutto in vista del deposito dei lavori scientifici negli archivi digitali. In passato l’autore era costretto a cedere all’editore tutti i diritti associati all’utilizzazione e alla distribuzione del proprio lavoro; oggi è invece possibile raggiungere con gli editori accordi più vantaggiosi che consentono agli autori di avere una maggiore libertà nell’utilizzo dei propri lavori, anche se pubblicati su rivista (non exclusive license agreement). Attualmente quasi tutti i grandi editori sono propensi a consentire l’archiviazione dei lavori in archivi digitali nella forma di pre-print (lavori prima della revisione) e nei migliori casi anche di post-print (lavori dopo la fase di revisione, ma non ancora formattati secondo gli standard editoriali della rivista), nel rispetto dei pre-fissati periodi di embargo, garantendo una più libera circolazione delle informazioni a vantaggio anche di chi non può permettersi di pagare i costi di abbonamento alle riviste o di pagare per leggere un articolo (pay per view). Molto ci sarebbe da dire circa i costi delle riviste così dette “Open Access”. Chi paga per avere un articolo pubblicato su una rivista che garantisce a tutti l’accesso aperto? L’autore? La sua istituzione di appartenenza? L’editore? Il lettore? Il dibattito è molto acceso perché in effetti i costi delle riviste sono aumentati in maniera esponenziale (300% nell’ultimo trentennio) mettendo in gravi difficoltà gli acquisti in abbonamento da parte delle biblioteche; fra l’altro, i contratti di abbonamento non sono più vantaggiosi se si vuole acquistare soltanto la versione elettronica e non quella cartacea di una rivista e le accattivanti offerte a pacchetto spesso non soddisfano gli effettivi bisogni dell’utenza. Ancora più recente rispetto al dibattito sull’Open Access, quello che riguarda l’accesso ai dati stessi che costituiscono le fonti primarie della ricerca e cioè quei dati numerici, testuali, immagini o suoni utilizzati e comunemente accettati dalla comunità dei ricercatori come necessari per la validazione dei risultati. Un esempio che ben chiarisce l’importanza di avere accesso ai dati primari è la GenBank, il database prodotto dall’NIH che raccoglie tutte le sequenze di DNA e le rende disponibili al pubblico; molte riviste addirittura richiedono il deposito in GenBank delle sequenze genetiche prima della pubblicazione dei lavori per poter pubblicare il relativo numero di accesso alla banca dati. Tutto ciò premesso, è bene riflettere sulla necessità di poter scegliere consapevolmente tra gli strumenti oggi a disposizione per una corretta comunicazione scientifica. A proposito di archivi digitali, tendo a sottolineare che l’Istituto Superiore di Sanità ha un proprio archivio digitale D-Space.iss.it che attualmente contiene più di 23.000 record che si riferiscono a pubblicazioni sia prodotte dal personale ISS che da altri enti, nel rispetto delle norme sul copyright imposte dai singoli editori per il deposito e l’accessibilità dei lavori in archivio. Abbiamo stipulato accordi di collaborazione con alcuni Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico per l’aggregazione in D-Space.iss delle pubblicazioni da loro prodotte e sono in fase di realizzazione anche 3 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 accordi con gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, oltre che con altri enti produttori di pubblicazioni nel settore biomedico, con l’obiettivo di facilitare l’accesso, aumentare la visibilità e l’utilizzazione delle attività e delle ricerche svolte da ciascuno. Gli strumenti per una comunicazione efficace Trasferire informazioni e comunicare consapevolmente (fra pari, al grande pubblico, ai decisori politici, alle persone che a vario titolo richiedono attenzione e desiderano o devono essere informati) da parte di chi svolge professioni tanto importanti e prestigiose, quanto a volte delicate e difficili come quella del medico, del veterinario, del biologo, fa parte del bagaglio di doveri imprescindibili per un corretto espletamento delle proprie funzioni; e non è affatto scontato che si sia sempre in grado di comunicare professionalmente utilizzando gli strumenti più idonei e al passo con i tempi, considerando il target cui l’informazione è destinata. Ad esempio, un opuscolo cartaceo, un segnalibro o un poster, ancora oggi, nell’era di Internet, potrebbero essere gli strumenti più efficaci per veicolare un determinato tipo di messaggio. Viceversa, un rapporto tecnico potrebbe rappresentare il canale più idoneo per diffondere informazioni dettagliate e grandi quantità di dati destinati esclusivamente agli addetti ai lavori. Oppure, pensiamo ad una presentazione Power point che rappresenta oggi un supporto quasi imprescindibile per il congressista o il docente. In sostanza, i contenuti informativi di cui oggi disponiamo possono assumere varie forme, altrettanto dignitose ed efficaci, a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare. Mentre in passato si poteva giustamente argomentare per grandi categorie tipologiche: i libri, le riviste, le comunicazioni a congresso e, se vogliamo, la letteratura grigia, identificando senza ambiguità i vantaggi e i limiti di ciascun tipo di pubblicazione, oggi che tutto sembra più facile (perché posso produrre da solo un testo dall’aspetto altamente professionale e posso renderlo disponibile in Internet senza intermediazione) si può correre maggiormente il rischio di non effettuare le scelte più corrette, se non supportati da conoscenze specifiche. In realtà, le riviste scientifiche esistono ancora con tutti i loro attributi (comitati editoriali, comitati scientifici, redazioni, editori, ecc.). Il processo di revisione che da secoli contraddistingue un certo tipo di periodici esiste ancora, anche se la rivista è online, e continua ad essere generalmente molto apprezzato dalla comunità scientifica come prezioso indice di qualità della rivista stessa. Fra l’altro, le riviste online, stanno rapidamente acquisendo anche l’impact factor (vedasi ad esempio, il gruppo di BioMed Cental), cosa che al loro nascere non era assolutamente possibile per mancanza dei tempi necessari ai fini del calcolo delle citazioni. Erroneamente molti credono ancora che le riviste online siano prive di peer review o di impact factor! L’accessibilità online non è sinonimo di mancanza di regole, anzi semmai alle vecchie regole se ne aggiungono di altre determinate, ad esempio, dalla necessità di garantire l’interoperabilità tra i vari sistemi ai fini di un corretto reperimento dei dati/metadati attraverso i motori di ricerca (harvesting). Cambiano i processi di produzione, ma non sempre cambiamo i criteri che determinano l’attendibilità e la qualità di una pubblicazione scientifica. Di fronte al proliferare di fonti online, è sempre opportuno verificare chi la ha prodotte e perché (chi è l’autore, l’editore, a quale istituzione appartengono, etc.). A quale tipo di revisione è stata sottoposta la pubblicazione prima di essere messa in circolazione, chi la ha citata, e quante volte? Chi la ha effettivamente utilizzata? E come? In quale rivista è stata pubblicata? La rivista ha impact factor? Da chi è indicizzata? Queste domande venivano poste già prima della diffusione online dei documenti e ancora oggi sono oggetto di discussione; nella maggior parte dei concorsi universitari la progressione in carriera continua ad essere determinata in base alla produzione di articoli pubblicati su prestigiose riviste con elevato impact factor (e ciò esercita una fortissima influenza anche nella scelta della rivista sulla quale pubblicare un proprio lavoro). L’avvento delle nuove tecnologie consente di sperimentare in prima persona gli effetti di un cambiamento epocale di cui ancora non è possibile determinare a pieno gli sviluppi. Oggi si parla di referaggio svolto completamente online secondo format pre-costituiti, addirittura, a volte, diversi per ogni singola sezione di una rivista; si parla di manuscript tracking per seguire tutto il processo editoriale (autore-editore-referee-editore-autore, etc.) in maniera informatizzata; di collegamenti automatici fra riferimenti bibliografici; alcune riviste rendono visibili i commenti dei lettori su ogni singolo articolo avviando una comunicazione diretta con gli autori e dunque non limitando la comunicazione a quanto “pubblicato” ma consentendo un flusso continuo di idee al di là della pubblicazione in senso stretto (vedi per esempio le sperimentazioni di PLOS One), altre prestigiose riviste (ad esempio il BMJ) mettono online agli articoli subito dopo il processo di referaggio e non a pubblicazione avvenuta accorciando ancora di più i tempi di latenza tra la presentazione di un lavoro e la sua effettiva disponibilità; in altri casi, è possibile consultare versioni lunghe o versioni brevi dello stesso articolo, a seconda dei tempi e dell’interesse dei singoli lettori; la maggioranza delle grandi riviste attribuisce oggi ai propri articoli un codice unico di identificazione, il DOI (Digital Object Identifier) che rende superflua l’indicazione di qualsiasi altro dato bibliografico ai fini del reperimento del documento. Si tratta di uno scenario in rapidissima evoluzione, basti pensare che solo qualche decennio fa l’e-mail era sconosciuta ai più, mentre oggi è praticamente imprescindibile per chi opera nel mondo della comunicazione, ma è anche probabile che verrà sostituita da altri nuovi prodotti della tecnologia. Necessità di formazione Al termine di una riflessione su uno scenario tanto complesso quanto dinamico sulla comunicazione scientifica, si rende necessaria una riflessione sulla necessità di una formazione specifica su questi temi, il più delle volte assente nei percorsi universitari di ambito non umanistico. Dopo un’esperienza decennale di attività formazione in scrittura scientifica, rivolta prevalentemente al personale del Servizio Sanitario Nazionale, e svolta principalmente presso l’Istituto Superiore di Sanità, all’inizio del 2008, abbiamo avviato, con ottimi risultati un’attività formativa in scrittura scientifica rivolta espressamente agli Istituti Zooprofilattici; il primo corso si è svolto a Sassari (19 maggio 2008), il prossimo sarà a Portici (21 novembre 2008). La mia presenza in questo convegno, in qualità di responsabile dei corsi di formazione in scrittura scientifica, nonché responsabile del Settore Attività Editoriali dell’Istituto Superiore di Sanità, è un’ulteriore testimonianza dell’interesse e del gradimento di questa iniziativa di formazione in comunicazione scientifica. Concludo presentandovi tre domande (fra l’altro richiestemi in fase di accreditamento ECM di questo convegno), che normalmente vengono utilizzate nei corsi di formazione in scrittura scientifica: 1) Che diverso ruolo ha il referee in una rivista cartacea e in una rivista online? 2) Come scegliere la rivista sulla quale pubblicare? 3) Qual è la struttura di base di un articolo scientifico? La risposta potrebbe non essere facile per alcuni. Mi auguro con questo intervento di aver stimolato la riflessione su questi temi e naturalmente sono disponibile per chiarimenti e domande, certa che in prossimo futuro si svilupperanno nuove forme di collaborazione nella condivisione di obiettivi comuni. Bibliografia di approfondimento Carrada L. Il mestiere di scrivere. Le parole a lavoro, tra carta e web. Milano: Apogeo 2008 De Castro P., Della Seta M, Poltronieri E. Bilancio e prospettive dell’accesso aperto alla letteratura di ricerca. L’esperienza dell’Istituto Superiore di Sanità. AIDA Informazioni 2008. In press De Castro P, Guida S, Sagone BM. (Ed) Diciamolo chiaramente. Testi, immagini, poster e powerpoint per una comunicazione efficace. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore; 2004. De Castro P, Poltronieri E. (Ed.). Proceedings of the Conference on Institutional archives for research: experiences and projects in Open Access. Istituto Superiore di Sanità. Rome, 30 November-1 December 2006. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2007. (Rapporti ISTISAN 07/12. Accessibile da: www.iss.it/binary/publ/cont/07-12.1183020754.pdf Guèdon JC. Per la pubblicità del sapere. I bibliotecari, i ricercatori, gli editori e il controllo dell’editoria scientifica. Pisa University Press. 2004. Accessibile da http://bfp.sp.unipi.it/ebooks/guedon.html Jabobs N. (Ed). Open Access: key strategic, technical and economic aspects. Oxford: Chandos publishing 2006 Peat J, Elliott E, Baur L, Keena V. Scientific writing. Easy when you know how. London: BMJ Books; 2002. Wager E. Getting research published. An A to Z of publication strategy. Oxford: Radcliffe Publishing 2005. Valente A. Luzi D. (Ed). Partecipare la scienza: Roma: Biblink editori; 2004 4 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 INTERAZIONE VIRUS VETTORE Michele Dottori Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Gli arbovirus hanno probabilmente approfittato della attività ematofaga degli artropodi fin dal suo esordio, milioni di anni fa. L’adattamento morfologico, fisiologico e biochimico degli insetti e degli aracnidi, seppur dispendioso in termini energetici e di tempo, ha portato senz’altro grandi vantaggi e i virus, come del resto anche altri microrganismi, ne hanno tratto notevole beneficio. La saliva degli artropodi ematofagi è senza meno uno degli strumenti fondamentali di questo comportamento alimentare, perché contiene anticoagulanti ed immunomodulatori che controllano o annullano la reazione dell’ospite. Un altro elemento portante della interazione virus vettore è la matrice peritrofica secreta dall’apparato digerente dell’insetto, che “protegge” il sangue ingerito. Nel novero dei vettori, le zecche sono seconde solo alle zanzare per numero di patogeni che sono potenzialmente in grado di trasmettere. Inoltre esse, diversamente dagli insetti ematofagi, rimangono a lungo sull’ospite, prevedono l’utilizzo di più specie di vertebrati per il loro sviluppo e vivono più a lungo. In ogni caso i culicidi sono gli artropodi di maggior importanza sanitaria. Questa famiglia che appartiene all’ordine dei ditteri, sottordine nematoceri è molto antica è annovera vari genere tra cui i più significativi, come è noto, sono Anopheles, Culex ed Aedes. Anopheles è la più primitiva, gli altri due generi sono comparsi 30 milioni di anni fa, ma l’azione ematofaga delle zanzare ha 100 milioni di anni. Sono le femmine che si nutrono di sangue, sono attratte dalla cute dei vertebrati in quanto produttrice di calore, umidità, CO2 ed altre sostanze volatili. Le zanzare possono avere preferenza d’ospite e così ne esistono di ornitofile, antropofile, batracofile etc. In questi insetti la saliva proviene dal torace, dove si trovano le ghiandole, e contiene appunto vasodilatatori, batteriolitici ed anticoagulanti. La matrice peritrofica che avvolge il pasto di sangue all’interno del suo intestino, ostacola il passaggio degli arbovirus e quindi l’infezione dell’insetto. Le femmine si accoppiano una sola volta e lo sperma è conservato in apposite spermateche, da cui fuoriesce alla bisogna fecondando le uova attraverso il micropilo, mano a mano che passano per l’ovidutto. Quando gli arbovirus, come altri microrganismi artropodotrasmessi, entrano in cicli di trasmissione naturale, i vettori sono biologici, cioè si infettano esattamente come gli ospiti vertebrati ( serbatoi ). Di solito il patogeno è innocuo per i vettori, ovviamente il virus non ha interesse ad intaccare la salute del vettore che lo trasmette. Per l’ospite vertebrato invece è diverso: l’infezione può essere asintomatica o paucisintomatica nel serbatoio, ma sintomatica e a volte letale negli ospiti a fondo cieco, che non fungono da serbatoio. Il vettore si infetta o con il pasto di sangue o nasce già infetto per trasmissione verticale del patogeno. In un ciclo arbovirale si possono individuare due principali meccanismi di trasmissione: il mantenimento e l’amplificazione. Quest’ultima prevede un aumento della prevalenza, più o meno eclatante, dell’infezione ( epidemia ). Gli arbovirus ( i circa 500 conosciuti sono quasi tutti RNA virus ) devono produrre nel serbatoio vertebrato un alto titolo viremico per un periodo non troppo limitato, per permettere l’infezione del vettore e, al tempo stesso, non provocare troppi danni al serbatoio stesso. Il vettore biologico è dunque “competente” nei confronti di un dato microrganismo artropodo-trasmesso, mentre il vettore meccanico risulta semplicemente “contaminato” a livello dell’apparato boccale ( quindi per un periodo breve dopo il pasto e, gioco forza, con bassa dose virale ); per sostenere un ciclo naturale ci vuole dunque un vettore biologico. La trasmissione verticale può essere transovarica ( infezione dei follicoli ) o transuovo ( cioè durante l’ovodeposizione il virus penetra attraverso il micropilo mentre avviene la fecondazione ). E’ anche possibile che il virus preesista nel liquido seminale e ciò potrebbe anche provocare l’infezione della femmina (trasmissione venerea). Mentre la competenza è il presupposto, la capacità vettoriale è questione di efficienza ed efficacia ed esprime la reale possibilità e frequenza di trasmissione virale in un dato momento ed in un dato luogo, cioè sostiene il ciclo naturale ( si può riportare il numero di punture infette per ospite umano o animale per giorno ). La capacità del vettore è naturalmente influenzata dalla sua densità, longevità, caratteristiche del ciclo gonado tropico, comportamento alimentare, ciclo circadiano etc. La competenza vettoriale è invece una abilità intrinseca ( legata alla specie, al ceppo virale etc ) di trasmettere biologicamente. Essa dipende dalla sensibilità all’infezione, dalla relativa incapacità nel contrastarla, dal periodo di incubazione, detta estrinseca; ed è il risultato di una millenaria evoluzione. L’incubazione estrinseca ( IE ) è il periodo che intercorre tra il pasto di sangue dell’insetto e il momento in cui il virus viene trasmesso all’ospite vertebrato. Durante questa fase il virus si moltiplica nell’epitelio dell’intestino e quindi raggiunge l’emocele e l’emolinfa, ma è solo quando sono state infettate anche le ghiandole salivari ed il virus passa effettivamente nella saliva, che il ciclo si può considerare completo all’interno del vettore biologico. Se si infettano anche gli ovari ed i follicoli si può verificare la trasmissione trans ovarica, l’infezione in ogni modo dura per tutta la vita dell’artropode. La durata della IE, dipende principalmente dalla temperatura, ma ovviamente anche dalla specie d’insetto e di virus ( di solito 10-14 gg per Bunyavirus e Flavivirus e 6-7 gg per Alphavirus ) La competenza è la capacità intrinseca del vettore di portare a termine il ciclo di infezione virale fino alla trasmissione del patogeno con la saliva ed è ostacolata dalle cosidette barriere: ne esistono a livello intestinale, salivare e degli ovari. La barriera intestinale di infezione è la prima e più importante difesa dell’insetto, che impedisce la replicazione primaria nelle cellule dell’apparato digerente. La barriera intestinale d’uscita invece impedisce la diffusione del virus nell’emocele. Quest’ultima può essere superata con il danneggiamento della parete intestinale, per esempio ad opera delle micro filarie. L’efficacia della barriera intestinale di infezione dipende però non solo dal ceppo virale, ma anche dalla dose infettante. Quando il titolo virale è basso, pochi vettori si infettano. Secondo alcuni è la matrice peritrofica ad opporre il principale ostacolo all’infezione del vettore, ma è in forse anche il ruolo di mucopolisaccaridi ed altre sostanze o enzimi secreti dall’apparato digerente. Anche nelle ghiandole salivari esitono una barriera d’infezione ed una d’uscita, fondamentale quest’ultima perché può impedire la presenza del virus nella saliva. Indipendentemente dalla presenza della barriera ovarica, la trasmissione trans ovarica, nelle zanzare, è evento raro all’interno di una popolazione. La competenza del vettore, a parità di virus e dose virale, ha basi genetiche ( recettori specifici e barriere ): esiste una 5 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 variabilità intraspecifica ed una interspecifica. Nel primo caso dunque ci può essere una variabilità di sensibilità all’infezione anche tra individui della stessa specie, ma di diversa provenienza geografica: variabilità della sensibilità può voler dire che il virus non replica o sereplica non diffonde. La plasticità evolutiva della competenza ha utilizzato sia meccanismi che favoriscono la recettività sia la resistenza all’infezione, a volte o in origine dannosa per il vettore stesso. Il concetto di “incriminazione” del vettore, fa appunto riferimento al ruolo naturale del vettore stesso nel mantenimento del ciclo virale in un dato ecosistema. Naturalmente il vettore per essere colpevole deve essere associato all’ospite serbatoio ( stagione e luoghi devono coincidere ), la densità del vettore deve essere sufficiente, il vettore deve potersi infettare dal serbatoio e la capacità del vettore deve essere dimostrata scientificamente. Il tasso di trasmissione virale (capacità) dipende dalla fisiologia, dalla dinamica delle popolazioni, dal clima, dal comportamento etc, mentre la competenza è intrinseca. Un buon vettore deve essere sensibile a basse dosi infettanti, avere barriere permissive, vivere sufficientemente a lungo, avere una breve IE e naturalmente avere occasione d’incontrare l’ospite. Il vettore e il suo ospite serbatoio devono coesistere nello spazio e nel tempo, la potenziale affinità deve trovare una reale opportunità ( orario e luogo ). Importanti sono anche la mobilità del vettore ( maggiore negli insetti volanti ) e la sua aspettativa di vita ( di gran lunga superiore negli aracnidi rispetto agli insetti volanti ). Ovviamente clima e stagioni sono imprescindibili, la temperatura è certamente il fattore più critico, ma anche umidità e velocità dell’aria, come è noto, influiscono sull’attività dei vettori. Quando la trasmissione del patogeno è semplicemente meccanica, il tasso di infezione dipende soprattutto dalla densità della popolazione e dal comportamento alimentare ( per esempio un comportamento “interrotto”, spesso indotto dagli atteggiamenti difensivi dell’ospite, favorisce la contaminazione di più potenziali serbatoi ). Non è compito di questa trattazione occuparsi della patogenesi dell’infezione nell’ospite vertebrato, tuttavia è utile rammentare che nella trasmissione meccanica sono importanti la stabilità del virus, la sensibilità del vertebrato e la sua capacità di sviluppare una viremia ad alto titolo, che supporta l’infezione del vettore. Un buon serbatoio deve garantire un alto titolo viremico per un tempo sufficiente, in cambio il virus non gli arreca gran danno. Nell’ospite a fondo cieco il virus invece non ha in genere vantaggi e provoca malattia; dall’altra parte la competenza di vettori con preferenza ematofaga interspecifica fa si che si infettino anche ospiti non necessari al ciclo naturale. Gli ospiti, a differenza dei vettori, sviluppano una immunità e pertanto non rimangono infetti a lungo, però possono essere molto mobili ( uccelli e uomini ) e si riproducono, garantendo nuove generazioni di soggetti sensibili all’infezione. I cicli arbovirali possono essere urbani o più frequentemente e da più lungo tempo silvestri o rurali. Nei cicli urbani generalmente l’uomo è anche serbatoio, negli altri è uno sgradevole incidente; nei cicli rurali e a volte anche in quelli silvestri, sono coinvolti gli animali domestici. L’overwintering è la capacità dell’arbovirus di superare ( cioè permanere infettante durante ) l’inverno ( nelle regioni temperate ) o la stagione secca ( ai tropici ): ovvero la stagione sfavorevole ai vettori non interrompe il ciclo. Certe specie di zanzare ibernano, o per meglio dire vanno in diapausa, conservando l’infezione per la successiva stagione o depongono uova infette ( anche se con bassa prevalenza ), che resistono alle avversità ambientali generando insetti infetti ( non esiste infatti trasmissione verticale efficace, se non seguita da trasmissione transtadiale ). I microrganismi patogeni hanno guadagnato molto adattandosi ai vettori e la trasmissione attraverso la progenie è il meccanismo più fine. E’ possibile anche che una qualche specie di vertebrato ( magari uno sconosciuto rettile o anfibio ) mantenga l’infezione in questo periodo avverso al vettore, magari andando in letargo, oppure il patogeno può essere reintrodotto da uccelli o altre specie migranti l’anno successivo. Cospeciazione è il termine con il quale si indica l’evoluzione parallela del patogeno e del vettore. Durante questa lunga fase è facile che siano state coinvolte più di una specie di vettori, ma non necessariamente con esito favorevole o comunque con risultati significativi in termini di competenza e capacità. Ci sono comunque numerosi casi di specie di vettori diverse per lo stesso virus in aree geografiche diverse e si tratta di meccanismi che non necessariamente hanno bisogno di migliaia di anni ( vedi ruolo odierno di Aedes albopictus ). Inizialmente il patogeno uccide il vettore o comunque lo danneggia, poi di generazione in generazione si adattano vicendevolmente. L’intestino delle zanzare è composto da una porzione anteriore che ha funzioni digestive ed una posteriore che digerisce il sangue e assorbe le sostanze nutritive. La matrice peritrofica è una membrana semipermeabile extracellulare, composta di chitina e proteine, che separa l’alimento dalla parete intestinale e che si forma anche in altre specie di insetti. Probabilmente la MP impedisce la fuoriuscita di patogeni e/o sostanze tossiche ed evita i traumi. E’ sufficientemente permeabile da permettere l’azione degli enzimi digestivi e il passaggio dei principi nutritivi enteroassorbibili. La necessità della funzione protettiva della MP nasce dalla mancanza di una cuticola chitinosa a livello intestinale; ad ogni modo i patogeni che devono infettare l’insetto possono raggiungere l’epitelio prima che la PM si formi ( come accade per virus e micro filarie ), essere in grado di attraversarla ( Plasmodium spp ) o aspettare che si frammenti ( Leishmania ). Oltre a barriere e membrane protettive, gli insetti possiedono anche un sistema immunitario, si tratta per lo più di una immunità innata e dunque aspecifica, di breve durata. La fagocitosi è esercitata da cellule denominate emociti ( per lo più plasmociti e cellule granulari ) e si esplica attraverso il classico sistema dei fagosomi e lisosomi. Esiste anche una attivazione della cascata proteolitica: nei vertebrati c’è il complemento e la cascata della coagulazione , negli invertebrati la attivazione della fenolo ossidasi, la coagulazione della emolinfa e la sintesi di alcuni peptidi. Questi ultimi, secreti nell’emolinfa, hanno per lo più azione antimicrobica ed antifungina. La melanizzazione è un altro sistema difensivo, una sorta di incapsulamento a scapito di particolati e batteri, quando sono troppo grandi per essere fagocitati ( plasmodi o microfilarie ); nelle zecche sembra che Borrelia spp sia in grado di inibire tale meccanismo di difesa. Le ghiandole salivari sono dunque un organo centrale nell’interazione virus-vettore, quelle dei culicidi sono tubulari, quelle delle zecche alveolari. Ci sono cellule deputate a produrre la saliva ed altre deputate a secernere i componenti accessori utili all’azione ematofaga. La loro composizione non è perfettamente conosciuta, ma vi si annoverano sostanze emostatiche, antiinfiammatorie, immunomodulatrici, vasodilatatrici, inibitrici della aggregazione delle piastrine, inibitrici della coagulazione, inibitrici della infiammazione e del dolore e ad azione immunosopressiva (soprattutto nelle zecche il cui rostro permane a lungo nella cute ). Nella saliva naturalmente possono essere presenti i patogeni ( raramente hanno scelto altre vie ) ed è la composizione della saliva stessa del vettore che a volte permette l’infezione modificando la virulenza e l’infettività del microrganismo. 6 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CHIKUNGUNYA: PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI E LORO UTILIZZO NELLA DIAGNOSI SIEROLOGICA Lelli D., Moreno A., Lavazza A., Sozzi E., Luppi A., Canelli E., Tamba M., Capucci L., Brocchi E., Cordioli P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia Key words: Chikungunya, anticorpi monoclonali, ELISA competitiva inoculazione intraperitoneale di antigene non adiuvato. Tre giorni dopo, gli splenociti sono stati ibridizzati con cellule di mieloma murino NS0 in presenza di Peg 4000 secondo una metodica standardizzata. Lo screening e la successiva caratterizzazione degli ibridomi ottenuti sono state eseguiti mediante: - ELISA indiretta, svolta con antigene purificato adsorbito alle piastre, incubazione dei sovranatanti delle colture di ibridomi, seguita da identificazione dei MAbs con anti_immunoglobuline murine coniugate a perossidasi e sviluppo della reazione cromogena con soluzione di OPDH2O2; ogni incubazione era separata da cicli di lavaggio ed i volumi di reazione erano 50 Pl/pozzetto. - Immunoperossidasi (IP), eseguita analizzando i sovranatanti degli ibridomi su cellule VERO infettate e non infette in parallelo, per verificare la specificità delle reazioni positive. - Virusneutralizzazione (VN): diluizioni scalari in base due dei vari monoclonali sono state aggiunte di un egual volume di sospensione virale del ceppo CHIKV 209395/07 contenente 100 TCDI50. Dopo un periodo di incubazione per un ora a 37°C, alla miscela virus-MAbs, sono state aggiunte cellule VERO ed in seguito ad una ulteriore incubazione per 48-72 ore a 37°C è stata eseguita la lettura valutando l’effetto citopatico. - Western blotting (WB): la separazione elettroforetica di CHIKV è stata realizzata su gel di poliacrilamide al 12%. In seguito al trasferimento su membrana di nitrocellulosa sono stati saggiati i MAbs prodotti e 4 sieri umani (2 positivi e 2 negativi) utilizzati come controllo. Gli immunocomplessi sono stati evidenziati utilizzando come anticorpi secondari anti-Ig murine o anti-Ig umane rispettivamente, coniugati con fosfatasi alcalina. Alcuni ibridomi selezionati sono stati clonati per diluizione limite, coltivati su scala più ampia ed i relativi prodotti (MAbs) sono stati concentrati e coniugati con perossidasi. Sieri Sono stati esaminati 20 sieri umani noti e 493 sieri animali appartenenti a cinque differenti specie. I sieri umani, 10 positivi e 10 negativi per la presenza di anticorpi anti-CHIKV sono stati forniti dal Prof. Sambri responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le Emergenze Microbiologiche (CRREM) del Policlinico S.Orsola Malpigli di Bologna. I 493 sieri animali sono suddivisi nelle seguenti popolazioni: Ɣ 256 sieri di cane Ɣ 28 sieri di nutria Ɣ 79 sieri di pollo Ɣ 123 sieri di piccione Ɣ 7 sieri di coniglio. Tutti i sieri di nutria, di pollo, di piccione e 62 dei 256 sieri di cane sono stati prelevati nelle aree colpite dai focolai di febbre da Chikungunya (comuni di Castiglione di Cervia e Castiglione di Ravenna); i restanti 194 sieri di cane e i 7 sieri di coniglio provengono da aree non interessate dall’epidemia Chikungunya. Tutti i sieri animali sono stati prelevati circa sei mesi dopo l’ultimo caso di malattia nell’uomo. SUMMARY Chikungunya virus (CHIKV) is an Arbovirus member of the genus Alphavirus and belongs to the Semliki Forest (SF) antigenic complex. In this study CHIKV strain isolated in Ravenna (Italy) was used to generate a panel of monoclonal antibodies. Two neutralising anti-CHIKV MAbs, 1A7 and 1H7, were selected and used to develop a competitive ELISA test for the detection of antibodies in human and animal sera. All 20 human sera (10 positive and 10 negative) were correctly identified. All 493 animal sera from different animal species resulted negative. INTRODUZIONE Il virus Chikungunya (CHIKV) è un Arbovirus (artropod-bornevirus) trasmesso ai vertebrati tramite la puntura di zanzare infette appartenenti al genere Aedes, in particolare Aedes Aegypti, non presente in Italia, e Aedes Albopictus, ormai stabilmente presente nel nostro paese. CHIKV è un virus ad RNA situato all’interno della famiglia Togaviridae ed al genere Alphavirus costituito da 29 specie raggruppate in gruppi antigenici sulla base di reazioni sierologiche crociate. CHIKV si trova all’interno del Semliki Forest antigenic complex (1). Il genoma virale di CHIKV codifica per quattro proteine non strutturali (nsP1-4) e cinque proteine strutturali (C, E3, E2, 6K e E1). L’epidemia di febbre da CHIKV verificatasi nel corso dell’estate 2007 nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Bologna e Rimini (2,3) rappresenta il primo focolaio europeo autoctono di malattia tropicale trasmessa da vettori (4). Durante quell’epidemia, presso il Laboratorio di Virologia e Sierologia Specializzata dell’IZSLER venne isolato CHIKV da un campione costituito da un pool di Aedes albopictus prelevato nella zona di Castiglione di Cervia e Castiglione di Ravenna (2). In questo studio, il ceppo 209395/07 isolato in Romagna è stato utilizzato per la produzione di anticorpi monoclonali (MAbs) successivamente impiegati in un test ELISA competitivo per la diagnosi sierologica di Chikungunya in sieri di animali di varie specie allevati nella zona dove si è verificata la sintomatologia clinica da CHIKV. Ad oggi il ruolo degli ospiti vertebrati animali nel mantenimento dell’infezione è ancora poco chiaro. MATERIALI E METODI Virus Il virus utilizzato per la produzione di anticorpi monoclonali e come antigene nella reazione ELISA è il ceppo 209395/07 isolato da un omogenato di pool di insetti (Aedes albopictus) precedentemente risultato positivo alla PCR per CHIKV (2). L’isolamento è stato eseguito su colture cellulari VERO e BHK21. Per la produzione di anticorpi monoclonali il virus è stato coltivato, concentrato e parzialmente purificato mediante ultracentrifugazione attraverso cuscino di saccarosio. L’antigene così preparato è stato utilizzato per l’immunizzazione di topi Balb/c, per lo screening in ELISA degli ibridomi, nel test Western-Blotting e come sorgente di antigene nel test ELISA competitiva. Anticorpi Monoclonali (MAbs) Topi Balb/c sono stati immunizzati mediante inoculazione sottocutanea con antigene parzialmente purificato in adiuvante completo di Freund seguita, dopo 30 giorni, da una RISULTATI Anticorpi Monoclonali. Il procedimento di fusione ha generato 45 ibridomi producenti MAbs reattivi verso l’antigene desiderato, 9 dei quali in grado di neutralizzare il virus. 7 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 2 MAbs anti-CHIKV (1H7 e 1E10) sono risultati positivi in WB, evidenziando una banda del peso molecolare di 50 Kd riferibile alle glicoproteine E1 ed E2 dell’envelope (5). I sieri umani positivi usati come controllo hanno anch’essi evidenziato la medesima banda, oltre ad una ulteriore banda riconducibile alla proteina C del capside. Nessuna banda è stata evidenziata dai sieri umani negativi. Considerando la reattività nelle prove di screening (ELISA indiretta ed IP), la capacità di neutralizzare l’infettività virale e i risultati nell’WB, sono stati selezionati due MAbs, 1H7 e 1A7 (Tab.1), per lo sviluppo di un test ELISA competitivo volto alla rilevazione di anticorpi anti-CHIKV indipendentemente dalla specie in esame. MAbs 1H7 1A7 1 SIERI UMANI CHIK NEGATIVI 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1:5 1 0 0 % 1:10 1:20 1:40 1:5 1:10 1:20 1 0 0 % 1:40 Screening VN WB IP ELISA +++ +++ + + 50kDa (E1-E2) +++ +++ ++ Negativo Tab.1: Caratteristiche dei MAbs selezionati 1 2 3 4 5 6 7 8 9 SIERI UMANI CHIKV POSITIVI 10 ) FIg. 1: ELISA competitiva per la ricerca di anticorpi antiCHIKV eseguita su sieri umani positivi e negativi. Entrambi i MAbs 1H7 e 1A7 presentano una reattività intensa in ELISA indiretta e IP, entrambi neutralizzano l’infettività virale, ma mentre 1H7 (positivo in WB) riconosce un epitopo di tipo lineare, 1A7 (negativo in WB) reagisce verso un epitopo conformazionale. Benché i due epitopi sono distinti, essi non sono indipendenti nella struttura virale poiché, in test ELISA di competizione reciproca, i MAbs 1H7 e 1A7 competono reciprocamente per il legame al virus (non mostrato) DISCUSSIONE I MAbs anti-CHIKV selezionati presentano un’ottima reattività quando testati in immunoperossidasi ed ELISA indiretta. I risultati ottenuti in VN, WB ed ELISA competitiva dimostrano che il MAb 1H7 reagisce nei confronti di un epitopo lineare presumibilmente presente sulla proteina E2 mentre 1A7, reagisce verso un epitopo conformazionale presente sulla medesima proteina. Entrambi gli epitopi sono coinvolti nei meccanismi di neutralizzazione virale. Il test ELISA competitivo per la ricerca di anticorpi anti-CHIKV messo a punto in questo studio ha identificato correttamente i venti sieri umani (10 positivi e 10 negativi). Lo stesso test è stato utilizzato per una indagine sierologia condotta su 493 animali prelevati nelle aree colpite dai focolai di febbre da CHIKV senza evidenziare alcuna positività. Sembrerebbe quindi che, durante l’epidemia italiana, l’infezione abbia circolato solo all’interno di un ciclo urbano (uomo-vettoreuomo). Questo è in accordo con quanto riportato in bibliografia da diversi autori secondo i quali, il ciclo silvestre della malattia sarebbe presente solo nel continente Africano, dove i primati non umani rappresentano i principali reservoir d’infezione (6). L’esame sierologico, soprattutto se praticato attraverso un test rapido, di facile esecuzione ed applicabile a più specie animali come il test ELISA competitivo, rappresenta un mezzo diagnostico utile per comprendere l’epidemiologia di questa malattia e l’effettivo ruolo degli animali nel ciclo di diffusione del virus. ELISA competitiva per la ricerca di anticorpi anti-CHIKV La reazione è stata sviluppata utilizzando in parallelo i 2 MAbs coniugati (1A7, 1H7). Il principio del test e la procedura sono di seguito descritti. Piastre per ELISA Nunc maxisorp sono state adsorbite con l’ antigene CHIKV in concentrazione saturante. Dopo la fase di lavaggio, 50 μl di ogni siero sono stati aggiunti nella piastra di reazione ed esaminati in quattro diluizioni: da 1/5 a 1/40. Immediatamente dopo sono stati aggiunti in ciascun pozzetto 25μl di MAb coniugato con perossidasi ad una diluizione predeterminata, in grado di generare una densità ottica intorno a 1,5. Dopo un’ora di incubazione a 37° C e la successiva fase di lavaggio è stato aggiunto il substrato cromogeno (OPD+H2O2) per lo sviluppo della reazione; la lettura è stata eseguita tramite spettrofotometro a Ȝ 492 nm. Il risultato è espresso come percentuale di inibizione della reazione rispetto ai pozzetti di controllo (assenza di siero). I sieri in esame sono considerati positivi se inibiscono il 75% o più della reazione di controllo alla prima diluizione esaminata. Ringraziamenti: si ringraziano Daniela Gamba e Giuliana Botti per il supporto tecnico nella produzione dei MAbs e nelle prove di WB rispettivamente, il Prof. Vittorio Sambri per la fornitura dei sieri umani. Sierologia Nel test ELISA sviluppato, i 10 sieri positivi umani hanno mostrato una elevata reattività, con capacità di inibire totalmente il legame di entrambi i MAbs coniugati utilizzati (1H7, 1A7) anche alla più alta diluizione esaminata (Fig. 1) . I sieri umani negativi sono stati confermati, non mostrando alcuna reattività nel test ELISA competitiva. I 493 sieri di varie specie animali non hanno manifestato alcuna attività di inibizione del legame all’antigene nei confronti dei monoclonali marcati utilizzati, risultando tutti negativi per anticorpi anti-CHIKV. BIBLIOGRAFIA 1. Weaver S.C. et al. (2005). Togaviridae. In Virus Taxonomy: Eight Report of the International Committee on Taxonomy of Viruses. Edit by C. M. Fauquet, M.A. Mayo, J. Maniloff, U. Desselberger and L. A. Ball. Academic Press, Elsevier. 999-1008. 2. Bonilauri P. et al. (2008). Chikungunya virus in Aedes albopictus, Italy. Emerg Infect Dis. 14(5):852-4. 3. Rezza G. et al. (2007). Infection with Chikungunya virus in Italy: an outbreak in a temperate region. Lancet. 370(9602):1840-6. 4. Dottori M. et al. (2008). Primo focolaio europeo autoctono di malattia tropicale trasmessa da vettori in Romagna. Praxis Vet. Vol IXXX n 1/2008: 2-9. 5. Bréhin A. C. et al., (2008). Production and characterization of mouse monoclonal antibodies reactive to Chikungunya envelope E2 glycoprotein. Virology. 371: 185-195. 6. Diallo M. et al. (1999). Vectors of chikungunya virus in senegal: current data and transmission cycles. Am. J. Trop. Med. Hyg. 60: 281-6. 8 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RICERCA DEL VIRUS WEST NILE MEDIANTE REAL TIME RT- PCR PER IL GENE CODIFICANTE LA PROTEINA NON STRUTTURALE (NS2a) Cersini A., Ciabatti I.M., Damiani A., Manna G., Letizia E., Denisi A., Scicluna M.T., Autorino G.L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Centro di Referenza per le Malattie degli Equini: Direzione Operativa Diagnosi delle Malattie Virali, Ufficio Virologia Speciale e Biotecnologie, Via Appia Nuova 1411, Roma Key Words: West Nile Virus, Real Time PCR, NS2a gene Abstract Phylogenetic analysis distributes WNV strains from different origins within four lineages. Diagnosis of WNV infections can be carried out by serological, immunohistochemical, histological and molecular methods. Different real time RT PCR specific for the 3’ non coding (NC) genome region, the E and the NS5 genes have been developed. Within a project working on diagnostic tools for viral equine diseases, we developed a real time RT PCR targeting an area of the gene mainly present in NS2a, containing a conserved region of WNV. Our assay resulted more sensitive than the one targeting NC, detecting also a reference strain belonging to the lineage 2 (WNV B956). Specificity was assessed positively by testing the method toward Borna virus (BDV) and Equine herpesvirus type 1 (EHV1), both present in the european equine population. To define the efficiency of the method an mRNA-NS2a was synthetized, which could usefully be employed as a non hazardous positive control in diagnostic routine. Introduzione Nell’ambito del progetto di ricerca “Sviluppo di metodi diagnostici per la sorveglianza delle neuropatologie di origine virale degli equini” sono stati sviluppati metodi analitici per la diagnostica di alcune delle encefalomieliti virali a maggior rischio di diffusione nel continente europeo. Un’altro degli obiettivi del progetto era anche la preparazione di reagenti a basso rischio biologico. Fra gli agenti responsabili di possibili casi di encefalomielite nel nostro paese è stato compreso il WNV. Classificato nel genere Flavivirus, famiglia Flaviviridae, è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva lineare di circa 11.029 nucleotidi. Il WNV è compreso nel sierogruppo del virus dell’Encefalite Giapponese assieme a Japanese encephalitis virus, Murray Valley encephalitis virus, al ceppo Alfuy, St. Louis encephalitis virus ed il Kunjiin virus, nonché altri virus fra cui ricordiamo, perché di interesse ai fini della diagnosi differenziale, Usutu virus. Il genoma è organizzato in una breve regione non codificante di 96 nucleotidi all’estremità 5’ (5’UTR) seguita da una singola open reading frame (ORF) di 10.301 nucleotidi e da una regione non codificante di 631 nucleotidi all’estremità 3’ (3’ UTR). La singola ORF codifica per le seguenti proteine: proteina C del nucleocapside, proteina M di membrana, proteina E dell’envelope e le proteine non strutturali NS1, NS2A, NS2B, NS3, NS4A, NS4B e NS5 (Fig. 1)(9). In letteratura sono descritti metodi che amplificano la NC e la NS5 (5). Nel presente lavoro viene descritta la messa a punto di un test di real time RT-PCR per la rilevazione di una porzione del genoma compresa fra i geni NS1 ed NS2a. Materiali e metodi -Matrici impiegate per la messa a punto del metodo Sono stati impiegati due tipi di materiali:1) come negativo, SNC di equino regolarmente macellato e risultato negativo al test real time RT-PCR nei confronti della NC; 2) come campione positivo è stato omogeneizzato lo stesso tessuto con il ceppo di referenza Egypt 101 inattivato. -Metodiche di estrazione dell’RNA totale - E’ stata impiegata una metodica di estrazione che prevede una fase di omogenizzazione e di separazione dell’acido nucleico di interesse effettuata secondo le istruzioni riportate dal Fast RNA Pro Green Kit (Q-BIO gene) e seguita dalla purificazione dell’RNA mediante colonnine silica-based (Qiagen). -Scelta dei primers e delle sonde TaqMan - Per la ricerca di regioni conservate nel genoma di WNV è stato effettuato il multiallineamento tra i genomi dei ceppi isolati negli animali: WNV NY99 (GenBank accession no. AF202541), WNV NY99EQ (GenBank accession no. AF2609667), WNV Italy 98(GenBank accession no. AF404757), Romania 1996 (GenBank accession no. AF260969), Egypt 101 (GenBank accession no. AF260968) e Kunjin (GenBank accession no. D00246). Il multiallineamento è stato ottenuto mediante il metodo CLUSTAL W ed utilizzando il programma Lasergene (DNA Star Inc., versione 5, Madison WI, USA). E’ stata selezionata una regione bersaglio altamente conservata tra i ceppi WNV sopra riportati che si estende per 46 nucleotidi nella porzione codificante per NS1 (proteasi coinvolta nella replicazione virale) e per 133 nucleotidi nella porzione codificante per NS2a (proteasi coinvolta nell’assemblaggio virale). La sequenza consensus elaborata (da noi chiamata NS2a) è stata così analizzata mediante il programma Primer Express version 3,0 (Applied Biosystems) ed è stata evidenziata una regione bersaglio che si estende dal 3516° nucleotide al 3621° nucleotide. Le sequenze dei primers e della sonda sono state confrontate con quelle depositate in GenBank mediante BLAST. Le sequenze dei primers e della sonda sono le seguenti: WNV Fw : 5’-AGTGAATGCTTACAATGCTGATATGAA-3’ WNV Rv : 5’-GATCTTGGCTGTCCACCTCTTG-3’ WNV probe : 5’-FAM-CCTTCTGGTCGTGTTCTTGGCCACCTAMRA-3’ -Ottimizzazione della real time RT-PCR - L’ottimizzazione del test è stata effettuata impiegando una serie di combinazioni delle concentrazioni dei primers. Ogni combinazione di primers è stata analizzata in duplicato, utilizzando come stampo sia l’RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette con ceppo Egypt 101, sia diluizioni in base 10 dell’RNA relativo al gene NS2a trascritto in vitro. L’amplificazione è stata eseguita con lo strumento ABI PRISM 7900 HT(Applied Biosystems) e con le seguenti condizioni: 12,5Pl di 2X master mix, 0,65Pl di 40X enzyme multiscribe, 0,2PM di sonda, 0,6PM di entrambi i primers e 5Pl di stampo in 25Pl finali. I cicli consistono in: 30’ a 48°C, 10’ a 95°C, seguita da 50 cicli composti da 95°C X 15’’ e 60°C X 1’. Fig.1 Sino al 2005 i ceppi di virus WN erano classificati in due lineages: il lineage 1, comprendente gli isolati responsabili di epidemie umane, e il lineage 2 cui appartengono, virus endemici in Africa subsahariana e Madacascar (10). Recentemente (1), a seguito di identificazione di due ceppi con caratteristiche genetiche diverse (RabV 97-103 e RabV 99-222) è stata proposta una classificazione di WNV comprendente due ulteriori linee genetiche, rispettivamente 3 e 4. 9 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 -Sensibilità e specificità relativa, limite di rilevabilità - Per stabilire il limite di rilevazione del saggio real time RT-PCR è stato sintetizzato in vitro l’ RNA bersaglio relativo al gene NS2a (RNA-NS2a) con lo scopo di essere impiegato sia per la messa a punto del sistema, sia come controllo positivo della reazione. A tal fine la regione target è stata amplificata (105 bp) e clonata all’interno del plasmide pCRII-TOPO (TOPO TA Cloning Kit Dual Promoter, Invitrogen). Il clonaggio è stato confermato mediante sequenziamento effettuato con il BigDye Terminator v1.1 Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems) e con l’apparecchiatura ABI PRISM¥ 310 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). La reazione di trascrizione in vitro è stata effettuata con il kit Mega script T7/Sp6 (Ambion) seguita dalla purificazione del trascritto con colonnine Centri-Sep (Princeton Separation, INC). Per la valutazione della sensibilità relativa sono stati utilizzati primers e sonda, relativi alla regione NC, che si estendono dal 10.668° nucleotide al 10.770° nucleotide (7). La specificità di questo saggio è stata testata su genoma estratto da ceppi: a) di WNV Lineage 1 stipiti NY99-snowy owl (ATCC), NY99 equine, NY99 crow, Arb 310/67, Egypt 101, Italy 98, rispettivamente di origine americana, centro africana, nord africana ed europea; b) WNV Lineage 2, stipite B956(ATCC) di origine ugandese; c) Usutu virus, stipite SAR 1776 di origine sud africana; d) BDV ed EHV1, entrambi responsabili di encefalomieliti negli equini. Per la sensibilità relativa e l’elaborazione della curva standard sono state effettuate diluizioni seriali in base 10 dell’RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette. Risultati e Discussione Per stabilire la concentrazione ottimale di entrambi i primers è stato utilizzato sia l’RNA sintetizzato in vitro contenente la regione bersaglio che l’RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette e tale concentrazione è risultata essere di 0,6PM come mostrato in Figura 2. Ottimizzazione concentrazione primers tra le diluizioni di stampo ed i valori di Ct con un quadrato del coefficiente di correlazione intorno a 0,99, indice di un ottimo funzionamento dei primers selezionati. L’efficienza del test è (-1/slope) -1 dove lo stata calcolata secondo la formula E= 10 slope è pari a –3,619 ed è risultata essere del 90%. L’efficenza del test è stata confermata utilizzando l’RNA sintetizzato in vitro e relativo al gene NS2a; inoltre è stato appurato che la linearità del saggio di real time RT-PCR è compresa tra 106 molecole (con Ct=20) e circa 120 molecole (con Ct = 33 ) di RNA-NS2a. Nella tabella 1 sono riportati i risultati della comparazione effettuata impiegando il nostro saggio e quello avente come bersaglio il gene NC. I risultati sono paragonabili per tutti e due i target molecolari. Tabella 1. Media dei Ct relativi alle due repliche per ciascuna diluizione dell’ RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette. Stampo primers NS2a primers NC Dil.10-1 22,33 22,71 Dil.10-2 25,33 26,34 Dil.10-3 28,98 29,75 La sensibilità del nostro metodo nei confronti dei primers NC è riportata in tabella 2 impiegando come stampo l’RNA totale estratto dai diversi virus esaminati. I primers NS2a hanno mostrato una maggiore sensibilità rispetto ai primers NC, avendo rilevato anche il ceppo di origine ugandese B956 appartenente al lineage 2. Questo risultato riveste particolare interesse considerato che, a fronte dei differenti flussi migratori delle specie aviarie, il continente europeo è a maggior rischio di introduzione del lineage 2 rispetto a quello americano. Tabella 2.Media dei Ct relativi alle due repliche per ciascuna dell’RNA totale estratto dai virus considerati. Virus primers NS2a primer NC WNV B956 (ATCC) 28,66 negativo WNV NY99-snowy owl (ATCC) 20,16 16,29 WNV Arb 310/67 16,68 23,13 Usutu virus SAR 1776 negativo negativo WNV NY99 equine 19,66 15,91 WNV NY99 crow 19,48 16,20 WNV Italy 98 16,72 16,37 Egypt 101 22,29 22,58 I primers selezionati sono risultati specifici per WNV non avendo amplificato né un virus correlato (Usutu virus), né regioni del genoma di altri virus encefalitogeni degli equini ogetto della nostra ricerca (BDV, EHV-1). Pertanto, il saggio può essere utilmente impiegato nella diagnosi molecolare contemporanea delle differenti neuropatologie di origine virale della specie equina. Considerate le caratteristiche zoonosiche della WN ed il rischio di infezioni in laboratorio, l’RNA bersaglio relativo al gene NS2a (RNA-NS2a) sintetizzato in vitro con lo scopo di definire l’efficienza del metodo, costituisce un controllo positivo della reazione a rischio biologico nullo, utile per l’impiego nella diagnostica corrente. Figura 2 35 30 25 Ct 20 15 10 300 F 5 600 F 0 primer R (nM) 900 F 900 R primer F (nM) 600 R 300 R WNV one-step Real Time STD Curve 35 30 25 20 Riferimenti bibliografici Ct 1. Bakonyi T. et al. (2005) Emerg. Infect. Dis. 11 (2): 225-231. 2. Komar N. et al. (2003). Adv. Virus Res. 61;185-234 3. Koh W-L. et al. (2005) Emerg. Infect. Dis. 11; 629-632 3. Hayes et al. (2005) Emerg. Infect. Dis. 11; 1167-1173. 4. Lanciotti R. S. et al. (2002). Virology, 298; 96-105. 5. Day-Yu Chao et al. (2007). Jour. of Clin. Micr. 584-589. 6. Lanciotti R.S. et al. (2000) Jour. of Clin. Micr. 4066-4071. 7. Lanciotti R. S. et al. (2002) Virology, 299: 96-105. 9. Poidinger M. et al. (1996) Virology 218: 417-421. 10. Tsai T.F. et al.(1998) Lancet. 352: 767-771. 15 10 5 0 -3,5 -3 -2,5 y = 22,289-3,619x 2 = 0,9999 R -2 -1,5 -1 Diluizioni RNA estratto -0,5 0 Figura 3 Nella Fig.3 è riportato il grafico relativo alla curva standard ottenuta impiegando i valori medi dei Ct delle cinque repliche di ciascuna diluizione dei campioni di RNA totale estratto dalle cellule BHK21 infette. Si osserva una relazione lineare Lavoro svolto nell’ambito della Ricerca Finalizzata 2005, art.12 D. Lvo 502/92, “Sviluppo di metodi diagnostici per la sorveglianza delle neuropatologie di origine virale degli equini.” 10 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CLONAGGIO, ESPRESSIONE E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA VP7 DI BLUETONGUE VIRUS 1 Coradduzza E, 1,2Addis MF, 1Alberti A, 1Chessa B, 2Pagnozzi D, 1Pittau M 1 Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari 2 Porto Conte Ricerche Srl, Tramariglio, Alghero Key words: Bluetongue, BTV, VP7 600 ng del nostro campione sono stati sequenziati. I risultati hanno confermato l’identità del gene clonato. Il gene S7 è stato amplificato dal plasmide pCR2.1 contenente il gene codificante per la VP7 utilizzando primers contenenti i siti per gli enzimi di restrizione NcoI e BglII. È stata utilizzata la Pfx (Invitrogen) e il seguente programma di PCR: 94°C per 2 min, quindi 35 cicli di 94°C per 30 sec, 55°C per 1 min, 68°C per 1,5 min, ed infine 68°C per 10 min. Dopo elettroforesi come sopra, il prodotto di PCR è stato purificato con il Kit GenElute Extraction (Qiagen) e clonato nel vettore pRSETB con il kit Rapid DNA Ligation (Roche) dopo defosforilazione e linearizzazione del vettore. Cellule competenti di E. coli DH5Į sono state quindi trasformate con il plasmide, piastrate e coltivate come sopra. Il plasmide amplificato utilizzando le DH5Į è stato estratto e testato con una digestione di controllo, e quindi utilizzato per la trasformazione in E. coli BL21 competenti. In queste cellule, la produzione della proteina ricombinante è stata indotta con IPTG e monitorata a tempi diversi per l’ottimizzazione del tempo di espressione. Le colture di E. coli sono state sottoposte a frazionamento per la determinazione della solubilità della proteina ricombinante mediante congelamento/scongelamento in tampone fosfato. Le proteine sono state risospese in Laemmli buffer (3), separate mediante SDS-PAGE su gel di poliacrilamide e colorate con Coomassie. Per la purificazione della proteina ricombinante, aliquote di E. coli BL21 alla OD600 di 0,1, trasformate o no con il plasmide contenente la proteina ricombinante, sono state inoculate in SOB contenente ampicillina (50 Pg/ml) e cloramfenicolo (35 Pg/ml). Alla OD600 di 0,4 l’espressione è stata indotta con l’aggiunta di IPTG. Le cellule sono state raccolte dopo 3 h, centrifugate e sottoposte alla procedura di purificazione con il kit ProBond Purification System (Invitrogen). La separazione è avvenuta utilizzando la procedura di cromatografia di affinità su colonna impaccata. Introduzione Il BTV (Bluetongue Virus) è un virus appartenente al genere Orbivirus, famiglia Reoviridae (4), trasmesso agli ovini da insetti ematofagi (Culicoides) e agente eziologico della Febbre catarrale dei piccoli ruminanti o Bluetongue. La malattia è caratterizzata da compromissione degli endoteli, grave infiammazione delle mucose dei tratti respiratorio e digerente, fenomeni degenerativi a carico della muscolatura scheletrica, zoppia, aborti e malformazioni fetali (2). Il BTV è considerato il prototipo del genere Orbivirus, ed è un virus a RNA bicatenario suddiviso in dieci segmenti. La particella virale consiste di un capside esterno composto dalle proteine VP2 e VP5 e da uno strato interno formato dalle proteine VP7 e VP3, che insieme alle proteine VP1, VP4 e VP6 formano il core proteico (Fig. 1) (5). Figura 1: Struttura e ciclo infettivo del virus BTV La VP7, in particolare, è responsabile dell’ingresso del virus nel citoplasma delle cellule del Culicoides (6). Scopo di questo lavoro era la produzione in sistemi batterici della VP7 del sierotipo 2 circolante in Sardegna, finalizzata alla messa a punto di strumenti atti alla prevenzione ed eradicazione della Bluetongue. Materiali e Metodi Il materiale virale è stato isolato da campioni biologici prelevati da pecore infette, durante l’epidemia di Bluetongue del 2000 (Fig. 2). È stato effettuato un arricchimento utilizzando globuli rossi di bovino a 37º C O/N (1). I globuli rossi sono stati raccolti mediante centrifugazione e si è proceduto con l’estrazione dell’RNA virale tramite il kit Total RNA Isolation System (Promega). L’RNA isolato è stato quindi retrotrascritto usando il kit Reverse Transcription System della Promega. Il gene S7 del BTV sierotipo 2 è stato amplificato mediante PCR utilizzando la GoTaq (Promega) con il seguente programma: 95°C per 2 min, quindi 35 cicli da 95°C per 1 min, 62°C per 1 min e 72°C per 1,5 min, ed infine 72°C per 5 min. Dopo elettroforesi su gel di agarosio al 2% in TAE, il prodotto di PCR è stato purificato con il Kit GenElute Extraction (Qiagen) ed utilizzato per il clonaggio nel vettore pCR2.1 con la metodica TOPO TA Cloning (Invitrogen). Cellule competenti di Escherichia coli TOP10 sono state trasformate con il plasmide. Tali cellule sono state piastrate in terreno LB contenente ampicillina (100 μg/ml) ed incubate a 37°C. Dalle piastre sono state quindi selezionate le colonie bianche, che sono state amplificate mediante coltura in terreno LB liquido contenente ampicillina alla stessa concentrazione. Come controllo, il plasmide è stato estratto con il kit Pure Link Quick Plasmid Miniprep e digerito con EcoRI per verificare che contenesse l’inserto di circa 1040 bp corrispondente al segmento S7 del virus. Successivamente, Figura 2: Strategia di isolamento del BTV In seguito a SDS-PAGE, la proteina ricombinante purificata è stata tagliata dal gel e decolorata con lavaggi successivi in ammonio bicarbonato pH 8,0 e acetonitrile. Il campione è stato trattato con DTT 10 mM e iodoacetammide 55 mM in ammonio bicarbonato 50 mM, pH 8,0. La digestione del campione alchilato è stata condotta a 37°C O/N con 100 ng di tripsina. Gli spettri di massa MALDI sono stati ottenuti su un MALDI micro (Waters, Micromass). I peptidi sono stati miscelati con un uguale volume di acido Į-ciano-4idrossicinnamico come matrice (10 mg/mL in acetonitrile e 0.2% TFA (70:30, v/v)), applicati al target metallico, ed asciugati all’aria. La calibrazione di massa è stata eseguita con una miscela di standard fornita dal produttore. I dati grezzi sono stati quindi analizzati con il programma MASCOT (Matrix Science) per l’identificazione della proteina. 11 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 poli-istidina, utilizzabile in seguito per la sua selettiva estrazione dal lisato batterico. Nella Figura 3 è illustrata la strategia seguita per la produzione della proteina ricombinante, come segue: A, amplificazione del gene dal plasmide di clonaggio; B, ligation nel plasmide di espressione, C, D, E, F trasformazione in due diversi ospiti procariotici e rispettivo controllo. Come si può osservare nella Figura 4, la VP7 ricombinante è stata espressa in E. coli (sinistra), ed era presente nelle cellule procariotiche in forma insolubile (centro) (M, marker, -, negativo, +, positivo, P, pellet, S, surnatante). Si è quindi proceduto con successo alla purificazione della proteina tramite cromatografia di affinità su nickel, ottenendo la VP7 virtualmente pulita e libera da contaminanti (destra). Risultati e Discussione Questo lavoro aveva come obiettivo il clonaggio del gene S7 del Bluetongue Virus sierotipo 2 e l’espressione della proteina da esso codificata (VP7). A questo scopo, si è proceduto inizialmente con l’isolamento del virus a partire da una collezione di campioni di sangue prelevato da ovini sintomatici durante le epidemie di BTV del 2000-2001. Il virus è stato isolato con successo utilizzando l’arricchimento con globuli rossi di bovino. Dal momento che il BTV è un virus ad RNA bicatenario, è stato necessario retrotrascrivere il suo genoma in DNA perché fosse possibile applicare le metodiche classiche di clonaggio e renderne possibile l’espressione in vettori procariotici o eucariotici. Il primo passo è stata l’amplificazione del segmento di interesse con l’uso di primers specifici per regioni note della sequenza. Questa, infatti, anche se soggetta a mutazioni, presenta sequenze conservate che possono essere utilizzate per il clonaggio. Il segmento S7 è stato amplificato con successo (Fig. 2A). Figura 2: Clonaggio e sequenziamento della VP7 di BTV sierotipo 2 D A B Figura 4: Espressione della proteina ricombinante e purificazione mediante cromatografia di affinità. C Infine, per validare l’identità della proteina VP7 da noi isolata, clonata e purificata, si è proceduto alla sua caratterizzazione mediante spettrometria di massa (Fig. 5), che ne ha confermato l’omologia con la VP7. Nel prossimo futuro, la produzione delle proteine ricombinanti dei diversi sierotipi di BTV circolanti in Sardegna permetterà di mettere a punto strumenti utilizzabili per la diagnosi e la prevenzione di questa patologia, con l’obiettivo di giungere all’eradicazione della patologia nella nostra regione. CGAGCTTCGGCTTTGTTTCCCGAGCTCGGATCCACTAGTAACGGCCGCCAGTGTGCTGGAATTCGCCCTTTGGACTACACAT AAGCGGCGCGCGCAATTGCACGTGTTAGCGGGCCGGGCATTGGATTTACGCCGTGTATTGCGAATTCGGGTCGAAGGACAGT ATACACATCTGCTAAAGTAGACAGTAGAGGTAAGGTTAAGATGCTATCTCGATCGTTTGGCGGGAAAATTGGCGGCAACATG TTTGGTAAGGTGGTTCTGTTCAAAATCGCAGTTCTCAAACCATGCCAAGTGTGGTCCCTGAAACTATACACGTTAAAAATCT CCGCCGTTAGAGCTGGATACTGGTTTAAGGTCTTATCCATCGAAATGTAAAAAACTACCTGAATCTGAACCATAGCATTCTG CTGTGTCGGGTTATGAATTTGTAACGCAGCCTGACCATCCCACGCTATTATACGTCCAGCCCTCATGTCGACGCCACCAACG CTCACAGTAACGCCGGCTAGCGTTTGCTGCGAATTACCTTGAGGCATAGCGAAGTTCTCAATCCTTCTCCAAACCAGATATA TCATCATGGGGTCGTTACGACCCTGAAACATTTGTTGTACATCTCCTCGCGCCCCTGCGTTCAACGATACTTGTATCATGTC GGGCCCACACACAACAGCCGTTACTGCCTGTGCAGCTCGCATAAACCATCTCCCAGGCTGGTAAACCTCTTCTGTTTCTAAG AAAAAACCATACGGTTGGCGTGCAGGTCCCCATGTTGAAGTCTCACCCGTAACGCGAGCGATCTCATTCGCTGCCTCAGTCG TGAATGGTATTTCTGGTGTTGCCAATACTCCTATGGTCGCCATATGCTGTGTGTAATCTGGTGATATTGGTCCCACATTAAT CCCCGCAGCTGATAGCATCATGTCTAAGCACATGAAAACATTTCATTCCTTTGCGCCAATGATGTGGGTCTCATTGTACTCC CACGCATGTTATCCATATACCTGTTATTGCATGCCCAGTATTTCAATCACATTTGCCTCAACGATTCTTGCTTCCTGTAAAG TGGCACATGCCCGCATACAGTGAA Figura 5: Identificazione della proteina mediante spettrometria di massa MALDI-TOF Allo scopo di clonare il gene e di ottenere un numero sufficiente di copie per le fasi successive del lavoro, l’amplificato è stato inserito in un plasmide di clonaggio (Fig. 2B) e quindi in E. coli (Figura 2C). Dalle cellule trasformate è stato estratto il plasmide che, in seguito a verifica con digestione enzimatica (Fig. 2D) e sequenziamento (Fig. 2, riquadro in basso) ha dimostrato di contenere il gene codificante per la VP7. Il gene mostra alcune variazioni della sequenza che lo rendono caratteristico del sierotipo sardo. A B Figura 3: Strategia di espressione C D Questo lavoro è stato finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna, Assessorati alla Sanità e alla Programmazione. Riferimenti bibliografici 1) Clavijo A, Heckert, RA, Dulac GC, Afshar A. 2000. Isolation and identification of bluetongue virus. J. Virol. Meth., 87, 13-23. 2) Farina R, Scatozza F. 1998. Trattato di malattie infettive degli a animali. 2 Ed. UTET, Torino. 3) Laemmli, UK. 1970. Cleavage of structural proteins during the assembly of the head of bacteriophage T4. Nature 227, 680-685. 4) Mertens, PPC. Orbiviruses and Coltiviruses – general features. 2000. In: Webster RG, Granoff A (Eds), Encyclopedia of Virology. Academic Press, London. 5) Mertens PPC, Diprose J. 2004 The bluetongue virus core: a nano-scale transcription machine. Vir. Res. 101, 29-43. 6) Roy P. Bluetongue Virus: Dissection of the Polymerase Complex. 2008. J. Gen. Virol. 89, 1789-1804. Abstract BTV is the aetiologic agent of bluetongue, an infectious disease affecting small ruminants. In this work, the VP7 of the serotype 2 virus circulating in Sardinia was cloned, sequenced, expressed in recombinant form, purified, and characterized. Hopefully, in the future this work will allow generation of prophylactic and diagnostic tools aimed to control of bluetongue in our region. E F Una volta ottenuto il gene per la VP7 di BTV in forma ricombinante, abbiamo proceduto al suo clonaggio in un vettore di espressione per l’ottenimento della proteina. Dal momento che eravamo interessati a produrre la proteina in modo da renderne possibile la successiva purificazione, il gene è stato clonato all’interno di un vettore che consente di produrre la VP7 in forma di proteina di fusione con coda di 12 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IDENTIFICAZIONE DEI CEPPI DI LEISHMANIA MEDIANTE ANALISI DEI MICROSATELLITI Reale S., Lupo T., 1 Manna L., 1 Gravino A. E., Rea S., Migliazzo A., Piazza M., Cipri’ V., Vitale F. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Centro di Referenza Nazionale per la Leishmaniosi, Palermo; Università degli studi Federico II° Napoli Key words: Leishmania, PCR, Microsatelliti. specialmente in Sicilia, altri Zimodemi stanno facendo la loro comparsa (MHON 72, MHON 29 etc.). Nell’ambito dell’attività di SUMMARY- Different approach are been developed to improve the discrimination Leishmania genus using biochemical and molecular methods. The aim of this paper was the optimization of experimental protocol to make discrimination of the isolated strains amplifying microsatellites. These are tandem repeats DNA sequences of a simple nucleotide motif distributed abundantly in the eukaryotic genomes and may reveal important polymorphisms in different strains. sorveglianza della Leishmaniosi canina risulta di grande interesse la caratterizzazione tra i ceppi isolati all’interno dei singoli zimodemi. La caratterizzazione isoenzimatica infatti può avere uno scarso potere discriminativo tra i ceppi geneticamente e morfologicamente vicini. Tra i vari metodi di tipizzazione molecolare (RAPD, PCR, RFLP, hybridization) lo studio dei polimorfismi legati ai microsatelliti sembra essere quello più informativo. I microsatelliti sono rappresentati da corte sequenze nucleotidiche ripetiute, altamente polimorfiche, sono ben distribuite in tutti gli organismi superiori e rappresentano un buon supporto per lo studio della variabilità genetica individuale in genere. L’obiettivo di questo lavoro è la definizione di profili d’amplificazione dei microstaelliti che rappresentino motivi di caratterizzazione dei ceppi di Leishmania. SOMMARIO –Lo studio dei polimorfismi genetici, può avere un ruolo importante nella comprensione dei possibili legami con alcune caratteristiche biologiche, la preferenza dell’ospite, la diffusione in zone endemiche della Leishmania. Le sequenze ripetute dei microsatelliti, hanno attualmente una serie di utilizzi che possono essere riassunti nell'ambito dello studio della mappatura del genoma, a livello fisico e genetico. L'analisi standard presuppone l’estrazione del DNA dal campione in esame, l’amplificazione delle sequenze di DNA relative ai microsatelliti (tramite PCR) e determinazione dei pesi molecolare dei frammenti ottenuti tramite sequenziatore. Il risultato ottenibile è rappresentativo dello stato polimorfico dei microsatelliti in studio. Risulta pertanto fondamentale poter disporre di un adeguato numero di microsatelliti, per arricchire il carico informativo relativamente al loro uso. Viene qui riportata l’analisi di 9 siti polimorfici denominati: GA1- GA11, GA2-GA8, GTG-GTG4, GT4-GT12, 4GTG-GTG5, 27GTG-GTG5, GA9-GA7, MIX9-GC/GT12, GACA1-GACA3, (Tab. 2), (3), che sono originariamente stai studiati su L. tropica. La tecnica è stata ottimizzata su alcuni ceppi in collezione presso il Centro di referenza Nazionale per le Leishmaniosi (C.Re.Na.L.) al fine della definizione del pannello di microsatelliti utili, informativi e affidabili. Lo scopo ultimo del progetto è quindi la raccolta di dati di fingerprinting per l’implementazione di una banca dati presso il centro, in grado di descrivere la carta d’identità dei ceppi in collezione e di quelli di nuovo isolamento. In tal modo i dati potranno fornire un mezzo identificativo veloce per la creazione di una mappa di diffusione dei ceppi nel territorio. MATERIALI E METODI – La strategia di lavoro seguita, prevede nell’ordine le seguenti tappe sperimentali: 1. Estrazione del DNA e PCR 2. Elettroforesi capillare 3. Analisi dei dati Sono stati impiegati ceppi già in collezione presso il centro di referenza, che sono stati ripresi dall’azoto liquido e coltivati per l’occasione in terreno Tobie aggiunto di sangue di coniglio. PROG. MHON SIGLA ORIGINE 1 1 IPT1 cane 2 29 Lem 37 cane 3 ? 212U 4 ? 715 Ceppo viscerale umano gatto Tab.1: Ceppi oggetto delo studio. L'estrazione del DNA è stata eseguita sul pellet di leishmanie derivato dalle colture di arricchimento. Per l’estrazione delle colture, la porzione liquida di Tobie (5ml), è stata centrifugata a 4000 rpm per 15 min per compattare le leishmanie. Dopo 2 o 3 cicli di lavaggio in soluzione salina 0.3%, il pellet, esente da globuli rossi residui, è stato estratto per omogeneizzazione con una Lysis Mix contenente 1% Tween 20, 1% Non idet P-40, e 20% Chelex. Dopo incubazione a 96° C per 20 min, la miscela è stata centrifugata a 14000 rpm per 10 min, (1). Il surnatante contenente il DNA, è stato recuperato e conservato a -20°C fino all’esecuzione della PCR. La soluzione ottenuta contiene il DNA totale estratto dal campione e pronto per il test. Sono stati amplificati i siti di microsatelliti, utilizzando un unico programma di ampificazione che prevede 3 diverse temperature di annealing per ogni tre coppie di primers, denominati rispettivamente: GA1-(GA)11, GA2-(GA)8, GTG1-(GTG)4 ; GT4-(GT)12, 4GTG-(GTG)5, 27GTG-(GTG)5; GA9-(GA)7, MIX9-(GC/GT)12, GACA1-(GACA)3. Tali siti sono variamente INTRODUZIONE – La leishmaniosi è una malattia che colpisce sia gli animali (in particolar modo i cani) che l’uomo tipicamente nelle aree temperate, tropicali e subtropicali del mondo. In Italia l’infezione è presente in maniera endemica lungo tutte le coste e nelle isole, ma sempre più frequentemente viene descritta in zone ritenute indenni, sia in animali che hanno soggiornato in zone a rischio, sia in soggetti che non hanno effettuato spostamenti territoriali. L’agente causale è un protozoo appartenente al genere Leishmania, parassita intracellulare obbligato del sistema reticolo-istocitario che viene trasmesso ad opera dei flebotomi. L’analisi isoenzimatica è la procedura universalmente accettata per l’identificazione dei ceppi di Leishmania ed è eseguita solo in pochi laboratori specializzati in quanto necessita di tempo e risorse umane (2). I ceppi di L. infantum isolati nel Mediterraneo appartengono per la maggior parte allo zimodema MHON-1 anche se, 13 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 distribuiti lungo il genoma e possiedono una capacità caratterizzante sulla base del numero di ripetizioni di unità dinucleotidiche e sul grado di omologia di corte sequenze adiacenti. Le coppie di primers di circa 20bp in media, sono stati designati ad una distanza di circa 20bp dalle sequenze polimorfiche. Il primer Reverse è stato usato sempre marcato con il fluorocromo FAM o VIC (Applied Biosystems). Le PCR sono state condotte impiegando la miscela di amplificazione (CORE MIX) prevista nel kit di genotipizzazione con tecnologia AFLP (Applied Biosystems). I programmi di amplificazione sono stati impostati con una denaturazione iniziale di 2 min a 95°C e 35 cicli così composti: 50 sec. 95°C, temperature di annealing variabili tra i 56°C e i 60°C, Polimerizzazione a 72°C per 1 min. Dopo l’amplificazione dei siti polimorfici, i campioni opportunamente preparati, sono stati iniettati nell’analizzatore genetico ABI Prism 3130 (Applied Biosystems) per essere sottoposti a elettroforesi capillare per risolvere i diversi frammenti in base al peso molecolare. Per l’analisi di comparazione è stato utilizzato il marcatore fluorescente, ROX 500. Prog. PRIMERS 1 2 3 4 5 GA1(GA)11 8 9 55, 81, 35, 48, 92, 118, 67, 85 128, 212 212U 715 35, 48, 35, 67, 85, 54, 91, 329, 535, 118, 212 543 52 32, 36, 49 GTG(GTG)4 33, 43, 33, 44, 33, 44, 54, 60, 54, 60, 63 54, 60, 63 63 GT4(GT)12 31, 49, 60, 68, 214 31, 49, 30, 31, 60, 68, 48, 60, 68 214 32, 49, 68, 114, 116, 138 4GTG(GTG)5 34, 35, 34, 35, 34, 35, 37, 54, 36, 43, 45, 53, 55, 45, 58 45, 53, 55 55, 58 32, 35, 45, 53, 55, 58 27GTG(GTG)5 7 LEM37 GA2-(GA)8 52 6 RISULTATI – Questo lavoro riporta i risultati preliminari del metodo di discriminazione molecolare sviluppato da Schwenkenbenker (3), e qui applicato ai ceppi di Leishamnia in collezione isolati sul territorio e l’IPT1 di riferimento. Il metodo è tuttavia applicabile su più larga scala, per la caratterizzazione di ceppi strettamente correlati di L. infantum. La tecnologia è in grado di discriminare tra ceppi differenti, in relazione alle particolari combinazioni che si possono ottenere nell’asseto di ogni locus. La PCR amplifica i motivi dei singoli microsatelliti che vengono risolti in modo non chiaro su gel ma vengono discriminati molto bene in elettroforesi capillare, (Fig.2), dove sono apprezzabili anche differenze di poche basi in lunghezza. L’analisi dei dati ottenuti, conferma da un lato quanto già noto in bibliografia, dall’altro rende possibile un’analisi attenta dei ceppi isolati. Vengono riportati in tabella, i picchi relativi a ciascuno dei 9 markers microsatellitari polimorfici ottenuti su L. infantum. I test su tali ceppi sono stati ripetuti 4 volte a differenza del ceppo di riferimento IPT1 che è stato ripetuto 8 volte per testare la ripetibilità. In tabella sono indicati i singoli picchi che si ottengono tipicamente per ogni ceppo. Le ripetizioni si riconoscono, nel tracciato elettroforetico, per la presenza di cosiddetti picchi satelliti (stutter bands), che precedono e spesso si accavallano al picco principale più alto. Gli assetti ottenuti sono ancora oggetto di discussione, comunque è chiaro come alcuni picchi dell’IPT1 siano riscontrabili anche in altri ceppi mentre, altri siano esclusivi. Inoltre per alcuni locus non sono stati riscontrati segnali di amplificazione, indicando l’assenza della ripetizione. E’ ancora importante sottolineare come questi primer sviluppati per la L. tropica siano ben utilizzabili per le specie infantum. IPT1 GA9-(GA)7 30, 39, 67, 79, 30, 39, 81, 89, 44, 82, 90, 102, 90, 140 140 32, 38, 41, 45 29, 33, 45 29, 38, 30, 54, MIX954, 70, 70, 140, (GC/GT)12 140, 163 163 GACA1(GACA)3 30, 44, 60, 30, 44, 67, 79, 81, 60, 67, 90, 102, 81, 90, 130, 140, 102, 140 342 32, 38, 41, 45 32, 43 29, 38, 29, 54, 70, 54, 70, 140, 164 140, 163 48, 56, 43, 49, 48, 56, 43, 48, 55, 100, 135, 54, 135, 100, 135, 134, 142, 142, 145 142, 146 142, 145 145, 178 Tab. 2: Picchi riscontrati in ciascun locus analizzato. CONCLUSIONI - Il lavoro d’analisi dei dati consiste nella comparazione dei profili ottenuti nei campioni sottoposti alla stessa PCR in riferimento al ceppo IPT1. Inoltre è stata saggiata la ripetibilità del metodo mediante ripetizioni del test sul ceppo IPT1 e sugli altri di nuovo isolamento. La comparazione è ancora oggetto di discussione. La variabilità dei microsatelliti può essersi sviluppata attraverso l’instaurarsi di cattivi appaiamenti dei filamenti durante la replicazione del DNA in punti dove cadono ripetizioni vicine. Le mutazione che incidono sui disappaiamenti, in seguito a processi di riparazione, possono fissare poi le variazioni puntiformi assicurando l’instabilita’ del microsatellite sia nei procarioti che negli eucarioti. E’ inoltre possibile che la variabilità del numero di ripetizioni e inoltre della sequenza adiacente il microsatellite sia dovuta alla ricombinazione omologa tra i loci con lo stesso motivo. Il lavoro rappresenta un approccio sicuramente utile alla comprensione dei meccanismi di variabilità genetica di questo protozoo così diffuso nel nostro territorio. BIBLIOGRAFIA- 1. Béatrice Bulle, et al. Journal of Clinical Microbiology, September 2002, p. 3391-3397, Vol. 40, No. 9 Practical Approach for Typing Strains of Leishmania infantum by Microsatellite Analysis 2. Pratlong, F., et al. 1995. Leishmania-human immunodeficiency virus coinfection in the Mediterranean basin: isoenzymatic characterization of 100 isolates of the Leishmania infantum complex. J. Infect. Dis. 172:323-326. Jan M. 3. Schwenkenbecher, et al. Microsatellite analysis reveals genetic structure of Leishmania tropica. Int J Parasitol. 2006 Feb;36(2):237-46. Epub 2005 Oct 14. Fig.1 Esempio di elettroferogramma relativo ad alcuni microsatelliti 14 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBATTERI TUBERCOLARI ISOLATI IN SARDEGNA DA VARIE SPECIE ANIMALI, DI ALLEVAMENTO E SELVATICHE Lollai S.A., Manunta D., Bandino E. (1), Canu G., Carboni G.A., D’Ascenzo V., Ponti N., Rolesu S., Ziccheddu M., (2) Pacciarini M.L. , Patta C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G Pegreffi”, Sassari; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G Pegreffi”, (2) Nuoro; Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi da M. bovis, Brescia Key Words: tubercolosi, mycobatteri tubercolari, fauna selvatica M. intracellulare. I ceppi risultati appartenere al TB complex sono stati quindi testati con la PCR multiplex descritta da Bakshi et al (1), in grado di discriminare tra M. tuberculosis ed M. bovis. Tre ȝl di DNA di ciascun isolato, precedentemente estratti per bollitura, sono stati amplificati utilizzando il kit puRE Taq Ready-To-Go PCR Beads (Amersham Biosciences), in mix di 25 ȝl totali, contenenti: 200 ȝM dNTP, 10mM Tris-HCl, 50 mM KCl e 1.5 mM MgCl2, 2,5 U Taq polimerasi e 25 pM di ciascuno dei primer riferiti dagli autori (1, 4). La rivelazione degli amplificati è stata fatta tramite elettroforesi con il kit Sybr Safe DNA gel stain (Invitrogen). N. 29 ceppi di bovini e 1 ceppo di cinghiale sono stati quindi sottoposti a caratterizzazione molecolare tramite spacer oligotyping (“spoligotyping”) (3) e VNTR typing (2); il primo basato sul polimorfismo del locus DR (direct repeat), contenente sequenze DR alternate a sequenze non ripetute, variabili nei diversi ceppi, il secondo basato sulla presenza e ripetizione di sequenze di loci contenenti tandem repeats; la combinazione del numero delle ripetizioni nei 5 loci, evidenziata tramite PCR, determina i diversi pattern. Una aliquota di 5 Pl di DNA micobatterico è stata utilizzata in 50 Pl della seguente mix PCR: buffer polmerasi (5 mM Tris-HCl, 5 mM KCl, 0.7 mM MgCl2, pH 9.0), 200 mM deossinucleotidi trifosfato, 20 pmol di ciscun primer DRa e DRb, 2,5 U di Taq polimerasi (Roche). I target sono stati amplificati con il seguente ciclo: 3 min a 96 °C, 20 cicli di 1 min a 96 °C, 1 min a 55 °C, e 30 s a 72 °C. L’amplificato è stato ibridato con un set di 43 oligonucleotidi immobilizzati su filtro, complementari alle sequenze spacer del locus DR come descritto da Kamerbeek (3). Il profilo allelico VNTR (variable numbers of tandem repeats) è stato calcolato a partire dal peso molecolare dei prodotti amplificati ottenuti dai loci ETR-A, ETR-B, ETR-C, ETR-D, ETR-E secondo le modalità riportate da Frothingham, (2). SUMMARY Bovine tuberculosis (TB) is an important disease caused by Mycobacterium bovis, which can infect also man and wild animals. This paper describes the molecular identification of strains of M. bovis from cattle and wild boars. In order to trace back to origin several outbreaks of TB recently occurred in a limited area of Sardinia, strains were identified by PCR and characterized by spoligo and VNTR typing. Most isolates resulted M. bovis, including strains from wild boars. It is the first time that M. bovis is isolated in wild boars from Sardinia. Cattle and wild boars strain from the same area shared the same molecular pattern showing the diffusion of the microorganism in the environment. INTRODUZIONE La tubercolosi bovina (TBC) è una malattia infettiva di grande rilevanza in termini di salute pubblica. L’agente causale, il Mycobacterium bovis, è un microrganismo trasmissibile e patogeno per varie specie animali, di allevamento e selvatiche, oltrechè per l’uomo. Recentemente una recrudescenza di TBC bovina si è verificata in un’area della Sardegna centro-settentrionale, in provinca di Sassari, nella quale, da circa un decennio, si ripresentano focolai di TBC che hanno coinvolto anche la fauna selvatica. L’attuale situazione epidemiologica ci ha indotto a predisporre un progetto di ricerca, successivamente finanziato dal Ministero della Salute, che si prefigge, tra l’altro, di valutare il ruolo della fauna autoctona come possibile reservoir e di ricostruire l’eventuale circolazione ecologica del microrganismo nell’ambiente. Il presente lavoro riferisce i risultati di identificazione e caratterizzazione molecolare, anche retrospettiva, ottenuta con spoligotyping e VNTR typing, dei Mycobatteri tubercolari finora isolati, al fine di acquisire dati utili alla tracciabilità epidemiologica degli eventi in corso. RISULTATI E DISCUSSIONE Ventotto isolati bovini e i 9 isolati di cinghiale, provenienti questi ultimi tutti dalla zona in cui si è verificata la recrudescenza, sono risultati Mycobacterium bovis. E’ la prima volta che nella nostra isola viene isolato un M. bovis da specie appartenenti alla fauna selvatica. Un ceppo bovino MTB complex non ha risposto alla PCR sec. Bakshi ed è risultato un Mycobacterium caprae alla successiva conferma. L’isolato da organi di capra è risultato un Mycobacterium avium. L’identificazione PCR e la caratterizzazione molecolare degli isolati al momento ottenuta è riportata in dettaglio in Tab.1. MATERIALI E METODI Isolamento colturale Nel presente studio vengono presi in considerazione 39 ceppi di Mycobatteri isolati da organi di 29 bovini, provenienti da 26 allevamenti della Sardegna, 9 cinghiali e 1 capra, nel periodo 1997-2008. I campioni sono stati omogenati con Stomacher 400, decontaminati con NaOH al 4% per circa 20 min, quindi 0,2 ml di omogenato sono stati inoculati in Stonebrink TB medium + PACT (BD) e Lowenstein-Jensen Medium (bioMerieux), incubati a 37 °C in atmosfera modificata con il 5% di CO2 fino a sviluppo delle colonie. Identificazione e tipizzazione molecolare L’identificazione degli isolati è stata fatta tramite PCR, utilizzando dapprima il set di primer suggerito da Kulski (4), in grado di confermare l’appartenenza al genere Mycobacterium e assegnare l’isolato al TB Complex o alle specie M. avium, 15 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella 1 – Origine, identificazione PCR e caratterizzazione molecolare conseguita per i Mycobatteri isolati (per lo spoligotipo vengono indicati gli spacers mancanti dei 43 analizzati). Anno Specie Prov. Ident. PCR BIBLIOGRAFIA 1. Bakshi CS, DH Shah, Rishendra Verma, RK Singh, Meenakshi Malik, 2005. Rapid differentiation of Mycobacterium bovis and Mycobacterium tuberculosis based on a 12.7-kb fragment by a single tube multiplex-PCR. Veterinary Microbiology, 109; 211–216 2. Frothingham R and Meeker-O’Connell WA, 1998. Genetic diversity in the Mycobacterium tuberculosis complex based on variable numbers of tandem DNA repeats. Microbiology, 144, 1189–1196 3. Kamerbeek J, Schouls L, Kolk A, VAN Agterveld M, Van Soolingen D, Kuijper S, Bunschoten A, Molhuizen H, Shaw R, Goyal M. and Van Embden J, 1997. Simultaneous Detection and Strain Differentiation of Mycobacterium tuberculosis for Diagnosis and Epidemiology JOURNAL OF CLINICAL MICROBIOLOGY,.35, 4, 907–914 4. Kulski JK, Khinsoe C, Pryce T, and Christiansen K, 1995. Use of a Multiplex PCR To Detect and Identify Mycobacteriumavium and M. intracellulare in Blood Culture Fluids of AIDS Patients. J Clin Microbiol, 33, No. 3, 668–674 Spoligo/VNTR 1997 Bovino OR M. bovis 4-5/54433 1997 Bovino VS M. bovis 1997 Bovino NU MTB complex 1998 Bovino CI M. bovis 34/54433 M.caprae14+,19,3033/53444 BCGlike/42432 1998 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 1998 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 1998 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2001 Bovino CA M. bovis BCGlike/75431 2001 Bovino CI M. bovis BCGlike/43422 2002 Bovino CI M. bovis BCGlike/43432 2003 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2003 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2005 Bovino CI M. bovis BCGlike/42432 2005 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2005 Bovino CI M. bovis BCGlike/43432 2006 Bovino SS M. bovis BCGlike/74431 2006 Bovino CI M. bovis BCGlike/42432 2006 Bovino CA M. bovis BCGlike/75431 2006 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2006 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2006 Bovino CA M. bovis 2006 Bovino VS M. bovis 2006 Cinghiale SS M. bovis BCGlike/75431 15-25,27-30,3236/75431 BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 2007 Bovino SS M. bovis BCGlike/75431 Il profilo genico maggiormente presente in Sardegna è il BCG-Like/75431, che compare prevalentemente nella zona del Centro-Nord dell’Isola sede della recrudescenza, assieme al BCG like-74431 (un allevamento ha mostrato di possederli entrambi). Tale pattern è stato ritrovato in isolati della stessa zona risalenti al 1998 ed in altri più recenti, compreso quello da cinghiale, dimostrando la sua presenza nell’area da almeno un decennio e la sua diffusione nella fauna selvatica. Il pattern 75431 è stato ritrovato anche in isolati del Sud dell’Isola in siti che hanno mostrato relazioni epidemiologiche con gli allevamenti di origine situati nel Nord. Al Sud dell’Isola sembrano riconoscibili 2 cluster ETR: il gruppo 42432,43422,43432 nella zona Sud-Occidentale (provincia CI) ed il 54433 nelle province confinanti di Oristano e Medio Campidano (VS). In provinicia di Nuoro è presente il Mycobacterium caprae. 16 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PRINCIPALI AGENTI INFETTIVI CHE CAUSANO ABORTO NELLA SPECIE BOVINA Tramuta C.1, Lacerenza D.1, Zoppi S.2, Goria M.2, Dondo A.2, Rosati S.1, Nebbia P1. 1 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, FMV, Università degli Studi di Torino, Italia 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Keywords: multiplex PCR, agenti abortivi, feto bovino Abstract In the present study we report a set of five multiplex PCRs enabling simultaneous and rapid detection of fourteen infection agents responsible for bovine abortion. We validated the techniques on a group of 50 aborted bovine foetuses at different stages of gestation. Results obtained with the set of multiplex PCRs demonstrate 100% accordance with those obtained for the same samples by PCRs on single target genes. The proposed set of multiplex PCRs is a rapid assay that allow the simultaneous characterization of the main agents responsible for abortion in aborted foetuses. Bovine Viral Diarrhea Virus, Bovine Herpesvirus-1, Neospora caninum, Toxoplasma gondii e Hammondia heydornii. Allestimento delle multiplex PCRs Sono state messe a punto cinque multiplex PCRs in grado di identificare simultaneamente (i) Brucella spp, Leptospira spp. e Campylobacter fetus; (ii) Neospora caninum, Toxoplasma gondii e Hammondia heydornii,; (iii) Coxiella burnetii, Clamydia psittaci e Clamydia pecurum; (iv) Mycoplasma bovis, Mycoplasma bovigenitalium e Ureaplasma diversum; (v) Bovine Viral Diarrhea virus (BVD) e Bovine Herpesvirus1(BHV-1). Le sequenze dei primers sono state in parte reperite in letteratura (2, 3, 4, 5, 6, 8) ed in parte disegnate sulla base delle sequenze disponibili sulla banca data GenBank. Abbiamo verificato che i primers avessero temperature di annealing simili, in modo da utilizzarli alle stesse condizioni di amplificazione, una bassa interazione e che generassero frammenti separabili mediante elettroforesi su gel di agarosio. Le temperature di annealing, le regioni amplificate e la grandezza dei frammenti amplificati sono riportati in tabella 1. Introduzione L’aborto bovino è una delle principali cause di perdite economiche negli animali da produzione. Nei bovini, una percentuale di aborti intorno all’1-2% non è normalmente considerata fonte di allarme. Di fronte a episodi ricorrenti (prevalenza di aborti sopra il 3-5%) è necessario mettere in atto strategie preventive. Il rischio di aborto dipende da numerosi fattori, come i traumi, le anormalità genetiche del feto, lo stress, gli agenti tossici, e le malattie infettive (1, 7). Sono numerosi gli agenti infettivi che possono causare aborto nella bovina (3, 4). Fra questi alcuni sono anche agenti di zoonosi e quindi il loro riconoscimento assume particolare valore. I metodi di identificazione tradizionale possono non essere sufficienti per la diagnosi degli agenti infettivi che causano aborto in quanto in parte risentono dei problemi legati alla conservazione del campione e inoltre non sempre sono sufficientemente sensibili e di facile esecuzione. L’identificazione di alcuni patogeni spesso prevede o l’uso di tecniche come colture tissutali, sonde oligonucleotidiche o test con anticorpi fluorescenti che generalmente non fanno parte della routine diagnostica di un laboratorio di microbiologia veterinaria. Di particolare interesse è l’impiego di metodi molecolari che diversi autori propongono per i più comuni patogeni, anche se la maggior parte dei lavori bibliografici fa riferimento alla ricerca di singoli agenti infettivi (5 ). Per questi motivi, lo scopo del lavoro è stato sviluppare un protocollo diagnostico per la ricerca dei principali agenti infettivi coinvolti nell’aborto della bovina attraverso tecniche di amplificazione genica. Più precisamente, sono state ottimizzate cinque multiplex PCRs in grado di evidenziare porzioni geniche specifiche per i seguenti agenti batterici, virali e protozoari: Brucella spp., Clamydia psittaci, Clamydia pecurum, Leptospira spp., Campylobacter fetus, Mycoplasma bovis, Mycplasma bovigenitalium, Ureaplasma diversum, Coxiella burnetii, Bovine Viral Diarrhea Virus, Bovine Herpesvirus-1, Neospora caninum, Toxoplasma gondii, Hammondia heydornii. 31KDA MEM PROTEIN 16S rRNA 16S rRNA Prodotti di PCR (bp) 223 Temp. annealing (°C) 50 331 412 50 50 Nc5 region 337 50 Nc5 region 575 50 ITS1 177 50 PCR Agente infettivo Gene i Brucella spp. Leptospira spp. Campylobacter Fetus II Neospora caninum Toxoplasma gondii Hammondia heydornii iii Coxiella burnetii Clamydia psittaci/ C. pecorum 16S rRNA 16S rRNA 396 481 50 50 iv Mycolpasma bovis Mycoplasma bovigenitalium Ureaplasma diversum 16S rRNA 16S rRNA 198 476 52 52 16S rRNA 831 52 BVD BHV-1 UTR Glycoprotein C 288 389 55 55 v Tab. 1 – Geni target, lunghezze e temperature di annealing dei prodotti di PCR Materiali e metodi Controlli positivi Come controllo positivo per i saggi di PCRs è stato utilizzato DNA ed RNA estratto dai seguenti agenti infettivi: Brucella spp., Clamydia psittaci, Clamydia pecurum, Leptospira spp., Campylobacter fetus, Mycoplasma bovis, Mycplasma bovigenitalium, Ureaplasma diversum, Coxiella burnetii, Lavoro su campo Una volta messa a punto la metodica sui campioni di controllo sono stati selezionati in modo casuale 50 feti bovini abortiti in fasi diverse di gestazione e provenienti ciascuno da un diverso allevamento sito sul territorio Piemontese. Su ogni feto è stato eseguito l’esame necroscopico per evidenziare la presenza di anomalie, malformazioni e/o lesioni anatomopatologiche riferibili a malattie infettive. Da ciascun feto sono 17 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 stati selezionati: sistema nervoso centrale (SNC), muscolo, fegato, milza, rene, polmone, contenuto e parete IV stomaco. In tutti i campioni testati, i risultati ottenuti mediante multiplex PCRs hanno confermato al 100% i dati ottenuti con le singole PCR, confermando quindi l’identificazione degli stessi patogeni. Estrazione degli acidi nucleici L’estrazione degli acidi nucleici è stata effettuata valutando diversi kit commerciali al fine di ottenere un metodo in grado di estrarre contemporaneamente sia il DNA che l’RNA dai diversi tessuti da noi utilizzati (SNC, contenuto e parete IV stomaco, muscolo, polmone, milza, fegato e rene). E’ stato pertanto scelto il kit EZ1 RNA Tissue Mini Kit (Qiagen) seguendo le indicazioni del protocollo supplementare specifico per l’isolamento degli acidi nucleici totali da tessuti animali. Sensibilità delle multiplex PCRs I frammenti ottenuti da ciascun agente infettivo mediante multiplex PCRs sono stati clonati all’interno del vettore di clonaggio pDrive (Qiagen). Il DNA plasmidico ottenuto è stato successivamente quantificato mediante metodo fluorimetrico e sottoposto a diluizioni seriali in base 10 per valutare la sensibilità del pannello di PCR. L’analisi delle sequenze dei prodotti di PCR ha mostrato una elevata similarità con le corrispondenti sequenze di N. caninum (EF202080), BVD (EU180032) e U. diversum (D78650) presenti in GenBank. Discussione Il pannello di multiplex PCRs da noi sviluppato ha permesso di ottenere risultati del tutto sovrapponibili e concordanti con i dati ottenuti eseguendo singole PCR per ciascun agente infettante, evidenziando una elevata sensibilità e specificità. Questo protocollo che prevede l’utilizzo della stessa metodica (PCR) per la ricerca dei diversi patogeni risulta di facile esecuzione e più rapido se confrontato con l’impiego dei molteplici esami necessari per una diagnosi di tipo tradizionale (es. semine virali, colture batteriche, impiego di kit per la ricerca dell’antigene). Risulta inoltre meno costoso complessivamente se paragonato all’uso di singole PCR poiché consente un risparmio di tempo e di costi di reazione maggiori del 50%. Riteniamo quindi che questo protocollo possa essere adottato in campo veterinario e applicato alla routine diagnostica in particolare qualora si vogliano identificare agenti difficili da coltivare e/o potenzialmente pericolosi per l’uomo. L’identificazione di N. caninum, BVD e U. diversum a partire da prodotti abortiti ha confermato l’applicabilità della tecnica a partire da tessuti fetali anche se non può essere considerata indicativa delle prevalenze degli agenti ricercati data l’esiguità del campione. Saranno quindi necessari ulteriori studi su un maggior numero di campioni al fine di confermare se queste infezioni sono il principale fattore di aborto nella bovina nell’area di studio considerata. Determinazione degli agenti infettivi Le multiplex PCRs e le rispettive singole PCR sono state applicate al DNA estratto dal SNC, contenuto IV stomaco e milza dei 50 feti bovini per valutare la presenza dei principali agenti abortivi. I campioni PCR-positivi sono stati successivamente testati in altri distretti tissutali come il muscolo, polmone e fegato, al fine di determinare il sito di infezione preferenziale. Per confermare la specificità delle bande risultanti dalle multiplex PCRs, gli ampliconi sono stati sequenziati (ABI PRISM 310 Genetic Analyzer - Applied Biosystems, USA). L’avvenuta estrazione del DNA dei campioni PCR-negativi è stata verificata usando una PCR in grado di amplificare una porzione genica di 381 bp dell’enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH). L’estrazione dell’RNA è stata confermata mediante RT-PCR, amplificando una porzione di 166 bp della subunità alfa dell’ATP-ase. Bibliografia. 1. Corbellini L.G., Pescador C.A., Frantz F., Wunder E., Steffen D., Smith D.R., Driemeier D. (2006). Diagnostic survey of bovine abortion with special reference to Neospora caninum infection: importance, repeated abortion and concurrent infection in aborted fetuses in Southern Brazil. The Veterinary Journal, 172, 114-120. 2. Homan W.L., Limper L., Verlaan M., Borst A., Vercammen M., Van Knapen F. (1997). Comparison of the internal transcribed spacer, ITS 1, from Toxoplasma gondii isolates and Neospora caninum. Parasitology research, 83(3),285-9. 3. Muller N., Zimmermann V., Hentrich B., Gottstein B. (1996). Diagnosis of Neospora caninum and Toxoplasma gondii infection by PCR and DNA hybridization immunoassay. Journal of Clinical Microbiology, 34(11), 2850-2. 4. Richtzenhain L. J., Cortez A., Heinemann M.B., Soares R.M,. Sakamoto S.M., Vasconcellos S.A., Higa Z.M.M., Scarcell E., Genovez M.E. (2002). A multiplex PCR for the detection of Brucella spp. and Leptospira spp. DNA from aborted bovine foetuses. Veterinary Microbiology, 87, 139-47. 5. Van Engelenburg F.A., Maes R.K., Van Oirschot J. T., Rijsewijk F.A. (1993). Development of a rapid and sensitive polymerase chain reaction assay for detection of bovine herpesvirus type 1 in bovine semen. Journal of Clinical Microbiology, 31(12),3129-35. 6. Vilcek S., Herring A.J., Herring J.A., Nettleton P.F., Lowings J.P., Paton D.J. (1994). Pestiviruses isolated from pigs, cattle and sheep can be allocated into at least three genogroups using polymerase chain reaction and restriction endonuclease analysis. Archives of Virology, 136(3-4), 309-23. 7. Waldner C.L. (2005). Serological status for N. canium, bovine viral diarrhea virus, and infectious bovine rhinotracheitis virus at pregnancy testing and reproductive performance in beef herds. Animal Reproduction Science, 90, 219-242. 8. Winkler M.T., Doster A., Jones C. (2000). Persistence and reactivation of bovine herpesvirus 1 in the tonsils of latently infected calves. Journal of virology, 74(11), 5337-46. Risultati Messa a punto delle multiplex PCRs I primers utilizzati sia nelle PCR singole che nelle multiplex PCRs hanno dato origine ad amplificati di lunghezze concordi alle indicazioni presenti in letteratura ed attese ed in nessun caso si sono presentate bande aspecifiche. I frammenti sono stati separarti senza mostrare interazioni. La separazione dei prodotti di amplificazione mediante elettroforesi su gel di agarosio al 2% è risultata nitida e di facile interpretazione. Sensibilità delle multiplex PCRs La sensibilità è stata misurata con diluizioni seriali dei plasmidi clonati e ha evidenziato un limite di 20-22 copie per le multiplex i, ii, iii, v e di 40 copie per la multiplex iv. Lavoro su campo I risultati ottenuti sottoponendo alle 5 multiplex PCR campioni di diversi tessuti a partire da 50 feti bovini hanno rivelato la presenza di Bovine Viral Diarrhea virus (BVD), Neospora caninum ed Ureaplasma diversum. In particolare 4 campioni sono risultati positivi alla PCR per la ricerca di BVD (8%) ed hanno mostrato una viremia diffusa in tutti gli organi esaminati. Neospora caninum era presente nel cervello di 7 feti (14%) confermando il tropismo verso il tessuto nervoso, nel rene (n=3), nel muscolo (n=2), nel polmone (n=1) e contenuto IV stomaco (n=1). Due campioni da contenuto del IV stomaco sono risultati positivi per la ricerca di Ureaplasma diversum (4%). In entrambi è stata dimostrata la presenza del germe anche nel polmone ed un solo campione ha presentato confezione con il BVD. 18 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 PRESENTAZIONE DI CASI CLINICI DI INTERESSE VETERINARIO CON L’UTILIZZO DI UN PORTALE SCIENTIFICO WEB (PSW) Dondo, A., Zoppi, S., Bergagna, S., Grattarola, C., Rossi, F., Aliberti, E., Iacobelli, G., Failla, R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Keywords: aggiornamento – internet – medicina veterinaria Introduzione Un portale web è un dispositivo specializzato per la gestione, elaborazione e trasmissione di informazioni, dati e immagini con un’interfaccia preposta a trattare i flussi di comunicazione. La realizzazione del Portale scientifico Web (PSW) all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sede di Torino nasce da un’idea dei medici veterinari operanti presso il Laboratorio di Diagnostica della Sede di Torino successivamente sviluppata in collaborazione con il personale del Centro Elaborazione Dati (CED) dell’Ente stesso. Lo scopo finale del portale era quello di avere a disposizione uno strumento innovativo e versatile per poter archiviare, documentare e poter condividere anche verso l’esterno casi clinici particolarmente interessanti che si evidenziavano durante l’attività diagnostica di routine. Pertanto, dall’idea originale si sono progressivamente aumentate le potenzialità del portale stesso, infatti, oltre alla sezione dedicata alla presentazione dei casi clinici, sono stati realizzati differenti moduli satellite che hanno permesso la gestione della documentazione fotografica e la creazione di un forum per lo scambio di esperienze. voci attivabili con il mouse che verranno successivamente descritte (Figura n. 2) La voce “home” permette in qualsiasi momento della navigazione di tornare alla home page del Portale. Lo stesso risultato viene ottenuto selezionando il simbolo dell'IZS. “Your Account” è la sezione in cui è possibile modificare il proprio profilo. Figura n. 2: Home page del portale PSW Materiali e Metodi Il Portale è stato sviluppato esclusivamente con strumenti Open Source, ovvero liberamente modificabili, quindi flessibili e versatili. Tale scelta ha permesso la realizzazione del prodotto finale a costo zero, poiché tutti i software necessari al funzionamento del Portale oltre che Open Source, sono disponibili senza costi di licenza. Inoltre, il server che ospita l'applicazione era già in dotazione a cura del CED che provvede alla gestione del sistema Informatico dell'Ente. “Casi Clinici” è il modulo che costituisce il centro nevralgico del Portale. Nasce interamente da un’idea degli amministratori ed è stato realizzato interamente con le risorse umane già presenti in istituto e soprattutto senza costi aggiuntivi. Si sviluppa su un corpo centrale dove vengono inserite le informazioni necessarie per caratterizzare e identificare un caso. Associate al corpo centrale, sono presenti schede accessorie (Figura n. 1) che meglio descrivono il caso e riportano il percorso eseguito per formulare la diagnosi eziologia. È possibile arricchire ogni scheda con file multimediali di natura diversa (audio, video, testo, immagini). Selezionandolo dalla schermata principale (Figura n. 2) si accede al menu principale del modulo. La prima fila di icone permette di visualizzare le finestre che conterranno le informazioni relative al caso clinico (Figura n. 3). Successivamente, la seconda fila permette di accedere alle finestre di upload di file ritenuti necessari per arricchire e meglio descrivere le informazioni precedentemente inserite (Figura n. 3). Le icone “Cerca Caso” e “Consulta Caso”, sono funzionali alla ricerca delle informazioni. Le modalità di ricerca sono modulabili e sono strutturate su menu a tendina, che agevolano in tal modo la ricerca. Il modulo “Anagrafiche”, accessibile solo agli amministratori, permette di implementare le anagrafiche di base necessarie all'inserimento dei casi. L’implementazione delle anagrafiche possono essere richieste all'indirizzo [email protected]. “Download” è un modulo preconfezionato che è stato successivamente strutturato dagli amministratori per contenere inizialmente l'archivio macrofotografico dell'Ente. In questa sezione è possibile consultare immagini di repertorio Figura n. 1: Struttura di un caso clinico Risultati Login - L’accesso al portale è previsto per tutti, ma per la consultazione e l’inserimento dei dati, occorre registrarsi e ottenere una password. Una volta effettuato l'accesso, viene presentata la pagina personale, comunque sempre accessibile dal Top Menu “Your Account” e nella quale è possibile modificare le proprie informazioni personali e la password. Top Menu – Sulla schermata principale, compare, nella metà superiore della pagina, una stringa composta da una serie di 19 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 richiesta di utenti, si è in grado di approfondire eventuali argomentazioni scientifiche proposte. “Invia Avvisi” rimanda al modulo “Submit news” descritto nel Top Menù. “Lista Utenti” permette di accedere all’elenco degli utenti registrati, con la possibilità di visualizzare i dati personali inseriti dagli stessi e previsti dal Portale. Il modulo “Web Link” permette agli amministratori di pubblicare link di interesse suddivisi per categorie, eventualmente anche su segnalazione da parte degli utenti iscritti. costantemente implementate. Queste immagini sono organizzate in macrocategorie, a loro volta suddivise in sottocategorie. “Submit News” permette a ciascun utente iscritto di segnalare agli amministratori notizie che ritengono di particolare interesse per la comunità degli iscritti stessi. Infatti, se approvati dagli amministratori, tali avvisi vengono pubblicati sulla home page del sito, e memorizzati negli archivi delle notizie, secondo una classificazione per Argomenti detti “Topics”, ovvero catalogando tali avvisi in funzione delle differenti tipologie. Sulla schermata principale, nella parte sinistra della pagina è presente una sezione in formato elenco composta da 13 moduli e definita Menù Portale (Figura n. 2). Discussione Complessivamente, PSW amplifica l’aspetto formativo di tutto il progetto, poiché crea il presupposto per lo scambio di esperienze e favorisce la comunicazione tra i fruitori del portale, eliminando distanze geografiche e la sincronia temporale. I punti di forza, facilmente evidenziabili, si riscontrano principalmente nell’originalità dell’idea e soprattutto nella facilità di implementazione e nella modularità costantemente aggiornabile della struttura. Inoltre, la realizzazione del PSW, a cura di professionalità differenti ma già esistenti dell’IZS, ha permesso di creare una forte integrazione tra le unità operative coinvolte. Lo strumento così realizzato è infine facilmente esportabile verso Strutture Scientifiche esterne e può contribuire ad incrementare lo scambio di conoscenze in materia di medicina veterinaria. Nel contempo, accanto a tali punti di forza, sono state evidenziate alcune criticità, quali la necessità di una continua “autoalimentazione” dei contenuti, che richiede un impegno costante da parte degli utilizzatori ed in particolare da parte degli amministratori del portale stesso. Pertanto è necessario un controllo continuo su tutte le fasi di gestione e di operatività del portale stesso. Figura n. 3: Menù principale del modulo “Casi Clinici”. Oltre al menu “home” che riporta alla home page, e “Casi Clinici” che è il nucleo fondamentale del portale, dalla sezione Menu Portale è possibile accedere ad altri moduli: “Archivio Avvisi” riporta gli avvisi inseriti nella sezione “Topics” e suddivisi per mese di inserimento. “Argomenti” riporta al modulo “Topics” descritto in precedenza. Il modulo “Cerca” permette la ricerca libera di Avvisi pubblicati da PSW. “Download” è il modulo predisposto ad ospitare l'archivio macrofotografico dell'Ente, prevedendo l'implementazione da parte di tutti gli utenti registrati. “Enciclopedia” ospita più enciclopedie predisposte dagli amministratori del Portale. All’interno di ogni enciclopedia creata, vi è un'organizzazione alfabetica e, selezionando da un elenco, ciascuna lettera, vengono visualizzate tutte le voci inserite con le relative definizioni. Va sottolineato che tali categorie sono facilmente implementabili dagli amministratori del PSW. “FAQ” (Frequently Asked Questions) è l'area in cui gli amministratori riportano una serie di domande frequenti con le relative risposte. Tale area può servire agli utenti come guida immediata per l'uso del portale. Gli amministratori possono aggiornare i contenuti per venire incontro alle esigenze degli utenti. “Forums” è lo strumento con cui gli amministratori hanno pensato di attivare un canale di comunicazione tra gli utenti. Infatti tramite i forum, creati ad hoc anche su eventuale Ringraziamenti Un ringraziamento particolare va ai tecnici di Laboratorio Giulia Cazzaniga e Stefania Perin per la preziosa collaborazione prestata nell’inserimento delle immagini contenute nella sezione “Download”. Abstract “Portale Scientifico Web” (PSW) is the name of a tool principally born to include “Clinical cases”, a module that pick up different and particularly interesting anatomo-pathological findings and concerning laboratory investigations. This module was enriched with satellite modules, in order to promote the virtual dialog among users and to amplify training aid of this project. Questo studio è stato realizzato solo con strumenti Open Source. Tale scelta ha permesso la realizzazione a costo zero di uno strumento informatico per la formazione continua in medicina veterinaria. 20 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 PREDICTIVE FOOD MICROBIOLOGY AS A TOOL IN RISK ASSESSMENT Kostas Koutsoumanis Dept. of Food Science & Technology, Lab. Of Food Microbiology and Hygiene School of Agriculture, Aristotle University of Thessaloniki, P.O. Box 256, Thessaloniki GR-541 24, Greece, e-mail: [email protected], ȉel-Fax. + 30 2310 - 991647 Quantitative microbiological risk assessment (QMRA) is a newly effective tool in food safety management. To assess human health risk from food-borne pathogens it is important to determine the number of the pathogen at the time of consumption (exposure assessment). Predictive microbiology allows estimation of pathogen numbers in foods based on known levels at the starting point of the risk assessment and the processing and storage conditions. In QMRA however, models of bacterial growth need to be applied in a probabilistic way, in order to predict the probability that a critical concentration is reached within a certain amount of time. For this the uncertainty and variability of factors affecting pathogen growth should be taken into account and incorporated in mathematical models. This review presentation discusses the principles of QMRA and predictive microbiology, the available software tools and approaches for an effective application of bacterial growth modelling in microbial food safety risk assessment. 21 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO: DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF LIFE DEGLI ALIMENTI RTE Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Monastero P., Boni P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia Key words: Listeria monocytogenes, Shelf life, RTE Sicurezza Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna proposto quale strumento scientifico per valutare la conformità ai criteri microbiologici fissati dal Reg CE 1441/2007 riportando alcuni esempi di attività sperimentali documentate nell’area riservata del sito www.ars-alimentaria.it SUMMARY The aim of this paper is the presentation of the experimental draft used by Food Department of Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna for the valutation of shelf life of ready to eat food by using shelf life study in association with mathematical model of predictive microbiology. MATERIALI E METODI Il protocollo sperimentale per la valutazione della dinamica di comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life degli alimenti RTE prevede 4 fasi: x rilievo del processo produttivo; x rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimicofisiche del prodotto x contaminazione dell’alimento x individuazione delle temperature di esposizione del prodotto Rilievo del processo produttivo Nel caso degli alimenti RTE consiste non solo nel definire gli ingredienti che sono utilizzati nelle trasformazioni alimentari, la rilevazione delle temperature delle fasi di processo e i tempi di esposizione alle suddette temperature, con particolare attenzione ai processi termici (pastorizzazione, cottura, giacenza sotto siero), ma deve definire anche le modalità di presentazione del prodotto (affettato, in tranci, intero), confezionamento (sotto vuoto, atmosfera modificata, prodotto nudo), distribuzione (tempi e temperature di distribuzione e/o commercializzazione, temperatura di conservazione riportata in etichetta) e consumo. Rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche del prodotto L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei parametri microbiologici, chimico-fisici e merceologici finalizzata alla creazione di standard di processo e standard di prodotto. E’ necessario identificare e quantificare la presenza delle flore lattiche (popolazioni di lattococchi e/o lattobacilli), il profilo dei parametri di pH e di acqua libera (Aw) ed, eventualmente, la presenza di additivi ad attività battericida / batteriostatica (ad esempio lattato / di acetato di sodio) in grado di influire sulla capacità di sopravvivenza di L. monocytogenes nel corso della shelf life. Il sito www.ars-alimentaria.it (5) è aggiornato con i processi produttivi di oltre 10000 produzioni relative a circa 5800 aziende produttrici, costituendo una banca dati di riferimento nazionale per l’approfondimento delle conoscenze relative ai processi di trasformazione. Contaminazione sperimentale del prodotto Le prove sperimentali contemplano la contaminazione degli alimenti (interi o prima della porzionatura) con livelli di L. 3 4 monocytogenes variabili da 1 x 10 ufc/g o ml a 1 x 10 ufc/g o ml di prodotto. Nel caso di prodotti di salumeria il protocollo di contaminazione prevede l’immersione degli alimenti interi in miscele di inoculo per circa 15 minuti con successivo recupero dei prodotti cui segue una fase di asciugatura su una grata sterile per circa 10-30 minuti al termine della quale si procede con l’eventuale porzionatura ed il INTRODUZIONE Il Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (1), modificato recentemente dal Regolamento CE 1441/2007 (2), dedica un’ampia trattazione agli alimenti pronti al consumo (ready to eat – RTE) definendo i criteri di sicurezza alimentare riferiti in particolare al pericolo di trasmissione all’uomo di patogeni quali Listeria monocytogenes, come per altro indicano anche i regolamenti internazionali che disciplinano l’esportazione di questa tipologia di alimenti negli Stati Uniti d’America (3). Il Reg CE 178/2002 (4) prima ed il Reg CE 2073/2005 in seguito, hanno posto in primo piano come uno degli obiettivi fondamentali della legislazione è stato garantire un elevato livello di protezione della salute pubblica, stabilendo requisiti generali di sicurezza dei prodotti alimentari in base ai quali un “alimento” a rischio non possa essere immesso sul mercato. Affrontando nello specifico il pericolo L. monocytogenes l’apparato normativo, nell’Allegato I Capitolo 1 Criteri di sicurezza alimentare del Reg. CE 1441/2007, focalizza l’attenzione sugli alimenti pronti al consumo distinguendo 2 tipologie di prodotto e definendo “alimento che non costituisce terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes” se: 1. il pH è 4,4 o l’acqua libera (aw) 0,92 2. il pH è 5,0 e l’acqua libera (aw) 0,94 3. la conservabilità è inferiore ai 5 giorni 4. una giustificazione scientifica definisca come l’alimento non supporti lo sviluppo di L. monocytogenes. L’operatore del settore alimentare è quindi chiamato ad assumersi piena responsabilità riguardo alla sicurezza igienico sanitaria del prodotto nei confronti del pericolo L. monocytogenes, “dovendo dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che il prodotto non supererà 100 UFC/g di L. monocytogenes durante il periodo di conservabilità (2)”. La sicurezza igienico sanitaria degli alimenti si basa sulla capacità di dimostrare su base scientifica l’efficacia delle misure poste in atto dai produttori per mantenere ad un livello di rischio accettabile per il consumatore i pericoli microbiologici, chimici e fisici. Per documentare la sicurezza dei prodotti RTE durante la shelf life è necessario operare sulla base dei risultati delle seguenti attività: x prove di shelf life valutando l’influenza della temperatura (a vari livelli di abuso termico) e/o del confezionamento (atmosfera modificata, sotto vuoto). x approntamento di modelli di microbiologia predittiva. x prove di termoresistenza su ceppi batterici per verificare le curve di crescita e/o di morte in relazione all’esposizione a differenti temperature. Scopo del presente lavoro è presentare il protocollo degli studi di shelf life redatto dal Dipartimento Alimenti e 22 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 I grafici da 13 a 16 sono relativi alla dinamica di comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life di Speck affettato e confezionato in atmosfera protettiva condotta a diverse temperature confezionamento del prodotto secondo quanto previsto dal processo produttivo. Individuazione delle temperature di esposizione del prodotto I criteri di sicurezza alimentare applicabili per l’intera durata del periodo di conservabilità dei prodotti possono essere rispettati “a condizioni ragionevolmente prevedibili” di distribuzione conservazione ed uso (1); pertanto la valutazione della shelf life di un prodotto deve essere condotta a differenti livelli di temperatura che simulino anche l’esposizione a condizioni di abuso termico. Gli esempi riportati nel presente lavoro sono relativi ad alimenti nominalmente da mantenere a +4°C valutati anche alla temperatura di conservazione domestica (+10°C) ed in condizioni di moderato e franco abuso termico (rispettivamente +15 e +20°C). Grafico 13 +4°C 3 2 8 7 7 7 6 5 4 3 6 5 4 3 2 2 1 1 1 0 0 0 0 20 40 60 80 0 20 40 tempo (giorni) log ufc/g regressione 60 max min regressione max 4 3 2 1 0 0 10 tempo(giorni) log ufc/g 6 5 20 30 40 0 5 10 tempo(giorni) min Outliers log ufc/g regressione 15 20 25 30 tempo(giorni) max min log ufc/g regressione max min Il Grana Padano D.O.P. grattugiato, conservato ad una temperatura ottimale (5°C) ed anche in condizioni di conservazione riconducibili ad una situazione di conservazione domestica del prodotto (10°C) non supporta la crescita di L. monocytogenes artificialmente aggiunta che evidenzia, a +5°C, un valore di riduzione decimale D pari a oltre 74 giorni; nei campioni contaminati conservati a 15°C, ovvero ad una temperatura di blando abuso termico il tempo di duplicazione cellulare è di 2 giorni fino ad arrivare ad un valore superiore di 2 logaritmi rispetto alla contaminazione iniziale così come ad una temperatura di conservazione di 20°C dove l’incremento di Listeria è più precoce e con una velocità indicata da un tempo di duplicazione cellulare di 3 giorni (6). I grafici da 9 a 12 ripotano la dinamica di comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life di Mortadella affettata, addizionata (blu) e non (rossa) con conservanti e confezionato in atmosfera protettiva condotta a diverse temperature. Tabella 3 Grafico 9 Grafico 10 Grafico 11 Grafico 12 +4°C +10°C +15°C +20°C 10 10 9 8 7 7 4 3 2 6 5 4 3 2 6 5 4 3 2 1 1 1 0 0 0 0 20 40 60 80 100 0 20 time (days) regular mortadella mortadella added with sodiumlactate Log UFC/g 9 8 7 6 5 Log UFC/g 9 8 7 40 60 80 100 regular mortadella mortadella added with sodiumlactate 60 80 100 regular mortadella mortadella added with sodiumlactate Log UFC/g 6 4 3 0 20 40 60 80 100 time(days) regular mortadella 10 10 9 9 9 8 8 8 7 7 6 5 4 3 6 5 4 3 6 5 4 3 2 2 2 1 1 1 0 20 40 60 80 20 regressione predizione combase 40 60 regressione predizione combase 3 2 0 0 10 tempo (giorni) log ufc/g 5 4 1 0 0 7 6 20 30 40 0 5 10 tempo (giorni) log ufc/g regressione predizione combase 15 20 25 30 tempo (giorni) log ufc/g regressione predizione combase In alcune tipologie di salumi, come lo speck, la biocompetizione delle flore lattiche è cosi intensa (Grafici da 13 a 16) da risultare di efficacia proporzionale all’aumento della temperatura. L’utilizzo dei modelli matematici risulta particolarmente utile non solo per determinare il valore di riduzione decimale dei microrganismi, ma anche, come nel caso dei dati sulla shelf life della mortadella, per valutare l’efficacia dell’utilizzo di agenti ad attività batteriostatica quali ad esempio il lattato/diacetato di sodio. 5 time(days) 10 8 7 log ufc/g 1 40 Grafico 8 +20°C 9 tempo (giorni) 0 20 Grafico 7 +15°C 10 0 2 0 time (days) Grafico 6 +10°C 0 10 9 8 Log UFC/g Log UFC/g 10 Grafico 5 +4°C Log UFC/g 4 9 8 Grafico 16 +20°C DISCUSSIONE La valutazione della shelf life di un alimento è un percorso molto complesso che deve prendere in considerazione sia gli aspetti tecnologici del processo produttivo che le caratteristiche microbiologiche e chimico fisiche dell’alimento, correlandole con le possibili variazioni che si possono manifestare durante la vita commerciale del prodotto in relazione alle differenti temperature di esposizione. Il ricorso alla microbiologia predittiva non può essere limitato alla mera considerazione dei parametri chimico fisici (pH ed Aw) dell’alimento in quanto la presenza delle flore lattiche può modificare notevolmente i valori della predizione, come riportato nel caso del Grana Padano D.O.P. dove, i grafici da 5 a 8, riportano il confronto tra i valori attesi, in rosso, (www.combase.cc)(7) e quelli realmente ottenuti durante la prova sperimentale (in blu). 10 9 8 Log U FC/g Log UFC/g 6 5 10 9 Log UFC/g 9 8 7 Grafico 4 +20°C Log UFC/g 10 10 Log UFC/g Grafico 3 +15°C Log UFC/g Grafico 2 +10°C Grafico 15 +15°C Lo speck affettato e confezionato in atmosfera modificata è un alimento RTE che non consente lo sviluppo di L. monocytogenes durante la shelf life, indipendentemente dalla temperatura di conservazione del prodotto. I grafici mostrano come l’interruzione della catena del freddo determini una diminuzione del valore di riduzione decimale (D) per L. monocytogenes, (da 71 giorni a +4°C sino a 27 giorni a +20°C) in relazione ad un incremento delle flore lattiche, naturalmente presenti nel prodotto. RISULTATI I grafici da 1 a 4 sono relativi alla dinamica di comportamento di L. monocytogenes durante la shelf life di Grana Padano D.O.P. grattugiato e confezionato in atmosfera protettiva condotta a diverse temperature. Grafico 1 +4°C Grafico 14 +10°C mortadella added with sodiumlactate La mortadella affettata se conservata ad una temperatura ottimale di 4-5°C non supporta la crescita di L. monocytogenes; tuttavia all’aumentare della temperatura di conservazione la Listeria è in grado di replicarsi già ad una temperatura di 10°C. In situazioni di abuso termico più o meno spinto, 15 e 20°C, la velocità di duplicazione aumenta in funzione della temperatura. La presenza nell’impasto della mortadella di una miscela di antimicrobici, lattato di sodio e di-acetato di sodio, ostacola sensibilmente la capacità della L. monocytogenes di moltiplicarsi tanto a temperature di conservazione ottimali e ragionevolmente prevedibili, 5 e 10°C, che in situazioni più critiche (15°C). BIBLIOGRAFIA 1. Reg.CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005. 2. Reg. CE 1441/2007 della Commissione del 5 Dicembre 2007 3. P. Daminelli, et al. “Listeria monocytogenes in alimenti Ready to eat: la normativa comunitarie e la regolamentazione per l’esportazione verso gli U.S.A.” Industrie Alimentari XLVI (2007) dicembre 4. Reg. CE 178/2002 del 28 Gennaio 2002 5. www.ars-alimentaria.it 6. Finazzi G., Daminelli P., Bonometti E., Boni P., “Valutazione della dinamica di sopravvivenza di L. monocytogenes nel formaggio Grana Padano DOP grattugiato“Industrie Alimentari XLVII (2008) 7. www.combase.cc 23 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ANALISI DEL PIANO REGIONALE CAMPIONAMENTO ALIMENTI NELL'OTTICA DELLA VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA DEL RISCHIO ALIMENTARE Barrucci F.(1), Mancin M.(1), Cibin V.(1), Capello. K.(2), Barco L.(1), Ricci A.(1) (1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie-- Struttura complessa di Analisi del Rischio e Sistemi di Sorveglianza in Sanità Pubblica (2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Unità operativa staff di direzione sanitaria Key words: Rischio alimentare, Campionamento, Simulazione Introduzione Il piano campionamento alimenti 2007 dei servizi veterinari è stato ampiamente rimodulato rispetto alle edizioni precedenti sulla base del Regolamento (CE) No 2073/2005. Nell’ottica di poter utilizzare i risultati del piano campionamento 2007 per svolgere valutazioni del rischio, che necessitano di una maggiore precisione delle stime di prevalenza, uno degli obiettivi del piano di campionamento alimenti 2007 è stato quello di portare a 5 le unità campionarie (u.c.) costituenti il campione al fine di aumentare la precisione della stima della prevalenza. Fatta eccezione per alcune matrici non incluse nel Regolamento, per cui è stato definito un campionamento in singola unità campionaria, per le rimanenti il campionamento è stato previsto in 5 u.c., a meno che la normativa non richiedesse espressamente un numero diverso di unità campionarie, nel qual caso ci si è attenuti a tale indicazione. Complessivamente quindi è stata pianificata l’esecuzione di 9500 analisi e la ripartizione dei campioni per ciascuna matrice è stata definita considerando sia le prevalenze di Salmonella spp. e Listeria monocytogenes, stabilite nel corso dei precedenti piani, sia l’importanza delle singole tipologie alimentari nella realtà produttiva del territorio. Tabella 1: Alcuni valori della probabilità di accettazione di un campione data la prevalenza p nel caso di piano n=3, c=0 e di piano n=5, c=0 p(%) Pa p(%) Pa n=3 c=0 n=5 c=0 0 10 1 0.73 0 10 1 0.59 20 0.51 20 0.33 30 0.34 30 0.17 40 0.21 40 0.08 50 0.12 50 0.03 60 0.06 60 0.01 La Fig.1 riporta la probabilità di accettazione (sull’asse delle ordinate) in funzione della prevalenza (asse delle ascisse). Fig.1 Grafico della probabilità di accettazione in funzione della prevalenza per piano n=3, c=0 (linea) e piano n=5, c=0 (tratteggio) Probability of accepting 1.0 0.8 0.6 Materiali e metodi Nel piano campionamento 2007 si è posta particolare attenzione alla numerosità delle unità campionarie che compongono il campione, in particolare è stata fatta la richiesta di inviare campioni invece che in 3 u.c. in 5 u.c., dove la legge non precisa altre indicazioni. Dai risultati del piano campionamento si osserva un aumento della prevalenza passando dal 2006 al 2007. Abbiamo voluto studiare se questa variazione è da imputarsi al passaggio da 3 a 5 unità campionarie. Consideriamo il piano di campionamento definito come in (1) dai tre parametri N, n e c, dove N indica il numero di campioni e n indica il numero di unità campionarie che costituiscono un campione. Il parametro c è il numero massimo consentito di unità campionarie positive, ovvero se c o meno unità campionarie evidenziano con test di laboratorio la presenza del microrganismo oggetto di indagine allora il campione è accettabile ed è considerato negativo. Nel caso specifico della ricerca di Salmonella negli alimenti, per esempio nei preparati di carne, il campione è formato da n=5 unità campionarie, ovvero 5 aliquote da 25gr della matrice oggetto di indagine, e c=0 ovvero il campione è considerato positivo se almeno una delle unità campionarie è positiva. E’ evidente che modificando i parametri n e c la probabilità di “accettare” un campione, ovvero di considerarlo negativo, si modifica. In particolare la probabilità di accettare è funzione della prevalenza “reale” p (utilizzando la distribuzione binomiale): Pa ¦ c x 0.4 0.2 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 Prevalence Si osservi che al crescere della numerosità delle unità campionarie n, a parità di p e c, la curva assume un andamento più ripido e quindi diminuisce la probabilità di accettare un campione (cioè classificare un campione come negativo) e di converso la probabilità di rifiutarlo aumenta (cioè di classificarlo come positivo). Ne consegue che, data una certa prevalenza p, un campione composto da 3 unità campionarie ha una probabilità inferiore di venire rifiutato (classificare il campione come positivo) rispetto ad un campione in 5 unità campionarie Risultati e discussione Per studiare l’effetto del passaggio da 3 a 5 unità campionarie abbiamo simulato il campionamento di una matrice alimentare con prevalenza nota, nel primo caso pari a 10% e nel secondo caso pari a 1%. In pratica abbiamo simulato la condizione (positivo/negativo) di una matrice alimentare supponendo una prevalenza nota del 10% (o 1%) e abbiamo simulato il prelievo di 100 campioni in 3 unità campionarie e il prelievo di 100 campioni, dalla stessa matrice simulata, in 5 unità campionarie. Sempre basandoci sullo schema che definisce il campione positivo se almeno una delle unità campionarie è positiva, abbiamo stimato la prevalenza della matrice come rapporto tra numero di campioni positivi e il numero totale di campioni. Nel caso di matrice con prevalenza pari al 10%, la stima della §n· x ¨ ¸ p (1 p) n x 0¨ ¸ © x¹ Riportiamo in tabella 1 alcuni valori per n=3 e c=0 e per n=5 e c=0. 24 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 prevalenza ottenuta tramite campionamento in 3 u.c. è pari a 4,9% con intervallo di confidenza al 90% [2%;9%]; mentre la stima ottenuta simulando un campionamento in 5 u.c. è pari a 8,9% con intervallo di confidenza al 90% [5%,14%]. Nella figura 2 sono rappresentate le distribuzioni di probabilità delle due stime della prevalenza. Riferimenti bibliografici 1. Distribuzione della stima della prevalenza 18 M6: Mean=0,08907 16 F6: Mean=0,049174 14 12 10 8 6 4 2 0 0 0,0625 5% 0,125 90% ,05 0,1875 0,25 5% ,14 Fig.2 Grafico delle distribuzioni di probabilità delle stime della prevalenza per schemi di campionamento n=3, c=0 (verde) e n=5, c=0 (viola) nel caso di prevalenza reale pari al 10% Nel caso di matrice con prevalenza pari all’ 1%, la stima della prevalenza ottenuta tramite campionamento in 3 u.c. è pari a 0,5% con intervallo di confidenza al 90% [0%;2%]; mentre la stima ottenuta simulando un campionamento in 5 u.c. è pari a 0,7% con intervallo di confidenza al 90% [0%,2%]. Visto i limitati miglioramenti della precisione della stima nel caso di prevalenza all’ 1% ottenuti passando da 3 a 5 u.c., abbiamo provato a simulare anche il campionamento in 10 u.c. Questa volta si è avuto un notevole miglioramento della precisione della stima della prevalenza, infatti la stima ottenuta è pari a 0,9% con intervallo di confidenza al 90% [0%,3%]. Dall’analisi dei risultati della simulazione risulta che l'utilizzo di campioni in 3 u.c. può comportare una sottostima della prevalenza, specialmente quando la prevalenza è molto bassa e/o il patogeno non uniformemente distribuito. Inoltre i risultati della simulazione hanno mostrato che un aumento del numero di u.c. permette di ottenere una stima della prevalenza più attendibile, precisa e accurata. Alla luce dei risultati della simulazione è stato possibile analizzare correttamente i risultati del piano campionamento alimenti 2007 e confrontarli con quelli del piano del 2006. Summary The local authority food sampling program for 2007 have been widely modify according to Regulation 2073/2005 and in order to provide valuable information for risk assessments. The main objective of the 2007 food sampling program was to increase the number of sample units forming a sample with the aim of providing more accurate prevalence estimates. In order to evaluate the effect of increasing from 3 to 5 sample units (s.u.), the sampling of a food with different levels of prevalence was simulated according to two different sampling plans (n=5, c=0 and n=3, c=0). From simulation results it was possible to conclude that using 3 s.u. could underestimate the real level of prevalence, using 5 s.u. increasis the precision of prevalence estimate. Moreover in the light of simulation results, 2007 food sampling program results were correctly analyzed and compared with results from 2006. 25 “Microorganisms in Foods 7: Microbiological Testing in Food Safety Management” By International Commission for the Microbiological Specifications of Foods (ICMSF). Kluwer Academic/Plenum Publishers, 2002, New York. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 INDAGINE PRELIMINARE E CARATTERIZZAZIONE DI LISTERIA SPP IN DIFFERENTI MATRICI ALIMENTARI Cogoni M. P.1, Brignardello S.1, Sabiu R.1, Cosentino S.2, Pisano M.B.2Decastelli L.3, Mantoan P3, Brunetti R3 4 5 Parisi A. , Normanno G. 1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna-Cagliari 2)Dipartimento di Biologia sperimentale, sezione Igiene, Università di Cagliari 3)Istituto zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, Torino 4) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata – Putignano (BA) 5) Dipartimento Sanità e benessere animale- Facoltà di medicina veterinaria- Università di Bari Key words: foods, Listeria monocytogenes, Amplified Fragment Length Polymorphism ABSTRACT In this study, the presence of Listeria spp. in 223 samples of different food products was evaluated. Twelve samples (5,4%) were positive for Listeria spp. and Listeria monocytogenes was the most represented species. High isolation frequency was recorded in meat products. The Listeria strains were characterized by serotyping and by PCR for the presence of PrfA and HlyA virulence-associated genes. Species discrimination and different genotypes were identified by Amplified Fragment Length Polymorphism. This study is a preliminary step of research project aiming to characterize zoonotic pathogens along the sheep-goat chain. INTRODUZIONE La listeriosi, è una zoonosi causata da Listeria monocytogenes. Si tratta di un bacillo Gram-positivo con caratteristiche di resistenza ed adattamento a situazioni ambientali stressanti tali da consentirgli di sopravvivere e replicarsi negli alimenti e nell’ambiente. L’insorgenza di emergenze legate alla listeriosi è imputabile anche ai processi di produzione, conservazione e distribuzioni alimentare su larga scala che offrono situazioni ambientali particolarmente favorevoli al microrganismo. I casi di listeriosi nell’uomo dal 2005 al 2006 sono aumentati dell’8,6 %, con un incremento del 59% negli ultimi 5 anni a livello europeo (1). Considerata la gravità che l’infezione da L. monocyotgenes spesso riveste, abbiamo svolto un’indagine al fine di verificarne la distribuzione in differenti prodotti alimentari considerando l’attualità di tale patologia e l’associazione con alimenti contaminati. I ceppi sono stati, inoltre, tipizzati in base alle caratteristiche sierologiche e molecolari allo scopo di approfondire le conoscenze sulla loro diffusione nelle diverse matrici alimentari. MATERIALI E METODI Lo studio effettuato ha preso in considerazione campioni di diversa origine alimentare provenienti da varie aziende sarde e analizzati tra il 2006 e il 2008 presso il Laboratorio Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico. Le matrici alimentari processate comprendono: Formaggi (n. 78) Prodotti lattiero-caseari (n. 99) Latte alimentare (n. 29) Carne e preparazioni a base di carne (n. 4) Prodotti a base di carne (n. 7) Prodotti ittici (n. 6) Isolamento ed identificazione: i campioni sono stati sottoposti ad analisi microbiologica per la ricerca di Listeria monocytogenes secondo la metodica UNI EN ISO 11290-1. Da un totale di 223 campioni, sono stati isolati 8 ceppi di Listeria monocytogenes, di cui 3 isolati da matrici carnee, 4 da formaggi e prodotti lattiero caseari, uno da prodotti ittici. Nessun campione di latte alimentare è risultato positivo. Inoltre sono stati isolati 4 ceppi di Listeria innocua, di cui 2 isolati da formaggio grattugiato, uno da ricotta, ed uno da salsiccia stagionata. Un solo ceppo di Listeria ivanovii è stato isolato da un formaggio ovino (Fig. 1) Fig. 1- Percentuale di isolamento di Listeria spp in diverse matrici alimentari 50 % campioni positivi 45 40 35 30 25 20 15 10 5 L. monocytogenes L. innocua 0 Formaggi (N. c amp. 78 ) Prodotti lattieroc aseari (N. camp. Latte alimentare (N. c amp. 29 ) 99) Prodotti a base di c arne (N. c amp. 7 L. ivanovii Carne e preparazioni (N. c amp. 4) Prodotti ittic i (N. c amp. 6) L. innocua 30,8% L. ivanovii 7,7% L. monocytogenes 61,5% Fig. 2- Distribuzione percentuale dei ceppi di Listeria spp isolati da diverse matrici alimentari Sierotipizzazione: i ceppi identificati come Listeria monocytogenes sono stati sierotipizzati mediante antisieri polivalenti e monovalenti (Denka Seiken Co) per l’identificazione degli antigeni somatici e flagellari. Ricerca geni di virulenza: l’estrazione del DNA genomico è stata effettuata con la resina Instangene (BioRad), secondo le indicazioni della ditta produttrice. La ricerca dei geni di virulenza PrfA (Pleiotropic activator) e HlyA (listeriolisina) è stata effettuata in tutti i ceppi di Listeria spp. isolati con la tecnica multiplex-PCR utilizzando i primers specifici e le condizioni di amplificazione descritte in letteratura (2) Caratterizzazione in AFLP: Tutti i ceppi di Listeria spp. sono stati caratterizzati mediante la tecnica di AFLP. I prodotti PCR sono stati separati mediante Genetic analyzer 3130 (Applied Biosystems). I frammenti AFLP compresi nel range tra 75 e 500 bp sono stati considerati per l’analisi numerica. I profili AFLP sono stati importati nel software Bionumerics 5.0 quindi comparati usando il coefficiente di correlazione Dice e riuniti in cluster usando l’algoritmo Unweighted Pair Grouping Matching Average (UPGMA). Gli stipiti che presentavano un livello di 26 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 similarità dei profili AFLP pari o superiore al 95% sono stati considerati geneticamente correlati (3). Sierotipi di L.monocytogenes identificati RISULTATI E DISCUSSIONE Complessivamente 12 campioni (5,4%) sono risultati positivi; negli alimenti carnei ed in particolare nei prodotti a base di carne, su otto campioni analizzati, 3 sono risultati contaminati da Listeria spp. La specie più rappresentata è risultata Listeria monocytogenes (8 campioni) seguita da L. innocua (4 campioni) e L. ivanovii (1 campione). In un unico campione si è riscontrata la presenza di Listeria monocytogenes e di L. innocua. Per quanto riguarda la ricerca dei determinanti di virulenza (Fig. 3), tutti i ceppi di L. monocytogenes sono risultati portatori del gene HlyA. Il gene PrfA codificante per la proteina PrfA che attiva la trascrizione di numerosi geni di virulenza, è stato rilevato in tutti i ceppi di L. monocytogenes ed eccezione dei ceppi isolati da campioni di ricotta e formaggio grattugiato. Questi ceppi potrebbero essere considerati avirulenti dato che, alcuni studi hanno evidenziato che ceppi mutanti mancanti del gene PrfA hanno un ridotto livello di trascrizione dei geni che sono coinvolti nel meccanismo di patogenesi di L. monocytogenes (4,5). La ricerca dei geni di virulenza ha dato esito negativo nei ceppi di L. innocua e L. ivanovii analizzati. f ig ur a 3 - Pr esenz a d ei g eni d i vir ulenz a nei cep p i d i List er ia analiz z at i. 4b/4c 1/2a 1/2c 1/2b Fig. 4: distribuzione dei sierotipi Lo studio svolto fin’ora rappresenta una fase preliminare di un progetto di ricerca volto alla valutazione del rischio ed alla caratterizzazione di agenti batterici di zoonosi alimentare. Dai nostri risultati si delinea in questa fase un incremento degli isolati, pertanto, ai fini epidemiologici, appare indispensabile procedere alla tipizzazione attraverso l’applicazione di numerose tecniche sia microbiologiche che molecolari per acquisire informazioni sulla circolazione e la distribuzione dei diversi ceppi in ambito alimentare. Tutto ciò deve essere supportato da strategie a garanzia dell’applicazione di buone prassi igieniche in combinazione col sistema HACCP, le quali applicate in modo corretto sono in grado di ridurre al minimo le contaminazioni che possono verificarsi in fase di lavorazione. sp p . 8 6 BIBLIOGRAFIA 1 - Istituto Superiore di sanità- Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute- aggiornamento 20/6/2008 2 - Cooray Karven J., Takeaki N., Huabao X., Tohey M., Masashi F., Masao M. -1994- Detection of Multiple Virulence-Associated Genes of Listeria monocytogenes by PCR in Artificially Contaminated Milk Samples. Applied and Environmental Microbiology Vol. 60, No. 8, 3023-3026. 3 - Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A., Santagata G – 2008 - Prevalenza e caratterizzazione genetica di Listeria spp. in caseifici ovi-caprini della Puglia e della BasilicataIndustrie Alimentari XLVII – 486-493 4 - Chakraborty T., Leimeister-Wachter M., Domann E., Hrtl M., Goebel W., Nichterlein T., Notermans S. -1992- Coordinate regulation of virulence genes in Listeria monocytogenes requires the product of the prfA gene. Journal of Bacteriology 174, 568-574 5 - Mengaud J., Dramsi S., Gouin E., Vazquez-Boland J. A., Milon G., Cossart P. – 1991 – Pleiotropic control of Listeria monocytogenes virulence factors by a gene that is autoregulated. Molecular Microbiology 5, 2273-2283 6 – Conter M., Di CiccioP., Zanardi E., d’Orio v., Ghiaini s., Vergara A., Ianieri A. – Caratterizzazione genotipica e sierologia di Listeria monocytogenes isolata da alimenti e ambienti di lavorazione – atti convegno AIVI 2007 4 L. monocytogenes (n. ceppi 8) 2 L. innocua (n. ceppi 4) 0 L. ivanovii (n. ceppi 1) Prfa HlyA ge ni di v i r ul e nz a Numerosi geni sono attivati e regolati positivamente dal fattore trascrizionale PrfA e il riscontro nel 65,5% degli isolati confermano come gli alimenti possono avere un ruolo determinante nel veicolare l’infezione. La caratterizzazione genetica dei ceppi isolati condotta mediante AFLP, ha consentito di discriminare tra loro le diverse specie di Listeria con un livello di similarità intorno al 50%. Questa tecnica, inoltre, si è rivelata molto utile per la identificazione di diversi profili genetici all’interno delle singole specie. Questa informazione risulta fondamentale per la esecuzione di indagini epidemiologiche. Le notevoli capacità discriminanti di AFLP, soprattutto per L. monocytogenes, rendono questa tecnica una valida alternativa alla caratterizzazione sierologica. I risultati relativi alla sierotipizzazione sono schematizzati nella tabella n° 1 e nella figura 4. SIEROTIPO 1/2c 1/2a 4b/4c 1/2b 1/2c MATRICE Ricotta Salmone affumicato Formaggio grattugiato Carne di suino Formaggio ovino <60 gg Formaggio grattugiato Salsiccia stagionata Salsiccia stagionata Tabella 1: sierotipi identificati I sierotipi identificati rispecchiano quanto riportato in bibliografia (6), essendo i sierogruppi 1/2 e 4 i più frequentemente isolati dalle matrici alimentari (6). 27 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 STUDIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA SPP. IN CASEIFICI LUCANI MEDIANTE IL MONITORAGGIO DEI POZZETTI DI DRENAGGIO DELLE ACQUE - DATI PRELIMINARI Parisi A.1, Latorre L. 1, Fraccalvieri R. 1, Sarli G.2 , Contò L. 1, Normanno G. 3 , Santagada G. 1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia; ASL 2 Potenza; Università degli Studi di Bari, Facoltà di Medicina Veterinaria – Dip. Sanità e Benessere Animale Valenzano (BA) 3 Key words: Listeria spp., L. monocytogenes, pozzetto di drenaggio acque SUMMARY We report the detection of Listeria spp. and Listeria monocytogenes in ten dairy plants. The presence of the microorganisms were revealed with the analysis of the floor drains. They were investigated three times and during the third sampling 148 samples were collected along the production line and environment. At least one time, five cheese factories were floor drains positive for Listeria spp. of which two for L. monocytogenes. The analysis of the production line and environment of the ten dairy plants confirmed four on five positivity. preparazione della ricotta), prodotti finiti (formaggio fresco e stagionato, formaggi a pasta filata, ricotta ed altri prodotti quali burro o panna) - superfici a contatto con le matrici alimentari lungo l’intera filiera produttiva (filtri, caldaia, attrezzi, fuscelli, tavoli di sgocciolatura, assi di asciugatura e stagionatura, interno frigoriferi e mani del personale). Per tali campionamenti sono state utilizzate spugnette idratate prima dell’uso con 8 ml di diluente peptone sale e strofinate energicamente, nelle tre direzioni, su aree da 2 100 a 1.000 cm . La ricerca di L. monocytogenes è stata condotta secondo la metodica ISO 11290-1:1996 + Amendment 1-2004 (1). I ceppi di L. monocytogenes sono stati sierotipizzati secondo Ueda F. e al. (10) e genotipizzati con la tecnica di AFLP (8). INTRODUZIONE L. monocytogenes è l’agente eziologico della “listeriosi”, una importante malattia alimentare ad esito potenzialmente fatale. Il microrganismo si trova nel terreno e nella vegetazione, e la sua trasmissione avviene attraverso i cibi contaminati. La principale fonte di contaminazione per l’uomo è rappresentata dagli alimenti di origine animale. Il latte ed i prodotti lattierocaseari sono responsabili di circa la metà degli episodi di listeriosi in Europa e svolgono quindi un ruolo epidemiologico importante. Il rischio di listeriosi è associato maggiormente al consumo di latte crudo e di formaggi molli prodotti con latte crudo (5), tuttavia sono stati segnalati anche episodi causati da formaggi prodotti con latte pastorizzato (6). Nei prodotti ottenuti da latte trattato termicamente la presenza di L. monocytogenes deriva prevalentemente da contaminazioni post-processo (9) ed è associata a ceppi residenti nello stabilimento (7). Nel corso di nostre precedenti indagini (3;4) abbiamo esaminato l’intera filiera, di 24 caseifici rappresentativi della realtà produttiva del territorio appulo-lucano. Da queste ricerche il pozzetto di drenaggio delle acque era risultato l’indicatore di contaminazione ambientale più efficace per svelare la presenza di microrganismi del genere Listeria, ed aveva evidenziato una frequenza di contaminazione significativamente più elevata rispetto agli altri siti ambientali (p<0,005). Per valutare la capacità del pozzetto di drenaggio di svelare la contaminazione da microrganismi del genere Listeria nei caseifici, sono stati campionati per tre volte i pozzetti di drenaggio di 10 caseifici individuati in modo casuale e, in occasione del terzo prelievo, il campionamento è stato esteso all’intera filiera. RISULTATI Complessivamente sono risultati positivi per Listeria spp. 5 caseifici. In particolare, nei primi 2 campionamenti (P1 e P2), il caseificio N. 2 presentava positività in entrambi i campionamenti solo per L. monocytogenes; il caseificio N. 6 nel primo campionamento era positivo per L. monocytogenes e L. innocua, mentre nel secondo solo per L. monocytogenes; il caseificio N. 10 presentava positività, in entrambi i campionamenti, solo per L. innocua; i caseifici N. 1 e 5 presentavano positività, in un solo campionamento, solo per L. innocua. Il terzo campionamento (P3) eseguito dopo 4 mesi sia nel pozzetto di drenaggio che nella filiera, ha confermato, in 4 dei 5 caseifici positivi per Listeria spp., la positività del pozzetto ed evidenziato la contaminazione anche della filiera (fig.1). Tutti i 9 ceppi di L. monocytogenes isolati nei caseifici N.2 e 6 sono risultati del sierotipo 4b/4e. La genotipizzazione mediante tecnica AFLP ha consentito di identificare le due specie di Listeria spp. e di differenziare diversi genotipi come illustrato in fig. 1. DISCUSSIONE Lo studio della filiera dei 10 caseifici, prescindendo dai risultati dei pozzetti, ha rivelato una notevole diffusione sia di Listeria spp. (4/10; 40%) che di L. monocytogenes (2/10; 20%). Un caseificio è risultato contaminato solo da L. monocytogenes, 2 solo da L. innocua ed 1 da entrambe le specie. Dei 148 campioni esaminati, 14 (14/148; 9,4%) erano positivi per Listeria spp., di cui 5 (5/148; 3,4%) per L. monocytogenes, in un caso in associazione a L. innocua. La sierotipizzazione non ha fornito nessuna informazione utile per differenziare i 9 ceppi di L. monocytogenes che sono risultati appartenere allo stesso sierotipo, invece la genotipizzazione mediante AFLP ha evidenziato la presenza di due diversi genotipi all’interno del caseificio N. 2. Inoltre AFLP ha consentito di rilevare la presenza contemporanea di diverse popolazioni di L. innocua nei caseifici N. 5, 6 e 10. La sostanziale identità genetica di alcuni genotipi sia di L. monocytogenes (caseificio N. 2) che di L. innocua (caseifici N. 5, 6 e 10) nei diversi campionamenti ha permesso di confermare l’attitudine di questi microrganismi a colonizzare gli ambienti di lavorazione in maniera persistente sopravvivendo alle comuni procedure di sanificazione. Nessun campione di latte (materia prima) è risultato contaminato e, ad eccezione della contaminazione da L. MATERIALI E METODI L’indagine ha interessato 10 caseifici dei quali 8 trasformano giornalmente da 3 a 20q di latte bovino e 2 rispettivamente 1 e 3q di latte ovi-caprino. Si trattava di caseifici di piccole e medie dimensioni, per lo più a conduzione familiare, rappresentativi della realtà produttiva territoriale. In ciascun caseificio, nel corso della lavorazione, sono stati eseguiti due campionamenti del pozzetto di drenaggio delle acque (P1; P2), a distanza di due mesi l’uno dall’altro; il terzo campionamento (P3), eseguito a distanza di 4 mesi, ha riguardato anche la filiera e sono state campionate le seguenti matrici: - matrici alimentari : materia prima (latte di giornata e latte refrigerato stoccato), semi lavorati (cagliata, tuma, formaggio in fase di stagionatura e siero di latte per la 28 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 method for the detection and enumeration of Listeria monocytogenes – Part 1 : Detection metod “ + Amendement 1 2004-10-15 “Modification of the isolation media and the haemolisis test, and inclusion of precision data” 2. Kells J., Gilmour A. 2004. Incidence of Listeria monocytogenes in two milk processing environments, and assessment of Listeria monocytogenes blood agar for isolation. Intern. J. Food Microbiol. 91: 167-174 3. Latorre L., Fraccalvieri R., Nuzzolese N., La Salandra G., Parisi A., Santagada G., 2006. Prevalenza di Listeria spp. in caseifici bovini della Puglia e della Basilicata. Inatti XVI Convegno Nazionale dell’Associazione Nazionale Veterinari Igienisti (A.I.V.I.) “Sicurezza alimentare: ruolo e funzioni del veterinario ispettore europeo” 23 giugno 2006 Valenzano (Bari); 4. Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A., Santagada G. 2008. Prevalenza e caratterizzazione genotipica di Listeria spp. in caseifici ovi-caprini della Puglia e della Basilicata Industrie alimentari 480, 486-493 5. Lunden J., Tolvanen R., Korkeala H. 2004. Human Listeriosis outbreaks Linked to Dairy Products in Europe. J. Dairy Sci. 87: (E. Suppl.): E6-E11 6. Maijala R., Lyytikainen O., Johansson T., Auito T., Aalto T., Haavisto L., 2001. Exposure of Listeria monocytogenes within an epidemic caused by butter in Finland. Int. J. Food Microbiol. 70: 97-109 7. Pak S. 2002. Risk factors for Listeria monocytogenes contamination of dairy products in Switzerland, 1990-1999. Prev. Vet. Med. 53: 55 8. Parisi A., Susca A., Miccolupo A., Latorre L., Normanno G., Quaglia N.C., Santagada G. Genotyping by Amplified Fragment Lenght Polymorphism and serotyping of Listeria monocytogenes strains from food and environmental source. (In corso di pubblicazione)). 9. Tompkin R. B., 2002. Control of Listeria monocytogenes in the food-processing environment. J Food Protect. 65(4), 709 10. Ueda F., Sugamata M., Aota M., Mochizuki M., Yamada F., Hondo R., 2002. Swift and definite serotyping for isolated Listeria monocytogenes strains. Microbiol. 25, 165-171 innocua della tuma dei caseifici 5 e 6, nessuna altra matrice alimentare è risultata contaminata; appare evidente che le positività della tuma derivano da contaminazioni, nella fase di lavorazione, con ceppi residenti nei caseifici. Di particolare interesse risulta la positività per L. monocytogenes riscontrata sulle mani degli operatori del caseificio N. 2, nel quale il pozzetto è risultato positivo in tutti i campionamenti mentre nessun altro punto della filiera ha evidenziato la presenza di Listeria spp.. Nei caseifici contaminati da Listeria spp., come risultato anche in nostre precedenti indagini (3;4), il pozzetto di drenaggio è risultato l’indicatore di contaminazione ambientale più efficace, in quanto ha evidenziato una differenza di contaminazione significativa rispetto agli altri siti ambientali (F2 Yates corrected = 4,47; p<0,05). Kells J. e Gilmour A. (2) hanno dimostrato che la pulizia, mediante l’uso di getti di acqua a pressione, dei pozzetti di drenaggio delle acque siti nella sala di lavorazione dei caseifici, favorisce la formazione di aerosol che, grazie alle correnti o ai sistemi forzati di circolazione dell’aria, potrebbe diffondere i microrganismi nell’ambiente. In conclusione, in 5 caseifici tutti e tre gli esami dei pozzetti sono risultati negativi e l’analisi della filiera ha confermato la negatività. In 4 caseifici i pozzetti sono risultati positivi (in un caso in 2 campionamenti su tre ed in tre casi in tutti e tre i campionamenti) e la filiera ha confermato la positività. Nell’unico caso in cui il pozzetto è risultato positivo una sola volta su tre, la filiera è risultata negativa. Vista l’elevata capacità diagnostica dell’analisi del pozzetto sarebbe opportuno inserire il pozzetto di scolo tra i siti da campionare nell’ambito dei piani di autocontrollo all’interno degli stabilimenti di produzione, ma anche di scoraggiare l’uso di getti di acqua a pressione per la loro pulizia, onde evitare la diffusione di patogeni eventualmente insediati in tale sito e ridurre il rischio di contaminazione dei prodotti lattiero-caseari, potenziali veicoli di trasmissione dell’infezione all’uomo. RINGRAZIAMENTI: Si ringraziano per la collaborazione tecnica le dott.sse Cristina Tremamunno e Laura Filazzola. Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del Ministero della Salute (Ricerca corrente IZSPB04/05) BIBLIOGRAFIA 1. International Organization for Standardization. ISO 112901:1996 “Microbiology of food and animal feeding stuffs—horizontal 29 INDAGINE SULLA PRESENZA DI NEMATODI ANISAKIDAE IN SPECIE ITTICHE MARINE Costa A., Sciortino S., Reale S., Alio V., Cusimano M., Caracappa S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo Key words: zoonotic disease, Anisakis spp., PCR-RFLP stati prelevati presso mercati ittici siciliani (Mazara del Vallo, Trapani, Messina), trasportati entro 24 ore e conservati a temperatura di refrigerazione. Sui soggetti campionati, dopo identificazione della specie ittica, è stata effettuata la ricerca di stadi larvali di nematodi Anisakidae, previa apertura della cavità celomatica in modo da evidenziare le superfici parietali e viscerali, mediante esame visivo ed osservazione allo stereomicroscopio. Nel tessuto muscolare i nematodi sono stati ricercati tramite transilluminazione. I parassiti riscontrati sono stati isolati, puliti in soluzione fisiologica e posti su vetrino, previa chiarificazione in lattofenolo di Amman, per l’esame morfologico tramite microscopico ottico: si è proceduto all’identificazione a livello di genere mediante lo studio dei caratteri morfologici del nematode(aspetto della parte anteriore dell’intestino, aspetto dell’estremità cefalica e caudale) (5,6).Per ciascuna specie ittica esaminata, i parassiti sono stati contati e gli anisakidi, identificati morfologicamente, sono stati conservati in etanolo 70% per essere sottoposti all’analisi biomolecolare. La metodica utilizzata prevede l’uso di tre enzimi di restrizione (HhaI, HinfI, TaqI) dopo amplificazione mediante PCR della regione genomica nucleare ITS1 e ITS2 (PCR-RFLP) (7,8). I frammenti di PCR amplificati sono stati inoltre sequenziati a partire dagli stessi primers forward e reverse. Le reazioni di sequenza sono state condotte con l’impiego del kit Applied Biosystems versione 3.1; i prodotti di sequenza sono stati passati su colonnine G50 (GE), denaturati e analizzati per elettroforesi capillare su sequenziatore automatico Abi Prism 310 (AB). Le sequenze così ottenute, sono state analizzate mediante il software BLAST2 che le allinea con quelle più simili presenti in GenBank. Per ogni genere parassitario inoltre sono state calcolate la percentuale di positività e l’intensità di infestazione in relazione a specie ittica e taglia del pesce. Gli indici epidemiologici considerati sono stati: la prevalenza (P) (numero di individui della specie ospite infestata da una determinata specie parassitaria/numero di ospiti esaminati) espressa come percentuale; l’intensità media (Im) (numero totale di individui di una specie parassita in un campione di ospiti/ numero di individui parassitati in quella specie ospite) indica il numero medio di parassiti di una determinata specie in ogni ospite infestato; l’abbondanza (A) o densità relativa (numero totale di individui di una specie parassita in un campione di ospiti/numero di campioni esaminati) indica quanto il parassita sia rappresentato in una popolazione ospite (10). SUMMARY From February 2007 to June 2008 a parasitological survey to detect the presence of Anisakidae larvae in fish sampled in fish market in Sicily was carried out. Out of 204 fish examined 98 (48%) were positive for anisakids owing to Anisakis and Hysterothylacium genera. Prevalence, intensity and abundance indices were calculated. Larvae were identified with morphological analysis and with molecular studies based on PCR-RFLP. INTRODUZIONE L’anisakidosi è una zoonosi parassitaria sostenuta da larve di nematodi appartenenti alla famiglia Anisakidae appartenenti ai generi Anisakis e Pseudoterranova le cui forme adulte riconoscono come ospiti definitivi i mammiferi marini (cetacei e pinnipedi).Forme larvali di Anisakis sono state documentate nei visceri e nella muscolatura di numerose specie ittiche e cefalopodi di importanza commerciale nei mari italiani (1). L’uomo può infestarsi accidentalmente in seguito al consumo di pesci marini o molluschi cefalopodi (ospiti intermedi) crudi o poco cotti, contenenti larve vive al 3° stadio (L3) in particolare quando localizzate nella muscolatura. Un altro genere appartenente alla famiglia Anisakidae, il genere Hysterothylacium (forme larvali e adulte nei pesci) non viene al momento considerato patogeno per l’uomo: alcuni autori riportano che questo nematode sopravviva poche ore a 37°C (2).Diversi lavori mostrano il frequente riscontro di Anisakidae appartenenti al genere Hysterothylacium nei visceri di diverse specie ittiche presenti nel Mar Mediterraneo, a volte anche in associazione con il genere Anisakis (coinfestazione) (2,3,4). Entrambi i generi appaiono, ad occhio nudo, di colore bianco, bianco-giallastro e di lunghezza simile (~15-30 mm) generalmente più sottili ma non sempre ben differenziabili, in particolare nel caso di forme larvali L4 e/o adulti di Hysterothylacium. Le larve isolate di Anisakidae possono essere identificate mediante lo studio dei caratteri morfologici al microscopio ottico per risalire al genere (5-6) mentre una corretta identificazione di specie è possibile mediante l’uso di marcatori biomolecolari (7,8). Scopo del nostro lavoro è stato quindi quello di definire la diffusione di larve di nematodi Anisakidae in pesci marini pescati nelle zone costiere della Sicilia concentrando in particolare l’attenzione sulle specie ittiche note per la presenza di Anisakidae, così come indicato in diversi lavori bibliografici. Si è voluto inoltre applicare una metodologia statistica quantitativa calcolando, nelle specie ittiche parassitate, la prevalenza (P), l’intensità media (Im) e l’abbondanza (A) o densità relativa (10). Le larve, isolate e caratterizzate morfologicamente per risalire al genere, sono state inoltre sottoposte a caratterizzazione molecolare mediante PCR-RFLP per l’identificazione di specie e a sequenziamento dei frammenti di PCR amplificati. RISULTATI In 98 (48%) dei 204 pesci esaminati è stata riscontrata la presenza di nematodi Anisakidae appartenenti al genere Anisakis e Hysterothylacium. In particolare 41 (20%) sono risultati positivi per la presenza di larve di Anisakis e 57 (28%) per Hysterothylacium. Nel 2.0% dei soggetti esaminati si è osservata una coinfestazione sostenuta da entrambi i generi parassitari. Riguardo alla presenza di larve del genere Anisakis nei campioni esaminati, le prevalenze più alte sono state osservate nei pesci sciabola (Lepidopus caudatus) (100%) e nei suri (Trachurus trachurus)(46%)seguiti dagli sgombri (Scomber scombrus)(35%) e dai naselli (Merluccius merluccius) (16.3%) mentre in diverse specie ittiche sono stati riscontrati nematodi appartenenti al genere Hysterothylacium, anche con alte prevalenze, così come riportato in Tab 1. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra febbraio 2007 e giugno 2008 sono stati esaminati, per ricerca di nematodi, 204 campioni di diverse specie di teleostei noti per la presenza di Anisakidae, tra cui 10 pesce sciabola (Lepidopus caudatus), 37 suri (Trachurus trachurus), 20 sgombri (Scomber scombrus), 43 naselli (Merluccius merluccius), 52 triglie (39 Mullus barbatus e 13 Mullus surmuletus), 7 pagelli (Pagellus eritrinus), 14 sciarrani (Serranus scriba) e 6 pesci S. Pietro (Zeus Faber).I campioni di pesce fresco esaminati, indicati in Tab. 1, erano 30 Tab.1 Prevalenza (P), Intensità media (Im) e Abbondanza (A) osservate nelle infestazioni da Anisakidae per specie ittica esaminata specie n. n. infestati per P% Im A esami genere nati 10 10 Anisakis 100 4.6 4.6 Lepidopus caudatus 37 17 Anisakis 46 23.1 10.6 Trachurus 6 Hysterothyl 16.2 6.3 1.0 trachurus (2 coinfest) 20 7 Anisakis 35.0 2.0 0.7 Scomber scombrus 4.6 0.7 16.3 43 7 Anisakis Merluccius 7.8 1.1 14.0 6 Hysterothyl merluccius (2 coinfest) 39 10 Hysterothyl 25.6 5.4 1.4 Mullus barbatus 13 8 Hysterothyl 61.5 4.3 2.6 Mullus surmuletus 6 1 Hysterothyl 16.7 1.0 0.2 Engraulis encrasicolus 9 4 Hysterothyl 44.4 9.0 4.0 Aspitrigla cuculus 7 5 Hysterothyl 71.4 2.8 2.0 Pagellus eritrinus 14 12 Hysterothyl 85.7 4.3 3.6 Serranus scriba 6 5 Hysterothyl 83.3 8.8 7.3 Zeus Faber Totale 204 98 Fig 1: RFLP pattern delle regioni ITS con HhaI, HinfI e TaqI (1,2,3 Hysterothylacium aduncum, 4,5,6 Anisakis pegreffii) I risultati del sequenziamento hanno mostrato identità del frammento di PCR con la sequenza ITS di Hysterothylacium aduncum sia nella reazione condotta col primer forward che reverse. CONCLUSIONI I risultati ottenuti da questa indagine rappresentano i primi dati circa la diffusione di nematodi Anisakidae in specie ittiche presenti nel nostro territorio. I nostri risultati si avvicinano alle prevalenze riscontrate da altri autori e suggeriscono di attenzionare, come indicato dalle attuali normative (Circ 11 marzo 1992 n.10; Reg CE 853/2004), alcune specie ittiche già note per la presenza di nematodi infestanti quali pesce sciabola, suri, sgombri. Inoltre la notevole diffusione del genere Hysterothylacium spesso con alte prevalenze, osservabile allo stato visivo e non ritenuto patogeno per l’uomo, impone la necessità di una corretta identificazione dei parassiti riscontrati nei pesci infestati. In ultimo l’applicazione di metodi molecolari, come la PCR-RFLP, permette una corretta identificazione delle specie di Anisakidae, fornendo anche un contributo significativo a studi epidemiologici sulla diffusione di entità tassonomiche esistenti. Nei suri (Trachurus trachurus) sono state evidenziate da 1 a 120 larve di Anisakis e da 1 a 30 larve di Hysterothylacium . In questa specie ittica, si è evidenziata una prevalenza maggiore per presenza di Anisakis nei campioni di taglia 25 cm: in due soggetti di circa 40 cm sono state contate fino a 120 larve. Riguardo alla localizzazione, le larve di Anisakis sono state osservate quasi sempre in cavità addominale e nei visceri (intestino, fegato, gonadi) ad eccezione di 2 larve in un campione di suro e di 2 larve in tre campioni di pesce sciabola (Lepidopus caudatus) a localizzazione muscolare. Riguardo alla presenza del genere Hysterothylacium, è da notare l’alta prevalenza riscontrata in alcune specie ittiche quali sciarrani (Serranus scriba) (85.7%), pesce S. Pietro (Zeus Faber) (83.3%), pagello (Pagellus eritrinus) (71.4%), triglia di scoglio (Mullus surmuletus) (61.5%), in particolare come larve L4, spesso libere nella cavità celomatica o fuoriuscenti dall’intestino. In base alle caratteristiche morfologiche osservate al microscopio ottico, le larve di Anisakis sono state identificate come larve L3 appartenenti al morfotipo denominato Anisakis Type I (sensu Berland 1961) mentre l’aspetto morfologico dei nematodi identificati come genere Hysterothylacium, è sembrato riferibile alla specie indicata in bibliografia come Hysterothylacium aduncum (presenza di 3 labbra nella parte cefalica, tipico “cactus tail” all’estremità caudale, appendice ventricolare e intestino cieco presenti) (5,6). Riguardo all’analisi biomolecolare, per il genere Anisakis, i dati di RFLP sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel che ha rivelato i modelli di restrizione tipici per le specie, in base alle chiavi di lettura indicate in bibliografia (8): I profili di digestione ottenuti hanno permesso di identificare le larve isolate come A. pegreffii in base alla combinazione dei patterns RFLP (8,9). La stessa metodica è stata applicata anche ad alcuni nematodi morfologicamente non riferibili al genere Anisakis ma identificati al microscopio ottico come Hysterothylacium. In questo caso l’amplificazione ha prodotto un frammento di ~ 1100 bp (7) e diversa posizione dei frammenti di restrizione dopo elettroforesi e visualizzazione su gel di agarosio al 2.5%. La digestione delle regioni ITS con HhaI ha prodotto quattro bande approssimativamente di 400, 350,220 e 180 bp, con HinfI due bande di circa 700 e 410 bp mentre la restrizione con TaqI ne ha prodotto quattro di circa 350, 320,170 e 120 bp. (Fig 1). BIBLIOGRAFIA 1) Paggi L., Mattiucci S., D’Amelio S., Nascetti G. (1998). Nematodi del genere Anisakis in pesci, cefalopodi e cetacei del Mar Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico e Pacifico. Biologia Marina Mediterranea, 5(3): 1585-1592. 2) Adroher F.J., Valero A., Ruiz-Valero J., Iglesias L. (1996) Larval anisakids (Nematoda:Ascaridoidea) in horse macherel (Trachurus trachurus) from the fish market in Granada, Spain. Parasitol Res 82: 319-322 3) Fioravanti M.L., Gavaudan S., Tonucci F., Vagnini V. (2003) Indagine sulla diffusione di larve di Anisakis e Hysterothylacium (Nematoda: Anisakidae) in pesci del Mar Adriatico Centrale. Atti SIVET 2003 4) Lecis A.R., Figus V., Randaccio A. (1996) Indagini sulla presenza di nematodi Anisakidae in alcune specie ittiche del Golfo di Cagliari. Biologia Oggi, 10, 3-4: 137-144 5) Berland B.(1991) ICES Identification Leaflets for Diseases and Parasites of Fish and Shellfish. International Council for the Exploration of the Sea, Leaflet no. 44 6) Berland B. (1961) Nematodes from some Norwegian marine fishes. Sarsia 2:1-50 7) Zhu X., Gasser R.B., Podolska M., Chilton N.B. (1998) Characterisation of anisakid nematodes with zoonotic potential by nuclear ribosomal DNA sequences, Int J Parasitol 28: 1911-1921 8) S. D'Amelio , K. D. Mathiopoulos, C. P. Santos, O.N. Pugachev, S.C.Webb,M. Picanço and L. Paggi(2000) Genetic markers in ribosomal DNA for the identification of members of the genus Anisakis (Nematoda: Ascaridoidea) defined by polymerasechain-reaction-based restriction fragment length polymorphism. Int J Parasitol 30: 223-226 9) Costa A., Di Noto A.M., Vitale F., Reale s., Caracappa S. (2007) Identificazione morfologica e caratterizzazione molecolare di larve di Anisakis Atti IX S.I.Di.L.V., 61-62 10) Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M., Shostak A.W. (1997) Parasitology meets ecology on its own terms: Margolis et al revisited. J Parasitol 83 :575-583 31 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 COMPARATIVE GENOMIC HYBRIDISATION (CGH) MICROARRAY DI DUE CLONI MULTIRESISTENTI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM Lucarelli C1,2 , Anjum M3, Saunders M3, Dionisi AM2, Owczarek S2, Villa L2, Caprioli A1, Luzzi I2 1 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Alimentare ed Animale, Zoonosi trasmesse da alimenti ed epidemiologia veterinaria, Roma; 2 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate, Malattie batteriche, gastroenteriche e neurologiche, Roma; 3 Veterinary Laboratories Agency, Weybridge, Surrey, United Kingdom KEYWORDS: salmonella, antibiotico resistenza, microarray Summary: In Salmonella Typhimurium multidrug resistance is of important concern for public health. In Italy in the last years has been recorded a increase in the number of STM strains showing the ASSuT resistance pattern, counterbalanced by a decrease of ACSSuT DT104 isolates, a clonal lineage diffused worldwide. The purpose of this study has been to compare by CGH microarray ASSuT STM isolates with ACSSuT isolates. The results indicate that these 2 clonal lineage show notable differences, and confirm that phage-elements could be use as a tool for subtyping . INTRODUZIONE: S. Typhimurium (STM) rappresenta il principale sierotipo isolato da casi umani in Italia. È un sierotipo ubiquitario, presente negli animali, negli alimenti di origine animale e nell'ambiente. In Italia negli ultimi anni è stato registrato un marcato aumento nel numero di isolamenti di S. Typhimurium (STM) con un particolare profilo di resistenza a quattro antibiotici: ampicillina, streptomicina, sulfonamidi, tetraciclina (ASSuT). Questo profilo, che attualmente rappresenta il 35,5% degli stipiti multiresistenti, è caratterizzato dall’assenza di resistenza al cloramfenicolo, carattere distintivo del clone DT104 ampiamente diffuso in tutto il mondo, nel quale la pentaresistenza ACSSuT è dovuta alla presenza di un’isola di resistenza cromosomale (SGI1). La maggior parte degli isolati ASSuT non è tipizzabile con la tecnica di fagotipizzazione, ed hanno un unico profilo di PFGE, caratteristica che dimostra l’origine clonale dei ceppi. La presenza degli stessi geni di resistenza (blaTEM per la resistenza all’ampicillina, strA-strB per la resistenza alla streptomicina, sul2 per la resistenza ai sulfamidici e tetB per la resistenza alla tetraciclina) ed infine la dimostrazione della loro localizzazione cromosomale, indicano la presenza di una nuova isola di resistenza cromosomale. Tutte queste caratteristiche evidenziano come i ceppi ASSuT sono un clone diverso rispetto al pattern ACSSuT DT104. Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare i ceppi di STM con profilo ASSuT, con ceppi con profilo ACSSuT, DT104, al fine di evidenziarne ulteriori differenze. MATERIALI E METODI: Su una selezione di 32 ceppi (tabella 1) sono stati effettuati esperimenti di Comparative Genomic Hybridisation (CGH) microarray. Il microarray era basato sul genoma di S. Typhi CT18, con l’aggiunta di geni specifici di altri 6 sierotipi (S. gallinarum, S. Typhimurium LT2, S. Typhimurium SL1344, S. Typhimurium DT104, S. Enteritidis PT4, S. Bongori) per un totale di 7000 geni (1). RISULTATI E DISCUSSIONE: In figura 1 è riportata la comparazione genomica dei 32 ceppi di Salmonella. In grigio chiaro è indicata la presenza dei geni testati mentre il grigio scuro indica l’assenza. Come si può osservare il microarray separa i due cloni multiresistenti in 2 cluster ben separati. Inoltre è possibile notare come i ceppi DT104 sensibili mancanti dell’isola SGI1 siano geneticamente più simili al clone ASSuT. In tabella 2 sono riassunte le differenze più rilevanti tra i due cloni. Tabella 2: Principali differenze tra i due cloni multiresistenti Geni di ACSSuT Plasmide virulenza STM U302 DT120 DT193 NT DT104 PFGE 4 profili con una omologia del 90% XB0079, XB0083, XB0010, XB0022 1 profilo unico XB0061, 1 ceppo sensibile XB0088 (omologia 61%) Geni del plasmide pHCM1 Batteriofago GISFY-2 Geni di virulenza (E. coli related) Batteriofago S. typhi Proteine Rhs Putative pertussis toxin Geni metabolismo allantoina Tutti i ceppi ACSSuT presentano il plasmide di virulenza tipico di Salmonella Typhimurium pSLT, il batteriofago GISFY-2, alcuni parti del batteriofago tipico di S.Typhi. Tutti questi elementi svolgono un ruolo fondamentale nella virulenza del batterio. Ad esempio tra le varie funzioni svolte dal batteriofago GISFY-2, c’è l’espressione di una superossido dismutasi che blocca la risposta ossidativa dei macrofagi. Invece in uno studio precedente (2), condotto su 23 ceppi di Salmonella Typhimurium, questo batteriofago è stato riscontrato in tutti i ceppi analizzati. Invece esso, assieme a pSLT ed al batteriofago S. Typhi, è stranamente assente nel clone ASSuT. Particolarmente interessanti sono i geni del clone ASSuT che sono stati acquisiti dal plasmide pHCM1, tipico di S. Typhi. Questi geni comprendono quattro geni che conferiscono la tetraresistenza, il trasposone Tn10, tipicamente associato al gene tetB, 2 elementi IS di classe 1 e l’operone per la resistenza al mercurio. Inoltre il clone ASSuT presenta dei geni di virulenza derivati da E. coli, geni per il metabolismo dell’allantoina come fonte di azoto in condizioni anaerobiche, e proteine della famiglia Rhs. Queste ultime sembrano essere responsabili della variazione dell’antigene O, evento che fornisce un vantaggio selettivo quando il ceppo si trova in un ospite mammifero. L’analisi tramite microarray ci ha inoltre permesso di evidenziare delle piccole differenze all’interno dei due cloni multiresistenti. Infatti entrambi differiscono al loro interno per la presenza/assenza di elementi fagici. In particolare questi elementi sono assenti in ceppi ASSuT con profilo di PFGE XB0079 e XB0083, mentre sono presenti in ceppi con PFGE XB0010 e XB0022. CONCLUSIONI: La metodica di CGH microarray se impiegata su target mirati, è un’ottimo strumento per rilevare differenze sostanziali anche all’interno di ceppi appartenenti allo stesso sierotipo. Il CGH microarray ha consentito di evidenziare gli elementi genetici che sembrano far parte di Tabella 1: Caratteristiche dei ceppi selezionati 6 ACSSuT 3 SSu R-TYPE 14 ASSuT 1S 8 sensibili FAGOTIPO Geni di ASSuT 32 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 una nuova isola di resistenza ASSuT, fornendo inoltre informazioni sulla sua eventuale origine. Questo studio conferma inoltre che alcuni cluster di geni sono più variabili di altri, come il cluster per il metabolismo dell’allantoina, e che la variabilità delle salmonelle risiede principalmente negli elementi fagici. Nel complesso questi risultati forniscono indicazioni utili per mettere a punto nuove tecniche di sub tipizzazione molecolare. Figura 1: Genomica comparativa dei 32 ceppi con R-type ASSuT, ACSSuT, pattern parziale e ceppi sensibili. Con gli asterischi sono indicate le due repliche del ceppo DT104 sensibile. In grigio chiaro è indicata la presenza dei geni testati mentre il grigio scuro indica l’assenza. ** DT104, ceppi sensibili ASSuT Riferimenti bibliografici: (1) Anjum MF, Marooney C, Fookes M, Baker S, Dougan G, Ivens A, Woodward MJ. 2005. Identification of core and variable components of the Salmonella enterica subspecies I genome by microarray. Infection and Immunity; 73 (12): 7894-7905. (2) Cooke FJ, Wain J , Fookes M, Ivens A, Thomson N, Brown JD, Threlfall JE, Gunn G, Foster G, Dougan G. 2007. Prophage Sequences Defining Hot Spots of Genome Variation in Salmonella enterica Serovar Typhimurium Can Be Used To Discriminate between Field Isolates. Journal of Clinical Microbiology; 45 (8):2590-2598. 33 DT104, ACSSuT DT104, ceppi resistenti, altri profili X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN METODO AUTOMATIZZATO PER LA NUMERAZIONE DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI 1 Bianchi DM., 1Gallina S., 1Giovannini T., 1Mantoan P, 2Dérépas F, 2Giardino R, 1Decastelli L. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, NRL Stafilococchi coagulasi positivi compreso S. aureus, Torino; 2 BioMérieux, LaBalme Les Grottes, France Keywords: Stafilococchi coagulasi positivi, numerazione, automazione SUMMARY The 2073/2005 European regulation on microbiological criteria for foodstuffs highlights the importance of the coagulase-positive staphylococci (SCP) enumeration. A new ® system (TEMPO STA) was developed for rapid enumeration of SCP.This automated system, based on MPN technique, associating an enumerating card with a specific medium, allows the enumeration of SCP (S. aureus) within 24 hours instead of up to 2 days for the ISO reference method. In this study, TEMPO STA was compared to the ISO 6888-2 method for the enumeration of SCP in food. metodo TEMPO STA è stato confrontato con un secondo metodo alternativo 3M Petrifilm Staph Express. MATERIALI E METODI 559 campioni di matrici alimentari di varia natura sono stati utilizzati per il presente studio in 4 diversi laboratori europei. I campioni sono stati pesati (10 gr) ed è stata allestita una diluizione primaria (1:10) con acqua peptonata tamponata. Ciascun campione è stato analizzato in parallelo con il metodo ISO 6888-2 (4), il metodo automatizzato TEMPO STA e con il metodo 3M Petrifilm Staph Express. In totale 206 ceppi batterici (127 Staf coagulasi negativi; 56 altri batteri Gram positivi; 18 batteri Gram negativi; 5 lieviti) sono stati impiegati come colture pure per valutare la specificità dei metodi. Per verificarne invece la sensibilità sono stati impiegati 49 differenti ceppi di S.aureus . Vengono di seguito descritte le modalità operative dei tre metodi impiegati TEMPO STA. 1 mL (o 0,1 mL) della diluizione primaria del campione da analizzare è trasferito nella vial contenente il TEMPO STA medium che era stato precedentemente ricostituito con 3 mL (o 3,9 mL) di acqua distillata sterile. Le card riempite con questa soluzione sono incubate per 24 -27 ore a 37 °C. La lettura avviene in modo automatizzato. ISO 6888-2. 1 mL della diluizione primaria e successive diluizioni scalari (fino a 10-4) sono incluse in Baird Parker + Rabbit Plasma Fibrinogen (BP+RPF), 2 piastre per ciascuna diluizioneL’incubazione viene effettuata per 24-48 ore a 37 °C±1. Le colonie scure con alone di precipitazione indicante la coagulasi sono conteggiate con lettura manuale. 3M Petrifilm Staph Express. 1 mL della diluizione primaria e successive diluizioni scalari (fino a 10-4) sono trasferiti nel 3M Petrifilm ed incubati a 37 °C per 24 ± 2 ore. Quando necessario un DNAse disk è inserito per confermare le colonie coagulasi positive, dopo prolungamento dell’incubazione da 1 a 3 ore. INTRODUZIONE La sicurezza degli alimenti è tra gli obiettivi prioritari dell’Unione Europea; la normativa comunitaria in ambito di sicurezza alimentare, infatti, pone al centro dell’attenzione la tutela della salute del consumatore. A partire dal Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare, ai nuovi regolamenti del “Pacchetto Igiene” emerge chiaramente l’importanza di produrre e commercializzare alimenti salubri. I criteri microbiologici previsti nei Regolamenti (CE) n° 2073/2005 (1) e 1441/2007 (2) indicano come orientarsi nello stabilire l’accettabilità di un prodotto alimentare e dei relativi processi di lavorazione, manipolazione e distribuzione; tali limiti sono fissati in modo armonizzato al fine di contribuire alla protezione della salute pubblica ed evitare, a livello comunitario, interpretazioni divergenti. Inoltre, il regolamento stesso indica un metodo di riferimento specifico associato ad ogni criterio microbiologico poiché i risultati delle analisi dipendono anche dal metodo analitico utilizzato. I metodi microbiologici tradizionali utilizzati in un laboratorio di microbiologia degli alimenti, prevedono la coltura e la successiva numerazione di microrganismi presenti nelle diverse matrici alimentari: tutti i classici sistemi di isolamento, conteggio e identificazione di batteri presentano dei limiti quali il lungo tempo di risposta, le difficoltà tecniche nell’eseguire le prove, la necessità di disporre di terreni selettivi e di numerose attrezzature (termostati, incubatori, giare, ecc.) nonché l’imprescindibile esperienza dell’operatore per l’interpretazione dei risultati. Il conteggio e l’identificazione microbica devono essere di semplice esecuzione, facilmente interpretabili e rapidi. Il recente sviluppo di metodi automatizzati per la conta di microrganismi è sicuramente un valido strumento per limitare l’evenienza di errore umano in analisi di laboratorio, e in alcuni casi anche per ridurre i tempi di attesa dei risultati. Alcuni di questi metodi automatizzati e rapidi sono stati validati da enti ed organismi riconosciuti a livello internazionale (AOAC, AFNOR, ecc.) secondo la norma EN/ISO16140 (3) come richiesto dal Regolamento (CE) n° 2073/2005; altri sono in fase di validazione da parte delle aziende produttrici. Il presente lavoro mostra i risultati ottenuti durante le operazioni di validazione del kit TEMPO STA, per la numerazione di Stafilococchi coagulasi positivi (CPS) in matrici alimentari. I dati qui riportati descrivono le performance del nuovo metodo automatizzato confrontato con il metodo di riferimento previsto dal nei Regolamenti (CE) n° 2073/2005 e 1441/2007 (ISO 6888-2). Inoltre, il RISULTATI Nella tabella 1 sono indicati i risultati ottenuti sulle colture batteriche pure per valutare la specificità del test. Con i metodi TEMPO e Petrifilm Staph Express + DNAse disk una percentuale analoga di rispettivamente 3,4% e 4,4% dei ceppi ha mostrato una cross-reazione. Tabella 1: Prove di specificità Risultati falsi positivi Ceppi analizzati TEMPO Petrifilm ISO Staflococchi coagulasi- 127 7 9 0 negativi Altri Gram positivi 56 0 0 0 Gram negativi 18 0 0 0 Yeast 5 0 0 0 In particolare per TEMPO sono stati identificati come CPS : S. haemolyticus (2 sui 5 ceppi analizzati ), S. lentus (1/5), S. sciuri (1/5), S. simulans (2/5), S. xylosus (1/10). Il metodo 34 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Petrifilm ha identificato come CPS S. capitis (1/5), S. caprae (4/5), S. chromogenes (3/5), S. simulans (1/5). Grafico 5: Regressione lineare tra metodo TEMPO STA e ISO 6888-2 Tabella 2: Prove di fertilità Fertility results Tested strains TEMPO Petrifilm ISO 49 49 (100%) 49 (100%) 49 (100%) S. aureus Per quanto riguarda i campioni di alimento, i risultati ottenuti con il metodo TEMPO STA sono stati confrontati sia con il metodo ISO 6888-2 che con il metodo 3M Petrifilm Staph Express. In totale erano disponibili rispettivamente 996 e 1002 risultati utili (considerando anche le diverse diluizioni effettuate per il metodo TEMPO STA). I risultati sono stati considerati in disaccordo quando la differenza tra il metodo TEMPO e il secondo metodo è risultata maggiore di ±1 log. I grafici 3 e 4 mostrano rispettivamente il grado di concordanza del metodo TEMPO STA rispettivamente con il metodo ISO 6888-2 e 3M Petrifilm Staph Express. LogRefer 2 R = 0.863 con P > 0.05 (0.083) DISCUSSIONE Tutti i ceppi di S.aureus testati sono stati identificati come tali dal sistema TEMPO STA. Solo il 3,4% dei ceppi non coagulasi positivi ha dato reazioni falsamente positive. Lo studio di regressione ha dimostrato un buon grado di correlazione tra il sistema TEMPO STA e il metodo normato ISO per il conteggio degli Stafilococchi coagulasi positivi. Il sistema automatizzato TEMPO STA permette di ottenere il risultato dopo 24 ore di incubazione senza ulteriori indagini analitiche o prolungamenti dell’incubazione. Inoltre il sistema automatizzato riduce le operazioni manuali dell’operatore (preparazione dei terreni di coltura, esecuzione delle diluizioni e conteggio delle colonie) abbassando la probabilità dell’errore manuale e riduce la quantità di rifiuti a rischio microbiologico prodotti a seguito delle analisi di laboratorio.,Tuttavia, il metodo richiede l’impiego di kit commerciali e della strumentazione reperibile sul mercato a prezzi che possono essere facilmente ammortizzati dai laboratori che processano un elevato numero di campioni. Grafico 3: concordanza (nero) dei risultati tra TEMPO STA e ISO 6888-2 TEMPO vs ISO 6888-2 1,7% BIBLIOGRAFIA 98,3% (1) REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 DELLA COMMISSIONE del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (2) REGOLAMENTO (CE) N. 1441/2007 DELLA COMMISSIONE del 5 dicembre 2007 che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (3) ISO 16140: 2003 Microbiology of food and animal feeding stuffs Protocol for the validation of alternative methods (4) ISO 6888-2: Microbiology of food and animal feeding stuffs -Horizontal method for the enumeration of coagulase-positive staphylococci (Staphylococcus aureus and other species) -- Part 2: Technique using rabbit plasma fibrinogen agar medium Grafico 4: concordanza (nero) dei risultati tra TEMPO STA e Petrifilm TEMPO vs Petrifilm 3,8% 96,2% I risultati relativi alla regressione lineare sono riferiti al metodo TEMPO STA valutato in relazione al metodo ISO 6888-2 e sono riportati nel grafico 5. Dai dati in nostro possesso risulta che non ci sono differenze statisticamente significative tra i valori ottenuti con TEMPO STA e quelli ottenuti con metodo normato ISO 6888-2. 35 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 STIMA DELL’INCERTEZZA DI MISURA DEI METODI DI MICROBIOLOGIA ALIMENTARE DELL’IZSVE SECONDO LE NORME ISO 7218:2007 E ISO 19036:2006 Mancin M. (1), Grimaldi M. (2), Trevisan R. (2), Mioni R. (2) (1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Struttura complessa di Analisi del Rischio e Sistemi di Sorveglianza in Sanità Pubblica (2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Struttura complessa di Microbiologia Alimentare Key words: Incertezza di misura, Deviazione standard della riproducibilità Introduzione In seguito all’emanazione della nuova revisione della ISO 7218: 2007 (1) relativa alle analisi di Microbiologia alimentare, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha recepito le modalità di calcolo dell’incertezza di misura prescritte dalla ISO 19036:2006 (2) richiamata dalla ISO 7218 stessa. Il calcolo dell’incertezza di misura dell’IZSVe viene effettuato, in base alla ISO 19036:2006, per ogni procedura di prova e per tipologia di matrice, con alcune modifiche/interpretazioni condivise con gli IIZZSS: x Le matrici considerate dall’IZSVe sono le seguenti: categoria 1: liquidi e polveri; categoria 2: solidi ben miscelati. La ISO 19036 prevede 4 categorie di matrici, le due sopra citate, solidi in piccoli pezzi e altri solidi. Le tre matrici di tipologia solida sono state unificate nell’unica matrice solidi ben miscelati in quanto l’analisi microbiologica parte sempre da un omogenato del campione indipendentemente dalla composizione fisica del campione stesso all’arrivo in laboratorio. x L’IZSVe, composto da 8 sedi che eseguono analisi di Microbiologia alimentare nel Triveneto, è stato considerato come un unico laboratorio in modo tale da poter emettere rapporti di prova con la stessa incertezza di misura indipendentemente dai laboratori che eseguono le analisi. L’incertezza di misura viene espressa come incertezza estesa, calcolata come 2 volte la deviazione standard della riproducibilità, ottenuta utilizzando due delle tre possibilità indicate dalla norma: x opzione 1: deviazione standard della riproducibilità intralaboratorio; x opzione 2: deviazione standard della riproducibilità derivante da un circuito interlaboratorio. In questo lavoro vengono presentati i metodi utilizzati per il calcolo dell’incertezza di misura delle procedure di prova in uso presso l’IZSVe, riportando a titolo di esempio il calcolo delle incertezze estese delle metodiche più comuni previste dal Reg. CE 2073/2005 relativo ai criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (3). La deviazione standard della riproducibilità è stata calcolata utilizzando i dati di tutti i laboratori dell’IZSVe secondo la formula della ISO 19036: Materiali e metodi Calcolo dell’incertezza di misura tramite la deviazione standard della riproducibilità intralaboratorio Il numero di campioni previsto dalla ISO 19036 per il calcolo dell’incertezza di misura di un unico laboratorio è di n>=10. Nel caso del laboratorio IZSVe, comprendente 8 sedi, sono state effettuate da ogni sede, per procedura di prova e per categoria di matrice, almeno 5 analisi di campioni di routine, naturalmente o artificialmente contaminati, eseguite in doppio, in condizioni estreme di riproducibilità (operatori diversi, apparecchiature diverse, lotti di terreni diversi, ecc.) per un totale di almeno n>=40 campioni. Tutti gli operatori dello stesso laboratorio hanno contribuito al calcolo della deviazione standard della riproducibilità eseguendo almeno una prova. Gdltotale SR 1 n ( yiA yiB ) 2 ¦ n i 1 2 dove n= numero di campioni analizzati yiA= osservazione del campione i dell’operatore A in log10 yiB= osservazione del campione i dell’operatore B in log10 Calcolo dell’incertezza di misura tramite la deviazione standard della riproducibilità derivante da un circuito interlaboratorio La ISO 19036 prevede che possa essere utilizzata la deviazione standard della riproducibilità calcolata con i dati di un circuito interlaboratorio solo se: x durante il circuito è stato utilizzato il metodo di routine; x il campione è paragonabile in termini di matrice e di livello di contaminazione ad un campione di routine; x se un sufficiente numero di partecipanti (laboratori IZSVe) utilizzano lo stesso metodo. L’IZSVe, che rispetta le condizioni sopra citate, ha utilizzato i dati a disposizione dei circuiti interlaboratori eseguiti da tutte le sedi dell’Istituto su matrice latte liofilizzato (Circuito IZSVe: AQUA – Circuito interlaboratorio per l’assicurazione qualità dei risultati) (4,5,6), per calcolare l’incertezza di misura di alcune procedura di prova, per la categoria liquidi e polveri. La deviazione standard della riproducibilità derivante dai dati di un circuito interlaboratorio è stata calcolata con l’analisi ANOVA che fornisce la quota di devianza spiegata dalle componenti considerate nell’analisi di dati, la devianza di errore che non contribuisce al calcolo dell’incertezza di misura e i gradi di libertà (Gdl). In particolare nel circuito interlaboratorio AQUA dell’IZSVe le componenti che entrano a far parte del calcolo dell’incertezza di misura sono la variabilità dovuta agli operatori e la variabilità delle repliche per operatore. Quindi: Devianzatotale Devianzatra _ repliche Devianzatra _ operatori Devianzaerrore Gdltra _ repliche Gdltra _ operatori Gdl errore Indicando con n= numero di osservazioni, p= numero di repliche e k= numero di operatori la devianza totale misura la variazione totale tra le osservazioni: Dev _ Tot ¦ ¦ p k j 1 i 1 ( X ij X ) 2 la devianza tra le repliche misura la variazione tra le medie delle repliche: ¦ Dev _ tra _ repliche p j 1 ( X X )2 n j .j la devianza tra operatori misura la variazione tra le medie degli operatori: Dev _ operatori 36 ¦ k i 1 ( X i . X ) 2 ni X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Come si può notare, il calcolo dell’incertezza di misura derivante dai circuiti interlaboratorio porta ad ottenere valori più elevati di quelli ottenuti con le prove intralaboratorio. Questo è dovuto essenzialmente al metodo di calcolo diverso per le due categorie. L’incertezza ottenuta con le prove intralaboratorio, condotte in condizioni estreme di riproducibilità, è veramente molto bassa a testimonianza del fatto che tutti i laboratori dell’IZSVe operano concordemente tra loro e con un elevato grado di precisione. e la devianza d'errore, detta anche residuo, misura la variazione che rimane di ogni osservazione dopo aver tolto gli effetti dei fattori già considerati. La deviazione standard della riproducibilità è data da: Sr Dev _ repliche Dev _ operatori gdl repliche gdloperatori Espressione dell’incertezza di misura Una volta calcolata la deviazione standard della riproducibilità con entrambi i metodi, secondo quanto previsto dalla ISO 19036, l’incertezza di misura viene espressa come incertezza estesa U Summary The new revision of the ISO 7218: 2007, with the reference to the ISO 19036:2006, has fixed the procedures to calculate the uncertainty of measure of the analyses of food Microbiology, providing three options of calculation to the laboratory. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), to estimate the uncertainty of measure, uses two of these options: • the calculation of the uncertainty of measure through the intralaboratory standard deviation; • the calculation of the uncertainty of measure through the standard deviation of the reproducibility obtained from a interlaboratory circuit. The uncertainty of measure is calculated elaborating the data of all the laboratories of food Microbiology of the IZSVe with the purpose to get an only uncertainty of measure of Institute specific for analysis and for matrix. K Sr equivalente a U 2 Sr se si considera il fattore di copertura al 95% (K=2). Tra le varie possibilità previste dalla ISO 19036, l’IZSVe ha scelto di esprimere i limiti di confidenza nella stessa unità di misura del risultato. L’esito di un’analisi viene pertanto espresso come segue: Risultato: N UFC/g Intervallo di confidenza: limite inferiore superiore 10 y 2 S R 10 y 2 S R UFC/g - limite UFC/g con y=log(N), K=2 (al 95%). Risultati e discussione Si riportano le incertezze di misura calcolate sulle metodiche più comuni previste dal Reg. 2073/2005 (3) . Per la categoria liquidi e polveri l’incertezza di misura è stata calcolata tramite la deviazione standard della riproducibilità derivante da un circuito interlaboratorio, per la categoria solidi ben miscelati l’incertezza di misura è stata calcolata tramite la deviazione standard intralaboratorio. Le incertezze estese dell’IZSVe per le matrici considerate sono riportate in tabella 1: Tabella 1: Incertezze estese di metodiche Microbiologia alimentare calcolate dall’IZSVe Liquidi e polveri NORME ISO ISO 4833:2003 Numerazione di microrganismi mesofili a 30°C ISO6888-2:1999 Amd 1 2003 Numerazione di Stafilococchi coagulasi positivi ISO 11290-2:1998 Amd 1 2004 Numerazione di Listeria monocytogenes a 37° C ISO 16649-2:2001 Numerazione di Escherichia coli ß-glucuronidasi positivi a 44°C (conta in piastra) ISO 21528-2:2004 Numerazione di Enterobatteri a 37°C ISO Riferimenti bibliografici 1. ISO 7218:2007 - Microbiology of food and animal feeding stuffs General requirement and guidance for microbiological examinations 2. ISO 19036:2006 - Microbiology of food and animal feeding stuffs – Guidelines for the estimation of measurement uncertainty for quantitative determinations 3. Regolamento CE n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 – Criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (G.U. Unione Europea L 338/1 del 22/12/05) 4. GRIMALDI M., MANCIN M., TREVISAN R., MIONI R. “Assicurazione qualita’ dei risultati. Un esempio di circuito interlaboratorio di microbiologia alimentare: numerazione di stafilococchi coagulasi positivi” . Atti del IX Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. – Roma, 14-16 novembre 2007. 5. MANCIN M., GRIMALDI M., TREVISAN R., MIONI R. “Calcolo dell’omogeneita’ e stabilita’ dei dati in un circuito interlaboratorio di microbiologia alimentare per l’assicurazione qualita’ dei risultati”. Atti del IX Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. – Roma, 14-16 novembre 2007. 6. M. GRIMALDI, M. MANCIN, R. TREVISAN, R. MIONI “Il circuito interlaboratorio “AQUA” di microbiologia alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. Verifica dell’omogeneità e della stabilità dei campioni prova e calcolo dello Z-score” – Biologi Italiani 5/2008, 91-96. di Solidi ben miscelati U U derivante da circuiti Intralab. 0,110635 0,022800 0,105127 0,033665 0,180987 0,026592 0,157646 0,021809 0,115031 0,027221 37 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 MELAMINA: UN ANNO DI CONTROLLI UFFICIALI Ferro G.L., Squadrone S., Mauro C.,. Amato G., Poma Genin E., Loria A., Marchis D., Abete M.C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino; C.Re.A.A. – Centro di Referenza Nazionale per la Sorveglianza ed il Controllo degli Alimenti per Animali Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: Melamina, GC-MS, mangimi INTRODUZIONE MATERIALI E METODI La melamina (2,4,6-triammino-1,3,5-triazina, formula bruta C3H3N6) è un composto eterociclico di color bianco, dall’aspetto polverulento, scarsamente solubile in acqua. Trova largo impiego nella produzione di resine plastiche termoindurenti, come le resine ammidiche ottenute dalla reazione di policondensazione tra la melamina e la formaldeide. Gran parte delle resine melaminiche viene utilizzata nella produzione di rivestimenti per mobili e nella produzione di stoviglie plastiche (piatti, ciotole, ecc.). Dato che il contenuto di azoto nella formula della melamina è circa il 66%, nel corso del tempo ha trovato larga applicazione come fertilizzante in campo agricolo. Sempre per il suo alto tenore di azoto viene addizionata fraudolentemente nelle materie prime per aumentare il contenuto di azoto totale. Sono di seguito riportati (Tabella 1) il numero dei campioni e la tipologia degli stessi, analizzati nel periodo che intercorre dal 1 Agosto 2007 al 1 Agosto 2008. Tabella 1 Tipologia di mangime Figura 1: formula della melamina NH2 N H2N Cane 27 Gatto 14 Bovino 4 Suino 1 Pesce 37 Materie Prime 52 Mangimi completi - specie varie 10 Totale 145 Il Diagramma 1 mostra la suddivisione per specie animale dei campioni di mangime analizzati. N N Numero Diagramma 1 NH2 Specie Varie Tra settembre 2006 e il primo trimestre 2007 sono stati ritirati dal mercato statunitense molte partite di pet food ritenute responsabili del decesso di migliaia di cani e gatti. A fine marzo 2007, l’U.S. Food and Drug Administration (FDA) ha riscontrato la presenza di melamina (1) e composti affini in materie prime destinate alla produzione di pet food ha emanato un’allerta sulla presenza di tale sostanza in diverse materie prime proteiche di importazione cinese. Facendo seguito alle segnalazioni dell’FDA, anche la Comunità Europea con il suo sistema di allerta rapido (RASFF, Rapid Alert System for Food and Feed) ha aperto una notifica di allerta per le materie prime di origine proteica importate dalla Cina (2). Il 2 maggio 2007, la Commissione Europea ha chiesto agli Stati Membri di predisporre gli adeguati controlli sulle materie prime importate. A metà maggio 2007 il Ministero della Salute ha chiesto agli uffici ed ai laboratori ufficiali di predisporre il controllo delle materie prime di importazione. Nel mese di luglio il C.Re.A.A. ha completato la procedura di validazione del metodo analitico e ha dato inizio all’attività di controllo. Cane Materie Prime Gatto Bovino Suino Pesce Il metodo analitico messo a punto per la determinazione della melamina è un metodo quantitativo in GC/MS previa derivatizzazione dei campioni con N,Obis(trimetilsililtrifluoroacetammide) (BSTFA) e 1% trimetilclorosilano (TMCS) in piridina. In ogni campione viene utilizzato uno standard interno per controllare il processo di derivatizzazione: la sostanza utilizzata come standard interno è la 2,4-diammino-4-cloropirimidina (DACP). In ogni sessione analitica viene inserito un campione positivizzato per verificare il processo di estrazione ed assicurare il mantenimento delle condizioni di ripetibilità e accuratezza in fase di routine, con l’utilizzo della relativa carta di controllo. Il metodo è stato validato in accordo al Regolamento 882/2004/CE. 38 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Nella Tabella 2 vengono riportati i parametri fondamentali della validazione del metodo (3). Dei 145 campioni analizzati, 143 sono risultati conformi con una quantità di melamina presente inferiore al limite di quantificazione del metodo (10 mg/kg) e due sono risultati positivi con quantità di 106,7 e 100,8 mg/kg. Per i due campioni non conformi, mangimi completi per specie varie, si è avviata la normale procedura di irregolarità. Tabella 2 LOD 2,38 mg/kg LOQ (calcolato) 7,85 mg/kg LOQ (assunto) 10 mg/kg Campo di misura 10-750 mg/kg Livello di positivizzazione 75 mg/kg Le illustrazioni che seguono mostrano rispettivamente lo spettro di massa della melamina derivatizzata (Figura 2) e i cromatogrammi in TIC (Corrente Ionica Totale) della matrice negativa e del fortificato a 75 mg/kg (Figure 3 -4). Figura 2 Std4000pg #370-373 RT: 11.05-11.10 AV: 4 SB: 14 10.99-11.07 , 11.10-11.18 NL: 2.13E6 T: + c Full ms [ 50.00-450.00] 327 100 95 90 85 80 73 75 70 65 55 342 50 45 40 35 30 99 DISCUSSIONE Il metodo validato secondo il Regolamento 882/2004/CE ha dimostrato di essere robusto ed utilizzabile su diverse tipologie di materie prime di natura proteica, su mangimi completi e complementari per diverse specie animali, ed ovviamente sui pet food sia secchi che umidi. L’allarme internazionale riguardante la presenza di melamina nei pet food ha destato grosse preoccupazioni a livello sanitario e nell’opinione pubblica. L’utilizzo fraudolento di sostanze chimiche non autorizzate per aumentare il valore commerciale della merce è una pratica in uso da diversi anni. Solo il puntuale ed efficace controllo delle materie prime e dei prodotti finali può garantire la salute degli animali e di riflesso la sicurezza dei consumatori. Proprio in questa ottica di controllo il Piano Nazionale Alimentazione Animale (PNAA) per l’anno 2008 (4) ha inserito come controllo ufficiale il campionamento per la ricerca di melamina. 20 213 15 74 10 71 5 115 130 156 141 100 75 50 100 343 285 172 197 181 214 90 0 150 239 244 200 344 286 269 288 250 m/z 345 325 300 361 376 350 402 417 428 442 400 BIBLIOGRAFIA 450 (1) U.S.Food and Drug Administration, GC-MS Screening for the Presence of Melamine, Ameline, Ammelide and Cyanuric Acid, Version 2.1, 22 Maggio 2007, www.fda.gov. (2) Notifica di allerta RASFF numero 07/0362, 07/0362 e 07/0365, Commissione Europea, Bruxelles. (3) Regolamento 882/2004/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 9 Aprile 2004. (4) Ministero della Salute, Piano Nazionale Alimentazione Animale 2008, Roma 2008. Figura 3 RT: 11.50 - 15.00 NL: 4.38E6 TIC F: MS Neg 12.63 100 95 90 85 80 75 70 Relative Abundance 65 60 13.47 55 50 13.41 SUMMARY 45 40 35 30 25 13.66 20 15 12.77 10 5 11.55 0 11.5 13.00 11.85 12.03 12.07 12.0 12.5 13.89 14.00 13.13 14.48 14.77 14.33 13.0 13.5 14.0 14.5 15.0 Time (min) Figura 4 RT: 11.50 - 15.00 NL: 4.58E6 TIC F: MS Pos75ppm 12.63 100 13.84 95 90 85 80 75 70 65 Relative Abundance Relative Abundance 171 60 25 RISULTATI 60 55 Last year, in US many brands of pet foods were recalled, following reports of pet illnesses and deaths. The authorities began an investigation and it was found that wheat gluten imported from China and used for the production of pet feed was the origin of these problems. Melamine, an industrial chemical high in nitrogen, is fraudulently added to wheat gluten and other protein sources to enhance the apparent protein content of feed. Member States have been asked by the Commission to control consignments of wheat gluten, corn gluten, corn meal, soy protein, rice bran and rice protein concentrate originating from third countries for the presence of melamine. We developed and validated a quantitative method to detect melamine in animal feed according to Regulation 882/2004/CE. 13.48 50 45 13.41 40 35 30 25 20 13.66 15 12.77 10 5 11.55 11.5 13.89 13.00 11.85 11.97 12.07 12.0 12.5 14.48 13.13 13.0 14.77 14.34 13.5 14.0 14.5 15.0 Time (min) 39 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 DETERMINAZIONE DI ALLERGENI IN ALIMENTI A BASE DI CARNE: ATTIVITA’ DI MONITORAGGIO NELLA REGIONE PIEMONTE 1 1 1 1 1 1 2 1 Fragassi S, Lai J, Fabbri M, Adriano D, Gallina S, Bianchi DM, Barbaro A, Decastelli L. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti,Torino; Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Osservatorio Epidemiologico,,Torino 1 Keywords: allergeni, ovoproteine, proteine del latte Entrambi i kit si basano sulle stesse procedure analitiche: 1 g di campione viene omogenato con 20 mL di buffer di estrazione fornito dal kit in Stomaker®. Si procede, quindi, all’incubazione per 10’ a 60°C e successivamente alla filtrazione su filtro di nitrocellulosa. Un’aliquota di 50 μL del surnatante è testata con ciascun kit ELISA. La lettura si effettua allo spettrofometro a 450 nm e dall’assorbanza viene calcolata la concentrazione del campione secondo la legge di Lambert – Beer. Il limite di rilevabilità per il kit ELISA RIDASCREEN ȕlactoglobulin è 0,2 mg/kg; per il kit ELISA RIDASCREEN FAST Ei/Egg Protein è di 0,6 mg/kg. Determinazione del lattosio Per la determinazione del lattosio il kit utilizzato è il LactoseD-Galactose UV-method della ditta Boehringer Mannheim/RBiopharm: 5g di campione vengono estratti in acqua distillata a 70°C per 15’ e filtrati su filtro di nitrocellulosa. Da una aliquota di surnatante di 1mL viene effettuata una cinetica enzimatica, secondo le istruzioni fornite dal kit, che viene rilevata da una lettura spettrofotometrica a 340 nm: dal valore dell’assorbanza si calcola la concetrazione di lattosio presente nel materiale sottoposto a prova. Le analisi di revisione sui campioni risultati positivi, sono state effettuate presso l’ISS con l’impiego degli stessi kit. SUMMARY Food allergies are an important health problem in industrialized countries. Undeclared allergens in the label represent a big risk for consumers. The Directive 2003/89/EC oblige to declare in the label all ingredients and derived substances. In this study, the Piedmont monitoring plan of allergens in meat products is presented. Analyses are carried out with an ELISA test for the detection of the egg-proteins, the detection of milk protein or UV-method for the lactose. 4,25% of samples resulted to be not conform. INTRODUZIONE Negli ultimi anni le allergie e le intolleranze alimentari sono divenute sempre più frequenti destando sempre maggior interesse in quanto circa il 2-2,5% della popolazione è soggetta a questi disturbi (1). Di queste allergie, circa il 90% viene attribuita a 8 alimenti: latte vaccino, uova, crostacei, pesce, arachidi, soia, frutta con guscio, cereali (2, 3). In passato, la normativa sull’etichettatura dei prodotti alimentari imponeva l’elenco degli ingredienti ma non richiedeva il dettaglio dei singoli costituenti degli ingredienti composti qualora questi ultimi non superassero il 25% degli ingredienti totali. Tale limite non era adatto a tutelare i consumatori allergici, nei quali anche solo piccole tracce di allergene possono scatenare la reazione avversa. Di qui nasce l’esigenza di avere una legislazione specifica che regolamenti la dichiarazione in etichetta di ogni ingrediente alimentare al fine di minimizzare il rischio di allergie nella popolazione. La Direttiva 2003/89/CE, recepita a livello nazionale con il Decreto n.114 del 08/02/2006 sancisce quindi, l’obbligo di dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti dei prodotti alimentari. Per la tutela dei consumatori e per monitorare l’eventuale presenza di non conformità delle etichette, nella Regione Piemonte a partire dall’anno 2007, è stato emanato un Piano di Monitoraggio per la ricerca di allergeni negli alimenti. Secondo questo piano sono state effettuate analisi su prodotti a base di carne per la ricerca di proteine delle uova, proteine del latte e lattosio; tuttavia quest’ultimo non è considerato un vero e proprio allergene in quanto genera un’intolleranza alimentare e non una vera e propria allergia. RISULTATI Delle 729 analisi eseguite su prodotti a base di carne sono risultate conformi 698 analisi (95.75%) e 31 sono risultate non conformi (4.25%): la suddivisione delle analisi per tipologia di analisi con le relative percentuali è mostrata nella tabella n.1. Tabella n. 1 Analisi eseguite su alimenti suddivise per tipologia di analisi. Numero Numero di analisi % di non di analisi Numero di analisi conformità non conformi conformi Analisi Totali 729 698 31 4.25 Analisi per 230 222 8 3.48 lattosio Analisi per ȕ236 225 11 4.66 lattoglobuline Analisi per 263 251 12 4.56 ovoproteine MATERIALI E METODI I campioni sono stati prelevati in 4 o 5 aliquote dai Servizi Veterinari Regionali. Nel periodo considerato (anno 2007 e primo semestre 2008) sono state effettuate 729 analisi su prodotti a base di carne per la ricerca di proteine dell’uovo (ovomucoidi, ovalbumina, ovotransferrina e lisozima), di ȕlattoglobulina e di lattosio. La metodica utilizzata per le analisi è stata un ELISA per la ricerca di proteine del latte e delle uova. Per la ricerca di lattosio si è impiegato un kit con lettura spettrofotometrica di una cinetica enzimatica. Ricerca di ȕ-lattoglobuline e proteine delle uova con tecnica ELISA Per la ricerca di ȕ-lattoglobuline è stato utilizzato il kit ELISA RIDASCREEN ȕ-lactoglobulin (R - Biopharm Italia Srl); per la ricerca di proteine delle uova è stato impiegato il kit ELISA RIDASCREEN FAST Ei/Egg Protein (R - Biopharm Italia Srl). Per quanto riguarda le analisi per il lattosio delle 8 risultate non conformi, 6 derivano da campioni di preparazioni a base di carne (salsicce fresche, hamburger) e 2 sono prodotti a base di carne (uno è un salame e l’altro un wurstel di pollame) (Grafico n.1). Per quanto riguarda le analisi per le ȕ-lattoglobuline, di 11 non conformità 6 sono preparazioni a base di carne (salsicce, hamburger), 4 sono prodotti a base di carne (1 di insaccato cotto, 1 salame, 1 wurstel di pollame) e 1 carne macinata di bovino (Grafico n.2). Di questi 11 campioni, 8 sono risultati positivi anche per la ricerca del lattosio. Per quanto riguarda infine le 12 analisi non conformi per le ovoproteine, queste sono rappresentate da: preparazione gastronomica a base di carne (n° = 1), preparazioni a base di 40 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 dimensioni. In queste realtà potrebbe risultare difficile separare completamente le linee produttive contenenti ingredienti allergizzanti da quelle che ne sono prive. carne (n° = 7 di cui 6 hamburger e 1 campione di polpette) e prodotti a base di carne ( n° = 4 salami) (Grafico n.3). Ad oggi, tutti i campioni inviati per l’analisi di revisione ed esaminati dall’Istituto Superiore di Sanità, sono stati confermati. BIBLIOGRAFIA 1. Molkhou P. (2005). Epidemiology of food allergies. Rev. Infirm. 111, 24-27 2. Campisi G.and Di Liberto C. (2003). Food allergy in oral medicine. A review of the literature. Minerva Stomatol. 52 (7-8), 351-363. 3. Moneret-Vautrin DA. and Morisset M. (2005). Adult food allergy. Curr. Allergy Asthma Rep. 5 (1), 80-854. Grafico n.1 Alimenti non conformi per lattosio 25% 75% Prep. a base di carne Prodotti a base di carne Grafico n.2 Alimenti non conformi per ȕ-lattoglobuline 9% 36% 55% Prep. Gastronomica Prep. a base carne Prodotti a base carne Grafico n. 3 Alimenti non conformi per ovoproteine 33% 67% Prep. a base carne Prodotti a base carne DISCUSSIONE I risultati ottenuti mostrano l’importanza dei piani di monitoraggio per controllare la corretta applicazione e il rispetto della normativa comunitaria per l’etichettatura dei prodotti alimentari. Si ritiene utile sviluppare dei metodi di conferma da affiancare alla metodica ELISA, che fornisce ottimi risultati per lo screening iniziale, ma necessita di metodi di conferma sensibili e specifici (ad esempio spettrometria di massa) Si segnala che la maggior parte delle positività riscontrate è ascrivibile a prodotti alimentari di aziende di piccole 41 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IDENTIFICAZIONE CON TECNICA ESR DI CARNI IRRADIATE (EQUINO, SUINO, OVINO, CAPRINO, CONIGLIO, TACCHINO) CONTENENTI OSSA. Mangiacotti M., Chiaravalle A. E., Marchesani G. Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico-Veterinario, IZS Puglia e Basilicata, Foggia; Key words: Irradiated food, meat, Electron Spin Resonance (ESR) ABSTRACT – Food irradiation can be used to increase the microbiological safety and to extend the shelf life of a wide range of foods. Community legislation states that any food or food ingredients must be labelled and that every year each Member State, particularly Italy, has to carry out checks. In this work, turkey, pork, horse, rabbit, sheep and goat meat samples containing bone irradiated at dose level (0,10 ÷ 3) kGy, were analysed by ESR method. The main aim is to extend the range of applicability of the method providing a reliable tool to enforce correct labelling. sottoposto a procedura di validazione intralaboratorio verificandone l’attendibilità e la fruibilità analitica. Vengono, infine, presentati i dati preliminari dei controlli effettuati su prodotti alimentari prelevati sul mercato locale ed i risultati di uno studio interspecie sulle diverse sensibilità del segnale ESR per il femore dell’equino, del suino e del tacchino. MATERIALI E METODI – Un numero di 6 set di ossa, ciascuno composto, per ogni singola specie animale analizzata (equino, suino, ovino, caprino, coniglio e tacchino), da 3 campioni di ossa diverse (femore, radio, tibia ed omero) appartenenti ad individui differenti fra loro per caratteristiche varie (età, sesso, alimentazione) sono stati prelevati con il criterio della casualità dalle competenti autorità sanitarie e conferite al Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico-Veterinario. Il protocollo sperimentale prevede due fasi principali: confronto di due tecniche preparative alternative per l’ottimizzazione del trattamento del campione e verifica dell’applicabilità del metodo alle specie considerate con restituzione dei principali parametri di validazione intralaboratorio. Nella prima fase, finalizzata alla separazione dell’osso dalla polpa e dal midollo, per ottenere un campione il più possibile privo di segnali spuri dovuti alla frazione organica, sono state testate due diverse tecniche preparative: una di tipo chimico e l’altra di tipo fisico. La prima prevede il riscaldamento in bagno ad ultrasuoni alla temperatura di 60 ÷ 70 °C della soluzione di NaOH 5 M, rinnovata ad intervalli regolari di tre cicli della durata di 8 ore ciascuno e contenente il frammento osseo, precedentemente ripulito della parte organica, per quanto possibile, con l’ausilio di un bisturi. Il secondo trattamento di tipo meccanico consiste essenzialmente nella riduzione del campione in forma di polvere con mulino elettrico a coltelli con successiva operazione di setacciamento nell’intervallo (0,5 ÷ 1) mm. In entrambi i trattamenti scopo principale è quello di ridurre l’effetto di spiccata anisotropia del segnale ESR dovuto ai cristalli di idrossiapatite per migliorare la precisione del metodo ed in particolare la ripetibilità della misura singola. Le fasi successive del protocollo qualitativo messo a punto prevedono l’essiccazione della polvere, trasferita in capsule Petri di 5 cm di diametro, in stufa ventilata alla temperatura di 40 ± 5 °C per circa 3 h, e l’alloggiamento in appositi contenitori per l’irraggiamento, con sorgente a Co-60, a diversi livelli di dose nel range 0.10 ÷ 3 kGy. Dopo il trattamento radiante i campioni vengono trasferiti in tubi di quarzo di diametro interno di 4 mm, puliti esternamente con salviette tipo “kimwipes”, per essere poi sottoposti a lettura con spettrometro modello EMX 10/12 della ditta Bruker, dotato di cavità risonante cilindrica ed operante in banda X. La fase di lettura strumentale prevede il posizionamento del tubo al centro della cavità e l’acquisizione dello spettro ESR adottando i parametri di registrazione riportati in tabella 1. INTRODUZIONE – La food irradiation rappresenta attualmente per l’industria alimentare un processo tecnologico in grado di soddisfare le esigenze di una adeguata conservazione degli alimenti garantendo così una più elevata fruibilità commerciale ed innalzando, inoltre, il livello della qualità igienico-sanitaria di quei prodotti trattati con radiazioni ionizzanti. Considerate le numerose ricadute positive sia dal punto di vista commerciale che igienicosanitario a livello mondiale tale tecnologia ha conquistato un ruolo di primaria importanza con il risultato che un numero sempre più vasto di derrate alimentari vengono annualmente sottoposte a tale trattamento. In particolare i prodotti carnei risultano tra le tipologie alimentari per le quali l’irraggiamento a dosi ben determinate è stato implementato già da tempo in tutti i paesi muniti di impianti di irraggiamento autorizzati al trattamento. L’Unione Europea con l’intento di disciplinare questa controversa materia, a causa delle differenti opinioni da parte delle maggiori organizzazioni internazionali (FAOIAEA-OMS) che risultano favorevoli al trattamento rispetto ad alcune tra le maggiori associazione dei consumatori contrarie all’uso di tale tecnologia, ha emanato due direttive (1999/2/CE e la 1999/3/CE) a loro volta recepite nel quadro normativo italiano dal D.Lgs. n° 94 del 30/01/01 (1). Indipendentemente dal fatto che venga effettuato o meno il trattamento con radiazioni ionizzanti sul proprio territorio, l’Italia, con l'apertura dei mercati, si trova costretta ad affrontare l'immissione sul mercato interno di prodotti carnei trattati sia nei paesi membri dell’Unione Europea che in paesi extra-europei dotati di idonei impianti di irraggiamento. A maggior tutela del consumatore sono stati quindi previsti dei piani di controllo ufficiale da eseguirsi con cadenza annuale sui prodotti presenti in fase di commercializzazione con il duplice scopo di identificare prodotti irradiati non correttamente etichettati o autorizzati. Attualmente con la ESR, tecnica di conferma di tipo fisico, sono state sottoposte a validazione interlaboratorio, con l'unico scopo di valutare l'avvenuto trattamento radiante, esclusivamente campioni di carni di pollo e manzo. Per adempiere a precisi obblighi legali e per ampliare il consenso verso tale tecnologia di conservazione, sarebbe auspicabile estendere e validare il metodo normato UNI EN 1786 (2) anche su altre matrici quali prodotti carnei di equino, suino, ovino, caprino, coniglio e tacchino. Nel presente lavoro la tecnica ESR, basata sulla rivelazione di radicali radioindotti, è stata ottimizzata nella fase di preparazione ed applicata con successo a matrici che risultano al contempo prodotti di largo consumo e suscettibili di essere trattati. L’elenco infatti include anche quei prodotti carnei che al momento non appartengono alla lista positiva degli alimenti autorizzati nelle rispettive normative nazionali. Il metodo così ottimizzato è stato successivamente Tabella 1 - Parametri di acquisizione dello spettro ESR Potenza a microonde Ampiezza di modulazione Campo di scansione Numero di scansioni Costante di tempo 42 10.57 mW 3G 150 G 5 163.84 ms X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 La valutazione dello spettro ESR, per l’identificazione dell’avvenuto trattamento con radiazioni ionizzanti, consta di due operazioni: un’analisi visiva di tipo qualitativo ed una successiva conferma analitica con la determinazione dei valori dei fattori g1 e g2 dello spettro acquisito. La conferma visiva del trattamento con agenti fisici ionizzanti si attua verificando la presenza nello spettro della sequenza di due segnali a valori di g decrescenti: un primo segnale asimmetrico dovuto ai centri paramagnetici presenti nel campione (radioindotto e segnale nativo), seguito dal segnale simmetrico del marker, costituito da polveri contenenti ioni paramagnetici a singola linea con valore di g noto (1.9800 ± 0.0006) e costantemente inserito in cavità. La determinazione dei valori g può avvenire in due modi: tramite la misura dei parametri fisici di frequenza delle microonde trasmesse in cavità e dell’intensità di campo magnetico in essa presente oppure tramite l’ausilio di un software di elaborazione spettri con l’utilizzo di un opportuno marker tenuto fisso in cavità. La soluzione adottata in questo studio contempla l’uso di un marker fornito direttamente dalla ditta Bruker. Un esempio di spettro tipico di un campione irradiato viene riportato in figura 1. rappresenta il fattore più importante al fine di garantire l’identificazione durante l’intera shelf-life dell’alimento. 2 Tabella 2 - Parametri della validazione: Linearità R , Minima Dose Rivelabile (MDR) e Fading (F) Specie animale Equino Suino Tacchino Coniglio Ovino Caprino Parametri della Validazione e Radiosensibilità relativa del femore (S) R2 = 0,98; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 0,89 R2 = 0,99; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 1 R2 = 0,96; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 0,88 R2 = 0,97; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 0,86 R2 = 0,96; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 0,87 R2 = 0,98; MDR = 0,10 kGy; F 2% S= 0,87 Da tale studio, condotto monitorando ciascun tipo diverso di osso per un periodo di un intero anno, non si è registrata nessuna variazione significativa dell’intensità. Tale variabilità risulta compresa all’interno dell’intervallo di variabilità del metodo valutata nell’ordine del 2%. Inoltre il confronto dei due diversi metodi di preparazione del campione, di tipo fisico e chimico, finalizzati ad ottenere una riduzione del segnale di fondo, a garantire le condizioni di isotropia e ad aumentare la stabilità del segnale radioindotto, ha evidenziato unicamente un aumento, dell’ordine del 15 %, della sensibilità del segnale ottenuto con il trattamento chimico rispetto alla preparazione di tipo meccanico. L’ottimizzazione della fase preparativa del metodo è stata realizzata scegliendo la preparazione di tipo meccanico. E’ da notare infatti che, nonostante sia evidente un innalzamento della sensibilità prodotto dal solo metodo di trattamento chimico, la sua adozione non è attualmente giustificata, non solo per i tempi di analisi più lunghi rispetto al metodo fisico, ma anche perché quest’ultimo possiede già una capacità di rivelazione (MDR) idonea per le normali pratiche e dosi di irraggiamento. Infatti la minima dose rivelabile risulta inferiore alla più bassa dose di trattamento (0,15 kGy) utilizzata per le carni di maiale. Oltre ad una valutazione delle prestazioni analitiche del metodo proposto, si mostrano in tabella 2 le diverse radiosensibilità del femore per le diverse specie considerate ed espresse in termini relativi rispetto alla specie suina, che risulta la più sensibile. Infine si riportano i dati relativi ad un monitoraggio preliminare effettuato su trenta campioni prelevati in maniera casuale e presenti in fase di commercializzazione sul mercato locale. Tale indagine è stata effettuata su un numero totale di 30 campioni (6 di pollo, 3 di tacchino, 6 di maiale, 5 di manzo, 2 di coniglio, 3 di equino, 3 di ovino, 2 di caprino) e non si è evidenziata nessuna non conformità rispetto alla normativa vigente in materia di corretta etichettatura. In conclusione è possibile affermare che il metodo analitico proposto così ottimizzato, a prescindere dalla tecnica preparativa prescelta, soddisfa i requisiti di un metodo idoneo alla identificazione di alimenti trattati con radiazioni ionizzanti risultando al contempo affidabile, semplice nella fase preparativa, rapido e non distruttivo. Quest’ultima caratteristica, coniugata con la forte stabilità del segnale radioindotto nell’idrossiapatite dell’osso irradiato, rendono il metodo per spettroscopia ESR fra i metodi di conferma a disposizione, quello di elezione a patto che sia possibile estrarre dal campione di carne anche solo piccoli frammenti ossei. Figura 1 Spettro ESR di un campione di polvere di ossa (equino) irradiato a 0,5 kGy con marker a singola linea presente in cavità. Inoltre come parametro di confronto, necessario per eseguire una analisi quantitativa delle sensibilità delle diverse specie analizzate, è stata considerata l’altezza picco-picco della componente principale del segnale (g1), generato dai radicali radio-indotti CO2- , normalizzata all’altezza del segnale del marker ed alla massa di polvere irradiata. L’intero apparato di misura è stato sottoposto a rigorosi controlli di qualità durante l’intera attività. RISULTATI E DISCUSSIONE – L’identificazione corretta del trattamento con radiazioni ionizzanti di carni contenenti ossa si basa sulla determinazione dei valori sperimentali g1 e g2 presenti nello spettro e sul successivo confronto dei risultati ottenuti con i due intervalli di accettabilità seguenti: g1 (2,002 ± 0,001) e g2 (1,998 ± 0,001). La sperimentazione condotta ha permesso di verificare l’applicabilità del metodo su tutte le tipologie di prodotti carnei analizzati per i quali è stato determinato il livello di minima dose di irraggiamento per cui il metodo risulti affidabile. Una richiesta essenziale da parte degli organismi pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni di controllo ufficiale, è la disponibilità e l’uso di metodi accurati, semplici e validati. Si riportano a tal proposito in tabella 2 i principali parametri di validazione ottenuti da prove intralaboratorio. Le principali caratteristiche indagate risultano: la minima dose rivelabile (MDR), la linearità, ed il fading del segnale. E’ stata infatti considerata anche la stabilità nel tempo del segnale radioindotto in quanto RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1) Decreto Legislativo n° 94 del 30 gennaio 2001, G.U. n° 79 del 4 aprile 2001. 2) UNI EN 1786 (Aprile 1997): Prodotti alimentari – Ricerca di alimenti irraggiati contenenti ossa. Metodo per spettroscopia di risonanza elettronica di spin (ESR) 43 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE NEGLI ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO MEDIANTE PCR. CONFRONTO TRA DIFFERENTI METODI DI ESTRAZIONE DEL DNA. Vodret B.1, Schiavo M.R. 2, Serratrice G. 1, Sparacino L. 2, Altissimi M.S. 3 e Haouet M.N.3 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Key words: BSE, farine animali, PCR SUMMARY It is generally accepted that route of infection of cattle with BSE is by consumption of feeds containing processed animals proteins. This likely route resulted in total feed bans that were expected to develop into a future enforcement of the “species to species” ban. These bans require support of species-species identification methods. The aim of this work was to compare different DNA extraction methods for the application of PCR to detect specific sequences of DNA. Results evidence that not all methods are suitable for the isolation of DNA from feed. INTRODUZIONE Il rischio di diffusione negli animali d’allevamento della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) ha determinato come misura preventiva, il divieto di somministrazione ai ruminanti di proteine derivate da mammiferi su tutto il territorio comunitario. Alla fine del 2000 il divieto è stato ampliato a tutte le proteine animali destinate agli animali d’allevamento tenuti, ingrassati o allevati per la produzione (1-2). Oggi l’Unione Europea discute l’opportunità di reinserire progressivamente talune proteine derivate per talune specie (per esempio farine di pesce nei giovani ruminanti), dopo una attenta valutazione del rischio e dei risultati di sorveglianza raccolti negli anni successivi al feed-ban. Il progressivo reintegro di alcune proteine punta di nuovo l’attenzione, da parte dei laboratori di controllo ufficiale, sulla ricerca e standardizzazione di un metodo di supporto al metodo ufficiale riconosciuto dall’Unione Europea (3-4), per la determinazione della classe animale. Il metodo ufficiale, basato sul trattamento del campione con un solvente chimico e successiva valutazione microscopica del sedimento separato, permette di determinare una contaminazione al livello dello 0.1 %. Il riconoscimento di frammenti ossei di mammiferi, volatili e pesci che si effettua attraverso il confronto fra le caratteristiche di tali frammenti (5), dipende fortemente dall’esperienza del lettore, è soggettivo e può comportare tempi lunghi nella lettura al microscopio. Da diversi anni si sono sviluppate tecniche alternative, tra cui, prevalentemente, metodi di determinazione del DNA (PCR) applicati per l’identificazione delle proteine animali trasformate nei mangimi (6). L’estrazione del DNA dalla matrice del campione, prima tappa di tutti i metodi di biologia molecolare, rappresenta un punto critico di tale metodologia, determinante per l’ottenimento di un risultato finale soddisfacente. Diversi protocolli di estrazione possono essere implementati direttamente in laboratorio, altri metodi richiedono l’impiego di specifici kit commerciali: questi ultimi hanno il vantaggio di essere più rapidi e riducono sicuramente i tempi della fase estrattiva. Obiettivo del presente lavoro è il confronto di alcuni metodi di estrazione del DNA (commerciali e non) da mangimi per uso zootecnico: tale lavoro è correlato alle precedenti attività di ricerca svolte dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali della Sardegna, della Sicilia, dell’Umbria e Marche. Le analisi sono state condotte presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale 44 della Sardegna e della Sicilia, su campioni di mangimi contenenti, e non, proteine animali trasformate: il DNA è stato estratto mediante l’utilizzo di tre metodi differenti, e identificato mediante PCR. MATERIALI E METODI Le prove sono state eseguite parallelamente dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna e della Sicilia. Ogni campione di mangime (Tabella n.1) è stato analizzato in doppio dai due laboratori. Sono stati utilizzati mangimi contaminati con lo 0,1% di proteine animali trasformate (PAT) di mammifero (Campioni 1 e 2), con lo 0,1% di PAT di volatile (campione 3 e 4), o privi di proteine di origine animale (campione 5 e 6). Tabella n. 1: Elenco dei mangimi sottoposti a estrazione Campione n. 1 0,1% PAT di mammifero Campione n. 2 0,1% PAT di mammifero Campione n. 3 0,1% PAT di volatile Campione n. 4 0,1% PAT di volatile Campione n. 5 Assenza di PAT Campione n. 6 Assenza di PAT Tutti i campioni sono stati omogeneizzati con un omogeneizzatore a lame e una parte di essi è stata sottoposta all’analisi col metodo ufficiale. Il DNA è stato estratto utilizzando tre differenti tecniche di estrazione: metodo A (estrazione con CTAB (7) integrato con lo step della purificazione mediante mini colonne Wizard (Promega) (8); metodo B (QIAamp DNA Mini Kit, QIAGEN) e metodo C (GenElute DNA, Mammalian Genomic, Miniprep kit, SIGMA). I protocolli dei due kit commerciali sono stati opportunamente modificati per l’estrazione del DNA dai mangimi (metodi B e C), non considerati nel campo di applicazione dei kit, utilizzando in particolare una quantità superiore di matrice, rispetto a quelle indicate dalle ditte produttrici. La valutazione della resa del DNA e della qualità dell’estratto, è stata eseguita mediante lettura spettrofotometrica e/o elettroforesi su gel di agarosio all’0,8%. Il DNA estratto è stato utilizzato per le prove di amplificazione di PCR: le prove sono state eseguite utilizzando la metodica sviluppata dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche. Mediante l’utilizzo di due primers specifici sono stati ricercati i DNA mitocondriali di mammifero e volatile. Tutte le prove di PCR sono state eseguite utilizzando il programma di amplificazione e la miscela di reazione riportati nelle Tabelle 2 e 3. Dopo l’amplificazione, il DNA è stato separato mediante elettroforesi su gel di agarosio 2% e le bande ottenute sono state confrontate con quelle di campioni positivi (Mammifero 118 bp, volatile 131 bp). Parallelamente all’analisi sui mangimi, sono stati estratti e analizzati in doppio campioni di muscolo bovino, suino, pollo e tacchino (n. 2 campioni/tipologia di tessuto/metodo di estrazione). X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella n.2 Programma di amplificazione Mammifero 30 cicli Figura n.1 1 (Campione 1 - Metodo B); 2 (Campione 1 Metodo C); 3 e 11 (Muscolo bovino - Metodo B); 4 e 12 (Muscolo bovino - Metodo C); 5 e 13 (controllo negativo), 6 e 8 (vuoto); 7 (Ladder 100 bp); 9 (Campione 2 - Metodo B); 10 (Campione 2 - Metodo C). Volatile 35 cicli T (°C) Tempo (s) T (°C) Tempo (s) 95 600 95 300 94 30 94 30 61 30 51 30 72 30 72 30 72 180 72 180 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Tabella n.3 PCR-MIX miscela di reazione (volumi in μl) Mammifero DISCUSSIONE La legislazione Europea ha già da tempo indicato alla comunità scientifica (3) la possibilità di adottare metodi alternativi per la determinazione delle proteine animali nei mangimi destinati agli animali da allevamento, al fine di implementare il sistema di controllo e di sorveglianza della trasmissione della BSE. Lo sviluppo di nuove metodologie è stato fortemente centrato sulle tecniche in PCR: il punto critico per l’applicazione di questa tecnica è l’estrazione del DNA poiché influenza l’efficienza della reazione e l’accuratezza dei risultati. Infatti l’efficienza della PCR dipende dalla qualità e purezza del DNA estratto (scarsa degradazione, rapporto 260/280, libero da inibitori): le proteine, i polisaccaridi e i grassi presenti in matrici complesse possono talvolta inibire l’estrazione del DNA e i successivi protocolli di amplificazione. Dall’analisi dei nostri risultati, sebbene emerga che i tre metodi possono essere applicati all’estrazione del DNA, risultano notevoli differenze per l’identificazione delle proteine animali trasformate attraverso l’analisi PCR sui differenti estratti di DNA dei mangimi. In particolare iI metodo A (CTAB seguito dalla purificazione con colonnine Wizard), è risultato adeguato per l’amplificazione degli estratti di DNA da tutte le tipologie di campioni analizzati, sebbene comporti tempi di esecuzione un po’ lunghi. Anche il metodo di estrazione B ha fornito risultati adeguati dopo l’amplificazione dei DNA estratti, con entrambi i primers. Il metodo C non risponde altrettanto efficientemente con nessuno dei primers utilizzati. Va ricordato che, in nessuno dei due kit commerciali testati, è compresa la matrice mangime nel campo di applicazione e che tali metodi, in particolare il metodo C, andrebbero opportunamente adattati a tal fine. Considerata la complessità degli alimenti per uso zootecnico e i diversi trattamenti a cui vengono sottoposte le proteine animali trasformate eventualmente addizionate, sono necessarie a nostro parere, ulteriori modifiche ai protocolli utilizzati per migliorare la risposta della PCR. Inoltre è nostra intenzione di proseguire il presente lavoro con l’applicazione di altri metodi di estrazione presenti in commercio. Volatile Buffer 10 x 3.0 5.0 MgCl2 25mM 3.0 3.0 DNTPS 10mM 0.6 1.0 Primer 1 30 pmol/ҏ l 0.5 0.5 Primer 2 30 pmol/ҏ l 0.5 0.5 TAQ Hot Start type 5U 0.3 0.5 Acqua sterile 17.1 34.5 DNA campione 5.0 5.0 Totale 30.0 50.0 RISULTATI I risultati ottenuti dalla valutazione spettrofotometrica e/o mediante gel di agarosio, hanno evidenziato alcune differenze tra i metodi di estrazione del DNA. Il metodo A e il metodo B permettono l’estrazione di DNA di buona qualità (buon rapporto 260/280, presenza di bande non degradate). La resa è buona per entrambi i metodi mentre il metodo C presenta una resa più bassa. Nella tabella 4 sono riportati i risultati espressi in termini di presenza/assenza di DNA mitocondriale relativamente alle due classi animali, ottenuti dopo amplificazione. Per quanto riguarda i campioni di mangime, i risultati ottenuti sono molto soddisfacenti con i metodi di estrazione A e B, su tutti i campioni analizzati. Il metodo C ha dato, invece, risultati negativi con gli estratti dei mangimi n. 1, 2, 3 e 4 il cui DNA non viene amplificato mediante PCR con i relativi primers. Tabella 4 Risultati ottenuti sui campioni di mangime sottoposti alle diverse estrazioni Primer Volatile Mammifero Metodo Metodo Metodo Metodo Metodo Metodo A B C A B C + + - - - n.d 2 + + - - - n.d 3 - - n.d + + - 4 - - n.d + + - 5 - - n.d - - 6 - - n.d. - - Camp. 1 BIBLIOGRAFIA 1) Decisione 2000/766/CEE 2) Decisione 2001/9/CEE 3) Direttiva 2003/126/CE 4) Decreto ministeriale 09/09/04 5) Gasparini G., Crisafulli A.(1996). Identificazione delle farine di carne di mammiferi nei mangimi. Tecnica Molitoria 8, 766778. 6) Van Raamadonk L.W.D et al. (2007). New developments in the detection and identification of processed animal proteins in feeds. Animal Feed Science and Technology. 133, 63-83 7) Lipp M et al. (1999). IUPAC Collaborative Trial Study of a Method to detect Genetically Modified Soy Beans and Maize in dried powder. Journal of AOAC International. 82, 923-928 8) Bononi M et al. (2002). Innovazioni in PCR per l’identificazione di OGM in lecitine di soia. Industrie Alimentari XLI, 535-539. n.d n.d Per quanto riguarda i campioni di tessuto, i risultati ottenuti con i tre diversi metodi sono sufficientemente coerenti tra loro. In Figura 1 è riportata la foto al transilluminatore dell’elettroforesi dei campioni di mangime n.1 e n.2 estratti con il metodo B e C, amplificati con i primers per mammifero. 45 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 APPLICAZIONE DEL TEXTURE PROFILE ANALYSIS (TPA) TEST NELLA DEFINIZIONE DELLE PROPRIETÀ REOLOGICHE DEL PROSCIUTTO DI PECORA SARDA Busia G., Colleo M.M., Melillo R., Piras F., Meloni D., Mazzette R. Dipartimento di Biologia Animale, sez. Ispezione Alimenti, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Sassari Key words: texture, TPA, quality 2. Set-up del TPA test. La determinazione delle proprietà meccaniche è stato effettuata mediante l’ Universal Testing Machine TAXT plus Texture Analyser (Stable Microsystems Ltd., Surrey, England), utilizzando il Texture Exponent software (Vs 2.0.0.7). Le prove sono state condotte utilizzando la sonda piatta P/75, con cella di carico di 5 kg, alla velocità di 1mm/s, applicando ad ogni campione una deformazione del 50%, con un tempo di attesa tra i due cicli di compressione (bite) pari a 0 secondi (5). E’ stato applicato il Texture Profile Analysis (TPA) test, diffusamente utilizzato per la descrizione del comportamento meccanico alla masticazione di diverse matrici alimentari ed in particolare del prosciutto (4). SUMMARY The aim of the present study was to evaluate the rheologic properties of dry-cured sheep ham during the manufacturing process using the TPA test. Samples were obtained from raw material, semi-finished and final products of 7 production batches. The mean value of hardness in dry-cured sheep ham (5379,81 ± 2676,39 g) was sensibly higher than in drycured swine ham, this is due to a lower aw and a poor proteolysis. Springiness, cohesiveness, chewiness and adhesiveness values were more similar to dry-cured swine ham’ ones. INTRODUZIONE Il prosciutto crudo di pecora di razza sarda è un salume tipico inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Sardegna (1) ed è stato recentemente oggetto di un percorso di valorizzazione finalizzato all’acquisizione di un marchio di riconoscimento comunitario (DOP). Nell’ambito di questo progetto è stato condotto uno studio di caratterizzazione che ha riguardato la definizione del profilo microbiologico, di composizione e dei parametri reologici (2). Le caratteristiche sensoriali (colore, texture, flavour) dei prosciutti crudi rientrano tra i fattori che condizionano l’accettabilità da parte dei consumatori (3). In particolare il prosciutto di pecora è un prodotto a breve stagionatura (circa 120 gg), le cui caratteristiche organolettiche risentono di tempi di stagionatura prolungati, con una maggiore consistenza ed un eccessiva disidratazione. La misurazione delle proprietà reologiche (texture) rappresenta uno strumento di valutazione di parametri che sono direttamente correlati alle proprietà sensoriali dei prodotti, la cui determinazione può risultare più indaginosa e costosa (4). Numerosi studi hanno evidenzato l’effetto del contenuto in umidità, NaCl e del pH sulle caratteristiche reologiche finali in prosciutti crudi suini in relazione all’effetto sui fenomeni proteolitici (5). Lo scopo del presente lavoro è stato l’applicazione del test Texture Profile Analysis (TPA) nella definizione delle proprietà reologiche del prosciutto crudo di pecora. In particolare è stata valutata la relazione tra le caratteristiche chimico-fisiche e la texture durante il processo di produzione e di stagionatura, allo scopo di individuare una griglia di parametri strumentali utili a definire le caratteristiche sensoriali desiderate dal consumatore (6). 3. Esecuzione del TPA test. Da ogni campione sono stati prelevati, in doppio, delle sezioni di muscolo semimembranoso di forma cubica (1,5 cm di lato), che sono state poste con i fasci muscolari paralleli rispetto al piano di analisi ed alla superficie della sonda. Il test prevedeva una doppia compressione assiale, rappresentata graficamente da due curve gaussiane forzatempo, la cui analisi consente di ricavare i seguenti parametri (4): - hardness (g), H: indica la forza massima per comprimere il campione; - cohesiveness, Co: rappresenta la forza dei legami interni al campione che si oppongono all’azione esterna di compressione; - springiness, S: esprime l’elasticità del campione, ovvero la capacità di riacquisire la forma originaria dopo l’effetto della compressione; - chewiness, Ch: indica l’energia richiesta per rendere un campione solido pronto per essere deglutito; - adhesiveness (g x s), A: è un parametro convenzionalmente negativo, che esprime il lavoro necessario per superare la forza di attrazione tra la superficie del campione e quella della sonda cui aderisce. 4. Analisi chimico-fisiche. Per tutti i campioni sono stati inoltre determinati (media di 4 misurazioni): pH, mediante pHmetro GLP21 Crison; aw, mediante AQUALAB. 5. Analisi statistica. I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza, secondo la procedura GLM, e la differenza tra le medie è stata valutata usando il test LSD (Stat. Plus, 5.1). MATERIALI E METODI 1. Campioni sottoposti ad esame. Sono stati analizzati in doppio i seguenti campioni di prosciutto di pecora provenienti da n. 7 lotti (L1 ´ L7) di produzione: cosce fresche (MP), prosciutti al termine della stagionatura (P, 4 mesi). Per L6 ed L7 sono stati analizzati anche i prosciutti a fine salatura (S, 28-30 gg) ed a fine essiccamento (E, 5-6 gg). Nel complesso sono stati sottoposti ad analisi di tipo reologico: 28 cosce, 8 prosciutti al termine della salagione, 8 al termine dell’ essiccazione e 28 al termine della stagionatura. RISULTATI In tabella n.1 vengono riportati i risultati medi delle determinazioni, in relazione alle fasi di lavorazione. La dinamica del pH ha evidenziato differenze tra i lotti ed un aumento dei valori medi (p>.05) nel corso della stagionatura. Viceversa i valori medi di aw hanno presentato una progressiva riduzione, con differenze significative (p<.05) in relazione al lotto. Relativamente ai risultati del TPA test è stata evidenziata una notevole variabilità fra i lotti (p<.01), particolarmente per i valori medi di hardness e chewiness. I valori di H aumentavano nel corso del processo, fino a raggiungere livelli pari a 5379,81 ± 2676,39 g nei prodotti al 46 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 cured hams compared to traditional hams. Sci. Agric. (Piracicaba, Braz.), 65, n.2,169-173. 8) Ruiz-Ramírez J., Serra X., Arnau J., Gou P. (2005). Profiles of water content, water activity and texture in crusted dry-cured loin and in non-crusted dry-cured loin. Meat Science, 69, 519–525. 9) Ruiz-Carrascal J., Ventanas J., Cava R., Andrés A.I., García C. (2000). Texture and appearance of dry cured ham as affected by fat content and fatty acid composition. Food Research International 33, 91-95. 10) Okeudo N.J., Moss B.W. (2005). Interrelationships amongst carcass and meat quality characteristics of sheep. Meat Science 69, 1–8. termine della stagionatura. Tali valori sono risultati superiori rispetto a quelli rilevati in prosciutti di suino italiani e spagnoli, che vengono sottoposti a un periodo di stagionatura più prolungato (7). I parametri S e Co hanno presentato una dinamica simile nelle fasi MP, S, ed E, con valori compresi in un range variabile da 0,70ĺ0,83, per il primo, e da 0,54ĺ0,51 per il secondo. I valori ottenuti nei prosciutti stagionati (0,38 ± 0,08 e 0,36 ± 0,05) si presentavano notevolmente inferiori rispetto a quelli riportati in prosciutti di suino (7). Tali risultati rappresentano un indice di scarse proprietà elastiche e limitata resistenza alla rottura, inoltre condizionano il valore del parametro Ch, che presentava in P livelli medi pari a 742,94 ± 423,25, paragonabili a quelli riscontrati in prosciutti ottenuti da carne suina (7). I valori di A riscontrati nelle cosce fresche (-120,92 ± 59,31) divenivano più negativi nel corso della fase di salatura (-465,81 ± 193,38) ed essiccamento (-412,98 ± 93,44), per riportarsi a valori simili a quelli iniziali (-131,13 ± 102,82) nei prodotti stagionati, nei quali il valore di adhesiveness è risultato confrontabile con quanto riportato in bibliografia per i prosciutti di suino (7). Tabella n.1: Valori medi e deviazioni standard di pH, aw e dei parametri di texture del prosciutto di pecora in relazione alle fasi di lavorazione. DISCUSSIONE Il TPA test si è dimostrato un utile strumento per valutare le caratteristiche reologiche del prosciutto di pecora. Il riscontro nei prodotti finiti di valori di H notevolmente più elevati rispetto agli omologhi prodotti suini potrebbe essere messo in relazione al basso tenore dell’aw (valori medi finali: 0,85 ± 0,04) raggiunto al termine della stagionatura. Diversi autori hanno infatti dimostrato un rapporto inversamente e l’hardness, che aumenta proporzionale tra l’aw sensibilmente nei prodotti a base di carne stagionati quando l’ attività dell’ acqua scende al di sotto di 0,870 (8). Ulteriori fattori di condizionamento del valore di H sono rappresentati dalla qualità e dalla distribuzione del grasso intramuscolare e soprattutto dall’entità dei fenomeni di proteolisi, che interessano la componente muscolare durante la stagionatura dei prosciutti. Tali fenomeni risultano di limitata entità nel prosciutto di pecora, che non va incontro ad una adeguata acidificazione (pH medio finale: 6,17 ± 0,21), condizione indispensabile perché avvenga un regolare processo d’intenerimento delle carni (9, 10). I risultati, seppure preliminari, rappresentano un interessante contributo ed un supporto scientifico alla predisposizione di interventi di ottimizzazione del processo e di miglioramento dei requisiti qualitativi del prosciutto di pecora. RINGRAZIAMENTI Lavoro svolto in collaborazione con l’azienda La Genuina s.r.l. di Ploaghe (SS). BIBLIOGRAFIA 1) D.M. 14/06/2002 “Seconda revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 167 del 18/07/2002, Supplemento Ordinario n° 144. 2) Mazzette R., Desantis E.P.L., Coppa G, Meloni D., Colleo M.M., Cosseddu A.M. DBA- sez. Ispezione degli Alimenti, Sassari (2005). Microbiological and chemical-physical parameters during the processing of a typical dry ham from sarda sheep breed (Italy). Proc. of Int.Congr.Intradfood, 609-612. 3) Arnau, J. (1991). Aportaciones a la calidad tecnológica del jamón curado elaborado por procesos acelerados. Thesis. Barcelona, Spain: Universitat Autònoma de Barcelona, Facultat de Veterinària. 4) Bourne, M. C. (1978). Texture profile analysis. Food Technology, 32,62–66. 5) Ruiz-Ramìrez J., Arnau J., Serra X. & Gou P. (2006). Effect of pH24, NaCl content and proteolysis index on the relationship between water content and texture parameters in biceps femoris and semimembranosus muscles in dry-cured ham. Meat Science, 72,185–194. 6) Szczesniak, A.S (2002). Texture is a sensory property. Food Quality and Preference, v. 13, i. 4, 215-225. 7) Costa M. de R., Filho W. B., Silveira E. T. F., de Felício P. E. (2008). Colour and texture profiles of boneless reestructured dry- 47 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 APPLICATION OF MOLECULAR GENETICS TO IMPROVE ANIMAL HEALTH John L. Williams Parco Tecnologico Padano, Lodi Key words: genetics, genomics, breeding Abstract Improvement of livestock focussed phenotypic selection has been successful in increasing the quantity of output; however the approach has been less successful with traits such as health and resistance to disease. Molecular genetics can provide a strategy for improvement these more difficult traits. With the availability of genome sequence for many species and improved genomic tools identifying the genes beneficial for improved animal health should become a more rapid process, and the application of these new tools in section programme could lead to more rapid improvement in a large number of traits. Where molecular genetics can play a valuable role is by providing the means to identify the genetic control of, at least part of, the variation observed in a wide range of traits, including traits such as health that are difficult to measure routinely, and provide strategies for their improvement. Knowing the alleles at particular genetic loci that confer superior characteristics for a particular trait will allow direct selection choices to be made by identifying individuals that carry the beneficial alleles for that trait. Therefore, in theory at least, a strategy to select for improved performance in a number of traits could be developed using genetic markers. However the identifying the genes and beneficial alleles for diverse traits is a major challenge. Identifying the genes controlling particular traits can be approached in a number of ways. Fortunately, recent rapid increase in the power of genomic tools and the resulting increased knowledge of genome sequence and gene function is making this task more tractable. Genetic Selection Genetic improvement of livestock has been achieved by selective breeding from individuals with superior phenotypes. With the development of increasingly advanced statistical methods this simple approach has been spectacularly successful in increasing the quantity of output. However, these traditional selection methods have been less successful in improving traits where the phenotype is difficult to measure, such as health and resistance to disease. Whereas the primary drivers in natural selection are survival traits, such as reproductive success and resistance to disease, the criteria for selection in domestic species have, for the most part, ignored health traits in favour of productivity traits. However, good productivity is dependent on good health. In order to maintain the health status of domesticated species management strategies have become increasing dependent on veterinary interventions and the prophylactic use of vaccines and antibiotics. Recently there have been numerous human health problems associated with transfer of diseases from livestock (zoonosis), these include the increased prevalence of bacterial disease caused by eg Ecoli and Salmonella arising from contact with farm animals and contaminated food. The BSE epidemic in cattle, and subsequent identification of variant CJD, has heightened concerns over livestock management practices. While avian influenza, is an ongoing cause of concern with respect to human health worldwide. With this increased awareness of zoonosis there is public pressure for animal health to have a higher priority in livestock production systems. Natural genetic resistance to disease allows stock to survive without the requirement for expensive protective measures, and is robust to many of the mechanisms that pathogens can adopt to become resistant to control measures. Thus, genetic selection for disease resistance could raise the health status of production animals, lower production costs, reduce the environmental burden of pathogens and protect human health. The simplest approach to identifying the genes controlling phenotypic variation, which is most effectively used for monogenic traits, is to make informed guesses regarding the genes involved. The approach bases the selection of the “candidate genes” on knowledge of the physiology of the trait and any other available information, such as information on the genetic control of a similar trait in species where more extensive information is available on the genetic control of mendelian traits, most often humans (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/omim/) or laboratory models such as mice (http://www.informatics.jax.org/). The candidate genes can be examined for variations which are then tested for their effect on the target trait. This approach clearly requires a good a priori knowledge of the trait and the underlying physiology, or the availability of relevant information from other species, but in some cases has been successful. Complex traits, such as disease resistance, several genes are likely to contribute to the observed variation. Even with a good knowledge of the physiology of the trait, genes not involved in the obvious biochemical pathways may contribute to the variation and control mechanisms may differ between species. Therefore for complex traits it is better to use a molecular genetic approach to genetically localise than identify the genes involved. . The use of genetic markers to improve estimated breeding values was suggested over 15 years ago (Fernando and Grossman 1989), but in general the use of markers to increase the accuracy of selection. The use of markers linked to genetic loci which have a large effect on target traits can be used in marker assisted selection (MAS) programmes (Kashi et al 1990). There are several theoretical advantages of using markers in selection programmes, rather than relying on phenotype-based selection. These include a more rapid and accurate prediction of the phenotype and hence earlier selection of breeding stock, particularly where the phenotype is only seen in adult animals, or where the trait is observed in only one sex but where selection is carried out in the other Molecular Genetics Using traditional breeding schemes improvement in one trait through selective breeding is often associated with losses in other traits, eg increased productivity is associated with reduced fertility in cattle and poultry. 48 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 sex the obvious example being milk production. However, the linked markers identified from simple genetic mapping studies are generally a long distance from the locus controlling the trait; therefore recombination is likely to occur between the marker and the trait gene. This means that at a population level it is not known relationship between alleles present at the marker loci and those at the trait locus. Therefore, before the linked markers can be use for MAS it is first necessary to determine the phase of the markers, i.e. which alleles at the marker loci are linked to the favourable alleles at the trait gene. This has to be done for every family that is under selection. Although MAS has been used in a limited way in breeding schemes, it not very efficient and it is better to identify the genetic change that is directly responsible for the phenotypic variation. Information on the functional genetic variation can be used directly to test all animals, without first having to determine the phase. However, identifying the genetic polymorphisms controlling phenotypic variations is not easy, therefore, initially simple genetic variations, particularly those controlling inherited disease, such as bovine lymphocyte adhesion deficiency (BLAD) or simple phenotypes, such as colour, were identified and used in breeding programmes. Today, there are several examples in domestic species where the genes controlling important production traits have been identified and these are being tested in genetic selection programmes. t. The genome selection approach estimates the genetic value of each individual section of the genome of an individual, rather than the effect at selected trait loci. With the availability of a 50K single nucleotide polymorphism genotyping panel for cattle, it has been possible to assess the feasibility of the genome selection approach. Using data from Holstein cattle, van Tassel et al (2008) demonstrated a hybrid approach in which genome-wide marker data is combined with the phenotype data to calculate a genome assisted breeding value (GAEBV). This GAEBV is significantly better than the breeding value calculated simply on phenotypic measurements, and so increases the accuracy of selection and confidence in the choice of the best animals. Knowledge of the genetic control of traits at the level of the genome will also optimise improvements in traits a wide range of traits and may be particularly useful in addressing controlled by loci with pleiotropic effects: ie where current selection makes progress in one trait but has a negative impact on another important trait. These ever-increasing refinements will gradually provide breeders with better tools to adapt genetic selection choices and respond more rapidly to changing market demands. References Fernando, R.L. and Grossman, M. 1989. Marker-assisted selection using best linear unbiased prediction. Genet. Sel. Evol, 21: 467–477. Gianola ,D., Ødegård, J., Heringstad, B., Klemetsdal, G., Sorensen, D., Madsen, P., Jensen, J. and Detilleux, J. 2004. Mixture model for inferring susceptibility to mastitis in dairy cattle: a procedure for likelihood-based inference. Genet Sel Evol, 36: 327 International Chicken Genome Consortium. 2004. Sequence and comparative analysis of the chicken genome provide unique perspectives on vertebrate evolution. Nature, 432: 695-716. Kashi, Y., Hallerman, E. and Soller, M. 1990. Marker-assisted selection of candidate bulls for progeny testing programs. Animal Production, 51: 63–74. Lander, E.S., Linton, L.M., Birren, B., Nusbaum, C., Zody, M.C. et al. 2001. Initial sequencing and analysis of the human genome. Nature, 40: 9860-9921. Meuwissen, T.H.E., Hayes, B.J. and Goddar M.E. 2001. Prediction of Total Genetic Value Using Genome-Wide Dense Marker Maps. Genetics, 157: 1819–1829. Genomics Over the past 20 years there have been rapid advances in the development of molecular biological techniques and knowledge, which have been applied to understanding the regulation of gene expression and function. The application of these techniques to the field of genetics has advanced knowledge of the genome structure and identified sequence variations between individuals, some of which have known effects on gene function and phenotypic variation. The most significant advance in this field in the past few years has been the completion of the human genome sequencing project (Lander et al 2001). The resources developed to sequence the human genome have subsequently been used to sequence the genomes of many other species. For domestic species the draft chicken genome sequence was published in 2004 (Chicken Genome Consortium, 2004) and the first draft of the bovine sequence was released in October 2004 and a more complete sequence including the annotation of the genes was made available in 2007 (http://www.ensembl.org/Bos_taurus/index.html). A genome-sequencing project for pigs is currently underway and the entire pig sequence is likely to be available in 2009 (http://pre.ensembl.org/Sus_scrofa/index.html). The sequences of these genomes together with information on genetic variations, gene structure, expression and regulation should facilitate the more rapid identification of the genes controlling variations in commercially relevant trait such as those beneficial for improved animal health. Currently these new tools and genomic information are being used to define the genetic regulation of biochemical pathways and identify the genes that control variation particular traits and phenotypes. Armed with this information, it will then be possible to select for improvement on several criteria and multiple genetic loci, each of which are involved in the development of the desired phenotype. The next step will be the use of genome wide marker information to select the best animals based on their whole genome, rather than on a few markers (Meuwissen et al. 2001, Gianola et al. 2004) 49 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 STUDIO DEI DIFFERENTI ALLELI DEL GENE NRAMP1 IN BUFALE BATTERIOLOGICAMENTE POSITIVE A BRUCELLA SPP. Alfano F., Corrado F., Ascione G., Galiero G., Iovane G., Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno- Portici (NA) Keywords: Nramp1, Bufalo e Brucella abortus Abstract Genetic selection, for disease resistence, may be an approach to the control of water buffalo brucellosis, that is a costly animal disease. 183 samples, derived from water buffalo cows infected with Brucella abortus, were tested for the Nramp1 genotype. We found 5 different alles distributed in 11 genotypes. In particular the percentage of the AA genotype (susceptible) was 33,5%, the BB genotype (resistant) was 7% and the CC e DD respectively 2% and 3%. These preliminary results give us the opportunity to select interesting genotypes that must be used for the study regarding the possible role of Nramp1 in the resistence of water buffaloes to B. abortus. rispetto ai monociti degli individui AA. Inoltre, quando infettati con Brucella abortus, i monociti BB hanno esibito una minore replicazione intracellulare del patogeno se paragonati ai monociti AA. Probabilmente il maggiore livello basale della proteina antibatterica NRAMP1 conferisce agli animali BB la possibilità di contrastare i batteri immediatamente dopo la loro entrata nella cellula, prima che essi attivino i propri geni di virulenza. Allo scopo di approfondire gli studi riguardo alla regione 3’ UTR non tradotta del gene Nramp1, nel presente studio si è indagato sul genotipo di animali abbattuti e risultati positivi all’esame batteriologico condotto sugli organi. Materiali e Metodi L’indagine è stata eseguita complessivamente su 183 campioni di tessuto linfonodale, di animali risultati positivi all’esame batteriologico, provenienti da 30 differenti aziende, prelevati nell’ambito del piano di risanamento della brucellosi. Il DNA è stato estratto con DNeasy Tissue Kit (Qiagen) ed è stato amplificato mediante PCR utilizzando i primers riportati in tabella 1. Le condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a 95° per 1 ciclo, seguito da 35 cicli a 94° per 30’’, 55° per 30’’ e 72° per 30’’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a 72° per 7’. I prodotti della PCR sono stati poi, denaturati a 94° per 3’ con formammide e ROX 500 size standard (Applied Biosystems). L’elettroforesi capillare è stata effettuata su ABI Prism 310 (P-E Applied Biosystems) ed i dati sono stati acquisiti mediante ABI Prism 310 collection software. Le dimensioni degli alleli sono state determinate mediante l’uso dei seguenti softwares: 310 GeneScan 3.1.2 e Genotyper 2.5.2 (Applied Biosystems). Introduzione L’immunità innata rappresenta un aspetto determinante della strategia di difesa degli individui contro i microrganismi patogeni. L’approccio dell’allevamento selettivo come metodo per aumentare la resistenza degli animali domestici contro agenti infettivi non è nuovo, ma i recenti progressi nell’analisi e caratterizzazione del DNA hanno reso tale metodica più affascinante. La brucellosi animale, patologia causata da un batterio intracellulare, Brucella spp., è una malattia endemica in molte parti del mondo. Essa causa gravi perdite economiche nell’industria lattiero-casearia (produzione ridotta di latte, parti meno frequenti) e costituisce anche un problema per la salute dell’uomo al quale tale malattia può essere trasmessa. In letteratura è ampiamente riportata la presenza di un gene Nramp1, che sembra avere un ruolo cruciale nella difesa innata di molti animali contro i patogeni intracellulari. In particolare il gene Nramp1 del topo determina resistenza o suscettibilità ai batteri intracellulari Mycobacterium bovis, Salmonella typhimurium e Leishmania donovani. L’omologo bovino del gene murino Nramp1 determina resistenza o suscettibilità del bestiame a Brucella abortus. Inoltre, quando la linea cellulare suscettibile dei macrofagi RAW264.7 viene trasfettata con l’allele Nramp1 associato alla resistenza murina o bovina, essa diventa capace di inibire la replicazione intracellulare di S. typhimurium o B. abortus, rispettivamente. Il gene Nramp1 è conservato nei mammiferi, nelle piante, negli insetti e nei batteri. La sua presenza nei batteri suggerisce che il patogeno intracellulare e l’ospite possano competere per lo stesso nutriente. In precedenti lavori è stata da noi indagata la presenza nel bufalo di alleli del gene Nramp1 coinvolti nei meccanismi di resistenza dell’animale contro la Brucella abortus. Gli animali utilizzati sono stati testati sia per il genotipo Nramp1 (mediante elettroforesi capillare) che per la presenza di anticorpi anti Brucella abortus (mediante agglutinazione e fissazione del complemento). Nella regione 3’ UTR non tradotta del gene Nramp1 sono stati individuati quattro alleli (A, B, C, D). Il genotipo omozigote BB è risultato essere presente solo fra i controlli (animali sieronegativi, non infetti), suggerendo che questo genotipo potrebbe conferire resistenza a Brucella spp. A conferma di tale ipotesi i monociti degli individui BB hanno mostrato un livello basale dell’mRNA di Nramp1 più alto Tabella 1 Sequenze dei primers l’amplificazione del gene Nramp 1. utizzati per Forward: 5’-6 FAM-GTGGAATGAGTGGGCACAGT-3’ Riverse: 5’-CTCTCCGTCTTGGAGTGCAT-3’ Risultati e Discussione I risultati ottenuti riportati nella tabella 2 e Fig.1, mostrano che a conferma di quanto ipotizzato nei lavori precedenti il genotipo presente in maggiore percentuale (33,5%) è il 210/210 (AA) quello reputato più sensibile all’infezione. Gli animali omozigoti 206/206 (CC) e 212/212 (DD) presenti rispettivamente nella percentuale del 2% e 3% sembrerebbero essere poco sensibili all’infezione. Di contro il genotipo considerato più resistente BB (214/214) si è presentato nella percentuale del 7% (Fig.2) . Inoltre è stata osservata anche se in bassa percentuale (0,5%) la presenza di un nuovo genotipo (208/210) dovuto alla presenza di un nuovo allele (208) finora non descritto. Questi risultati preliminari ci hanno permesso di selezionare dei genotipi che sembrano essere di notevole importanza per gli studi successivi che riguarderanno: l’identificazione di altri geni coinvolti nella resistenza genetica e le interazioni fra questi geni, inoltre gli alleli 50 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 saranno nuovamente sequenziati e sarà effettuato un confronto con le sequenze da noi inserite in GenBank (Acc. num. DQ376110, DQ376109, DQ095781, DQ095780) per verificare se sono intervenute eventuali mutazioni. Poiché i geni non agiscono nel vuoto ma interagiscono fra loro, talvolta il livello di espressione di un gene è modulato da un altro gene. Inoltre fra i geni possono stabilirsi dipendenze gerarchiche (interazioni epistatiche): un gene che conferisce suscettibilità può per esempio neutralizzare l’azione di un gene che conferisce resistenza. L’immunità innata utilizza diversi geni contro lo stesso patogeno, è importante quindi identificare nuovi geni di resistenza e cercare di capire come questi interagiscono fra loro. Sulla base di quanto detto risulta quindi chiaro che ad uno stesso genotipo possono corrispondere fenotipi diversi (resistenza o suscettibilità), a seconda del contesto in cui il gene si trova ad agire, è quindi di fondamentale importanza identificare nel bufalo diversi geni di resistenza alla B. abortus e comprendere come questi interagiscono fra loro. Comprendere le interazioni fra questi tipi di geni permetterebbe di creare i presupposti per la creazione nell’ambito degli allevamenti di strati molteplici di resistenza contro la B. abortus. 210 214 206 Tabella 2 Distribuzione dei genotipi del gene Nramp1 dei 183 animali testati GENOTIPO Percentuale animali 206/206 2% 206/210 9% 206/212 2% 206/214 3% 208/210 0,5% 210/210 33,5 % 210/212 8% 210/214 25% 212/212 3% 212/214 7% 214/214 7% 212 Fig. 2 Elettroferogrammi relativi agli alleli (A, B, C, D) della regione 3’ UTR non tradotta del gene Nramp1. Bibliografia 1. 2. 206/206 206/210 35 % 30 % 206/212 206/214 25 % 208/210 210/210 20 % 15 % 210/212 210/214 10% 5% 212/212 0% GENOTIPO 212/214 214/214 Fig. 1 Grafico relativo alla distribuzione dei genotipi riscontrati nei 183 animali esaminati. 51 Capparelli R, Alfano F, Amoroso MG, Borriello G, Fenizia D, Bianco A, Roperto S, Roperto F, Iannelli D. Protective effect of the Nramp1 BB genotype against Brucella abortus in the water buffalo (Bubalus bubalis). Infect Immun. 2007; 75(2):988-96. Borriello G, Capparelli R, Bianco M, Fenizia D, Alfano F, Capuano F, Ercolini D, Parisi A, Roperto S, Iannelli D. Genetic resistance to Brucella abortus in the water buffalo (Bubalus bubalis). Infect Immun. 2006; 74(4):2115-20. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 GLI ALLELI AT137RQ E ARQK176 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA PROTEGGONO LE PECORE DALLA SCRAPIE. 1 1 2 1 1 1 1 1 2 Vaccari G., Scavia G. , Sala M., Cosseddu G., Chiappini B., Conte M., Esposito E., Ciaravino G., Lorenzetti R., 2 Perfetti G., 2Marconi P., 2Scholl F., 2Barbaro K., 1Babsa S., 1Parisi C., 1Bella A., 1Nonno R. ed 1Agrimi U. 1 2 Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 299, 00161 Rome, Italy Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Via Appia Nuova, 1411 - 00178 Rome, Italy Keywords: scrapie, selezione genetica, Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili. ABSTRACT The susceptibility of sheep to scrapie is under the control of the host’s genotype at the prion protein (PrP) gene and it is also influenced by of the strain of the agent. PrP polymorphisms at codons 136, 154 and 171, combined in the five main alleles VRQ ARQ, AHQ, ARH and ARR, have been identified as the main determinants of the susceptibility/resistance of sheep to scrapie. On this basis, selective breeding programs have been undertaken in the European Union and the US to increase the frequency of the resistant ARR allele in sheep populations. Herein, we report the results of a large multi-flock study demonstrating the protective effect of AT137RQ and ARQK176 PrP alleles against natural scrapie. To further confirm the protective influence of these alleles, investigations with other scrapie sources are needed. However, ongoing studies confirm the protective effect of AT137RQ and ARQK176 alleles also in sheep experimentally infected with scrapie, BSE and L-type BSE. These alleles are quite frequent in Sarda breed sheep and have been described also in other countries. All the above indicates the possibility to use PrP alleles other than the ARR for scrapie eradication strategies and to maintain a wider variability of the PrP gene. MATERIALI E METODI Focolai di Scrapie Nello studio sono inclusi 5 focolai di scrapie (A,B,C,D ed E) identificati fra il 2004 e 2006 in Toscana. Nei focolai A,B,C ed E è stato applicato l’abbattimento selettivo degli animali con genotipo della PrP suscettibile e successivo test diagnostico di scrapie. Nel focolaio D ove è stato applicato l’abbattimento totale, sia la genotipizzazione sia il test diagnostico è stato eseguito su un campione dell’effettivo. Il numero degli animali testati in ciascun focolaio è riportato in tabella 1 Tabella 1 Allevamenti Animali A B C D E Totale Nell’allevamento 923 1774 570 3618 829 7714 Genotipizzati 903 1707 566 1482 728 5386 Testati per TSE 163 1309 150 140 710 146 Genotipizzazione tramite Real-Time PCR. I saggi di discriminazione allelica sono stati eseguiti in 4 differenti reazioni di PCR. (codoni 136, 154, 171-1 e 171-2) con 1x TaqMan Universal PCR Master Mix, primers 900 nM e MGB-probes a concentrazione variabile, riportati in tabella 2. Tabella 2 INTRODUZIONE La scrapie è una encefalopatia spongiforme trasmissibile (EST) come la BSE dei bovini e la malattia di CreutzfeldtJacob (MCJ) dell’uomo. L’evento chiave di queste malattie consiste nella modificazione post traduzionale della PrP cellulare in un’isoforma patologica (PrPSc) che si accumula nel cervello. Secondo la teoria prionica la PrPSc è il maggiore, se non unico, componente dell’agente eziologico di queste malattie. Il rischio che la BSE possa circolare fra le popolazioni ovicaprine europee ed il riconoscimento di un caso di BSE in una capra [1] ha evidenziato la necessità di strategie per il controllo e la profilassi nei confronti delle EST ovi-caprine. La suscettibilità delle pecore alle EST è influenzata dal genotipo dell’ospite a livello del gene della PrP (Prnp) [2]. I polimorfismi ai codoni 136 (A/V), 154 (R/H) e 171 (Q/R/H) combinati nei 5 alleli VRQ, ARQ, AHQ, ARH ed ARR sono i principali determinanti della suscettibilità/resistenza alla scrapie. L’allele ARR è associato a resistenza mentre gli alleli VRQ, ARQ, AHQ ed ARH ad un differente grado di suscettibilità. La variabilità del Prnp è tuttavia maggiore di quella osservata ai soli tre codoni, infatti sono stati descritti ulteriori 24 siti polimorfici. Basarsi sui soli tre codoni 136, 154 e 171 non è sufficiente per predire la suscettibilità delle pecore alle EST. Ne è esempio la recente dimostrazione di elevata suscettibilità dell’allele AF141RQ nei confronti del Nor98 [3]. E’ inoltre stato evidenziato da un nostro studio di trasmissione sperimentale della scrapie e della BSE, che animali con l’allele AT137RQ o ARQK176 sono protetti dalla malattia [4]. In questo studio sono riportati i risultati di un’indagine multicentrica caso controllo sulla suscettibilità alla scrapie associata ai polimorfismi del Prnp. PCR Primer MGB-Probe AA 136 136F: ctgcagctggagcagtggta 136Ala: FAM-tcrtggcacttcc Ala (300nM) 136R: gatagtaacggtcctcatagtcattgc 154F: tggcaatgactatgaggaccg 136Val: VIC-ctcatgacacttcc Val (200nM) 154 154R: tggtctgtagtacacttggttggg 171-1 171-2 171F: gttaccccaaccaagtgtactacaga 171R: tgttgacacagtcatgcacaaag 171F: gttaccccaaccaagtgtactacaga 171R: tgttgacacagtcatgcacaaag 154Arg: FAMactatcgtgaaaacat 154His: VICtactatcatgaaaacatg 171Arg: FAMccagtggatcggtata 171His: VIC accagtggatcattat 171Arg: FAMccagtggatcggtata 171Gln: VICaccagtggatcagtata Arg (120nM) His (200nM) Arg (150nM) His (120nM) Arg (150nM) Gln (200nM) Sequenziamento della PRNP La regione codificante la PrP è stata amplificata con i primer F1 (5’-catttatgacctagaatgtttatagctgatgcca-3’) e R1 (5’ttgaatgaatattatgtggcctccttccagac-3’), il sequenziamento è stato effettuato con Big Dye Terminator Cycle sequencing Kit con i primer T1 (5’-ggtcctcatagtcattgcc-3’), T2 (5’tggtggctacatgctggg-3’), T3 (5’-tttacgtgggcatttgatgc-3’) e T4 (5’-ggctgcaggtagacactcc-3’) e le sequenze rilevate con ABI PRISM 3130. Epidemiologia ed Analisi Statistica Al fine di comparare il rischio di scrapie tra i soggetti di genotipo ARQ/ARQ che presentavano mutazioni addizionali rispetto ai capi portatori del genotipo ancestrale ARQwt/ARQwt, sono stati sottoposti a sequenziamento del Prnp tutti i soggetti affetti da scrapie (casi) ed un campione di 378 soggetti ARQ/ARQ negativi (controlli). Per ciascun focolaio è stato calcolato il valore di odds ratio (OR), considerando lo status di malattia, variabile dipendente e la presenza/assenza di mutazioni addizionali come variabile indipendente. Poiché l’età rappresenta un possibile fattore di confondimento e distorsione della stima del rischio, la differenza di età tra i casi e i controlli è stata preliminarmente 52 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 saggiata con il test U-Mann Whitney, risultando non significativa. Inoltre le differenze nella distribuzione per coorte di nascita dei casi positivi e dei controlli negativi non sono risultate statisticamente significative (test di CochraneArmitage). * p0.05 Sebbene i valori di OR siano risultati inferiori a 1 per tutti i polimorfismi, sono state ottenute stime statisticamente significative solo per i genotipi AT137RQ, AF141RQ e ARQK176 (tab 4 ). RISULTATI Polimorfismi aggiuntivi oltre i 3 codoni sono stati osservati solo in animali ARQ/ARQ e hanno interessato 6 dei 154 casi di scrapie. Tra i 378 animali ARQ/ARQ negativi del campione di controllo sottoposti a sequenziamento, sono stati riportati polimorfismi in 204 capi (fig. 1). DISCUSSIONE Nel presente studio gli alleli AT137RQ e ARQK176 risultano associati a resistenza alla scrapie. Infatti nonostante la loro elevata frequenza nei focolai esaminati, non sono stati riportati casi di malattia in animali portatori di tali alleli. Anche l’allele AF141RQ appare associato a resistenza tuttavia di livello inferiore. Per gli altri alleli, il numero di soggetti osservati e la loro scarsa frequenza non consente di definirne il ruolo nei confronti della suscettibilità alla scrapie. I risultati di questo studio confermano dunque quanto precedentemente osservato, ovvero la resistenza degli animali portatori di alleli AT137RQ e ARQK176 nei confronti della scrapie e BSE sperimentalmente trasmesse [4]. È necessario, tuttavia, ottenere informazioni sul comportamento di tali alleli in razze e popolazioni ovine differenti, così come confermare il loro ruolo protettivo anche nei confronti di altri ceppi circolanti. Inoltre ulteriori studi analitici finalizzati ad una più accurata stima del rischio associato a tali alleli anche rispetto all’allele ARR, potrebbero contribuire ad un eventuale a valutare il loro utilizzo nei piani di selezione gentica. I piani di selezione genetica , infatti, sono considerati l’unico strumento efficace di controllo della scrapie. Essi si basano sull’utilizzo di riproduttori portatori di alleli associati a resistenza al fine di incrementarne la frequenza nella popolazione. Attualmente l’unico allele per il quale si persegue la selezione è l’allele ARR. La possibilità di avvalersi di altri alleli quali AT137RQ e ARQK176 potrebbe costituire una risorsa importante per il mantenimento della eterogeneità del genotipo della Prnp, anche nell’eventualità dell’insorgenza di nuovi ceppi con diversi targeting genetici. Il loro utilizzo, inoltre, potrebbe ampliare la disponibilità di alleli di resistenza ovvero di riproduttori con particolare vantaggio per quelle razze ovine caratterizzate da scarsa frequenza dell’allele ARR. Figura 1 I genotipi completi dei casi e dei controlli sono riportati in tabella 3 Tabella 3 Casi ARQ/ARQ Controlli ARQ/ARQ Allevamento B C Allevamento Genotipo A D E A B C D E ARQwt/ ARQwt 23 31 48 39 7 54 36 7 59 18 ARQwt/ T112ARQ 1 ARQwt /V127ARQ 1 ARQwt /AT137RQ ARQwt /AF141RQ 1 2 1 1 1 1 7 10 14 10 13 3 8 13 16 4 ARQwt /AK142RQ 1 ARQwt /AR143RQ 6 ARQwt /ARQK176 2 T112ARQ/AT137RQ 1 12 20 26 AT137RQ/AT137RQ 1 AT137RQ/AF141RQ 1 AT137RQ/AR143RQ 1 AT137RQ/ARQK176 1 AF141RQ/V127ARQ 1 2 2 1 BIBLIOGRAFIA 1 AF141RQ/AF141RQ 1 AF141RQ/ARQK176 ARQK176/ARQK176 TOTAL 15 2 1 1 1 1 1 [1] Eloit M., Adjou K., Coulpier M., Fontaine J.J., et al. BSE agent signatures in a goat, Vet Rec (2005) 156:523-524. [2] Goldmann W., PrP genetics in ruminant transmissible spongiform encephalopathies, Vet Res (2008) 39:30. [3] Moum T., Olsaker I., Hopp P., Moldal T., et al. Polymorphisms at codons 141 and 154 in the ovine prion protein gene are associated with scrapie Nor98 cases, J Gen Virol (2005) 86:231-235. [4] Vaccari G., D'Agostino C., Nonno R., Rosone F., et al. Prion protein alleles showing a protective effect on the susceptibility of sheep to scrapie and bovine spongiform encephalopathy, J Virol (2007) 81:7306-7309. 1 23 32 50 39 10 76 75 47 113 67 Il rischio di scrapie per gli ovini ARQ/ARQ portatori di polimorfismi, stimato attraverso il calcolo dell’OR, è risultato assai inferiore rispetto ai soggetti portatori del genotipo ancestrale ARQwt/ARQwt. Infatti l’effetto protettivo di mutazioni addizionali risultava molto elevato nei focolai B (OR=0.03; CI95% 0.00; 0.20), C (OR=0.01; CI95% 0.00; 0.41) ed E (OR=0.16; CI95% 0.02; 0.80) ed era addirittura completo nei focolai A (OR=0.00; CI95% 0.00; 0.42) e D (OR=0.00; CI95% 0.00; 0.11). Per discriminare maggiormente l’effetto associato alla presenza delle diverse mutazioni è stato calcolato il valore di OR associato a ciascuno dei 7 polimorfismi individuati, rispetto al genotipo ARQwt/ARQwt. Tabella 4 Foc. AT137RQ/XXX AF141RQ/XXX ARQK176/XXX A 0,00 [0,00; 0,94] * 0,00 [0,00; 2,38] 0,00 [0,00; 3,18]* B 0,00 [0,00; 0,33] * 0,11 [0,01; 0,82] * 0,00 [0,00; 0,29] * C 0,00 [0,00; 0,04] * 0,06 [0,01; 0,47] * 0,00 [0,00; 0,03] * D 0,00 [0,00; 0,56] * 0,00 [0,00; 0,46] * 0,00 [0,00; 0,22] * E 0,00 [0,00; 0,68] * 0,26 [0,02; 1,63] 0,00 [0,00; 0,68] * RINGRAZIAMENTI Si ringraziano per l’assistenza tecnica Sara Simeoni, Rita Fanelli, Silvia Luccica, Fortuna Ascione, Emanuela Bovi, Stefania Peddis, Norma Polinomi, Raffaella Parmigiani, Alessia Scarito, Roberto Fucecchi, Fernando Palmerini and Rosalba Giannini. Questa ricerca è stata supportata dalla Ministero della Salute, Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti e dal Network Europeo NeuroPrion. 53 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CODONI DEL GENE CHE CODIFICA PER LA PROTEINA PRIONICA (PRNP) COME MARKER GENETICI PER RUMINANTI SARDI DOMESTICI E SELVATICI Maestrale C., Attene S., Galistu A., Crudeli S., Cabras P., Firinu A., Marongiu E., Ligios C. Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento di Sanità Animale, Laboratorio d'Istopatologia Generale e Patologia e Diagnostica delle TSE – Sassari. Key words: marker genetico, polimorfismo, sequenza Introduzione- Il profilo genetico, cioè la diversità del DNA che rende unico ciascun soggetto, rappresenta una sorta di “impronta digitale” che consente l’identificazione univoca di un animale e la determinazione delle sue relazioni biologiche con altri soggetti. L’analisi del profilo genetico permette agli allevatori di certificare il pedigree dell’animale e di documentare gli attestati di parentela; in campo forense veterinario consente di verificare l’identità dell’animale se ritrovato dopo furto o smarrimento; aiuta le autorità preposte alla salvaguardia del patrimonio nazionale ad affrontare casi di bracconaggio, atti di crudeltà e di commerci illeciti; supporta i ricercatori nella identificazione di specie e del singolo animale. La scelta dei marcatori genetici, ossia dei tratti di DNA genomico caratteristici, dipende dal tipo di indagine che occorre condurre. Nella determinazione di specie, che in campo forense veterinario trova applicazione, ad esempio, nella lotta alla caccia di frodo, al commercio illecito di animali e alle frodi alimentari, vengono scelte sequenze geniche altamente conservate e non polimorfiche. Individui appartenenti ad una stessa specie presentano, infatti, tendenzialmente, la stessa sequenza nucleotidica per quel gene o per parti specifiche di esso (codoni caratteristici) (1). Per la determinazione di individuo, invece, si fa ricorso ai microsatelliti, o Short Tandem Repeats (STR), che sono costituiti da DNA extragenico ripetuto in tandem in unità costituite da 1 a 4 paia di basi ripetute da 10 a 100 volte e aventi un tasso di mutazione genetica molto alto. Gli STR sono di conseguenza caratterizzati da un numero elevatissimo di alleli che si assortiscono tra loro in migliaia di differenti genotipi specifici per specie ed individuo (2). Anche in Sardegna, come nel resto del territorio nazionale il bracconaggio è un’attività illecita assai diffusa ed è rivolta in particolare verso i mufloni, i cervi e i daini che rappresentano specie protette e tutelate (L.R. 23/98 del 29 luglio 1998). In questi casi di bracconaggio spesso le analisi genetiche sono le uniche che possono portare ad una identificazione di specie. In questo lavoro è stato condotto uno studio di ricerca di marker genetici per la differenziazione di pecore, capre, bovini, mufloni, cervi e daini sardi. Tali specie di animali appartengono tutte al sottordine dei Ruminanti e alle due distinte famiglie: Bovidi, con i generi Bos, Ovis e Capra; e Cervidi, con i generi Cervus e Dama (Tab.1). Come tratto di DNA genomico per la ricerca di sequenze peculiari per le diverse specie, è stato scelto il gene che codifica per la proteina prionica (PRNP). Questo gene, infatti, presente in singola copia cromosomiale, nei ruminanti, mantiene un grado di conservazione di oltre il 90% all’interno del sottordine, arrivando a superare quello del 95% nella stessa famiglia, similitudine che spiegherebbe tra l’altro la facilità di trasmissione inter-specie delle malattie prioniche tra bovini, ovini e caprini (3). La parte variabile del gene presenta sequenze codoniche diverse all’interno di famiglie e generi, e anche, all’interno di alcune specie, codoni polimorfici (SNP) che possono codificare per un aminoacido differente oppure per lo stesso aminoacido (mutazione silente) (4). Le sequenze codoniche non polimorfiche diverse tra i generi possono essere deputate a diventare marker genetici importanti per la differenziazione di queste specie di ruminanti. Materiali e metodi- L’analisi della sequenza del gene PRNP è stata condotta su 576 pecore, 466 capre, 20 bovini, 25 mufloni, 5 cervi e 5 daini provenienti dal territorio della Sardegna. L’estrazione del DNA genomico è stata condotta in accordo con il protocollo di “DNeasy ® Blood & Tissue Kit” (Qiagen) su 100 ȝl di sangue o su 25 mg di tessuto vario. L’intero gene PRNP è stato amplificato con i primers: PrP1(+): 5’- CAGGTAACACCCTCTTTATTTTGCAG PrP1(-): 5’- ACCTCTAGAAGATAATGAAAACAGGAAG disegnati sulla sequenza del gene ovino e complementari a regioni fiancheggianti che delimitano un tratto genico della lunghezza di ~800bp. Le sequenze complete del gene sono state ottenute in doppio strand mediante Dye Terminator Sequencing (Applied Biosystems) e l’elettroforesi dei prodotti di sequenza è stata condotta in sequenziatore automatico ABI PRISM 3100 Genetic AnaLyzer a 16 capillari (Applied Biosystems). Ciascuna sequenza ottenuta è stata allineata con il programma Mutation Surveyor e confrontata con la sequenza del gene PRNP di pecora sarda (GenBank AF195247), con l’intento di identificare sequenze codoniche peculiari per ogni specie. Inoltre, le sequenze dei cervi e daini, per il limitato numero di campioni a nostra disposizione, sono state allineate e confrontate con quelle presenti in NCBI di 20 cervi di 6 specie diverse e 4 daini di 2 specie, provenienti da diverse parti del mondo. Risultati e conclusioni- La maggiore variabilità intra-specie, intesa come numero di polimorfismi, è stata rilevata nelle pecore e nelle capre, mentre, per quanto riguarda i mufloni, il gene è risultato quasi totalmente non polimorfico e indistinguibile da quello wildtype della pecora. Anche nei cervi e nei daini, il gene, sebbene diverso da quello ovino per la sequenza di numerosi codoni, è risultato estremamente conservato tra le due specie a ribadirne la vicinanza filogenetica. L’analisi delle sequenze di PRNP bovino ha confermato i dati riportati in letteratura (4, 5) attestando la quasi totale assenza di codoni polimorfici e la differenza nel numero di ripetizioni dell’octapeptide ricco in glicina e prolina che costituisce la parte più conservata della proteina prionica di tutte le specie di mammiferi. Nei bovini analizzati, infatti, le ripetizioni rilevate sono state di 6 o 7, con l’inserzione di 23 o variabilmente 46 nucleotidi all’altezza del codone 70 e del 90, mentre nel resto delle specie analizzate si è sempre confermato di 5. Allineando e confrontando le sequenze complete di tutti gli animali testati in questo studio sono state identificate delle sequenze codoniche non polimorfiche che possono essere deputate a diventare marker genetici. In particolare, la tripletta GTC al codone 21, sinonima di quella che nelle altre specie codifica per la valina nella stessa posizione, caratterizza i cervi; la tripletta GGC al codone 61, sinonima di quella che nelle altre specie codifica per la glicina e quella AAT al codone 138, che sostituisce la serina con l’asparagina, caratterizzano i daini; la sequenza CGT al codone 51 (sinonima di quella CGC in tutti i ruminanti che codifica per l’arginina in questa posizione) caratterizza i bovini, in associazione con la presenza dell’inserzione dei 54 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Più problematica si è rivelata invece la caratterizzazione delle pecore e dei mufloni. Infatti le uniche sequenze peculiari sono risultati i codoni polimorfici 231 e 237 che hanno però una frequenza abbastanza ridotta tra le pecore (42%) ed inoltre sono presenti anche nel gene del muflone. Tuttavia la distinzione del genere Ovis è resa possibile dall’assoluta assenza delle sequenze marker segnalate per le altre specie. In funzione di tali considerazioni, si può concludere che i marker genetici individuati su PRNP sembrano indicati a discriminare ruminanti appartenenti allo stesso genere ma non a specie diverse all’interno dello stesso genere. Infatti non sono state trovate sequenze in grado di distinguere pecore da mufloni che appartengono entrambi al genere Ovis. Per risolvere tale problema è in corso nel nostro laboratorio uno studio di STR che costituiscono un pannello di 11 marcatori polimorfici ad elevato potere discriminativo per le pecore, suggerito dall’ISAG (International Society of Animal Genetics). Tali polimorfismi sono risultati presenti anche nel genoma del muflone sardo, e presumibilmente uno studio approfondito di questi alleli e della loro variabilità nelle le due specie potrà rilevare delle differenze importanti per la loro discriminazione. nucleotidi deputati a codificatre per uno o due octapeptidi aggiuntivi della proteina (Tab.1). Per le pecore, mufloni e capre non sono state individuate, invece, sequenze non polimorfiche caratteristiche. Tuttavia le mutazioni silenti ai codoni 231 (AGGĺACG) e 237 (CTCĺCTG) sono state rilevate esclusivamente nelle pecore e nei mufloni, sebbene con frequenza differente tra le due specie (rispettivamente del 42% e del 84%); mentre i polimorfismi silenti ai codoni 42 (CCGĺCCA) e 138 (AGCĺAGT) sono risultati tipici delle capre il cui gene presenta sempre almeno una delle due sostituzioni in forma etero o omozigote. Da rilevare che la sequenza caprina a livello del codone 138 è sempre differente da quella scelta come marker per differenziare il daino (Tab.1). I marker genetici rilevati per i bovini, cervi e daini, essendo sequenze sinonime non polimorfiche del gene, risultano essere marker più “sicuri” in quanto sempre presenti e non variabili. Tuttavia anche la discriminazione delle capre, pur basata sull’analisi di polimorfismi variabili, sembra essere possibile in quanto non sono stati individuati animali il cui gene risulti privo di entrambe le mutazioni silenti scelte come marker. Tab.1- Parziale albero filogenetico dei ruminanti analizzati in questo lavoro e sequenze dei codoni di PRNP scelte come marker genetici per la differenziazione dei diversi generi. Nello schema si evidenzia che le sequenze codoniche permettono di distinguere i diversi generi mentre sono insufficienti per distinguere le specie. SOTTORDINE FAMIGLIA GENERE SPECIE MARKER GENETICI IN PRNP Cervus Cervus elaphus corsicanus Codone 21 (GTC) Dama Dama dama Codone 61 (GGC) e codone 138 (AAT) Bos Bos taurus Codone 51 (CGT) e 23-46 bp in aggiunta Ovis Ovis aries Ovis musimon Cod. 231(AGGĺACG) -cod. 237(CTCĺCTG) oppure assenza degli altri marker Capra Capra hircus Cod. 42(CCGĺCCA) –cod. 138(AGCĺAGT) Cervidi Ruminanti Bovidi Milan D., Hammond K., Cardellino R., Haley C. and Plastow G. Genetic diversity in European pigs utilizing amplified fragment length polymorphism markers (2002). Anim Genet. 2002 Feb ;33 (1):72-3 11849142 3. Wlilesmith J.W., Ryan J.B.M. and Atkinson M.J. Bovine spongiform encephalopathy: epidemiological studies on the origin. (1991) Vet Rec. Mar 2;128(9):199-203. 4. Lee I.Y., Westaway D., rian F.A. Smit A. F.A., Wang K, Seto J., Chen L., Acharya C., Ankener M., Baskin D., Cooper C., Yao H., Prusiner S. B. and Hood L.E. Complete Genomic Sequence and Analysis of the Prion Protein Gene Region from Three Mammalian Species (1998) Vol. 8, Issue 10, 1022-1037 5. Hunter N. PrP genetics in sheep and the applications for scrapie and BSE (1997) Trends Microbiol Aug;5(8):331-4. Review Summary – The aim of this work was to identify genetic markers in prion protein gene (PRNP) in order to characterize different species of Ruminant suborder. Sequencing and annealing the whole PRNP gene from 576 sarda sheep, 466 goats, 20 cattles, 25 muflons, 5 elks and 5 deers we identified conserved characteristic sequences and polymorphic codons able to distinguish the animal genus. Bibliografia 1. Foulley J-L, van Schriek MGM, Alderson L, Amigues Y, Bagga M, Boscher M-Y, Brugmans B, Cardellino R, Davoli R, Delgado JV, Fimland E, Gandini GC, Glodek P, Groenen MAM, Hammond K, Harlizius B, Heuven H, Joosten R, Martinez AM, Matassino D, Meyer J-N, Peleman J, Ramos AM, Rattink AP, Russo V, Siggens KW, Vega-Pla JL, and Ollivier L. Genetic Diversity Analysis Using Lowly Polymorphic Dominant Markers: The Example of AFLP in Pigs (2006). Journal of Heredity 97(3):244-252 2. SanCristobal M., Chevalet C., Peleman J., Heuven H., Brugmans B., van Schriek M .,. Joosten R., Rattink A. P., Harlizius B., Groenen M. A. M., Amigues Y., Boscher M.-Y., Russell G., Law A., Davoli R., Russo V., Dèsautés C., Alderson L., Fimland E., Bagga M., Delgado J. V., Vega-Pla J. L., Martinez A. M., Ramos M., Glodek P., Meyer J. N., Gandini G., Matassino D., Siggens K., Laval G., Archibald A., Lavoro effettuato con i fondi della ricerca corrente IZS SA 05/07 RC del Ministero della Salute 55 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VALUTAZIONE DI MARCATORI GENETICI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE E VALIDAZIONE DEL PROTOCOLLO OPERATIVO STANDARD Riina M.V.1, Colussi S.1, Peletto S.1, Trisorio S.1, Mignone W.2, Dellepiane M.3, Robetto S.4, Domenis L.4, Orusa R.4, 1 1 Caramelli M. , Acutis P.L. 1 CEA-Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Torino. 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Imperia. 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Savona. 4 CERMAS-Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Aosta. Key words: citocromo b, citocromo ossidasi subunità I, validazione. SUMMARY – Until recently, species identification has relied on phenotypic traits or biochemical markers, but technologies based on DNA analysis seem to be more suitable. Aim of this work is the evaluation of the mitochondrial cytochrome b and cytochrome oxidase I genes as genetic markers for the identification and discrimination of animal species for veterinary forensic purposes. Results of the validation method are presented. Two examples of its usefulness are also described as case reports. INTRODUZIONE – L’identificazione di specie animali risulta essere un valido strumento per ostacolare fenomeni di caccia illecita, pesca e commercio illegale, per evitare frodi, errata etichettatura o sostituzioni e per affiancare studi di classificazione tassonomica. Fino ad ora ci si è avvalsi del riconoscimento morfologico, ma spesso questo tipo di analisi non è adeguato e può portare ad un’identificazione incerta, per esempio in caso di rimozione delle caratteristiche tassonomiche. L’identificazione di specie può essere condotta anche mediante indagini immunologiche, ma con queste metodiche si possono identificare solo quelle specie per le quali è stato sviluppato l’anticorpo. Possono essere effettuati, in alternativa, studi sul profilo proteico, che però non danno informazioni sufficienti in caso di trattamento termico del campione. Il progresso della genetica molecolare ha introdotto un nuovo approccio che è basato sulla diversità della sequenza nucleotidica tra le diverse specie in particolari regioni di DNA chiamate marcatori genetici. In questo lavoro si sono messi a confronto i risultati ottenuti mediate il sequenziamento di due porzioni mitocondriali altamente conservate all’interno della stessa specie: il gene che codifica per il citocromo b (cytb) e quello per la citocromo ossidasi subunità I (COI), ampiamente usati per l’identificazione di specie e per stabilire relazioni filogenetiche tra di esse. Si riportano, inoltre, i risultati della validazione della metodica e la sua applicabilità nella risoluzione di due casi in ambito forense. MATERIALI E METODI – Il DNA di 26 specie animali (Balaenoptera physalus, Bos taurus, Bubalus bubalis, Canis familiaris, Capra hircus, Capreolus capreolus, Cervus elaphus, Cyprinus carpio, Dama dama, Delphinus delphis, Equus caballus, Felis catus, Gallus gallus, Gramphus griseus, Homo sapiens, Lepus europaeus, Meleagris gallopavo, Ovis aries, Rupicapra rupicapra, Stenella coeruleoalba, Steno bredanensis, Sus scrofa, Sylvilagus floridanus, Tetrao tetrix, Tursiops truncatus, Ziphius cavirostris) è stato estratto da sangue o altri tessuti, usando kit per purificazione di DNA disponibili in commercio. I geni cytb e COI sono stati amplificati in una reazione simplex di PCR modificando i protocolli pubblicati da Verma et al. (3) e da Dawnay et al. (2), rispettivamente. Nella mix di PCR è stata utilizzata la uracil-DNA glicosilasi per minimizzare i problemi legati al carry-over. Dopo aver verificato la corretta amplificazione dei frammenti di cytb e COI rispettivamente di 472bp e 658bp su gel di agarosio al 2% con bromuro di etidio, si è proceduto al sequenziamento di entrambi i filamenti su ABI Prism 3130 Genetic Analyzer. Le sequenze ottenute sono state allineate con il programma SeqMan e la sequenza consensus è stata confrontata con quelle depositate nel database pubblico NCBI usando il programma MegaBlast. Con il programma MegAlign, ogni consensus è stato confrontato con le sequenze a più alto match ottenute dall’allineamento con MegaBlast al fine di controllare la percentuale di similarità e i siti variabili. Sulla base dei risultati ottenuti è stata prodotta una procedura operativa standard per il solo cytb ed è stata allestita una validazione della metodica analizzando 5 animali delle suddette specie, provenienti da aree geografiche diverse, per calcolare la specificità e per valutare la variabilità intraspecifica (1) (4). Per i case report, in aggiunta, è stato eseguito un allineamento con il programma MegAlign per effettuare un diretto confronto tra la sequenza del frammento di cytb del campione e le sequenze delle specie potenzialmente coinvolte. Sono state calcolate le distanze genetiche ed è stato costruito l’albero filogenetico. Il test di confidenza bootstrap è stato usato per determinare il significato statistico dell’assegnazione di specie, assumendo che un valore di bootstrap 70% solitamente corrisponde a una probabilità 95% che il cluster corrispondente sia vero. RISULTATI E DISCUSSIONE – Tutte le specie sono state correttamente identificate dall’analisi mediante il cytb, che quindi ha rivelato un buon potere discriminatorio. Il valore di Query Coverage è stato 97%-100%, mentre il range di Max Identity ottenuto era 95%-99%. Il marker non è stato in grado di discriminare specie filogeneticamente vicine appartenenti al genere Felis, Canis e Bos. campione GATTO CANE BOVINO Bos taurus Felis catus Canis familiaris / gene cytb / / Bos frontalis Felis silvestris Canis lupus / (Bos indicus) Il COI ha mostrato in generale una buona capacità di discriminazione tra le specie, con valori di Query Coverage pari al 96%-99% e una Max Identity di 87%-99%. Il suo impiego, però, non è stato efficace per riconoscere specie filogeneticamente vicine appartenenti al genere Felis e Canis. Inoltre, nessun risultato è stato ottenuto per le specie Ovis aries, Capra hircus e Rupicapra rupicapra dovuto al fatto che il set di primer impiegato non è in grado di legarsi alla sequenza del gene COI di queste specie. Si ritiene necessario disegnare un nuovo set di primer universali tale da consentire l’amplificazione della zona variabile delle diverse specie. Altresì, i database pubblici sono ancora molto carenti in termini di numero di sequenze depositate. 56 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Nessuna sequenza di Capreolus capreolus risulta essere depositata nel database NCBI: i più alti valori di identità si sono ottenuti con le sequenze di Rangifer tarandus, Cervus elaphus e Cervus nippon. L’allineamento delle sequenze di queste quattro specie e il calcolo della matrice di distanza hanno mostrato che il capriolo ha un elevato grado di divergenza con la renna, il cervo europeo e il cervo sika. Questo ha portato alla conclusione che il COI è in grado di discriminare la specie Capreolus capreolus. campione gene COI GATTO Felis catus / Felis silvestris CANE Canis familiaris / Canis lupus CAPRA CAMOSCIO Specie non assegnabile Oryctolagus cuniculus OVINO Case Report n°2 Da una segnalazione alla guardia forestale è stato rinvenuta, nel congelatore di un privato cittadino, la carcassa di un animale appartenente all’oridine Lagomorpha. Su richiesta del servizio CITES era necessario stabilire se l’animale appartenesse ad una specie domestica: secondo la legge italiana 157/92 questo cittadino poteva essere perseguibile di reato non essendo un cacciatore. Il test del bootstrap ha indicato che la sequenza del campione in esame clusterizzava con la sequenza della specie S. floridanus con una probabilità 95%. Specie non assegnabile Specie non assegnabile S .floridanus I risultati preliminari sulla capacità discriminatoria di questi due marcatori genetici hanno condotto alla stesura della procedura operativa standard per l’utilizzo del solo cytb e alla sua validazione. La specificità è risultata essere pari al 100% per tutte le 26 specie prese in esame. Il suino e il cinghiale, correttamente identificati come specie Sus scrofa, non sono distinguibili tra loro, in quanto occorrerebbe arrivare alla distinzione della sottospecie. L’utilizzo di MegaBlast non consente di distinguere le specie filogeneticamente vicine quali F.catus/F.silvestris e C.familiaris/C.lupus. Un’analisi più accurata con SeqMan, però ha mostrato una similarità del 100% delle sequenze di gatto e cane con la vera specie di appartenenza. La situazione è risultata essere più complicata per le specie appartenenti al genere Bos, in quanto non sembra essere possibile una discriminazione tra B.taurus e B.frontalis data la similarità delle sequenze depositate. L’analisi della variabilità intra-specifica ha rivelato un basso tasso di variazione nucleotidica del frammento di cytb, con un valore di divergenza 3%. Le differenze interessavano siti variabili e non siti diagnostici per la specie, indice del fatto che la variabilità intra-specifica non inficia il potere discriminatorio di tale marker. Contig_1= campione Il protocollo utilizzato per condurre indagini forensi è risultato efficace: la ricerca con MegaBlast per determinare la specie di appartenenza e il successivo controllo dei siti variabili e diagnostici tra il campione e le specie possibilmente interessate si sono rivelati un buon approccio per la risoluzione di questo tipo di casi. Dallo studio sui marcatori, si ritiene necessario creare una propria banca dati con sequenze di riferimento. Uno dei prossimi obbiettivi che questo lavoro si pone è quello di implementare il proprio database nel quale sono già state inserite le sequenze delle specie utilizzate per la validazione della metodica. Case Report n°1 Parte di una carcassa mummificata appartenente ad un felide è stato rinvenuto in un comune in provincia di Imperia, dove si ipotizza il ritorno della lince. La conferma pare giungere da alcuni fenomeni di predazione a carico di animali domestici che si sono verificati nella zona e che però da qualche tempo sono cessati. La necessità di identificare la specie dell’animale trovato era, quindi, per confermare la presenza della lince. Alternativamente si supponeva che i resti fossero di un gatto domestico o selvatico. L’esame ha interessato porzioni di cute della coda e alcuni peli della stessa. Il confronto della sequenza del cytb con MegaBlast ha identificato il campione come appartenente alle specie Felis catus/Felis silvestris. Tale risultato è stato confermato anche dall’allineamento delle sequenze con il programma MegAlign. BIBLIOGRAFIA – 1) Branicki W., Kupiec T., Pawlowski R. “Validation of cytochrome b sequence analysis as a method of species identification”. Journal of Forensic Sciences 48(2003) 83-87. 2) Dawnay N., Ogden R., McEwing R., Carvalho G.R., Thorpe R.S. “Validation of the barcoding gene COI for use in forensic genetic species identification”. Forensic Science International 173 (2007) 1-6. 3) Verma S.K. and Singh L. “Novel universal primers establish identity of an enormous number of animal species for forensic application”. Molecular Ecology Notes (2003) Primer Note. 4) “Validation section of the Guidelines for a Quality Assurance Program for the DNA Analysis by the Technical Working Group on DNA Analysis Methods (TWGDAM)”. Crime Laboratory Digest 22 (1995) 21-43. 57 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 GENOTIPIZZAZIONE INDIVIDUALE NELL’AMBITO DEL PIANO STRAORDINARIO PER LE EMERGENZE SANITARIE Scasciamacchia S. (1) (1) (1) (1) (2) (3) , Garofolo G. , Chiocco D. , Losito S. , Mongelli O. , Avetta M. , Fasanella A. (1) (1) (2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Unità Operativa C.P.O. Laboratorio di biotecnologie, Foggia (Italy); Servizi (3) Veterinari Regione Puglia; Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti Key words: Short Tandem Repeat, genotipizzazione, bovini, bufali Introduzione unica e si configura come una vera impronta digitale genetica (“DNA Fingerprint”) (5, 6). I loci target vengono amplificati in PCR utilizzando primers fluorescinati e successivamente sequenziati. L’analisi consiste in un’elettroforesi capillare che separa i frammenti in base alla dimensione. Il sequenziatore è in grado di convertire il segnale luminoso emesso dai fluorocromi in un impulso elettrico che nell’elettroferogramma si visualizza come un picco allelico (Fig.1). Il Piano straordinario in Puglia In Italia i piani di eradicazione per le principale zoonosi sono in vigore da più di venti anni, e se da un lato ci sono regioni che hanno ampiamente raggiunto l’obiettivo, ve ne sono altre in cui tale risultato non solo stenta ad arrivare, ma sembra che addirittura ci sia una tendenza ad un incremento dei casi umani (1). Alla luce di questi allarmanti dati epidemiologici, la Commissione Europea con il report DG(SANCO)/8204/2006 (2) raccomanda l'adozione di efficaci misure di controllo. Il Ministero della Sanità, in ottemperanza alle suddette linee guida ha emanato l'ordinanza 14 novembre 2006: «Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovicaprina, leucosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia» (3), che potenzia ed integra le preesistenti normative. In particolar modo, in caso di notifica ufficiale della positività degli animali, il Servizio veterinario deve provvedere a contrassegnare ed identificare in maniera univoca tutti i capi da abbattere o mediante l'applicazione del bolo endoruminale ceramico o mediante il test genetico comparativo (verifica della corrispondenza genetica fra i campioni prelevati dallo stesso individuo in momenti differiti: allevamento e macello). La regione Puglia per le specie bovina e bufalina ha adottato l'identificazione genetica, mentre per gli ovini e caprini l'identificazione elettronica ( bolo endoruminale ceramico). Il piano straordinario di genotipizzazione individuale è di durata triennale e ha coinvolto l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (IZS PB) nella parte del piano che prevede l’identificazione genetica. I campioni di cute prelevati sul territorio regionale vengono inviati all’IZS PB che provvede alla registrazione, all’appaiamento (campione dall’allevamento e campione dal macello) e infine alla processazione. I campioni vengono dichiarati omologhi quando, nel confronto fra i due genotipi appartenenti allo stesso individuo, il pattern allelico risulta identico e del tutto sovrapponibile. In caso di eventuale mancanza della corrispondenza genetica, l’IZS PB comunica tale risultato al Ministero della Salute, ai Servizi Veterinari della Regione Puglia, al Servizio Veterinario della ASL di competenza, al Comando Carabinieri N.A.S. Fig.1 - Software Genemapper 4.0: elettroferogramma di campione bovino Materiali e Metodi Il test di genotipizzazione prevede 4 fasi: appaiamento dei 2 campioni dello stesso individuo; estrazione del DNA; amplificazione in Polymerase chain reaction (PCR) dei loci target; analisi dei microsatelliti. Appaiamento campioni Tutti i campioni provenienti dal macello vengono appaiati ai corrispettivi dell'allevamento precedentemente pervenuti, e registrati in un database. Estrazione del DNA L’estrazione del DNA genomico dal tessuto cutaneo viene realizzata con il Kit DNeasy BLOOD AND TISSUE KIT (Qiagen). PCR Per la specie bovina si amplificano 11 loci target: TGLA227, BM2113, TGLA53, ETH10, SPS 115, TGLA126,TGLA122,INRA23,ETH3, ETH225, BM1824 (7, 8). La PCR è allestita in un unica reazione nel termociclatore Applied Biosystem GeneAmp PCR sistem 9700. Per la specie bufalina si amplificano 14 loci target: D5S2, INRA006, CSSM19, BM1706, RM4, CSSM42, INRA026, MAF65, BMC1013, BM0922, CYP21, CSSM47, CSSM38, CSSM60 (7,9,10). La PCR è Il Test adottato Il protocollo analitico di genotipizzazione è basato sull'analisi dei microsatelliti (STR analysis) secondo gli standard ISAG (International Society of Animal Genetics) (4). I microsatelliti o STR, sono brevi sequenze oligonucleotidiche, altamente variabili, ripetuti in tandem, uniformemente e casualmente distribuiti nel genoma. Per il loro elevato grado di polimorfismo, in ciascun individuo la combinazione dei microsatelliti è 58 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 allestita in due multiplex nel termociclatore Applied Biosystem GeneAmp PCR sistem 9700. Analisi dei microsatelliti Gli amplificati vengono diluiti 1:20 in acqua deionizzata bidistillata sterile e caricati con 9,25μl di HiDi formamide e 0,25μl di Liz 500 (Applied Biosystem) sul sequenziatore ABI-Prism 3130. Le corse elettroforetiche vengono analizzate con il software Genemapper 4.0 (Applied Biosystem) per l'attribuzione dei size allelici e la successiva analisi comparativa. Ogni campione viene processato in doppio. caratteri morfologici di interesse zootecnico, nonché la selezione genetica. E’ su questi aspetti che suggeriamo alla competenti autorità sanitarie di estendere tale metodo identificativo alle altre specie di animali coinvolte nel piano (pecore e capre soprattutto). Bibliografia 1. Chiara I., Filippo R. et al. (2006), Live Nativity and Brucellosis, Sicily. Emerging Infectious Disease Vol.12 Number 12 2. European Commission Directorate F-Food and Veterinary Office DG(SANCO)/8204/2006-MR Final; 3. Ordinanza Ministeriale 14 novembre 2006: «Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovicaprina, leucosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia» Gazzetta Ufficiale N. 285 del 7 Dicembre 2006 4. International Society of Animal Genetics [http://www.isag.org.uk] 5. Barendse W., Armitage S.M.et al. (1994), A genetic linkage map of the bovine genome. Nature Genetics Vol.6 227-235 6. Bishop M.D., Kappes S.M. et al. (1994), A genetic linkage map for cattle. Genetics Vol.136 619-639 7. Joint ISAG/FAO Standing Committee. (2004). Secondary Guidelines, Measurement of Domestic Animal Diversity (MoDAD): Racommended Microsatellite Markers 8. The Roslin Institute, Royal (Dick) School of Veterinary Studies, University of Edinburgh [http://www.projects.roslin.ac.uk/cdiv/markers.html] 9. Capparelli R, et al. (2007). Protective effect of the Nramp1 BB Genotype against Brucella abortus in water Buffalo(Bubalus bubalis) Infection and Immunity, Feb 2007, p. 988-996 10. Borriello G., et al. (2006), Genetic Resistance to Brucella abortus in the Water Buffalo (Bubalus bubalis) Infection and Immunity, Apr. 2006, p.2115-2120 Risultati Nel primo anno del piano straordinario sono pervenuti presso l’IZS PB, 607 coppie di campioni, di cui 72, pari all’11,86%, sono risultati non idonei in quanto nelle provette risultava essere presente una quantità di materiale non sufficiente per effettuare il test. La creazione di un data base ha permesso di superare le difficoltà relative all’appaiamento dei campioni. Tuttavia i tempi di attesa, anche se molto ridotti rispetto ai primi mesi, si mantengono ancora relativamente lunghi soprattutto per l’identificazione di quegli animali per i quali la seconda aliquota proviene da macelli fuori regione. Discussione Il test di genotipizzazione individuale è la metodica analitica scientificamente più valida per l’attribuzione dell'identità genetica univoca e difficilmente contestabile. I primi risultati sul suo utilizzo in un programma sanitario straordinario mostrano dei punti di debolezza e dei punti di forza. I punti di debolezza sono rappresentati dal fatto che questo è un test che si basa sul doppio prelievo che viene effettuato sullo stesso animale in posti e da attori diversi e questo può determinare un rallentamento dei tempi di risposta. Tuttavia uno degli aspetti più importanti del piano di emergenza basato sulla identificazione genetica è che esso rappresenta un ottimo sistema per la tracciabilità dei capi dichiarati infetti, poiché l'ulteriore verifica è attuata da un ente terzo, in questo caso l’IZS PB, che agisce con un ruolo che va ad integrare il controllo effettuato dai Servizi Veterinari delle ASL. Inoltre l’IZS diventa anche collettore di preziosi dati in grado di fornire in tempo reale lo stato dell’arte relativo alla fase di eliminazione dei capi infetti. In campionamenti in vivo per l'identificazione genetica, risultano poco cruenti e pertanto potremmo affermare che essa, rispetto alla elettronica, osserva una maggiore tutela del benessere animale. Una certa attenzione andrebbe rivolta al dato che riguarda i campioni non idonei, la totalità dei quali è rappresentata da prelievi di cute effettuati in allevamento e giunti presso l’IZS privi di contenuto. Per ovviare a questo genere di errori nella manualità, occorrerebbe migliorare la formazione del personale sul campo, ponendo attenzione non solo agli aspetti legati alla quantità di materiale da prelevare ma curando anche la qualità dello stesso al fine di evitare forme di inquinamento del DNA dovuto ai contatti tra campioni diversi. L’analisi dei microsatelliti offre molteplici vantaggi, è facilmente standardizzabile e il risultato è sempre ripetibile, inoltre questa tecnica è già ampiamente applicata con successo in altri settori come la tracciabilità di filiera, la determinazione della parentela, lo studio di genetica delle popolazioni e lo studio dei SUMMARY The authors show the results about the individual genotyping test on infected animals adopted in Puglia in compliance with the extraordinary emergency plan (O.M. 14 Novembre 2006) to eradicate infectious disease. Were collected 607 double samples but 72 were not suitable for the test. In fact the amount of the material was not sufficient to obtain the DNA for the amplification and identification. In conclusion the individual genotyping analysis is a good method to verify the correct elimination of infected animals in the infectious disease eradicate plans. Collaborazione tecnica: Ester Valentina D’ADDETTA, Gilda OCCHIOCHIUSO, Angela ACETI 59 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LEGAME TRA MAGNETISMO E PROTEINA PRIONICA Balzano F.1, Basagni M.1, Marongiu A.2, Ligios C. 2, Fresu S.1 and Sanna V.1, 1 2 PRION DIAGNOSTICA srl, Porto Conte, Fraz. Tramariglio, 07041, Alghero (SS), Italia; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Via Duca degli Abruzzi, 07100, Sassari, Italia. ABSTRACT The mechanism of conversion of the normal prion protein (PrPC) into aggregates of its pathological conformer (PrPSc) remain unclear. The aim of this study was to evaluate the effects induced by exposure of biological samples containing PrPSC to a magnetic field. The results show that the magnetic field induced prominent molecular changes of samples indicated by the IR spectra located in the region that contains contribution primarily from absorption of amides. This finding suggest the existence of a strong correlation between the magnetism and PrPsc. Gli spettri IR sono stati acquisiti nel range tra 4000 e 400 cm 1 utilizzando uno Spettrometro FT-IR ed elaborati con OPUS INTRODUZIONE 6.0 ed Origin Pro 8. Le malattie da prione, note come Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), rappresentano un gruppo di malattie RISULTATI E DISCUSSIONE neurodegenerative con esito fatale che includono la malattia di Creutzfeldt–Jakob nell’uomo e le Encefalopatie L’analisi mediante FT-IR è una tecnica utilizzata per rilevare Spongiformi Bovine (BSE) nei bovini e la scrapie negli ovini specifiche informazioni biochimiche relative a proteine (1). Tali malattie sono caratterizzate da un accumulo di distribuite in diversi tessuti (4). placche amiloidi in particolari regioni del cervello ed altri In Fig. 1 è riportato uno spettro FT-IR tipico ottenuto tessuti, generate da depositi di aggregati dell’isoforma dall’analisi eseguita su campioni di omogenato di cervello di Sc C patogena (PrP ) della proteina cellulare prionica (PrP ) (2). animali sani e affetti da scrapie trattati. Le bande di assorbimento corrispondono alle vibrazioni dei differenti Il ruolo funzionale della proteina PrPC ed i meccanismi alla gruppi funzionali contenuti nelle proteine, lipidi, carboidrati e base della sua conversione nella forma PrPSc non sono stati acidi nucleici presenti nel campione. In particolare, le bande ancora chiariti. E’ stato dimostrato che tale trasformazione è di maggiore interesse, evidenziate nell’immagine, risultano associata al passaggio da una struttura ricca di D-eliche -1 C Sc quelle comprese tra 3000 e 2838 cm , relative agli stretching (PrP ) ad una più ricca di foglietti EPrP ) conseguente ad vibrazionali dei gruppi CH e CH , e quelle tra 1750 e 1480 2 3 un riarrangiamento spaziale della proteina (3). -1 , relative all’ assorbimento delle ammidi I e II delle cm Obiettivo di questo lavoro è stato valutare gli effetti indotti proteine (4). dall’esposizione ad un campo magnetico su campioni biologici contenenti la proteina prionica nell’isoforma Fig. 1: tipico spettro FT-IR ottenuto dall’analisi di omogenati patologica. di cervello ovino trattato MATERIALI E METODI I campioni biologici utilizzati provenienti da due ovini sani (denominati negativi) e da due ovini affetti da Scrapie (denominati positivi) sono stati preparati sospendendo 5 mg di omogenato di cervello in 10 ml di Phosphate Buffered Saline (PBS, 1x). I materiali nanostrutturati utilizzati sono state sintetizzati presso i laboratori della Prion DGN (Porto Conte Ricerche). Trattamento dei campioni biologici I campioni biologici positivi provenienti da due animali diversi sono stati suddivisi in tre aliquote da 10 ml. Ciascun campione è stato separato in due frazioni da 5 ml ed in una frazione è stata inserita un’ ancoretta magnetica che è stata lasciata a contatto col campione per circa 15 minuti e successivamente rimossa. Entrambe le aliquote (trattata e non trattata con magnete) sono state incubate in presenza dei nano materiali, secondo una procedura originale, a temperatura ambiente e mantenute in agitazione per 2 ore. Dopo incubazione e separazione, i campioni sono stati essiccati a 60 °C per una notte. I risultati ottenuti hanno messo in evidenza delle differenze sostanziali tra i campioni analizzati (trattati e non con magnete) individuate nella regione delle ammidi (1750-1480 cm-1). Come rappresentato in Fig. 2, gli spettri IR dei campioni non esposti al magnete (linee grigie) mostrano la banda di assorbimento dell’ammide I a 1640 cm-1 e una bassa e -1 slargata banda dell’ammide II a 1537 cm . Il trattamento dei campioni provenienti dallo stesso animale con il magnete produce delle modifiche degli spettri di assorbimento (linee Caratterizzazione dei campioni I campioni essiccati sono stati successivamente inglobati in pastiglie di KBr (1%, p/p) ed analizzati mediante Spettrometria infrarossa in trasformata di Fourier (FT-IR). 60 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 -1 nere) con uno shift della banda dell’ammide I a 1637 cm e -1 del picco dell’ammide II a 1540 cm . Il profilo degli spettri dei campioni trattati con magnete risulta praticamente sovrapponibile a quello di campioni provenienti da animali sani (linea tratteggiata) riportato come termine di confronto. Fig. 2: spettri IR di un campione positivo trattato con magnete (linea nera) e non trattato con magnete (linea grigia) confrontati con un campione di riferimento negativo (linea tratteggiata). Gli esperimenti sono stati eseguite in tre repliche La stretta analogia riscontrata tra i campioni trattati con magnete ed i campioni negativi suggerisce che la stessa SC sia stata attratta dal magnete e di conseguenza PrP allontanata. Sulla base di questa evidenza si può ipotizzare che la trasformazione della proteina PrP cellulare in patologica possa essere associata ad un cambiamento delle caratteristiche fisiche della proteina, come l’acquisizione di proprietà magnetiche del dominio globulare 27-30. Questa suggestiva ipotesi trova conferma nelle capacità fisiche intrinseche di resistenza a temperature elevate, e potrebbe essere alla base dei riaggiangiamenti dei legami chimici che avvengono nella molecola a livello della struttura secondaria e terziaria (Prusiner, 1997). Questi risultati preliminari, se ulteriormente confermati, contribuiscono a supportare in maniera indiretta la teoria da noi formulata e potrebbero trovare interessanti applicazioni nel trattamento dei fluidi biologici (latte e sangue) contaminati da proteina prionica. Tali risultati sono stati confermati su un campione positivo proveniente da un animale diverso, sottoposto allo stesso trattamento. Anche in questo caso, gli spettri IR dei campioni non esposti al magnete (linee grigie) mostrano la banda -1 dell’ammide I a 1637 cm e una bassa e slargata banda dell’ammide II a 1542 cm-1. Il trattamento con il magnete -1 produce uno shift della banda dell’ammide I a 1632 cm e del -1 picco dell’ammide II a 1544 cm (Fig. 3), simile allo spettro del campione utilizzato come confronto. RINGRAZIAMENTI Si ringraziano la Prof. A. Pusino e la Dott.ssa M.V. Pinna, il Dott. L. Ligios, la Dott.ssa C. Santucciu, Dott.ssa MG Tilocca. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (1) Hicks MR, Gill AC, Bath IK, Rullay AK, Sylvester ID, Crout DH, Pinheiro TJT. 2006. Synthesis and structural characterization of a mimetic membrane-anchored prion protein. FEBS Journal. 273:1285–99 (2) Prusiner SB. 1998. Prions. Proc. Nat. Acad. Sci. USA.; 95:13363-83 (3) Pan KM, Baldwin M, Nguyen J, Gasset M, Serban A, Groth D, et al. 1993. Conversion of Dhelices into E-sheets features in the formation of the scrapie prion proteins. Proc Natl Acad Sci USA. 90:10962–66 (4) Kneipp J, Beekes M, Larsch P. Naummann D. 2002. Molecular changes of preclinical scrapie can be detected by infrared spectroscopy. Journal of Neuroscience. 22(8): 2989-97 Fig. 3: spettri IR di un campione positivo trattato con magnete (linea nera) e non trattato con magnete (linea grigia) confrontati con un campione di riferimento negativo (linea tratteggiata). Gli esperimenti sono stati eseguite in tre repliche 61 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 BACKGROUND FILOGENETICO E PROFILI DI VIRULENZA IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI SENSIBILI E RESISTENTI ALLA CIPROFLOXACINA ISOLATI DA UOMO E DA SPECIE AVIARE 1 2 3 4 5 2 1 1 2 Graziani C. , Luzzi I. , Corrò M. , Tomei F. , Parisi G. , Accogli M. , Morabito S. , Caprioli A. , Cerquetti M. 1 2 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Roma; Istituto Superiore di Sanità, 3 Dipartimento di Malattie infettive, Parassitarie ed Immunomediate, , Roma; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venzie, Legnaro; 4 5 Laboratorio Bios, Roma; Ospedale San Camillo Forlanini, Roma Key words: Escherichia coli, geni di virulenza, gruppo filogenetico SUMMARY Previous studies have suggested that human fluoroquinolone (FQ) resistant Escherichia coli strains probably emerged as a consequence of fluoroquinolone use in poultry. This study aims to provide further insight on the possible avian origin of human FQ-resistant extra-intestinal pathogenic E. coli (ExPEC) strains. Determinazione del pulsotipo mediante elettroforesi in campo pulsato (PFGE): Le correlazioni genetiche tra 40 ceppi appartenenti al principale profilo di virulenza (traT-iucD-iutA) è stata determinata attraverso la PFGE. I profili PFGE sono stati analizzati con il Software del BioNumerics. INTRODUZIONE Le infezioni extra-intestinali causate da ceppi patogeni di E. coli sono molto comuni sia nell’uomo (ExPEC) che nelle specie aviarie (APEC). Nelle specie avicole, tali infezioni sono note come colibacillosi e rappresentano una delle principali cause di mortalità con danni economici rilevanti per gli allevatori (2). Fattori di virulenza quali adesine, tossine, fattori per l’acquisizione del ferro e invasine, che permettono di superare le difese dell’ospite, invaderne i tessuti e causare malattia, sono stati evidenziati sia negli ExPEC che negli APEC. I fluorochinoloni sono considerati farmaci di scelta per il trattamento di infezioni da ExPEC e l’incremento negli ultimi anni dei ceppi resistenti ai fluorochinoloni ha destato preoccupazione per la sanità pubblica. Questi farmaci sono ampiamente utilizzati anche in medicina veterinaria e diversi ceppi resistenti di E. coli sono stati isolati nelle specie aviarie. E’ stata così ipotizzata una probabile origine zoonotica di questi patogeni che possono infettare l’uomo attraverso l’ingestione di cibo contaminato ed in particolare prodotti avicoli. Lo scopo di questo studio è di fornire indicazioni sulla probabile origine aviaria dei ceppi ExPEC fluorochinoloni resistenti attraverso lo studio del background filogenetico e il profilo dei geni di virulenza in ceppi isolati dall’uomo e da specie aviaria. Analisi dei dati: L’analisi e la comparazione dei dati è stata effettuata utilizzando EpiInfo2000 version 3.3.1 (CDC, Atlanta 2005) e il chi-square test or Fisher exact test. Il valore limite per la significatività statistica è stato P 0.05. RISULTATI E DISCUSSIONE L’analisi dei risultati ha mostrato in generale che (Tabella 1): x i geni riscontrati con maggiore frequenza sono quelli associati all’invasione dei tessuti (iutA, iucD, iroN, traT); x i ceppi ciprofloxacina resistenti presentano una minore frequenza dei geni di virulenza rispetto ai ceppi sensibili indipendentemente dall’origine. I profili di virulenza prevalenti nell’uomo sono stati traT-iucDiutA (43.8% R; 9.8% S) e iucD-iutA (21.9% R; 3.3% S). Tali profili risultano presenti nelle specie aviarie esclusivamente nei ceppi resistenti anche se con basse frequenze. Nelle specie aviarie prevalgono i profili traT-iroN-iss (18.2% R; 2.1% S) e traT-cvaC-iucD-iroN-iss-tsh-iutA (6.1% R; 21.3% S), generalmente non riscontrati nei ceppi umani. L’analisi delle correlazioni genetiche con PFGE (Figura 1) tra 34 ceppi umani e 6 aviari con profilo traT-iucD-iutA ha evidenziato la presenza di diversi cluster (A, B, C, D, E, F). Tuttavia i ceppi umani e quelli aviari sono risultati non correlati. La distribuzione dei ceppi nei quattro gruppi filogenetici ha mostrato una frequenza maggiore dei ceppi umani al gruppo B2 (45.6%) mentre i ceppi aviari prevalentemente al gruppo D (41.8%). In conclusione dai risultati ottenuti si evince che: x non sono state evidenziate similitudini nei profili di virulenza tra i ceppi umani ed aviari ad eccezione dei ceppi con profilo traT-iucD-iutA; x non è stata evidenziata una correlazione genetica tra i ceppi umani ed aviari con profilo traT-iucD-iutA; x è stata osservata una diversa distribuzione dei ceppi umani ed aviari nei gruppi filogenetici. In definitiva non ci sono evidenze che supportano l’ipotesi della possibile origine aviaria dei ceppi umani ciprofloxacina resistenti da noi analizzati anche se sono da valutare alcuni punti critici come la selezione del campione, l’area geografica e l’intervallo di tempo considerato. MATERIALI E METODI Ceppi di E.coli analizzati: Sono stati analizzati un totale di 238 ceppi: uomo (61 sensibili e 64 resistenti alla ciprofloxacina) aviario (47 sensibili e 66 resistenti alla ciprofloxacina). I ceppi isolati dall’uomo provengono dall’attività di diagnostica del laboratorio di analisi BIOS (Roma) e da pazienti ospedalizzati presso l’ospedale San Camillo Forlanini (Roma). I ceppi isolati da specie aviaria provengono dall’attività di diagnostica e di controllo dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie (Padova). Ricerca dei geni di virulenza: Tutti i ceppi selezionati sono stati sottoposti ad analisi molecolare per la ricerca dei geni di virulenza (Tabella 1) attraverso la reazione a catena della polimerasi (PCR). L’estrazione del DNA è stata effettuata attraverso bollitura di colonie isolate di E. coli. Le sequenze dei primers e le condizioni di amplificazione sono state reperite in letteratura (3, 4). BIBLIOGRAFIA 1. Clermont O, Bonacorsi S, Bingen E. Rapid and simple determination of the E. coli philogenetic group. Appl lEnv Microb 2000; 66(10):4555-58. 2. Ewers C, Li G, Wilking H, Kiebling S, Alt K, Antào EM, Laturnus C, Diehl I, Glodde S, Homeier T, Bohnke U, Steinruck H, Philipp HC, Wieler LH. Avian pathogenic, uropathogenic, and newborn Determinazione del gruppo filogenetico: Tutti I ceppi sono stati assegnati ad uno dei quattro gruppi filogenetici (A, B1, B2, D) mediante una PCR multiplex secondo il metodo di Clermont (1). 62 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 in human urinary tract infection and avian colibacillosis. Microbiology 2005; 151: 2097-2110. meningitis-causing Escherichia coli: How closely related are they? International Journal of Medical Microbiology 2007; 297: 163-176. 3. Johnson JR and Stell AL. “Extended virulence gnotypes of. E. coli strains from patients with urosepsis in relation to phylogeny and host compromise”. The Journal of Infectious diseases. 2000, 181, 261-272. 4. Rodriguez-Siek KE, Giddings CW, Doetkott C, Johnson TJ, Fakhr MK, Nolan LK. Comparison of Escherichia coli isolates implicated Tabella 1. Distribuzione dei geni di virulenza e del gruppo filogenetico nei ceppi di E. coli isolati da uomo e da specie aviaria Totale Sensibile Resistente Gene/ Totale Uomo Aviario Totale Uomo Aviario Uomo Aviario Gruppo (No=130) (No=64) (No=66) (No=108) (No=61) (No=47) (No=125) (No=113) filogenetico N° (%) N° (%) N° % N° % N° % N° % N° % N° % 0 (0) 0 (0) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 agg 0 (0) 0 (0) 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 eae 3 (2.4) 1 (0.9) 4 3.7 3 4.9 1 2.1 0 0 0 0 0 0 cldt 20 (16) 1 (0.9) 21 19.4 20 32.8 1 2.1 0 0 0 0 0 0 cnf 18 (14.4) 42 (37.2) 33 30.6 9 14.8 24 51.1 27 20.8 9 14.1 18 27.3 cvaC 19 (15.2) 23 (20.3) 27 25 15 24.6 12 25.5 15 11.5 4 6.3 11 16.7 ireA 27 (21.6) 78 (69.0) 59 54.6 21 34.4 38 80.9 46 35.4 6 9.4 40 60.6 iroN 17 (13.6) 83 (73.4) 48 44.4 10 16.4 38 80.9 52 40.0 7 10.9 45 68.2 iss 77 (61.6) 74 (65.5) 63 58.3 26 42.6 37 78.7 88 67.7 51 79.7 37 56.1 iucD 84 (67.2) 79 (69.9) 72 66.7 30 49.2 42 89.4 91 70.0 54 84.4 37 56.1 iutA 80 (64) 84 (74.3) 73 67.6 39 63.9 34 72.3 91 70.0 41 64.1 50 75.8 traT 3 (2.4) 34 (30.1) 18 16.7 0 0 18 38.3 19 14.6 3 4.7 16 24.2 tsh Gruppo A 28 (22.4) 29 (26.3) 22 20.2 10 16.4 12 25.0 35 27.8 18 28.1 17 27.4 Gruppo B1 6 (4.8) 16 (15.5) 8 7.3 4 6.6 4 8.3 14 11.1 2 3.1 12 19.4 Gruppo B2 61 (48.8) 19 (17.3) 44 40.4 31 50.8 13 27.1 36 28.6 30 46.9 6 9.7 Gruppo D 30 (24.0) 46 (41.8) 35 32.0 16 26.2 19 39.6 41 32.5 14 21.9 27 43.5 Figura 1. Analisi mediante Elettroforesi in Campo Pulsato Dice (Opt:1.20%) (Tol 1.2%-1.2%) (H>0.0% S>0.0%) [0.0%-100.0%] E.coli 55 Xba 60 65 70 75 80 85 90 95 No c e p p o F o n t e 10 0 M a l a t t i a 101 Chicken Colibacillosis A 63 Chicken Healty A 6R Human UTI B2 IN6R Human Sepsis B2 39R Human UTI D 38R Human UTI B2 IN16R Human Sepsis B2 33R Human UTI B2 14R Human UTI B2 29R Human UTI B2 31R Human UTI B2 35R Human UTI B2 IN30R Human Sepsis B2 19R Human UTI B2 37S Human UTI B2 12R Human UTI B2 8R Human UTI B2 7R Human UTI B2 18R Human UTI B2 IN40R Human Sepsis B A B2 IN32R Human Sepsis B2 40R Human UTI B2 4S Human UTI B2 IN22R Human Sepsis B2 IN31R Human Sepsis B2 IN36R Human Sepsis B2 51 63 G r u p p o C Turkey Colibacillosis A 16R Human UTI 30 Avian B2 43 Chicken Colibacillosis A 54 Chicken Colibacillosis A Colibacillosis A IN21R Human Sepsis D IN44R Human Sepsis D IN45R Human Sepsis D IN12R Human Sepsis D IN18R Human Sepsis D 27S Human UTI D IN1S Human Sepsis D IN17S Human Sepsis D D E F X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LE INDAGINI BIOMOLECOLARI APPLICATE ALLO STUDIO DEI FOCOLAI DI TUBERCOLOSI BOVINA Mazzone P. 1, Cagiola M. 1, Biagetti M. 1, Crotti S. 1, Ortenzi R.1, Faccenda L. 1, Ferrante G.1, Bugatti M. 1, Savini G.2, Boni M. 2, Farinelli M. 2, Boniotti B.3, Pacciarini M. 3 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ; ASL Umbria – Dipartimento di prevenzione - Servizio di Sanità Animale; 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna – Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi bovina da M.bovis Key words: Mycobacterium bovis, Spoligotyping, VNTR-typing redatte dai colleghi del Servizio Veterinario nel corso dell’indagine epidemiologica nei focolai. Esame colturale: è stato eseguito secondo le metodiche tradizionali previste dal D.M. 592/95, sui campioni prelevati in sede ispettiva. Nella fase di decontaminazione del materiale di partenza sono stati impiegati due trattamenti differenti, in una metodica è stato utilizzato idrossido di sodio al 2%, nell’altra acido esadecilpiridinio all’1,5%. Per la semina sono stati utilizzati i terreni solidi selettivi Stonebrink, Lowenstein Jensen Medium, Lowenstein Jensen senza glicerina. Il materiale è stato incubato a 37°C in atmosfera al 10% di CO2 per i primi 15 giorni e successivamente a 37°C in atmosfera normale. La crescita delle colonie è stata monitorata settimanalmente per un periodo di almeno due mesi. Identificazione molecolare dei ceppi isolati: si è proceduto ad una estrazione del DNA tramite bollitura a partire da colonie isolate su terreni selettivi. Per la differenziazione di Mycobacterium. spp,, Mycobacterium avium e Mycobacterium tuberculosis complex è stata eseguita una metodica PCR, secondo quanto riportato da Kulski et al. (1). Le colonie classificate come appartenenti al M. tuberculosis complex sono state successivamente tipizzate applicando il protocollo suggerito da Huard et al. (2). Caratterizzazione molecolare dei ceppi di M. bovis: le tecniche di tipizzazione molecolare adottate sono state lo Spoligotyping, l’analisi dei loci ETRs (3) e di alcuni marcatori VNTR/MIRU (4, 5). Lo Spoligotyping è un saggio basato sul polimorfismo del locus DR (short ripetitive direct repeats) presente nel genoma dei Micobatteri appartenenti al Mycobacterium tuberculosis complex. La tipizzazione ETRs si basa sulla presenza di 5 loci (ETR da A ad E) ognuno dei quali contiene un'unica sequenza ripetuta a tandem, la cui dimensione varia da 53 bp a 79 bp. Ogni ceppo di M.bovis è caratterizzato da un numero variabile di sequenze ripetute, la combinazione del numero di ripetizioni presenti nei 5 loci definisce un codice a cinque cifre specifico per ogni ceppo analizzato. L’analisi VNTR/MIRUs riguarda i marcatori VNTR2163a, VNTR2163b, VNTR3155, MIRU26 selezionati sulla base dell’elevato valore di diversità allelica (6). La combinazione di queste tecniche di tipizzazione, introdotte dal CRN, ha aumentato la capacità differenziativa (calcolata mediante l’indice di Hunter-Gaston) da 0,7 (solo spoligotyping) a 0,98 (tutti i marcatori indicati). Epidemiologia molecolare: al fine di ottenere informazioni di ordine epidemiologico, i ceppi in esame sono stati confrontati con ceppi isolati nello stesso arco di tempo, nelle stesse zone e nel territorio nazionale. La georeferenzazione degli allevamenti ci ha permesso di individuare la compresenza di ceppi omologhi circolanti nella stessa zona. Attraverso l’analisi dei profili genetici circolanti in Italia, derivati dalla banca dati del CRN, è stato possibile correlare ceppi di M. bovis comparsi recentemente in Umbria e isolati nello stesso arco di tempo in altre regioni italiane. Summary The application of the control measures included in the national tuberculosis eradication programmes, allowed us to reduce the prevalence of Bovine Tuberculosis (TB) in several Italian regions. However further efforts are necessary in order to achieve the eradication of the disease in all the national territory. An important component of the eradication campaigns is a thorough epidemiological analysis of every tuberculosis outbreak, to determine areas with high risk of infection. In order to gain a better understanding of the epidemiology of the disease at local and regional levels, the National Reference Center for TB has applied a number of molecular typing techniques (Spoligotyping, ETRs and VNTR/MIRU marker) to M. bovis strains isolated in Italy. In this study we describe 8 outbreaks of TB, spread in Umbria, related to 3 different M. bovis strains. We combined the information derived from the epidemiological investigation with the data of the molecular typing, reaching a good understanding of TB transmission in our region. Introduzione In Italia l’applicazione delle misure di controllo previste dai piani di eradicazione della Tubercolosi bovina (TB), ha condotto ad una progressiva riduzione della prevalenza della infezione nel territorio nazionale. Tuttavia dal momento che i requisiti sanitari previsti dalla normativa comunitaria (Direttiva 97/12/CE, recepita con Decreto L.vo n. 196 del 22 maggio 1999), richiedono una percentuale annua di allevamenti infetti da TB inferiore allo 0,1% negli ultimi 6 anni, il nostro paese non può ancora dichiarare l’intero territorio nazionale ufficialmente indenne da TB e si procede attraverso la dichiarazione di indennità su scala provinciale e regionale. In questo contesto legislativo e territoriale assume particolare importanza poter ricostruire le vie di diffusione e trasmissione della tubercolosi bovina, per individuare aree e fattori di rischio associate alla persistenza dell’infezione nel territorio nazionale. A tal fine, negli ultimi anni, all’indagine epidemiologica convenzionale si è affiancata l’elaborazione dei dati forniti dalla tipizzazione molecolare dei ceppi di M.bovis isolati, con il risultato di confermare o in alcuni casi svelare fonti di contagio diversamente non correlabili. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche in collaborazione con il Centro di Referenza Nazionale (CRN), nell’ottica di fornire elementi utili per il raggiungimento della qualifica sanitaria europea nel territorio di competenza, dal 2002 ha effettuato la genotipizzazione dei ceppi di M.bovis isolati nei focolai di TB delle due regioni. Nel presente lavoro vengono descritti 8 focolai di TB riferibili a tre diversi cluster genetici di M. bovis, nei quali è stato possibile ricostruire le dinamiche dell’infezione combinando le informazioni dell’indagine epidemiologica tradizionale con i risultati della tipizzazione molecolare. Materiali e metodi I focolai oggetto di studio sono insorti nella regione Umbria nel biennio 2006/2007. In cinque casi erano coinvolti allevamenti da ingrasso, uno riguardava una stalla di sosta ed in due casi l’infezione ha interessato allevamenti da riproduzione. I dati relativi alle movimentazioni degli animali ed all’identificazione degli allevamenti correlati, sono stati estrapolati delle “Schede di rilevamento dati in allevamento” Risultati e Discussione I ceppi di M.bovis isolati nei focolai bovini dell’Umbria e delle Marche dal 2002 ad oggi, sono stati differenziati mediante spoligotyping in 6 diversi spoligotipi, tra i quali: SB0120, 64 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ampiamente diffuso in Italia, SB0419 compatibile con l’identificazione di M. caprae (7), isolato in Umbria la prima volta nel 2006 e lo spoligotipo 4-13,15 (mancante degli spacers 4-13 e 15) comparso in Umbria nel 2007 e riscontrato anche in allevamenti provenienti dal Sud Italia. I 6 spoligotipi sono stati ulteriormente differenziati con il saggio ETRs in 16 sottogruppi di cui 11 localizzati in Umbria. Di questi ultimi abbiamo considerato epidemiologicamente rilevante il genotipo “SB0120/45432”, dal momento che è stato evidenziato in aziende limitrofe di una definita zona territoriale (Tab.1). Il primo isolamento è stato ottenuto da un vitellone, regolarmente macellato, proveniente da un allevamento da ingrasso a conduzione familiare. L’indagine epidemiologica ha consentito di risalire all’azienda d’origine del capo, un allevamento da riproduzione (Azienda A) che nel 2005 vendeva ad allevamenti da ingrasso. Le prove in vivo (IDT e gamma-interferon) effettuate negli allevamenti che avevano acquistato dall’Azienda A hanno consentito di individuare altri 4 capi positivi dai quali è stato isolato il genotipo “SB0120/45432”. La successiva analisi dei marcatori MIRU e VNTR ha permesso di dimostrare corrispondenza genotipica tra i ceppi isolati dai bovini provenienti dalle tre aziende acquirenti ed i ceppi di M. bovis isolati dai vitelli della azienda A (Tab.1). In questo caso, l’indagine epidemiologica condotta negli allevamenti sede di focolaio, ha consentito di rintracciare gli allevamenti correlati; la genotipizzazione dei ceppi isolati presso le aziende A, B, C e D ha permesso di risalire in maniera puntuale all’origine dell’infezione. M. caprae, è stato riscontrato nel 10% dei ceppi isolati in Italia da bovino (8); il genotipo SB0419, isolato in Umbria nel 2006 e 2007, è stato evidenziato anche in diverse regioni italiane. L’indagine epidemiologica, condotta nei focolai umbri del 2007, ha permesso di ricostruire le movimentazioni degli animali ed è stata individuata una stalla di sosta umbra (Azienda E) che acquistava vitelli da aree del Sud Italia dove sono stati isolati ceppi con spoligotipo SB0419. In particolare in queste aree è stato isolato SB0419 combinato con gli ETRs 63424, 53434 e 53424, genotipi isolati anche nelle aziende umbre G e F che nel 2007 acquistavano dall’azienda E (Tab.1). Nel 2006 da capi provenienti da un allevamento da ingrasso (Azienda H), apparentemente non correlato con le aziende sede dei focolai del 2007, è stato isolato un M.caprae SB0419/ETR53424. A seguito di un’attenta analisi sull’origine dei capi dell’azienda H, si è riusciti a risalire alle stesse aziende del Sud Italia da cui acquistava nel 2007 la stalla di sosta umbra ed a correlare i due focolai. quanto risulta presso la banca dati del CRN è sempre associato al profilo allelico ETR44432. Questo genotipo è stato trovato quasi esclusivamente in focolai che si sono verificati in aziende del Sud del nostro paese. La tecnica dello Spoligotyping si è rilevata scarsamente discriminante quando in una regione predominano uno o pochi genotipi ed è stato determinante affiancare l’analisi dei loci ETRs per differenziare ulteriormente la popolazione di M. bovis circolante. L’analisi dei marcatori VNTR e MIRUs associata ai profili ETRs/Spoligotyping ha permesso di confermare interessanti correlazioni epidemiologiche. Nel caso del genotipo SB0120/45432 isolato nelle aziende A, B,C e D, siamo riusciti ad evidenziare un’origine dell’infezione a livello regionale. Nel caso dei genotipi di SB0419 e dello spoligotipo 4-13,15, comparsi in Umbria solo negli ultimi anni, è stato possibile risalire alle “aree geografiche a rischio” da cui è stata introdotta l’infezione e comprendere le modalità di diffusione della stessa. Nello studio dei focolai presi in esame le informazioni ottenute dalla caratterizzazione genetica, si sono rilevate essenziali per completare e avvalorare le indagini epidemiologiche convenzionali. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Sempre nel 2007 nell’Azienda G è stato isolato, da un bovino proveniente dal Sud Italia, transitato per la stalla di sosta umbra (Azienda E), il M.bovis spoligotipo 4-13,15 che, da Kulski J.K., Khinsoe C., Pryce T. and Crhistiansen K. 1995. Use of a Multiplex PCR to Detect and Identify Mycobacterium avium and Mycobacterium intracellulare in Blood Culture Fluids of AIDS Patients. J.Clin. Microbiol., Mar.1995, V.33, No3, 668-674 Huard R.C., de Oliveira Lazzarini L.C., Butler W.R., van Soolingen D. and Ho J.L. PCR-Based Method To Differentiate the Subspecies of the Mycobacterium tuberculosis Complex on the Basis of Genomic Deletion. J. Clin. Microbiol., Apr. 2003, Vol. 41, No 4, p. 1637-1650 Frothingham,R.,Meeker-O’Connell W.A. 1998. Genetic diversity in the Mycobacterium tuberculosis complex based on variable numbers of tandem repeats. Microbiology 144:1189-1196 Supply P, Mazars E, Lesjean S, Vincent V, Gicquel B, Locht C. Variable human minisatellite-like regions in the Mycobacterium tuberculosis genome. Mol Microbiol 2000, 36, 762-71. Roring, S., A. N. Scott, R. Glyn Hewinson, S. D. Neill, and R. A. Skuce. 2004. Evaluation of variable number tandem repeat (VNTR) loci in molecular of Mycobacterium bovis isolates from Ireland. Vet. Microbiol. 101:65-73 Boniotti et al.(submitted): “Molecular Typing of Mycobacterium bovis Strains Isolated in Italy from 2000 to 2006 and Evaluation of Variable-Number-Tandem-Repeats for Geographic Optimized Genotyping” Journal of Clinical Microbiology Aranaz A, Cousins D, Mateos A, Domínguez L Elevation of Mycobacterium tuberculosis subsp. caprae Aranaz et al. 1999 to species rank as Mycobacterium caprae comb. nov., sp. nov. Int J Syst Evol Microbiol. 2003 Nov; 53(Pt 6):1785-9. Pacciarini M.L., Boniotti M.B., Zanoni M., Alborali G.L., Tagliabue S., Zanardi G. VII Congresso Nazionale SIDiLV 2005 Volume Atti 18-21 Tabella 1: Spoligotipo, profilo ETRs, VNTR/MIRU dei ceppi isolati da bovini e rispettive aziende d’origine e movimentazione capi Spoligotipo ETRs VNTR/MIRU Azienda Tipologia Movimentazioni Nomenclatura interna Nomenclatura ufficiale A B C D E 11A 11B 15 M26 A Riproduzione Nel 2005 vende a B, C e D BCG LIKE SB0120 4 5 4 3 2 10 10 5 4 3 3 5 5 B Ingrasso Acquista da A BCG LIKE SB0120 4 5 4 3 2 10 5 3 5 C Riproduzione Acquista da A BCG LIKE SB0120 4 5 4 3 2 10 4 3 5 D Ingrasso Acquista da A BCG LIKE SB0120 4 5 4 3 2 10 5 3 5 E Stalla di sosta Acquista dal Sud Italia M. caprae 14+ SB0419 6 3 4 2 4 10 5 3 5 FeG Ingrasso Nel 2007 acquistano da E M. caprae 14+ SB0419 5 3 4 3 4 10 5 3 5 G Ingrasso Nel 2007 acquista da E Spoligotipo 4-13,15 // 4 4 4 3 2 10 4 3 5 H Ingrasso Acquista da stessi allevamenti di E M. caprae 14+ SB0419 5 3 4 2 4 10 6 3 5 65 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI PORCINE ENTEROVIRUS E TESCHOVIRUS ISOLATI IN ITALIA NEL 2006-2007 Sozzi E., Barbieri I., Lavazza A., Moreno A., Lelli D., Luppi A., Canelli E., Bugnetti M., Cordioli P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia Key words: porcine enterovirus e teschovirus, RT-PCR, caratterizzazione molecolare SUMMARY Porcine enterovirus (PEV) and Teschovirus (PTV), belonging to the family Picornaviridae, are ubiquitous and mainly cause asymptomatic infections in pigs. In the present study a total of 40 Italian porcine entero-teschovirus isolates were characterized by the analysis of the sequences of the capsid VP1 encoding gene. The assay turned out to be a useful diagnostic tool for the molecular diagnosis of porcine teschovirus/enterovirus strains and for the study of molecular epidemiology and evolution of these viruses confirming the possibility of correlating virus genotype to serotype. come PEV-8. Al contrario, PEV-9 e PEV-10 sono stati isolati in Italia, Inghilterra e Giappone (2). Nel presente lavoro è stata realizzata la caratterizzazione genetica di ceppi di porcine enteric picornavirus isolati in Italia nel periodo 2006-2007. La tipizzazione molecolare è stata realizzata tramite l’analisi filogenetica di un frammento della regione che codifica per la proteina del capside VP1. MATERIALI E METODI Virus: I 40 virus selezionati per la caratterizzazione genetica sono stati isolati presso il Centro per lo Studio e la Diagnosi delle Malattie Vescicolari (CERVES), dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER) di Brescia, negli anni 2006 e 2007, da pool di feci di suini provenienti da diverse regioni italiane e sottoposti a campionamento nell’ambito del Piano di sorveglianza della Malattia Vescicolare del suino (SVD). I ceppi virali sono stati propagati su monostrato confluente di una linea cellulare di rene suino (IBRS-2). Ad effetto citopatico completo, gli isolati sono stati sottoposti ad un ciclo di gelo/scongelo e successiva centrifugazione a 2500 X g per 10 min a 4°C ed il sovranatante aliquotato e stoccato a -70°C. Identificazione molecolare: Per l’identificazione molecolare di porcine teschovirus e porcine enterovirus A e B sono state impiegate due differenti RT-PCR (5, 6), che utilizzano due coppie di primers specifici per amplificare una porzione della regione altamente conservata 5’-NTR. Sequenziamento ed analisi filogenetica: Per la caratterizzazione molecolare degli isolati è stata amplificata una porzione della proteina capsidica VP1 impiegando primers precedentemente pubblicati (4). Gli amplificati sono stati purificati mediante il Gel Extraction Kit (Qiagen), sequenziati con il BigDye Terminator Cycle Sequencing Kit e sottoposti ad elettroforesi capillare su sequenziatore automatico ABI PRISM 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state analizzate in BLAST e confrontate con quelle di ceppi di riferimento ottenuti in GenBank mediante allineamento con il programma CLUSTAL W a parametri di default, mediante il software Lasergene (DNASTAR Inc., Madison, WI, USA). L’albero filogenetico è stato costruito con il metodo Neighborjoining con il programma MEGA 4.0. INTRODUZIONE Porcine enteric picornavirus sono agenti ubiquitari responsabili di infezioni nella popolazione suina di tutto il mondo. Classificati nella famiglia delle Picornaviridae, comprendono, in base ai risultati ottenuti in virusneutralizzazione (VN), 15 sierotipi, tutti precedentemente ascritti al genere enterovirus. Attualmente, sulla base della sequenza genomica e della relazione con gli altri picornavirus, sono suddivisi in tre gruppi: 1. PEV CPE gruppo I, che è stato riclassificato come Teschovirus. I teschovirus comprendono 11 distinti sierotipi all’interno dell’unica specie Porcine Teschovirus (PTV). PEV da 1 a 7 sono stati rinominati PTV da 1 a 7 e PEV da 11 a 13 ridefiniti PTV da 8 a 10. Inoltre, recentemente, è stato descritto un nuovo sierotipo, chiamato PTV-11 (7). 2. PEV CPE gruppo II, che possiede un solo sierotipo (PEV-8) provvisoriamente incluso nella specie Porcine Enterovirus A. Secondo studi recenti, l’organizzazione genomica e il sequenziamento nucleotidico di PEV-8 rivelano che non può essere classificato in nessuno dei presenti generi di picornavirus (3) e dimostrano una stretta correlazione con diversi simian picornaviruses. Di conseguenza è stato suggerito di riclassificare questi virus in due specie di un nuovo genere di picornavirus denominato Sapelovirus (Simian and porcine enterovirus-like viruses; Knowles, Picornavirus Study Group). 3. PEV CPE gruppo III, che comprende i sierotipi PEV9 e PEV-10. Sono tipici enterovirus e sono inclusi nella specie Porcine Enterovirus B. Sebbene le infezioni siano frequentemente asintomatiche, ceppi di PTVs/PEVs sono implicati in una notevole varietà di manifestazioni cliniche. I due ceppi di PTV-1, Teschen e Talfan, sono stati isolati, in Europa, in focolai di polioencefalomielite, rispettivamente nel 1929 e nel 1957. Da allora, le encefalomieliti da enterovirus (precedentemente conosciute come malattie di Teschen/Talfan) sono state considerate di una certa rilevanza socioeconomica e per questo inserite nella Lista della OIE (Office International des Epizooties). Forme più lievi di encefalomielite sono sostenute da altri sierotipi di PTVs/PEVs. Inoltre, alcuni sierotipi sono associati con diversi sintomi clinici, che includono disordini riproduttivi nella scrofa, patologie enteriche, polmoniti e dermatiti. Virus appartenenti ai sierotipi 1, 3, 6 e 8 sono stati isolati in casi associati alla sindrome SMEDI. I ceppi PTV-1 associati con la malattia di Teschen classica sono presenti in Europa centrale ed Africa, ma non sono mai stati isolati in Nord America. I ceppi a minor virulenza e quelli rappresentativi degli altri sierotipi di PTV sono ubiquitari, così RISULTATI Identificazione di PEV/PTV: Tutti i virus isolati nel periodo 2006-2007 sono stati identificati tramite le metodiche RT-PCR descritte: 21 ceppi dei 40 isolati sono stati identificati come teschovirus, uno come PEV-A, tre come PEV-B, mentre in 15 colture cellulari sono stati evidenziati almeno due generi diversi e precisamente in 2 ambedue le specie del genere enterovirus (PEV-A e PEV-B), in 11 PEV-A e PTV ed in 2 PEV-B e PTV. Caratterizzazione genetica: A seguito del sequenziamento e della genotipizzazione tutti i virus sono stati caratterizzati. I risultati della tipizzazione dei PTVs sono riportati in tabella 1 e figura 1. 66 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Il sequenziamento dei 14 PEV-A non è stato eseguito in quanto questa specie include un unico sierotipo (PEV-8). Tabella 1: numero di ceppi di PTVs suddivisi per sierotipo. PTV PTV-1 PTV-2 PTV-3 PTV-4 PTV-5 PTV-6 PTV-7 PTV-8 PTV-9 PTV-10 PTV-11 n° di ceppi virali 4 15 0 1 2 1 2 3 0 2 4 DISCUSSIONE Dopo le epizoozie avvenute in Europa nella prima metà del 20° secolo, i picornavirus enterici sono diventati enzootici in molti Paesi. Lo sviluppo di nuove strategie biomolecolari per la sierotipizzazione di PTVs e PEVs ha sostituito la metodica tradizionale di VN ed ha permesso di caratterizzare ceppi non tipizzabili sierologicamente. Come già dimostrato da altri autori (4), i primers impiegati nell’RT-PCR e che codificano per una porzione della 5’-NTR si sono dimostrati specifici nell’individuare il gruppo genetico di appartenenza. Inoltre, l’amplificazione e il sequenziamento di una porzione del gene che codifica per la VP1, che rappresenta la proteina maggiore di superficie del virione dei picornavirus e che contiene la maggior parte di epitopi neutralizzanti, ha permesso di caratterizzare geneticamente gli isolati e di correlarli con la classificazione sierotipica classica. L’albero costruito sulla base dell’allineamento delle sequenze sia dei ceppi di riferimento sia di ceppi di campo mostra clusters sierotipo-specifici: ceppi dello stesso sierotipo sono riuniti nello stesso cluster con la rispettiva sequenza di riferimento e con virus di campo sequenziati in precedenza e ottenuti in GeneBank. A conferma di quanto riportato in bibliografia, i risultati della nostra indagine dimostrano che i teschovirus (CPE-gruppo I) e gli enterovirus tipo A (CPE-gruppo II) sono i più diffusi. Le metodiche biomolecolari sopraccitate costituiscono un valido iter diagnostico per una rapida diagnosi e tipizzazione di PTVs/PEVs e permettono l’identificazione di sierotipi nuovi o varianti e la contemporanea rilevazione di infezioni miste, che, come evidenziato, risultano essere frequenti nel suino. Figura 1: relazione filogenetica tra la proteina capsidica VP1 parziale di ceppi di PTVs isolati in Italia nel 2006-2007 e ceppi di riferimento ottenuti in GenBank indicati con i relativi numeri di accesso. AF296120 AF296096 AM261026 AF296121 147746 07 277121 06 AY392550 268602 06 100 268641 06 71 80 Sierotipo 11 AY392555 AY392535 AF296100 AF296103 AF296104 100 AY392532 AF296097 100 AF231767 AF231768 AF296106 AY392551 AY392554 100 Sierotipo 1 AF296098 AF296105 AF296102 AB038528 AF231769 100 AF296099 267800 06 AF296101 AY392553 272799 06 100 273216 06 280329 06 AF296088 Sierotipo 3 AY392540 100 AF296119 AF296095 24305 06 AY392547 Sierotipo 10 AY392549 AY392548 100 268632 06 AY392539 82717 07 100 100 24114 06 Sierotipo 8 25623 06 AF296118 AF296093 72 AF296113 100 AF296112 AM261025 Sierotipo 4 AF296111 210936 06 AF296089 AF296117 96 AY392546 142073 07 Sierotipo 6 AF296116 AF296115 AM261024 100 AF296091 278811 06 136514 07 274566 06 280327 06 88291 07 277081 06 273188 06 266343 06 77378 07 AF296110 AY392537 AM261027 268624 06 Sierotipo 2 AF296107 281874 06 270947 06 280605 06 70693 07 71 272217 06 AY392534 AY392533 78 100 AY392542 AY392541 AF296109 AF296108 AF296087 275836 06 100 Sierotipo 7 270869 06 AF296092 Sierotipo 9 AF296094 273171 06 25018 06 100 Sierotipo 5 AF296114 AF296090 83 81 92 93 89 97 78 99 99 86 95 78 BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 0.02 Tra i PTVs i sierotipi più rappresentativi sono il 2, l’1 e l’11, mentre non sono state individuate sequenze appartenenti ai sierotipi di PTV 3 e 9. Tra i PEVs-B, 7 isolati sono risultati appartenenti al genere PEV-B sierotipo 10, mentre nessun ceppo è stato identificato come PEV-B sierotipo 9 (Figura 2). 5. 6. Figura 2: relazione filogenetica della proteina capsidica VP1 parziale di ceppi di PEVs-B. 100 AM261009 AM261018 AM261023 100 100 72 7. UKG/410/73 Sierotipo 9 82717/07 87325/07 86592/07 AM261016 AM261017 AM261011 AM261021 70 90 RINGRAZIAMENTI Si ringrazia la Sig.ra Campagna Debora per il prezioso contributo tecnico. 83275/07 147746/07 AM261015 Sierotipo 10 278805/06 87 Knowles N.J., Buckley L.S. and Pereira H.G. (1979) “Classification of porcine enteroviruses by antigenic analysis and cytopathic effects in tissue culture: description of 3 new serotypes”. Arch. Virol. 62:201-208. Knowles N.J. (2006) Porcine Enteric Picornaviruses in TH Diseases of Swine 9 Edition: 337- 345. Krumbholz A., Dauber M., Henke A., Birch-Hirschfeld E., Knowles N.J., Stelzner A. and Zell R. (2002) “Sequencing of porcine enterovirus groups II and III reveals unique features of both virus groups”. J Virol. 76(11):5813-21. La Rosa G., Muscillo M., Di Grazia A., Fontana S., Iaconelli M. and Tollis M., (2006) “Validation of RT-PCR assays for molecular characterization of Porcine Teschoviruses and Enteroviruses”. J. Vet. Med. B 53:257-265. Muscillo M., Carducci A., La Rosa G., Cantiani L. and Marianelli C. (1997) “Enteric virus detection in Adriatic seawater by cell culture, polymerase chain reaction and polyacrylamide gel electrophoresis”. Water Res. 31:19801984. Palmquist J.M., Munir S., Taku A., Kapur V. and Goyal S.M. (2002) “Detection of porcine teschovirus and enterovirus type II by reverse transcription-polymerase chain reaction”. J. Vet. Diagn. Invest. 14:476-480. Zell R., Dauber M., Krumbholz A., Henke A., Birch-Hirschfeld E., Stelzner A., Prager D. and Wurm R. (2001) ”Porcine teschoviruses comprise at last eleven distinct serotypes: molecular and evolutionary aspects” J. Virol. 75:1620-1631. AM261020 LP/54 93 78 81 NOTE AM261022 AM261019 AM261010 AM261012 AM261013 AM261014 Ricerca parzialmente finanziata dal PRC del Ministero della Salute 2002/007. 25481/06 0.05 67 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 INDAGINI SIEROLOGICHE E VIROLOGICHE IN UN ALLEVAMENTO CAPRINO UFFICIALMENTE INDENNE DA LENTIVIRUS OVI-CAPRINI Reina R1, Grego E1, Robino P1, Profiti M1, Quasso A2, Masoero L3, De Meneghi D1, Rosati S1 1 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino. 2 Servizi Veterinari, Dipartimento di Prevenzione, ASL 19, Asti 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D'Aosta Key words: Lentivirus dei piccoli ruminanti, ELISA, nested-PCR Abstract Maedi visna virus (MVV) and caprine arthritis encephalitis virus (CAEV) are a heterogeneous group of infectious agents affecting sheep and goat. Most of the genotypes already described can be classified as MVV-like (genotype A), CAEVlike (genotype B) and the newly described genotype E in an Italian goat population of the Roccaverano breed. Control programmes are based on early diagnosis, using ELISAs coated with recombinant/synthetic antigens and isolation or culling of seropositive animals. Furthermore, ELISAs made with strain-specific antigens have improved serological diagnosis. Here, we used an ELISA based on the genetic sequence of the three quoted genotypes to describe the presence of seropositive animals in a long term negative flock controlled by commercial serology. In addition, we described that seropositivity is not correlated with presence of provirus (PCR). These results highlight the importance of detect infected seronegative animals. Introduzione I lentivirus ovicaprini sono un gruppo di agenti infettanti eterogenei dal punto di vista genetico, antigenico e biologico. L’impatto economico di queste infezioni nell’allevamento caprino è principalmente legato alle forme articolari e mammarie sostenute dal genotipo B1 (Caprine ArthritisEncephalitis Virus, CAEV), importato negli anni ’80 con l’ introduzione delle razze Alpine e Saanen. Nell’area di studio considerata nel presente lavoro (Langa Astigiana) viene allevata una popolazione di capre di circa 3200 capi di cui solo il 20% può essere considerata autoctona. E’ facile quindi comprendere il danno economico causato dalle forme cliniche negli allevamenti caprini negli anni successivi alla introduzione di razze cosiddette miglioratrici. L’esigenza di avviare piani di controllo e risanamento su base volontaria è stata fortemente sentita dagli stessi allevatori e si è sviluppata già a partire dai primi anni ’90 attraverso piani pilota che hanno via via coinvolto un numero sempre crescente di allevatori. Lo sviluppo di metodi diagnostici sempre più sensibili e disponibili commercialmente ha contribuito a ridurre la prevalenza dell’infezione, fino a raggiungere, almeno sulla carta, l’eradicazione completa secondo quanto previsto dalla legislazione internazionale (assenza di infezione negli ultimi 3 anni). Il metodo diagnostico di uso routinario è il test ELISA indiretto, allestito con antigene nativo purificato o antigene ricombinante. In entrambi i casi viene utilizzato un singolo stipite virale appartenente al genotipo A (Maedi Visna Virus, MVV) o B (CAEV). Recenti studi indicano che nonostante la cross reattività fra i due genotipi coinvolga tutte le proteine strutturali, esistono epitopi immunodominanti genotipo specifici che contribuiscono ad aumentare la sensibilità diagnostica delle infezioni omologhe (1, 3, 5). Dal momento che le capre sono egualmente suscettibili alla infezione da MVV una vera eradicazione deve contemplare metodi diagnostici in grado di svelare tutte le infezioni da lentivirus dei piccoli ruminanti. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di esaminare dal punto di vista sierologico e virologico un allevamento di grosse dimensioni sottoposto a risanamento da più di 10 anni. Materiali e metodi E’ stato testato un allevamento di 405 capre CAEV-free situato nella zona di Roccaverano, in provincia di Asti, costituito rispettivamente da 109 animali di razza roccaverano (26.91%), 107 di razza saanen (26.42%), 184 camosciate (45.43%) e 5 animali provenienti da loro incroci (1.23%). L’allevamento in oggetto, gestito con sistema semi-intensivo, aderisce a un piano volontario di eradicazione CAEV. I capretti utilizzati per la rimonta in allevamento vengono separati alla nascita dalle madri e alimentati con colostro e latte artificiale. Dal sangue di ciascun animale, prelevato in un’unica sessione, è stato ottenuto plasma e buffy-coat, utilizzati rispettivamente per il test sierologico e la reazione di amplificazione genica. Per l’analisi sierologica è stato utilizzato un test ELISA indiretto basato su 3 antigeni ricombinanti ottenuti mediante la fusione della proteina di matrice (P16) e della proteina maggiore del capside (P25), corrispondenti ai genotipi A, B ed E (3). In breve le piastre sono state sensibilizzate con 100 ng/pozzetto di ciascun antigene. Dopo bloccaggio le piastre sono state incubate con i sieri in esame diluiti 1/20. Le piastre sono poi state lavate e incubate con anticorpo monoclonale anti-pecora/capra, diluito 1/8000. A seguito di ulteriore lavaggio le piastre sono state sviluppate mediante reazione colorimetrica e lette allo spettrofotometro alla Ȝ di 405 nm. Come controlli positivo e negativo sono stati utilizzati sieri di referenza specifici per ciascun genotipo. Da tutti i soggetti risultati positivi ad almeno un antigene e da un egual numero di soggetti negativi sono state allestite nested-PCR da buffy-coat, utilizzando un set di primers validati in precedenti studi (2) ed in grado di svelare gli stessi genotipi. La concordanza fra i due test è stata valutata mediante coefficiente K (4). Inoltre sono state effettuate comparazioni fra la positività e alcuni parametri (anno di nascita delle capre e razza). Risultati Su 405 sieri di capra, provati al test ELISA, 18 sono risultati positivi ad almeno un antigene. In particolare 7 sono risultati positivi al genotipo A (3 di razza roccaverano, 2 di razza saanen, 3 di razza camosciata); 8 al genotipo B (3 di razza saanen, 4 di razza camosciata e 1 incrocio) e 3 al genotipo E (razza roccaverano). Ogni siero ha reagito verso gli antigeni ricombinanti di un solo genotipo. Sono stati testati, mediante nested-PCR della regione gag, 32 campioni di cui 18 positivi in ELISA ad almeno un antigene 68 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 e 15 negativi a tutti tre gli antigeni. Tra i 18 campioni ELISA positivi, 9 sono risultati positivi alla nested-PCR. I prodotti di amplificazione verranno successivamente sottoposti a sequenziamento per correlare il genotipo circolante con la reattivitá sierologica negli stessi soggetti. Inoltre sono state riscontrate alcune positivitá in nested-PCR tra i 15 campioni sieronegativi, in particolare 8 sono risultati positivi e 7 negativi. Non é stata trovata concordanza fra il test ELISA e la nestedPCR (K=-0.033149171; I.C. = 0,74-0,85). La distribuzione delle positivitá riscontrata nella sierologia rispetto a l'anno di nascita dell'animale sono state riportate nella Fig. 1. Gli animali nati prima dal 2001 (5% sul totale dell'allevamento), nel 2002 (13,3%) e nel 2004 (10,5%) sono risultati tutti sieronegativi. Il genotipo E é stato trovato negli animali nati nel periodo 2001-2003; il genotipo A in quelli nati tra il 2003 e il 2006; il genotipo B dal 2001-2007. 10 % ELISA positivi 9 8 7 6 A 5 B E 4 3 2 1 0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Figura 1. Distribuzione delle sieropositivitá secondo l’anno di nascita degli animali e il genotipo. La distribuzione delle positivitá é stata valutata anche sulla base delle razze presenti nell'allevamento. La razza Roccaverano é risultata sieropositiva agli antigeni dei genotipi A ed E; la razza Camosciata verso l'antigene A e B e la Saanen verso A e B (Fig. 2). 25 % ELISA positivi 20 15 A B E 10 messo in evidenza la circolazione di almeno 3 differenti genotipi nella popolazione caprina: Il genotipo A, di probabile origina ovina, il genotipo B proveniente dalle razze importate ed il genotipo E autoctono della razza Roccaverano. Quest’ultimo presenta caratteristiche genetiche del tutto peculiari in quando risulta deleto per la subunità dUTPasi del gene pol e del gene accessorio codificante per la proteina virale R. Studi retrospettivi indicano che tale virus, dotato di scarsa o nulla patogenicità, persiste nella razza roccaverano e viene trasmesso esclusivamente attraverso la via familiare con il colostro. Non sorprende quindi che l’antigene corrispondente al genotipo E abbia identificato solo 3 soggetti in questa razza, nati prima del 2004, senza nuove infezioni nelle generazioni successive, alimentate esclusivamente con colostro e latte in polvere. Più preoccupante appare invece la presenza dei genotipi A e B. Quest’ultimo, agente eziologico dell’artrite-encefalite caprina, viene efficacemente trasmesso per via orizzontale e la presenza di soggetti infetti nati fra il 2005 ed il 2007 indica che qualcosa è sfuggito dalle maglie della diagnostica tradizionale negli ultimi anni. Il test utilizzato attualmente dal laboratorio accreditato si basa su antigeni ricombinanti di derivazione Maedi-Visna (genotipo A) e proprio le divergenze antigeniche possono essere responsabili della selezione di soggetti infetti che non producono anticorpi cross-reattivi. La presenza infine di soggetti PCR positivi e sieronegativi pone un nuovo problema sulla reale utilità della diagnostica sierologica ai fini dell’ eradicazione delle lentivirosi dei piccoli ruminanti. L’importanza di animali infetti sieronegativi ai fini della persistenza dell’infezione nella popolazione non è del tutto chiara. Infatti soggetti con alti tassi anticorpali presentano normalmente cariche virali più elevate e trasmettono l’ infezione per via orizzontale in modo più efficiente rispetto a soggetti infetti sieronegativi, nei quali lo stimolo antigenico risulta limitato per motivi ancora non chiariti. In conclusione questo studio mette in evidenza come la diagnostica sierologica basata su un singolo ceppo virale non sia di per se sufficiente per giungere ad una reale eradicazione delle infezioni sostenute dai lentivirus dei piccoli ruminanti. Le eterogeneità antigeniche fra i diversi genotipi e la selezione di soggetti infetti sieronegativi sembrano essere i principali problemi su cui concentrare gli sforzi nei futuri piani di risanamento. Riferimenti bibliografici 1) 5 0 ROCCAVERANO CAMOSCIATE SAANEN METICCE Figura 2. Distribuzione delle sieropositivitá secondo la razza e i diversi genotipi. Il genotipo E é risultato specificatamente associato alla razza Roccaverano (p< 0,01). Conclusioni 2) 3) 4) 5) Lo sviluppo di metodi sierologici sempre piu’ sensibili e specifici ha consentito in diversi paesi europei di intraprendere piani di eradicazione per le lentivirosi dei piccoli ruminanti. L’eterogeneità antigenica degli stipiti circolanti rende tuttavia problematica l’identificazione di tutti i soggetti infetti, in particolare quelli infetti con genotipi virali eterologhi rispetto agli antigeni utilizzati nel test diagnostico. Recenti studi condotti dal nostro gruppo nella Langa Astigiana hanno 69 Grego E, Bertolotti, L.Carrozza, M. L. Profiti, M. Mazzei, M. Tolari, F. Rosati, S. (2005). Genetic and antigenic characterization of the matrix protein of two genetically distinct ovine lentiviruses. Vet Microbiol. 106(3-4):179-85 Grego E., Bertolotti L., Quasso A., Profiti M., Lacerenza D., Muz D., Rosati S., (2007). Genetic characterization of small ruminant lentivirus in Italian mixed flocks: evidence for a novel genotype circulating in a local goat population. J Gen Virol. 88, 3423-7. Lacerenza D., Giammarioli M., Grego E., Marini C., Profiti M., Rutili D., Rosati S., (2006). Antibody response in sheep experimentally infected with different small ruminant lentivirus genotypes. Vet Immunol Immunopathol. 112, 264-71. Fleiss, J.L., (1981). Statistical methods for rates and proportions. New York: John Wiley. Rosati, S. Mannelli, A. Merlo, T. Ponti, N. (1999). Characterization of the immunodominant cross-reacting epitope of visna maedi virus and caprine arthritis-encephalitis virus capsid antigen. Virus Res. 61(2):177-83. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULO-MEDIATA A SEGUITO DELLA VACCINAZIONE CONTRO ABORTO OVINO DA SALMONELLA 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 Cagiola M. , Severi G. ,Forti K. ,Filippini G. , Papa P. ,Bugatti M. ,De Giuseppe A. ,Mazzone P. ,Fumanti.P. ,Pasquali P. 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche; 2 Dipartimento di sicurezza alimentare e Sanità pubblica Veterinaria, Istituto Superiore di Sanità Parole chiave: Salmonella abortusovis, gamma-interferon, aborto ovino unità formanti colonie (UFC). La purezza microbica ed il numero dei germi vitali sono stati valutati mediante la semina della matrice su piastre di TSA. Produzione del vaccino inattivato e dell’antigene impiegato per J-IFN test. Per la produzione del vaccino è stato impiegato lo stesso ceppo di Salmonella abortusovis impiegato nell’infezione challenge. Una singola colonia di S. abortusovis coltivata su piastre di TSA è stata trapiantata in bottiglie Roux contenenti terreno TSA messe poi ad incubare a 37°C per 24 h. Le colture sono state raccolte e sospese in S.F. sino alla concentrazione di 1,5x109 UFC/ml con la metodica sopra descritta. L’inattivazione del germe è stata eseguita impiegando Formaldeide allo 0,05% (v/v). Alla coltura inattivata (150 ml) sono stati aggiunti 60 ml di Idrossido d’Alluminio (AlOH3), come adiuvante. Infine, il vaccino ottenuto è stato sottoposto ai controlli di sterilità ed innocuità in animali da laboratorio. L’antigene è stato invece ottenuto coltivando un ceppo di S. abortusovis ATCC (31685) su piastre di TSA incubate a 37°C per 24 h. Le colture ottenute sono state inattivate al calore, centrifugate a 10.000 x g per 30 min ed il pellet è stato poi risospeso in 30 ml di PBS e lisato meccanicamente impiegando l’omogenizzatore Potter-Elvehjien. Il surnatante ottenuto, è stato successivamente liofilizzato e ricostituito sino ad ottenere una concentrazione proteica pari 500 mg/ml mediante la metodica Lowry. L’antigene è stato conservato a -70 °C sino al momento dell’uso. Modello Sperimentale. Trenta pecore adulte (incrocio appenninica x bergamasca) sono state stabulate presso l’unità di massima sicurezza del nostro Istituto. Tutti gli sono risultati negativi agli esami sierologici eseguiti per S. abortusovis ed per altri agenti abortigeni (Brucella, Clamidia, Febbre Q, ecc..). Le pecore sono state sottoposte a sincronizzazione degli estri e poi fecondate naturalmente con montoni. L’accertamento della gravidanza è stato eseguito con ecografo, 43 g. dopo la fecondazione. A questo punto un gruppo di 15 animali gravidi (Gruppo A) è stato inoculato 53 g. dopo la fecondazione con una dose di vaccino (2 ml) ripetuta dopo 15 g. Un altro gruppo di 15 animali gravidi è stato lasciato invece come controllo (Gruppo B), da quest’ultimo sono stati eliminati 2 animali, risultati non gravidi. Ciascun animale del Gruppo A e B è stato infettato sperimentalmente per via endovenosa con una dose di 1,5 x 109 di S. abortusovis patogena, 30 g. dopo la seconda vaccinazione. La temperatura rettale di ogni animale è stata poi controllata giornalmente. Campioni di sangue ed esami batteriologici. Per valutare la risposta immunitaria umorale sono stati prelevati campioni di siero sia agli animali vaccinati che non vaccinati e sottoposti al test sierologico SAT, impiegando la metodica descritta nel Manuale OIE (5). Per valutare la risposta immunitaria cellulare, campioni di sangue eparinizzato sono stati prelevati prima della seconda vaccinazione degli animali del gruppo A, a cadenza settimanale sino all’’infezione. Ulteriori campioni sono stati prelevati 12 g. dopo l’infezione. Gli esami batteriologici sono stati eseguiti sui tamponi vaginali effettuati sulle pecore che avevano abortito, sugli organi dei feti (fegato, milza e cervello) e di tutti gli animali (fegato, milza linfonodi meseraici ed utero), compreso gli agnelli nati - vitali, abbattuti a fine esperimento. Summary Salmonellosis due to Salmonella enterica serovar abortus ovis (S. abortusovis) is mainly characterized by abortion in sheep. We evaluated the immune response of pregnant ewes vaccinated and successively exposed to full virulent S. abortusovis. We found that the inactivated vaccine induced both humoral and cellular-mediated immune response and that it provided protection against a challenge infection due to a fully virulent S.abortusovis. Furthermore, we found an association between the lack of capability to produce J-IFN and abortion. Our findings represent an interesting insight to better understand the interplay host and S. abortusovis and effector mechanism underpinning immune-based protection. Introduzione La Salmonella è un microrganismo patogeno per l’uomo e per gli animali. Alcuni sierotipi (Salmonella typhimurium, Salmonella enteritidis) causano gravi gastroenteriti nelle diverse specie animali, altri (sierotipi specie-specifici) provocano invece infezioni sistemiche molto gravi, spesso letali. S. abortusovis pur essendo specie specifica degli ovini è poco patogena nelle pecore adulte dove induce generalmente aborto nei soggetti gravidi (1). Tale germe riesce in genere a superare le difese immunitarie ed a persistere nell’organismo-ospite (1, 2). Tale caratteristica è stata evidenziata anche nella specie suina con Salmonella choleraesuis (3). S. abortusovis rappresenta la causa maggiore di aborto nelle pecore adulte e di mortalità negli agnelli, in Europa ed Asia occidentale (4). Il germe penetra attraverso le mucose e dopo una breve fase batteriemica, si localizza nell’utero degli animali gravidi provocando aborto ed una successiva eliminazione di batteri nell’ambiente esterno tramite i feti abortiti e le secrezioni vaginali. In genere le pecore infette abortiscono una sola volta, dopodiché si attiva una risposta immunitaria che le protegge nella successiva gravidanza. Oggetto del nostro studio è stata la valutazione della risposta immunitaria umorale e cellulo-mediata di pecore vaccinate con vaccino inattivato ed infettate sperimentalmente con un ceppo patogeno di S. abortusovis. Infatti, i dati sinora disponibili sulla risposta immunitaria cellulo-mediata alla vaccinazione erano quelli relativi a studi effettuati sul modello murino. I risultati da noi ottenuti hanno dimostrato che il vaccino induce negli animali una risposta immunitaria adeguata e duratura capace di contrastare l’infezione–challenge e di prevenire l’aborto. Materiali e metodi Ceppo batterico impiegato nell’infezione-challenge. La Salmonella abortusovis usata nell’infezione-challenge era una mutante streptomicina-resistente, isolata da un feto abortito e mantenuta in laboratorio attraverso passaggi periodici su piastre di Trypticase Soy agar (TSA). La sospensione batterica è stata ottenuta incubando la coltura batterica 37°C per 24 h e risospendendola in soluzione fisiologica (S.F.) sino alla concentrazione di 1,5x109 batteri/ml, determinata mediante la metodica delle 70 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 rettale durante tutto il periodo di osservazione. Undici pecore del gruppo A e cinque del gruppo B sono risultate positive al test J-IFN (Fig. 3 A). In merito alla risposta immunitaria umorale (Fig. 3B) maggiori titoli sono stati riscontrati negli animali del gruppo A (vaccinati) rispetto al gruppo B (Pd0.05). Tutti gli animali vaccinati hanno partorito regolarmente, mentre 5 pecore del gruppo B hanno abortito entro 4 settimane dall’infezione (dati non pubblicati), valore risultato statisticamente significativo (Pd0.05). Inoltre tutte le pecore del gruppo B che avevano abortito erano risultate negative al test J-IFN, mentre 5 delle 7 che non avevano abortito erano risultate positive. Questo risultato con valori significativi dal punto di vista statistico (Pd0.05), ha evidenziato una correlazione tra la produzione di J-IFN e la mancanza di aborto negli stessi animali. Tale dato è stato ulteriormente confermato dal fatto che 16 delle 22 pecore che hanno partorito, erano risultate tutte positive al test J-IFN (Pd0.01). Relativamente agli esami batteriologici eseguiti per S.abortusovis, sono risultati positivi tutti i feti abortiti, i tamponi vaginali delle pecore che avevano abortito e gli organi di 3 pecore non vaccinate, abbattute a fine esperimento (dati non pubblicati).Tutti gli altri animali (pecore gruppo A - B, agnelli nati) sono invece risultati negativi. Figura 3 - Risposta immunitaria delle pecore 15g. dopo l’infezione con S. abortusovis. Percentuale delle pecore che mostravano una produzione in vitro di J-IFN dopo l’infezione (A) e differenza di titolo sierologico tra pecore vaccinate e non, dopo l’infezione (B) Gamma-interferon test (IFN-J). La risposta immunitaria cellulo-mediata è stata valutata in base alla capacità dei linfociti di produrre J-IFN a seguito della stimolazione in vitro con S. abortusovis. A tale scopo è stato impiegato il kit commerciale Bovigam (CSL Ltd). La procedura impiegata era la stessa decritta nel manuale del kit, con l’unica variazione di impiegare lo specifico antigene Salmonella abortusovis (prodotto in laboratorio) nella fase di stimolazione in vitro. Un aliquota (1ml) di sangue eparinizzato prelevato a ciascun animale è stato messo a contatto con 50 Pg di S.abortusovis ed incubato per 22 h (± 2) a 37°C al 5% di CO2. Il surnatante, ottenuto mediante centrifugazione a 500 x g per 10 min., è stato poi sottoposto al test Elisa BovigamTM. I risultati ottenuti sono stati espressi in Indice di Stimolazione (SI) basato sulla seguente formula: media della densità ottiche delle colture stimolate con l’antigene / la media delle densità ottiche delle colture di controllo. Un campione è stato considerato positivo se il valore SI risultava t 2.0 (set cut-off point). Analisi Statistica. L’analisi statistica è stata eseguita impiegando il t di Student o il test del chi-quadro (F2 test). Le differenze erano considerate significative quando il valore di P era d0.05. Risultati e Discussione Negli animali vaccinati, a parte una lieve reazione locale scomparsa dopo pochi giorni, non sono state riscontrate reazioni generali durante tutto il periodo di osservazione. Negli stessi soggetti è stata valutata la risposta immunitaria umorale ai giorni 0, 9 e 15 dopo la vaccinazione booster ed è stata riscontrata una positività, già prima della seconda vaccinazione (Tab.1). Un incremento di titolo è stato riscontrato soprattutto dopo 9 giorni. Gli animali non vaccinati sono risultati invece tutti sierologicamente negativi. Tabella 1 - Risposta anticorpale delle pecore (gruppo A) dopo vaccinazione booster In conclusione, i risultati ottenuti nella nostra indagine dimostrano che il vaccino spento per S. abortusovis induce negli animali una buona, duratura e protettiva risposta immunitaria anticorpale e cellulare. Relativamente alla produzione di J-IFN interessante è stato il riscontro della correlazione tra la capacità di produrre tale citochina e la resistenza all’aborto. Tale dato, se supportato da ulteriori indagini, risulta essere di estrema rilevanza scientifica, fornendo un’ulteriore conoscenza sui meccanismi d’interazione tra il germe e l’organismo ospite e creando i presupposti per lo sviluppo di nuovi presidi immunizzanti da impiegare nella lotta a tale patologia. Bibliografia Relativamente alla risposta immunitaria cellulare è stata evidenziata una crescente positività negli animali del gruppo A (Fig. 1). Gli animali positivi sono risultati 1/15 al giorno 0, 5/15 a 9 g. e 6/15 a 15 g. dalla vaccinazione booster. Figura. 1 - Percentuale delle pecore vaccinate (bianco) o non vaccinate (nero) che producono J-IFN in risposta a una stimolazione in vitro con S. abortusovis 1. 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Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia ; 2 Medico Veterinario Libero Professionista Key Words : Staphylococcus aureus, Citometria di flusso, CD4-CD8 SUMMARY This survey investigates the changes of the subsets of T lymphocytes by flow cytometry in blood and milk in 30 dairy cattle suffering from clinical S. aureus mastitis. A significant increasing of CD4+ was recorded in milk samples whereas a non significant data were found in blood. linfocitarie nel sangue e nel latte tramite citometria di flusso, verificare l’aumento dei leucociti nel latte e l’eventuale variazione del rapporto tra linfociti CD4+ e CD8+ nel sangue tramite esame citofluorimetrico nell’infezione spontanea da S. aureus e valutare il potenziale ruolo dei fenotipi linfocitari nella protezione nei confronti delle mastiti bovine. INTRODUZIONE S. aureus è riconosciuto come il più diffuso agente patogeno nella eziologia delle mastiti batteriche che colpiscono i bovini da latte (1). A causa della sua ubiquità e della resistenza ai trattamenti antimicrobici, rappresenta un importante fattore negativo nella produzione lattea nazionale. Nella lotta a questo microrganismo negli allevamenti bovini risulta fondamentale il riconoscimento precoce dell’infezione. I protocolli diagnostici prevedono attualmente la conta leucocitaria (cellule somatiche) nel latte e l’esame batteriologico per poter identificare i soggetti infetti e attivare le procedure indicate per l’eradicazione dell’infezione (2). Questi mezzi di diagnosi, seppur validi e standardizzati, presentano l’inconveniente della scarsa sensibilità e precocità a causa dell’aumento tardivo delle cellule somatiche durante l’infezione e della eliminazione intermittente del patogeno in oggetto nel secreto mammario. Un importante contributo alla soluzione di questo problema potrebbe essere dato dalla citometria di flusso, in grado di rilevare il profilo immunologico di soggetti affetti da patologie batteriche virali e parassitarie. Al momento sono pochi gli studi che riguardano il fenotipo dei linfociti associati all’infezione mastitica. Le diverse sottopopolazioni linfocitarie sono caratterizzate dalla presenza di antigeni di superficie (Cluster of Differentiation) codificati da un numero (es. CD4; CD8), che ne indica la funzione: ad esempio la sigla CD4 è associata ai linfociti T-Helper mentre i CD8 sono presenti sulla superficie dei T-citotossici. Alcuni autori (3) hanno riscontrato un aumento dei linfociti marcati CD4+ nel latte dopo infezione sperimentale con S. aureus . Altri autori (4) durante studi sugli effetti delle infezioni spontanee della ghiandola mammaria bovina, hanno rilevato un significativo aumento dei CD4+ nel latte delle bovine malate rispetto a soggetti non infetti. In contrasto autori francesi (5) hanno riscontrato un aumento dei CD8+ nel latte durante mastiti stafilococciche suggerendo il ruolo fondamentale di questa sottopopolazione di linfociti T nell’infezione cronica da S. aureus. Ancora (6) hanno evidenziato nel latte di bovine affette da mastite stafilococcica (S. aureus) un aumento dei CD4+, mentre hanno rilevato un aumento di entrambi (CD4+;CD8+) nelle mastiti streptococciche. Park et al. hanno dimostrato l’inversione del rapporto CD4+/CD8+ nel latte di bovine con infezione mammaria da S. aureus. MATERIALI E METODI Ai fini del presente studio, sono stati individuati 5 allevamenti di bovine da latte di medie dimensioni (2530 capi in lattazione) distribuite nelle provincie di Bari e Taranto. Queste aziende zootecniche erano caratterizzate dalla segnalazione di ripetuti episodi di mastiti cliniche e subcliniche, in cui la diagnostica batteriologica aveva evidenziato positività per S. aureus. Questi allevamenti vengono ogni anno testati per indagare la presenza di brucellosi e leucosi bovina enzootica. Inoltre sono stati eseguiti esami per escludere la presenza di patologie virali tipiche dell’allevamento bovino (diarrea virale bovina - BVD, vulvo vaginite pustolosa - IBR, virus respiratorio sinciziale - BHV4) e batteriche quali Salmonellosi, Clamidiosi. Questo al fine di escludere coinvolgimenti immunitari verso patologie diverse dalle mastiti. Nell’ambito di ciascun allevamento sono stati individuati 6 vacche da latte, di cui 3 pluripare (III lattazione) caratterizzate da anamnesi di mastite stafilococcica e 3 primipare esenti da mastite che non presentano segni clinici di alcuna malattia. Sono stati prelevati da ogni soggetto un campione di sangue tramite prelievo venoso e un campione di latte rappresentativo, risultato della mungitura dei quattro quarti. Inoltre ad ogni bovina è stato eseguito un prelievo sterile di latte di premungitura da ogni capezzolo, per l’esame batteriologico. Su ciascun campione di latte (pool dei quattro quarti) è stata eseguita la conta dei leucociti o conta cellulare tramite strumento Fossomatic FC (contaglobuli fluoroelettronico); sui campioni di secreto mammario dei singoli quarti è stato effettuato l’esame batteriologico tramite semina su specifici terreni colturali (MSA – mannitol salt agar, per la ricerca degli stafilococchi; Agar sangue modificato Edwards per gli streptococchi; Agar Mac Conkey terreno di elezione per gli enterobatteri) ed incubazione a 37°C per 24 ore. Il riconoscimento delle colonie sospette isolate è stato effettuato tramite prove biochimiche di identificazione. I campioni di sangue e di latte sono stati esaminati tramite Citofluorimetro Partec CA-IV ed elaborati tramite software FloMax Dako Flow Cytometry System. RISULTATI Nella descrizione delle osservazioni le 5 aziende zootecniche sono state identificate con le lettere dalla A alla E ed i capi bovini oggetto di studio sono stati contrassegnati con numero progressivo da 1 a 6 per ciascuno allevamento. I numeri da 1 a 3 riguardavano le bovine pluripare con anamnesi di mastite, i capi Lo scopo del presente studio era standardizzare una metodica per la misurazione delle sottopopolazioni 72 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 BIBLIOGRAFIA 1. A. Zecconi, R. Piccinini, G. Ruffo, 1992 – Atti international Symposium on bovine mastitis. Pag91-117. 2. L. Bertocchi, 1998 – Management e mastiti Obiettivi e documenti veterinari n. 6 Supplemento. Pag 7-12. 3. A.L. Rivas, F.W. Quimby, O. Coksaygan, L. Olmstead, and D.H. Lain, 2000 Longitudinal evaluation of CD4+ and CD8+ peripheral blood and mammary gland lymphocytes in cows experimentally inoculated with Staphylococcus aureus. Pag. 232-237. 4. Taylor B.C., Keefe R.G.,Dellinger J.D., Nakamura Y., Cullor J.S., Stot J.L., 1997 T-cell populations and cytokine expression in milk derived from normal and bacteria-infected bovine mammary glands. 2006, 7(3), p. 233239. 5. C. Riollet, P. Rainard, and B. Poutrel, 2001 Cell Subpopulations and Cytokine Expression in Cow Milk in Response to Cronic Staphilococcus aureus Infection. Journal of Dairy Science Vol.84:1077-1084, n°5 - 2001. 6. J. Soltis, and M.T. Quinn, 1999 Selective Recruitmant of T-Cell Subsets to the Udder During Staphilococcal and Streptococcal Mastitis: Analysis of Lymphocite Subsets and Adhesion Molecule Expression. Infection and Immunity, Dec. 1999, p.6293-6302. 7. Y.H. Park, S.U. Lee, W.A. Ferens, S. Samuels, W.C. Davis, L.K. Fox, J. S. Ahn, K. S. Seo, B. S. Chiang, S. Y. Hwang, G.A. Bohach, 2006 – Unique features of bovine lymphocytes exposed to a staphylococcal enterotoxin. Journal of Veterinary Science, 2006, 7(3), p. 233-239. contrassegnati da 4 a 6 si riferivano ai soggetti primipari e apparentemente sani. I risultati ottenuti sono indicati in tabella1. DISCUSSIONE L’esame batteriologico sui campioni di secreto mammario ha rilevato la presenza di S. aureus su 12 capi rispetto ai 15 attesi. Le altre vacche sono risultate positive per Stafilococchi coagulasi negativi. La conta cellulare nel latte era sensibilmente superiore nei soggetti infetti con alcune eccezioni (C/1, D/4, D/5, E/1, E/2, E/4). L’esame citometrico su sangue intero ha mostrato un andamento variabile con una tendenza all’aumento dei linfociti CD4+ rispetto ai CD8+ nei soggetti infetti. Si tratta peraltro di una variazione non costante in quanto diversi soggetti infetti da S. aureus presentavano un rapporto CD4+ CD8+ del tutto sovrapponibile a soggetti sani. Il sangue delle bovine con esame microbiologico del latte positivo per Stafilococchi coagulasi negativi e Streptococcus uberis mostrava in citometria un andamento simile ( rapporto da 0.94 a 1.37). Nell’azienda A, sono state determinate le percentuali dei linfociti marcati CD4+, CD8+ nel latte di tutte le bovine esaminate. I dati mostrano una netta differenza tra le bovine 1,2,3 e 6 (positività per S.aureus, conta cellule somatiche elevata, mastite subclinica) rispetto a quelle 4, 5 (sane). In conclusione i risultati degli esami citometrici su differenti matrici come sangue e latte relativi alle sottopopolazioni linfocitarie della specie bovina in corso di mastite, potrebbero suggerire che queste possono costituire degli indicatori diagnostici aggiuntivi rispetto a strumenti consolidati come la conta delle cellule somatiche e la diagnostica batteriologica soprattutto in riferimento alle fasi infiammatorie precoci. Infine essi potrebbero risultare degli indicatori prognostici sull’evoluzione delle mastiti contagiose negli allevamenti bovini colpiti da questo problema. Ovviamente, occorrono approfondimenti per poter aggiungere informazioni a queste prime osservazioni eseguite su campo e in laboratorio. Azienda Cellule Somatiche Esame Batteriologico RINGRAZIAMENTI: Si ringrazia per la collaborazione tecnica il Dr. Ridolfi Donato. Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del Ministero della Salute (Ricerca corrente IZS001/07) CD4+/CD8+ sangue Azienda A Cellule Somatiche Esame Batteriologico C 1* 663 1.30 4 103 S. aureus 2* 1318 1.40 5 172 S. aureus 3* 687 1.90 6 92 S. aureus D 4 33 0.70 1* 195 S. aureus 5 25 1.29 2* 375 S. aureus 6* 193 0.86 3* 652 S. aureus S. aureus B 1* 481 1.32 4 405 S. aureus 2* 636 1.0 5 426 S. aureus 3* 1714 1.4 6 74 S. aureus E 4 50 1.1 1** 30 Staph. spp. 5 214 0.9 2** 68 Staph. spp. 6 138 0.6 3** 188 Staph. spp. C 1* 23 1.52 4** 87 Strep. uberis S. aureus 2* 111 1.46 5** 2467 Strep. uberis S. aureus 3* 2238 1.15 6** 560 Staph. spp. S. aureus Tab. 1 correlazione tra indicatori di infiammazione, esame batteriologico e profilo linfocitario. 73 CD4+/CD8+ sangue 1.10 0.80 0.65 1.38 1.40 1.23 0.80 0.77 1.05 1.33 1.22 0.94 1.11 1.37 1.03 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 STUDIO E ALLESTIMENTO DI UN VACCINO A DNA CONTRO M.agalactiae. 1 Chessa B, 1Pittau M, 1Piras I, 1Lai A, 2 Puricelli M, 2Dall’Ara P, 1Carcangiu L, 1Cacciotto C, 3Rosati S, 1Alberti A. 1 2 Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy 3 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università degli Studi di Torino, Torino, Italy Key words: Vaccini a DNA, p48, Mycoplasma agalactiae. intramuscolo nel quadricipite femorale dx e sn, con una soluzione contenente bupivacaina cloridrato (0.5%) + 100 μg (1 μg/μl) del costrutto pVAX/P48 (gruppo vaccinato) o 100 μg (1 μg/μl) di pVAX (gruppo di controllo) in PBS. Ad ogni animale è stata somministrata una dose di richiamo dopo 15 e 30 giorni dalla prima somministrazione. Sono stati prelevati dei campioni di siero prima dell’immunizzazione (T0) e ogni 14 giorni per 8 settimane(T1, T2, T3, Tf). I sieri sono stati testati in Western blotting per verificare qualitativamente la produzione di anticorpi anti-P48, mentre la valutazione quantitativa è stata effettuata in P48-ELISA. La proteina rP48 purificata, prodotta in E. coli JM105 dopo trasformazione di queste con il plasmide pGEX2T/P48 (Rosati et al., 2000), è stata utilizzata per verificare la presenza di anticorpi specifici nei topi vaccinati e in quelli di controllo. La risposta cellulo-mediata al vaccino è stata valutata mediante il test di linfoproliferazione, in breve: le cellule mononucleate prelevate dalla milza dei topi vaccinati e non vaccinati, sono state isolate e preparate come descritto in letteratura (Xiao et al., 2004), successivamente sono state coltivate in piastra da 96-wells con densità di 2 x 105 cellule/well. Sono stati poi aggiunti in ogni pozzetto 100 μl di medium con o senza la rP48 purificata (15 μg/ml), il controllo positivo era costituito dalla concanavalina A (5 μg/ml). Dopo incubazione per 72 h è stata valutata la risposta proliferativa con il Cell Titer 96 AQueus one solution cell proliferation assay (Promega). L’indice di stimolazione (SI) è stato calcolato come il rapporto tra l’OD media dei pozzetti contenenti cellule stimolate dall’antigene e l’OD dei pozzetti contenenti solo le cellule con il medium. Da queste cellule è stato estratto l’RNA totale ed è stato sintetizzato poi il cDNA. Sono state selezionate dalla letteratura coppie di primers per le citochine di topo: IFN-Ȗ e IL-2 (Ramos-Payan et al., 2003); IL-12 e IL-4, (Liu et al., 2005); e per i fattori di trascrizione Tbet (Liu et al., 2003) e gata3 (Ise et al., 2002) che sono stati utilizzati in real-time PCR (7900HT Fast Real-Time PCR System, Applied Biotechnologies) per valutare le quantità relative di ogni citochina/fattore di trascrizione negli animali di controllo e in quelli vaccinati. Il gene per la ȕ-actina è stato scelto come controllo interno per normalizzare l’espressione genica. Le amplificazioni in real-time PCR sono state realizzate utilizzando il Platinum SYBR Green qPCR Super Mix-UDG (Promega). Ogni esperimento è stato ripetuto in triplicato. Valutazioni statistiche: la significatività statistica delle differenze delle medie tra i due gruppi è stata valutata per ogni citochina con il test non parametrico Mann-Whitney e con Anova (Minitab release 13.0). Tutte le conclusioni sono basate su un livello di significatività di P<0.05. Introduzione Mycoplasma agalactiae è l’agente eziologico dell’agalassia contagiosa, una patologia dei piccoli ruminanti che provoca danni ingenti nelle aree in cui viene praticato l’allevamento intensivo. Una delle strategie sanitarie per controllare la diffusione del M. agalactiae è costituita dalla profilassi e dalla diagnosi tempestiva all’interno degli allevamenti (Nicholas, 2005). L’uso di norme igienico-sanitarie è importante ma non sufficiente a impedire la diffusione della patologia, quindi è necessario affiancare a queste adeguati programmi di vaccinazione. L’uso dei vaccini inattivati ha riportato alcuni successi, ma comporta diversi svantaggi: inducono un’immunità transitoria, principalmente di tipo umorale; non sono stabili e vengono facilmente inattivati, inoltre non è possibile distinguere con i normali metodi diagnostici i capi vaccinati da quelli naturalmente infetti. Sembra necessario quindi trovare nuove strategie attraverso l’utilizzo di vaccini di nuova generazione. Tra questi, i vaccini a DNA potrebbero essere i candidati ideali per diversi motivi: sono stabili anche in condizioni operative non ottimali, inducono sia una risposta immunitaria umorale che cellulo-mediata (Lowe et al., 2006), la risposta dell’ospite può essere amplificata con diversi adiuvanti molecolari (Gurunathan et al., 2000), è possibile discriminare i soggetti vaccinati da quelli naturalmente infetti. In questo lavoro abbiamo sviluppato un vaccino a DNA codificante per l’antigene P48 di M.agalactiae, il quale risulta essere immunodominante, sempre espresso ed invariabile (Rosati et al., 2000). La risposta immunitaria indotta dal vaccino è stata testata su topi BALBc. Materiali e Metodi Il frammento di 1.3 kb contente il gene codificante per la P48 di M. agalactiae è stato isolato dal plasmide pGEX-2T/P48 (Rosati et al., 2000) mediante reazione di PCR. L’amplificato ottenuto è stato digerito con gli enzimi di restrizione BamHI ed EcoRI ed inserito nei plasmidi di espressione per cellule eucariotiche pVAX1 (Invitrogen), pCDNA3.1 (Invitrogen), pCMV-Script (Stratagene) a valle del CMV promoter. Sono stati così ottenuti i plasmidi pVAX/rp48, pcDNA3.1/rp48 e pCMV-Script/rp48. Per valutare la corretta espressione del gene p48 nei plasmidi ottenuti, sono state allestite colture di cellule HEK 293 in terreno di coltura supplementato con 10% FBS, a 37°C in incubatore con 5% CO2. Le colture cellulari sono state transfettate alternativamente con i vettori pcDNA3.1/rp48, pVAX1/rp48 e pCMV-Script/rp48 utilizzando il kit CalPhos Mammalian Transfection Kit (Clontech). Dopo 48 ore le cellule sono state raccolte e da queste è stato estratto l’RNA ® totale con Trizol reagent (Invitrogen), successivamente retrotrascritto con il sistema SuperScriptTM First-Strand Synthesis System (Invitrogen). Il cDNA ottenuto è stato utilizzato per allestire una reazione di PCR con dei primers specifici per il gene p48. La produzione della proteina P48 nelle cellule transfettate è stata valutata in immunoblotting, utilizzando un siero policlonale specifico contro la P48. Immunizzazione dei topi: in questo esperimento sono state utilizzate 12 femmine di topo BALB/c di 6 settimane, seguendo le linee guida dell’Unione Europea. Gli animali divisi in due gruppi di 6 individui, sono stati inoculati Risultati e Discussione La corretta espressione del gene per la p48 in cellule di mammifero è stata valutata in colture di cellule HEK 293 transfettate con i plasmidi ottenuti. Nonostante p48-mRNA venga sintetizzato in tutti i plasmidi costruiti in questo lavoro, in immunoblotting non è stato possibile rilevare la proteina P48 nei lisati cellulari delle cellule transfettate con i plasmidi pcDNA3.1/P48 e pCMV-Script/P48, ma solo in quelle con pVAX1/P48. Il sequenziamento del plasmide pVAX1/P48 ha confermato il clonaggio corretto del gene p48 nel vettore; questo plasmide è stato quindi scelto per la fase di 74 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 immunizzazione genetica. Nei topi vaccinati con il plasmide pVAX1/P48 sono stati rilevati anticorpi IgG specifici per la rP48 nel pool di sieri provenienti dai topi vaccinati, nel momento T3, mentre il pool di sieri dei topi di controllo, prelevati nello stesso momento, non ha mostrato nessuna reattività con la rP48 (Fig.1), sempre nei topi vaccinati si è riscontrato un lieve ma significativo aumento delle IgG, apparentemente associato alla sottoclasse IgG1. Non è stato possibile osservare un aumento del titolo di IgG2 in rP48ELISA (Fig.2). Nonostante questo, la proliferazione delle cellule CD4+ (Fig.3), e il profilo di espressione delle citochine in cellule della milza stimolate con l’antigene P48 purificato sono tipiche di una risposta immunitaria di tipo Th1 . Infatti nella milza dei topi vaccinati sono stati rilevati elevati livelli di IFN-Ȗ, IL-12 e IL-2 caratteristici della risposta Th1 (Fig.4); negli stessi campioni è stato osservato un lieve incremento di IL-4. I due fattori di trascrizione T-BET e GATA-3 (Fig.4), associati alla modulazione, rispettivamente, di Th1 e Th2, sono stati debolmente attivati nei topi immunizzati con pVAX1/P48. Insieme questi dati indicano che la vaccinazione con pVAX1/P48 induce nei topi una risposta mista di tipo Th1/Th2, associata ad una debole risposta umorale. In conclusione, in questo studio è stato dimostrato che la vaccinazione genetica con il vettore pVAX1/P48 è in grado di indurre le risposte Th1 e Th2 (con tendenza verso una maggiore risposta di tipo Th1 associata ad una debole risposta di tipo Th2 dimostrata da dall’aumento delle IgG1) e rappresenta un potenziale approccio nella messa a punto di vaccini contro M. agalactiae. Fig. 4 Quantità relative delle citochine espresse nella milza dei topi vaccinati e in quella dei topi di controllo, valutate in RT real time PCR. Fig. 1 Valutazione della risposta umorale nei topi vaccinati con pVAX1/P48 in immunoblotting: Mag = reattività della rP48 con siero di coniglio iperimmune anti-rP48 (controllo positivo); pVAX1/P48 = pool di sieri dei topi vaccinati prelevati a T3; pVAX = pool di sieri dei topi di controllo prelevati a T3 Bibliografia Gurunathan S, DNA Vaccines: Immunology, Application, and Optimization, Apr 2000, Annual Review of Immunology. Volume 18, Page 927-974. Ise et al., Naive CD4+ T Cells Exhibit Distinct Expression Patterns of Cytokines and Cell Surface Molecules on Their Primary Responses to Varying Doses of Antigen. 2002 J. Immunol. 168:3242-3250. Liu et al., CpG motif acts as a 'danger signal' and provides a T helper type 1-biased microenvironment for DNA vaccination. 2003 Immunology 115:223-30 Lowe et al.,. 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Abstract A DNA vaccine against contagious agalactia was developed for the first time, encoding the P48 of M. agalactiae. Specific immune responses elicited in BALB/c mice were evaluated. Both total IgG and IgG1 were detected in mice vaccinated with pVAX1/P48. Proliferation of mononuclear cells of the spleen, levels of gamma interferon, interleukin-12, and interleukin-2 mRNAs were enhanced in immunized animals. Results indicate that pVAX1/P48 vaccination induced both Th1 and Th2 immune responses. Fig. 3 Test di proliferazione di cellule mononucleate prelevate dalla milza di topi immunizzati con pVAX1/P48 o pVAX1. 75 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 DIAGNOSI DI ECHINOCOCCOSI CISTICA UMANA MEDIANTE ELISA E IMMUNOBLOTTING Longheu C., Corona L., Mastrandrea S., Cillara G., Masala G. e Tola S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Key words: Echinococcosi cistica, sieri, ELISA, Immunoblotting Abstract In this work we have collected 1707 sera from different patient groups: group A, 1472 sera from the Transfusion Centers of Sardinia (healthy patients); group B, 175 sera from a high-risk category and group C, 60 sera from patients with recent or past clinical history of cystic echinococcosis. All sera were analyzed by a ELISA assay based on antigens purified from hydatid cyst fluid to detect antibodies against Echinococcus granulosus. Positive sera were confirmed by Western Blotting. 8000 rpm per 20 minuti e risospesi in buffer fosfato. La concentrazione è stata determinata mediante lettura spettrofotometrica. Sieri umani – Sono stati raccolti 1707 sieri umani appartenenti a diverse tipologie di popolazione (Tabella 1): - gruppo A: un campione rappresentativo della popolazione adulta di donatori di sangue afferenti ai Centri Trasfusionali (CT) presenti nel territorio regionale sardo; - gruppo B: un campione rappresentativo di lavoratori del settore zootecnico rappresentato dagli operatori ARA (veterinari e agronomi); - gruppo C: pazienti con storia clinica presente riferita ad echinococcosi cistica (presenza di cisti attive, transitorie e inattive) o passata (interventi chirurgici) Introduzione L’echinococcosi cistica (EC) è un’antropozoonosi parassitaria causata dalla forma larvale di Echinococcus granulosus e rappresenta un grosso problema di salute pubblica in molti paesi del mondo nei quali viene effettuato un allevamento a carattere intensivo, Sardegna inclusa (Eckert et al., 2004). Nonostante la denuncia dei casi sia obbligatoria, a tutt’oggi non esistono dati aggiornati sulla diffusione dell’idatidosi in Italia. Le statistiche ufficiali parlano di circa 300 casi l’anno, ma in base a dati ufficiosi si può affermare che si verificano almeno 1000-1500 nuovi casi l’anno (Riganò e Siracusano, 1996). Le categorie a rischio sono rappresentate da proprietari di animali (allevatori di ovini, caprini, bovini, suini e cani) e medici veterinari. L’echinicoccosi cistica (EC) è una delle poche malattie parassitarie la cui diagnosi biologica sia basata sulla sierologia invece che sull’isolamento del parassita (diagnostica indiretta). Tuttavia l’indagine sierologia nell’EC è ancora poco soddisfacente, perché la risposta anticorpale dell’ospite è poco prevedibile, con possibilità di falsi negativi, reazioni crociate con altre parassitosi come la cisticercosi e falsi positivi in caso di neoplasie. I test di siero-diagnosi sono basati sull’utilizzo di due antigeni predominanti (antigene 5 e antigene B) due lipoproteine purificate dal liquido cistico idatideo. L’antigene B è una proteina polimerica di 120-160KDa fortemente immunogenica che in condizioni riducenti si dissocia in 3 subunità da 8-12, 16 e 20-24KDa (Lightowlers et al.,1989). L’antigene 5 è una proteina termolabile e altamente immunogenica, costituita da due componenti di 57 e 67KDa (Di Felice et al.,1986) che in condizioni riducenti si dissocia nelle subunità da 38 e 2224KDa (Lightowlers et al.,1989). Le metodiche sierologiche utilizzate in campo umano per la diagnosi e il follow-up dell’EC comprendono vari test, ma la scelta dipende più spesso dalla disponibilità presso il laboratorio, piuttosto che dalla sua sensibilità e specificità. Lo scopo del lavoro è stato quello utilizzare un test ELISA basato su antigeni purificati dal liquido cistico idatideo al fine di valutare la presenza di anticorpi anti-Echinococcus granulosus in 1707 sieri umani. I sieri positivi all’ ELISA sono stati ulteriormente analizzati in immunoblotting. Gruppo A 1472 Gruppo B 175 Gruppo C 60 Totali 1707 Tabella 1 – Sieri analizzati in questa ricerca. ELISA – Tutti i sieri sono stati esaminati in ELISA. Piastre di polistirene a 96 pozzetti sono state sensibilizzare con 5μg/ml di antigene purificato in tampone carbonato/bicarbonato pH 9.6 a 4°C per 18 ore. Dopo vari lavaggi con PBS contenente Tween 20 (washing buffer), la piastra è stata saturata mediante incubazione per 1 ora a 37°C con washing buffer + 1% BSA (blocking buffer). Dopo vari lavaggi, la piastra è stata incubata per 1 ora a 37°C con i sieri umani diluiti 1:100 in blocking buffer. Come controllo positivo è stato utilizzato il siero di un allevatore di 65 anni affetto da echinococcosi cistica confermata da controlli ecografici. Dopo ulteriori lavaggi, la piastra è stata incubata a 37°C per 1 ora con antihuman IgG coniugato con perossidasi diluito in blocking buffer. La reazione è stata sviluppata con Buffer Citrato pH 5.0 + OPD + H2O2 e bloccata con H2SO4. La lettura spettrofotometrica delle piastre è stata fatta ad una lunghezza d’onda di 492 nm. SDS-PAGE e immunoblotting – I sieri positivi in ELISA sono stati esaminati in immunoblotting. Aliquote di 5μg di antigene, solubilizzate in 10μl di loading buffer (0.125M Tris-HCl pH 6.8, 5% SDS, 10% ȕ-mercaptoetanolo, 10% glicerolo e 0.01% Bromophenol Blue), bollite per 2 minuti e raffreddate a 20°C, sono state fatte correre in un gel di acrilamide al 10%. La mobilità elettroforetica delle proteine dei campioni è stata valutata in relazione alla mobilità elettroforetica degli standard molecolari utilizzati, costituiti da una miscela di proteine con peso molecolare compreso tra 6.638 e 204.6KDa (Bio-Rad) e contrassegnate con colori differenti. Dopo l’elettroforesi gli antigeni sono stati trasferiti su membrane di nitrocellulosa mediante l’apparecchio Trans-Blot-semidry (Bio-Rad). Le Materiali e metodi Liquido cistico idatideo (HCF, hydatid cyst fluid) – E’ stato prelevato da cisti fertili localizzate nel fegato e nel polmone di pecore infestate da E. granulosus macellate in Sardegna. Il liquido cistico è stato centrifugato a 10000 rpm per 2 ore a 4°C. Le proteine del surnatante sono state precipitate mediante dialisi in presenza di buffer fosfato e di buffer acetato (Oriol et al., 1971). Gli antigeni sono stati pellettati a 76 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 membrane blottate sono state saturate mediante incubazione per 4 ore a temperatura ambiente (t.a) in PBS 5% skim milk (Difco, Detroit, USA) e poi incubate a 4°C over night con i sieri umani diluiti in PBS 5% skim milk. Dopo diversi lavaggi in PBS-tween, le membrane sono state incubate a t.a. per 3 ore con immunoglobuline anti-IgG di uomo coniugate con perossidasi (Kirkegaard e Perry, Gaithersburg, Maryland). Dopo vari lavaggi, le membrane sono state messe a contatto con il substrato di sviluppo della perossidasi contenente 4cloro-1-naftolo (IBI) e 30% di H2O2 (Sigma). La reazione è stata bloccata infine con acqua. dagli operatori ARA (veterinari e agronomi); gruppo C – pazienti con storia clinica presente o passata riferita a echinococcosi cistica I sieri sono stati considerati dubbi in immunoblotting quando alla diluizione 1:100 compariva una banda molto lieve, maggiormente marcata alla diluizione 1:10 del siero. M Risultati e Discussione A causa della notevole variabilità dei segni e dei sintomi della malattia, la diagnosi clinica di EC è spesso difficile e richiede sia esami fisici, che l’utilizzo di tecniche per immagini e diagnostiche (Gottstein, 1992). L’immunodiagnosi è utile non solo per la diagnosi primaria ma anche per seguire il decorso post-operatorio (follow-up) e/o il trattamento farmacologico dei pazienti affetti da EC. Le proteine del parassita maggiormente utilizzate per la diagnosi di Echinococcus granulosus sono l’antigene 5 e l’antigene B. Poichè l’antigene 5 è ritenuto il responsabile di cross-reazioni, maggior attenzione è stata focalizzata sull’antigene B, ritenuto un antigene con un più alto valore diagnostico. Proprio per questo motivo l’abbiamo utilizzato per screenare 1707 sieri umani, al fine di poter effettuare un’indagine epidemiologica e dimostrare la sua efficacia come test rapido e sensibile per la diagnosi di echinococcosi cistica umana. Per valutare gli antigeni da utilizzare in ELISA ed immunoblotting, abbiamo allestito una corsa elettroforetica in SDS-PAGE delle frazioni proteiche del liquido cistico precipitate con buffer acetato. La corsa ha evidenziato la presenza di un doppietto proteico di 60-65 KDa fortemente immunogenico Tali antigeni sono stati utilizzati per analizzare tutti i 1707 sieri raccolti. Il test ELISA è servito come test di screening di massa, mentre l’immunoblotting come test di conferma per i sieri positivi o dubbi (Figura 1). L’anali e il confronto tra i due test ha prodotto i seguenti risultati: gruppo A: su 1472 sieri analizzati, 1 è risultato positivo; gruppo B: su 175 sieri analizzati, 3 sono risultati dubbi; gruppo C: su 60 sieri analizzati, 6 sono risultati positivi, 2 dubbi e 52 negativi (Tabella 2). Positivi Dubbi Negativi Gruppo A 1 0 1471 Gruppo B 0 3 172 Gruppo C 6 2 52 Totali 7 5 1695 K+ 1 2 3 4 5 6 7 K- Figura 1 – Diagnosi di EC mediante Immunoblotting : M, Marker, K+, controllo positivo, linee 1-7, sieri analizzati, K-, siero negativo. Il campione 6 è risultato positivo In conclusione, i risultati ottenuti in questa ricerca ci inducono a proporre i sistemi ELISA e WB, basati su proteine native purificate, per la sierodiagnosi dell’idatidosi Tali metodi potrebbero risultare dei validi ausili diagnostici nel trattamento clinico dell’echinococcosi cistica dell’uomo. Bibliografia Di Felice G., Pini C., Afferni C., Vicari G. (1986). Purification and partila characterization of the major antigen of Echinococcus granulosus (antigen 5) with monoclonal antibodies. Mol. Biochem. Parasitol 20: 107-135. Eckert J., Deplazes P. (2004). Biological, epidemiological, and clinical aspects of echinococcosis, a zoonosis of increasing concern. Clin Microbiol Rev 17,107-135. Gottstein B, (1992). Molecular and immunological diagnosis of echinococcosis. Clin. Microbiol. Rev. 5:248-261. Lightowlers M.W., Liu D., Haralambous A., Rickard M.D. (1989). Subunit composition and specificity of the major cyst fluid antigens of Echinococcus granulosus. Mol. Biochem. Parasitol. 37:171-182. Oriol R., Williams J.F., Perez Esandi M.V., Oriol C. (1971). Purification of lipoprotein antigens of Echinococcus granulosus from sheep hydatid fluid. Am. J. Trop. Med Hyg. 20:569-574. Riganò R., Siracusano A. (1996). Diagnosi immunologica dell’idatidosi. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 9 (3):1-5 TOTALE SIERI 1707 Tabella 2 - Sieri analizzati: gruppo A - popolazione adulta di donatori di sangue afferenti ai Centri Trasfusionali (CT) presenti nel territorio regionale; gruppo B - lavoratori del settore zootecnico rappresentato 77 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 EQUINE INFECTIOUS ANEMIA: SHOULD THE AGAR IMMUNODIFFUSION TEST STILL BE USED FOR SCREENING AND AS UNIQUE CONFIRMATORY TEST? 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 Scicluna M.T ., Zini M. , Caprioli A. , Cordioli P ., Vulcano G. , Della Verità F. , Gregnanini S. , Palmerini T. , Simula M. , Stilli D. , 1 Autorino G.L . 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Direzione Operativa Diagnosi delle Malattie Virali, Via Appia Nuova 1411, 2 Roma. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Via Bianchi 2, Brescia Key Words: Equine infectious anemia, Comparison, Serological methods Abstract Following the introduction in 2007, of an extraordinary surveillance programme, imposing the serological control of the Italian equine population for infectious anemia (EIA), our laboratory adopted as screening test, a previously validated in-house p26 CElisa. Samples with positive or doubtful results, were subsequently confirmed by the agar immunodiffusion (AGID), the prescribed confirmatory test. The Western blot (WB) assay, recommended by World Organisation Animal Health (WOAH) as complementary test, was applied for the first time in the EIA control programme, for routine samples with equivocal results occurring in our laboratory (positive/doubtful CElisa-negative AGID). Over a 17-month period, 253 sera resulted reactive out of the 32 448 horses bled in the province of Rome. Among the former, 83 were confirmed positive in AGID. For those available, i.e. 91 samples, further analysis in WB was carried out. Ten of the CElisa pos/AGIDneg horses were confirmed positive, because reactive with both core protein p26 band and at least one of the 2 surface glycolproteins bands, gp45 and gp90, considered this as specific response pattern to an EIA infection. These preliminary results demonstrate the greater sensitivity of the in-house CElisa compared to AGID, important characteristic in a screening test. For such equivocal results, the in series use of Elisa and AGID and/or WB, improves the overall specificity of EIA diagnosis, essential in the eradication of this low prevalent infection. indispensable for the control and eradication of this low prevalent infection. Materials e methods The in–house C-Elisa was developed in collaboration with the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna. The method is as here briefly described: Nunc Maxisorp ® plates are sensitised overnight at 4° C, using as catcher an anti-p26 Mab diluted in phosphate buffer solution. In time for the end of the sensitisation, on inert microplates, serum samples are diluted 1/3 in PBS pH 7,2 – 7,4, containing yeast extract (0.05%) and mouse serum (1%) together with the following internal controls: a antigen control, a positive and negative control and a blank reaction control. The recombinant p26 antigen is added to all samples and controls, prepared in double replicates. At the end of a 75’ incubation at 37°C, the samples and controls are transferred onto the previously washed sensitised plate. Terminated the distribution of the samples, the horseradish conjugated tracer Mab is added, so as to then proceed with another incubation under the same conditions as before. The reaction is developed by the addition of OPD substrate and stopped after 10’, using 1M sulphuric acid. The samples reactivity is read at 492 nm using a spectrophotometer. The results are interpreted using the following algorithm: Percentage Inhibition (PI) = 100 - (OD mean of sample/OD mean of negative control X 100). The sample is considered negative if the PI is < 30%, positive if > to 50%, doubtful if PI is between 30 and 50%. The AGID is conducted as described by the Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals OIE 2004 (2), using again as antigen the recombinant p26 produced by our Institute (2). After 24–48 hours, the plates are examined for the precipitation reaction, typical of a positive serological reaction. The WB is conducted as described by C. Issel et. al. (3), diluting 1/20 the samples as well as the weak positive control, and 1/50 the strong positive control. The reagents, as well as the internal controls, were supplied by the same authors. A sample is positive for EIA virus (EIAV) when reactive with both core protein p26 band and at least one of the 2 surface glycoproteins bands, gp45 and gp90, considered this as specific response pattern to an EIA infection (Figure 1). Introduction EIA is a viral equid disease transmitted by insect vectors and, not less important, by iatrogenic means. In 2007, an extraordinary surveillance programme for the control of EIA was introduced in Italy, imposing the serological control of all horses, above the age of 3 months. The surveillance was implemented due to a series of important outbreaks which had occurred over a short period, in spring of 2006. In view of the high number of samples which were to be tested, our laboratory adopted the use of a previously validated in-house p26 CElisa as a screening test, in substitution of the more time consuming and laborious AGID. The method was validated in an inter-laboratory test, involving 11 National Official Laboratories, testing a panel of positive and negative sera supplied by the “National Veterinary Services Laboratories – United States Department of Agriculture, obtaining values of 99% and 96% respectively for relative diagnostic sensitivity and specificity(1). As prescribed by the WOAH, all Elisa positive and doubtful sera were subsequently confirmed in AGID. Due to a number of equivocal results on replicate samples, i.e. positive and doubtful in CElisa and negative in AGID, the WB assay, indicated as complementary test by, was applied for the first time in the EIA control programme, in Italy. Using in this study as reference method, the WB, the preliminary results presented here indicate a greater sensitivity for the in-house Celisa, when compared to the AGID, essential property in a screening test which even if it compromises its specificity. The CElisa used in series together with AGID and /or WB, improves the overall sensitivity as well as the specificity of EIA diagnosis, EIAV Immunoblot - Lanes N°1 to 4 – pos samples N° 5 to 8 – neg samples N° 9, 10 –weak and positive controls Figure 1 gp90 gp45 p26 1 78 2 3 4 5 6 7 8 9 10 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 The samples tested were from horses present in the province of Rome tested within the EIA surveillance programme during 2007 and the 1st semester of 2008 and their number is reported in Table 1. The Elisa positive or doubtful samples were confirmed in AGID, while the WB was conducted for all available equivocal samples , the number of these samples is reported in Table 1 and 2. current control programmes for EIA are based. The principal proteins to which the horse responds are mainly 3, the core protein p26, the most abundant viral protein and the two glycoproteins (gp) 45 and 90, the most immuneresponsive (4). However, the majority of the EIA serological methods, both AGID and Elisa, are based on the reactivity to the group, genetically conserved, immunereactive, core protein, p26 . While the AGID test is the official confirmatory test, it is still also widely used as screening test. In view of the preliminary results here presented as well the results from the comparison of AGID with Elisa reported in other papers, we must reconsider the use of this test in such a context. Reasons for such discordant results can be, on one hand, the higher analytical sensitivity of the Elisa in the presence of low levels of p26 antibodies or a minor specificity of this test in the presence of cross-reactive antibodies directed against interspecies antigens. Another factor conditioning the higher sensitivity of the Elisa could be due to the less subjective reading of the enzyme test. In view of the data which is presented here, in accordance with what has been reported by other authors (3, 5, 6 and 7) the following considerations should be made: ¾ should the AGID test still be used as a screening test? ¾ in case of equivocal results with Elisa, should the AGID be the only confirmatory test or should it always be followed in case of a negative result by the WB? ¾ should an animal with a discordant result between an Elisa and the AGID and or WB be recontrolled again at least after the period considered as maximum for an antibody response, i.e. 90 days later? ¾ could the molecular diagnostic methods come in aid to solve equivocal results? Independently from which test to use and in which context, these should be constantly controlled to ensure maximum diagnostic accuracy by the use of control panels, as also the laboratory technical efficiency, should be assessed through the periodic participation to proficiency trails. In the case of EIA, severe sanitary restrictions are imposed, principally represented by the permanent confinement of the infected horse and after the removal of the former, by a 90 day standstill of the in-contact horses within which period they must remain negative. All this represents great potential economic losses. In consideration of this, the accurate diagnosis of EIA should be the drive for the development of serological methods based on scientific proof data, as essential tool in the aid of an improved control of this economically important equine infection. Results The number of samples tested in the CElisa are reported in Table 1. In 2007, 53 of the 162 CElisa positive samples tested were confirmed in AGID on the total of the 18 159 samples controlled, while in 2008, 36 of the 91 were confirmed of the 14 289 samples controlled. Both years confirm the EIA infection as sporadic. Table 1 Year of sampling 2007 2008 18 159 14 289 N° of samples tested in elisa N° samples (% on total) CElisa pos/AGID pos CElisa pos/AGID neg total CElisa doubt. / AGID pos CElisa doubt. / AGID neg total 51 (70%) 22 (30%) 73 36 (57.1%) 27 (42.9%) 63 2 (2.2%) 87 (97.8%) 0 (0%) 28 (100%) 89 28 Of the total samples testing positive in Elisa i.e. corresponding to 253 horses, over the total period reported, a total of 89 of these subjects were confirmed (35%) as EIA positive using the AGID as confirmatory test. When 91 of the discordant results were also tested in WB the, 10 further horses were found positive (11%) as highlighted in Table 2, increasing the positivity of EIA positive horses from 35% to 39%. Table 2 Reactivity of Horses examined in WB CElisa pos / AGID pos / WB pos CElisa pos / AGID neg / WB Pos CElisa pos / AGID neg / WB neg CElisa doubt. / AGID neg / WB neg CElisa doubt. / AGID pos / WB pos CElisa doubt. / AGID neg / WB pos Total 2007 2008 Total 23 2 4 22 1 0 2 5 16 13 0 3 25 7 20 35 1 3 52 39 91 Acknowledgment We would like to thank Dr. Charles Issel and Dr. Frank Cook, from Gluck Equine Research Institute - Kentucky, USA, for kindly supplying us WB reagents and their precious assistance. Even more interesting, is the case of 4 horses, which were tested at subsequent times, starting with an CElisa pos /AGID neg / WB neg reactivity which, on further sampling, were all confirmed as positive in WB, while 2 also became positive in AGID. Bibliography 1) Final Report of Current Research Programme 1998 Amaddeo D. et. al. “Development of Elisa Methods for the Serological Diagnosis of Equine Infectious Anemia, using Recombinant Antigens and Monoclonal Antibodies” . 2) OIE Terrestrial Manual 2008, Chapter 2.5.6. - Equine infectious anemia, pp. 866-870. 3) lssel, C.J et. al. 1988. Evolution of equine infectious anemia diagnostic tests: recognition of a need for detection of anti-EIAV glycoprotein antibodies. In D.G. Powell (Editor), Proc. 5th Int. Conf. Eq. Inf. Dis. Univ. Press of Kentucky, Lexington, KY, pp. 196-200. 4) Issel CJ et. al. 1993 A review of techniques for the serologic diagnosis of equine infectious anemia. J Vet Diagn Invest;5: pp 137–141. 5) Julie Paré et. al. 2004 The Canadian Journal of Veterinary Research;68 pp 254–258. 6) Adriana S, et. al. 2001, Veterinary Microbiology;79 pp 111-121 7) Burki, F. et. al. 1992. Equine lentivirus, comparative studies on four serological test for the diagnosis of equine infectious anemia. Vet. Microbiol. 33, pp 353-360. Discussion Subsequent to exposure to EIA, the virus replicates in the monocytes/macrophages cell lineage and although viremia is as early as 5-7 days post-infection, it is infrequently persistent and therefore in case of negativity cannot be used for the definitive diagnosis of this infection. On the other hand, once a horse is infected with EIAV, it is assumed that it will become positive for antibodies to the virus around 20 – 30 days postinfection, in a serologic test and will remain infected and test positive for the rest of its life. This is the keystone upon which 79 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 UTILIZZO DELL’ANTIGENE RICOMBINANTE NS3, ESPRESSO TRAMITE BACULOVIRUS, NEI TEST SIEROLOGICI PER ANTICORPI ANTI-PESTIVIRUS Pezzoni G., Brocchi E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia Key words: Pestivirus, NS3 recombinante, anticorpi monoclonali-ELISA Summary Bovine Viral Diarrhea Virus (BVDV) belongs to Pestivirus group with viruses responsible for Border Disease and Classical Swine Fever; the three viruses are antigenically related. Currently, serological assays for Pestiviruses are based on evaluation of antibody against the non structural protein 3 (NS3). This study reports on the use of a baculovirus expressed NS3 in substitution of Pestivirus as source of antigen in two ELISA formats (trapping and competitive) for detection of antibodies in bovine and swine sera. The discrimination power between positive and negative sera provided by assays using the recombinant antigen led to a sensitivity and specificity of 100% in relation to analogous ELISAs based on virus. l’antigene virale, seguito dai sieri alla diluizione 1/50, e da anti-IgG bovine coniugate con perossidasi in successione. Cicli di lavaggio erano eseguiti tra ogni step e la reazione veniva infine sviluppata con OPD. I risultati sono stati espressi in PP(percentuale di positività) rispetto ad un controllo positivo. ELISA competitiva: L’antigene ricombinante NS3 è stato fissato alla fase solida attraverso il legame all’AcM 3H4, come nell’ELISA trapping; quindi sono stati distribuiti i sieri in esame in due diluizioni scalari partendo da 1/4; dopo lavaggio nel caso di sieri bovini o per aggiunta diretta nel caso di sieri suini, segue un’incubazione con l’AcM competitore (3A3), marcato con perossidasi, ad una concentrazione ottimale predeterminata, tale da produrre una DO di 1-1,5 unità. Dopo lavaggio, la reazione è sviluppata con OPD ed i risultati vengono espressi come percentuale di inibizione della reazione dell’AcM 3A3 all’antigene rispetto ad una reazione non inibita (assenza di siero). La soglia di positività è stata fissata e corrisponde ad inibizione del 60%. Introduzione Il virus della Diarrea Virale Bovina (BVDV) appartiene al genere Pestivirus, famiglia Flaviviridae. Ai Pestivirus appartengono anche i virus della Border Disease e della Peste Suina Classica, antigenicamente correlati a BVDV. Il monitoraggio sierologico delle infezioni da Pestivirus è prevalentemente basato sulla dimostrazione di anticorpi verso la NS3. Con l’obiettivo di allestire un test sierologico per Pestivirus che comporti vantaggi in termini di biosicurezza, standardizzazione, nonché di rese produttive, è stato valutato l’utilizzo di un antigene ricombinante in sostituzione del virus nei saggi sierologici ELISA, di tipo trapping e competitivo, per Pestivirus. Risultati e Discussione Scelta dell’antigene ricombinante: La proteina NS3 rappresenta una componente fortemente immunogena dei Pestivirus, le sue caratteristiche funzionali ed immunologiche risiedono in epitopi conformazionali. La produzione in baculovirus ha reso possibile l’espressione di due proteine, una corrispondente alla NS3 totale e l’altra al suo dominio NTPasico e Elicasico (NS3E), entrambe con proprietà reattive equivalenti alla proteina virale nativa (1). Le rese produttive e la reattività con sieri positivi di entrambe le proteine ricombinanti sono risultate equivalenti; pertanto solo la proteina NS3E è stata scelta per l’utilizzo nei saggi ELISA . Selezione del procedimento e degli AcM. Per il test ELISA trapping è stata confermata la scelta dell’AcM 3H4, idoneo alla cattura ed orientamento della proteina con esposizione ottimale degli epitopi riconosciuti dai sieri bovini BVDVpositivi. Per il disegno dell’ELISA competitiva sono stati identificati un AcM il cui legame alla proteina ricombinante era inibito dai sieri positivi (3A3) ed un AcM di cattura (3H4) che esponesse nel modo ottimale l’epitopo in gioco nella competizione. I medesimi AcM sono utilizzati con analoga funzione anche nei rispettivi test che utilizzano il virus BVDV come sorgente di antigene. ELISA trapping e ELISA competitiva su sieri bovini: La distribuzione di frequenza dei valori di PP ottenuta valutando in ELISA trapping 414 sieri bovini di campo mostra un profilo sovrapponibile a quello ottenuto con antigene virale (Fig.1). Utilizzando un cut-off di PP di 10% i risultati dei due test con antigene virale e ricombinante coincidono, con 119 campioni positivi e 295 negativi in entrambi i test (Tab.1). L’espressione del risultato come percentuale di positività può assumere un valore quantitativo e la correlazione tra i valori di PP dei sieri positivi ottenuti con antigene virale e ricombinante è molto elevata R² = 0.7089 (Fig.2). 369 dei 414 sieri valutati con ELISA trapping sono stati riesaminati anche nel test ELISA competitiva con antigene ricombinante NS3: la distribuzione delle percentuali di inibizione dei sieri (Fig.3) mostra una netta separazione tra campioni negativi e positivi, il 95% (213/222) dei campioni negativi si distribuisce tra 0%-30%, mentre l’89% (132/147) dei campioni positivi mostra una percentuale di inibizione superiore a 90%. Con un cut-off al 60% la coincidenza dei risultati positivi e negativi Materiali e Metodi Proteina NS3 ricombinante: la produzione e caratterizzazione della proteina ricombinante, espressa in Baculovirus, è descritta in un altro lavoro agli Atti del medesimo congresso (1); l’antigene utilizzato nel test ELISA è costituito da un semplice lisato di cellule Sf9 (Spodoptera Frugiperda): brevemente, 3 giorni dopo l’infezione con baculovirus ricombinante a MOI 10 le cellule sono raccolte, risospese in tampone di lisi e sonicate; il sovranatante, ottenuto dopo centrifugazione per separare i detriti cellulari, costituisce l’antigene per la reazione ELISA; l’antigene ricombinante estratto da 12 106 Sf9 infette permette l’esecuzione di 4500 test in ELISA trapping e 6000 test in ELISA competittiva. Anticorpi Monoclonali (AcM): due AcMs anti-NS3 caratterizzati sia nei confronti del virus che della proteina ricombinante (1, 2) sono stati selezionati per l’allestimento dei test ELISA: l’AcM 3H4 come anticorpo di cattura (ELISA trapping e competitiva) e l’AcM 3A3 come anticorpo marcato competitore (ELISA competitiva). Sieri valutati: sono stati utilizzati sieri di campo bovini e suini, in particolare: 414 sieri bovini da allevamenti del nord Italia 408 sieri suini da allevamenti del nord Italia; Test di riferimento: I sieri sono stati classificati come positivi e negativi sulla base dei risultati ottenuti con un test ELISA trapping in-house per i sieri bovini ed ELISA competitiva per i sieri suini (2), entrambi eseguiti utilizzando virus BVDV, ceppo NADL come sorgente di antigene. L’antigene virale consiste nel sovranatante di cellule Aubek infettate, prelevato ad effetto citopatico completo. ELISA trapping sieri bovini: il AcM 3H4 è stato adsorbito in concentrazione saturante (10Pg/ml) su piastre ELISA; successivamente è stato incubato il lisato proteico NS3 o 80 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 tra antigene virale e ricombinante è completa. Questi risultati confermano l’equivalenza tra ELISA competitiva ed ELISA trapping nella valutazione dei sieri bovini. risultato del test in uso, ELISA competitiva con antigene virale (2), sono stati riesaminati verso l’antigene ricombinante in una ELISA competitiva analoga: come per i sieri bovini, la distribuzione di frequenza delle percentuali di inibizione osservate mostra una netta separazione tra campioni positivi e negativi e aiuta nell’identificazione del cut-off ottimale (Fig.4). Mantenendo la scelta del cut-off al 60% di inibizione i risultati del test con antigene ricombinante NS3E e dell’ELISA competitiva con antigene virale, come termine di riferimento, coincidono. Conseguentemente, sensibilità e specificità diagnostica del test competitivo, applicato all’esame di sieri suini con utilizzo dell’antigene ricombinante, raggiungono valori del 100% nel confronto con l’antigene virale (Tab.2). Figura1 : Distribuzione di frequenza dei valori di PP di sieri bovini in ELISA trapping; confronto tra antigene virale e ricombinante 288 290 Numero di sieri 300 250 200 80 150 7 100 16 74 15 4 8 17 10-20 20-30 30-40 5 50 7 1 16 0 0-5 5-10 40-50 Figura 4: Distribuzione di frequenza dei valori di percentuale di inibizione in ELISA competitiva dei sieri suini con antigene ricombinante >=50 Distribuzione di Percentuale di Positività Virus Ag ricombinante 135 140 Tabella1: Valutazione della sensibilità e specificità diagnostica dell’ELISA trapping con antigene ricombinante rispetto all’antigene virale Numero di sieri 120 Sensibilità diagnostica: 100% (119/119) Specificità diagnostica: 100% (295/295) 105 100 78 80 60 44 40 ELISA trapping antigene virale sieri + totale + 119 0 119 3 11 80-90 90-100 70-80 414 60-70 295 4 2 50-60 119 40-50 totale 30-40 295 20-30 295 10-20 0 9 0 0-10 - 13 4 <0 ELISA trapping antigene ricombinante 20 Distribuzione di frequenza percentuale di competizione Sieri negativi Sieri positivi Tabella 2: Valutazione della sensibilità e specificità diagnostica dell’ELISA competitiva con antigene ricombinante rispetto all’antigene virale su sieri suini. Figura2 : Correlazione tra risultati ottenuti con antigene virale e ricombinante in ELISA trapping Scatter plot di 119 sieri bovini positivi per BVDV Sensibilità diagnostica: 100% (123/123) Specificità diagnostica: 100% (283/283) PPantigne ricombinante 200 R² = 0.7089 150 ELISA competitiva antigene ricombinante 100 50 Conclusioni La proteina ricombinante NS3E è prodotta con rese più alte ma con caratteristiche strutturali ed antigeniche sovrapponibili a quelle dell’antigene virale nativo (1); il suo utilizzo come sorgente di antigene nei test sierologici per la ricerca di anticorpi anti-pestivirus in sieri bovini e suini ha dimostrato la capacità di discriminare correttamente sieri positivi e negativi con performance analoghe ai test che utilizzano il virus in toto. L’introduzione di un antigene ricombinante, associato all’impiego di AcM, nell’allestimento dei test diagnostici valutati comporta indiscutibili vantaggi in termini di standardizzazione e riproducibilità oltre che di facilità e resa produttiva. 0 0 50 100 150 200 PPantigene virale Figura 3: Distribuzione di frequenza dei valori di percentuale di inibizione dei sieri bovini in ELISA competitiva con antigene ricombinante 132 140 120 90 Numero di sieri 100 80 69 51 60 Ringraziamenti: lavoro parzialmente finanziato con progetto ricerca IZSLER 12/05 RC Ministero della Salute Bibliografia 1. Pezzoni G., Brocchi, E., 2008. Produzione della proteina NS3 di BVDV (Bovine Viral Diarrhea Virus) in baculovirus con caratteristiche conformazionali ed antigeniche analoghe alla proteina nativa. Comunicazione al X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.,Alghero, Italia, 22-24 Ottobre 2008. 2. Brocchi, E., et al. Development of a panel of anti-pestivirus monoclonal antibodies useful for virus identification and antibody assessment. Proceeding of the second symposium on Pestiviruses. 1-3 October 1992. 40 20 13 9 3 2 0 80-90 Sieri negativi 90-100 70-80 60-70 50-60 40-50 30-40 20-30 10-20 0-10 0 Distribuzione di frequenza percentuale di competizione ELISA competitiva antigene virale sieri + totale + 123 0 123 0 285 285 totale 123 285 408 Sieri positivi ELISA competitiva su sieri suini: 408 sieri suini di campo di cui 123 positivi per pestivirus e 285 negativi in base al 81 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ESPRESSIONE DELLA PROTEINA CAPSIDICA DI UN CEPPO DI EPATITE E SUINO E SVILUPPO DI ANTICORPI MONOCLONALI Di Bartolo I. 1, Ponterio E. 1, Inglese N.1 , Martelli F.2, Caprioli A.3 , Ostanello F. 2, Ruggeri F.M.1 1 2 Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma. Dip. Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Università di Bologna, Ozzano Emilia (BO) 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Roma. SUMMARY Hepatitis E virus (HEV) is the causative agent of hepatitis E, and is a positive sense single-stranded RNA virus. Genetic similarity between human and swine HEV strains from the same area suggests zoonotic transmission. In 2006, we evaluated the presence of HEV in swine farms in Northern Italy. Results of molecular diagnosis indicated a wide presence of genotype 3 HEV strains, predominating in pigs worldwide. Viral RNAs from positive samples were used to obtain full length ORF2 fragments. A deletion fragment lacking the first 111 aa at the N-terminal portion of the capsid protein was cloned in the Baculovirus system. The sequence of the recombinant construct confirmed the proper frame of ORF2, and the genotype 3 specificity of the Italian strain. The bacmide with the HEV¨111ORF2 was transfected into Sf9 and High Tn5 insect cells, and the Bac HEV¨111ORF2 virus stock obtained was used to express the HEV capsid protein. One protein band of 50 kDa was detected by Western blotting using a pig serum (kindly provided by N Pavio, AFSSA) in either cell lysate and supernatant. Self-assembly of capsid protein into virus-like particles (VLPs) was investigated by electron microscopy. frammento di 1.7kb, corrispondente ad una delezione dei primi 111 aa, della regione capsidica (ORF2) di HEV. Questo è stato successivamente clonato nel vettore pfastBAC per l’espressione con il sistema di Baculovirus. La presenza della ORF2 all’interno del bacmide e il suo corretto frame di lettura sono stati confermati mediante analisi di sequenza. RISULTATI L’espressione della proteina del capside virale è stata condotta infettando cellule di insetto Sf9 e Tn5 con Baculovirus ricombinante BacHEV'111ORF2. Dopo 7 giorni, i monostrati cellulari mostravano evidente effetto citopatico e le cellule venivano raccolte e concentrate mediante centrifugazione (fig. 1). L’estratto proteico cellulare e del sovranatante di coltura sono stati analizzati mediante SDSPAGE e Western blotting (WB). Sia le cellule Tn5 (fig 1A-B) che le cellule Sf9 (fig. 1C) esprimevano una proteina di 50kDa presente sia all’interno delle cellule (linee 2: cel) che nel sovranatante di coltura (linee 3: medium), sebbene il livello di espressione fosse superiore nelle cellule Sf9 (fig. 1C). La proteina visualizzata al microscopio elettronico mediante colorazione negativa non assemblava in Virus-like particles (VLP). INTRODUZIONE L’Epatite E è una malattia infettiva con caratteristiche cliniche di epatite acuta. L’agente responsabile è il virus a RNA dell’Epatite E (Hepatitis E virus, HEV), di recente identificazione. La malattia è considerata endemica nei paesi in via di sviluppo, dove si manifesta con episodi epidemici generalmente associati al consumo di acqua contaminata. Di recente, casi sporadici di origine autoctona sono stati descritti anche in numerosi paesi industrializzati, compresa l’Italia (1). Nel 2006 uno studio da noi condotto nel nord Italia ha evidenziato una diffusa presenza di Epatite E, appartenente al G3, in suini clinicamente sani (2,3). Una possibile origine zoonotica con trasmissione del virus dal suino all’uomo è suggerita da evidenze epidemiologiche e virologiche. Ad oggi non esiste un sistema cellulare per la crescita del virus in vitro, limitando conseguentemente gli studi sulla patogenesi e immunologia di HEV. La proteina del capside virale di un ceppo di HEV suino, identificato in Italia, è stata clonata ed espressa nel sistema ricombinante di Baculovirus (4). La proteina è stata inoltre utilizzata per produrre sieri policlonali e anticorpi monoclonali murini. Figura 1. SDS-PAGE A)Tn5, C) Sf9; 1B) Western blotting Tn5 con siero policlonale suino positivo per HEV 1A 97- MW N.i. Cel Medium 1B 100- N.i. Cel Medium 1C MW Sac Cel Medium 9766- 665045- MW 45- 3731- 31- 252120- Quindici sieri di suini adulti sani, provenienti da allevamenti dell’Emilia Romagna, sono stati testati per la presenza di anticorpi contro la proteina capsidica di HEV espressa, mediante Western Blotting (fig. 2). Undici sieri risultavano positivi per la presenza di anticorpi in grado di riconoscere la proteina ricombinante, facendo ipotizzare che gli animali avessero avuto una esposizione al virus dell’Epatite E. Inoltre, i risultati del WB confermavano che la proteina espressa è antigenicamente simile al virus naive. MATERIALI E METODI L’RNA totale è stato estratto da un campione di bile di un suino clinicamente sano (positivo per HEV) utilizzando il kit Qiamp Viral Extraction (Qiagen), e utilizzato per sintetizzare il cDNA mediante reverse transcription (Superscript I, Invitrogen) a partire dalla regione poliA del genoma virale. Il cDNA è stato utilizzato in una reazione di PCR con primers F¨111ORF2-RORF2 disegnati al fine di amplificare un 82 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Figura 4 Esperimenti di Immunocitochimica su monostrati di cellule Sf9 infettati con BacHEV¨111ORF2, colorati con sieri policlonale suino (A) e murino (B), come controlli positivi, e con gli anticorpi monoclonali generati (C). Figura 2 Western Blotting con la proteina capsidica di HEV parzialmente purificata da cellule Sf9 infettate (K+) e non infette (K-) ibridizzato con sieri suini e con un siero suino positivo per HEV (K+) A K+ Sieri Suini K- B C DISCUSSIONE In questo lavoro è stata espressa e purificata la proteina capsdica di un ceppo suino di HEV identificato in Italia, mediante il sistema ricombinante di Baculovirus. La proteina viene riconosciuta in maniera specifica da sieri di suini infetti, dimostrandosi simile antigenicamente alla proteina capsidica del virus naive. Inoltre la proteina ricombinante è stata utilizzata per immunizzare topi Balb-c, permettendo l’isolamento di 61 anticorpi monoclonali in grado di riconoscere l’antigene in esperimenti ELISA. Tali anticorpi sono stati in parte caratterizzati: 37 riconoscono un epitopo lineare della proteina, mentre 8 riconoscono la proteina capsidica ricombinante di HEV suino in esperimenti di immunocitochimica. Non essendo ad oggi disponibile un sistema cellulare per la crescita in vitro del virus HEV, la produzione della proteina capsidica virale con sistemi di espressione ricombinanti risulta di estrema importanza, poichè la stessa condivide con il virus naive simili caratteristiche antigeniche e immunogeniche. Topi Balb-c sono stati immunizzati i.p. con 25 μg di proteina capsidica di HEV parzialmente purificata, utilizzando adiuvante di Freundt. I sieri iperimmuni sono stati analizzati in esperimenti di Western blotting utilizzando l’antigene ricombinante purificato. I sieri riconoscevano una sola banda relativa alla proteina con la taglia attesa (50kDa) (fig. 3A), identica alla proteina riconosciuta da un siero iperimmune suino contenente anticorpi anti-HEV (fig. 3B). Figura 3 Western Blotting con estratto proteico di cellule Sf9 infettate (K+) e non infette (K-) immuno-colorato con sieri policlonali murini (A) e con siero suino positivo per HEV (B) . A K+ K- B K+ 12480- 49- REFERENZE 1. 3428- 20- 1. Zanetti, A.R., G.G. Schlauder, L. Romano, E. Tanzi, P. Fabris, G.J. Dawson and I.K. Mushahwar. (1999) Identification of a novel variant of hepatitis E virus in Italy. J. Med. Virol., 57: 356-360. 2. Caprioli A., Martelli F., Ostanello F., Di Bartolo I., Ruggeri F., Del Chiaro L., Tolari F. (2007) Detection of Hepatitis E Virus (HEV) in Italian pig herd. Veterinary Record 161(12) E’ stato prodotto un pannello di anticorpi monoclonali (MAbs) utilizzando protocolli consolidati presso il Laboratorio. I MAbs sono stati testati mediante ELISA utilizzando la proteina capsidica di HEV parzialmente purificata, di cui 61 risultavano positivi. Di questi, ulteriormente testati mediante WB, 37 sono risultati positivi essendo verosimilmente diretti contro epitopi lineari della proteina capsidica. Infine, l’espressione della proteina capsidica di HEV è stata saggiata mediante esperimenti di immunocitochimica su monostrati di cellule Sf9 infettati con baculovirus ricombinante BacHEV¨111ORF2 e ibridati con sieri iperimmuni murini (Fig. 4A eB) come controlli positivi e con i 61 MAbs ottenuti (Fig. 4 C, test condotto con uno dei 61 MAbs). Otto MAbs hanno prodotto una colorazione specifica negli esperimenti di immunocitichimica, confermando il riconoscimento specifico della proteina capsidica espressa da parte degli anticorpi. 3. Di Bartolo I, Martelli F, Inglese N, Pourshaban M, Caprioli A, Ostanello F, Ruggeri FM. (2008) Widespread diffusion of genotype 3 hepatitis E virus among farming swine in Northern Italy. Vet Microbiol. (in stampa) 4. Li TC, Takeda N, Miyamura T, Matsuura Y, Wang JC, Engvall H, Hammar L, Xing L, Cheng RH. (2005) Essential elements of the capsid protein for self-assembly into empty virus-like particles of hepatitis E virus. J Virol. 79:12999-3006. 83 Posters X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CONTAMINANTI INORGANICI E PROTOZOI ZOONOSICI IN VONGOLE (Chamelea gallina) e VONGOLE FILIPPINE (Ruditapes philippinarum) IN UN COMPRENSORIO DELL’ALTO ADRIATICO 1 1 2 1 1 2 Abete M.C. , Prearo M. , Caffara M. , Tarasco R. , Gavinelli S. , Florio D. , 2 2 Gustinelli A. , Fioravanti M.L. 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino; Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Via Tolara di sopra, 50 – 40064 Ozzano Emilia (BO). Key words: Metalli pesanti, Protozoi zoonosici, Vongole INTRODUZIONE atomico con atomizzazione elettrotermica previa mineralizzazione dei campioni in microonde. I limiti di quantificazione (LOQ) del metodo sono risultati essere 0,01 ppm per il cadmio, 0,04 ppm per il piombo, 0,05 ppm, per il cromo (1, 5, 6). La ricerca del mercurio invece è stata effettuata mediante l’analizzatore diretto del mercurio (DMA80) e l’LOQ è pari a 0,07 ppm (2). La capacità dei molluschi bivalvi di filtrare elevati volumi di acqua li rende in grado di accumulare microrganismi potenzialmente patogeni per l’uomo. Tra questi Giardia spp. e Cryptosporidium spp. assumono oggi notevole interesse in relazione al possibile ruolo zoonosico. I protozoi flagellati appartenenti al genere Giardia (Metamonadida, famiglia Hexamitidae), sono parassiti che possono vivere nell’acqua e possono causare problemi di salute sia nell’ospite uomo che in diverse specie animali. Causa una zoonosi che si trasmette per via oro-fecale, causando nell’organismo ospite diarrea e disidratazione (4). Le spore dei parassiti appartenenti al genere Cryptosporidium (Apicomplexa, Coccidia) causano un’infezione parassitaria sia di importanza medica, sia veterinaria, che colpisce le cellule epiteliali del tratto gastro-intestinale, l’epitelio dei dotti biliari e del tratto respiratorio sia dell’uomo che di altri vertebrati. Anche in questo caso si tratta di una zoonosi trasmissibile per via oro-fecale, causando diarrea profusa (3, 4). A tal proposito 2340 molluschi bivalvi allevati e/o pescati in Emilia-Romagna (comprensorio Alto Adriatico), sono stati sottoposti ad indagini parassitologiche al fine di stabilirne il possibile ruolo nella trasmissione all’uomo di questi parassiti. Di questi soggetti, 780 sono stati inoltre sottoposti alla ricerca di metalli pesanti, quali cadmio, piombo e mercurio per i quali esiste un limite massimo indicato dal Regolamento CE 1881/2006 (7). È stata inoltre valutata anche la presenza del cromo, in quanto molto diffuso nell’ambiente e per il quale non esiste ad oggi una normativa specifica che ne sancisca i limiti. Figura 1 – Vongola filippina (Tapes philippinarum). Figura 1 – Vongola (Chamelea gallina). MATERIALI E METODI A partire da febbraio 2006 fino a tutto gennaio 2007, sono stati condotti campionamenti periodici di vongola filippina (Tapes philippinarum) (Fig. 1) nelle zone di produzione di Goro-Porto Garibaldi (provincia di Ferrara) e di vongola (Chamelea gallina) (Fig. 2) negli areali costieri antistanti Rimini; sono stati prelevati 11 campioni (26 pool pari a 1560 soggetti) della prima specie e 9 campioni (13 pool pari a 780 soggetti) della seconda. Ogni pool era costituito di 60 soggetti. Da ogni esemplare sono stati raccolti: emolinfa dal muscolo adduttore laterale, branchie e ghiandole digestive. Per la ricerca di Cryptosporidium sp. e Giardia sp., tutte le matrici sono state sottoposte a PCR, colorazione di ZiehlNeelsen modificata e di Giemsa semplificato, mentre solo l’emolinfa concentrata con sucrose è stata sottoposta ad immunofluorescenza (IF). La ricerca dei metalli pesanti è stata eseguita su 240 soggetti di C. gallina, suddivisi in 4 campionamenti e 540 soggetti di T. philippinarum, suddivisi in 9 campionamenti distinti. I campioni sottoposti alla ricerca dei metalli pesanti sono stati raccolti tra febbraio e maggio 2006. La determinazione analitica di piombo, cadmio e cromo è stata effettuata mediante spettrofotometria ad assorbimento RISULTATI Dei 39 pool di emolinfa (26 di T. philippinarum e 13 di C. gallina) sottoposti ad IF, tutti sono risultati negativi. In 4 pool è stata individuata la presenza di elementi riferibili a Cryptosporidium spp. con la colorazione di Ziehl-Neelsen modificata, mentre la colorazione di Giemsa semplificato è sempre risultata negativa. La PCR condotta su tutti i 39 pool di emolinfa e relativi pool di liquido di lavaggio branchiale e ghiandola digestiva ha 87 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 evidenziato solo in 5 pool di emolinfa (2 di T. philippinarum e 3 di C. gallina) la presenza di una banda di circa 400 bp. Il sequenziamento ha però permesso di confermare l’appartenenza al genere Cryptosporidium solo in due casi, peraltro non confermati da successive analisi. Nessuno dei 39 pool è risultato positivo per Giardia sp. alla PCR. Per quanto riguarda la ricerca di metalli pesanti nei campioni di C. gallina, il tenore medio di cadmio è risultato essere 0,014 ppm (DS 0,013), di cromo 0,40 ppm (DS 0,028) mentre di piombo 0,075 ppm (DS 0,021); in nessun campione si è rilevata la presenza di mercurio al di sopra del limite di quantificazione del metodo. Nei campioni di T. philippinarum, il cadmio ha presentato un livello medio pari a 0,07 ppm (DS 0,035), il cromo di 1,26 ppm (DS 0,65) ed il piombo di 0,145 ppm (DS 0,064); per quanto riguarda il mercurio, in 1 pool si è riscontrato una concentrazione superiore all’LOQ (0,11 ppm), mentre in tutti gli altri il livello è risultato sempre al di sotto del limite di quantificazione del metodo. (2) (3) (4) (5) (6) (7) DISCUSSIONE Sebbene i molluschi bivalvi siano stati individuati da diversi ricercatori (3, 4) quali possibili ospiti “accumulatori” di oocisti di Cryptosporidium e/o di cisti di Giardia, e quindi prodotti ittici da porre in relazione ad infezioni umane sostenute da questi agenti, i risultati di questa indagine non hanno consentito di confermare un loro ruolo rilevante nella epidemiologia di queste infezioni zoonosiche negli ambienti in studio. Per quanto riguarda invece il livello di contaminazione da composti inorganici, In tutti i campioni esaminati non sono mai stati superati i limiti di cadmio, piombo e mercurio previsti dalla normativa cogente (rispettivamente 1 ppm, 1,5 ppm e 0,5 ppm) (7): pertanto i molluschi in oggetto possono essere considerati sicuri per il consumatore anche da questo punto di vista. Tuttavia la presenza costante di cromo nelle due specie, starebbe ad indicare come tale elemento sia costantemente presente nell’ambiente acquatico, per cui sarebbe interessante verificare la sua presenza anche nelle acque e in altri organismi acquatici per poter valutare l’effettivo impatto sulla catena trofica. Inoltre sarebbe utile approfondire l’origine dell’inquinamento da cromo, nonché la forma chimica (organica o inorganica) di questo elemento per poter definire la reale tossicità. Da questi dati preliminari appare come le due specie e le relative zone di prelievo presentino un livello di contaminazione diverso, seppur a livelli non preoccupanti. Resta da valutare se il diverso grado di contaminazione debba essere imputabile esclusivamente al sito di prelievo e al grado di contaminazione diverso o dipenda anche dalla specie. Questo tipo di monitoraggio appare quanto mai utile per poter definire il grado di contaminazione ambientale presente oltre a valutare l’edibilità di questi molluschi. Risulta pertanto opportuno intensificare questi tipi di monitoraggio per poter definire sia il grado di contaminazione ambientale sia il rischio nell’ambito della sicurezza alimentare. SUMMARY The aim of this research was to investigate the presence and the diffusion of Cryptosporidium spp. and Giardia spp. and heavy metal (cadmium, chromium, lead and mercury) among the most commercially important mollusks farmed and/or caught along the coast of Emilia Romagna (Italy), in order to establish their zoonotic importance and/or their pathoghenic role for consumers. RINGRAZIAMENTI La presente ricerca è stata finanziata con fondi MUR 05 e fondi IZSPLV. BIBLIOGRAFIA (1) Clarkson T.W. (1986). Mercury. In W. Mertz ed., “Trace elements in human and animal nutrition – fifth edition, vol. 1: 417-428. Fayer R., Trout J.M., Lewis E.J., Santin M., Zhou L., Lal A.A. & Xiao L. (2003). Contamination of Atlantic coast commercial shellfish with Cryptosporidium. Parasitol. Res., 89: 141-145. Giangaspero A., Molini U., Traversa D., Iorio R. & Ceschia G. (2004). Giardia and Cryptosporidium in seawater clams (Chamelea gallina and Ruditapes philippinarum) of the Adriatic coast of central and northern Italy. Parassitologia, 46: 153. Kostial K. (1986). Cadmium. In W. Mertz ed., “Trace elements in human and animal nutrition – fifth edition, vol. 2: 319-345. Quarterman J. (1986). Lead. In W. Mertz ed., “Trace elements in human and animal nutrition – fifth edition, vol. 2: 281-317. Regolamento CE n. 1881/2006 della Commissione del 19 dicembre 2006 che definisce I tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentary. G.U.C.E. del 2012/2006: L365/5. Anderson R.A. (1986). Chromium. In W. Mertz ed., “Trace elements in human and animal nutrition – fifth edition, vol. 1: 225-244. 88 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ISOLAMENTO DI BRUCELLA SUIS IN ALLEVAMENTI SUINI DELLA SARDEGNA Alongi C, Spazziani A, Zulato B, Deiana A, Frongia M, Orrù G, Liciardi M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dip.to di Cagliari Keywords: aborto , brucella, zoonosi Summary: Brucellosis is a highly infectious disease affecting humans and animals; in pigs is a contagious disease caused by B. suis biovars 1,2 or 3, The most important symptom of infections caused by biovars 1 or 3 is miscarriage occurring at any time during gestation. We examined 25 sows for a total of 81 organs. Due to the cross-reactivity of the serological assay a molecular diagnostic tool in PCR is suggested in order to improve sensitivity and specificity and to riduce the time sequired for the examination of several type of samples. L’esame colturale è stato effettuato utilizzando il metodo di prova accreditato SINAL e standardizzato secondo il Manuale di diagnostica OIE (Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals OIE, Paris,2004) L’esame molecolare in PCR è stato messo a punto su ceppi di riferimento di Brucella spp. Materiali e Metodi: Campioni esaminati: Gli organi, prelevati da 25 scrofe provenienti da tre allevamenti, erano rappresentati da 18 uteri, 13 feti (cervello), 25 linfonodi e 25 milze per un totale di 81 campioni. La manipolazione dei campioni è stata eseguita sotto cappa biologica a flusso laminare. Esame colturale: la superficie dell’ organo utilizzato per la semina è sterilizzata mediante flambatura, quindi asportata per prelevare una porzione interna di tessuto di circa 30-50 g. Tale campione è posto in una busta per stomacher, contenente soluzione fisiologica sterile pari al doppio del suo volume. 1 ml di omogenato si trasferisce in brodo SDBS(Serum Dextrose Broth Selective, Oxoid) 1 ml su piasta di SDAS (Serum Dextrose Agar Selective, Oxoide). Le provette con il brodo selettivo sono incubate a 37±2 °C per 67 gg in atmosfera al 5-10% di CO2; le piastre sono incubate nelle stesse condizioni e osservate ogni 48 h per un massimo di 6 giorni. Le colonie sospette si trapiantano su piastre di SDA non selettivo (Serum Dextrose Agar, Oxoid). Dopo incubazione, le brodo-colture si trapiantano in SDA non selettivo. Le colonie sospette sono identificate secondo metodica standardizzata (Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals OIE, Paris,2004). Esame molecolare: Per confermare i risultati è stata eseguita la PCR, previa estrazione del DNA dai brodi selettivi SDBS utilizzati per la semina, e successivamente autoclavati a 121°C per 15’. Per l’estrazione del DNA si utilizza il Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega). Per la PCR si utilizzano i primers OG157 (5’-GGCATGAACCGCTGTCC-3’) e OG158 (5’-CTTCCGGGGCGAGTTG-3’); come controllo positivo un ceppo di riferimento di Brucella melitensis (ceppo NCTC 10123) . Introduzione: Brucella suis, parassita endocellulare del sistema reticolo endoteliale, è un coccobacillo gram negativo, ossidasi e catalasi positivo, di cui se ne conoscono 5 biovarianti delle quali solo 1, 2, 3, sono patogene anche per l’uomo. Nel suino la malattia ha decorso lento e sintomi poco apparenti, le manifestazioni cliniche più gravi sono a carico dell’apparato riproduttore e sono rappresentate da aborto, ritenzione placentare, metrite purulenta e bassa fertilità nella femmina e orchite nel maschio. Nei soggetti pesanti all’ingrasso sono state segnalate forme ascessuali a carico dei dischi intervertebrali, delle borse sinoviali e dei tendini. Gli animali infetti eliminano il microrganismo con gli invogli fetali, gli aborti e in minor misura con il colostro ed il latte. La trasmissione si ha prevalentemente per via orale, ma non si esclude la via venerea o la trasmissione congenita e perinatale. Nell’uomo l’infezione si contrae per contatto diretto con i suini infetti e sono a rischio in particolar modo gli addetti ai lavori, allevatori, macellai, veterinari e laboratoristi durante le fasi di manipolazione dei campioni pervenuti. La diffusione interumana è rara. La diagnosi di brucellosi si effettua con metodi sierologici e microbiologici. Con i metodi sierologici si possono avere delle false positività per la presenza di cross-reazioni con altri microrganismi (Yersinia enterocolitica O:9, E.coli O:157 e Salmonella spp.) e di false negatività dovute ad una bassa risposta immunitaria dei soggetti colpiti (1). L’esame colturale richiede tempi lunghi in quanto la brucella è un microrganismo a crescita lenta. Per queste ragioni negli ultimi anni si sta cercando di utilizzare sempre di più la biologia molecolare per lo screening di campioni biologici. Le indagini sierologiche eseguite presso il nostro Istituto in seguito a numerosi e ripetuti casi di aborto nelle scrofe, in allevamenti della provincia di Cagliari, hanno messo in evidenza un’alta percentuale di positività ad alto titolo per Brucella spp. In seguito a questo si è proceduto all’abbattimento di tutti capi e alla ricerca colturale del microrganismo negli organi bersaglio ( linfonodi mammari, milza, utero, testicoli) e nei feti. Questo studio intende confrontare l’esame colturale, ritenuto test di riferimento, con l’esame molecolare in PCR, altamente sensibile e specifico (2,3). A questo scopo sono stati esaminati gli organi di scrofe macellate in quanto appartenenti ad allevamenti infetti, nei quali diversi animali erano risultati sieropositivi ai test sierologici di riferimento: SAR e FDC, con titoli all’FDC fino a 1280 UICFT/ML. Risultati e discussione: Degli 81 organi esaminati, provenienti da un totale di 25 capi, 2 (utero e linfonodo mammario, provenienti dallo stesso capo con sieropositività: FDC 320 UICFT/ML, SAR positiva) sono risultati positivi all’esame colturale e alla PCR, mentre 1 utero proveniente da un scrofa (con sieropositività FDC 320 UICFT/ML, SAR positiva ) di un altro allevamento, è risultato positivo alla PCR ma non all’esame colturale. Alla tipizzazione il ceppo isolato, da campioni positivi all’esame colturale, è risultato Brucella suis. Le positività si sono riscontrate nei linfonodi mammari ed utero e non nella milza, da taluni autori, considerata l’organo elettivo per la ricerca di Brucella. I risultati ottenuti inducono ad attribuire all’esame molecolare una maggiore specificità rispetto al saggio sierologico, ed una maggiore sensibilità rispetto all’esame batteriologico. Tale ipotesi tuttavia è da verificare mediante allestimento di opportune diluizioni scalari di un ceppo di riferimento e di 89 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 campioni clinici con la contemporanea analisi batteriologica e molecolare. Nel corso di un piano di controllo per la brucellosi suina, si potrebbe ricorrere allo screening molecolare sugli organi dei capi sieropositivi, in quanto il metodo anche se costoso, è più rapido ed attendibile ed inoltre riduce le eccessive manipolazioni di organi infetti. Bibliografia: 1. Ciuchini F, Adone R, Pasquali P, Marinelli C, Tarantino M, Bandino E, Firinu A, Liciardi M, Lollai S, Battistacci L, Dalla Pozza M, 2005. Brucellosi animali: rassegna sul fenomeno delle aspecificità e delle discordanze tra sieroagglutinazione rapida con antigene al rosa bengala e fissazione del complemento. Rapporti ISTISAN 05/21 2. Leyla G, Kadri G, Umran O, 2003. Compararison of polymerase chain reaction and bacteriological culture for tha diagnosis of sheep brucellosis using aborted fetus samples. Vet Microbiol. 2003 May 2;93(1):53-61 3. Ilhan Z, Solmaz H, Aksakal A, Gulhan T, Ekin IH, Boynukara B, 2007. Comparison of PCR assay and bacteriological culture method for the detection of Brucella melitensis in stomach content samples of aborted sheep fetuses. Dtsch Tierarztl Wochenschr 2007 Dec;114(12):460-4 90 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IMPORTANZA DEL CONTROLLO MICROBIOLOGICO NEL LATTE CRUDO ALLA SPINA Amatiste S., Patriarca D., Pietrini P., Battisti S.; Palmieri P., Scaramella L., Rosati R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Key words: Latte crudo bovino, E. coli O:157, Campylobacter Scopo di questo lavoro è illustrare i risultati dei controlli microbiologici, previsti dalle suddette norme, nel latte crudo per la vendita diretta pervenuto presso i nostri laboratori. SUMMARY The health hazards of consuming raw milk is an actual problem also in Italy. For safety reason, it’s very important an unfailing control of raw milk sale for human consumption mainly through automatic sale milk machines, in order to avoid food poisoning or foodborne disease. From january 2007 to july 2008, 140 milk raw samples from 12 different farms have been collected. Microbiological tests have been carried out in our Lab. The results show the absence of Salmonella spp and Listeria monocytogenes. Total bacterial count and coagulase-positive staphylococci are in conformity with the law in a high percentage of samples. Nevertheless were found 5 positive samples from two farms: 4 with E. coli O157 and 1 with E. coli O157 and Campylobacter jejuni. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra gennaio 2007 e luglio 2008 sono stati analizzati 140 campioni di latte crudo bovino prelevati nell’ambito sia dell’attività ufficiale di controllo da parte degli enti preposti sia dell’attività di autocontrollo, in 12 aziende della provincia di Roma che già vendevano il latte crudo per il consumo diretto o che intendevano intraprendere questa attività. I campioni sono stati sottoposti alle seguenti analisi: Carica Batterica Totale (CBT) determinata mediante metodo optpfluoroelettronico (Bactoscan FC); ricerca di Salmonella spp (ISO 6579), Listeria monocytogenes (ISO 11290/1), coliformi (ISO 4832), Escherichia coli ȕ glucuronidasi positivi (ISO 16649-2), Stafilococchi coagulasi positivi (ISO 6888-2), Campylobacter termotolleranti, E. coli O:157. Per la ricerca di Campylobacter termotolleranti è stata impiegato un metodo di screening di tipo immunoenzimatico validato AFNOR (Vidas-ELFA, Enzyme Linked Fluorescent Assay) e in caso di positività il protocollo UNI EN ISO 102721:2006 per la conferma. L’identificazione presuntiva di Campylobacter spp è stata effettuata attraverso esame microscopico e successivamente confermata a livello di genere e specie mediante metodi biomolecolari: PCR per la definizione del gruppo C. coli, C. jejuni e C. lari; PCR multiplex per la differenziazione tra C. coli e C. jejuni. Per la ricerca di E. coli O157 è stato utilizzato un metodo di screening di tipo immunoenzimatico validato AFNOR (VidasELFA, Enzyme Linked Fluorescent Assay) e in caso di positività il protocollo ISO 16654:2001 per la conferma. La presenza di E. coli VTEC, è stata verificata con saggi PCR per la evidenziazione dei geni codificanti per le verocitotossine vtx1 e vtx2 e del gene eae responsabile del meccanismo “attaching and effacing” (8,9,10). INTRODUZIONE Continua nel nostro paese l’incremento della vendita di latte crudo alla spina con la nascita di nuovi distributori posti presso le aziende di produzione primaria o in luoghi dove è più semplice l’approvvigionamento da parte dei consumatori come i supermercati. Un altro sistema di vendita del latte crudo alimentare risulta essere il distributore itinerante. Le misure igienico sanitarie per la vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana sono stabilite nell’atto di intesa della Conferenza Stato Regioni del 25/01/2007 (1) e le Regioni Lazio e Toscana hanno recepito nel corso del 2007 quanto previsto dall’intesa (2,3). Nella nota n.15990 del 30/5/2008 il Ministero della Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali esorta ad intensificare i controlli sul latte crudo alla spina prevedendo un programma straordinario di controllo, attivato dalle ASL di concerto con i NAS, per la verifica della conformità di questo prodotto in funzione del rischio microbiologico intrinseco. Questo conferma, se ce ne fosse bisogno, la preoccupazione di quanti si occupano di sicurezza alimentare per i rischi legati al consumo di latte che non abbia subito alcun trattamento termico, come potenziale fonte di malattia per l’uomo (4). In particolare l’attenzione è rivolta alla presenza di patogeni quali Campylobacter termotolleranti ed E. coli O:157 spesso coinvolti in episodi di malattia in cui il veicolo di trasmissione è il latte crudo bovino (5,6). La prevenzione è incentrata sui controlli ma anche sulla educazione di produttori e consumatori per rendere tutti consapevoli delle differenze sostanziali tra latte crudo e latte trattato termicamente. La prevenzione di episodi tossinfettivi legati al consumo di latte crudo si basa sull’applicazione dei criteri di biosicurezza nelle aziende di produzione primaria e sui controlli microbiologici del latte destinato alla vendita. L’ interesse degli allevatori e dei consumatori, gli uni mossi dalla necessità di rendere più redditiva la propria attività (7), gli altri da motivazioni diverse quali il risparmio, la voglia di bere un prodotto non “manipolato” in alcun modo dall’uomo, fanno sì che il numero di punti vendita e la quantità del latte crudo venduto sia sempre in aumento. E’ per questo che rimane sempre alto l’interesse circa i risultati delle prove microbiologiche eseguite su questa tipologia di latte. RISULTATI La media delle CBT di tutti i campioni esaminati è risultata pari a 84.546 ufc/ml; nell’80% dei campioni è risultata <100000 ufc/ml, nel 66% è risultata <50000 ufc/ml e nel 50% dei campioni è risultata <25000 ufc/ml (limite di legge 100000 ufc/ml). Si riporta un grafico nella Figura 1 dove si può vedere che i risultati delle CBT suddivise in classi, fra due periodi di controllo sovrapponibili, da noi rilevati nel latte crudo per vendita diretta a partire dal 2006 (11), non mostrano particolari differenze. Il valore medio per i coliformi è stato di 3297 ufc/ml e circa l’80% dei campioni ha dato valori <1000 ufc/ml; la media per gli Escherichia coli ȕ glucuronidasi positivi è stata di 32 ufc/ml con più del 90% dei campioni con valori < 50 ufc/ml; per gli Stafilococchi coagulasi positivi la media è stata di 86 ufc/ml, in particolare il 62% dei campioni ha dato valori < 10 91 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ufc/ml e il 90% di campioni < 100 ufc/ml (limite per staf. aureus: m = 500, M = 2000, n = 5, c = 2). I campioni sono risultati tutti negativi per Salmonella spp e Listeria monocytogenes. Nel 2007 nessun campione esaminato è risultato positivo per Campylobacter termotolleranti ed E. coli O:157. Nel 2008 sono risultati positivi 5 campioni di latte di massa crudo provenienti da due diverse aziende di cui 4 per presenza di E. coli O157 ed 1, prelevato in una azienda che ancora non aveva intrapreso la vendita diretta, per la contemporanea presenza di E. coli O157 e di Campylobacter jejuni. Uno dei ceppi di E. coli O157 isolato dal latte della suddetta azienda è risultato positivo all’esame biomolecolare per la presenza del gene codificante la verocitotossina vtx1. CBT Figura 1 2007/2008 fondamentale tra la produzione di latte destinato ad essere trattato termicamente e latte da destinare alla vendita diretta al consumo, per far sì che la consapevolezza dei rischi legati a questo alimento funzioni da incentivo per la produzione di un latte sempre più sano. Bibliografia 1. Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in materia di vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana. Rep. n. 5/CSR. GU n.36 del 13/2/2007. 2. Regione Lazio, Determinazione n. D4370 del 28/11/2007. 3. Regione Toscana, Deliberazione n. 381 del 28/5/2007. 4. Headrick, M. L., S. Korangy, et al. 1998. The epidemiology of raw milk-associated foodborne disease outbreaks reported in the United States, 1973 trough 1992. Am J Public Health 88(8):1219-21. 5. CDC (2002). Outbreak of Campylobacter jejuni infections associated with drinking unpasteuruzed milk procured through a cow-leasing program – Wisconsin 2001. MMWR 51 (25): 548-9. 6. Keene, W.E., K. Hedberg, et al (1997). A peolonged outbreak of Escherichia coli O157:H7 infections caused by commercially distributed raw milk. J infect Dis 176 (3): 815-8. 7. Zanini L., Timini M. 2006. La vendita del latte crudo: una proposte aggiornate per una antica consuetudine. Quad. Sozooalp 3:59-62. 8. Karch H., H. Bohm, H. Schmidt, F. Gunzer, S. Aleksic, J. Heesemann. 1993. Clonal structure and pathogenicity of Shiga-like toxin producing, sorbitol fermenting Escherichia coli O157 : H-. J Clin Microbiol 31:1201-1205 9. Russmann H., E. Kothe, H. Schmidt, S. Franke, D. Harmsen, A. Caprioli, H. Karch. 1995. Genotyping of Shiga-like toxin genes in non-O157 Escherichia coli strains associated with haemolytic uraemic syndrome.J Med Microbiol 42:404-410. 10. Cebula T.A., W.L. Payne, P. Feng. 1995. Simultaneous identification of strains of Escherichia coli serotype O157:H7 and their Shiga-like toxin type by mismatch amplification mutation assay–multiplex PCR. J Clin Microbiol 33:248–250. 11. Amatiste S. et al. 2007. Latte crudo per la vendita diretta nella Provincia di Roma : risultati analitici. Atti IX Congresso Naz. SiDiLV: 99. 2006/2007 ufc /ml x 1000 >100 da 50 a 100 da 25 a 50 25 0 10 20 30 40 50 60 % campioni CONCLUSIONI I risultati dei controlli microbiologici condotti sui 140 campioni di latte crudo per la vendita diretta, hanno mostrato la conformità della maggior parte di essi, rispetto a quanto previsto dalle norme, per Carica batterica totale e numero di Stafilococchi coagulasi positivi, la piena rispondenza per quanto riguarda l’assenza di Salmonella spp e Listeria monocytogenes, ma l’isolamento di patogeni importanti quali E coli O157 (di cui uno positivo all’esame biomolecolare per la presenza del gene codificante la verocitotossina vtx1) e Campylobacter jejuni, seppur in un esiguo numero di campioni. I controlli prima dell’inizio della attività di vendita della azienda risultata positiva sia per E. coli O157 con presenza di vtx1 sia per Campylobacter jejuni, hanno consentito l’individuazione di potenziali pericoli che con l’attuazione di misure correttive legate al management aziendale hanno portato alla eliminazione del problema. La realtà della vendita diretta del latte crudo alla spina è a tutt’oggi un fenomeno in crescita ed il meccanismo domanda offerta ne mantiene vivo l’interesse economico. Le problematiche di sicurezza alimentare legate a questo delicato prodotto fanno sì che sia altrettanto vivo l’interesse di chi è deputato alla protezione della salute umana. Il monitoraggio microbiologico costante del latte posto in vendita è uno dei cardini della prevenzione delle malattie potenzialmente trasmesse da questo prodotto ma deve sempre essere integrato dalla applicazione delle buone pratiche di allevamento, di mungitura e di igiene e conservazione del latte fino al momento del consumo. Dalla nostra esperienza scaturisce un quadro tutto sommato soddisfacente della realtà di questo prodotto nel nostro territorio ma conferma l’importanza dei controlli prima e durante la commercializzazione del latte crudo. Si ribadisce inoltre dal nostro punto di osservazione la necessità di formare e informare gli allevatori sulla differenza 92 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VALUTAZIONE IN VIVO E IN VITRO DELLA FERTILITA’ DEL VERRO IN CONTESTO AZIENDALE Bacci M.L. 1, Fantinati P. 1,3 , Alborali GL. 2, Zannoni A. 1, Penazzi P. 3, Bernardini C. 1, Forni M. 1, Ostanello F. 1 4 2 Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria e Produzioni Animali, Università di Bologna; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e 3 4 dell’Emilia-Romagna, Brescia ; Libero professionista; Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Università di Bologna. Key words: Swine, fertility, health. SUMMARY In pig industries, the decline in boar fertility, non bound to apparent causes, is a common and economically relevant problem. This study was designed to evaluate if temporary fertility decline could be due to contact with pathogens at level not sufficient to evocate clinical signs of disease but adequate to stimulate the seroconversion. Nine boars have been monitored during 5 months and sperm and blood samples have been repeatedly collected for seminal and serological evaluations. At this level we researched ADV, PRRSV, PCV2, SIV (H1N1, H2N1, H3N2) antibodies. In order to evaluate boar fertility we utilized in vitro as well as in vivo parameters (Farrowing Rate and Litter Size outcome of 230 Artificial Insemination). The low percentage (<5%) of damaged acrosome in an ejaculate significantly correlates with high LS. On the contrary no correlations have been found among seroconversions for PRRSV (2 boars) and for ADV (2 boars) and in vivo fertility as well as positivity for SIV (H1N2 strain) (4 boars). dal prelievo i seguenti parametri: conta cellulare nell’eiaculato in toto; integrità di membrana e attività mitocondriale (high MMP) con la colorazione composta di propidio ioduro, JC-1 e SYBR-14; integrità acrosomiale mediante colorazione con Coomassie blue; ricerca del genoma di PRRSV mediante PCR; analisi microbiologiche per la ricerca di E. coli, Proteus spp., Pseudomonas spp., Staphilococcus spp.. Sui sieri di sangue raccolti sono state effettuate le determinazioni dei valori anticorpali nei confronti di: virus della Malattia di Aujeszky (anticorpi totali e anti gE, ELISA competitiva), circovirus suino tipo 2 (PCV2, ELISA competitiva), virus della sindrome riproduttiva e respiratoria (PRRSV, ELISA), SIV (sierotipi H1N1, H1N2 e H3N2, inibizione dell’emoagglutinazione). Sui campioni di sangue in toto è stata effettuata la determinazione di: proteine totali, albumina, urea, creatinina e fosforo, sodio, bilirubina totale, alanina amino transferasi (ALT), aspartato amino transferasi (AST), gamma glutamiltransferasi (GGT). I parametri di fertilità in vivo considerati sono stati: a) rapporto percentuale tra scrofe gravide e quelle inseminate con dosi provenienti dal medesimo prelievo di seme; b) media del totale dei i suinetti nati per scrofa gravida da inseminazioni effettuate con dosi provenienti dal medesimo prelievo di seme; c) media del totale dei i suinetti nati per scrofa inseminata con dosi provenienti dal medesimo prelievo di seme). L’analisi dei dati quantitativi è stata effettuata, previa valutazione della normalità della distribuzione campionaria, utilizzando l’ANOVA. INTRODUZIONE Nelle aziende suinicole, l’inseminazione artificiale (IA) è una pratica ormai applicata da decenni e che ha consentito una netta diminuzione dei costi di produzione, una riduzione dell’impiego di manodopera e una diffusione più mirata e rapida delle caratteristiche genetiche ricercate. I fattori che possono influenzare i parametri di fertilità in vivo e in vitro del seme impiegato nell’IA sono numerosi e comprendono, oltre a fattori ambientali e di management dei riproduttori anche fattori microbiologici (Brown et al., 1995; Allan et al., 1994; Pejsak & Truszczynski, 2006; Swenson et al., 1994). La valutazione della quantità e qualità dell’eiaculato rappresenta quindi un importante strumento che consente di garantire la fertilità dei riproduttori maschi utilizzati e di individuare e intervenire sui quei fattori che possono condizionare le performance riproduttive del verro (Flowers W.L.,1997; Turba et al., 2007). Il presente lavoro ha avuto come obiettivo la valutazione in vivo e in vitro di alcuni parametri di fertilità del verro e la loro eventuale relazione con alcuni fattori sanitari. RISULTATI Parametri clinici ed emato-biochimici: al momento dei prelievi la temperatura rettale è risultata nella norma (range: 37,939,4°C) e non sono stati evidenziati sintomi clinici apparenti. I parametri biochimici analizzati sono risultati nella norma. Esami batteriologici e virologici: seme e siero. Tutti i soggetti esaminati sono risultati negativi alla ricerca di PRRSV nel siero e nel seme. Esami sierologici: tutti i soggetti presentavano elevati titoli anticorpali anti-PCV2 per l’intera durata della sperimentazione; in 2 verri (D e I) è stata osservata una siero conversione per PRRSV; analogamente, nei soggetti C e E è stata osservata una sieropositivizzazione nei confronti della gE di ADV. Gli animali A, B, H, E sono risultati positivi per H1N2. I parametri di fertilità in vivo considerati non sono risultati statisticamente differenti in funzione delle condizioni di sieropositività evidenziate. Quando la percentuale di spermatozoi con danno acrosomiale era al di sotto del valore ritenuto fisiologico (5%) la media di suinetti nati/scrofa coperta è risultata significativamente più elevata (F=4,41; p=0,045). Prossima ai limiti della significatività statistica è risultata la percentuale di scrofe gravide (F=3,72; p=0,064). Gli altri parametri di fertilità in vitro considerati non esprimono differenze statisticamente significative verso i parametri di fertilità in vivo (tab. 1). MATERIALI E METODI Animali. Sono stati arruolati nello studio 9 verri (2 Large White e 7 Duroc, di età compresa tra 11 e 28 mesi) impiegati per l’IA in una azienda di selezione genetica di circa 1000 scrofe. Gli animali venivano allevati in box individuali, con fotoperiodo naturale, umidità relativa del 65% e temperatura compresa tra 18 e 21°C. Tutti gli animali erano vaccinati contro il virus della malattia di Aujeszky (ADV) e i virus influenzali (SIV, sierotipi H1N1 e H3N2). Tra marzo e luglio su 8 verri sono stati effettuati 4 prelievi di seme a distanza di 21 giorni; per un verro sono stati effettuati solo 2 prelievi. Al momento del prelievo sono state valutate le condizioni cliniche dell’animale, è stata misurata la temperatura rettale ed è stato prelevato un campione di sangue. L’eiaculato raccolto, previa valutazione del volume e della concentrazione spermatica, necessari per la corretta diluizione con mestruo SFM (Fantinati et al., 2008) 9 del materiale ad un valore di circa 3x10 spermatozoi mobili/dose, è stato conservato a 16°C e utilizzato entro 4 giorni dal prelievo per l’inseminazione di 230 scrofe LW. Su una aliquota del seme raccolto sono stati valutati entro 24 ore DISCUSSIONE Durante il periodo di osservazione i riproduttori inseriti nel contesto aziendale hanno mostrato una condiziona sanitaria soddisfacente, in assenza di sintomatologia clinica riferibile a 93 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 2. Allan G.M., Phenix K.V., Todd D., McNulty M.S. (1994). Some biological and physico-chemical properties of porcine circovirus. J. Vet. Med. B, 41, 17–26. 3. Pejsak ZK & Truszczynski MJ. (2006) In: Disease of Swine, Blackwell Publ. Oxford, pp.419-433. 4. Swenson SL, Hill HT, Zimmerman JJ, Evans LE, Landgraf JG, Wills RW, Sanderson TP, McGinley MJ, Brevik AK, Ciszewski DK, et al. (1994). Excretion of porcine reproductive and respiratory syndrome virus in semen after experimentally induced infection in boars. J Am Vet Med Assoc. 204(12):1943-8. 5. Flowers W.L. (1997). Management of boar for efficient semen production. In: Control of pig reproduction V (Eds GR Foxcroft, RD Geisert, C Doberska), Journal of Reproduction and Fertility, supplement 52, pp. 67-78. 6. Turba M.E., Fantinati P., Bernardini C., Gentilini F., Bacci M.L., Forni M. (2007). Relationships between innovative and traditional parameters to investigate semen quality in pigs. Animal Reproduction Science 99, 72-81. 7. Fantinati P., Zannoni A., Bernardini C., Forni M., Tattini A., Seren E., Bacci M.L. (2008). Evaluation of swine fertilisation medium (SFM) efficiency in preserving spermatozoa quality during long term storage in comparison to four commercial swine extenders. Animal, in press. patologie infettive. Nonostante ciò abbiamo rilevato eventi di siero conversione in 4 soggetti (2 per PRRSV e 2 per ADV) ed abbiamo identificato 4 soggetti positivi ad H1N2. Un solo soggetto ha mostrato positività da H1N2 e contemporanea sieropositivizzazione ad ADV. Da un punto di vista riproduttivo, le condizioni evidenziate a livello sierologico non hanno influenzato i parametri riproduttivi (in vivo ed in vitro) considerati. Questo risultato è estremamente significativo poiché si ipotizzava che cali di fertilità temporanei, osservati in verri riproduttori, potessero essere dovuti al contatto con agenti eziologici in grado di interferire con la sfera riproduttiva, anche in assenza di malattia conclamata. Irisultati del presente lavoro mostrano inoltre come alcuni parametri innovativi di valutazione morfofunzionale in vitro dell’eiaculato correlino in modo significativo con la fertilità in vivo. In modo particolare il parametro danno acrosomiale è risultato interessante sia per il numero medio di nati per scrofa che per il tasso di gravidanza. Dato che la valutazione dell’integrità dell’acrosoma può venire effettuata con una semplice colorazione e successiva valutazione al microscopio ottico, si propone l’utilizzo di tale colorazione anche in condizioni aziendali. Il presente lavoro è stato finanziato da RFO (ex 60%) Università di Bologna. Tabella 1: Risultati relativi alla valutazione della fertilità in vivo ed in vitro. parametro valore Integrità di >80% Tasso di gravidanza Nidiata (n) media nati totali/scrofa coperta Media 0,72 10,43 7,58 Dev.std. 0,19 1,65 2,67 membrana % <80% Totale danno <5% Media 0,67 9,40 6,97 Dev.std. 0,32 3,12 3,64 Media 0,70 9,98 7,32 Dev.std. 0,25 2,42 3,09 Media 0,75 10,54 8,00 Dev.std. 0,19 1,46 2,58 acrosoma % > 5% Total High ok Media 0,58 9,03 5,71 Dev.std. 0,30 3,38 3,29 Media 0,68 9,92 7,06 Dev.std. 0,25 2,51 3,06 Media 0,67 10,55 7,17 Dev.std. 0,14 1,35 2,31 MMP % <70% Total Media 0,70 9,93 7,31 Dev.std. 0,29 2,56 3,20 Media 0,69 10,00 7,30 Dev.std. 0,27 2,44 3,08 BIBLIOGRAFIA 1. Brown I.H., Harris P.A., Alexander D.J. (1995). Serological studies of influenza viruses in pigs in Great Britain 1991-2. Epidemiol Infect, 114, 511-20. 94 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CELLULE STAMINALI DA GRASSO DI EQUINO: LORO APPLICAZIONE NELLA RIGENERAZIONE OSSEA Barbaro K.1, Autorino G.L. 1, Bonini P.1, Gentili C. 2, Cancedda R. 2, Scholl F. 1,Canonici F. 3, Amaddeo D. 1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana,Via Appia Nuova 1411, Roma, Dipartimento di Oncologia Biologia e 3 Genetica (D.O.Bi.G.) dell’Università degli Studi di Genova, Medico Veterinario Libero Professionista, Clinica Veterinaria Equine Practice Key words: Stem cells, adipose tissue, bone rigeneration E’ stata eseguita anche la colorazione per la Fosfatasi Alcalina per mettere in evidenza questo marcatore precoce del differenziamento osteogenico. -Differenziamento adipogenico in vitro: Le colture sono state stimolate per 2 settimane in ĮMEM contenente FCS 10% supplementato con desametasone 1PM, insulina 10Pg/mL, indometacina 0,2mM e 3-isobutilmetil-xantina 0,5mM. I lipidi sono stati evidenziati mediante colorazione istologica con Oil Red. -Differenziamento osteogenico in vivo: Le AMSC al primo passaggio sono state risospese in 100PL di Tissucol e 20PL di trombina e fatte adsorbire su cubetti di idrossiapatite. Successivamente impiantati sottocute in topi immunodepressi (topi nudi, ceppo Cd1 Nu/Nu). Dopo otto settimane, gli animali sono stati sacrificati e gli impianti prelevati. Questi campioni, data la presenza di una matrice di idrossiapatite, sono stati prima decalcificati mediante l’impiego di una soluzione di EDTA. La matrice ossea depositata e’ stata evidenziata mediante colorazione con ematossilina eosina. Come controllo positivo sono state utilizzate MSC di midollo osseo di pecora. - Preparazione del substrato per l’impianto: Dopo arricchimento in coltura, le AMSC sono state raccolte e sospese nel plasma piastrinico (4X) arricchito dello stesso soggetto nella concentrazione di 400.000 cellule/mL. Il gel (gel piastrinico), avente funzioni di supporto ai fini dell’impianto e di apporto di fattori di crescita, è stato ottenuto mediante aggiunta di cloruro di calcio al 10% plasma piastrinico contenente le AMSC. -Inoculazione delle AMSC in cavità cistica: Previo curettage, l’impianto del gel è stato effettuato in artroscopia, mediante riempimento della cavità cistica usando una siringa da 20 mL collegata ad una cannula. L’attecchimento dell’impianto ed il successivo grado di riempimento della cavità cistica è stato monitorato mediante esame radiografico a 3, 5 e 10 mesi dall’intervento. ABSTRACT Multipotency of mesenchymal stem cells (MSC) derived from bone marrow (BMSC) as well as from adipose tissue (AMSC) has been broadly demonstrated. However, compared with BMSC, use of AMSC is advantageous in terms of their major concentration in the tissue of origin, practicability of fat collection, simpler cell isolation and enrichment. In this study, we investigated the feasibility of using autologous AMSC for the bone regeneration in repairing a case of subchondral bone cyst of the medial femoral condyle of a thoroughbred horse. In vitro and in vivo characterisation and verification of differentiation capacity into osteogenic and adipogenic lineage was carried out. A platelet gel was used not only as scaffold, but, more importantly, to guarantee the supply of cell growth factors. The efficacy of treatment, based on the radiographic and clinical follow up, was conducted over 20-month period assessing bone growth and functional recovery following implantation. INTRODUZIONE Le cellule staminali di origine mesenchimale isolate dal midollo osseo, in presenza di adeguati fattori di crescita, sono in grado di moltiplicare e differenziare in linee di popolazioni cellulari mesenchimali (miociti, osteociti, condrociti, neuroni, adipociti, fibroblasti, epatociti, ecc.). Le cellule staminali mesenchimali sono state isolate anche dal tessuto adiposo (2) e possono essere moltiplicate in vitro e differenziare al pari di quelle da midollo osseo (3, 5, 6). Considerati i diversi vantaggi tra cui la facilità di isolamento, la rapidità di espansione, la multipotenzialità ed il numero di cellule presenti fino a 50 volte superiore (1, 4), le AMSC possono costituire un substrato alternativo a quelle del midollo osseo. Scopo del lavoro è stato quello di caratterizzare il potenziale differenziativo delle AMSC equine, in vitro ed in vivo, in senso osteogenico e adipogenico e definire un protocollo sperimentale per il loro impiego terapeutico nel trattamento della cisti subcondrale del condilo femorale mediale del cavallo. RISULTATI E DISCUSSIONE Le cellule isolate dal soggetto in questione sono giunte a confluenza già in quarta quinta giornata dall’isolamento. La popolazione cellulare isolata mostrava una morfologia allungata fibroblastoide, piuttosto omogenea già dal primo passaggio. Il differenziamento osteogenico in vitro delle AMSC risultava evidente già al termine della prima settimana di stimolazione con i fattori di induzione, essendo possibile evidenziare sia la presenza di abbondanti depositi di calcio, mediante la colorazione con Alizarina S (Fig. 1a), sia la presenza di Fosfatasi Alcalina. Il differenziamento adipogenico in vitro è stato invece osservato dopo la seconda settimana dall’inizio della specifica stimolazione. Ciò era rilevabile per la positività di alcune colonie adipocitiche alla colorazione con Oil Red (Fig. 1b). MATERIALI E METODI -Isolamento di cellule staminali: Le AMSC sono state ottenute da grasso sottocutaneo prelevato in zona pericaudale ad un cavallo Purosangue inglese da corsa di 5 anni. Il soggetto che presentava una zoppia di quarto grado (scala di 5) era stato in precedenza sottoposto a due interventi chirurgici in artroscopia per l’enucleazione della cisti ed il currettage della cavità, senza esito risolutivo. Il grasso è stato digerito con collagenasi I allo 0,075%. Le cellule isolate state quindi sospese in ĮMEM contenente FCS 10% e coltivate a 37°C al 5% di CO2 . -Differenziamento osteogenico in vitro: le colture sono state stimolate per 2 settimane in mezzo standard supplementato con acido ascorbico 50Pg/mL, Eglicerofosfato 10mM, desametasone 10-7M. Il controllo negativo era rappresentato dalle AMSC fatte crescere in ĮMEM contenente FCS 10%. La presenza di depositi di calcio è stata rilevata tramite la colorazione Alizarina Red S. 95 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 pertanto essere considerato un substrato di elezione per l’ottenimento di cellule progenitrici mesenchimali. Il suo impiego potrebbe trovare anche altre differenti applicazioni oltre a quella di medicina rigenerativa descritto nel presente lavoro. a a Fig. 3: Evoluzione radiografica della cisti subcondrale. a) situazione preoperatoria e b) dopo 10 mesi dall’operazione. Le frecce indicano la regione della cisti subcondrale. b Fig. 1: Differenziamento in vitro (a) osteogenico, b) adipogenico. Monostrato cellulare visto al microscopio ottico (la freccia indica i depositi di calcio). BIBLIOGRAFIA 1. Il differenziamento osteogenico in vivo nei topi nudi è stato osservato all’ottava settimana. All’esame istolologico si evidenziava una formazione ectopica di osso negli scaffold di idrossiapatite caricati sia con le AMSC di cavallo , sia in quelli con le MSC di origine ovina impiegate come controllo (Fig. 2). 2. 3. 4. mo mo 5. a b c 6. mo ta b Fig. 2: Formazione di osso in vivo. a) e b) = AMSC equine, c) = MSC di midollo osseo ovino, mo= matrice ossea e ta= tessuto adiposo. Le radiografie di controllo, effettuate dopo 3, 5 e 10 mesi dall’inserimento del gel piastrinico contenente le AMSC, hanno mostrato un costante e progressivo miglioramento con aumento di spessore della placca subcondrale e riempimento della cavità cistica fino a quasi scomparsa (Fig. 3). Dal punto di vista funzionale la zoppia è scomparsa a partire dal secondo mese dall’intervento, il soggetto ha ripreso il training dal quarto mese ed ha iniziato l’attività agonistica fra il decimo e l’undicesimo mese. L’impianto di AMSC in gel piastrinico ha fornito risultati incoraggianti e potrebbe pertanto trovare utile impiego anche per altre patologie ossee di dimensioni non critiche resistenti alle terapie ortopediche di tipo convenzionale. In particolare, con l’impiego di AMSC e gel autologhi viene meno ogni problematica connessa a rigetto. Per le tecniche di prelievo poco invasive, l’abbondanza sia in termini di matrice biologica, sia di concentrazione e le caratteristiche di crescita osservate, il tessuto adiposo può 96 Cui L, Liu B., Liu G, Zhang W, Cen L, Sun J, 6. Yin S, Liu W, Cao Y. (2007) Repair of cranial bone defects with adipose derived stem cells and coral scaffold in a canine model. Biomaterials 28: 5477-5486. Gimble JM, Katz AJ, Bunnell BA. (2007) Adipose-derived stem cells for regenerative medicine. Circ Res 100: 1249-1260. Hicok KC, Du Laney TV, Zhou YS. (2004) Human adiposederived adult stem cells produce osteoid in vivo. Tissue Eng 10: 371-380. Nakagami H, Morishita R, Maeda K. (2006) Adipose tissuederived stromal cells as a novel option for regenerative cell therapy. J Atheroscler Throm 13(2): 77-81. Oedayrajsingh M, Breuls R, Schouten T. (2007) Phenotypical and functional characterization of freshly isolated adipose tissue-derived stem cells. Stem Cells Dev 16:91-104. Zuk PA, Zhu M, Ashjian P. (2002). Human adipose tissue is a source of multipotent stem cells. Mol Biol Cell 13: 4279-4295. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 UTILIZZO DI STRUMENTI BIOINFORMATICI “WEB-BASED” PER LO STUDIO DI UN NUOVO PROTOCOLLO MOLECOLARE PER LA RILEVAZIONE DI PCV2 Barocci S, Briscolini S, Silenzi V, Nardi S, Simoni E, Sabbatini M Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia; KEYWORDS: PCV2, PCR, web-based software BioEdit (7.0.5.3). Dopo l’allineamento multiplo (applicazione ClustalW Multiple Alignment) è stata determinata la sequenza consensus su cui sono stati disegnati i primer. La parte di consensus a livello dell’ORF1 che ha dimostrato avere la sequenza maggiormente conservata è stata utilizzata per il primer design con Primer3 (v. 0.4.0). Fra i primer ottenuti, sono stati selezionati quelli che hanno dato risultati migliori per specificità teorica in silico, dopo controllo tramite BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi), programma Nucleotide Blast, ottimizzato per sequenze altamente simili (Megablast) . INTRODUZIONE Il circovirus suino tipo 2 (PCV2) è un membro della famiglia Circoviridae, una famiglia virale definite recentemente, composta da piccoli virus con capside icosaedrico, senza envelope, con un genoma a DNA circolare a singolo filamento. Il PCV2, ritrovato in tutto il mondo, sia nei suini che nei cinghiali, è stato recentemente associato ad alcuni stati patologici che sono stati definiti malattie da circovirus suino (PCVD). Postweaning multisystemic wasting syndrome (PMWS), porcine dermatitis and nephropathy syndrome (PDNS) e disordini riproduttivi sono le più rilevanti. Fra queste, solo la PMWS è considerata una malattia con un pesante impatto nella produzione di suini domestici (1, 3). Il PCV2 ha due principali open reading frames (ORF), ORF1 (gene rep), essenziale per la replicazione del DNA (2), e ORF2 (gene cap), che codifica la proteina maggiore del capside (5). Uno dei fattori responsabili della persistenza del virus nell’organismo è da attribuirsi alla variabilità genetica che si verifica durante la replicazione virale nell’ospite con implicazioni antigeniche, di virulenza e di immunogenicità. L’analisi filogenetica delle sequenze di PCV2 riportate in GenBank hanno suggerito che l’ORF2 è adatto per separare gli isolati di PCV2 in gruppi e cluster, mentre l’ORF1 è altamente conservato. L’emergenza di molti nuovi genotipi di PCV2, come dimostrato dall’analisi filogenetica dell’intero genoma o delle sequenze capsidiche, rende necessario creare metodiche biomolecolari basate su sequenze conservate. Scopo del presente lavoro è stato quello di creare una nuova metodica in PCR per PCV2, utilizzando strumenti bioinformatici “web-based” e ad accesso gratuito. Il protocollo di PCR si basa sull’allineamento di diverse sequenze genomiche complete depositate negli ultimi anni in GenBank, in modo da ottenere una metodica efficace basata sulle sequenze dei ceppi virali attualmente circolanti. PCR Nella prima prova di messa a punto è stato eseguito un gradient di 10°C (da 56 a 66°C), con variazione di 1°C per colonna, per valutare la migliore temperatura di annealing. Successivamente la metodica è stata effettuata a varie concentrazioni di MgCl2 (da 1 a 2,5 mM) per individuare la migliore quantità di magnesio per l’amplificazione. Una volta ottimizzati questi due parametri, la PCR è stata effettuata in un volume di 25 ȝL contenente MgCl2 (1,5 mM), Buffer GoTaq® 1X (Promega, WI, USA), dNTPs (0,2 mM), primer (Invitrogen, USA) PCV2-FMTSEf (5’AGAAACAAGTGGTGGGATGG-3’) e PCV2-FMTSEr (5’® TACAGCTGGGACAGCAGTTG-3’) (1 ȝM), GoTaq (1,25 U) e 2 ȝL di DNA. Il protocollo di amplificazione utilizzato è stato il seguente: denaturazione iniziale a 93°C x 3’; 35 cicli a 93°C x 15’’, 60,5°C x 10’’, 72°C x 30’’; estensione finale a 72°C x 8’. Il protocollo ha una durata di 75 minuti in amplificatore Mastercycler ep gradient S (Eppendorf, Germania). Gli ampliconi ottenuti sono risultati di 219 bp. La corsa elettroforetica è stata eseguita su gel di agarosio al 2%. Per la visualizzazione del DNA (Sistema GelDoc 2000, BioRad, Francia) è stato utilizzato bromuro di etidio (Sigma-Aldrich, Italia) e, come marker di peso molecolare, è stato scelto il Ladder 100 bp (Celbio, Italia). MATERIALI E METODI Per le prove di sensibilità analitica è stato utilizzato un DNA di PCV2 estratto e quantificato secondo metodi tradizionali (7). Per le prove di sensibilità diagnostica sono in corso di analisi campioni riscontrati positivi per PCV2 all’isolamento virale ottenuti dalla routine diagnostica. In quest’ultimo caso l’estrazione del DNA è stata effettuata sia da vari tipi di organo (estrazione con GenElute Mammalian Genomic DNA Maniprep kit, SIGMA, USA), che da sovranatante di colture cellulari di rene neonatale suino, NSK (estrazione per bollitura), precedentemente testate come PCV2 negative. Real-Time PCR I campioni di campo sono stati sottoposti ad isolamento virale su colture cellulari (NSK) ed il DNA virale, estratto da 200 μl di surnatante, è in corso di analisi in real-time PCR. Il protocollo di estrazione utilizzato è quello descritto dalla metodica QIAamp DNA Mini Kit (QIAGEN, Italia). Per l’amplificazione sono stati utilizzati primer da sequenze conservate di ORF2 (6). La reazione di amplificazione è stata effettuata in un volume di 20 μl contenente: 1X Master Mix (Eppendorf, Germania), 200 nM forward primer (5’TAGGTGAGGGCTGTGGCCTTT-3’), 200 nM reverse primer (5’-ATGGCATCTTCAACACCCGCC-3’), 100 nM TaqMan® probe (5’-ATCTCATCATGTCCACCGCCCAGGA-BHQ1-3’). Dopo aver aggiunto 5 μl di DNA, i campioni sono stati amplificati in Real-Time PCR System DNA Engine Opticon 2 (Bio-Rad, Francia) usando i seguenti parametri: iniziale attivazione della polimerasi a 95°C per 1 minuto seguita da 35 cicli a 94°C per 20 secondi e un ciclo a 60°C per 1 minuto. Il Studio in silico Tutti gli strumenti bioinformatici utilizzati nel presente lavoro sono disponibili sul web. Le sequenze di interesse dell’intero genoma di PCV2 depositate negli ultimi tre anni sono state ottenute da GenBank (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/gquery). Tutte le 168 sequenze selezionate sono state allineate utilizzando il 97 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 numero dei cicli richiesti per calcolare la fluorescenza (Ct) è stato determinato per ogni campione. DISCUSSIONE Il nuovo protocollo di PCR proposto risulta uno strumento efficace per la diagnostica di PCV2 da varie matrici. Il protocollo, infatti, è stato applicato dopo diversi tipi di estrazioni e da varie matrici (diversi organi e sovranatante di colture cellulari), ottenendo sempre i medesimi risultati, rispetto a protocolli utilizzati in precedenza, che non erano caratterizzati dalle stesse performance. La real-time PCR, effettuata in triplicato, ha mostrato un’ottima concordanza con la metodica proposta. Nonostante i dati per tutti i trenta campioni utilizzati nella fase preliminare della validazione debbano essere integrati (sono, infatti, in corso le analisi in real-time PCR dei restanti campioni), i risultati ottenuti in questa prima parte della messa a punto sono molto confortanti, soprattutto riguardo al limite di rilevabilità riscontrato. RISULTATI Il lavoro eseguito tramite strumenti bioinformatici “webbased” ha permesso lo studio completo di una nuova PCR per PCV2. Gli stessi strumenti possono essere utilizzati per lo studio di metodiche in PCR a tutti i livelli. Figura 1. Limite di rilevabilità della PCR. Lane 1: ladder 100 bp; lane 2-10: diluizioni seriali di DNA di PCV2 (da 33,4 ng a 0,025 ng totali per reazione); lane 11 e 12: controlli negativi di estrazione ed amplificazione. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Hamel, A.L., Lin, L.L., Nayar, G.P., 1998. Nucleotide sequence of Porcine circovirus associated with postweaning multisystemic wasting syndrome in pigs. J. Virol. 72 (6), 5262–5267. 2. Larochelle R, Magar R, D'Allaire S. 2002. Genetic characterization and phylogenetic analysis of porcine circovirus type 2 (PCV2) strains from cases presenting various clinical conditions. Virus Res. 90(1-2):101-12. 3. Mankertz A, Caliskan R, Hattermann K, Hillenbrand B, Kurzendoerfer P, Mueller B, Schmitt C, Steinfeldt T, Finsterbusch T. 2004. Molecular biology of Porcine circovirus: analyses of gene expression and viral replication. Vet Microbiol. 98(2):81-8. Review. 4. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2008 – OIE. Chapter 1.1.5. Validation and quality control of polymerase chain reaction methods used for the diagnosis of infectious diseases. 5. Nawagitgul P, Morozov I, Bolin SR, Harms PA, Sorden SD, Paul PS. 2000. Open reading frame 2 of porcine circovirus type 2 encodes a major capsid protein. 81; 2281-2287. 6. Olvera A, Sibila M, Calsamiglia M, Segales J, Domingo M. 2004. Comparison of porcine circovirus type 2 load in serum quantified by a real time PCR in postweaning multisystemic wasting syndrome and porcine dermatitis and nephropathy syndrome naturally affected pigs. J Virol Methods. 117(1):75-80. 7. Sambrook J, Russell D. 2001. Molecular Cloning: A Laboratory Manual Cold Spring Harbor Labora, 3rd Edition. Tale metodica è in corso di validazione secondo i principali parametri di valutazione dell’OIE (4). Figura 2. Real-Time PCR di conferma della sensibilità diagnositica della PCR. La reazione è stata eseguita da DNA estratto da surnatante di colture cellulari (NSK) inoculate con alcuni campioni positivi di campo (C1-C5). I campioni presentano un Ct compreso fra 14.20 e 19.77. SUMMARY Porcine circovirus type 2 (PCV2) infects porcids and is the causative agent of an important emerging swine disease (PMWS). In this work we show the study and preliminary data on the evaluation of a new diagnostic PCR, based on a consensus sequence obtained from the alignment of 168 whole genomes of PCV2. All the study has been performed using web-based and freeware softwares. The rapid PCR protocol, during this part of evaluation, demonstrated good sensitivity, specificity and detection limit and can potentially be used for routine analyses either from pooled organs or cell culture supernatants. I dati preliminari ottenuti dalla validazione in corso sono confortanti ed evidenziano che la metodica ha buone sensibilità e specificità diagnostiche, relativamente a isolamento virale e real-time PCR. Il limite di rilevabilità stimato è di 0,05 ng di DNA per reazione, quindi una concentrazione di DNA estratto di 0.025 ng/ȝL (Fig. 1). Per ottenere i dati di sensibilità diagnostica, tutti i campioni (N. 30), sia positivi che negativi, sono stati sottoposti ad isolamento virale ed i surnatanti sono in corso di analisi in real-time PCR. La real-time PCR risulta importante a causa dell’assenza di effetto citopatico da PCV2 su NSK. Tutti i campioni analizzati finora in PCR hanno evidenziato una buona correlazione con i risultati ottenuti in real-time-PCR (Fig. 2). Si ringraziano per la collaborazione il Dott. Stefano Petrini, il Dott. Riccardo Villa e la Dott.ssa Maura Ferrari. Per informazioni: [email protected] 98 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ESAME BATTERIOLOGICO/PCR SU TAMPONI NASALI DI BOVINI IN FOCOLAI DI MALATTIA RESPIRATORIA 1 Benedetti V, 2Manzoli C, 1Vezzoli F, 1Luini M 1 2 IZSLER - Sezione di Lodi; Farmaceutici Gellini Key words: nasal swab, cattle, PCR ABSTRACT The prevalence of main bacterial respiratory pathogens was studied in 354 cows of different age and attitude during outbreaks of respiratory disease. The animals were sampled with swabs of the deep nasal cavity (30 cm of length). P. multocida, M. haemolitica and A. pyogenes were demonstrated by culture and typing with conventional method. H. Somni and M. Bovis were demonstrated by culture and subsequent specific PCR on developed colonies. M. bovis was the pathogen more frequently demonstrated (33,6%), followed by P. Multocida (21,5%) H. Somni (13,6%), M haemolitica (11,9%) and A pyogenes (1,1%). The microorganisms were frequently associated. Our method of culture/PCR is valid to demonstrate “difficult microorganism” from potentially contaminated sources. e vitelloni da carne) dislocati nel Nord Italia. Sono stati inclusi nel campionamento animali con sintomi respiratori e non appartenenti a gruppi in cui fosse in corso un focolaio di malattia respiratoria. Tamponi nasali – Su ciascun animale è stato effettuato un tampone nasale profondo previo contenimento dell’animale, pulizia del musello e introduzione per quasi tutta la sua lunghezza in una delle due cavità nasali di un tampone di cotone di 30 cm. munito di una guaina protettiva in silicone. Il tampone, dopo essere stato sfregato sulla mucosa della cavità nasale è stato recuperato ed immediatamente immerso in terreno di trasporto agarizzato Amies al carbone. Il campione ottenuto è stato immediatamente refrigerato e consegnato al laboratorio entro 48 ore dal prelievo. Esame batteriologico – I tamponi sono stati risospesi in 0,5 ml di PBS e seminati su due piastre di Agar Sangue (5% g.r. di montone), una di BHI Agar, una di Mc Conkey Agar ed una di PPLO Agar (20% di siero equino e 5% di autolisato di lievito, penicillina e acetato di tallio). Le piastre sono state incubate a 37°C per 24/48 ore e le colonie morfologicamente riferibili a P. multocida e M. haemolytica sono state isolate e tipizzate secondo le comuni metodiche in uso nel nostro laboratorio. Per l’isolamento di H. Somni una piastra Agar Sangue è stata incubata a 37°C in micro-aerofilia al 10% di CO2 per 48/72 ore. La piastra di PPLO per l’isolamento di M. bovis è stata incubata a 37°C in micro-aerofilia al 10% di CO2 per 5-7 giorni per la valutazione della comparsa di tipiche colonie a uovo fritto con caratteristica produzione di film. A causa della relativa frequenza di contaminazioni da microrganismi ambientali H. somni e M. bovis sono stati dimostrati con PCR anche in presenza di altri microrganismi a crescita più rapida (i.e. Pasteurella e Mannheimia) o di flora microbica contaminante. A tale scopo tutte le colonie su piastre di Agar Sangue e su PPLO Agar incubati in CO2, rispettivamente dopo 48/72 ore e 5/7 giorni sono state raccolte e sottoposte a PCR. Il protocollo utilizzato per le ricerche batteriologice condotte è schematizzato nella figura 1. INTRODUZIONE Le forme respiratorie dei bovini, Bovine Respiratory Disease Complex (BRDC), sono causa di elevate perdite economiche ed è ampiamente dimostrato che i fattori eziologici coinvolti siano molteplici: l’animale, l’ambiente, il management e numerosi agenti patogeni. I virus maggiormente coinvolti sono il Virus Respiratorio Sinciziale del Bovino (VRSB), il virus della Rinotracheite Infettiva del Bovino (IBR), il virus Parainfluenza 3 (PI3) e il virus della Diarrea Virale del Bovino (BVDV) (2). Dal punto di vista batteriologico Mycoplasma bovis è primariamente coinvolto nel determinismo di forme respiratorie e ci sono evidenze che l’infezione induca una immunodepressione che può predisporre all’invasione da parte di altri patogeni (1,8). Mannheimia haemolytica, Pasteurella multocida e Histophilus somni sono altri batteri isolati con frequenza in corso di BRDC. Questi germi possono essere presenti come organismi opportunisti nella cavità orofaringea dei mammiferi e situazioni debilitanti possono intervenire sulle normali difese consentendone la moltiplicazione fino ad una invasione dei tratti più profondi dell’albero respiratorio (3,6,10). M. haemolytica, grazie a specifici fattori di virulenza, è in grado di indurre patologia primaria anche in assenza di pregresse infezioni virali (10). H. somni è stato riconosciuto come causa di numerose manifestazioni patologiche tra le quali forme di meningoencefalite tromboembolica (TME), pleuropolmoniti, miocarditi, otiti, congiuntiviti, ma anche disordini nella sfera riproduttiva (6). H. somni si è dimostrato sperimentalmente in grado di determinare lesioni respiratorie anche come unico agente infettivo, tuttavia nella patologia spontanea agisce molto spesso in sinergia con altri comuni patogeni respiratori del bovino. In particolare è stato dimostrato un netto incremento della capacità pneumopatogena di H. Somni quando questo si sovrappone ad infezioni respiratorie sostenute da VRSB (5). Questo lavoro riporta il protocollo e le metodiche utilizzate in una indagine effettuata su tamponi nasali di giovani bovini colpiti da forme respiratorie. Tampone in PBS Fig. 1 – Protocollo per semina di tamponi nasali e raccolta di materiale da piastre per identificazione mediante PCR. ASA CO2 ASA 37°C 48/72 h Spatolato 0,5 ml diH2O sterile+DEPC ASA CO2 MATERIALI E METODI Animali – Sono stati soggetti a campionamento 354 animali di età compresa tra i 20 giorni ed i 15 mesi di vita. I bovini, di varie razze, provenivano da 53 allevamenti a diversa tipologia (linea vacca-vitello, vitelli a carne bianca, allevamenti da latte PCR H. SOMNI BHI MC PPLO 5/7 Giorni Spatolato 0,5 ml diH2Osterile+DEPC PPLO PCR M. BOVIS VIROLOGICO Estrazione del DNA – Come sopraccennato, per ogni piastra tutte le colonie cresciute sono state risospese in 0,5 99 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ricerche segnalate in letteratura (1,2,4). Il prelievo con tampone profondo delle cavità nasali praticato ad oltre 20 cm. dall’entrata delle narici e utilizzando un tampone protetto da una guaina di silicone non ha comunque impedito una elevata frequenza di tamponi con flora batterica contaminante (62,4%) o completamente inquinati (3,9%). Senza il ricorso al metodo batteriologico/PCR da noi utilizzato quasi tutti i positivi per H. somni (91,7%) e una parte considerevole dei positivi per M. bovis (23,5%) sarebbero sfuggiti al solo esame batteriologico in seguito all’inquinamento della coltura od al mascheramento della crescita da parte di altri microrganismi. Probabilmente il ricorso al tampone profondo protetto da una ulteriore guaina da utilizzarsi durante la introduzione nella cavità nasale, da perforare solo nel momento in cui il tampone avesse già raggiunto il sito di prelievo avrebbe condotto a risultati migliori. Del resto è apparsa chiara una differenza di percentuali di contaminazione dei prelievi da parte di diversi veterinari operatori e a seconda della esperienza acquisita nell’operazione. Gli aspetti clinici dei casi considerati, che pure sono stati registrati, non sono oggetto della presente trattazione, anche perché sono in corso ulteriori esami virologici, che saranno seguiti da una analisi dei risultati ottenuti su animali ammalati e di controllo presenti nei focolai. Riteniamo in conclusione che il metodo batteriologico/PCR sia valido e proponibile soprattutto per la dimostrazione di microrganismi a difficili, a lenta crescita, specie su campioni suscettibili di contaminazione nel prelievo come tamponi nasali, vaginali o cervicali, urine e dove i terreni selettivi non siano sufficientemente tali o vi sia il rischio di selezione anche dei microrganismi che si intende dimostrare. ml di H2O distillata sterile addizionata di DEPC (dietilpirocarbonato 0,1%). Il prodotto così ottenuto è stato conservato a -20°C fino al momento dell’estrazione. L’estrazione del DNA è stata effettuata mediante bollitura a 100°C per 15’. PCR – Dal DNA estratto sono state effettuate due PCR singole secondo metodiche riportate in letteratura o precedentemente utilizzate (7,9). Brevemente, per H. somni è stata utilizzata una coppia di primers specie specifici (HS Fw: 5’ GGA GGC GAT TAG TTT AAG AG 3’ - HS Rw: 5’ TTC GGG CAC CAA GTR TTC A 3’) che amplificano un frammento di 400 bp del gene 16s rRNA . La reazione è stata condotta in un volume finale di 20 Pl, contenente 0.25 PM di ciascun primer, 100 PM di dNTPs, 0,5 unità di Taq polimerasi (Hot Star®) e 2 Pl del lisato ottenuto dalla bollitura diluito 1:50 in H2O distillata sterile addizionata di DEPC. È stato utilizzato il seguente protocollo di amplificazione: denaturazione a 95°C per 15’, 35 cicli di 94°C per 1’, 55°C per 1’ e 72°C per 1’ con una extension finale a 72°C per 5’. Dieci microlitri dei prodotti così ottenuti sono stati visualizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio al 1.5% (9). Per M. bovis è stata utilizzata la seguente coppia di primers specie specifici: MYCBV-Fw – 5’ TAT CGG TGA CCC TTT TGC AC 3’; MYCBV-Rw – 5’ TTC CAC TTC CTG ACT CAC CA 3’ che amplificano un frammento di 348 bp. La reazione è stata condotta in un volume finale di 20 Pl, contenente 0.2 PM di ciascun primer, 200 PM di dNTPs, 1 unità di Taq polimerasi (Roche Diagnostics®) nel suo buffer di reazione 1x 1.5mM di MgCl2 e 5 Pl del lisato ottenuto dalla bollitura. E’ stato utilizzato il seguente protocollo di amplificazione: denaturazione a 95°C per 5’, 36 cicli di 95°C per 1’, 55°C per 30” e 72°C per 30” con una extension finale a 72°C per 7’. Dieci microlitri dei prodotti così ottenuti sono stati visualizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio al 1.5% (7). RINGRAZIAMENTI Si ringrazia la Sig.ra Giuseppina Bramè e la Sig.ra Valentina Vezzini per la eccellente collaborazione tecnica prestata. Si ringraziano i medici veterinari che hanno effettuato i prelievi. RISULTATI Nei 354 tamponi nasali esaminati il microrganismo patogeno dimostrato con maggiore frequenza è stato M. bovis con 119 positivi (33,6%), seguito da P. multocida con 76 positivi per (21,5%), H. Somni con 48 positivi (13,6%), M. Haemolitica con 42 positivi (11,9%) e A. pyogenes con 4 campioni positivi (1,1%). Nel 62,4% sulle piastre di Agar sangue era presente la crescita di una flora batterica polimorfa più o meno abbondante, ma tale da consentire comunque di identificare la contemporanea presenza di agenti patogeni. Nel 3,9% delle piastre invece era presente un inquinamento che ha reso impossibile la interpretazione delle colture. Nel 25,4% dei casi gli agenti patogeni sono stati isolati in diverse associazioni tra di loro, associazioni composte anche da tre patogeni (4,2%). In 19 tamponi si è messa in evidenza la contemporanea presenza di M. Bovis e H. Somni. In 53 tamponi si è messa in evidenza la presenza del solo M. Bovis, in 15 quella del H. Somni, in 15 di P. Multocida, in 22 di M. Haemolitica. Con i metodi descritti gli esami colturali hanno permesso l’isolamento di 91 ceppi di M. Bovis e di soli 4 ceppi di H. somni, mentre con PCR ne sono stati dimostrati rispettivamente 119 e 48. BIBLIOGRAFIA 1. Arcangioli MA, Duet A, Meyer G, Dernburg A, Bézille P, Poumarat F, Le Grand D (2008): The role of Mycoplasma bovis in bovine respiratory disease outbreaks in veal calf feedlots. Vet J.; 177 (1) : 89-93. 2. Autio T, Pohjanvirta T, Holopainen R, Rikula U, Pentikäinen J, Huovilainen A, Rusanen H, Soveri T, Sihvonen L, Pelkonen S (2007): Etiology of respiratory disease in non-vaccinated, nonmedicated calves in rearing herds. Vet Microbiol.; 31;119(2-4):25665 3. Dabo SM, Taylor JD, Confer AW (2007): Pasteurella multocida and bovine respiratory disease. Anim Health Res Rev.;8(2):129-50. 4. Gagea MI, Bateman KG, Van Dreumel T, McEwen BJ, Carman S, Archambault M, Shanahan RA, Caswell JL. (2006): Diseases and pathogens associated with mortality in Ontario beef feedlots. J Vet Diagn Invest.;18(1):18-28 5. Gershwin LJ, Bergaus LJ, Arnold K, Anderson ML, Corbeil LB (2005): Immune mechanism of pathogeneticsynegy in concurrent bovine pulmonary infection with Haemophilus somnus and bovine respiratory syncytial virus. Vet Immunol Immunophatol.; 15, 107(12):119-130 6. Harris F.W., Janzen E.D. (1989): The Haemophilus somnus disease complex (Hemophilosis): a review. Can Vet J.; 30, 816822 7. Luini M., Gualdi V., Maietti L., Vezzoli F., La Malfa C., Radaelli E., Soriolo A., Albeton A., Fin M., Rodeghiero M. (2006): Mycoplasma Bovis in bovine da carne con patologia respiratoria Large Animal Review; 12 (6) 11-15 8. Nicholas RA, Ayling RD. (2003): Mycoplasma bovis: disease, diagnosis, and control. Res Vet Sci.;74 (2):105-12. 9. Oystein A, Ahrens P, Tegtmeier C (1998): Development of a PCR test for identification of Haemophilus somnus in pure and mixed cultures Veterinary Microbiology 63(1998)39-48. 10. Rice JA, Carrasco-Medina L, Hodgins DC, Shewen PE. (2007): Mannheimia haemolytica and bovine respiratory disease. Anim Health Res 8(2):117-28. DISCUSSIONE I metodi da noi utilizzati si sono dimostrati utili nella dimostrazione dei principali batteri patogeni responsabili di forme respiratorie nel bovino, riscontrati da soli o associati nel 55.1% dei campioni analizzati ed hanno evidenziato una alta frequenza di positività specie per M. bovis (33,6%) e per P. multocida (21,5%). Anche la dimostrazione di H. somni e di M. haemolytica è risultata frequente con percentuali di positività rispettivamente del 13,6% e 11,9%. Questi risultati confermano le nostre precedenti ricerche (7) e analoghe 100 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 QUADRI ANATOMO-PATOLOGICI E ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. IN ALLEVAMENTI BOVINI PIEMONTESI Bergagna S., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Adriano D., Grattarola C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Keywords: Salmonella – cattle – infection Introduzione La Salmonellosi è una patologia importante negli animali domestici sia per la gravità dei sintomi a lei associati sia per i risvolti di natura sanitaria conseguenti il carattere zoonosico dell’infezione. La sintomatologia clinica nei bovini comprende, come nell’uomo, febbre, depressione e diarrea, caratterizzata da feci acquose, talvolta striate di sangue, muco, con presenza di cenci necrotici di mucosa intestinale (2). Occasionalmente possono manifestarsi anche forme differenti quali: setticemia, aborti, patologie a carattere respiratorio o articolare. Non mancano infine i soggetti asintomatici e diffusori (4). Dal Report EnterVet Anno 2006, si evince che il sierotipo più frequentemente isolato negli animali risulta essere S. Typhimurium con una frequenza pari al 18,96% (17,59% nel 2005 e 22,24% nel 2004). Lo stesso andamento viene osservato nel bovino. La ricerca delle salmonellosi animali è da considerarsi quindi un’importante attività svolta presso gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS) in materia di controllo e di monitoraggio di infezioni trasmissibili all’uomo. Pertanto, lo scopo principale di questo report è quello di descrivere i quadri clinici ed anatomo-patologici legati all’infezione da Salmonella spp. nel bovino osservati nel corso dell’attività diagnostica degli ultimi anni presso l’IZS della Sede di Torino. Agar Sangue (AS) per diluizione. Dopo incubazione di 18-24 ore, sono stati valutati i seguenti parametri: viraggio di colore, produzione di H2S e sviluppo di gas su TSI. A partire dalle colonie su AS è stata allestita la prova dell’ossidasi. Le colonie con caratteristiche riferibili a quelle di Salmonella spp. sono state sottoposte ad identificazione mediante galleria API e tecnica ELISA per la valutazione degli antigeni sia somatici (O) che flagellari (H). La fagotipizzazione dei ceppi di Salmonella Typhimurium è stata eseguita presso il Centro di Referenza Nazionale delle Salmonellosi di Padova. Tabella n. 1: isolamento di Salmonella spp. nei bovini – attività e risultati Materiali e Metodi Campionamento – Nella tabella n. 1 sono riportati i casi relativi a salmonellosi nel corso degli anni 2002-2008 (aggiormanento al 31/07/08) sul totale dei capi bovini esaminati per anno. Esami di laboratorio – Su tutti gli animali sono stati condotti esami anatomo-patologici ed esami microbiologici mirati all’accertamento della causa di morte e un (Tabella n. 2). Isolamento di Salmonella sp. con metodo classico (1,3) – Arricchimento. I campioni sono stati suddivisi in due aliquote e sottoposti a due diverse modalità di arricchimento. La diluizione osservata è stata di 1/10 e ai campioni è stata aggiunta idonea quantità di Selenito Cistina (SC) e di Rappaport Vassiliadis (RV) o Mueller-Kauffman Tetrationato (Mkttn). Per l’aliquota trattata con SC, l’incubazione è avvenuta a 37°C per 18-24 ore, mentre l’aliquota in RV è stata posta in incubatore a 42°C. Isolamento. Osservato il periodo d’incubazione, I campioni in SC e in RV sono stati seminati in doppio su terreni solidi Brilliant Green Agar (BGA) e Xilose Lysine Deoxycholate Agar (XLD), inoculando 0,1ml di liquido. Le piastre sono state incubate a 37°C per 18-24 ore. Isolamento di Salmonella sp. con MSRV (4) – Prearricchimento. Dal campione sono stati prelevati 200g di materiale omogenato con pari volume di BPW. Tutti i campioni sono stati messi ad incubare in termostato a 37°C per 18-24 ore. Isolamento. I campioni sono stati in seguito seminati su altrettante piastre di terreno semisolido MSRV, seminando tre gocce della sospensione in esame a formare gli apici di un triangolo. Le piastre sono state messe in incubatore a 42°C per 48 ore, controllando l’eventuale crescita a 24 e a 48 ore. Identificazione batterica – Le colonie che hanno presentato crescita caratteristica sui terreni utilizzati, sono state trapiantate su Triple Sugar Iron Agar (TSI) per infissione e su anno Campioni positivi Campioni testati Tipologia animale 2002 1 162 1 vitello 2003 1 153 1 vitello 2004 0 216 - 2005 0 211 - 2006 0 144 - 2007 1 218 1 vitello 2008 4 216 3 vitelli 1feto Risultati Nella tabella n. 2 sono stati riassunti i risultati delle indagini di laboratorio condotte presso l’IZS di Torino. Tabella n. 2: risultati delle indagini condotte sui bovini risultati positivi [TETRAKIT: kit ELISA per la ricerca di Cryptosporidium parvum, E. coli K99, Rotavirus, Coronavirus; EB: esame batteriologico] *(fagotipizzazione in corso) CASO anno BVD TETRAKIT ES.BATT Caso1 2002 N CRYPTOSPORIDIUM E. COLI, S.Typhimurium U302 Caso2 2003 N N S.Typhimurium DT104 Caso3 2007 N CRYPTOSPORIDIUM S.Typhimurium DT138 Caso4 2008 N CRYPTOSPORIDIUM S.Typhimurium* N N S.Typhimurium DT110 N ROTAVIRUS NEGATIVO N CRYPTOSPORIDIUM E. COLI, S. DERBY Caso5 2008 Caso6 2008 101 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Caso7 2008 N - (71%). Questo può essere spiegato dal fatto che l’insorgenza della patologia è fortemente condizionata da fattori igienicosanitari ed errori di management. Scarsa pulizia dei ricoveri, insufficiente opera di derattizzazione e sovraffollamento delle vitellaie sono le criticità osservate nei casi 2, 3, 4 e 5. A riprova di ciò, è importante osservare che gli stessi fattori predisponenti sono stati alla base dell’insorgenza in questi allevamenti di altre patologie infettive a carattere gastroenterico (criptosporidiosi, rotavirosi, coccidiosi e colibacillosi). In linea con quanto riportato da altri autori (2), si ritiene, quindi, che l’inserimento sistematico di esami microbiologici per la ricerca di Salmonella spp. nei protocolli diagnostici delle enteriti neonatali rappresenta un valido strumento per il controllo costante di tale infezione nel bovino. S. DUBLIN L’esame necroscopico ha evidenziato: Caso1/2002: enterite a sfondo emorragico, iperplasia dei linfonodi meseraici, anemia. Caso2/2003: cachessia, enterite catarrale, iperplasia dei linfonodi meseraici. Caso3/2007: anemia, broncopolmonite catarrale, petecchie e soffusioni a livello epicardio, enterite catarrale, iperplasia dei linfonodi meseraici. Caso4/2008: enterite catarrale (contenuto fecale gialloverdastro), iperplasia dei linfonodi meseraici, anemia. Coccidiosi Caso5/2008(a): grave colite necrotico-difterica associata a iperplasia dei linfonodi meseraici, peritonite fibrinosa, artrosinovite. Caso5/2008(b): enterite catarrale, iperplasia dei linfonodi meseraici, anemia Caso6/2008: grave enterite e abomasite catarrale, iperplasia dei linfonodi meseraici, anemia Caso7/2008: il contenuto del IV stomaco si presenta emorragico. Successive indagini di laboratorio condotte sul feto non hanno evidenziato positività agli agenti abortigeni. La ricerca è stata mirata per l’esclusione di Listeria spp., Chlamydia spp., miceti, Campylobacter fetus, Brucella spp., BHV4, IBR, PI3. Bibliografia 1. AFNOR NF V 08-052 (1997) 2. Barberio A. et al., 2005. Osservazioni cliniche ed anatomopatologiche in un focolaio di salmonellosi bovina da Salmonella enterica subsp. Enterica sierotipo typhimurium nella provincia di Vicenza. Atti della Società Italiana di Buiatria. 37: 145-150. 3. Decreto del Ministero della Sanità 10/03/1997-“Programma di controllo per Salmonella enteritidis e Salmonella typhinurium negli allevamenti di galline ovaiole destinate alla produzione di uova da consumo 4. ISO 6579 5. Wray C. & Wray A., Eds. (2000). Salmonella in domestic animals. CAB International, Wallingford, Oxon, UK Discussione In tutti i casi di Salmonellosi descritti in questo studio, venivano riportati nell’anamnesi episodi di enterite neonatale con tassi elevati di mortalità e in un caso (Caso 2) sintomatologia gastroenterica e ipertermia anche negli adulti. Come riportato in bibliografia (2,5), l’infezione da Salmonella nel bovino è sostenuta principalmente da S. Typhimurium e i risultati da noi ottenuti sono in linea con questa tendenza Abstract In this report we have described pathological findings occurred principally on eight 7-21 days old calves that became infected by Salmonella spp. We have observed non specific pathological features, except in a case. This report reminds that It is always important to exclude the involvement of Salmonella spp. in all outbreaks of neonatal enteritis. 102 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 PRESENZA DI COXIELLA BURNETII E MYCOBACTERIUM PARATUBERCULOSIS NEL LATTE CRUDO: MONITORAGGIO MEDIANTE TECNICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE Bertasi B., Maccabiani G.,Tilola M., Daminelli P., Boni P Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia Key words: latte crudo, coxiella, mycobacterium, PCR frequentemente, per contaminazione del latte in corso di mungitura, rappresentando un potenziale rischio di contaminazione umana, che si ritiene collegabile con lo sviluppo della malattia di Crohn’s nell’uomo, anche se non esistono tuttora evidenze scientificamente inconfutabili di questo rapporto (8). E’ noto come i micobatteri siano microrganismi particolarmente resistenti e difficoltosi da evidenziare mediante le tecniche colturali tradizionali, in quanto l’isolamento richiede tempi molto lunghi (fino a tre mesi) ed, inoltre, procedure di decontaminazione capaci di diminuire la sensibilità del metodo. La necessità di rilevare in modo rapido e su larga scala la presenza di microrganismi patogeni collegati al consumo, rende indispensabile la disponibilità di sistemi diagnostici rapidi e di semplice esecuzione. Le tecniche di biologia molecolare (PCR e PCR Real Time) si prestano in particolar modo alle situazioni precedentemente descritte e rappresentano metodiche in grado di fornire risultati in tempi brevi, che non superino la shelf-life del prodotto. Inoltre l’indicazione della presenza di contaminazione risulta essere un dato importante, anche dal punto di vista epidemiologico, a prescindere dalla capacità di distinguere microrganismi vitali da quelli che non lo sono. Obiettivo del presente lavoro è stato l’applicazione di tecniche di biologia molecolare, nell’ambito di un piano di monitoraggio del latte crudo indetto dalla Regione, per effettuare una preliminare valutazione epidemiologica relativa alle contaminazioni da parte di Coxiella burnetii e Mycobacterium paratuberculosis. SUMMARY Related to increase of raw milk consuming, it is necessary to control products about pathogens contaminations. Mycobacterium paratuberculosis and Coxiella burnetii are zoonotic agents that can contaminate raw milk. M. paratuberculosis is the causative agent of a degenerative disease primarily in ruminants, but there is a possible link with development of Crohn’s Disease in humans. Coxiella burnetii is a causative agent of Q-fever, a widespread zoonosis. It is not well know how are the links between microrganisms presence and disease in humans, so it is necessary to perform monitoring and epidemiological studies. Isolation of these microrganisms it is very difficult and it takes very long time when it is performed by traditional culture tecniques; so in this field molecular biology methods seem to be the most useful techniques. INTRODUZIONE Il crescente orientamento del consumatore verso alimenti poco o nulla manipolati, per lo più afferenti alla cosiddetta “catena corta”, a maggior ragione se caratterizzati da vita commerciale breve (pochi giorni di shelf life) comportano la necessità di un adeguamento del sistema complessivo dei controlli. Tale evoluzione coinvolge anche l’utilizzo di metodiche di analisi in grado di fornire riscontri nel più breve tempo possibile, al fine di quanto meno limitare l’impatto sul consumatore di possibili situazioni di rischio, in particolare riferita ad agenti microbici, a maggior ragione se dotati di caratteristiche zoonosiche. Fra gli alimenti afferenti alla catena corta occupa una posizione di preminenza il latte crudo che potrebbe presentare, tra le altre, contaminazioni da Mycobacterium paratuberculosis e Coxiella burnetii. Le conseguenze dell’infezione da Coxiella negli animali sono piuttosto conosciute; nella maggior parte dei casi il decorso si presenta asintomatico, ma può esitare in aborto. Nonostante siano note alcune caratteristiche importanti di questo microrganismo (resistenza al calore, al disseccamento ed ai disinfettanti) e le modalità di trasmissione dall’animale all’uomo, pochissimo si conosce relativamente alla diffusione dell’infezione umana, che risulta certamente sottostimata (4,5). La mancanza di dati a questo riguardo potrebbe essere giustificata dal fatto che la sintomatologia si presenta come altamente aspecifica, sfuggendo quindi alle segnalazioni ospedaliere, e che tale infezione è sempre stata classificata come malattia strettamente professionale, in quanto il maggior rischio di contrarla appartiene agli operatori del settore (veterinari, allevatori ecc.). Le principali vie di trasmissione sono orale e respiratoria. Il microrganismo, oltre ad essere eliminato nelle urine e nelle feci, può ritrovarsi anche nel latte (6,7); il ritorno alla possibilità di commercializzare latte crudo potrebbe ampliare la diffusione delle infezioni umane ed apportare una contingente motivazione a supporto di studi epidemiologici più approfonditi. Anche Mycobacterium paratuberculosis rappresenta un problema nell’ambito della sanità pubblica in relazione all’aumento del consumo del latte crudo. Tale microrganismo, che principalmente infetta i ruminanti, può riscontrarsi nel latte per eliminazione mammaria diretta o, più MATERIALI E METODI Nel corso degli anni 2007-2008 per effetto di un provvedimento regionale (2,3), sono state controllate tutte le aziende produttrici di latte crudo. Il campionamento è avvenuto alla stalla e a ogni punto di erogazione automatica. Secondo quanto previsto dal piano regionale, ciascun campione veniva esaminato per la ricerca di Listeria spp. e L. monocytogenes. , Salmonella, Campylobacter ed E. coli. La disponibilità di questi campioni ha reso possibile l’esecuzione di una indagine conoscitiva sulla diffusione di Coxiella burnetii e Mycobacterium paratuberculosis. A tal fine il latte crudo è stato sottoposto ad estrazione del DNA (protocollo modificato del kit Qiagen Stool, Qiagen) e gli estratti ottenuti sono stati amplificati mediante PCR tradizionale per quanto riguarda Coxiella e PCR Real-Time per Mycobacterium. I primer utilizzati e le condizioni di amplificazione sono rappresentate in tabella 1: Tabella 1: Ricerca di Coxiella burnetii e Mycobacterium paratuberculosis: Primer e condizioni di PCR e PCR Real-Time Patogeno Primer/sonde Profili termici 95°C x 10’ 95°C x 30’’- 64°C x 30’’ – 72°C x 1’’; 5 cicli touchdown) Coxiella burnetii 103 Primer 5’-TATGTATCCACCGTAGCCAGTC-3’ 5’-CCCAACAACACCTCCTTATCC-3’ 95°C x 30’’ (95°C x 30’’- 59°C x 30’’ – 72°C x 50’’; 40 cicli ) 72°C x 5’ X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Micobacterium paratubercolosis Primer 5’-CCGGTAAGGCCGACCATTA-3’ 5’-ACCCGCTGCGAGAGCA-3’ Sonda 5’-FAMCATGGTTATTAACGACGACGCGCAGCTAMRA-3’ 4) Kocianova E., Kovacova E. & Literak I. "Comparison of virulence of Coxiella burnetii isolates from bovine milk and from ticks", Folia Parasitologica, (2001) 48: 235-239. 5) Mc Quiston JH., Childs JE. & Thompson HA" Q Fever", JAVMA, (2002) 6: 796-799. 6) Dorko E., Kalinova Z., Weissovà T., Pilipþinec E. Seroprevalence of antibodies to Coxiella Burnetii among employees of the veterinary university in Košice, eastern Slovakia. Ann Agric Environ Med 2008, 15, 119-124 7) Panning M., Kilwinski J., Greiner-Fisher S., Peters M., Kramme S., Frangoulidis D., Meyer H., Henning K., Drosten C. High throughput detection of Coxiella burnetii by real-time PCR with intyernal control system and automated DANN preparation. BMC Microbiology 2008, 8:77, pg 1-8 8) Stanley E.C., Mole R.J., Smith R.J., Glenn S.M., Barer M.R., McGowan M., Rees C.E.D. Development of a new, combined rapid method using phage and PCR for detection and identification of Viable Mycobacterium paratuberculosis bacteria within 48 hours. Applied and Environmental Microbiology, 2007; vol. 73 (6), pag 18511857 50°C x 2’ (95°C x 10’- 95°C x 15’’-60°C x 1’; 50 cicli) Per quanto riguarda la ricerca di Mycobacterium l’amplificazione avviene a livello della sequenza d’inserzione ripetuta IS900; relativamente a Coxiella i primer sono diretti verso un Transposon-like element. I campioni rivelatisi positivi non sono stati sottoposti a conferma microbiologica in quanto lo scopo del lavoro era quello di mappare le contaminazioni dal punto di vista epidemiologico oltre che emettere il risultato entro il periodo brevissimo di conservazione dell’alimento. RISULTATI E DISCUSSIONE Sono state considerate nei due anni rispettivamente 245 e 252 aziende. In totale sono stati esaminati per Mycobacterium paratuberculosis 3750 campioni e per Coxiella burnetii 3761. I risultati ottenuti permettono di evidenziare una elevata positività per la presenza di Coxiella burnetii nei campioni di latte in entrambi gli anni di monitoraggio; le percentuali di positività si aggirano infatti attorno al 40%, sia considerando i due anni separatamente od integrati. I valori di positività riscontrati invece nell’ambito della ricerca di Micobacterium sono di molto inferiori e si aggirano intorno all’1% (Tab. 2). Tabella 2: Ricerca di Coxiella burnetii e Mycobacterium paratuberculosis mediante tecniche molecolari: percentuali di positività microrganismo M. paratuberculosis Coxiella burnetii N° campioni % positivi N° campioni tot % positivi tot 2007 1962 2008 1788 2007 2008 1.2 0.7 3750 0.99 1969 1792 41.9 3761 44 46.5 Sulla base dei dati ottenuti si possono trarre le seguenti considerazioni. A fronte delle minime contaminazioni del latte da parte dei patogeni tradizionalmente ricercati (1) altrettanto bassa è da considerare la prevalenza di Mycobacterium paratuberculosis. Viceversa rilevante è risultata la positività per Coxiella burnetii, sebbene non negli stessi termini di prevalenza (circa il 65% in precedenti indagini) riscontrate nel corso di indagini sierologiche. Una presenza di Coxiella burnetii nel 40% dei campioni di latte pone indubbiamente un problema di potenziale rischio per la salute pubblica, al quale per altro non si parallelano denunce di episodi di infezione umana se non sporadici. E’ di tutta evidenza dunque come sia necessario, anche sulla base delle moderne tecniche diagnostiche ed epidemiologiche a disposizione, studiare e chiarire le condizioni nelle quali una così rilevante presenza di elementi riferibili a Coxiella burnetii nel latte si traducano, anche in termini di dose infettante, in rischio per l’uomo. BIBLIOGRAFIA 1) Bertasi B., Corneo P.E., Daminelli P., Finazzi G., Zanardini N., Agnelli E., Losio M.N. Boni P. Consumo di latte crudo: valutazione del livello di esposizione ai principali patogeni batterici attraverso metodiche colturali e biomolecolari. Industrie Alimentari, settembre 2008, in press. 2) Circolare 19/SAN/07 Giunta Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità 3) Circolare n° 39 / 2005 Dir. Gen. Sanità Reg. Lombardia 104 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 SVILUPPO DI METODICHE DIAGNOSTICHE INNOVATIVE PER IL RILEVAMENTO DEI PRINCIPALI AGENTI ABORTIGENI NEI RUMINANTI 1 1 1 1 1 1 2 Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Magistrali C., Ortenzi R., Checcarelli S., Lauterio C., 2 2 2 2 2 Pittau M., Passotti C., Marini M., Atzori M., De Montis A. 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia; Bcs Biotech S.p.A. - Laboratori di Ricerca e Sviluppo, Cagliari key words: microarray, Enzime Immunoassay, abortion agents. diverse soluzioni di primer modificando le seguenti variabili biochimiche e termodinamiche: 2+ ), che, influenza l’attività lo ione magnesio (Mg dell’enzima, aumentando la temperatura di denaturazione del DNA bersaglio, condizionando l’attacco dei "primer", stabilizzando l’ibrido molecolare la concentrazione dei "primer" ricordando che concentrazioni più elevate possono promuovere l’accumulo di prodotti aspecifici, che determinano un notevole calo in resa dei prodotti desiderati la temperatura e la durata della fase di "annealing" in dipendenza dalla concentrazione, dalla lunghezza e composizione in basi dei "primer". Le diverse coppie di primer e le condizioni di PCR selezionate sono state validate per ciascun patogeno singolarmente e poi in contemporanea. Gli amplificati, singoli o multipli, sono stati rivelati sia su gel che su micropiastra mediante le sonde specifiche preventivamente calibrate nel saggio colorimetrico. Rilevazione tramite sonde Nel disegnare le sonde utilizzate per il presente lavoro sono stati presi in considerazione una serie di parametri come: la Temperatura, tenendo presente che la massima velocità di ibridazione si ha a temperature di 5-10°C più basse al di sotto della Tm [Suggs et al., 1981]. Al di sotto di questi valori di temperatura, aumenta la possibilità di reazioni crociate tra sequenze non perfettamente omologhe. Grado di omologia: sequenze non perfettamente omologhe ibridano a velocità inferiori: è stato stimato che la velocità di ibridazione, in condizioni ottimali di temperatura, è ridotta della metà per ogni 10 % di errati accoppiamenti tra basi. Composizione e lunghezza della sonda, considerando che la velocità di ibridazione del DNA in soluzione è direttamente proporzionale alla lunghezza dell’acido nucleico, in particolare, se la lunghezza del bersaglio e della sonda risulta essere differente, la velocità dell’ibridazione in soluzione è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del frammento più corto. Il DNA enzyme immunoassay sviluppato è basato sull’ibridazione del DNA amplificato con una sonda oligonucleotidica, immobilizzata sulla parete dei pozzetti di micropiastre grazie ad un legame streptavidina-biotina. L’ibrido tra la sonda ed il DNA in esame è rivelato dall’impiego di un anticorpo monoclonale di topo antiDNAds. Questo anticorpo reagisce selettivamente con il DNA a doppia elica e non si lega al DNA a singola elica. Distribuendo gli amplificati di DNA denaturati nei pozzetti, la sonda lega in modo specifico l’elica complementare, se presente, formando un ibrido. Viceversa, nel caso di un campione negativo, non contenente la sequenza in esame, l’ibrido (la specie molecolare a doppia elica) non si forma. Dopo l’incubazione ed il successivo allontanamento del campione, l’aggiunta dell’anticorpo anti-DNA a doppia elica consente di identificare i pozzetti dove è avvenuta l’ibridazione (legame dell’anticorpo, reazione positiva) e INTRODUZIONE Nell’ambito diagnostico, un fattore limitante è rappresentato dai lunghi tempi necessari per l’isolamento dei molti germi patogeni. Infatti, nonostante l’impiego dell’ amplificazione genica (PCR), che ha sicuramente portato ad un abbattimento della tempistica, permangono ancora molto lunghe e indaginose le tecniche che consentono la diagnosi di specie e nell’ambito di questa dei diversi sottotipi. La tecnologia dei microarray consiste nell’ibridazione di sonde specifiche (spot) immobilizzate su opportuni supporti (chip) con il DNA del campione da analizzare direttamente o previa amplificazione. Questo permette di rilevare contemporaneamente la presenza di DNA o RNA di origine batterica o virale di uno o più patogeni e nello stesso tempo di tipizzare il patogeno stesso. Obiettivo del progetto è la messa a punto di un sistema multisonda (micropiastra e chip) capace di determinare i principali agenti abortigeni nei ruminanti. Come agenti patogeni sono stati scelti la brucella, listeria, clamidia, leptospira, toxoplasma e neospora. MATERIALI E METODI Sono stati impiegati DNA ottenuti da campioni biologici risultati positivi per i diversi patogeni sopra citati nell’ambito della diagnostica di routine. Tali DNA sono stati utilizzati 1)per la calibrazione di una PCR Multiplex che consentisse la contemporanea amplificazione dei diversi bersagli genici per i singoli gruppi di patogeni 2) per il disegno di sonde specifiche da impiegare per la rilevazione dei diversi amplificati in micropiastra mediante rilevazione colorimetrica 3) per il clonaggio di regioni geniche specifiche di ciascun patogeno al fine di verificare la specificità e sensibilità del sistema. Reazione di amplificazione – PCR Multiplex Per ciascuno dei patogeni oggetto del test sono state selezionate sequenze altamente conservate e specifiche tramite BLAST e banche dati disponibili in rete. I primer necessari per l’amplificazione sono stati disegnati di dimensioni e sequenza compatibili con una amplificazione multipla, ovvero tra loro non esiste complementarietà significativa. Le dimensioni di ciascun amplicone ricadono tra le 200 – 300 pb Dal punto di vista strutturale i "primer" contengono una lunghezza compresa tra i 18 ed i 24 nucleotidi ed una composizione in G +C tra il 50 % ed il 60%. È stato evitato l’uso di "primer" che presentano complementarità all’estremo 3’, perché in tal caso verrebbero a formarsi dei dimeri tra i diversi primer riducendo cosi la resa del prodotto desiderato. Inoltre nel disegnare i diversi "primer" si è cercato di ridurre al minimo l’utilizzo di sequenze palindrome in modo da evitare la formazione di strutture secondarie estese Per riuscire a ottimizzare le condizioni di reazione delle PCR multiplex, sono state preparate e testate 105 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 quelli dove la sonda non ha legato il DNA ed è rimasta nella forma a singola elica (assenza di legame dell’anticorpo, reazione negativa). L’aggiunta di un tracciante enzimatico (proteina A coniugata con perossidasi di rafano) consente di rivelare il legame DNA/anticorpo. La lettura spettrofotometrica a 450 nm permette la quantificazione del segnale(1,2) (Figura 1) Clonaggio La tecnica di clonazione è utilizzata per inserire una sequenza specifica di DNA all’interno di un vettore, allo scopo di ottenere la propagazione in numerosissime copie attraverso la moltiplicazione delle cellule in cui tale vettore è stato inserito. Per ciascuno dei 6 patogeni oggetto del test sono stati creati altrettanti clonati cellulari e purificati i DNA plasmidici contenenti almeno 1010 copie/ȝl di sequenza target. Questi diversi agenti abortivi rivestono una importante problematica nel campo degli allevamenti zootecnici perché possono essere causa di aborto, senza trascurare i danni che possono arrecare all’uomo. La piattaforma tecnologica sviluppata si basa sulla possibilità di disporre di corte sequenze oligonucleotidiche (probe) selezionate specificatamente per l’individuazione dei diversi agenti abortivi. Le probe poi vengono immobilizzate su un supporto (micropiastra). Con una metodica di PCR multiplex vengono quindi amplificati contemporaneamente i diversi target genici dei vari agenti abortivi, segue poi l’identificazione per ibridazione tra sequenze complementari (probe/target specifico). La lettura della micropiastra è affidata a dei lettori che in pochi minuti forniscono i dati finali dell’analisi. Dall’analisi dei dati sperimentali emersi, il sistema presenta un’elevata specificità per ciascuno dei target genici identificati, non si osserva infatti alcuna crossibridazione sia impiegando i clonati che i campioni reali certi positivi per uno solo dei patogeni oggetto del test. Anzi la specificità è così elevata che l’uso di tale test ha consentito in alcuni campioni dati per positivi solo per Neospora, di evidenziare una positività misconosciuta anche per clamidia, positività che è stata confermata dopo lunghe indagini e sequenziamento. Non esiste inoltre alcuna crossreattività con altri patogeni potenzialmente presenti nel campione ma non oggetto del test che potrebbero dare adito a falsi positivi quali Listerie non patogene, Mycoplasma agalactiae Salmonella abortus ovis, Streptococcus agalactie, Salmonella enteritidis, Salmonella typhimurium, Campylobacter jejuni, cosa che fa ben sperare anche in un possibile inserimento di tali patogeni in futuro nel test. Il falso negativo riscontrato è stato forse legato al fatto che in natura il gene P30 nel Toxoplasma è presente in singola copia, per cui se il toxoplasma è presente in poche copie o se il DNA del campione è parzialmente degradato, il campione può risultare negativo. Alla luce di tale risultato e per innalzare la sensibilità del sistema stiamo valutando l’inserimento del gene ripetuto B1 come sequenza bersaglio per il Toxoplasma, al posto o in associazione al gene P30. Riesaminati quindi tutti i dati in nostro possesso, possiamo concludere che il sistema ha una specificità del 100% e una sensibilità diagnostica al momento del 95.2%. Figura 1 – Piattaforma EIA DNA gene DNA PCR anti-sense Primer sense Primer Amplificato TMB HRP Ig anti-DNAds Y Ibridazione Rivelazione Colorimetrica Y Y Sonda biotinilata Y Y Y Y Y RISULTATI I risultati ottenuti sono mostrati in tabella 1. Tutti i sei clonati sviluppati a partire dagli agenti patogeni selezionati hanno confermato la loro positività per l’inserto specifico sia per digestione enzimatica che dopo PCR, sia se rilevati su gel di agarosio che in EIA. Dei 25 campioni reali analizzati, di cui 15 positivi per i patogeni in esame e 10 negativi, il sistema EIA, ha riconosciuto 14 positivi e un falso negativo, mentre tutti i campioni negativi sono stati individuati correttamente. BIBLIOGRAFIA 1) Marini M., Pittau M., Belluscio E., Venditti G., Biagetti M., Cagiola M., De Montis A. 2006, Diagnosi e caratterizzazione molecolare dei determinanti di patogenicità di E.coli. Atti 3°congresso nazionale della società italiana di microbiologia farmaceutica, pagg. 69-71, Cagliari Nora 25-27/05/2006 2) Biagetti M., Venditti G., Sebastiani C., Crotti S., Magistrali C., Tagliabue S., Marini M., Attori M., Pittau M., Casula.M., Costa Marras G.C. De Montis A. 2007 EIA e BIOCHIP finalizzati alla caratterizzazione molecolare dei ceppi di E. coli. Atti IX Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. pag.41-42 Roma 14-16/11/2007 Tabella 1 Camp.pos. 6 clonati Camp. di 15 campo Falsi neg. Camp.neg. 10 PCR 6 14 EIA 6 14 6/6 14/15 10 10 1/21 10/10 CONCLUSIONI Lo scopo principale di questa ricerca è stato quello di sviluppare una piattaforma biotecnologica per la ricerca multipla di vari agenti abortigeni: Brucella Spp, Toxoplasma gondii, Neospora spp, Clamidia spp, Listeria monocytogenes, Leptospira interrogans SUMMARY To accomplish an accurate and multiple determination of causative agents of abortion, a DNA Enzyme immunoassay was developed. 106 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CRITERI DI IGIENE DEL PROCESSO (REG. CE 1441/2007): L’AUTOMAZIONE IN LABORATORIO PER IL CONTEGGIO MICROBICO Bianchi DM, Gallina S, Sant S, Liuni FF,Adriano D, Decastelli L Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, Torino Keywords: criteri di igiene, numerazione, automazione MATERIALI E METODI Sono stati analizzati in totale 67 campioni di alimenti di origine animale di varia natura, così come riportato in dettaglio nella tabella 2. Ciascun campione è stato processato per i tre parametri microbici (carica mesofila totale, E. coli e coliformi totali) per un totale di 201 analisi; le prove sono state eseguite in doppio, con il metodo di riferimento e il metodo automatizzato, per un totale di 402 determinazioni. SUMMARY The aim of this study was to evaluate the performances of a new automated system, based on MPN technique, that allows the enumeration of Total Viable Count, ȕ-glucuronidase Escherichia coli, coliforms in foodstuffs. INTRODUZIONE Il Regolamento CE 1441/2007 (1) che modifica il Regolamento CE 2073/2005, (2) sancisce i parametri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari: i criteri microbiologici vengono suddivisi in criteri di sicurezza e in criteri di igiene del processo. I criteri di sicurezza alimentare definiscono l’accettabilità di un prodotto o di una partita di prodotti alimentari e sono applicabili agli alimenti immessi sul mercato. Tra di essi si trovano i più comuni agenti patogeni (Listeria monocytogenes, Salmonella spp, E.coli) e loro tossine (enterotossine stafilococciche). I criteri di igiene, invece, definiscono il funzionamento del processo di produzione: essi non si applicano ai prodotti immessi sul mercato, ma fissano un valore indicativo di contaminazione al di sopra del quale sono necessarie misure correttive volte a mantenere l’igiene del processo di produzione, in ottemperanza alla legislazione in materia di prodotti alimentari. Tra i criteri di igiene vengono inclusi il conteggio delle colonie aerobie, le enterobatteriacee, E. coli ed altri parametri microbiologici. Il regolamento stesso indica, inoltre, il metodo d’analisi di riferimento che deve essere impiegato per l’esecuzione delle prove di laboratorio. L’impiego di metodi d’analisi alternativi è accettabile quando tali metodi siano validati da una parte terza in base al protocollo definito nella norma EN/ISO 16140 (3), o ad altri protocolli analoghi accettati a livello internazionale. Per tale motivo, nell’ultimo periodo, sono stati immessi sul mercato numerosi kit commerciali pronti all’uso e utilizzabili con strumenti automatizzati; alcuni di questi sono stati validati da enti ed organismi riconosciuti a livello internazionale (AOAC, AFNOR, ecc.) in conformità alla norma EN/ISO16140, come richiesto dalla normativa vigente. Il presente lavoro riporta i risultati ottenuti presso il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, in uno studio volto a valutare l’applicabilità in routine di un metodo automatizzato per la verifica dei criteri di igiene del processo. In particolare sono stati considerati i kit per carica mesofila totale ed E. coli già in possesso della validazione AFNOR al momento dello studio (tabella 1). Inoltre, si sono voluti considerare anche le performance del kit per il conteggio dei coliformi totali, anch’esso validato, ma non menzionato tra i criteri di igiene. Lo studio è stato condotto confrontando i risultati ottenuti da campioni analizzati in doppio con i metodi di riferimento e con il metodo automatizzato oggetto dello studio. Tabella 2: matrici analizzate N° campioni Matrice analizzati Carne bovina 6 Carne avicola 16 Formaggi 22 Pesce 10 Uova e prodotti d’uovo 13 Totale 67 Il metodo automatizzato e i relativi kit pronti all’uso sono commercializzati da BioMérieux con il nome di TEMPO® TVC, ® ® TEMPO EC, TEMPO TC, rispettivamente per carica mesofila totale, E. coli e coliformi totali. Il principio del metodo si basa sul conteggio MPN (Most Probable Number). Il test è composto da un flacone di terreno di coltura e da una card, specifici per il parametro microbiologico da testare. Il terreno di coltura viene inoculato con il campione da saggiare e successivamente trasferito in modo automatico in una card che contiene 48 pozzetti di 3 volumi differenti. La card è infatti costituita da 3 serie di 16 pozzetti con una differenza di volume di un log tra ogni serie. La card viene poi sigillata ermeticamente, garantendo quindi che la successiva manipolazione sia esente da rischio di contaminazione. Durante l’incubazione, secondo le indicazioni della ditta produttrice (tabella 3), il microrganismo target presente nel campione provoca una alterazione del substrato (terreno di coltura) che viene rilevata dal sistema di lettura dello strumento. In funzione del tipo e del numero dei pozzetti positivi, il sistema deduce il numero di microrganismi presenti per g o per mL di campione secondo un calcolo basato sul metodo MPN. Il tipo di alterazione che viene rilevata dal sistema varia a seconda del microrganismo target. Tabella 3: tempi e temperature di incubazione del metodo TEMPO Parametri microbiologici °C Ore Carica mesofila aerobia totale a 30 °C 30±1 40-48 E. coli beta glucuronidasi positivi 37±1 22-27 Coliformi totali 30±1 24-27 Tabella 1: riferimenti delle Validazione AFNOR dei kit ® TEMPO Parametri microbiologici Rif. AFNOR BIO Carica mesofila aerobia totale a 30 °C 12/15-09/2005 E. coli beta glucuronidasi positivi 12/13-02/2005 Coliformi totali 12/17-12/2005 Per quanto riguarda i metodi di riferimento sono stati utilizzati i protocolli riportati in tabella 4. 107 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella 4: metodi di riferimento utilizzati per le analisi Riferimento Parametri microbiologici normativo Carica mesofila aerobia totale a 30 °C UNI 10981:02 (4) E. coli beta glucuronidasi positivi UNI 10980:02 (5) Coliformi totali AFNORV08-050 (6) DISCUSSIONE Dal punto di vista delle performance analitiche lo strumento e i kit ad esso legati hanno dato risultati soddisfacenti: i risultati restituiti con il metodo automatizzato sono ben correlati con quelli ottenuti dai metodi normati. I kit oggetto dello studio hanno ottenuto la validazione da parte dell’AFNOR secondo i criteri previsti dalla norma EN/ISO 16140: per questi motivi risultano utilizzabili nei laboratori ufficiali o che effettuano l’autocontrollo per l’esecuzione delle analisi previste dai Reg CE 2073/2005 e Reg CE 1441/2007. L’utilizzo in laboratorio dello strumento e dei kit ad esso correlati, ha evidenziato punti di forza e punti di debolezza. Tra gli aspetti positivi del sistema TEMPO® si deve considerare innanzi tutto la diminuzione dell’errore umano: l’operatore infatti è tenuto ad eseguire soltanto la diluizione primaria del campione, mentre le diluizioni successive vengono effettuate in modo del tutto automatizzato. Nelle tradizionali metodiche microbiologiche, l’operatore esegue diluizioni scalari successive, operazione che richiede tempo, con costi notevoli, esperienza ed abilità manuale. Inoltre, la distribuzione dell’inoculo e dei terreni di coltura nelle Piastre Petri può aumentare la possibilità di inquinamento del campione. Infine, la lettura delle piastre, soprattutto in laboratori che processano quotidianamente molti campioni richiede molto tempo e personale esperto e purtroppo non prescinde dall’interpretazione soggettiva di chi effettua il conteggio delle colonie. Il sistema consente, inoltre, di ridurre notevolmente la fase di preparazione di terreni di coltura e riduce la quantità di rifiuti a rischio biologico da smaltire quotidianamente. Inoltre, il sistema di riconoscimento campioni, che avviene tramite lettore di codice a barre, riduce i tempi di scrittura degli identificativi dei campioni e limita gli errori di trascrizione. In conclusione, l’automazione di alcune fasi di allestimento e lettura delle analisi consente al laboratorio di processare un numero di campioni superiori ai metodi tradizionali con un impegno minore da parte del personale. ® Di contro però, il sistema TEMPO richiede un investimento piuttosto cospicuo per l’acquisto delle postazioni di lavoro e i costi dei kit commerciali sono più elevati rispetto ai reagenti previsti dalle tecniche tradizionali e normate. Tuttavia, si ritiene che tali costi possano essere ammortizzati in maniera piuttosto rapida da laboratori che processano un elevato numero di campioni. RISULTATI I risultati delle analisi sono stati analizzati mediante regressione lineare, dopo trasformazione dei valori in scala logaritmica per garantire una distribuzione normale ai valori. I grafici 1, 2 e 3 mostrano le rette di regressione rispettivamente per carica mesofila totale, E. coli e coliformi totali. I valori di R2 ottenuti variano da 0.80 per la carica mesofila a 0.94 per E.coli beta glucuronidasi positivi. Grafico 1: correlazione per analisi di carica mesofila totale Carica Mesofila Totale y = 0,9714x + 0,1853 R2 = 0,8006 8,00 7,00 6,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 0,00 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00 7,00 8,00 Grafico 2: correlazione per analisi di E. coli beta glucuronidasi positivi E. coli beta glucuronidasi 5,00 4,50 4,00 3,50 3,00 2,50 2,00 1,50 1,00 0,50 0,00 0,00 1,00 2,00 3,00 y = 0,7113x + 0,2433 R2 = 0,9445 4,00 5,00 Finanziamento Ricerca Corrente Ministero della Salute IZS PLV 07/05 6,00 BIBLIOGRAFIA 1. REGOLAMENTO (CE) N. 1441/2007 DELLA COMMISSIONE del 5 dicembre 2007 che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari 2. REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 DELLA COMMISSIONE del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari 3. ISO 16140: 2003 Microbiology of food and animal feeding stuffs Protocol for the validation of alternative methods 4. UNI 10981:2002 Metodo orizzontale di routine per la conta di microrganismi mesofila aerobi 5. UNI 10980:2002 Metodo orizzontale di routine per la conta di E.coli beta glucuronidasi positivi 6. AFNOR NF V 08-050 1999 Dénombrement des coliformes comptage des colonies obtenues à 30 °C Grafico 3: correlazione per analisi di coliformi totali y = 0,8636x + 0,3189 Coliformi totali R2 = 0,872 6,00 5,00 4,00 3,00 2,00 1,00 0,00 0,00 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00 108 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 APPLICAZIONE DELL’ART. 223 DEL D.L.vo 271/89 “NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E TRANSITORIE DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE” SU CAMPIONI DI ALIMENTI NEL PERIODO 1999-2007 Bogdanova T., Bugattella S., Flores Rodas E.M., Sampieri C., Pecchi S., Bilei S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Key words: alimenti, controlli ufficiali, diritto alla difesa ABSTRACT During the time interval 1999–2007, 220 out of a total of 6,216 samples (3,5%) from food classified as perishable according to the Ministry Decree of 16.12.1993 and belonging to the categories of fresh meat, dairy products, food preparations, salami and eggs, resulted as unsatisfactory in the first unit microbiological tests. The confirmatory tests, repeated on the second units, in accordance to the art. 223 of Legislative Decree 271/89, has subsequently confirmed the previous unsatisfactory results in the 55,4% of the tests. During the same period, 328 single unit samples from food products were analysed and 66 of them (25,2%) gave unsatisfactory results. richiesti, 1 per la ripetizione delle analisi limitatamente ai parametri non conformi ed 1 rimane a disposizione per un’eventuale richiesta di perizia ordinata dall’autorità giudiziaria. L’art. 4 del D.L.vo 123/93 stabilisce che in caso di accertamento di non conformità microbiologica il responsabile del laboratorio debba procedere, con le garanzie per gli interessati previste dall’art. 223 del D.L.vo 271/89 “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale”, alle analisi della seconda aliquota limitatamente ai parametri non conformi, dando avviso tempestivamente agli interessati del parametro difforme e della metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e l’ora in cui le analisi saranno ripetute, in modo da consentire ai medesimi o a persone di loro fiducia di presenziare alle analisi, eventualmente assistiti da un consulente tecnico. La medesima procedura deve essere applicata dall’organo prelevatore o dal responsabile del laboratorio qualora siano previsti accertamenti analitici non ripetibili su campioni reperto o su campioni di prodotti altamente deperibili o prossimi alla scadenza per i quali le garanzie difensive ed in particolare il “contraddittorio tecnico” sulle modalità di esecuzione delle operazioni e di valutazione dei risultati, devono essere anticipate. INTRODUZIONE Lo scopo del controllo ufficiale sugli alimenti è quello di verificare la conformità alle prescrizioni della normativa comunitaria e nazionale diretta a prevenire i rischi per la salute pubblica, a proteggere gli interessi dei consumatori e ad assicurare la lealtà nelle transazioni commerciali. I controlli ufficiali riguardano tutte le fasi della produzione, trasformazione, magazzinaggio, trasporto, commercio, somministrazione e importazione e possono essere eseguiti dall’Autorità sanitaria competente nazionale e comunitaria. Secondo la definizione riportata nel D.L.vo 123 del 3 marzo 1993, il controllo consiste in una o più delle seguenti operazioni: ispezione, prelievo ed analisi dei campioni prelevati, controllo dell’igiene del personale, esame del materiale scritto e dei documenti ed esame dei sistemi di verifica installati dall’impresa alimentare. Il campionamento può essere eseguito sul prodotto finito, sul semilavorato, sulle materie prime e sulle superficie di lavoro. Con entrata in vigore dal primo gennaio 2006 del cosiddetto “pacchetto igiene”, un gruppo di Regolamenti comunitari che rinnovano completamente la normativa riguardante la sicurezza alimentare, è stato modificato l’approccio delle attività di controllo ufficiale. Viene messo in pratica il principio contenuto nel “Libro bianco” sulla sicurezza alimentare, che prevede una distinzione chiara tra le mansione delle Autorità sanitarie e quelle degli operatori del settore degli alimenti e dei mangimi. Il controllo ufficiale previsto da tali Regolamenti è basato sulla programmazione ed espletamento delle verifiche in funzione del livello di rischio delle diverse attività della filiera alimentare; applicazione di procedure predefinite; documentazione delle attività svolte e notifica delle carenze eventualmente riscontrate; verifica della qualità del controllo effettuato ai diversi livelli, sia da parte delle autorità competenti (Stato e Regione), sia in modo autonomo dalla struttura incaricata, mediante audit (esterni ed interni). In relazione ai parametri fissati dal D.M. 16.12.93 gli alimenti, ai fini dei controlli microbiologici ufficiali, sono considerati deteriorabili o non deteriorabili e quindi soggetti rispettivamente ad analisi “ripetibili“ o “irripetibili”. Il campione viene ripartito in 4 o in 5 aliquote qualora sorgano dubbi sulla deteriorabilità delle sostanza alimentare, di cui 1 lasciata al detentore del prodotto unitamente al verbale di prelievo. Delle 3 restanti, 1 è utilizzata per gli accertamenti MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2007, sono stati sottoposti ad analisi microbiologiche complessivamente 13.697 campioni ufficiali, con l’esclusione dei prodotti ittici, prelevati ai sensi della normativa vigente dalle Autorità preposte e 328 campioni reperti, di alimenti destinati all’alimentazione umana. Sulla base delle positività registrate, le differenti tipologie di alimento sono state raggruppate in alcune categorie per facilitare la rappresentazione dei risultati ottenuti: Carni fresche (tagli anatomici e carni macinate appartenenti a diverse specie), Derivati del latte (formaggi, latticini, burro, yogurt, latte per l’infanzia), Preparati gastronomici (preparati a base di carne, dessert, paste alimentari farcite e preparati a base di vegetali), prodotti di salumeria, uova. Le analisi microbiologiche sono state condotte in conformità ai seguenti standard internazionali: ISO 4833 (carica mesofila totale); ISO 6888-1 – Parti 1 e 2 (conta di Staphylococcus aureus); ISO 6579 (Salmonella spp); UNI EN ISO 11290-1 (Listeria monocytogenes); ISO 16654 (E. coli O:157); ISO 10273 (Yersinia enterocolitica); UNI EN ISO 10272-1 (Campylobacter termotolleranti). Per quanto riguarda la determinazione della presenza di Enterotossine stafilococciche prima dell’emanazione del Regolamento 2073/2005 è stato utilizzato il metodo dell’agglutinazione passiva inversa al lattice con l’uso del SET RPLA Toxin detection kit dell’Oxoid e successivamente il metodo ELISA quantitativo con l’impiego del Kit Transia Plate Staphylococcus Enterotoxins della Diffchamb. 109 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RISULTATI La percentuale di conferma della non conformità registrata pari a 55,4%, risulta essere in linea con quanto riferito da altri Autori. L’esecuzione delle prove non ripetibili sui campioni reperto, è avvenuta nel 33,2% dei casi in presenza degli interessati o dei loro consulenti tecnici, convocati nel 35,4% direttamente dall’organo prelevatore. Le dichiarazioni registrate sul verbale di apertura, pari al 59,6%, hanno fatto riferimento soprattutto al non riconoscimento dell’alimento perché sconfezionato, parzialmente consumato o deteriorato e alla temperatura di trasporto non adeguatamente documentata. Il frequente conferimento alle Autorità di campioni direttamente da parte di privati, è il motivo principale della minore frequenza con cui all’apertura dei campioni reperto sono intervenuti gli interessati. La maggior parte dei reperti risulta prelevata a seguito di episodi tossinfettivi o su diretta richiesta di privati cittadini all’autorità sanitaria o giudiziaria e solo in pochi casi per l’indisponibilità del quantitativo sufficiente di alimento per la costituzione di più aliquote. Nel 17,4% dei casi il prelievo è stato effettuato dalle forze dell’Ordine ed in particolare dai Carabinieri del NAS. La prevalenza significativa dell’intervento di consulenti tecnici all’apertura dei campioni sia per la ripetizione delle analisi che in caso di analisi non ripetibili, è espressione della importanza data dalle aziende alimentari a tale fase procedurale. La scrupolosa osservanza del dettato normativo da parte del Laboratorio d’altra parte, garantisce la regolarità del procedimento nella costituzione del fascicolo per il dibattimento e il diritto di difesa agli interessati. Complessivamente nel periodo 1999-2007 sono stati registrati come non conformi all’esame microbiologico di prima istanza, 220 campioni sui 6.216 (3,5%) pervenuti ed appartenenti alle medesime tipologie alimentari di quelli riscontrati almeno una volta difformi. Le prevalenze registrate per ciascuna categoria sono state carni fresche (25%), derivati del latte (4,5%), preparati gastronomici (15,4%), prodotti di salumeria (51,6%) e uova (5,4%) (Tabella 1). Nell’ambito dei prodotti di salumeria, l’insaccato fresco è risultata la matrice più frequentemente non conforme con il 45,9% di campioni sfavorevoli alla prima istanza e con una tasso di positività pari all’8,3% rispetto ai 1.217 campioni della medesima matrice complessivamente esaminati nel periodo considerato. I principali motivi di non conformità sono risultati la presenza di Salmonella (83,7%) riscontrata con maggiore frequenza negli insaccati freschi (97%), la presenza di Listeria monocytogenes (5,9%) isolata prevalentemente da salumi e l’isolamento di Staphylococcus aureus enterotossico (A,C e D) (5%) prevalentemente da derivati del latte. % su totale NC 2° aliquota % su totale % conferma 1° aliquota Carni fresche 1.697 51 3 30 1,8 66,6 Derivati latte 1.433 10 0,7 7 O,5 70 Categorie alimentari Totale campioni NC 1° aliquota Tabella 1. Frequenze e prevalenze delle positività in 1° e in 2° istanza nel periodo 1999 – 2007 Preparati gastr. 911 34 3,7 18 Prod. salumeria 1.464 113 7,7 65 2 4,2 52,9 57,5 Uova 711 12 1,7 2 0,3 16,6 Totale 6.216 220 3,5 122 2 55,4 BIBLIOGRAFIA 1. Bozzano A.I., Di Guardo G., Saccares S., Bilei S., Zottola T., Brozzi A. M., Panfili G., Fontanelli G., 1993 “Frequenza degli isolamenti di Salmonella da carni suine e da prodotti a base di carni suine nel Lazio (Italia centrale) dal 1980 al 1989 – Italian Journal of Food Sci., 2, 167-172. 2. Decreto Legislativo 3 marzo 1993, n, 123 “Attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa ai controllo ufficiale dei prodotti alimentari”, art. 2 e 4. 3. Decreto Ministeriale del 16/12/1993 “Individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di controlli microbiologici ufficiali”. 4. Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271 “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale”. 5. Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 193 “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore”. 6. Regolamento (CE) n. 882/2004 del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. 7. Regolamento (CE) n. 854/2004 del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animali destinati al consumo umano. 8. Regolamento (CE) n. 1441/2007 del 5 dicembre 2007, che modifica il Regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. 9. Rubini V., 2005 “Analisi di laboratorio e non conformità: la Cassazione torna sulle garanzie difensive del soggetto sottoposto a controlli” – Eurocarni , 2 , 13-14. 10. Saccares S., Bilei S., Bozzano A.I., Fontanelli G., Aleandri M., 1992 “Alimenti non regolamentari: denunce e comunicazioni alla Autorità sanitaria e giudiziaria in base ad esami di laboratorio” - Atti della Società Italiana delle Scienza Veterinarie, 631-634. La ripetizione dell’analisi secondo l‘art. 223 del D.L.vo 271/89, ha confermato la precedente non conformità nel 55.4% del totale dei campioni. In particolare è risultato confermato il 91% degli stafilococchi enterotossici, il 53,8% di L. monocytogenes e il 53,5% di Salmonella. Per quanto riguarda i campioni reperto, di cui 66 risultati non conformi (25,2%), il 34,8% è risultato infestato da parassiti, il 19,7% contaminato da muffe e il 12% con presenza di corpi estranei, tra cui un cerotto in una confezione di latte in polvere ed un bullone in una di yogurt. Tra i riscontri microbiologici positivi la presenzadi Salmonella in 5 campioni di cui 2 di uova riferentesi ad altrettanti episodi tossinfettivi e di sostanze inibenti in 1 campione di carne bovina. DISCUSSIONE Dallo studio della documentazione, risulta che la ripetizione delle analisi non conformi su campioni di alimenti deteriorabili è avvenuta nel 46% dei casi in presenza dell’interessato o del consulente tecnico e che nel 60,4% dei verbali di apertura della seconda aliquota, risultano registrati contestazioni rilasciate dai convenuti. Le dichiarazioni hanno avuto come principale oggetto le modalità di prelievo e di trasporto del campione e la sua apertura oltre il termine previsto della scadenza. 110 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ANALISI DELLE SOTTOPOPOLAZIONI LINFOCITARIE IN PECORE INOCULATE CON DIFFERENTI SIEROTIPI DEL VIRUS DELLA BLUE TONGUE 1 Bonelli P., Savini G. , Canalis M., Re R., Pilo GA., Colorito P., Fresi S., Pais L., Nicolussi P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Sassari; Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, Teramo, Italy. 1 Keywords: blue tongue, sottopopolazioni linfocitarie, vaccino. Visite cliniche Tutti gli animali sono stati visitati quotidianamente e le temperature rettali registrate per un periodo di circa un mese dal giorno dell’infezione (giorno 0). Campionamento e esami di laboratorio I campioni di sangue prelevati in K3EDTA il giorno dell’infezione e nei 5, 7, 10, 14, 17, 26 e 33 giorni seguenti sono stati analizzati per l’esame emocromocitometrico e l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in citometria a flusso. L’emocromo con formula leucocitaria è stato determinato con un conta globuli automatico (ADVIA 2120, Siemens). Le sottopopolazioni linfocitarie sono state identificate su sangue intero con l’impiego di anticorpi monoclonali (vedi tabella) in un protocollo di marcatura diretta “Lyse and wash”. ABSTRACT The present study aimed to evaluate changes in lymphocytes subsets of immunised and non immunised sheep following bluetongue virus serotype 1, 2 and 4 (BTV-1, BTV-2, BTV-4) infection. Our findings suggest that inoculation of non vaccinated sheep with BTV-1 causes more clinical signs and hematological modifications than other tested serotypes. Further studies are needed in order to better understand cell mediated immune response mechanisms involved in host defense response to BTV infection. INTRODUZIONE La febbre catarrale degli ovini, piu' comunemente conosciuta come Blue Tongue (BT), e' una malattia infettiva non contagiosa dei ruminanti trasmessa da insetti vettori del genere Culicoides (Diptera: Ceratopogonidae). L'agente eziologico e' un virus appartenente alla famiglia Reoviridae, genere Orbivirus, del quale si conoscono 24 sierotipi. La loro patogenicita' e' variabile e, benche' tutte le specie di ruminanti siano recettive, la malattia si manifesta in forma grave negli ovini, con sintomi caratterizzati da infiammazione, congestione, edema a carico della regione della testa, emorragie ed ulcere delle mucose. Dal 1998 sei differenti sierotipi sono stati isolati sul territorio europeo (BTV-1, 2, 4, 8, 9, 16) interessando anche alcune nazioni settentrionali (BTV8). Diverse sono state le strategie vaccinali intraprese in Italia nel corso degli ultimi anni con l’obiettivo di contenere le perdite economiche dirette dovute alla mortalità riscontrata negli ovini (sino al 10%) ed indirette attribuibili alla circolazione virale. Sebbene l’importanza dell’immunità umorale sia ben riconosciuta nella protezione degli animali nei confronti della Blue Tongue, il ruolo dell’immunità cellulo-mediata (CMI) in questa malattia infettiva necessita di ulteriori approfondimenti. Alcuni autori hanno ipotizzato l’attivazione dei meccanismi dell’immunità cellulo-mediata in quei casi in cui si riscontra una protezione efficiente contro l’infezione da BTV in assenza di anticorpi neutralizzanti (1, 2). Inoltre altri studi suggeriscono come la CMI possa spiegare l’assenza di segni clinici in animali della specie bovina infettati con il BTV (3). Il presente lavoro si prefigge lo scopo di valutare eventuali modificazioni nelle sottopopolazioni linfocitarie di pecore vaccinate e non vaccinate inoculate sperimentalmente con tre differenti sierotipi del virus della Blue Tongue. Antigene CD4 Clone 44.38 Fluorocromi FITC CD8 38.65 PE WC1 19,19 FITC Reattività Linfociti T helper Linfociti T citotossici Linfociti T Ȗį Dittà Serotec Serotec Serotec L’analisi dei campioni è stata eseguita in citometria a flusso (FACS Calibur, BD). Analisi statistica I dati sono stati elaborati con l’analisi della varianza (ANOVA) (Minitab inc.) RISULTATI Nelle pecore non vaccinate e inoculate con il sierotipo BTV-1 si riscontrava ipertermia dopo 7, 8 e 9 giorni dall’infezione in coincidenza con il picco viremico. Lo stesso non si verificava nei gruppi di animali inoculati con i sierotipi BTV-2 e BTV-4, nei quali si potevano ugualmente evidenziare temperature superiori al gruppo controllo senza differirne in maniera significativa (Fig. 1). Si segnalava nel gruppo infettato con il BTV-1 ed esclusivamente nelle pecore non vaccinate una moderata diminuzione dei granulociti ed un lieve incremento dei linfociti. Nei gruppi infettati con il BTV-2 e BTV-4 non si riscontravano modificazioni sostanziali dell’emocromo. Nel gruppo infettato con il BTV-1 l’incremento dei linfociti nelle pecore non vaccinate sarebbe imputabile principalmente ad una maggior presenza in circolo di linfociti T CD8+ a partire dal 10° giorno dall’infezione (Fig. 2). A differenza di quanto verificatosi per le pecore vaccinate, infatti, nelle pecore non vaccinate si sono evidenziate differenze significative (P0,05) nelle percentuali di cellule CD8+ ai vari tempi di campionamento. Inoltre, dopo 5 e 7 giorni dall’infezione le percentuali di CD8+ nelle pecore vaccinate erano maggiori rispetto alle pecore non vaccinate (P0,05). Nel gruppo inoculato con il BTV-1, si evidenziava anche una diminuzione delle cellule CD4+ nel gruppo di pecore non vaccinate rispetto alle pecore vaccinate, resa evidente soprattutto dopo 17 giorni dall’infezione. Le modificazioni delle sottopopolazioni linfocitarie CD4+ e CD8+ riscontrate nel gruppo BTV-1 trovano conferma nel variato rapporto CD4/CD8 evidenziato in figura 2. A differenza di MATERIALI E METODI Animali Ventiquattro pecore di razza sarda selezionate in base alla loro accertata sieronegatività nei confronti del virus della blue tongue sono state suddivise in tre gruppi (n=8). In ciascun gruppo quattro animali sono stati vaccinati con un vaccino vivo attenuato trivalente che includeva nella formulazione i sierotipi 1 (BTV-1), 2 (BTV-2) e 4 (BTV-4) mentre le restanti 4 pecore costituivano gli animali controllo non vaccinati. Cinque mesi dopo la vaccinazione gli animali (vaccinati e controlli) dei tre distinti gruppi sono stati inoculati rispettivamente con ceppi di campo del BTV-1, BTV-2 e BTV-4 isolati da focolai italiani. 111 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 quanto finora riportato nei gruppi di pecore inoculati con BTV2 e BTV-4 non si evidenziavano differenze o modificazioni degne di nota nelle sottopopolazioni linfocitarie. Le percentuali di linfociti T Ȗį non presentavano modificazioni in alcuno dei tre gruppi. Figura 1. Temperature rettali registrate quotidianamente nelle pecore vaccinate e non vaccinate dei tre differenti gruppi (BTV-1, BTV2, BTV-4) dal giorno dell’infezione ai seguenti 26 giorni. * indica una differenza significativa (P0,05) tra i due gruppi (vax e ctr) DISCUSSIONE I risultati della prova di infezione sperimentale con i diversi sierotipi del BTV hanno messo in evidenza come il BTV-1 abbia determinato nelle pecore non vaccinate alterazioni cliniche maggiormente evidenti rispetto ai sierotipi 2 e 4. Analizzando, infatti, i dati relativi alle temperature si evince come il sierotipo 1 abbia provocato ipertermia nelle pecore non vaccinate a differenza di quanto riscontrato negli animali vaccinati, mentre tali differenze non si sono riscontrate in entrambi i gruppi (vaccinate e non vaccinate) inoculati con il BTV-2 e BTV-4. Analogamente, le pecore non vaccinate del gruppo BTV-1 hanno manifestato alterazioni nelle percentuali di linfociti e granulociti, modificazioni che rimanevano comprese comunque all’interno degli intervalli di riferimento caratteristici della specie. Nessuna differenza è stata registrata nell’esame emocromocitometrico degli animali infettati con il BTV-2 e BTV-4. Anche per quanto riguarda i risultati delle sottopopolazioni linfocitarie si sono messe in evidenza alterazioni esclusivamente nel gruppo di pecore non vaccinate ed inoculate con il BTV-1. In accordo con quanto riportato da altri autori (1) l’infezione con il virus della BT ha determinato un incremento delle cellule CD8+, al quale si accompagnava un diminuzione delle CD4+ e un conseguente aumento del rapporto CD4/CD8. In un precedente lavoro (4) avevamo messo in evidenza come l’inoculazione del BTV-1 determinasse una diminuzione delle cellule CD4+ in pecore non immuni, mentre non si verificava alcuna modificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in pecore immunizzate per il sierotipo 1 con un vaccino vivo attenuato monovalente. I dati relativi alle visite cliniche ed agli esami di laboratorio suggeriscono come l’infezione sperimentale con il sierotipo 1 abbia determinato alterazioni cliniche ed ematologiche evidenti nelle pecore non vaccinate rispetto a quanto osservato con il BTV-2 e il BTV-4, lasciando supporre una maggiore patogenicità del ceppo inoculato. Inoltre, le osservazioni sulle pecore vaccinate suggerirebbero che le preparazioni vaccinali impiegate siano in grado di proteggere gli animali dall’insorgenza delle manifestazioni cliniche della BT. Studi maggiormente approfonditi si rendono necessari al fine di meglio chiarire il ruolo della CMI nella risposta degli ovini all’infezione con il BTV. Figura 2. Sottopopolazioni linfocitarie nelle pecore vaccinate (vax) e non vaccinate (ctr) del gruppo BTV-1. * indica una differenza significativa (P0,05) tra i due gruppi (vax e ctr) BIBLIOGRAFIA 1) 2) 3) 4) Ellis JA, Luedke AJ, Davis WC, Wechsler SJ, Mechan JO, Pratt DL, Elliot JD. T-lymphocytes subsets alterations following Bluetongue virus infection in sheep and cattle.1990. Vet Immunol Immunopathol; 24:49-67. Ghalib HW, Schore CE, Osburn BI. Immune Response of sheep to bluetongue virus: in vitro Induced lymphocyte blastogenesis. 1984. Vet Immunol Immunopathol; 10(2-3): 177-188. DeMaula DC, Leutenegger MC, Jutila AM, MacLachlan JN. Bluetongue virus-induced activation of primary Bovine lung microvascular endothelial cells. 2002. Vet Immunol Immunopathol; 86: 147-57. Bonelli P, Nicolussi P, Canalis M, Re R, Pilo GA, Colorito P, Carboni GA, Marongiu E, Savini G. Effect of Bluetongue virus infection on the white blood cell subsets of sheep. XXV World Buiatric Congress; july 6-11, 2008. Budapest, Hungary. 112 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LA MICROBIOLOGIA PREDITTIVA DEGLI ALIMENTI QUALE STRUMENTO PER L’ANALISI DEL RISCHIO: DINAMICA DI COMPORTAMENTO DEI PATOGENI DURANTE IL PROCESSO PRODUTTIVO Boni P ., Daminelli P., Bertasi B., Cosciani Cunico E., Finazzi G., Losio M.N., Bonometti E., Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare, Reparto di Microbiologia e Parassitologia degli alimenti e Sorveglianza epidemiologica, Brescia Key words: Microbiologia predittiva, Ars-alimentaria, Regolamento CE 2073/2005 SUMMARY The aim of this paper is the presentation of the experimental draft used by Food Department of Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna to demonstrated the safety of food processing by use of challenge test combined with mathematic model of predictive microbiology . crudo, tagli di carne, etc.) che i semilavorati (cagliata, panna, etc.) derivati da precedenti fasi di trasformazione; l’elenco degli ingredienti deve consentire la precisa identificazione di ogni componente, compresi aromi ed additivi, specificando in quale fase del diagramma di produzione esso è utilizzato. La conoscenza del processo produttivo comprende anche la rilevazione delle temperature delle fasi di processo e i tempi di esposizione alle suddette temperature, con particolare attenzione ai processi termici (pastorizzazione, cottura, giacenza sotto siero), alla durata della stagionatura, alle modalità di confezionamento, distribuzione e consumo. Rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimico-fisiche del prodotto L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei parametri microbiologici, chimico-fisici e merceologici finalizzata alla creazione di standard di processo e standard di prodotto. Correlando le nozioni relative ai processi tecnologici con i dati scaturiti dalle caratterizzazioni degli alimenti è possibile interpretare quali fasi, in un processo di trasformazione, costituiscono un “punto critico” per la sopravvivenza o meno di una popolazione batterica. Il sito www.ars-alimentaria.it (5) è attualmente aggiornato con i processi produttivi di oltre 10000 produzioni relative a circa 5800 aziende produttrici, costituendo una banca dati di riferimento nazionale per l’approfondimento delle conoscenze relative ai processi di trasformazione. Contaminazione sperimentale del prodotto L’utilizzo dei challenge test per la documentazione scientifica dell’adeguatezza delle misure di controllo di un processo produttivo presuppone la determinazione di quali pericoli microbiologici considerare: Listeria monocytogenes e Salmonella spp sono i patogeni che più frequentemente costituiscono un pericolo per il consumatore (rispettivamente negli alimenti pronti al consumo e/o nei prodotti a base di carne); i challenge test possono prevedere anche l’utilizzo di altri patogeni quali Campylobacter termotolleranti o Escherichia coli O 157:H7; la conduzione di queste prove sperimentali basate sulla contaminazione di materie prime destinate alla trasformazione è subordinata all’utilizzo di miscele di ceppi di riferimento e di ceppi di campo, specifici per l’alimento considerato ed in possesso di caratteristiche fenotipiche di importanza significativa in relazione alle fasi di processo che devono essere valutate (ad esempio determinazione della termoresistenza dei ceppi di L. monocytogenes utilizzati per la valutazione di processi che prevedano trattamenti termici). Le prove sperimentali prevedono la contaminazione degli alimenti con livelli di patogeni certamente superiori a quelli tollerati dalla normativa e a quelli realmente possibili; questo è dovuto alla necessità di valutare la “dinamica di comportamento dei microrganismi” nel tempo e presuppone 7 9 contaminazioni variabili da 1 x 10 ufc/g o ml a 1 x 10 ufc/g o ml di prodotto (3). La scelta del momento in cui contaminare un prodotto sottoposto ad un challenge test ed il successivo piano di INTRODUZIONE Il Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari (1), modificato recentemente dal Regolamento CE 1441/2007 (2), se da un lato identifica in modo inequivocabile nell’operatore alimentare il ruolo di responsabile della sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti, dall’altro pone il veterinario ispettore (e più in generale l’”Autorità Sanitaria”) nella condizione di doverne valutare l’operato non più, o non solo, attraverso l’esecuzione di prelievi ufficiali di alimenti, ma verificando che il rispetto dei requisiti microbiologici sia supportato da basi scientifiche che consentano di valutare la stabilità commerciale di un prodotto, l’efficacia di un trattamento di processo e la dinamica di comportamento dei patogeni durante la vita commerciale del prodotto. L’acquisizione delle tecnologie di produzione costituisce la premessa per un approccio scientifico alla conoscenza dei prodotti alimentari attraverso la raccolta e l’interpretazione dei parametri microbiologici, chimico-fisici, merceologici e tecnologici. L’operatore del settore alimentare è chiamato ad assumersi piena responsabilità riguardo alla sicurezza igienico-sanitaria del prodotto nei confronti dei pericoli microbiologici, “dovendo dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente”, il raggiungimento di tale obiettivo “durante il periodo di conservabilità (1) ” senza considerare la fase cui si applica il criterio né l’esito di un eventuale campionamento ufficiale. Gli strumenti a disposizione per valutare la sicurezza igienico-sanitaria dei processi e delle produzioni sono (4): x challenge test x studi di shelf life x modelli matematici di microbiologia predittiva. Scopo del presente lavoro è presentare il protocollo dei challenge test redatto dal Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna proposto quale strumento scientifico per valutare la conformità ai criteri microbiologici fissati dal Reg CE 2073/2005 riportando alcuni esempi di attività sperimentali. MATERIALI E METODI Il protocollo sperimentale per la valutazione della dinamica di comportamento dei patogeni durante il processo produttivo prevede 3 fasi: x rilievo del processo produttivo; x rilievo delle caratteristiche microbiologiche e chimicofisiche del prodotto; x contaminazione sperimentale del prodotto. Rilievo del processo produttivo Consiste nel definire gli ingredienti che sono utilizzati nelle trasformazioni alimentari, intendendo sia le materie prime direttamente provenienti dalla produzione primaria (latte 113 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 nel salame artigianale) e quindi i tre prodotti, pur non consentendo durante il processo lo sviluppo del patogeno, non sono in grado di abbatterne la carica oltre 1 unità logaritmica durante la stagionatura, sottolineando l’importanza di un attento controllo delle materie prime e delle condizioni igieniche di lavorazione onde evitare che l’alimento giunga alla bocca del consumatore con livelli di L. monocytogenes oltre il livello di 100 ufc/g stabilito dai Regolamenti comunitari. Al contrario, E. coli O 157:H7 e S. typhimurium hanno un comportamento abbastanza simile che sottolinea come questi tre processi produttivi non consentono il raggiungimento alla bocca del consumatore di livelli considerati a rischio, nel rispetto dei tempi di stagionatura. campionamento implicano un’attenta analisi del processo produttivo; la contaminazione dovrà essere effettuata a monte della fase considerata “punto critico di processo” che potrà essere identificata nel trattamento termico, nella stagionatura o direttamente nelle materie prime (latte, impasto, etc) mentre il campionamento sarà funzionale alle caratteristiche dello “standard di prodotto” precedentemente rilevate. 0 20 40 60 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 Log UFC/g 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 0 20 tempo (giorni) log ufc/g regressione 40 60 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 0 20 min log ufc/g regressione 40 60 tempo (giorni) tempo (giorni) max max min log ufc/g regressione max min Nei grafici da 4 a 6 sono sono descritti gli andamenti rispettivamente di S. typhimurium, E. coli O 157 H:7 e L. monocytogenes durante il processo produttivo di un salame tipo Cacciatore D.O.P. con una stagionatura di circa 35 giorni; la contaminazione è stata effettuata direttamente nell’impasto. Grafico 5 log ufc/g predetto Grafico 4 Grafico 10 Grafico 6 Grafico 11 9 0.965 8 0.96 7 0.955 6 0.95 5 0.945 4 0.94 3 0.935 2 0.93 1 0.925 0 -10 0 10 20 30 40 50 60 0.92 70 9 0.97 8 0.96 7 0.95 6 0.94 5 0.93 4 0.92 3 0.91 2 0.9 1 0 0.89 0 tempo (giorni) Aw Grafico 3 Andamento di Listeria monocytogenes nel Salame cremini log ufc/g predetto Grafico 2 Andamento di Escherichia coli O157:H7 nel Salame Cremini sperimentalmente contaminato DISCUSSIONE La conoscenza approfondita dei processi produttivi e dello “standard di processo” dei prodotti considerati, permette, abbinando i risultati dei challenge test ai modelli matematici di microbiologia predittiva (6), di valutare l’andamento di alcuni patogeni quali S. typhimurium sulla base della semplice conoscenza dei parametri chimico fisici di altri prodotti il cui “standard di processo” sia compatibile a quello rilevato nell’alimento sperimentalmente contaminato. Il grafico 10 mostra il confronto tra i valori attesi ed osservati di S. typhimurium nel processo di stagionatura del Salame artigianale (Grafico 1), mentre nel grafico 11 vengono riportati gli stessi risultati ma riferiti al salame tipo Cacciatore D.O.P. (Grafico 4). Aw Grafico 1 Andamento di Salmonella typhimurium nel Salame Cremini sperimentalmente contaminato Log UFC/g Log UFC/g RISULTATI Nei grafici da 1 a 3 sono sono descritti gli andamenti rispettivamente di S. typhimurium, E, coli O 157:H7 e L. monocytogenes durante il processo produttivo di un salame di produzione artigianale con una stagionatura di circa 40 giorni; la contaminazione è stata effettuata direttamente nell’impasto. 5 10 15 20 25 30 35 40 tempo (giorni) Predizione Nei grafici da 7 a 9 sono sono descritti gli andamenti rispettivamente di S. typhimurium, E. coli O 157 H:7 e L. monocytogenes durante il processo produttivo di un salame tipo Spianata. con una stagionatura di circa 45 giorni; la contaminazione è stata effettuata direttamente nell’impasto. Grafico 7 Grafico 8 profilo Aw andamento previsto media dati osservati profilo Aw In entrambi i casi i dati osservati esprimono un minore rischio rispetto alla predizione del modello matematico, probabilmente in quanto quest’ultimo non considera la presenza di flore lattiche, caratteristiche dei salumi italiani, in grado esercitare un’azione di bio competizione nei confronti dei patogeni; al termine del periodo di stagionatura comunque i dati si allineano a quanto indicato dai modelli di predizione, a sostegno del fatto che, l’applicazione dei modelli matematici di microbiologia produttiva risulta particolarmente utile quando abbinato a challenge test basati sulla scrupolosa conoscenza di standard di processo e quindi condivisibili con alimenti accomunabili ad uno stesso “standard di prodotto”. Grafico 9 I dati analitici ottenuti, elaborati mediante modelli matematici di microbiologia predittiva (3, 6), permettono di calcolare, per ogni patogeno, il tempo di riduzione decimale D e quindi di valutare se ed in che misura il processo produttivo inteso sino al termine della stagionatura possa impedire o ridurre la capacità di sopravvivenza dei patogeni eventualmente presenti nelle materie prime. Pur trattandosi di tre prodotti a base di carne con tecnologia di produzione differente, per alcuni patogeni si possono trarre conclusioni comuni; L. monocytogenes possiede un tempo di riduzione decimale molto alto (compreso tra i 48 giorni nel cacciatore D.O.P. ed i 66 giorni Dati osservatis BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 114 Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005. Regolamento CE 1441/2007 della Commissione del 5 Dicembre 2007 P. Daminelli, et al. “Predicting the survival of Salmonella spp. in Italian salami“ Med-Vet-net abstract book, 2nd Annual general Meeting, Malta 3-6 Maggio 2006 P. Daminelli, et al. “Listeria monocytogenes in alimenti Ready to eat: la normativa comunitarie e la regolamentazione per l’esportazione verso gli U.S.A.” Industrie Alimentari XLVI (2007) dicembre www.ars-alimentaria.it www.combase.cc X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 UNA ESPERIENZA DI CONDIVISIONE INFORMATICA DELLE ANAGRAFICHE DEGLI ALLEVAMENTI BASATA SULLA COOPERAZIONE APPLICATIVA NELLA REGIONE VENETO 1 1 1 1 2 1 1 1 1 Bortolotti L, Ponzoni A, Rizzo S, Redigolo L, Benvegnù F, Rostellato D, D’Este L, Mazzagallo S, Farina G , 1 Brichese M, Marangon S 3 1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) 2) Ditta Info.C.E.R., Venezia 3)Regione Veneto - Unità di Progetto per la Sanità Animale e la Sicurezza Alimentare, Venezia Key words: cooperazione applicativa , Izilab, BDR Introduzione. L'IZSVe effettua ogni anno circa 1.400.000 esami su campioni che provengono da strutture zootecniche della Regione Veneto. La gestione di questa attività, in particolare nella fase di accettazione dei campioni, necessita di anagrafiche consolidate e validate, che costituiscono la base informativa per una corretta gestione del flusso operativo. Per l'attività in oggetto l'anagrafica di riferimento è costituita dalla BDR (Banca Dati Regionale dell’Anagrafe Zootecnica del Veneto) in cui sono censite e gestite le informazioni relative agli stabilimenti zootecnici e agli animali in essi contenuti. La Base Dati Anagrafica è stata messa a disposizione del sistema di accettazione e refertazione dell'IZSVe (Izilab) con i meccanismi previsti dalla cooperazione applicativa e dall'interoperabilità realizzando un sistema basato sui web services di G2G (Governement to Governement) secondo quanto previsto nel Piano d'Azione per l'e-Governement emanato dal Governo. Materiali e Metodi. I sistemi informatici di supporto all'attività veterinaria sono : Izilab come strumento per l'accettazione dei campioni e la refertazione degli esiti utilizzato dai laboratori dell’IZSVe. Il sistema è operativo dal 1.1.2005. BDR centralizzata su base regionale dal 1.1.2003, che rappresenta il riferimento per la gestione delle anagrafiche in ambito zootecnico in Veneto. Per consentire l’allineamento anagrafico dei due sistemi è stato necessario garantirne l'interoperabilità realizzando un modello di cooperazione applicativa tramite web services. Questa si concretizza in una interrogazione in fase di accettazione da parte di Izilab a BDR per la verifica e la validazione delle figure anagrafiche, con successivo aggiornamento dell’archivio anagrafico di Izilab. La comunicazione avviene tramite l’utilizzo di chiavi aperte e condivise tra le due anagrafiche, in particolare l’identificativo univoco aziendale (codice 317). FIG. 1 La maturità e la diffusione ormai raggiunta dai protocolli nell'ambito web sono elementi essenziali per la realizzazione di quanto esposto, in particolare lo standard XML è determinante per definire le modalità di descrizione e comunicazione delle informazioni alla base dell'integrazione e dell'interoperabilità di sistemi informativi pubblici. I protocolli standard e ormai consolidati coinvolti nella definizione e nell’uso dei web services sono quindi : SOAP, HTTP, XML, UDDI e WDSL. Risultati. I due sistemi eterogenei ed indipendenti comunicano tramite i paradigmi tipici della cooperazione applicativa dal 1.1.2005 con l'integrazione delle informazioni dell'anagrafe BDR in Izilab, quali il codice aziendale e le figure anagrafiche ad esso correlate- ragione sociale, detentore e proprietario degli animali. Il numero di anagrafiche di allevamenti registrate in Izilab è di 31.000, che costituiscono una quota parte delle 52.000 censite in BDR. Con Izilab ogni mese, in media, vengono effettuate circa 5.500 accettazioni di campioni relativi ad allevamenti del Veneto, di cui circa 200 con interrogazione della BDR da parte di Izilab (dati anno 2008). Figura 1 Porta Applicativa Porta Delegata Richiesta Dominio A Server BDR 001BL001 Risposta Anagrafica allevamento Dominio B Client Izilab INTERNET Conclusioni. L’esperienza maturata in oltre 3 anni ha evidenziato una notevole stabilità nella tecnologia informatica e nei protocolli web utilizzati. Il principale punto critico è in genere rappresentato dalla necessità di modificare le procedure operative e i flussi informativi dei servizi territoriali e dei laboratori coinvolti. Talvolta gli operatori si adattano con difficoltà all’impiego di tali strumenti informatici, malgrado i vantaggi pratici che ne derivano, rappresentati da un minore dispendio di tempo nella registrazione dei dati e dall’evidente riduzione degli errori di digitazione dei dati. Si è infatti verificato che la possibilità di allineare le anagrafiche di Izilab con quanto presente in BDR, che rappresenta il dato ufficiale, si scontra con il parallelo flusso documentale, non sempre correttamente referenziato e compilato, ma che tuttavia rappresenta ancora spesso il punto di riferimento per la registrazione delle anagrafiche associate ai campioni. Pertanto, per trarre tutti i benefici che la cooperazione applicativa offre, nell’immediato futuro sarà necessario rivedere i flussi informativi ed operativi al fine di semplificarli e renderli più pratici, eliminando le possibili incongruenze e ridondanze. Parallelamente saranno estesi i servizi fruibili tramite l'interoperabilità applicativa dei sistemi informatici. Riassunto. Applicative cooperation allows the collaboration among public authorithies giving the opportunity to exploit all the potential provided by information technology to transform, enrich and simplify information interchange. IZSVe has developed a system based on web services in order to collect farms’ data directly from the Regional Data Base. This report describes the IT applied and summarize the results obtained in the last three years. 115 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 SVILUPPO DI METODICHE ALTERNATIVE PER LA RICERCA DI FRAMMENTI OSSEI DI ORIGINE ANIMALE NEI MANGIMI 1 Buonincontro G., 2Squadrone S., 2Benedetto A., 1Fragassi S., 1Sant S., 3Della Torre E., 4Parasacco M. & 1Decastelli L. 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Controllo Alimenti, TORINO Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, C.R.eA.A. (NRL proteine animali nei mangimi), TORINO 3 A. S.L. 4, Servizio Veterinario “Area C”, TORINO 4 A. S.L. 5, Servizio Veterinario “Area C”, TORINO Keywords: farine animali, PCR, real-time PCR Introduzione Sin dal 1994 l'Unione europea ha messo in atto misure specifiche per proteggere la salute umana ed animale dall’Encefalopatia spongiforme bovina (Bse). Ogni anno circa 10 milioni di animali sono testati per la Bse in Europa. Poiché è ormai accertato che la BSE si trasmette per via alimentare in seguito ad una non completa inattivazione dell’agente infettante presente in alimenti ad uso zootecnico contaminati da farine di carne, la legislazione europea e nazionale ha vietato l’utilizzo di farine animali nei mangimi, consentendo esclusivamente l’impiego di farine di pesce nei mangimi destinati ai non ruminanti (Regolamento Commissione CE 1292/2005) (1). Le analisi ufficiali effettuate sui mangimi si basano sull’identificazione dei componenti di origine animale attraverso un metodo microscopico (metodica ufficiale secondo la Direttiva 2003/126/CE recepita a livello nazionale con il D.M. 09/09/2004) (2). Nel decreto, inoltre, si fa esplicito riferimento all’eventuale impiego di “metodi diversi o alternativi, per migliorare l’identificazione di taluni tipi di costituenti di origine animale o per specificarne l’origine”, la cui validità scientifica sia stata comprovata, infatti, negli ultimi anni sono state messe a punto tecniche alternative di biologia molecolare (D.M. 09/09/2004). Tali tecniche possono rappresentare un ausilio alla metodica microscopica ufficiale, permettendo infatti di identificare la presenza di DNA di origine animale nei mangimi attraverso l’utilizzo di primers universali (3) che amplificano una sequenza di DNA mitocondriale codificante per la subunità 16S ribosomiale e di identificare la specie animale attraverso l’utilizzo di primer specie-specifici (4, 5, 6). In questo lavoro un campione di mangime complementare risultato positivo alla metodica ufficiale di controllo per la presenza di frammenti ossei di animali terrestri è stato analizzato con tecniche PCR-based (simplex PCR e real time PCR) al fine determinare la specie animale presente. Materiali e metodi Campionamento Dal 01/01/2008 al 31/07/2008 sono stati analizzati 308 campioni di alimenti ad uso zootecnico: 266 dalle ASL del Piemonte come previsto dal Piano di sorveglianza Nazionale per alimentazione animale (PNAA) e 42 campioni provenienti dai Posti di Ispezione Frontaliera (PIF). Tutti i campioni sono stati analizzati secondo la metodica ufficiale di controllo che prevede la ricerca microscopica dei frammenti ossei (D.M. 20/09/2004). Dei campioni processati solo uno è risultato positivo per la presenza di frammenti ossei di animali terrestri. Il campione di mangime complementare per bovini è stato prelevato da un mezzo di trasporto utilizzato per lo spostamento dei materiali dal silos alla sala di mungitura. L’aliquota in esame presentava numerosi frammenti ossei visibili al microscopio come particelle semi-trasparenti, di forma irregolare e rotondeggiante con lacune nere su sfondo grigio, presumibilmente riconducibili alla presenza di resti di mammifero. In seguito al riscontro della positività, l’ASL competente ha effettuato in diversi allevamenti campioni di mangime preparati con le stesse materie prime. Nel mangimificio, inoltre, sono state prelevate singolarmente tutte le materie prime presenti nel mangime risultato positivo per un totale di 12 campioni. Tutti i campioni effettuati e sopradescritti hanno dato esito negativo per la ricerca di frammenti ossei. Estrazione del DNA Il DNA è stato estratto dal mangime mediante l’utilizzo del PureLink TM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen). Il DNA è stato in seguito purificato e concentrato ® utilizzando il kit ChargeSwitch Forensic DNA Purification (Invitrogen,). Questo kit consente di allontanare gli eventuali inibenti presenti nella matrice grazie all’utilizzo di biglie magnetiche che legano per affinità di carica esclusivamente il DNA. La successiva eluizione dell’acido nucleico può essere effettuata in un volume molto piccolo e variabile di tampone, consentendo in questo modo di concentrare il DNA estratto precedentemente. Amplificazione del DNA Il DNA è stato amplificato mediante simplex PCR utilizzando primers che hanno come bersaglio un tratto della sequenza del DNA mitocondriale codificante per la subunità 16S dell’RNA ribosomiale (primer universali). In seguito all’amplificazione del DNA il prodotto è rilevato tramite elettroforesi su gel di agarosio al 2% e sono visualizzati ampliconi di peso diverso a seconda della specie animale presente. Successivamente il campione è stato sottoposto a PCR simplex specie-specifiche per l’identificazione di bovino, suino, ovi-caprino e specie avicole. Real time PCR Il campione è stato analizzato con PCR real time tramite l’uso di primers specifici per bovino, suino, agnello, pollo e tacchino (7) e relative sonde fluorogeniche MGB (minor groove binding, Applied Biosystems) tramite strumentazione StepOne Real_Time PCR Systems (Applied Biosystems.). Il controllo interno di reazione è costituito da un ulteriore TaqMan MGB detector basato su sequenze consenso del gene del 18S RNA ribosomiale che consente di valutare la presenza di DNA eucariotico oltre che costituire un’indicazione sul contenuto totale di DNA amplificabile della reazione. Un secondo protocollo in real-time PCR comprendente un set di primers-probe specifici per bovino, suino e pollo (8) è stato utilizzato per confermare i risultati. Risultati La lettura al microscopio ottico del campione ha evidenziato la presenza di numerosi frammenti ossei. Le ossa presenti avevano caratteristiche morfologiche tali da escludere l’appartenenza alla classe degli animali acquatici, mentre risultava più difficoltosa la discriminazione tra mammiferi e volatili, pertanto l’esito della prova riporta la dicitura “presenza di animali terrestri”, sebbene il lettore fosse maggiormente indirizzato verso la presenza di resti di mammifero. 116 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 La simplex PCR eseguita con primers universali sul DNA estratto dal mangime, mediante l’utilizzo del PureLink TM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen) seguito da purificazione con il kit ChargeSwitch® Forensic DNA Purification (Invitrogen,), ha confermato la presenza in bassissima concentrazione di DNA animale nel campione. (Vedi foto concentrazioni di frammenti ossei inferiori allo 0,1% e non necessitando di apparecchiature sofisticate. Richiede, però, lunghi tempi d’esecuzione e personale esperto. La sensibilità dei metodi bio-molecolari è molto elevata e consente di rilevare piccole tracce del target ricercato; tuttavia in presenza di matrici complesse la presenza di sostanze inibenti potrebbe interferire con l’efficienza della reazione di amplificazione. L’applicazione di metodi molecolari in real-time PCR, consente di aumentare la sensibilità e la specificità e quindi di identificare con ragionevole sicurezza la specie presente. L’uso di queste tecniche è particolarmente utile nella ricerca di costituenti di origine animale nei mangimi, poiché il DNA è meno suscettibile alla degradazione al calore rispetto alle proteine. L’uso della real-time PCR ha consentito di discriminare le specie animali responsabili della contaminazione del mangime in esame, bovino e suino. Ciò è dovuto alla maggior sensibilità del metodo in real-time: in particolare l’uso di sonde TaqMan MGB aumenta la specificità di reazione, riducendo anche il rumore di fondo. L’affiancamento di metodiche innovative all’analisi ufficiale permette di ottenere non solo la conferma dei positivi ma anche di identificare con certezza la specie animale di appartenenza. 1). Foto 1. PCR eseguita con primers universali per ricerca DNA animale Le PCR simplex specie-specifiche per l’identificazione di bovino, suino, ovi-caprino e specie avicole eseguite sul medesimo campione di DNA hanno dato tutte esito negativo. La PCR real time allestita secondo il protocollo di Lopez (7) ha evidenziato la presenza di DNA di bovino in percentuale paragonabile al controllo positivo dello 0.1%MBM. Infatti il ciclo soglia in cui il target amplificato raggiunge un threshold fisso (Ct) è paragonabile: 39 Ct per il campione analizzato e 38 Ct per il controllo dello 0.1% su 50 cicli di amplificazione previsti dalla metodica ( vedi foto 2). Bibliografia 1. Regolamento Commissione CE 1292/2005, recante modifica dell’allegato IV del regolamento (CE) n. 999/2001 del Parlamento e del Consiglio per quanto riguarda l’alimentazione animale. G.U. n. 205/3 del 05/08/2005 2. D.M. 09/09/2004 del Ministero delle politiche Agricole e Forestali: Metodo analitico per la determinazione dei costituenti di origine animale nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti per animali – supplemento n. 18; recepimento della direttiva 2003/126/CE. G.U. serie generale n. 221 del 20/09/2004 3. Bottero M.T., Dalmasso A., Numera D., Turi R.M., Rosati S., Squadrone S., Goria M., Civera T. 2003. Development of a PCR assay for the detection of animal tissues in ruminant feeds. J. Food Protection 66: 2307-2312 4. Bottero M.T., Civera T., Anastasio A., Turi R.M., Rosati S., 2001. Identification of Cow’s Milk in Buffalo Cheese by Duplex Polimerase Chain Reaction. Journal of Food Protection. 65/2: 362366 5. Calvo J.H., Zaragoza P., Osta R., 2001. Technical note: a quick and more sensitive method to identify pork in processed and unprocessed by PCR amplification of a new specific DNA fragment. J. Animal Science. 79: 2108-2112 6. Rosati S., Pittau M., Alberti A., Pozzi S., York D.F., Sharp J.M., Palmarini M., 2000. An accessory open reading frame (orf-x) of jaagsiekte sheep retrovirus is between different virus isolates. Virus Research. 66: 109-116 7. Lòpez-Andreo M., Lugl L., Garrido-Pertierra, Prieto M.I., Puyet A.2005. Identification and Quantitation of species in complex DNA mixtures by real-time polymerase chain reaction. Analytical Biochemistry, 339: 73-82. 8. Krcmar P. & Rencova E..2005. Quantitative detection of species-specific DNA in feedstuffs and fish meal. J. Food Protection, 6:1217-1221. Foto 2. Amplification plot real-time PCR (Lopez et al.2005) target bovino ed endogeno 18S Inoltre è stata riscontrata la presenza di DNA di suino in bassissima percentuale (uscita del Ct al 41° ciclo). Le real time PCR eseguite in parallelo per agnello, pollo e tacchino hanno dato esito negativo. Questo dato è stato confermato dai risultati ottenuti seguendo il protocollo di real time PCR di Krcmar(8): in questo caso il Ct per il mangime analizzato nel caso del bovino è 37 contro 38 Ct del controllo 0.1%; mentre per il suino il Ct è 41 su 45 cicli di PCR. Le real time PCR per ovino e pollo hanno dato esito negativo. Discussione La metodica ufficiale per la ricerca di frammenti ossei presenta alcuni vantaggi, essendo precisa, con una sensibilità pari all’99.39% ed una specificità pari al 99.77% (Dati Ring Test 2007, ISS – IIZZSS), rilevando SUMMARY The European Union issued the first ban on feed protein derived from ruminant tissue that was targeted to be fed to ruminant species in 1994. Animal protein may enter the feed chain mainly in the form of a meat-and–bone meal (MBM). The only EU official method for the detection of MBM in animal feed is the microscopic examination. Molecular genetic methods are capable of detection of specie-specific DNA in heat-processed samples. In this study we analysed a sample resulted positive for the presence of MBM with the official method and DNA-based techniques. 117 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 FRAZIONAMENTO DEI SUBPROTEOMI DI MICOPLASMI AGENTI EZIOLOGICI DI AGALASSIA CONTAGIOSA 1 Cacciotto C, 1,2Addis MF, 1Alberti A, 1Chessa B, 1Carcangiu L, 1Pittau M 1 Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Patologia e Clinica Veterinaria Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari, Sassari 2 Porto Conte Ricerche Srl, Tramariglio, Alghero Key words: Mycoplasma, Agalassia Contagiosa, Proteomica Introduzione I micoplasmi sono i più piccoli e semplici batteri capaci di replicazione autonoma, sono privi di parete ed hanno un genoma di dimensioni ridottissime. Viste le esigenze metaboliche, i micoplasmi possono essere coltivati in vitro solo con l’aggiunta di siero, e formano delle colonie dalla tipica morfologia ad “uovo fritto” (5). I micoplasmi causano diverse patologie di interesse veterinario, tra cui l'Agalassia Contagiosa (CA). L’agente eziologico della CA “sensu stricto” è Mycoplasma agalactiae, che si localizza a livello della mammella, a livello oculare e articolare dei piccoli ruminanti. Il quadro patognomonico della CA è caratterizzato da mastiti, Rad) secondo le istruzioni del produttore e colorate con Coomassie R250. Per il western blotting, le proteine sono state trasferite su nitrocellulosa con la Mini-Transblot Cell della Bio-Rad secondo le istruzioni del produttore. Dopo il trasferimento, la membrana è stata bloccata con PBS-tween 0,05% (TPBS) contenente il 5% di skim milk. La membrana è stata incubata con un siero iperimmune di coniglio anti-rP48 per 2 ore, lavata con TPBS e quindi incubata con anticorpi anti-coniglio coniugati con perossidasi. Dopo il lavaggio, la membrana è stata sviluppata con un substrato chemiluminescente (Sigma). Per l’elettroforesi bidimensionale, 150 μg di proteine in lysis buffer sono state utilizzate per la reidratazione passiva di IPGstrips pH 3-10NL (GE Healthcare), condotta O/N a 20°C. Successivamente, le strip sono state sottoposte a focalizzazione isoelettrica su una IPG-Phor (GE Healthcare) per un totale di 80.000 VH. Al termine della focalizzazione, le strip sono state equilibrate e sottoposte ad elettroforesi nella seconda dimensione in presenza di SDS. Al termine della separazione, i gel sono stati colorati con il metodo dell’impregnazione argentica. Le immagini sono state acquisite con un ImageScanner (GE Figura 2. Da sinistra verso destra: Colonie di micoplasmi su terreno solido; artrite; cheratocongiuntivite. Figura 1: Schema sperimentale artriti, cheratocongiuntiviti ed aborti (Fig. 1). Altri micoplasmi appartenenti al cluster del M. mycoides causano sindromi affini che alcuni autori indicano collettivamente come Sindrome da Agalassia Contagiosa (4). In Sardegna i micoplasmi dei piccoli ruminanti più frequentemente segnalati sono, oltre al M. agalactiae, il M. capricolum subsp. capricolum, il M. mycoides subsp. mycoides L.C. e il M. putrefaciens. La CA causa gravi perdite economiche in aree in cui l’allevamento dei piccoli ruminanti riveste particolare importanza economica, come nel caso della nostra regione. Di conseguenza, la caratterizzazione di proteine coinvolte nei meccanismi di patogenicità e di difesa dell’ospite è fondamentale per lo sviluppo di strumenti di diagnosi, profilassi e controllo di questa patologia. Le tecniche principali per lo studio del proteoma sono l’elettroforesi delle proteine, mono e bidimensionale, e la spettrometria di massa. Prerequisito per lo svolgimento di queste analisi è la messa a punto di metodi di estrazione, frazionamento ed analisi dei proteomi e dei subproteomi dei microrganismi. Healthcare) e processate con i software ImageMaster Platinum (GE Healthcare) e Photoshop Elements (Adobe). Nella Figura 2 è illustrato lo schema sperimentale seguito e sono raffigurati gli strumenti utilizzati per questo lavoro. Materiali e Metodi M. agalactiae PG2 e M. capricolum CK sono stati coltivati in terreno PPLO addizionato con siero di cavallo al 20%. Dopo coltura a 37°C, i batteri sono stati raccolti in centrifuga e lavati con PBS. Le proteine totali sono state estratte mediante risospensione del pellet in Lysis buffer (urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 4%, IPG buffer 3-10 1%, inibitori di proteasi). Il frazionamento delle proteine idrosolubili e liposolubili è stato condotto con il metodo del Triton X-114, seguendo la metodica inizialmente descritta da Bordier (2) e successivamente ottimizzata nel nostro laboratorio. Le proteine sono state risospese in Laemmli buffer (3), oppure precipitate con TCA 10% a 4°C, lavate con acetone, risospese in Lysis buffer e quantificate con il metodo di Bradford. In seguito, come controllo sono state separate su gel di poliacrilammide al 10% su una Protean Tetra Cell (Bio- Risultati e Discussione Allo scopo di caratterizzare il proteoma dei micoplasmi agenti eziologici di CA, le proteine totali dei ceppi di riferimento di M agalactiae PG2 e M. capricolum CK sono state estratte e sottoposte a separazione mediante 2D-PAGE. Questa tecnica elettroforetica permette di separare le proteine secondo due coordinate: il punto isoelettrico (da sinistra verso destra) ed il peso molecolare (dall’alto verso il basso). In seguito a questa separazione, viene generata una mappa riproducibile che può essere utilizzata a fini di proteomica differenziale mediante analisi di immagine. Inoltre, la 2DPAGE può essere utilizzata come metodo preparativo per l’isolamento di spot contenenti una sola o poche proteine, rendendo possibile l’applicazione della spettrometria di massa MALDI-TOF. Come si può osservare nella Fig. 3, sono 118 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 state ottenute mappe ben risolte e contenenti un elevato numero di proteine. Le proteine di superficie e di membrana svolgono un ruolo importante nella patogenesi dei micoplasmi, essendo fondamentali per l’adesione, la colonizzazione, la formazione di biofilm e, nelle specie che ne sono capaci, nell’invasione. È stato inoltre dimostrato che alcune di queste proteine sono importanti antigeni immunodominanti, come la P48 di M. agalactiae e la P60 di M. capricolum (1,6). Il loro studio e la loro caratterizzazione liposolubili di M. agalactiae (a sx) e di M. capricolum (a dx). L’ottenimento di questo risultato aprirà ora diverse prospettive sperimentali. In primo luogo, sarà possibile studiare la risposta degli animali colpiti da CA utilizzando la sola frazione di membrana dei micoplasmi come antigene per studi di Western Immunoblotting mirati a valutare la risposta immunologica degli animali. Inoltre, la possibilità di lavorare con subproteomi faciliterà lo studio sistematico delle proteine delle diverse frazioni mediante spettrometria di massa. Nel lungo termine, questo lavoro sarà finalizzato all’individuazione, lo sviluppo e la realizzazione di nuovi ed efficaci strumenti per la profilassi, la diagnosi e il controllo della sindrome da Agalassia Contagiosa. Questo lavoro è stato finanziato dalla Regione Autonoma Figura 3: Mappe bidimensionali delle proteine totali di M. agalactiae PG2 (sx) e M. capricolum CK (dx) Figura 3: 2D-PAGE delle frazione idrosolubile (in alto) e della frazione liposolubile (in basso) di M. agalactiae PG2(a sinistra) e di M. capricolum CK (a destra) sono quindi di importanza fondamentale per i nostri scopi. Una debolezza della 2D-PAGE condotta con i metodi classici di estrazione e separazione è data dal fatto che in genere questa componente è poco rappresentata rispetto alle proteine solubili. Di conseguenza, abbiamo adattato alla separazione elettroforetica mediante 2D-PAGE una metodica di frazionamento basata su Triton X-114 descritta in letteratura, che era stata ottimizzata nel nostro laboratorio per Figura 4: SDS-PAGE i micoplasmi. Inizialmente, l’efficienza del frazionamento è stata valutata e WB di proteine mediante elettroforesi monototali, idro e dimensionale seguita da western liposolubili blotting ed incubazione con anticorpi diretto verso la P48, una basic membrane protein. Questa proteina costituisce un controllo valido in quanto si tratta di una proteina basica, e quindi di difficile estrazione, è altamente idrofobica ed è associata alla membrana. Il segnale della proteina è stato evidenziato solamente nelle proteine totali e nella frazione liposolubile, indicando la validità del metodo di frazionamento da noi applicato. Nella Figura 4 sono riportati i profili relativi alle proteine totali, idro e liposolubili di M. capricolum CK (in alto), i profili relativi alle proteine totali, idro e liposolubili di M. agalactiae PG2 (al centro), e il segnale relativo alla P48 nelle proteine totali e nella frazione liposolubile. Una volta ottenuta con successo la separazione delle due frazioni, era necessario che le proteine si trovassero nel tampone adeguato per l’elettroforesi bidimensionale, poiché i sali e i detergenti presenti nei campioni frazionati possono interferire con la focalizzazione isoelettrica delle proteine, alterandone la migrazione. A questo scopo, le proteine sono state sottoposte a diversi metodi di precipitazione e risospensione. Il risultato migliore è stato ottenuto con la precipitazione in TCA, il lavaggio in acetone e la risospensione in Lysis buffer. Nella Figura 5 sono riportate le mappe relative alle proteine idrosolubili e della Sardegna, Programmazione. Assessorati alla Sanità e alla Riferimenti bibliografici 1) Alberti A, Robino P, Chessa B, Rosati S, Addis MF, Mercier P, Mannelli A, Cubeddu T, Profiti M, Bandino E, Thiery R, Pittau M. 2008. Characterisation of Mycoplasma capricolum P60 surface lipoprotein and its evaluation in a recombinant ELISA. Vet. Microbiol., 128, 81-9. 2)Bordier, C. 1981. Phase-separation of integral membrane proteins in Triton X-114 solution. J. Biol. Chem. 25, 1604-1607. 3)Laemmli, UK. 1970. Cleavage of structural proteins during the assembly of the head of bacteriophage T4. Nature 227, 680-685. 4)Lambert, M., 1987. Contagious agalactia of sheep and goats. In: Mycoplasmoses of ruminants. Rev. Sci. Tech. OIE 6, 699–711. 5)Razin SD, Yogev D, Naot Y. 1998. Molecular biology and pathogenicity of mycoplasmas. Mol. Biol. Rev. 62, 1094-1156. 6)Rosati S, Robino P, Fadda M, Pozzi S, Mannelli A, Pittau M. 2000. Expression and antigenic characterization of recombinant Mycoplasma agalactiae P48 major surface protein. Vet. Microbiol. 71, 201-210. Abstract M. agalactiae and M. capricolum are aetiologic agents of an economically detrimental infectious disease of small ruminant, Contagious Agalactia. A method for fractionation of M. agalactiae and M. capricolum hydrophilic and hydrophobic subproteomes has been developed and adapted to 2DPAGE. In the future, this will allow systematic and differential proteomic studies of these microorganisms, and it will enable identification of immunodominant proteins suitable for prophylaxis, diagnosis, and control of Contagious Agalactia. 119 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 INDAGINE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. IN ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE DEL NORD ITALIA 1 1 1 2 1 1 1 1 Cammi G. , Arrigoni N. , Belletti GL. , Garilli F. , Ricchi M. , Vicari N. , Tamba M. , Galletti G. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”. Corso di Laurea in “Tecnologie delle Produzioni animali e sicurezza degli alimenti” Facoltà di Medicina Veterinaria. Università di Parma. 2 Key words; Prototheca spp., latte di massa, mastite bovina situati nella Regione Emilia-Romagna, 36 nella Regione Lombardia (Tabella 1). Trattandosi di campioni di latte conferiti per le analisi merceologiche con presenza del conservante Sodio Azide (0,016 g/100 ml di latte), è stato necessario, in via preliminare, valutare l’eventuale impatto di questa sostanza ad azione batteriostatica, sulla sopravvivenza nel latte e sullo sviluppo in vitro di Prototheca spp. A questo scopo, campioni di latte di massa bovino (controllati per l’assenza di Prototheca spp.) con e senza il conservante, sono stati contaminati con la medesima sospensione di un ceppo di campo di Prototheca spp. e quindi conservati a temperatura di refrigerazione (0-4°C) per un periodo di 13 giorni. Il confronto tra le conte delle cariche di Prototheca spp., effettuate periodicamente dalle due tipologie di campioni, ha permesso di verificare che il Sodio Azide non ha alcun effetto di tipo batteriostatico sulla microalga. L’esame per la ricerca di Prototheca spp. è stato condotto, dopo opportuna agitazione del campione, inoculando direttamente 0,5 ml di latte in una piastra di PIM, (Prototheca Isolation Medium) (6), successivamente incubata a 30 °C per 72 ore in condizioni di aerobiosi (soglia di rilevabilità: 2 ufc/ml). In questo modo è stato possibile rilevare la presenza anche di una sola bovina infetta su 100, qualora eliminasse almeno 200 ufc di Prototheca spp. /ml di latte (valore minimo di ufc/ml da noi rilevato in vacche infette). Terminato il periodo di incubazione, le colonie cresciute sulle piastre sono state osservate allo stereomicroscopio per valutarne la morfologia e quindi sottoposte a colorazione di Gram. Le colonie di Prototheca spp. sono state contate fino ad un massimo di 300 per piastra (corrispondenti a 600 ufc/ml di campione). I conteggi delle piastre con un numero superiore di colonie, sono state espressi come superiori a 600 ufc/ml di campione. Da ciascuna delle piastre con sviluppo di Prototheca spp. sono state prelevate una o più colonie con morfologia rappresentativa, e trapiantate su Tryptone Soya Yeast Extract Agar Slant per la successiva identificazione mediante PCR. I ceppi isolati sono stati sottoposti ad identificazione mediante PCR, amplificando una regione conservata del RNA 18S con primers Proto18-4f e Proto18-4r, secondo la metodica descritta da Roesler et al. (2006) (8). Per ogni campione controllato, sono stati registrati anche i dati relativi alla Carica batterica totale ed alla conta delle cellule somatiche, determinati rispettivamente mediante Bactoscan FC (tecnica optofluorometrica) e Fossomatic 5000 (conta diretta in optofluorometria). Infine, sulla base del numero di vacche in lattazione, gli allevamenti sono stati inseriti in tre fasce di consistenza: fino a 50, 51-100, >100 bovine in lattazione. Summary Bulk tank milk samples collected from 350 dairy herds located in the Po Valley (Northern Italy) were investigated for Prototheca spp. All samples were cultured on PIM at 30 °C for 72 h for total number of Prototheca cells and analyzed also for total bacteria count and somatic cells count. Prototheca spp. were isolated in milk sample from 54 (15,43%) dairy herds. No statistical correlation resulted between Prototheca spp. isolation and bulk tank milk somatic cell counts and total bacterial count. Introduzione Al genere Prototheca appartengono microalghe unicellulari strettamente correlate alle alghe verdi del Genere Chlorella, ma incapaci di attività fotosintetica. Largamente diffuse nell’ambiente come saprofiti, esse prediligono habitat umidi e ricchi di sostanza organica. In taluni casi possono assumere il ruolo di patogeni opportunisti per uomo ed animali. In campo animale la patologia da Prototheca più conosciuta è sicuramente la mastite sostenuta da Prototheca zopfii, descritta per la prima volta da Lerche nel 1952. Segnalata in passato come forma sporadica, questa patologia del bovino, sta assumendo in molti Paesi, tra cui il nostro, un andamento endemico nell’ambito dell’allevamento colpito, arrivando a provocare significative perdite economiche (1, 2, 3, 5, 7). Essa si manifesta generalmente con una forma clinica di lieve entità, con modeste alterazioni del latte, senza sintomi sistemici o in forma sub-clinica con solo rialzo cellulare. In molti casi si ha anche diminuzione significativa della produzione lattea. Inoltre, l’assoluta assenza di risposta alle terapie antibiotiche, con conseguente evoluzione cronica della patologia, rende necessario allontanare gli animali colpiti dall’allevamento (5). P. zopfii viene considerata primariamente un patogeno ambientale; infatti può trovare nell’allevamento bovino habitat favorevoli a livello di abbeveratoi (acqua e zone circostanti), mangiatoie (alimenti quali mangimi, foraggi, insilati), feci e lettiera, liquidi di percolazione, latte infetto, tettarelle, impianti di mungitura. Una gestione igienico-sanitaria non ottimale dell’allevamento, specialmente a livello di mungitura, può favorire la comparsa della mastite in forma contagiosa. La diagnosi di mastite da Prototheca, impossibile da un punto di vista clinico, richiede il supporto di esami di laboratorio. La messa in evidenza di Prototheca spp., viene effettuata con esami microbiologici, sia sul latte delle singole bovine che sul latte di massa, come pure da diverse tipologie di campioni ambientali (acqua di abbeverata, acqua di lavaggio dell’impianto di mungitura, lettiera, feci, tamponi di superfici, foraggi ed altri tipi di alimenti, ecc..). Scopo del lavoro è presentare i dati relativi alla diffusione dell’infezione da Prototheca nell’allevamento bovino da latte. Tabella 1: Provenienza e consistenza degli allevamenti sottoposti a monitoraggio Materiali e metodi Sono stati analizzati per presenza di Prototheca spp., 350 campioni di latte di massa, prelevati da altrettanti allevamenti, nel mese di maggio 2008, per la determinazione dei parametri merceologici previsti nei piani di controllo per il pagamento del latte secondo qualità. 314 allevamenti erano Vacche in lattazione Allevamenti 120 in EmiliaRomagna in Lombardia 50 51-100 >100 Tot. Allev. 171 78 65 314 12 11 13 36 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tot. 183 89 78 350 Risultati All’esame microbiologico sono risultati positivi 54 campioni, tutti confermati in PCR come appartenenti al Genere Prototheca. La percentuale di positività per presenza di Prototheca spp. nel latte di massa è stata quindi del 15,43%. La positività ha interessato allevamenti appartenenti alle tre fasce di consistenza individuate, con una leggera superiorità in quelli con un numero di bovine in lattazione superiore a 100 (Tabella 2). E’ stata individuata una debole relazione tra la consistenza di capi in lattazione e la presenza di 2 Prototheca spp.: p<0.01 al test F considerando le tre classi di consistenza individuate (50, 51-100, >100); OR=1,0071, risultato di una regressione logistica tra presenza/assenza di Prototheca spp. e consistenza degli allevamenti Tabella 2: Allevamenti positivi per presenza di Prototheca spp . nel latte di massa Vacche in lattazione Allevamenti controllati Allevamenti postivi 50 51-100 >100 Totale 183 89 78 350 17 12 25 54 (9,28%) (13,48%) (32,05 %) (15,43%) Bibliografia 1. Allodi S., Bertocchi L., Moroni P., Miranda Ribera A., Pisoni G., Casula A., Scaccabarozzi L., Toni F., Bronzo V. (2006). Prevalenza delle infezioni mammarie da Prototheca spp. in un allevamento di bovine da latte. Buiatria. Journal of the Italian Association for Buiatrics. 2, 39-44. 2. Bertocchi L., Arrigoni N., Bolzoni G., Marchi V., Bronzo V., Varisco G. (2007) Prototheca zopfii intramammary infections control in a high prevalence herd: preliminary results. 46th National Mastitis Council Meeting, Texas, 228229. 3. Costa E.O., Carciofi A.C., Melville P.A., Prada M.S., Schalch U., (1996). Prototheca sp. Outbreak of bovine mastitis. J. Vet. Med. B. 43, 321-324. 4. Costa, E.O., Melville P.A., Ribeiro A.R., Watanabe E.T., Parolai M.C. (1997). Epidemiologic study of environmental sources in a Prototheca zopfii outbreak of bovine mastitis. Mycopathologia 137, 33-36. 5. Janosi S., Ratz F., Szigeti G., Kulcsar M., Kerényi J., Lauko T., Katona F. (2001). Rewiev of the microbiological, pathological, and clinical aspects of bovine mastitis caused by the alga Prototheca zopfii. The Vet. Quart. 23, 2, 58-61 6. Pore S.R. (1973). Selective medium for the isolation of Prototheca. Appl. Microbiol. 26, 4, 648-649. 7. Pore, R.S., Shahan T.A., Pore M.D., Blauwiekel R. (1987). Occurrence of Prototheca zopfii, a mastitis pathogen, in milk. Vet. Microbiol.15, 315-323 8. Roesler, U., Moller A., Hensel A., Baumann D., Truyen U., (2006). Diversity within the current algal species Prototheca zopfii: a proposal for two P. zopfii genotypes and description of a novel species, Prototheca blaschkeae sp. nov. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 1419-1425 9. Rosignoli C., Nigrelli A.D., Franzini G., Nardi M., Guizzardi S., Bottoli E., Favalli F. (2006). Indagine preliminare sulla presenza ambientale di Prototheca zopfii in allevamenti di bovine da latte. Buiatria. Journal of the Italian Association for Buiatrics. 2, 45-53 Nessuna relazione risulta tra il valore di cellule somatiche e la presenza/assenza di Prototheca spp. (p>0.05 al test F2). Non è stata rilevata alcuna relazione neppure tra l’entità della contaminazione del latte da Prototheca spp. (ufc/ml) ed il valore di cellule somatiche (l’analisi della varianza non ha rilevato differenze significative all’interno dei tre gruppi definiti sulla base delle ufc/ml di Prototheca nel latte, 10, 11-100, >100) ( Tabella 3 ). Tabella 3: Entità della contaminazione da Prototheca spp. nel latte di massa degli allevamenti positivi ufc Prototheca spp/ml 10 11-100 >100 Tot. Allevamenti postivi 13 22 19 54 dell’infezione, approfondendone gli aspetti epidemiologici ed eziologici. Dai risultati dell’indagine effettuata, emerge inoltre, la necessità di introdurre la ricerca di Prototheca spp. nella routine diagnostica della mastite bovina; infatti, il modo più efficace per controllare questo tipo di infezione, resta la precocità della diagnosi e la repentina applicazione delle specifiche misure igienico-sanItarie e, se possibile, l’eliminazione degli animali infetti. A questo riguardo va sottolineato che il latte di massa si conferma un campione estremamente valido, oltre che pratico e poco costoso, per rilevare in tempi rapidi la presenza di Prototheca in allevamento. L’altro dato che emerge dall’indagine effettuata è la mancata correlazione tra il valore delle cellule somatiche e della carica batterica totale del latte di massa con la presenza/assenza di Prototheca spp; il dato si spiega tenendo presente che questi parametri sono influenzati dalla prevalenza di infezione, dall’entità dell’eliminazione della microalga dalla mammella oltre che dalla gestione igienico-sanitaria generale dell’allevamento e da quella relativa alla mastite. Negli allevamenti con infezione largamente diffusa e persistente, secondo la nostra esperienza (2) ed in accordo con quanto segnalato da altri Autori (1), vi è generalmente una ripercussione negativa sui valori di carica batterica e cellule somatiche del latte di massa che possono andare ben oltre i limiti di legge. Il 76% degli allevamenti positivi ha presentato valori di carica batterica inferiori alle 50.000 ufc/ml nel latte di massa; i campioni positivi e negativi si distribuivano in maniera sovrapponibile nelle classi di frequenza individuate per la carica batterica (fino a 20, 20-50, 50-100, 100-200, 200-300, >300 ufc/ml x 1000). Conclusioni L’indagine condotta ha evidenziato la presenza di Prototheca spp. nel 15,43% degli allevamenti, con un numero di ufc/ml compreso tra 2 ed oltre 600. Pur non essendo disponibili dati sulla situazione sanitaria degli allevamenti, è possibile comunque ipotizzare che la positività riscontrata sia riferibile primariamente alla presenza di animali infetti eliminatori, che rappresentano la principale fonte di contaminazione del latte. Infatti, bisogna considerare che un’elevata contaminazione dell’ambiente da Prototheca è legata alla presenza di animali infetti ed eliminatori. Negli allevamenti in cui non vi sono casi di mastiti da Prototheca, la presenza dell’alga nell’ambiente è generalmente limitata (4, 9). La percentuale di positività riscontrata rileva una evidente diffusione dell’infezione nell’allevamento da latte nel nostro territorio. Il dato richiede sicuramente ulteriori indagini per individuare le cause che hanno permesso il diffondersi 121 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ALLESTIMENTO DI UN METODO ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI ANTI-STREPTOCOCCUS UBERIS NEGLI OVINI 1 1 Campesi F., 2Marogna G., 1Uzzau S., 2Leori G.S. Dipartimento di Scienze Biomediche, sezione di Microbiologia Sperimentale e Clinica, Università agli Studi di Sassari; 2 IZS della Sardegna– Centro di Referenza Nazionale per le Mastopatie degli Ovini e dei Caprini (CReNMOC) Parole chiave: mastite, diagnosi, sierologia Abstract Infection of mammary gland by environmental micro organisms in milking sheep is becoming more frequent, due to breeding changes techniques. Diagnosis of infection within a flock is generally obtained by cultural methods, that are time consuming, expensive, and limited/restricted to clinically infected animals. To improve current disgnostic methods, we developed an indirect ELISA that appears highly specific, cost-effective, and useful even during dry period. The test has been set up using surface proteins of Streptococcus uberis. Such method enabled us to identify 100% of sheep that tested positive to S. uberis by cultural standard methods. soluzione A (contenente 80mM Tris-HCl pH7.4, 1.2M NaCl). A questo punto i batteri sono stati sottoposti a sonicazione con impulsi di 30 secondi per 12 volte, fino a completa lisi cellulare. Dopo la sonicazione è stato aggiunto 1/3 del volume di soluzione B (contenente 40mM Tris-HCl pH7.4, 600mM NaCl; 4% Triton X-114) e la sospensione batterica è stata incubata in ghiaccio per 1 ora agitando al vortex frequentemente. La sospensione batterica è stata quindi centrifugata per separare le eventuali cellule intere restanti e il surnatante è stato prelevato ed incubato in un bagneto termostatato a 30°C per 5 min. e successivamente centrifugato a 1300 x g per 10min a temperatura ambiente. La fase acquosa è stata trasferita in un nuovo eppendorf e ad essa è stata aggiunto il Triton-X-114 fino a raggiungere la concentrazione finale del 5%. La sospensione è stata incubata nuovamente a 30°C per 5 min. In questo modo la fase acquosa si trasferisce lentamente nella fase detergente. Dopo nuova centrifugazione a 1300 x g per 10min a temperatura ambiente, la fase acquosa è stata rimossa e le proteine idrofobiche presenti nella fase detergente sono state precipitate a –20°C O/N in 10 volumi di acetone. Il giorno successivo le proteine presenti nel pellet ottenuto mediante centrifugazione a 10000 x g per 10min a 4°C sono state risospese in 5 ml di PBS sterile e conservate in freezer a – 20°c. x Protocollo ELISA - Le proteine estratte sono state quantificate con il Kit “DC Protein Assay” della Bio-rad e diluite in modo da avere una concentrazione di 2 μg/ml. Si è proceduto quindi all’adsorbimento dell'antigene sul fondo delle piastre multiwell da 96 pozzetti versando in ogni pozzetto 50 μl di proteine. Per l’adsorbimento le piastre vengono tenute O/N a 4°c. Il giorno successivo si provvede alla rimozione dell'antigene in eccesso con dei lavaggi in PBS + 0.05 % Tween 20 e alla saturazione dei siti liberi sulla superficie dei pozzetti di reazione con proteina non reattiva (albumina di siero bovino) per impedire l'adsorbimento dell'anticorpo alla superficie della vaschetta. In ogni pozzetto sono stati messi 100 μl di sieri di pecore naturalmente infettate da Streptococcus uberis diluiti 1:500 in PBS e lasciati 90 minuti a temperatura ambiente. Dopo incubazione per permettere la formazione dell'eventuale complesso antigene-anticorpo la soluzione che contiene l'anticorpo libero viene rimossa. E’ stata quindi fatta un’incubazione di un ora a temperatura ambiente con anticorpo secondario antiSheep (anticorpo policlonale diretto contro IgG o IgM di ovino e coniugato con perossidasi) per la rivelazione del complesso antigene-anticorpo primario. L'anticorpo secondario forma un complesso con l'anticorpo primario a sua volta associato all'antigene (specifico). L'anticorpo secondario in eccesso è stato quindi allontanato e il complesso antigene-anticorpo è stato rilevato mediante aggiunta del substrato dell'enzima coniugato all'anticorpo secondario. La presenza del complesso antigene-anticorpo primario viene rilevata attraverso lo sviluppo del colore. L'intensità del colore dipende (a parità di tempo di incubazione) dal numero di complessi presenti. l'assenza del colore giallo indica l'assenza del complesso antigene-anticorpo primario nel Introduzione: le mastiti degli ovini sono prevalentemente di natura infettiva e i microrganismi principalmente incriminati nel loro determinismo sono batteri Gram positivi appartenenti ai generi Staphylococcus e Streptococcus. Fra questi ultimi, la specie più rappresentativa è lo Streptococcus uberis. Si tratta di un microrganismo largamente diffuso in natura, la cui sopravivenza non dipende strettamente dalla ghiandola mammaria, di riscontro comune nelle lettiere delle stalle e degli ovili. Storicamente viene considerato come la causa più frequente di infezioni mammarie nelle bovine in asciutta. Recentemente, anche a causa delle mutate condizioni di allevamento degli ovini, caratterizzate dal progressivo abbandono delle tecniche estensive verso la zootecnia intensiva, questo microrganismo è diventato di comune rinvenimento nel latte mastitico nonché il principale agente eziologico diagnosticato in focolai di mastite degli allevamenti ovini che praticano la stabulazione e la mungitura meccanica. Fino ad oggi la diagnosi di mastite provocata dall’infezione di Streptococcus uberis è stata garantita da esami colturali a partire dal latte infetto. La tecnica di identificazione si avvale dell’utilizzo di gallerie biochimiche commerciali purtroppo calibrate per batteri di origine umana e non veterinaria. Questo ha comportato e comporta dei limiti nell’identificazione delle infezioni da Streptococcus uberis negli ovini. Questi limiti hanno spinto verso l’allestimento di tecniche di identificazione molecolare in PCR e nell’allestimento di una metodica ELISA, ossia un saggio ELISA indiretto per l’identificazione di proteine della membrana di Streptococcus uberis. Questa metodica, rispetto ai test sierologici più frequentemente utilizzati, come la microagglutinazione lenta, presenta il vantaggio di permettere l’identificazione e la discriminazione tra gli anticorpi IgG ed IgM. Questa discriminazione consente di valutare l’evoluzione temporale della malattia, una distinzione che può rappresentare un’importante informazione nella gestione del focolaio epidemico. La metodica inoltre è potenzialmente in grado di distinguere tra animali immunizzati e con infezione in corso. Materiali e Metodi x Preparazione dell’antigene - Una colonia di S. uberis (ceppo di campo 1168) è stata fatta crescere in 3 ml di terreno LB broth O/N a 37°C in agitazione. Il giorno successivo 1ml di brodo coltura è stato inoculato in 500 ml di LB broth e lasciato O/N a 37°C. 500 ml di coltura batterica sono stati centrifugati per 10 minuti a 6000 rpm. Il pellet è stato risospeso in 40 ml di PBS centrifugato nuovamente alle stesse condizioni. Il pellet è stato quindi risospeso in 5 ml di 122 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 punto gli esami sierologici avrebbero la doppia valenza di essere indispensabili sia all’identificazione dell’agente eziologico, sia alla conoscenza della sua diffusione all’interno del gregge. Il metodo da noi utilizzato, a differenza della microagglutinazione lenta, consente di valutare l’evoluzione temporale della malattia discriminando fra le due categorie di anticorpi IgM e IgG. La nostra metodica si è dimostrata efficace nell’identificare l’agente eziologico e nel differenziare le due classi di anticorpi. L’utilizzo di una metodica basata sull’estrazione di pools di proteine di membrana, tuttavia, può avere il limite di non discriminare tra agenti eziologici dello stesso genere (inclusi S. suis ed S. bovis) o di generi correlati (es. Enterococcus). Pertanto, il nostro gruppo ha avviato uno studio di proteomica differenziale, ancora in corso, che mira ad identificare specificità antigeniche proprie di Streptococcus uberis ed assenti in altri patogeni correlati, inclusi S. bovis, S. suis e Enterococcus faecalis. Questi antigeni verranno utilizzati per l’allestimento di un nuovo saggio ELISA capace di individuare più specificamente gli animali infetti, compresi gli asintomatici. I vantaggi che l’uso di questa metodica può comportare nella gestione di focolai epidemici soprattutto nel periodo dell’asciutta sono evidenti. Una ulteriore applicazione della metodica potrebbe essere individuata nei test routinari da prevedere in situazioni di compravendita degli ovini durante il periodo d’asciutta. Proprio in questo periodo infatti, avvengono la maggior parte dei passaggi di proprietà di ovini, in assenza di latte per eventuali esami diagnostici e nell’impossibilità di apprezzare eventuali lesioni del parenchima a causa della fisiologica atrofia. L’utilizzo di questa metodica consentirebbe di ovviare a queste limitazioni e quindi contribuirebbe a limitare il commercio e gli spostamenti di animali infetti e potenzialmente contagiosi. E’ inoltre nostra intenzione completare il quadro delle possibilità diagnostiche predisponendo l’allestimento di un’ulteriore nuova ELISA in grado di identificare e differenziare, in un unico test, le Ig specifiche per i generi: Staphylococcus, Streptococcus, Enterococcus e Micoplasma ai quali appartengono i più importanti agenti eziologici di mastite degli ovini, tutti accomunati dalla difficoltà di diagnosi durante il periodo dell’asciutta. campione analizzato; l'intensità del colore giallo nei diversi pozzetti della piastra ELISA è proporzionale al numero di complessi antigene-anticorpo (primario) formati e quindi alla concentrazione dell'antigene (in grado di legare l'anticorpo primario) nel campione analizzato. x Sieri - Sono stati testati sieri prelevati da pecore con segni clinici di mastite attribuibile ad infezione naturale di Streptococcus uberis, l’eziologia è stata accertata mediante esame colturale batteriologico del latte e successiva identificazione biochimica dell’isolato microbiologico. A conferma dell’identificazione biochimica veniva eseguita una PCR specifica. I sieri provenivano da diversi allevamenti sardi. In tutto sono stati esaminati 23 sieri di 23 capi infetti da Streptococcus uberis. Come principale controllo negativo è stato utilizzato del PBS. Come ulteriori controlli negativi abbiamo utilizzato sieri ovini di animali clinicamente sani e negativi agli esami colturali del latte (5 sieri). Il metodo è stato ulteriormente testato con sieri di pecore infettate da Salmonella abortusovis (3 sieri) e Staphylococcus chromogenes (3 sieri) per verificare una eventuale Crossreatività. Come controlli positivi sono stati utilizzati due sieri di animali con infezione naturale conclamata da parte di Streptococcus uberis (1497 e 1545). Risultati: sieri degli animali naturalmente infetti da Streptococcus uberis hanno dato una media di lettura, a 450 nm, di 0.26 OD per le IgG e di 0.20 OD per le IgM. Il valore cut-off è stato di 0.115 OD per le IgG e di 0.09 OD per le IgM. La sensibilità della metodica è stata del 100%. Tutti gli animali con mastite, positivi agli esami colturali e con identificazione in PCR di Streptococcus uberis sono risultati positivi alla ricerca degli anticorpi specifici nel siero. Conclusioni: fra i primi quesiti che ci si deve porre in presenza di un focolaio di mastite infettiva negli ovini ci sono l’identificazione dell’agente eziologico e il suo stato di circolazione all’interno del gregge. Se anche negli ovini si confermasse (e studi preliminari sembrerebbero averlo accertato) che l’infezione da Streptococcus uberis viene contratta principalmente in prossimità del periodo dell’asciutta per decorrere quasi asintomatica fino al termine della gravidanza, potrebbe sorgerebbe il problema dell’assenza di latte con il quale effettuare diagnosi in tempo utile. A questo Figura 1. – Risultati di un test ELISA indiretto per Streptococcus uberis su sieri ovini CTRL+ Sieri anti-SAO CTRL- Sieri anti-S.uberis 123 Siero anti-Staphylo X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ALLESTIMENTO ED USO DI UN METODO MULTIPLEX-PCR PER LA DIAGNOSI DI STREPTOCOCCUS UBERIS E ENTEROCOCCUS FAECALIS DA LATTE OVINO 1 1 Campesi F., 2Marogna G., 1Uzzau S., 2Leori G.S. Dipartimento di Scienze Biomediche, sezione di Microbiologia Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Sassari; 2 IZS della Sardegna-Centro di Referenza Nazionale per le Mastopatie degli Ovini e dei Caprini (CReNMOC) Parole chiave: mastite, pecore, streptococchi. mai identificate. Enterococcus faecium, Streptococcus bovis e Streptococcus suis rappresentavano la rimanente parte degli isolamenti. A seguito di questo primo screening si riteneva prioritario allestire una metodica che privilegiasse la diagnosi, direttamente dal latte, di Streptococcus uberis e l’Enterococcus faecalis. I primers utilizzati sono stati disegnati ex-novo sulla base della sequenza di regioni altamente conservate. I primers sono stati prima analizzati singolarmente e quindi in multiplex. Per aumentare la specificità della reazione ed evitare artefatti è stata allestita una Nested-PCR, costituita da due PCR successive che utilizzano coppie di primers differenti, con la seconda che inquadra una sequenza inclusa in quella amplificata dalla prima coppia. La prima fase della Nested-PCR ha previsto l'amplificazione del 23S rDNA utilizzando dei primers "universali" (nadFmod e nadR) capaci di amplificare circa l’intero 23SrDNA di tutti gli Streptococchi. Questa reazione ha consentito l'ottenimento di un unico prodotto di amplificazione della dimensione di 1700bp che da solo non è tuttavia sufficiente a discriminare le diverse specie appartenenti allo stesso genere. Il DNA amplificato in questo primo step della Nested è stato quindi utilizzato come templato per il secondo step nella multiplex PCR. Ceppi di campo: diverse specie di streptococchi (308) isolati da campioni di latte ovino sono stati identificati prima con uno screening che prevedeva colorazione di Gram e successivo esame della catalasi e, in un secondo tempo, utilizzando i test API Strep (Biomerieux - France). Di questi il 65% è stato identificato come Streptococcus uberis (200), e il 10,7% come Enterococcus faecalis (33). Ceppi di riferimento: i ceppi di riferimento (Streptococcus uberis: ATCC 700407; Enterococcus faecalis: ATCC 29212) utilizzati come controlli positivi sono stati fatti crescere su Luria Bertani-agar (Invitrogen Life Technologies). Le piastre sono state incubate in termostato a 37°C per 24 ore. Estrazione del DNA: da ciascun ceppo è stato estratto il DNA attraverso la metodica boiling-prep. A tale scopo 7 colonie di ciascun ceppo sono state stemperate in 100ҏμl di H2O milliQ sterile ed incubate a 100°C per 10 minuti. Dopo centrifugazione in una microcentrifuga a 12000 rpm per 5 minuti a temperatura ambiente, il surnatante, contenente il DNA è stato trasferito in un tubino sterile ed utilizzato per le reazioni di PCR. Nested-PCR - 1°step: il DNA batterico è stato amplificato in un volume finale di 25 μl , contenente 10mM Tris HCl pH 8.8, 1.5mM MgCl2, 50mM KCl, 0.1% triton X-100, 200 μM di ciascun desossiribonucleotide, 0.5 unità di DyNazyme DNA Polymerase (FINNZYMES) e 0.075ҏҏμMҏ di ciascun primer. La reazione è stata effettuata utilizzando 5ҏҏμl di DNA. La miscela di reazione è stata sottoposta al seguente ciclo termico di amplificazione genica: Abstract Mastitis due to Streptococcus spp in Sardinian milking sheep is becoming very common, and rapid diagnosis is important in order to control spreading of the disease within a flock. A Multiplex–PCR has been set up to identify the two major species involved, namely Streptococcus uberis and Enterococcus faecalis. 308 strains has been identified. The method showed to be highly sensitive, rapid, and it has been successfully applied directly to sheep milk samples. Further progress is discussed. Introduzione La mastite causata dall’infezione di streptococchi rappresenta una delle patologie più insidiose che colpiscono l’allevamento ovino da latte. La messa in atto di un programma di prevenzione e controllo della malattia non deve prescindere, oltre che dal rispetto da parte dell’allevatore delle condizioni igieniche in seno all’allevamento, dalla pronta e specifica individuazione dei microrganismi patogeni circolanti. Quanto più è rapida e specifica la diagnosi tanto più aumentano le possibilità di controllo dell’infezione. Nel caso delle mastiti streptococciche la diffusione della malattia è favorita da fattori ambientali che possono consentire la disseminazione dei microrganismi fra gli animali, in particolare dalle operazioni di mungitura, principalmente da quella meccanica. Le procedure "standard" di identificazione degli streptococchi dal latte richiedono l'isolamento di colture pure seguito da test che analizzano alcune caratteristiche fenotipiche, quali i caratteri biochimici e morfologici dei microrganismi. Se queste metodologie si sono rivelate efficaci per l’identificazione di alcuni batteri, resta il fatto che questi kit sono progettati per identificare un numero relativamente ristretto di microrganismi e in genere non possiedono tutti quei requisiti che un buon protocollo per la identificazione e/o la tipizzazione di un isolato batterico dovrebbe avere: specificità, sensibilità, riproducibilità, rapidità, semplicità e basso costo. Per questo motivo si è reso necessario applicare nuove metodologie molecolari alla diagnosi. In particolare la tecnica basata sulla PCR si è rivelata un mezzo estremamente veloce ed efficace per l' identificazione, la tipizzazione ed il monitoraggio di questi batteri. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di allestire una PCR per isolare e identificare le due principali specie di streptococchi responsabili di mastite negli ovini in Sardegna: lo Streptococcus uberis e l’Enterococcus faecalis. Per ogni specie è stata scelta una coppia di primers per la messa a punto di una Multiplex-Polymarase Chain Reaction (Multiplex-PCR) che permettesse di ottenere un solo amplicone per specie di grandezze differenti. Materiali e Metodi Nella messa a punto della metodica si è lavorato sia con ceppi di riferimento che con ceppi di campo isolati da campioni di latte ovino. I ceppi di streptococchi isolati da campioni di latte provenivano da allevamenti di ovini sardi sede di focolai di mastite infettiva. A partire da circa 3.000 campioni di latte individuale, prelevati nella stagione 2006, venivano effettuati esami colturali e successive identificazioni con l’ausilio di test biochimici-colturali disponibili in commercio. Gli isolati identificati come streptococchi sono stati circa trecento. Poco più dell’80% degli isolati veniva identificato come Streptococcus uberis o Enterococcus faecalis. Alcune specie come Streptococcus agalactiae e Streptococcus dysgalactiae, più volte citate in letteratura come agenti eziologici di mastiti nelle pecore, non venivano 5 min 94°C 1 min 1min 2 min 94°C 57°C 72°C 10 min 72°C 30 cicli Multiplex-PCR - 2°step: la miscela di reazione del volume finale di 25 μl, conteneva 10mM Tris HCl pH 8.8, 1.5mM 124 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 MgCl2, 50mM KCl, 0.1% triton X-100, 200ҏμM di ciascun dNTPS, 0.5 unità di DyNazyme DNA Polymerase (FINNZYMES) e 0.075ҏҏμM di ciascun primer e 1ҏμl del DNA proveniente dalla prima amplificazione diluito 1:10. La miscela di reazione è stata sottoposta al seguente ciclo termico di amplificazione genica: 5 min 94°C 1 min 1 min 2 min 94°C 56°C 72°C 10 min 72°C Streptococcus constellatus) venivano rinvenute solo occasionalmente, ad eccezione di Enterococcus faecium identificato 8 volte (2,6%). In alcuni casi il metodo biochimico non ha consentito una identificazione di specie certa, per cui si è identificato solo il genere come: Streptococcus spp, 26 campioni (8,4%) ed Enterococcus spp, 12 campioni (3,9%). La multiplex-PCR da noi allestita è stata testata sugli stessi campioni identificando come Streptococcus uberis 217 ceppi (70%) e come Enterococcus faecalis 59 ceppi (16%). I campioni diagnosticati dal metodo biochimico esclusivamente come genere sono stati identificati dalla Multiplex PCR come specie nel 100% dei casi. I 26 Streptococcus spp sono stati identificati come Str. uberis in 20 campioni e Ent. faecalis in 3; nei 2 rimanenti campioni non si evidenziava alcun amplificato. Su 12 campioni diagnosticati come Enterococcus spp, 11 venivano identificati come Enterococcus faecalis e uno come Streptococcus uberis. Neanche uno degli 8 ceppi identificati come Enterococcus faecium è stato confermato nella diagnosi in PCR. La multiplex ha diagnosticato 4 Enterococcus faecalis, uno Streptococcus uberis mentre, su 2 campioni si è registrata la presenza di bande non specifiche per le due specie testate, mentre su un campione non si è rivelato nessun amplificato. Una PCR con primers specifici per Enterococcus faecium ha confermato come nessuno degli 8 campioni analizzati contenesse batteri appartenenti a questa specie. Raffrontando le diagnosi ottenute con entrambe le metodiche, nel caso di Streptococcus uberis si evince che l’identificazione biochimica è stata confermata da quella molecolare 190 volte su 200 (95%) e, nei 10 campioni non rispondenti, su 9 non si otteneva nessun amplificato e su un campione si rinvenivano delle bande non specifiche. Le identificazioni biochimiche di Enterococcus faecalis (33 campioni) venivano confermate anche dalla PCR (nel 91% dei campioni), tranne che su 3 casi diagnosticati come Streptococcus uberis. Discussione I limiti di identificazione degli streptococchi che spesso si registrano con l’utilizzo delle tecniche biochimiche appaiono più evidenti con il contemporaneo uso delle tecniche molecolari. La nostra metodica PCR ha infatti modificato in modo significativo il quadro delle identificazioni condotte con le tecniche classiche e routinarie di batteriologia. La sensibilità della tecnica PCR, intesa come la capacità espressa in termini percentuali di individuare correttamente gli animali infetti è del 100%. Anche nei tempi necessari all’ottenimento della diagnosi, nonché sui costi, la metodica molecolare mostra maggiori margini di utilità e convenienza. Nelle infezioni mammarie causate da streptococchi la velocità e l’accuratezza con la quale viene eseguita la diagnosi possono risultare determinanti nel controllo del focolaio. Il sistema Multiplex-PCR da noi perfezionato consente l’identificazione delle due specie di streptococchi maggiormente responsabili di mastite negli ovini, partendo direttamente da latte, in meno di 24 ore. A completamento di questa metodica abbiamo allestito una ulteriore e nuova Multiplex-PCR specifica per tutte le specie minori di streptococchi che sono state diagnosticate in Sardegna (Streptococcus suis, Streptococcus bovis e Enterococcus faecium) dal latte di pecore. Le due multiplex consentono quindi l’identificazione di tutte le specie di streptococchi finora riconosciute come agenti eziologici di mastite nelle pecore della Sardegna. 30 cicli I prodotti di PCR sono stati analizzati mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio all’1% in TAE Buffer e visualizzati con bromuro d’etidio su un transilluminatore a raggi UV. Come standard di peso molecolare è stato usato 1Kb DNA ladder (Gibco) Sensibilità della Multiplex-PCR su latte: per valutare la sensibilità della PCR è stato necessario conoscere la quantità di DNA presente nella mix di reazione o la concentrazione dei batteri dai quali viene estratto il DNA. Per le specie di streptococchi utilizzate in questo studio non esisteva una curva standard che correlasse i valori di OD Ңҏottenuti tramite lettura spettrofotometrica al numero di cellule batteriche. Per ovviare a questo problema si è risaliti alla concentrazione batterica di ciascuna specie in una coltura O/N con la conta delle colonie cresciute su LB agar a seguito di diluizioni scalari. Per ogni specie di streptococco analizzata è stata preparata una coltura O/N inoculando 1 colonia in 3 ml di LB broth in agitazione. Dopo 24 ore, 1ml di brodocoltura è stato centrifugato a 12000 rpm per 10 min. e, dopo aver eliminato il surnatante per inversione, il pellet è stato risospeso in 1,2 ml di PBS sterile. Da questa soluzione sono state eseguite delle diluizioni seriali di un fattore 10-1 sino ad arrivare a 10-6. Delle -4 -5 -6 diluizioni 10 , 10 , 10 sono stati piastrati 10ҏμl e 100 μl su LB agar. Contemporaneamente 1 ml di ogni diluizione è stato centrifugato e il pellet risospeso in 50ҏμl di latte di pecora sterile. Tutti i tubini contenenti le varie concentrazioni batteriche in latte sono stati conservati in freezer a –20°C, in attesa di essere utilizzati per l’estrazione del DNA. Dopo 24 ore sono state contate le colonie di tutte le piastre e conseguentemente i calcoli per risalire al numero di cellule presenti in 1 ml della coltura O/N originaria dalla quale erano state fatte le diluizioni. x x Per Streptococcus Uberis la coltura O/N era di circa 3x108 Ufc/ml Per Enterococcus faecalis la coltura O/N era di circa 8 2,4x10 Ufc/ml Dalle diluizioni corrispondenti alle concentrazioni batteriche 105,104, 103, 102, 101 e da un campione dello stesso latte usato per le varie diluizioni, è stato quindi estratto il DNA secondo la metodica di estrazione di DNA da latte messa a punto dall’IZS di Sassari per l’estrazione di DNA di Micoplasma agalactiae da campioni di latte ovino. Risultati Il limite di detenzione della metodica Multiplex-PCR è risultato essere di 30 CFU/ml per Streptococcus uberis e di 24 CFU/ml per Enterococcus faecalis. L’utilizzo della nuova metodica ha fatto registrare variazioni significative rispetto ai risultati delle identificazioni biochimiche. Su 308 ceppi diagnosticati come appartenenti ai generi Streptococcus ed Enterococcus, il metodo biochimico identificava come Streptococcus uberis 200 campioni (65%) e come Enterococcus faecalis 33 campioni (10,7%), altre specie ( Streptococcus bovis I e II, Streptococcus suis e Ringraziamenti: lavoro eseguito con finanziamenti del Ministero della Salute, Progetto di Ricerca Corrente IZSSA 05/04 e della Fondazione Banco di Sardegna. 125 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA IN SITU DI FOLLICOLI LINFATICI SECONDARI E TERZIARI IN ORGANI DI OVINI. Cancedda M. G., Demontis F., Macciocu S., Denti S., Ligios C. Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento di Sanità Animale, Laboratorio d'Istopatologia Generale e Patologia e Diagnostica delle TSE – Sassari. Key words: ovino, linfatico, antigene Introduzione - L'identificazione in situ del fenotipo delle cellule del sistema immunitario risulta importante sia negli studi patogenetici che nell'ambito diagnostico di molte malattie. La fenotipizzazione delle cellule del sistema immunitario si basa sull'utilizzo di anticorpi monoclonali (MAb) che reagiscono con antigeni di membrana convenzionalmente indicati come Cluster of Differentiation (CD). La fissazione in formalina, prima della inclusione in paraffina dei tessuti, ha spesso come conseguenza il mascheramento degli epitopi antigenici sia a causa dell’alterazione conformazionale delle proteine che dell'instaurarsi di crosslinkage che tendono a ridurre l’antigenicità dei tessuti (7). Per ovviare a questo problema, sono state identificate diverse procedure che permettono anche nei tessuti fissati in formalina di ripristinare l’antigenicità assicurando allo stesso tempo la preservazione dei dettagli morfologici. Queste procedure sono basate sull’applicazione di metodi di smascheramento antigenico, singoli o associati e sulla scelta di anticorpi che reagiscono con epitopi resistenti alla fissazione ed al processamento del campione. La maggior parte degli anticorpi che reagiscono con i vari CD hanno una scarsa reattività in tessuti fissati in formalina ed inclusi in paraffina (2). Per questo abbiamo ritenuto utile standardizzare appropriati protocolli adatti a identificare in situ tali antigeni caratteristici di determinati stadi evolutivi dei linfociti T e B, dei macrofagi e delle cellule follicolari dendritiche (FDC) sia nei follicoli secondari che terziari ectopici di ovini. Materiali e metodi - La prove di caratterizzazione fenotipica dei follicoli linfatici secondari è stata effettuata su campioni di linfonodi e tonsille di ovini sani regolarmente macellati a 2 anni d’età. Per lo studio dei follicoli terziari sono stati utilizzati campioni di tessuto mammario e polmone di ovini infettati sperimentalmente a 20 giorni di età con virus Visna-Maedi (isolato di campo 85/34PP) e sacrificati a 2 anni di età. In questi organi all'esame istologico si sono riscontrate le tipiche lesioni linfoproliferative con formazione di follicoli terziari. Tutti i campioni sono stati fissati in formalina tamponata al 10% per 2-5 giorni prima della inclusione in paraffina. Per la identificazione dei campioni di tessuto, contenenti le strutture linfatiche secondarie e terziarie idonee per le prove, è stato eseguito un esame istologico su sezioni di tessuto di 3 μm di spessore colorate con Ematossiliana-Eosina secondo metodiche routinarie. Per la prova immunoistochimica, sezioni di 3 μm sono state sottoposte a differenti trattamenti termici, chimici ed enzimatici per lo smascheramento degli epitopi. Come anticorpi primari sono stati testati per i linfociti T il PAb A0452 specifico per CD 3 dell'uomo (2), per i linfociti B il MAb HM57 specifico per CD79Įcy (5), per le cellule follicolari dentritiche (FDC) il GB25A specifico per CD21 (3) e il MAb CNA.42 specifico per un antigene di 120 kDa espresso su FDC dell'uomo (6), infine per i macrofagi sono stati utilizzati il MAb EBM11 specifico per il CD68 dell'uomo (2) ed il MAb DH59B specifico per il CD172 (3). La reazione antigene anticorpo è stata amplificata e visualizzata mediante un sistema indiretto Streptavidina-biotina con Fast Red (Dako REAL detection System, Alkaline Phosphatase/RED – DakoCytomation, USA) o un metodo indiretto Avidina-biotina (R.T.U. Vectastain – Vector, USA) con 3,3'- diaminobenzidina (DakoCytomation, USA). Risultati e discussione - Dei protocolli tecnici utilizzati, preparati combinando diversi sistemi di smascheramento con i vari anticorpi, quelli che hanno permesso di evidenziare i determinanti antigenici ricercati sono riassunti nella tabella 1. I pattern di distribuzione delle cellule immunocompetenti evidenziate nei follicoli secondari sono risultati sovrapponibili a quelli osservati nei follicoli terziari formatisi nel polmone e nella mammella di ovini sperimentalmente infettati con il virus Visna-Maedi. In particolare i linfociti T marcati con l’anticorpo anti-CD3, risultano localizzati principalmente nella zona corticale inter-follicolare, cosi come riportato nell'ovino (2) e nel suino (5). L’anticorpo anti-CD79 utilizzato si è dimostrato capace d'identificare lo stadio immaturo dei linfociti B, localizzati principalmente nel mantello dei follicoli ma anche rilevabili all’interno del centro germinativo (2; 5). L’anticorpo MAb CNA.42, in grado di marcare un antigene di 120 KDa espresso selettivamente sulle FDC localizzate nei centri germinativi dei follicoli linfoidi secondari e terziari, presenta un pattern di colorazione citoplasmatico e più intenso attorno alla membrana cellulare come già riportato in letteratura (4). In accordo con Lezmi et al. (4), l’anticorpo MAb CNA.42 reagisce in maniera specifica anche con la membrana di cellule rotondeggianti localizzate alla periferia del follicolo, le quali non possono essere considerate FDC in quanto non mostrano una morfologia riferibile a tali cellule ed inoltre non sono localizzate all’interno del centro germinativo. Infine tale antigene è espresso anche nell’endotelio delle cellule vasali come già osservato (2). Dai nostri risultati è evidente che l’antigene CD172 viene espresso soprattutto dai macrofagi localizzati alla periferia dei follicoli, anche se qualche cellula positiva è stata osservata a livello dei centri germinativi (8). E' interessante sottolineare come i follicoli terziari, che si formano nel corso dei fenomeni di linfo-neo-genesi (1) in organi non-linfatici, presentano una organizzazione istologica identica a quella normalmente presente in organi linfatici secondari. Inoltre la presenza di FDC nei follicoli terziari conferma l’alto grado di organizzazione delle strutture linfoidi neoformate. Infatti le FDC svolgono un ruolo essenziale nella formazione e nel mantenimento del centro germinativo dei follicoli linfatici attraverso la produzione di chemochine e citochine specifiche implicate nel reclutamento dei linfociti B localizzati nella zona centro-follicolare (1). La reattività degli anticorpi sia negli organi ovini che in quelli di uomo (2) conferma che nei mammiferi gli antigeni riconosciuti da questi anticorpi sono conservati. 126 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella 1: descrizione schematica dei protocolli mediante i quali sono stati evidenziati in situ gli antigeni di membrana espressi dai linfociti T, linfociti B, macrofagi e cellule follicolari dendritiche presenti nei follicoli secondari e terziari di organi ovini. *Incubazione overnight Anticorpo Specificità Fenotipo cellulare Metodo di smascheramento Diluizione Ab (4°C)* Sistema di rivelazione PAb A0452 Human CD3 Linfociti T Microonde in Tris Buffer EDTA pH 9 2x10 min. 850W 1:50-1:100 Fast Red MAb HM57 Human CD79Įcy Linfociti B Microonde in Tris Buffer EDTA pH 9 2x10 min. 850W 1:50-1:100 Fast Red MAb CNA42 Human follicular dendritic cell FDC Bagno termostatato in DakoCytomation Target Retrieval pH 9.9 97.8 °C x 15 min. 1:50 Fast Red MAb DH59B SWC3(porcine myelomonocytic antigen) CD172a Macrofagi Microonde in ac.formico 99% 0,1M 1x7 min. 600 Watt 1x6 min. 150 Watt 1:100 DAB Summary - In this work we tested, on paraffin embedded tissues from healthy and experimentally Visna-Maedi-affected sheep, different monoclonal and polyclonal antibodies against CD3, CD79, CD172 and follicular dendritric cells antigens, which were expressed in secondary and tertiary lymphoid follicles. By using a variety of different antigen retrieval techniques, the reactivity of these antibodies demonstrated that secondary and tertiary lymphoid follicles have the same organization. 4 Lezmi; A. Bencsik A., Baron T. (2001); CNA42 monoclonal antibody identifies FDC as PrPsc accumulating cells in the spleen of scrapie affected sheep; Veterinary Immunology and Immunopathology Vol. 82: 1-8. 5 Palmieri C., Brunetti M., Della Salda L. (2007) Immunohistochemical characterization of Kisselev nodules (ectopic lymphoid follicles) in wild boar (Sus scrofa L.) Research in Veterinary Science Vol. 83: 109–115. 6 Raymond I., Al Saati T., Tkaczuk J., Chittal S., Delsol;G. (1997) CNA.42, a New Monoclonal Antibody Directed against a FixativeResistant Antigen of Follicular Dendritic Reticulum Cells; American Journal of Pathology, Vol. 151, No.6: 1577-1585. Bibliografia 1 Aloisi F., Pujol-Borrel R. (2006) Lymphoid neogenesis in chronic inflammatory diseases F. Nature Reviews Immunology Vol 6: 205217. 7 Shi S., Cote R.J., Taylor C. R. Antigen Retrieval techniques: current perspectives (2001) The Journal of Histochemistry & Cytochemistry Vol 49 (8):931-937. 2 Andréoletti O., Berthon P., Levavasseur E., Marc D., Lantier F., Monks E., Elsen J.M., Schelcher F. (2002); Phenotyping of Protein– Prion (PrPsc)- accumulating Cells in Lymphoid and Neural Tissues of Naturally Scrapie-affected Sheep by Double-labeling Immunohistochemistry The Journal of Histochemistry & Cytochemistry; Vol. 50(10): 1357–1370. 8. Tingstedt J.E., Tornehave D., Lind P., Nielsen J. (2003) Immunohistochemical detection of SWC3, CD2, CD3, CD4 and CD8 antigens in paraformaldehyde fixed and paraffin embedded porcine lymphoid tissue; Veterinary Immunology and Immunopathology Vol 94:123-132. 3 Herrmann L.M., Cheevers W.P. Davis W. C., Donald P. Knowles D.P., O’Rourke K. 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The data obtained show that the isolates belong to 9 subtypes within BVDV-1, indicating a high level of genetic heterogeneity. Two subtypes never reported before in Italy are described. BVDV-1b and 1e are the most frequent isolated subtypes. The low frequency of BVDV-2 isolates is in agreement with the sporadic Italian occurrence. embrionale bovino ed identificato impiegando una metodica ELISA sandwich (2) e mediante immunoperossidasi. La maggior parte dei ceppi virali è stata isolata da pool di visceri (tab. 1). Uno dei campioni è stato ottenuto da un vaccino per IBR, responsabile di un focolaio di BVDV-2 nel Nord Italia nel 1999 ed inserito nello studio per valutare l’omologia tra questo ceppo ed eventuali BVDV-2 isolati. L’estrazione dell’RNA virale è stata eseguita direttamente dai campioni originali, con una metodica basata sull’uso di trizolo. Le fasi di retrotrascrizione e di PCR sono state condotte mediante una one step RT-PCR (One-step RT-PCR Kit, Qiagen), impiegando i primer BE (posizione 108-127nt, 5’AGGGTAGTCGTCAGTGGTTCG3’) e B2 (posizione 395375nt, 5’CATGCCCTTAGTAGGACTAGC3’) ed andando ad amplificare un frammento della 5’UTR di 287 bp (6). I prodotti della PCR sono stati sequenziati con Big Dye Terminator Kit (Applied Biosystems) utilizzando gli stessi primer della one step RT-PCR dopo purificazione (QIAquick Gel extraction kit, Qiagen), mediante sequenziatore automatico ABI PRISM 3130 (Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state analizzate in Blast e confrontate con quelle dei ceppi di riferimento e di altri ceppi disponibili in GenBank (per il gruppo 1 a: NADL, SD1; b: OSLOSS, NY1, 551-84, 1103-88, P; c: DEER, 2B; d: Lampspring 735, 16-111; 9466-91; e: 3IT, 10FR, 20FR; f: W; g: A; h: G,KM; k:REBE, SUWA; i: 23-15; j: M1515A, M065B; l: 71_03, 71_15, 71_16; m: ZM95; n: SOCP/75; o: ISCP/01; per il 2: BVDV2, NY-93, 11MI97, BVDV7937; SY89, BVDV17011-96, aj288903; Lees, U94914; PSC: MMR-take, EBTr; BDV: BDV78_1978). Inoltre l’analisi comprende le sequenze di alcuni BVD virus isolati dal nostro laboratorio nel 1999, dei quali il sequenziamento è già stato eseguito e descritto nel 2003 da Falcone et al. (3). L’allineamento delle sequenze è stato effettuato mediante CLUSTALW (software Lasergene-DNASTAR Inc.). L’analisi filogenetica è stata condotta utilizzando il metodo NeighborJoining (software MEGA 4). INTRODUZIONE Il virus della Diarrea Virale Bovina (BVDV) appartiene alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus, insieme ai virus della Peste Suina Classica (CSFV) e della Border Disease (BDV), ed è l’agente eziologico della Diarrea Virale Bovina/Malattia delle Mucose (BVD/MD). La BVD/MD è una malattia infettiva e contagiosa dei bovini, diffusa in tutti i paesi dove viene praticato l’allevamento bovino ed è inserita nella lista OIE, data la notevole rilevanza economica. In Italia sono state documentate alte prevalenze sierologiche sia in allevamenti di vacche e bufale da latte, sia di bovini da carne. Il BVDV presenta due differenti genotipi, BVDV-1 e 2, che causano patologie cliniche simili, ad eccezione di ceppi ipervirulenti di BVDV-2 che possono causare trombocitopenia e forme emorragiche, frequenti nell’America del Nord e descritte anche in Italia dagli anni Novanta (7). Il genoma del BVDV ha una lunghezza di circa 12.5 kb e contiene un solo ORF (open reading frame), alle estremità del quale si trovano sequenze non tradotte denominate 5’UTR e 3’UTR. La genotipizzazione viene condotta su diverse regioni del genoma virale, impiegando principalmente la 5’UTR e le sequenze codificanti pro (N-terminal per la proteina strutturale E2 e per la N autoprotease). La regione 5’UTR è quella maggiormente conservata ed è in grado di fornire informazioni significative sulle differenze genetiche tra ceppi analizzati (9), per questo viene utilizzata da molti autori (3,4,5,6,7,8,9), fornendo così il maggior numero di dati disponibili per la comparazione genetica. In base alla divergenza nucleotidica in 5’UTR, il genotipo 1 viene suddiviso in 15 sottogruppi o subgenotipi, rispettivamente identificati come BVDV-1 a-o (7), mentre il genotipo 2 comprende due sottogruppi (a,b) (9). I risvolti pratici legati alla variabilità genetica ed antigenica dei ceppi di BVDV non sono ancora stati completamente chiariti. Una maggiore conoscenza dei ceppi circolanti sul territorio appare comunque rilevante, considerando le implicazioni che la diversità genetica può avere sull’epidemiologia, sulla diagnostica e sullo sviluppo di adeguate strategie per il controllo della malattia, soprattutto vaccinali. In questo lavoro viene descritta l’analisi genetica basata sul sequenziamento di un frammento della regione 5’UTR di ceppi di BVDV isolati da bovini allevati nel Nord Italia. RISULTATI Dei 115 campioni analizzati, 111 sono stati classificati come BVDV-1 e raggruppati in 9 diversi sottogenotipi (tab.1). I due sottogruppi maggiormente rappresentati sono stati BVDV-1b (41 ceppi) ed 1e (34 ceppi). Tab.1 Campioni divisi per sottogruppo e per matrice originale siero 1a 1b 1d 1e 1f 1g 1h 1k 1? 2 MATERIALI E METODI L’analisi genotipica è stata effettuata, partendo da 115 campioni (siero di sangue, pool di visceri, polmoni, feci, latte e organi fetali) prelevati da allevamenti di bovini del territorio di competenza e pervenuti al reparto di Virologia e Sierologia Specializzata dell’IZSLER, sede di Brescia, durante il periodo gennaio 1999 - aprile 2007. Da questi campioni il BVDV era stato isolato tramite inoculo su colture cellulari di rene 9 2 2 1 1 pool tamp polm intest feto feci latte TOT visceri nasali 5 18 4 19 3 1 5 2 2 1 4 1 2 1 9 1 5 1 1 1 1 1 1 1 1 3 1 1 1 1 2 6 41 9 34 6 2 6 2 5 4 Dall’analisi filogenetica appare evidente come tutti i ceppi appartenenti al subgenotipo 1b costituiscano un gruppo 128 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 omogeneo, con un’omologia media del 96% (92-100%), mentre i ceppi identificati come BVDV-1e, siano spesso differenti tra loro e sembrino disporsi in almeno due cluster genetici separati. A questo proposito, infatti, l’omologia genetica all’interno del gruppo 1e è compresa tra l’89% e il 97,5%, mentre tra isolati che appaiono in uno stesso cluster è in media del 97%. I restanti BVDV-1 sono risultati appartenere ai subgenotipi 1a, 1d, 1f, 1g, 1h, 1k (rispettivamente 6, 9, 6, 6, 2 e 2 ceppi). Cinque isolati con un’omologia media del 99% tra loro sono risultati distanti dagli altri sottogruppi considerati (eterologia superiore all’8%). Per quanto riguarda il tipo 2, sono stati isolati solo 4 ceppi: uno, quello ottenuto dal vaccino contaminato, è risultato appartenere al sottogenotipo BVDV-2 a, mentre gli altri tre isolati sono risultati BVDV-2 b. Olanda, Germania, Belgio, rafforza l’ipotesi che questo sottogruppo sia di origine europea. A conferma del fondamentale ruolo svolto dal commercio di bovini tra diversi paesi nella diffusione della malattia, il sottogruppo 1a, presumibilmente di origine americana, è preponderante nei paesi con rapporti commerciali con il Nord America, come l’Inghilterra. Per quanto riguarda la distribuzione a livello geografico locale, tutti i cluster contengono virus provenienti da diversi distretti delle due regioni e gli isolati di una particolare area si distribuiscono lungo tutto l’albero, tranne poche eccezioni. Questo sottolinea che non ci sono relazioni apparenti tra una determinata area geografica di provenienza e il sottogruppo di appartenenza. Inoltre i risultati dimostrano che non è ipotizzabile una correlazione tra anno di isolamento e tipizzazione genetica. Nonostante i dati confermino precedenti lavori italiani (3, 7), in questo studio sono stati descritti per la prima volta in Italia virus appartenenti al sottotipo k, fino ad ora riportato solo in Svizzera (10). I cinque ceppi che non appaiono raggruppabili in nessuno dei cluster fino ad oggi descritti, potrebbero rappresentare un nuovo sottogruppo, ma per confermare l’attendibilità di questo dato, è in corso l’analisi degli isolati pro anche per l’intero gene N . Il basso numero di BVDV-2 isolati è in accordo con la sporadica descrizione in Europa e con la bassa prevalenza italiana. L’elevata eterogeneità genetica dei ceppi di BVDV circolanti in Italia è, con ogni probabilità, il risultato dell’importazione di capi infetti da altri paesi (solo la Lombardia e l’Emilia Romagna, ad esempio, importano circa il 20% dei bovini da carne) e dell’assenza di sistematiche misure di controllo della malattia. Per questi motivi, lo studio filogenetico dei ceppi circolanti, oggetto della presente analisi, contribuisce ad una migliore comprensione dell’evoluzione del BVD virus, dell’epidemiologia e della prevalenza dei diversi sottotipi. Inoltre i risultati ottenuti potranno avere importanti risvolti pratici ed essere la base per lo sviluppo di efficaci strategie diagnostiche e di controllo della malattia a livello nazionale. Fig.1 Albero filogenetico costruito dall’analisi delle sequenze in 5’UTR. BVDV-1 n BVDV-1 a BVDV-1 e 10-FR 20-FR SO-CP 75 Deer NADL 06z127 BVDV-1 c BVDV-1 l 71 16 3-IT REBE BVDV-1 j BVDV-1 k U97429 Osloss Lamspringe-735 BVDV-1 d NY1 KM BVDV-1 b BVDV-1 h BVDV-1 ? A W IS25-CP 01 BVDV-1 o BVDV-1 f BVDV-1 g ZM95 BVDV-1 m Ringraziamenti Si ringraziano il Prof. Stephan Vilþek per la preziosa collaborazione, Manenti Sonia e Fazio Michela per il supporto tecnico. PSC RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Becher et al.,1997, Phylogenetic analysis of pestiviruses from domestic and wild ruminants. J Gen Virol, 78, pp. 1357-1366 2. Cordioli P. et al., 1992, Detection of cattle persistently infected with pestivirus by a sandwich ELISA with anti-p80 monoclonal antibodies. In S. Edwards ed., Proceedings of the second symposium on Pestiviruses (ESVV,Lyon), pp 203-204 3. Falcone E. et al., 2003 Genetic heterogeneity of bovine viral diarrhoea virus in Italy. Vet Res Commun, 27, pp. 485-494 4. Hurtado et al., 2003, Genetic diversity of ruminant pestivirus from Spain. 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BDV BVDV-2 a AF039175 11MI97 0.02 NY93 SY89 AJ288903 BVDV-2 b DISCUSSIONE L’analisi dei dati ottenuti ha evidenziato come sul territorio di competenza, fortemente rappresentativo della realtà italiana, con il 37% del patrimonio bovino nazionale (fonte ISTAT 2007), siano circolati 9 diversi sottogruppi del BVDV tipo 1, sottolineando un elevato livello di eterologia, anche rispetto agli altri paesi europei. La distinzione tra i diversi sottogenotipi nell’albero è supportata da buoni valori di bootstrap. I virus appartenenti ai subgenotipi BVDV-1b e BVDV-1e sono stati quelli riscontrati con maggiore frequenza. Sulla base dei risultati dell’analisi filogenetica eseguita, il gruppo 1e appare eterogeneo (confidenza del 70% rispetto a quella degli altri sottogruppi superiore al 90%) ed i ceppi al suo interno tendono a disporsi in almeno due cluster (fig. 1). L’elevata variabilità genetica del subgenotipo 1e, è già stata peraltro descritta anche da Hurtado per ceppi di BVDV isolati da bovini spagnoli (4). La maggior prevalenza del sottogruppo BVDV-1b in Italia, simile a quella riportata in 129 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 MALATTIA PERIODONTALE OVINA (BROKEN MOUTH): ASPETTI CLINICO-PATOLOGICI E BATTERIOLOGICI. 1 1 1 1 1 2 1 Canu G., Cancedda M.G., Piredda M.A., Patta C., Ligios C., Mancosu A., Carboni G.A. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Sassari; 2Associazione Regionale Allevatori Sassari. Key words:periodontite; broken-mouth; ovino. Introduzione. Con il termine “broken-mouth” (BM) viene descritta negli ovini una grave periodontite, spesso ad elevata morbilità intra-gregge, che esita nella perdita precoce degli incisivi permanenti con conseguente stato di malnutrizione, perdita di peso e disturbi di carattere sistemico (1). Si manifesta più frequentemente, in soggetti di età compresa tra i 3 e i 4 anni, (7,8) con una diffusione geograficamente ristretta all’Australia e Nuova Zelanda (3,4). La broken-mouth viene descritta come sindrome multifattoriale in cui agenti meccanico-fisici che riducono la funzione masticatoria, disordini metabolici, immunitari, alimentazione e genetica legata alla razza, sono considerati fattori predisponenti (4). La malattia periodontale negli ovini presenta molte analogie, sia da un punto di vista clinico che batteriologico, con quella umana (5); inizia con una gengivite acuta associata alla formazione di placche batteriche subgengivali, che innescano una risposta infiammatoria a livello del margine gengivale. Il coinvolgimento di batteri patogeni, con la formazione di placche e la cronicizzazione dell’infiammazione, svolgono un’azione determinante nella distruzione dei componenti del periodontio (legamento periodontale, cemento, osso alveolare) e nella formazione di tasche periodontali. In questo stadio della malattia, la valutazione clinica può essere fatta tramite la misurazione della profondità delle tasche, mediante apposita sonda (4). I batteri più frequentemente isolati nei casi di BM, sono Bacteroides spp., Fusobacterium spp., Lactobacillus spp., Clostridium spp., Peptostreptococcus spp., Actinomyces spp. e diverse Spirochete (7). Considerando l’assenza di dati sull’incidenza di questa patologia in Italia, abbiamo ritenuto interessante descrivere gli aspetti clinico-patologici e batteriologici riscontrati in un grave episodio verificatosi in Sardegna .Materiali e Metodi. L’episodio oggetto della nostra indagine, ha interessato un gregge di 300 capi ovini di razza Sarda. Nell’anamnesi il proprietario riferiva che durante la fine della stagione primaverile, si erano verificati nel gregge numerosi casi di una sindrome clinica, caratterizzata principalmente da perdita di materiale ruminale dalla bocca, grave stato di deperimento organico e debolezza che, nei casi più gravi, avevano reso necessaria l’eutanasia dei soggetti colpiti. A seguito di un sopralluogo in azienda, si è ritenuto opportuno, per accertamenti batteriologici ed anatomo-istopatologici, inviare presso il nostro Istituto, una pecora pluripara di 6 anni di età, che manifestava grave sintomatologia. Il soggetto è stato sacrificato a scopo diagnostico con Penthotal Sodium e EmbutramideMebenzonio ioduro-Tetracaina, (Tanax) per via endovenosa. Dopo l’estrazione degli incisivi, che presentavano un’elevata mobilità, sono stati eseguiti tamponi, sia dal margine gengivale che dal fondo delle tasche periodontali per le prove batteriologiche. I tamponi sono stati seminati su piastre di Agar Columbia (Bio-Merieux), con aggiunta del 25% di sangue di montone ed incubate per 18-24 ore a 37°C, sia in aerobiosi che in anaerobiosi con il sistema Anaerobic Plus System (Oxoid). Successivamente, per facilitare l’identificazione preliminare, sono state eseguite sub-colture in Agar Columbia CN delle colonie sospette. Per la caratterizzazione dei germi isolati sono state adoperate gallerie Api (Biomerieux). Per l’esame istologico sono state eseguite biopsie lungo il margine ed il solco della gengiva in corrispondenza dei denti incisivi. I campioni di tessuto sono stati fissati in formalina tamponata al 10%, inclusi in paraffina, tagliati in sezioni di 5 μm di spessore e colorati con Ematossilina-Eosina secondo metodiche routinarie. Risultati. Gli esami clinici effettuati in azienda, hanno evidenziato la presenza in numerose pecore del gregge, di una colorazione anomala di tutti i denti dovuta alla formazione di tartaro, con presenza di corpi estranei tra gengiva e denti (Fig.1); inoltre si è osservata, intensa alitosi e periodontite, che nei casi più gravi, ha dato origine alla formazione di tasche periodontali (Fig.2). La progressiva retrazione gengivale con conseguente aumentata esposizione del colletto dentale, ha esitato in un apparente allungamento dei denti, in particolare degli incisivi. Inoltre, in numerosi soggetti, è stata rilevata aumentata mobilità ed abnorme inclinazione degli stessi, che con la cronicizzazione del processo patologico, hanno determinato la loro caduta (Fig.3). Seppur con una gravità che variava individualmente, questo quadro clinico ha interessato nel complesso 50 primipare, 30 pluripare e 2 dei 4 arieti presenti nel gregge. Gli agnelli, d’età inferiore ad un anno, presentavano una dentizione nella norma. Dai tamponi gengivali, del soggetto sacrificato, è stato isolato ed identificato lo Peptostreptococcus intermedius. L’esame istopatologico delle biopsie gengivali ha evidenziato, a carico dell’epitelio, un’iperplasia simil-epiteliomatosa con formazione di rete ridges, importante fibroplasia a carico del derma con fenomeni infiammatori multifocali caratterizzati da un infiltrato cellulare, quasi esclusivamente costituito da plasmacellule, in posizione perivasale (Fig 4; 5).Risultati e discussione. I rilievi clinici, batteriologici e patologici ci hanno permesso di classificare la sindrome osservata come una grave periodontite cronica con perdita degli incisivi, più comunemente definita nella bibliografia anglosassone come BM (3). La perdita degli incisivi nelle pecore di circa 7-8 anni d’età rappresenta un fenomeno fisiologico legato all’invecchiamento; viceversa il riscontro di tale fenomeno, in animali più giovani, in particolare se associato ad un grave processo infiammatorio dei tessuti di supporto dentali, è da considerarsi un evento patologico particolarmente invalidante. La prevalenza di placche batteriche subgengivali nei soggetti affetti da BM ed il parallelo aggravarsi della gengivite, suggerisce che le stesse placche giocano un ruolo importante nella patogenesi della patologia periodontale anche nell’ovino (9). L’associazione tra presenza di placche e formazione di tasche sub-gengivali, negli animali più vecchi e il riscontro di un elevato numero di placche negli animali più giovani, senza tasche, indica che la presenza di placche batteriche precede la formazione di tasche gengivali (8). Questo è in linea con quanto riportato nella patogenesi delle malattie periodontali dell’uomo (2; 6) in cui risulta primario il ruolo delle placche sub gengivali. L’isolamento di Peptostreptococcus intermedius conferma il ruolo importante di questo batterio nella patologia periodontale ovina (7) così come riportato nell’uomo (10). L’esame istologico ha permesso di evidenziare la gravità del fenomeno infiammatorio e il grado di coinvolgimento tessutale con aspetti molto simili a quanto riferito da altri AA nell’ovino (3). Nella nostra indagine non sono stati isolati altri microrganismi anaerobi, quali ad esempio Bacteroides spp. e Fusobaterium spp. molto spesso implicati nella patologia periodontale ovina (7). Un punto critico, a nostro avviso, nel pervenire ad una corretta diagnosi microbiologica di tale patologia, è rappresentato dal sito di 130 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 9.Spence, J.A. & Aitchison, G. U. (1986) Clinical aspects of dental disease in sheep. Veterinary Record 8, 128–135. 10.Silva C.M, A. V. Colombo,. A. Haffajee, A.P.V.Colombo (2006). Identification of oral bacteria associated with crevicular epithelial cells from chronic periodontitis lesions. Jurnal of Medical Microbiology, 55, 609-615. campionamento. Inoltre è preferibile eseguire i tamponi dalla base delle tasche periodontali e su un numero di soggetti che presentano stadi diversi della malattia per migliorare la possibilità di isolamento e di identificazione batteriologica di tutti i germi coinvolti. Ciò potrebbe essere utile al fine di allestire eventualmente un vaccino stabulogeno da utilizzare nei greggi a rischio. A seguito delle indagini effettuate, malgrado non sia stato possibile stabilire la causa che ha scatenato l’insorgenza della periodontite nel gregge, l’episodio descritto ci ha fornito alcuni elementi utili per definire un approccio diagnostico corretto. Sarebbe auspicabile infatti, a fronte di un’anamnesi che segnala situazioni di deperimento organico, inserire tra le diagnosi differenziali anche questa patologia. Fig.1:Colorazione anomala dei denti e presenza di tartaro. Fig.2: Periodontite e tasche periodontali. Fig.4: Iperplasia similepiteliomatosa della gengiva. Fig.5: Fenomeni infiammatori multifocali nel derma. Fig.3:Perdita degli incisivi. Summary. In this report we describe the clinical, pathological and batteriological findings of a severe ovine periodontal disease resulting in a incisor loss (broken mouth) that occurred in a Sarda breed sheep flock. This disease, which is communally reported in many countries has never been describe in Sardinia despite the presence of more than 3 million of sheep. Bibliografia: 1.Baker, J. R. & Britt, D. P (1990). Dental calculus and periodontal disease in sheep. Veterinary Record 115, 411–412. 2.Cobb,C.M.,and Cobb,S.J. (1975) A review of the oral microbial flora and its relationship to periodontal disease Alabama Journal of Medical Science, 12, 12-18. 3.Cutress TW, Schroeder HE. (1982) Histopathology of periodontitis ('broken-mouth') in sheep: a further consideration. Res Vet Sci. Jul;33(1):64-69. 4.Denholm LJ and AL Vizard (1986) "Periodontal disease and premature incisor tooth loss (broken-mouth) in Australian sheep: is tooth grinding an effective, acceptable solution?" Wool Technology and Sheep Breeding: Vol. 34: No. 3, Paper 5, pp. 113-120. 5.Dreyer WP, Basson NJ. (1992) Porphyromonas gingivalis as putative pathogen in ovine periodontitis. Jurnal of Dental Association South Africa. 47, 513-6. 6.Listgarten, M.A. (1976) Structure of the microbial flora associated with periodontal healt and disease in man. A light and electron micropic study. Journal of Periodontology. 47, 1-18. 7.Mc Courtie J., Ian R. Poxton , J. A. Spence and G. Aitchison. (1989) Preliminary Study of the Anaerobic Bacteria Isolated from Subgingival Plaque from Sheep Veterinary Microbiology, 21 139146. 8.Spence J.A, Aitchison GU, Sykes AR.(1980) Broken mouth (premature incisor loss) in sheep: the pathogenesis of periodontal disease. J Comp Pathol.:275-92. 131 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IPOTESI DI CONTROLLO CENTRALIZZATO DELLE PROVE DIAGNOSTICHE BASATE SULLA METODICA ELISA Capello K , Nardelli S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie IZSVe, Legnaro (PD) Key words : prova diagnostica, densità ottica, correlazione Summary Different laboratories of IZSVe use the same commercial ELISA kits to test blood samples for serological diagnosis of different diseases. The aim of this study has been to provide a method for the evaluation of intra and inter-laboratory diagnostic performances to monitor and ensure quality of results. Two software have been used: an “home-made” software to collect and store ELISA results on PC , and a statistical software for data collection and analysis. The identified methodology provided significant information about the overall process and critical points to be improved. La metodologia di analisi è costituita da: verifica del rispetto dei parametri di validità definiti per ciascun kit; analisi della correlazione e variabilità fra le repliche dei controlli allestite su ogni piastra per ciascun kit, focalizzando l’attenzione sui controlli “colorati” (controllo positivo per ELISA non competitiva, controllo negativo per ELISA competitiva). Ulteriori specifiche dell’analisi condotta sono riportate in tabella 1. Tutte le analisi prevedono l’applicazione di opportuni test statistici non parametrici, data la non normalità delle distribuzioni trattate. Introduzione Le prove diagnostiche basate sulla metodica ELISA sono frequentemente utilizzate in campo sierologico veterinario. In molti casi tali prove si basano sull’impiego di kit commerciali spesso distribuiti ed utilizzati contemporaneamente in più laboratori afferenti la medesima struttura. Nel caso specifico dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), sette laboratori diversi impiegano le medesime tipologie di kit ELISA su campioni di sangue analizzati per IBR (anticorpi totali, gB, gE), BVD (virus, anticorpi non strutturali, anticorpi totali), leucosi bovina enzootica ed altre patologie di rilevanza veterinaria. Un classico strumento di controllo delle prestazioni diagnostiche di laboratori diversi è costituito dal ring test su pannelli di campioni standard; tale strumento viene impiegato con una cadenza temporale che non può essere strettissima, ed inoltre potrebbe non sempre rispecchiare la reale qualità del dato diagnostico, dato il livello superiore di attenzione che viene inevitabilmente riservato a questa prova. Una possibilità di controllo alternativa, molto più stringente in termini di cadenza temporale, è rappresentata dall’analisi dei dati riferiti ai campioni che vengono routinariamente esaminati; ciò è possibile solo se esiste un sistema informatico che permetta l’acquisizione automatica dei valori di densità ottica (OD) riferiti a tali campioni. Scopo del presente lavoro è presentare la metodologia sviluppata per la raccolta e analisi centralizzata dei dati ottenuti dall’applicazione dei kit ELISA per la diagnosi sierologica. Tabella 1 – Metodologia di analisi dati Verifica dei parametri di validità definiti dai kit: a percentuale di piastre con reattività dei controlli non conforme alle indicazioni dei kit a percentuale di piastre con reattività dei controlli superiore al valore massimo di taratura dello spettrofotometro Analisi della correlazione e variabilità delle repliche, per entrambi i controlli: a per laboratorio e kit, calcolo di un indice di correlazione, variabile da -1 a 1, fra le repliche collocate sulla stessa piastra a calcolo dello scostamento percentuale fra le repliche: [(valore massimo-valore minimo)/valore minimo]*100 a analisi della variabilità nelle distribuzioni degli scostamenti per kit e laboratorio a per laboratorio e kit, percentuale di piastre con scostamento maggiore a quello associato al 95° percentile sulla distribuzione complessiva (scostamento “accettabile”) Risultati Complessivamente nel 2007 sono stati analizzati i valori di OD di 7231 piastre distribuiti nei diversi laboratori. Il kit con il minor numero di piastre è risultato quello per BVD anticorpi NS2-3 (n=546) mentre quello con il numero massimo l’IBR anticorpi totali (n=2104). Dalla prima analisi condotta è stato possibile evidenziare elevate percentuali di piastre entro i limiti definiti dai parametri di validità: il valore percentuale massimo di piastre “anomale” è risultato inferiore al 10% per tutti i kit, per cui il numero di piastre utilizzate per le ulteriori analisi è passato da 7231 a 6844. L’analisi dell’associazione fra le repliche dei controlli, positivi e negativi, ha fornito risultati soddisfacenti in quanto il valore medio di correlazione calcolato su tutti i kit per tutti i laboratori è risultato pari a 0.85 per entrambi i controlli (range controllo negativo: 0.62-0.98; range controllo positivo: 0.53-0.98). Attraverso l’analisi dello scostamento percentuale sono emerse le situazioni con maggiore variabilità nei valori di OD fra le due repliche allestite sulla stessa piastra; in questi casi si sono osservate rilevanti percentuali di piastre con scostamento “eccedente” rispetto al valore considerato come accettabile (tabella. 2). Tali risultati sono indicativi di processi di lettura più o meno stabili e più o meno uniformi fra i vari laboratori, anche se si deve considerare che nessuno dei kit considerati prevede la verifica della ripetibilità dei valori di OD all’interno della stessa piastra. Materiali e metodi La metodologia proposta prevede l’utilizzo di due software diversi, ed esattamente software ‘home-made’ per la gestione dei lettori ELISA, che consente l’acquisizione e l’archiviazione dei dati su PC, nonché l’estrazione in formato testo. Il software è installato presso ciascun laboratorio che effettua prove sierologiche ELISA software statistico STATA 9.0 per l’aggregazione dei dati relativi ai valori OD dei controlli positivi e negativi prodotti dai sette laboratori in un database unico e conseguente elaborazione statistica degli stessi Sono stati selezionati sei kit ELISA particolarmente rappresentativi dell’attività sierologica dell’Istituto in quanto utilizzati per i test IBR anticorpi totali, IBR anticorpi gB, IBR anticorpi gE, BVD virus Erns, BVD anticorpi NS2-3, LBE anticorpi. 132 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella 2 – analisi scostamenti fra le repliche (controlli “colorati”) Valore Percentuale di piastre per laboratorio con scostamento percentuale superiore a quello Kit per ricerca: “accettabile” “accettabile” scostamento Lab A Lab B Lab C Lab D Lab E Lab F Lab G IBR anticorpi totali 18% 5,4 16,1 4,7 1,1 2,6 9,8 1,1 IBR anticorpi gB 14% 0,0 7,6 5,5 0,0 8,4 2,8 3,6 IBR anticorpi gE 16% 11,4 10,1 4,6 1,9 1,3 6,8 3,2 BVD virus Erns 12% 7,5 9,9 1,9 1,1 1,3 5,0 4,2 BVD anticorpi NS2-3 19% 6,7 10,3 1,1 7,1 3,1 1,8 0,0 LBE anticorpi 24% 0,0 6,9 9,6 0,0 6,8 10,0 2,0 Conclusioni La possibilità di monitorare su base costante i risultati dei test ELISA tramite archiviazione automatizzata dei dati e successiva analisi statistica , è sicuramente importante in un ottica di valutazione. I risultati dell’applicazione della metodologia descritta dal presente lavoro hanno infatti fornito indicazioni significative sulla riproducibilità dei test considerati e hanno permesso l’individuazione di alcuni punti critici. Risulta tuttavia evidente come, nella totalità dei kit considerati, manchi, fra i controlli, il campione a reattività ‘intermedia’ che potrebbe rilevare al meglio le fluttuazioni di reattività dei sistemi ELISA nelle diverse sedute di reazione. Il fatto di utilizzare controlli “nettamente” positivi / negativi rende, da questo punto di vista, il sistema meno sensibile nei confronti delle fluttuazioni suddette. La risoluzione delle criticità rilevate può rendere maggiormente stabile e uniforme il processo di archiviazione delle piastre nei diversi laboratori. Inoltre dal punto di vista metodologico, ciò consentirebbe di costruire opportune carte di controllo e di limitare il numero di parametri da calcolare. 133 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 ANALISI BIOMOLECOLARI, SEROLOGICHE ED ISOLAMENTO IN UN GATTO INFETTO DA LEISHMANIA SPP. 1 Caracappa S., Migliazzo A., Lupo T., Lo Dico M. , Calderone S.,Rea S.,Currò V.,Vitale M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo; 1 Medico Veterinario LLPP Key words: Leishmania, Gatto, Isolamento. SUMMARY - Leishmaniasis, caused by Leishmania infantum, is an endemic zoonosis in the Mediterranean area. Dogs are considered the major host for these parasites,. In recent years, asymptomatic infection or clinical disease caused by L. infantum in cats has been reported in several countries where zoonotic leishmaniasis is present. We report a case of Leishmania infection in a cat living in an endemic focus which resulted positive by real time PCR, IFAT and isolation. necroscopica sono stati prelevati fegato, milza, rene e pancreas (fig. 1). Tale materiale è stato inviato al C.Re.Na.L. per l’eventuale isolamento e la PCR Quantitativa Leishmania spp. SOMMARIO – La leishmaniosi del cane è una patologia iperendemica nel territorio Siciliano e i cani sono stati fino ad ora considerati i principali “reservoirs” del protozoo per l’uomo. Negli ultimi anni però sono stati riportati casi asintomatici o clinicamente manifesti dell’infezione anche nel gatto, questi concentrati in aree dove la Leishmaniosi assume caratteri iperendemici. Gli autori riportano un caso di un soggetto maschio di specie felina castrato, incrocio di razza persiana di 10 anni di età, risultato positivo alla leishmania spp. tramite test sierologico, PCR Quantitativa e isolamento. Fig. 1 INTRODUZIONE – A fine ottobre del 2007 è giunto presso il laboratorio del Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi (C.Re.Na.L), con sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” sede centrale Palermo, un campione di emosiero appartenente ad un soggetto di specie felina di 10 anni di età per ricerca anticorpi-anti leishmania. Il soggetto di cui sopra presentava all’anamnesi un trattamento per il diabete e alla visita clinica buone condizione generali ad esclusione di una forma di stomatite. Si è proceduto quindi ad effettuare l’emocromo, il profilo biochimico completo (Urea-creatininasodio-potassio-fosforo-cloro-zinco-calcio-magnesiobilirubina totaleALT-ALP-AST-Ȗ-GT-proteine totali Albumine- glucosio-colinesterasi-amilasi-lipasi-colesterolofruttosamina-trigliceridi),comprensivo di elettroliti e fruttosemia (indicativa nel gatto per la diagnosi di diabete) nonché elettroforesi, esame chimico-fisico delle urine e saggi sierologici per FIV, Felv e FIP. Le analisi di laboratorio, hanno rilevato la negatività per FIV, FelV, e FIP, mentre hanno evidenziato leucocitosi, iperglicemia e glicosuria; la fruttosamina risultava prossima al valore massimo dell’intervallo di riferimento. L’ elettroforesi evidenziava una lieve ipoalbuminemia ed una moderata ipergammaglobulinemia, ed il relativo A/G risultava essere di 0.39. E’ stato effettuato sul soggetto Test sierologico per la ricerca di anticorpi anti-leishmania tramite IFAT presso il C.Re.Na.L. dando esito positivo. Successivamente è stata effettuata una ecografia addominale per accertare eventuali reni policistici o forme di pancreatiti subcliniche. All’ecografia era evidenziabile una lieve linfoadenomegalia dei linfonodi addominali con epatomegalia. Il soggetto è stato sottoposto a terapia per il diabete e dopo una remissione iniziale dei sintomi si è andato incontro ad uno progressivo scadimento delle condizioni generali. Quindi si è provveduto a sottoporre ad eutanasia il gatto e in sede MATERIALI E METODI – Si è proceduto all’estrazione del DNA da 25 mg di tessuto proveniente da rene, fegato e pancreas e da 10 mg di tessuto proveniente dalla milza. Il fegato è la milza sono stati sottoposti ad un processo di purificazione. Il sistema di PCR in Real Time è stato sviluppato su Abi Prism 7700 Sequence Detector (Applied Biosystem), sfruttando la chimica TaqMan Master Mix (Applied Biosystem) che prevede l’uso di una coppia di primers e di una sonda marcata. I test sono stati effettuati sulla base di una curva di taratura, ottenuta saggiando diluizioni successive in base 10, di una soluzione di DNA estratto dal ceppo MHOM/IT/80/IPT1 di Leishmania infantum. Secondo tale schema, sono stati ottenuti 6 punti per curva, in un 6 1 intervallo compreso tra 10 e 10 Leishmanie per ml di estratto. La miscela di reazione per il test è stata sviluppata come segue: 1X TaqMan Universal PCR Master Mix (Applied Biosystem), 5μl ciascun primer, 0.2μl sonda marcata, 1X Exo IPC mix e Exo IPC DNA (Applied Biosystem), 2μl di estratto di DNA campione e H2O fino al completamento del volume di reazione (25μl). In questa mix i due kit Applied Biosystems rappresentano rispettivamente il tampone di reazione e la miscela per il controllo interno. Le 40 ripetizioni del programma di amplificazione, sono state ottimizzate come segue: 95°C per 15 sec, 60°C per 60 sec; precedute da un passaggio a 50°C per 2 min e a 95°C per 10 min. Nell’ IFAT Il siero campione è stato sottoposto a centrifugazione a circa 1300xg per circa 5’ allo scopo di separarlo dalla parte corpuscolata ed inattivato in bagnomaria a 56° C per 30 minuti allo scopo di eliminare il complemento presente. Il siero è stato diluito in PBS, 1:5 da qui si è proceduto alla titolazione per raddoppio. 134 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 La lettura è stata effettuata spingendosi fino a estinzione del fenomeno di fluorescenza. Il controllo positivo (Standard interno) è costituito da un emosiero, proveniente da un soggetto che si presenta clinicamente affetto da Leishmaniosi e risultato positivo alla PCR, controllato mediante IFI e validato dal C.Re.Na.L.IZSSi. Il controllo negativo (Standard interno) è costituito da un siero, proveniente da un soggetto che si presenta clinicamente non affetto da Leishmaniosi e risultato negativo alla PCR; il siero è controllato mediante IFI e validato dal C.Re.Na.L. IZSSi. La coltura dei quattro tessuti di frammento, ha portato all’isolamento della Leishmania spp. esclusivamente dai campioni provenienti dalla milza e dal rene. Questi hanno raggiunto una loro stabilizzazione e sono stati conservati in azoto liquido. Il frammento di tessuto proveniente dal fegato è risultato inquinato, mentre il frammento di tessuto proveniente dal pancreas è risultato negativo. I ceppi ottenuti sono stati avviati alla caratterizzazione molecolare tramite microsatelliti, e risulta tuttora in corso la conferma della tipizzazione isoenzimatica presso il Centro di Referenza Europeo per le Leishmaniosi di Montpellier. CONCLUSIONI – Dal caso analizzato si è rilevato che il soggetto felino è risultato positivo alla PCR Quantitativa, IFAT e isolamento pur non presentando infezioni virali concomitanti (FIV, FELV, FIP) che avrebbero potuto giustificare una possibile immunodeficienza. Si può avanzare quindi avanzare l’ipotesi che il gatto possa essere infettato in un territorio ad alta endemia per la Leishmania e rappresentare quindi un “reservoir” minore. Ci si pone come obiettivi futuri sia quello di una caratterizzazione molecolare tramite analisi di microsatelliti sia la tipizzazione isoenzimatica classica che permetterà di l’individuazione dei ceppi circolanti in una specie di sempre maggiore interesse per una patologia in crescente aumento nel territorio italiano a causa dei gravi cambiamenti climatici in atto a livello mondiale. In futura può essere utile inoltre includere gli accertamenti per la leishmania nell’analisi delle possibili infezioni feline soprattutto nei gatti provenienti da zone iper endemiche per il parassita. Nell’ isolamento abbiamo prelevato una piccola quantità (0,5 grammi circa) di tessuto per ogni organo. I frammenti di tessutio sono stati mantenuti singolarmente in soluzione antibiotata per circa 10’, quindi spezzettati finemente con bisturi, in cui è stato aggiunto circa 1 ml di Tobie EMTM (Evans’ Modificated Tobie Medium), la fase liquida. Dopo alcuni minuti di riposo il campione è stato trasferito su Tobie EMTM, la fase solida. La semina del campione è avvenuta portando a temperatura ambiente le provettine necessarie di Tobie solido completo, aggiungendo 0,4ml di Tobie liquido completo ed attendendo qualche minuto. Quindi è stato seminato 0,1 ml dell’omogenato e incubato a 24-26°C. In questo modo si è proceduto ad una serie passaggi, ad intervalli di 15 giorni circa. RISULTATI – Per la PCR Quantitativa abbiamo ottenuto i seguenti risultati da DNA estratto da tessuto: DNA estratto da rene fegato pancreas milza BIBLIOGRAFIA – 1) Poli A., Abramo F., Bassotti Leva S., Gramiccia M., Ludovisi A., Mancianti F., (2002) Feline Leishmaniosis due to Leishmania infantum in Italy . Veterinary Parassitology, 106: 181-191. 2) Reale A, Maxia L, Vitale F, Glorioso NS, Caracappa S, Vesco G. Detection of Leishmania infantum in dogs by PCR with lymph node aspirates and blood. J. Clin. Microbiol. 37 (9) (1999), 2931-2935. 3) Mancianti F., Sozzi S., (1995) Isolation of Leishmania infantum from a newborn puppy. Transactions of the Royal Society of Tropical Medicine and Hygiene, 89: 402. Leish/ml 2*103 Leish/ml 103 Leish/ml 7*101 Leish/ml 105 Leish/ml Il Test sierologico per la ricerca di anticorpi anti-leishmania, effettuato tramite IFAT presso il Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi, è risultato positivo con un titolo di 1/320. 135 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VIROSI DELLE API E MORTALITA’ DEGLI ALVEARI Cardeti G.1, Lavazza A.2, Cittadini M.1, Ponticello L.1, Formato G.1, Tittarelli C.2, Amaddeo D.1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia Virus, api, diagnosi strettamente collegato alla “Sindrome dello spopolamento degli alveari” (CCD) (5). Le infezioni sono spesso latenti o inapparenti e la sintomatologia dipende da dose e modalità d’infezione, predisposizione genetica e stato generale della colonia. La maggior parte dei virus causa “accorciamento della vita” delle api; in condizioni normali però il loro impatto è trascurabile o transitorio. Soltanto 2 virus (virus della covata a sacco = SBV e virus della paralisi cronica = CBPV), per i sintomi caratteristici indotti possono essere diagnosticati facilmente su base clinica. Nella tabella 1 sono elencate le principali caratteristiche dei 2 virus delle api più frequentemente isolati nella nostra attività diagnostica. Summary Specific viruses affecting honeybees are widespread and normally give latency i.e. they can be detected in seemingly healthy bees. In the last decade we investigated the presence and spread of bee viruses in Italian hives. Samples of honeybees at different stages were examined by electron microscopy methods, including IEM for ABPV and ELISA test for DWV. DWV and ABPV were often detected in high titres in association with severe signs: depopulation, adult bees with paralysis and/or deformed wings, mortality. Introduzione Le virosi delle api rappresentano gravi patologie a volte sottovalutate da apicoltori, esperti apistici e veterinari; sono diffuse in tutto il mondo e possono causare elevate perdite economiche, soprattutto quando associate ad altre malattie. Dal 1963 in cui fu isolato il primo virus (CBPV), sono stati identificati e caratterizzati non meno di 19 virus (Fig. 1). Per la maggior parte vengono classificati nella Picornavirus-like superfamily, ordine Picornavirales, famiglie Dicistroviridae (genere Cripavirus: BQCV e genere Aparovirus: ABPV, IAPV e KBV) ed Iflaviridae (genere Iflavirus: SBV, DWV, KV, VDV). Restano ancora da classificare, invece, i seguenti virus: SBPV, BSPV, CBPV, CWV, ABP, BBP, BXV, BYV, EBV, FV. In quanto virus Picorna-like presentano le seguenti caratteristiche: privi di envelope, a forma icosaedrica con diametro di 27-30nm, morfologicamente simili ed evidenziabili mediante osservazione al microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Tabella 1. Caratteristiche del virus delle ali deformi e della paralisi acuta DWV (Deformed Wing Virus) Virus identificato nel 1991 (2), oggi molto diffuso Può causare infezioni latenti Replicazione più lenta di ABPV Molto spesso associato a varroa Malformazioni delle ali ABPV (Acute Bee Paralysis Virus) Virus molto diffuso Stagionale: tarda estate, autunno Associato a CBPV Infezione correlata a quella da varroa Latente nel tessuto adiposo; rapida replicazione Mortalità nella covata; paralisi, accorciamento della vita e alterazioni comportamentali negli adulti Figura 1. Principali caratteristiche dei virus delle api Materiali e metodi Presso l’IZSLT, dal 01 settembre 2004 al 30 giugno 2008 sono stati esaminati 228 campioni (larve, pupe, api allo sfarfallamento e adulti) prelevati da 195 arnie di 87 aziende apistiche, nelle quali erano state osservate: lentezza nella ripresa primaverile delle colonie, paralisi e malformazioni degli adulti, elevata mortalità delle larve ed in qualche caso grave spopolamento e morte. In laboratorio, oltre alle comuni indagini parassitologiche (varroa, nosema ed amebiasi) e batteriologiche (peste europea ed americana) sono stati eseguiti esami virologici mediante tecniche di microscopia elettronica. L'esame al microscopio elettronico (ME) in colorazione negativa ricalca in larga parte la metodica comunemente in uso per la diagnosi di infezioni virali (9). Gli estratti sono preparati e trattati secondo il protocollo descritto da Bailey e Ball (2): ogni individuo viene omogenizzato in 1 ml di PBS 0,01M, pH 6,7, contenente il 2% di sodio dietilditiocarbamato (DIECA), per prevenire la melanizzazione, aggiungendo successivamente 0,5 ml di dietiletere. Il tutto viene quindi emulsionato con 0,5 ml di tetracloruro di carbonio (CCl4) e centrifugato, una prima volta a 3.000 rpm per 30 min. e poi a 9.000 rpm per 30 min. Il sovranatante, in ragione di 80 μl, viene quindi ultracentrifugato con Beckman Airfuge a 21 psi (103.000 rpm) per 20 min in un rotore A100 a sei provette da 175 μl, in cui sono alloggiati adapters che permettono il pellettamento delle sospensioni virali direttamente su griglie in rame rivestite con formvar e carbonate. Le griglie sono colorate negativamente con una soluzione al 2% del Le caratteristiche biochimiche, antigeniche e genomiche dei vari virus sono conosciute solo in parte e solo per 6 di essi (SBV, BQCV, ABPV, KBV, DWV, KV) è disponibile la sequenza genomica completa. Non infrequenti sono le segnalazioni di nuovi ceppi virali o di varianti antigeniche, quale, ad esempio, l’Israeli Acute Paralysis Virus (IAPV), un Dicistrovirus recentemente classificato nel genere Aparoviurs che, secondo diversi Autori, sarebbe 136 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 sale sodico dell'acido fosfotungstico (NaPT), pH 6,8 ed esaminate al microscopio elettronico ad ingrandimenti compresi fra 28000 e 36000x. Per l’identificazione della specie virale è stata utilizzata sia l’IEM con siero specifico anti-ABPV, sia il test ELISA-DWV (8). - le manifestazioni cliniche riferibili alle patologie delle api sono raramente patognomoniche, con molti sintomi in comune a differenti malattie; - è sempre necessario ricorrere alle analisi di laboratorio per confermare l’eziologia dei sospetti clinici; - gli stati patologici associati alle virosi sono conseguenza di una compromissione generale della colonia, a seguito di disordini di varia natura (tossica, parassitaria, genetica, biochimica, metabolica) corresponsabili della rottura dell'equilibrio di forza delle famiglie; - i virus sono agenti complicanti che trovano in altri patogeni quali la varroa, il fattore scatenante la loro attivazione e/o replicazione, contribuendo a determinare il collasso e la morte delle famiglie; - un altro importante fattore causa di sviluppo di malattie virali conclamate è rappresentato dallo stress prolungato (es. errato posizionamento delle arnie, freddo dovuto a frequenti visite invernali da parte dell’apicoltore, squilibrio numerico tra api adulte/covata, etc.). - la prevenzione delle malattie virali dipende principalmente dal controllo della varroa con interventi appropriati e programmati nel territorio. Sebbene la microscopia elettronica e l’ELISA DWV costituiscano utili e validi metodi di diagnosi, per una più corretta identificazione dei 6 principali virus delle api (DWV, ABPV, CBPV, SBV, BQCV, KBV) si rende necessario l’impiego di metodi molecolari. A tal fine, sono in corso di studio e allestimento protocolli di RT-PCR, sulla scorta di quanto recentemente pubblicato in letteratura (6). Risultati e discussione Sono state riscontrate virosi delle api in 65 (74,71%) delle 87 aziende apistiche (55/72 nel Lazio, 4/8 in Toscana, altre zone 6/7) sottoposte ad indagine. Particelle Picornaviruslike (Fig. 2) erano presenti in 128 campioni pari al 56,14% (Tab. 2) con n.43 campioni positivi per DWV, n.5 campioni positivi per ABPV, n.2 campioni positivi contemporaneamente per ABPV e DWV e n.5 campioni positivi per SBV-like. I restanti 73 campioni, per i quali non è stato possibile identificare le particelle osservate, verranno quanto prima sottoposti ad analisi biomolecolari. L’infezione virale risultava spesso associata ad un’alta infestazione da varroa. Diagnosi di virosi veniva fatta in molte arnie con sospetta sindrome da spopolamento. Inoltre, i ceppi virali identificati erano spesso associati ad altri agenti patogeni (Tab. 3). Figura 2. Particelle di DWV al ME (materiale purificato) Riferimenti bibliografici 1. Arculeo P., Lavazza A., (1998). Patologie secondarie alla varroa in alveari della Sicilia: virosi e covata calcificata. Atti Convegno Apilombardia 98, Minoprio (CO), 25-27 Settembre 1998, p. 99107. 2 Bailey L., Ball B., (1991). Honey bee pathology. Accademy Press London, pp 193. 3. Bowen-Walker, P.L., Martin, S.J., Gunn A. (1999). The transmission of Deformed Wing Virus between honeybees (Apis mellifera L.) by ectoparasitic mite Varroa jacobsoni Oud. J. Invertebr. Pathol., 73, 101-106. 4. Carpana E., Vecchi M.A., Lavazza A., Bassi S., Dottori M. (1990). Prevalence of acute paralysis virus (APV) and other viral infectoins in honeybees in Italy. In: Proceedings of the International Symposium on Recent Research on Bee Pathology, Gent (Belgium), September 5-7, 1990, Roma, Apimondia, 155-165. 5. Cox-Foster D.L., Conlan S., Holmes E.C., Palacios G., Evans J.D., Moran N.A., Quan P.L., Briese T., Hornig M., Geiser D.M., Martinson V., vanEngelsdorp D., Kalkstein A.L., Drysdale A., Hui J., Zhai J., Cui L., Hutchison S.K., Simons J.F., Egholm M., Pettis J.S., Lipkin W.I. (2007). A metagenomic survey of microbes in honey bee colony collapse disorder. Science, 318: 283-287. 6. De Miranda J.R. (2008). Chapter 3. Diagnostic Techniques for virus detection in honey bees. In Aubert M., Ball B. et al Virology and the Honey Bee. EU Directorate Generale for Research. 6th Framework Programme. ISBN 92-79-00586-3. 7. Lavazza A., Carpana E, Dottori M, Bassi S, Vecchi M.A., Arculeo P. (1996). Indagine sulla diffusione delle virosi in Italia negli anni 1989-1993. Sel. Vet. 11: 873-885. 8. Lavazza A., Gamba O., Botti G., Milani N., Ball B.V., Capucci L. (2003). The identification and characterization of deformed wing virus in Italian honey bees as a preliminary step for the production of specific reagents and the establishment of diagnostic methods. In Proceedings of the 38th Apimondia International Apicultural Congress, August 24-29, 2003, Ljubljana (Slovenia), p 612.9. Misciattelli M.E., Guarda F., Valenza F., Belletti G.L., Sali G., 9. Righi F., Peveri F., Biancardi G. (1979). Parvovirus associati a gastroenterite nei cani: identificazione al microscopio elettronico con applicazioni di immuno-elettromicroscopia, rilievi istopatologici, ematologici e clinici. Ann. Fac. Med. vet. Torino, 26: 3-20. Tabella 2 – Risultati delle analisi effettuate presso l’IZSLT per malattie virali delle api dal 01/09/2004 al 15/06/2008 Aziende n. (Pos./Tot.) Lazio Tosc Altro Tot 2004 1/1 0 0 1/1 2005 3/4 0/1 0 3/5 2006 11/16 0/1 1/1 12/18 2007 22/27 3/5 2/2 27/34 2008 18/24 1/1 3/4 22/29 Pos/Tot 55/72 4/8 6/7 65/87 Anno Campioni n. (Pos./Tot.) Lazio Tosc Altro Tot 2/2 0 0 2/2 9/14 0/2 0 9/16 21/58 0/1 2/2 23/61 54/92 4/6 3/3 61/101 25/36 1/1 7/11 33/48 111/202 5/10 12/16 128/228 Tabella 3 - Patologie associate ai ceppi virali isolati Virosi Ameba Nosema PA PE PE+PA PMS Totale DWV 1 3 5 10 2 5 18 ABPV 4 4 SBV-like 4 4 ABPV+DWV 1 1 Legenda: PA=Peste Americana; PE=Peste Europea; PMS=Parasite Mite Syndrome Tali riscontri, in accordo con le precedenti indagini (1, 4, 7) confermano che: 137 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 BETANODAVIRUS IN SPECIE ITTICHE ALLEVATE E SELVATICHE: RISULTATI DI INDAGINI DI LABORATORIO CONDOTTE NEL PERIODO NOVEMBRE 2004 – LUGLIO 2008 PRESSO L’IZS LAZIO E TOSCANA Cardeti G., Lorenzetti R., Conti R., Del Bove M., Amiti S., Dell’Aira E., Bossù T., Amaddeo D. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma Nodavirus, specie ittiche marine, epidemiologia Summary marmore, 4 tracine, per un totale di 226 soggetti) è stato campionato sia durante episodi di moria in zone di mare del Lazio (Golfo di Gaeta, litorale Civitavecchia) e della Toscana (Laguna di Orbetello) sia durante gare di pesca sportiva (Toscana, Monte Argentario e Puglia, Salento). I campioni di encefalo ed occhi sono stati omogenati in terreno EMEM addizionato di HBSS e soluzione antibiotata e quindi sottoposti ad analisi biomolecolare (estrazione acido nucleico, retrotrascrizione ed amplificazione). Cinque Pl di RNA purificato con il sistema ”QIAmp Viral RNA minikit” (QIAGEN, Germania) sono stati trasferiti in 50 Pl finali della miscela di RT-PCR 1 (SuperScript One Step PCR, Life Technologies, Invitrogen£, USA) costituita, in particolare, da 600 nM primer VER-1 (5’-GACTGG GACACGCTGCTAGA3’), 600nM primer VER-2 (5’-AGTCGAACACTCCAGCGACA3’) e 2mM Mg2SO4. La reazione di RT-PCR 1 è stata quindi condotta alle seguenti condizioni: 30’ a 54°C, 2’ a 94°C, 40 cicli ciascuno composto da 30” a 94°C, 30” a 62°C e 45” a 72°C seguiti da 5’ a 72°C (3). Il prodotto di amplificazione di 347bp, è stato separato su gel di agarosio all’1,5% e quindi visualizzato mediante colorazione in bromuro di etidio. Un Pl del prodotto di RT-PCR 1 è stato quindi trasferito in 50Pl finali delle miscela di PCR 2, costituita in particolare da 200nM primer VNNV-3 (5’-ATTGTGCCCCGCAAA CAC-3’), 200nM primer VNNV-4 (5’-GACCGT TGACCACATCAGT-3’), 1,5mM MgCl2 e 1 unità di Platinum Taq DNA polimerasi (Life Technologies, Invitrogen£, USA). Il profilo termico di amplificazione impiegato è stato il seguente: 94°C per 30 sec, 57°C per 30 sec, 72°C per 30 sec. per 40 cicli. Il prodotto di amplificazione di 255bp, è stato separato su gel di agarosio all’1,5% e quindi visualizzato mediante colorazione in bromuro di etidio. Entrambe le amplificazioni sono state condotte in un amplificatore GeneAmp PCR System 9700 (Applied Biosystems). I campioni positivi in RT-nPCR sono stati inoculati su colture cellulari SSN-1 per l’isolamento virale (7). Il tappeto cellulare è stato quindi osservato quotidianamente al microscopio ottico fino alla comparsa dell’effetto citopatico (ECP). Per ciascun campione è stato effettuata comunque almeno una subcultura a 7 giorni post infezione. In presenza di ECP il surnatante è stato sottoposto a RT-nPCR per l’identificazione del ceppo. Betanodavirus infection is worldwide distributed and responsible of Viral Encephalo-Retinopathy (VER) in several farmed marine fish species with high mortality and high economical losses. Also many wild fish species can be infected and their epidemiological role is important. In this survey we investigated the presence of the infection in farmed and wild fish mainly from the Tirrenian Sea. Samples from 1.332 fish belonging to 15 different species were analyzed by RT-PCR and virus isolation on SSN-1 cell line. 348 samples from 7 different species resulted positive. Introduzione I Betanodavirus appartengono alla famiglia Nodaviridae e sono in grado di infettare soprattutto specie di pesci d’acqua salata. L’Encefalo-Retinopatia Virale (VER) di cui sono responsabili, ha una distribuzione cosmopolita e si manifesta nei pesci marini allevati con elevata mortalità nelle larve e negli stadi giovanili e gravi perdite economiche (8). I Betanodavirus sono virus privi di envelope, a struttura icosaedrica, di circa 25 nm di diametro. Sulla base del genoma, costituito da 2 molecole di ssRNA (+), sono stati individuati 4 genotipi (9) riconosciuti dalla tassonomia ufficiale come 4 specie (4): SJNNV (Striped Jack Nervous Necrosis Virus), BFNNV (Barfin Flounder Nervous Necrosis Virus), TPNNV (Tiger Puffer Nervous Necrosis Virus) e RGNNV (Redspotted Grouper Nervous Necrosis Virus). In Italia la VER è stata segnalata per la prima volta nel 1995 nel branzino (Dicentrarchus labrax). A tutt’oggi le specie recettive riconosciute sono oltre 40 e l’infezione è stata segnalata in molte specie selvatiche (1, 2). Il ruolo di quest’ultime nella diffusione dell’infezione è tuttora in studio sia mediante prove sperimentali che studi biomolecolari al fine di caratterizzare e comparare i ceppi isolati nei soggetti selvatici e allevati (5; 6). Attualmente, non potendo ricorrere a terapia o vaccinazione, la profilassi si basa su controllo ambientale e diagnosi precoce: le indagini di laboratorio, RetroTrascriptase nested Polymerase Chain Reaction (RT-nPCR) e colture cellulari (TC) condotte presso l’IZSLT nel periodo 2004-2008, hanno avuto come obiettivo l’ampliamento delle conoscenze epidemiologiche in specie allevate e selvatiche provenienti soprattutto da Lazio e Toscana, ma anche da altre regioni italiane. Risultati e discussione Materiali e metodi I risultati ottenuti confermano l’ampia diffusione del virus in tutti gli allevamenti sottoposti a campionamento in diverse regioni italiane; interessate tutte le specie ad eccezione del rombo (P. maxima) per il quale gli esemplari testati (n.13) sono risultati negativi (Figura 1). I soggetti riscontrati positivi inoltre, provenivano sia da allevamenti a terra che in gabbia. In Tabella 1 è riportato il numero dei campioni esaminati (totale e positivi per nodavirus) relativamente alle specie allevate e alla relativa distribuzione secondo le due differenti metodiche utilizzate ovvero TC e RT-nPCR. Nel periodo novembre 2004–luglio 2008, sono stati analizzati campioni di encefalo e occhi prelevati da pesci allevati e selvatici, appartenenti rispettivamente a 4 e 12 specie ittiche marine. I pesci allevati, per un totale di 1106 soggetti (544 spigole, 469 orate, 80 sogliole, 13 rombi) provenivano da allevamenti siti in Toscana (n.8) e Lazio (n.4), in Calabria (n.1), Campania (n.2), Liguria (n.1) e Sicilia (n.3). Il pescato (17 spigole, 135 cefali, 12 salpe, 2 torpedini, 4 tordi marvizzo, 5 tordi pavone, 24 saraghi maggiore, 9 corvine, 10 sardine, 4 138 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Figura 1. Risultati RT-nPCR, campioni specie allevate In Tabella 2 sono riportati il numero totale di campioni esaminati ed il numero dei positivi osservati per ogni singola specie selvatica. In particolare sono risultate positive le seguenti specie: spigola (D. labrax), cefalo (M. cephalus), torpedine (T. mormorata) e tordo marvizzo (L. berggylta); per queste ultime due si tratta di una prima segnalazione di positività (Figura 2). Tutti i selvatici analizzati non presentavano sintomi di VER e ad eccezione della specie M. cephalus, sono risultati negativi all’esame batteriologico (ricerca di germi patogeni speciespecifici) e parassitologico a fresco. I risultati ottenuti concordano con quelli di altri autori ad eccezione della sardina che è risultata positiva in precedenti lavori (1); tale discordanza potrebbe essere dovuta alla scarsa numerosità campionaria. La prima segnalazione per torpedine e tordo marvizzo amplia ulteriormente il range di specie selvatiche mediterranee riscontrate sensibili al virus. In generale è possibile concludere, anche sulla base dei dati bibliografici disponibili, che i betanodavirus sono ampiamente diffusi nelle specie ittiche selvatiche del Mar Mediterraneo. Questo pone alcuni quesiti, in particolare relativamente alla potenziale patogenicità dei nodavirus di origine selvatica nei confronti delle specie allevate; alla possibilità che siano antigenicamente e/o geneticamente differenti da quelli isolati in altri paesi; ed infine come questi ceppi selvatici debbano essere considerati nella regolamentazione ufficiale ai fini della prevenzione e del controllo della VER nelle specie allevate. Per rispondere a tali importanti interrogativi è necessario eseguire ulteriori indagini di natura epidemiologica e biomolecolare. nodavirus in specie allevate 120,00 100,00 % 80,00 pos % 60,00 neg % 40,00 20,00 0,00 nodavirus in specie selvatiche 120,00 100,00 % 80,00 pos % 60,00 neg % 40,00 20,00 Pos/Tot 32/168 12/21 90/202 N.E. % 19,05 57,14 44,55 N.E. Totale n. 17 5 135 12 24 9 2 4 10 4 4 a a ci n tra ne or rd i ar m Sa m e zz o in vi ar rp ed m to rd o to rv i na e o Riferimenti bibliografici RT-nPCR Pos/Tot % 137/436 31,42 21/71 29,58 163/503 32,41 0/13 0 1. Ciulli S., Galletti E., Grodzki M., Alessi A., Battimani M., Prosperi S. (2007). Isolation and genetic characterization of Betanodavirus from wild marine fish from the Adriatic sea. Vet Res Commun, 31: 221-224 2. Baeck G.W., Gomez D.K., Oh K.S., Kim J.H., Choresca Jr. C.H., Park S.C. (2007). Detection of piscine nodaviruses from apparently healthy wild marine fish in Korea. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol., 27: 116-122 3. Dalla Valle L., Zanella L., Patarnello P., Paolucci L., Belvedere P., Colombo L. (2000). Development of a sensitive diagnostic assay for fish nervous necrosis virus based on RT-PCR plus nested PCR. J. Fish Dis., 23: 321-328 4. Fauquet C.M., Mayo M.A., Maniloff J., Desselberger U. & Ball L.A. (2005). Virus taxonomy classification and nomenclature of viruses. Eight ICTV Report, Academic Press, San Diego, CA, USA 5. Gagné N., Johnson S.C., Cook-Versloot M., MacKinnon A.M. & Olivier G. (2004). Molecular detection and characterization of nodavirus in several marine fish species from the northeastern Atlantic. Dis. Aquat. Org., 62: 181-189 6. Gomez D.K., Sato J., Mushiake K., Isshiki T., Okinaka Y & Nakai T. (2004). PCR-based detection of betanodaviruses from cultured and wild marine fish with no clinical signs. J. Fish Dis., 27: 603-608 7. Manuale OIE, 2005. Viral Encephalopathy and Retinopathy. Chapter 2.1.7. 8. Munday B.L., Kwang J. & Moody N. (2002). Betanodavirus infection in teleost fish: a review. J. Fish Dis., 25: 127-142 9. Nishizawa T., Furuhashi M., Nagai T., Nakai T. & Muroga K. (1997). Genomic classification of fish nodaviruses by molecular phylogenetic analysis of the coat protein gene. Appl. Environ. Microbiol., 63: 1633-1636 Tabella 2. Betanodavirus in specie selvatiche: risultati in RTnPCR Specie Spigola Tordo pavone Cefalo Salpa Sarago maggiore Corvina Torpedine Tordo marvizzo Sardina Marmora Tracina co lp a gi or ag m fa lo ce vo sa ra g To rd o pa Sp ig ol a ne 0,00 sa Orata Sogliola Spigola Rombo TC spig ola Figura 2. Risultati RT-nPCR, campioni specie selvatiche Tabella 1. Betanodavirus in specie allevate: risultati in TC e RT-nPCR Specie rom bo sog liola orat a Positivi n. 8 0 16 0 0 0 2 1 0 0 0 139 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 MULTIPLEX PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI VIBRIO ALGINOLYTICUS E VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS Colussi S., Corvonato R., Zuccon F., Giorgi I., Serracca L., Acutis P.L., Prearo M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: Vibrio alginolyticus, Vibrio parahaemolyticus, Multiplex PCR INTRODUZIONE Nell’ambito del progetto di ricerca denominato: “Approccio polifasico nell’identificazione di isolati appartenenti al genere Vibrio in materiale ittico”, differenti metodiche di PCR precedentemente pubblicate sono state applicate allo screening di ceppi di campo (vedi poster di Zuccon et al., X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.), classificati su base fenotipica, presenti nella collezione del laboratorio di Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico di Torino. Il progetto prevedeva inoltre lo sviluppo di nuove tecniche di PCR e lo studio di target molecolari alternativi per l’identificazione delle differenti specie appartenenti al genere Vibrio. In questa prima fase di studio sono state considerate soltanto alcune tra le specie prevalentemente isolate tra cui V. anguillarum, V. alginolyticus e V. parahaemolyticus. . Questo lavoro descrive lo sviluppo di una nuova multiplex PCR che consente la contemporanea identificazione di V. parahaemolyticus e V. alginolyticus, specie geneticamente e biochimicamente affini e per questo talvolta erroneamente classificate. Si è partiti dalla valutazione di una PCR multiplex per l’identificazione di V. parahaemolyticus, V. alginolyticus. e V. cholerae descritta da Di Pinto et al. (2) basata sull’amplificazione del gene della collagenasi. Questa metodica, a detta degli autori stessi, è risultata specifica ma da indagare ulteriormente vista l’esiguità campionaria. Essa nel nostro caso non ha fornito i risultati attesi per l’identificazione di V. parahaemolyticus, pertanto si è proceduto all’associazione dei primers specifici disegnati da Di Pinto per l’identificazione di V. alginolyticus ai primers specifici per l’identificazione di V. parahaemolyticus (1) che determinano l’amplificazione del gene tl (emolisina termolabile) (Tab. 2). A tale scopo sono stati modificati i parametri di PCR in modo tale che i primers scelti potessero funzionare in una multiplex PCR. (Invitrogen) 25Pl, con aggiunta dei primers indicati in tabella 2 (300 nM). Ciascun campione estratto è stato quantificato mediante lettura spettrofotometrica a 260 nm e ne è stata valutata la purezza mediante calcolo della ratio (OD260/OD280). La quantità di DNA utilizzata è stata 150 ng. Il ciclo di PCR prevedeva una fase iniziale di attivazione caratterizzata da due step: 50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguita da 25 cicli 94°C per 30’’, 57°C per 30’’, 72°C per 60’’ e un’estensione finale di 72°C per 5’. La rivelazione dopo corsa elettroforetica a 80V per 1 ora è stata fatta su gel di agarosio al 3% con aggiunta di Sybr Safe (Invitrogen). È stato utilizzato il marcatore di peso molecolare AmpliSize Molecular Ruler (50-2000 pb Ladder) (BIO-RAD). L’elaborazione delle immagini è stata effettuata mediante Gel Doc (BIO-RAD). Tabella 1: Elenco dei ceppi certificati DSMZ 1027 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 2171 Vibrio alginolyticus ATCC 43305 Vibrio anguillarum Aeromonas allosaccharophila DSMZ 11576 DSMZ 7386 Aeromonas veronii DSMZ 6393 Aeromonas ichthiosmia DSMZ 12609 Aeromonas salmonicida DSMZ 7312 Aeromonas trota DSMZ 30187 Aeromonas hydrophila hydrophila DSMZ 7323 Aeromonas caviae DSMZ 11577 Aeromonas encheleia DSMZ 4881 Aeromonas media DSMZ 30188 Aeromonas hydrophila anaerogenes DSMZ 13956 Aeromonas bestiarium DSMZ 6394 Aeromonas enteropatogenes MATERIALI E METODI Sono stati utilizzati 14 ceppi certificati DSMZ (Deutsche Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen) e 1 ceppo certificato ATCC (American Type Culture Collection) appartenenti al genere Vibrio e al genere Aeromonas (Tab.1) e 44 ceppi isolati da prodotti ittici (14 V. parahaemolyticus, 15 V. alginolyticus, 15 V. anguillarum). I ceppi di campo sono stati identificati biochimicamente mediante galleria API 20NE (Biomerieux) e valutazione della sensibilità all’agente vibriostatico O129 10 Pg e 100 Pg e verifica della capacità agglutinante con siero monovalente per V. anguillarum (Bionor Laboratories). Geneticamente i ceppi di V. parahaemolyticus sono stati testati mediante l’applicazione di simplex PCR per il gene tl e toxR (1, 4); una simplex PCR, utilizzando i primers specifici per la collagenasi, è stata applicata per i ceppi di V. alginolyticus e una simplex PCR, con primers specifici per il gene rpoN, (3) è stata applicata ai ceppi di V. anguillarum. I ceppi sono stati coltivati in agar nutritivo (Difco) addizionato al 2% di NaCl. Il DNA è stato estratto mediante tecnica freeze-boiling che prevede incubazioni di 10 minuti alternate a 100°C e –80 °C con centrifugazione finale a 16000 rcf per 3 minuti e prelievo del surnatante. La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 50Pl mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG Tabella 2: primers utilizzati nella PCR multiplex Sequenza dei primers Target 5’-aaa gcg gat tat gca gaa gca ctg-3’ 5’-gct act ttc tag cat ttt ctc tgc-3’ Emolisina termolabile 5’-cga gta cag tca ctt gaa agc c-3’ 5’-cac aac aga act cgc gtt acc-3’ Collagenasi Rif. Bej et al., 1999 Di Pinto et al., 2005 RISULTATI V. parahaemolyticus è stato identificato chiaramente da una banda caratteristica di 450 pb (Fig 1: 1-15), V. alginolyticus è invece identificato da una banda di 737 pb (Fig. 3: 1-16). Campioni non appartenenti alle due specie in esame quali V. anguillarum (Fig. 1 16-19 e Fig.2 1-12) e differenti specie del genere Aeromonas, molto simile al genere Vibrio e talvolta classificate erroneamente secondo un’analisi fenotipica, (Fig. 4: 1-12) mostrano invece assenza di banda. La PCR sviluppata ha mostrato una sensibilità ed una specificità, calcolate ad un livello di confidenza del 95%, del 100%; rispettivamente (86,3-100%) e (85,0-100%). 140 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 DISCUSSIONE La nuova metodica applicata all’identificazione di V. parahaemolyticus e V. alginolyticus si è rivelata di semplice e rapido utilizzo, consentendo un’identificazione certa del patogeno; inoltre necessita di un minor dispendio economico rispetto alla conduzione di due differenti simplex PCR. Questa metodica può costituire un valido supporto alle metodiche di identificazione tradizionali caratterizzate da numerose criticità legate prevalentemente a lunghi tempi di esecuzione, alla loro indaginosità e alla scarsa specificità. La multiplex PCR in esame presenta inoltre vantaggi anche rispetto ad innovative tecniche di biologia molecolare, quali l’amplificazione del gene che codifica per r-RNA 16S, estremamente efficaci ed utili nell’identificazione di varie specie batteriche ma non utilizzabili in questo caso vista la similarità genetica delle due specie in esame, superiore al 99% (5 e 6). La multiplex PCR, applicata a isolati ittici, ha inoltre consentito di rilevare in due casi una coinfezione (vedi poster di Zuccon et al.; X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.) evidenziando ulteriormente l’inefficacia delle tecniche biochimiche che in tali condizioni conducono invece all’ identificazione di un unico patogeno. Fig. 1 PCR multiplex applicata a V. parahaemolyticus e V. anguillarum 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 M16 17 18 19 Fig. 2 PCR multiplex applicata a V. anguillarum. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 M RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute nell’ambito dei fondi di Ricerca Corrente 2005. BIBLIOGRAFIA (1) Bej A.K., Patterson D.P., Brasher C.W., Vickery M.C.L., Jones D.D. & Kaysner C.A. (1999). Detection of total and hemolysin-producing Vibrio parahaemolyticus in shellfish using multiplex PCR amplification of tl, tdh and trh. J. Microbiol Methods 36: 215-225. (2) Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D. & Forte V.T. (2005). A collagenase targeted multiplex PCR assay for identification of V. alginolyticus, V. cholerae and V. parahaemolyticus. J. Food Prot. 68 (1): 150-153 (3) Gonzalez S.F., Krug M.J., Nielsen M.E., Santos Y. & Call D.R. (2004). Simultaneous detection of marine fish pathogens by using multiplex PCR and a DNA microarray. J. Clin. Microbiol 42 (4): 1414-1419. (4) Kim Y.B., Okuda J., Matsumoto C., Takahashi N., Hashimoto S. & Nishibuchi M. (1999). Identification of Vibrio parahaemolyticus strains at the species level by PCR targeted to the toxR gene. J. Clin. Microbiol 37 (4): 11731177. (5) Kita-Tsukamoto K., Oyaizu H., Nanba K. & Shimidu U. (1993). Phylogenetic relationships of marine bacteria, mainly members of the family Vibrionacea, determined on the basis of 16S rRNA sequences. Int. J. Syst. Bacteriol. 43 :8-19. (6) Ruimy R., Breittmayer V., Elbaze P., Lafay B., Boussemart O., Gauthier M. & Christine R. (1994). Phylogenetic analysis and assessment of the genera Vibrio, Photobacterium, Aeromonas, and Plesiomonas deduced from small-subunit rRNA sequences. Int. J. Syst. Bacteriol. 44 : 416-426. Fig. 3 PCR multiplex applicata a V. alginolyticus. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 M Fig. 4 PCR multiplex applicata a Aeromonas sp. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 M SUMMARY Conventional standard microbiological methods for the detection of Vibrio spp. based on the traditional analysis of phenotypic profile are slow and laborious. Furthermore in case of great similarities among species, as for V. parahaemolyticus and V. alginolyticus, they could also result in uncorrected identification. We developed a multiplex PCR based on the amplification of the collagenase gene for V. alginolyticus and of the tl gene for V. parahaemolyticus. This PCR resulted extremely sensitive and specific and could represent an efficient method for simultaneous detection of these two pathogens. 141 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E PRODOTTI DI GASTRONOMIA: RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU TRAMEZZINI Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Milan M., Mioni R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Struttura Complesssa1- Microbiologia Alimentare – Legnaro (PD) Keywords: Listeria monocytogenes; challenge test; tramezzini ABSTRACT Challenge tests are the preferable instrument to study the behaviour of Listeria monocytogenes on ready to eat foods, according to Regulation (EC) 2073/2005. Challenge test with Listeria monocytogenes on different kinds of sandwiches, with tuna or with ham, showed a reduction of the listeria inoculated counts. Nevertheless, in the tuna sandwiches some episodes of Listeria monocytogenes new growth were observed. Thus, the tolerance limit of 100cfu/g of Listeria monocytogenes allowed by Regulation (EC) 2073/2005 seems to be enforceable to this particular kind of foods, even if with some prudence for the tuna sandwiches . Per contaminare il prodotto sono stati utilizzati ceppi di Listeria monocytogenes di campo, precedentemente isolati dal Laboratorio da matrici analoghe e conservati congelati su crio-bank. Per allestire gli inoculi i ceppi sono stati risospesi su TSB+YE, lasciati incubare overnight a 37°C, e seminati su terreno agarizzato al fine di verificarne la vitalità e la purezza. Al momento dell’uso, è stata allestita una sospensione batterica in soluzione fisiologica, titolata al nefelometro e diluita in modo da avere una carica finale sul prodotto di circa 3 10-10 ufc/gr. L’inoculo di contaminazione è stato depositato preferenzialmente sull’interfaccia tra farcitura e pane. Preparazione e conservazione del prodotto I tramezzini sono stati contaminati presso ambienti dedicati del Laboratorio, utilizzando prodotti di origine industriale. Successivamente essi sono stati riconfezionati in atmosfera modificata, utilizzando la stessa miscela di gas del produttore (60%N2, 40 %CO2) e conservati in frigorifero ad una temperatura di 4°C, conformemente alle condizioni di conservazione riportate in etichettatura, per 26 giorni ovvero fino ad oltre la scadenza del prodotto (21 giorni). Determinazioni analitiche Ciascuna serie di campioni per entrambe le tipologie di prodotto è stata esaminata ai giorni 0, 3, 6, 10, 17, 21 (scadenza commerciale) e 26. Ogni prelievo è stato esaminato per aw, pH, carica batterica totale, batteri lattici e ricerca quantitativa di L. monocytogenes. La numerazione di L. monocytogenes a 37°C è stata eseguita secondo la metodica ISO 112902:1998/Amd 1 2004, conformemente a quanto disposto dal Regolamento (CE) 2073/2005; la determinazione della carica batterica totale è stata eseguita conformemente alla norma ISO 4833:2003; la numerazione dei batteri lattici è stata eseguita secondo un metodo interno. Per ridurre l’errore statistico, in ciascun prelievo è stato esaminato un pool di due tramezzini diversi. INTRODUZIONE Il Regolamento (CE) 2073/2005 (1) stabilisce criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, individuando specifici criteri di sicurezza e di igiene. Tra i primi è inclusa Listeria monocytogenes, la cui presenza in alcune matrici alimentari è ammissibile fino ad una carica di 100 ufc/g su 5 unità campionarie, purché il prodotto non costituisca terreno favorevole allo sviluppo del patogeno (prodotti con pH </= 4,4 o aw </= 0,92; prodotti con pH </= 5 e aw </= 0,94; prodotti con conservabilità < 5 gg) oppure a condizione che gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) siano in grado di dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che questo limite non verrà superato per tutta la durata commerciale del prodotto, fino a scadenza. A tal fine, il Regolamento prevede che gli OSA si avvalgano di prove sperimentali, modelli predittivi o dati di letteratura. Gli alimenti nei quali non è tollerata la presenza del patogeno sono fondamentalmente quelli destinati a lattanti e a fini medici speciali, mentre il limite di 100 ufc/g è applicabile agli alimenti pronti non destinati a lattanti e a fini medici speciali, alle preparazioni e prodotti a base di carne destinati ad essere consumati crudi, alle carni macinate, a burro-gelati e formaggi, agli alimenti pronti contenenti uova crude, ai succhi di frutta, alla frutta e agli ortaggi pretagliati. Conformemente a quanto disposto dal Regolamento (CE) 2073/2005, su richiesta di alcuni Operatori del Settore Alimentare (OSA) la Struttura Complessa 1 – Microbiologia Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha avviato un’attività di ricerca finalizzata allo studio della dinamica di Listeria monocytogenes in diverse tipologie di prodotti “ready to eat” tramite prove di contaminazione sperimentale (“challenge test”). Il fine delle sperimentazioni è verificare se la carica di Listeria monocytogenes eventualmente presente nel prodotto può, nel corso della sua shelf-life e nelle normali condizioni di uso e conservazione, aumentare fino a superare il limite di 100 ufc/g consentito. Nel presente lavoro si riportano i risultati preliminari dei challenge test eseguiti su alcune tipologie di tramezzini. RISULTATI Dalle analisi svolte sui tramezzini al prosciutto cotto, emerge una tendenza della carica di Listeria monocytogenes presente a ridursi durante tutto il periodo di conservazione; nei tramezzini al tonno sono stati invece evidenziati degli episodi di crescita delle listerie presenti, più marcati nei primi giorni di conservazione del prodotto e più lievi verso la scadenza. Nelle Tabelle 1 e 2 sono sintetizzati i risultati ottenuti rispettivamente per i tramezzini al prosciutto e al tonno. I grafici riportati nelle Figure 1 e 2 visualizzano in forma logaritmica la dinamica di Listeria monocytogenes in entrambe le tipologie di prodotto. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Nei tramezzini al prosciutto cotto, la carica di Listeria monocytogenes presente tende chiaramente a ridursi con il procedere della conservazione del prodotto; le lievi fluttuazioni di carica riscontrate al 26° giorno per il lotto 1 e al 17° e al 26° giorno per il lotto 2 non sono da intendersi come episodi di crescita delle listerie presenti, ma sono piuttosto da riferirsi alla variabilità statistica insita nel metodo analitico utilizzato. Per quanto riguarda i tramezzini al tonno, in tutti e tre i lotti di contaminazione studiati sono stati evidenziati degli episodi di crescita delle listerie presenti, più marcati nei primi giorni di conservazione del prodotto e più lievi verso la MATERIALI E METODI Tipologia di prodotto La prova è stata eseguita su due tipologie di prodotto: - Tramezzini al tonno (shelf-life 21 gg) - Tramezzini al prosciutto (shelf-life 21 gg) Contaminazione del prodotto Per ciascuna tipologia di tramezzini sono state eseguiti tre serie di campioni (lotti A, B e C), contaminate con cariche di 2 3 listeria dell’ordine rispettivamente di 10, 10 e 10 ufc/g. 142 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 scadenza, che non consentono di considerare accettabili cariche di listeria superiori alle 30-40 ufc/g, al fine di garantire il rispetto del limite di legge di 100 ufc/g. Il diverso comportamento della listeria nelle due tipologie di prodotto studiate è da attribuirsi al diverso sviluppo delle flore lattiche sui due substrati, maggiore nei tramezzini al prosciutto cotto rispetto a quelli al tonno. La letteratura scientifica concorda infatti nell’attribuire alle flore lattiche la capacità di produrre acidi e batteriocine che condizionano la possibilità per Listeria monocytogenes di moltiplicarsi o di sopravvivere nel substrato. Le batteriocine sono sostanze di natura proteica di sintesi ribosomiale prodotte come metaboliti secondari dai batteri Gram positivi, capaci di uccidere o inibire lo sviluppo di altri batteri (2). Molti sono i batteri lattici che producono batteriocine; tra quelle più note sono da annoverare risina, lattacina, lattococcina, pediocina, helveticina, leucocina ed altre (3,4). Altre specie batteriche capaci di produrre batteriocine (enterocine) efficaci contro Listeria monocytogenes appartengono al genere Enterococcus (4). Tabella 1 Figura 1 BIBLIOGRAFIA 1. Regolamento della Commissione 2073/2005/CE del 15 novembre 2005 - GU L 338 del 22/12/2005 2. Nes I.F., Diep D.B., Håvarstein L.S., Brurberg M.B., Eijsink V., Holo H., 1996. Biosynthesis of bacteriocins in lactic acid bacteria. Antonie van Leeuwenhoek 70: 113-128 3. Cleveland J., Montville T., Nes I.F., Chikindas M.L., 2001. Bacteriocins: safe, natural antimicrobials for food preservation. Int. J. Food Microbiol., 71: 1-20. 4. Franz C.M.A.P., van Belkum M.J., Holzapfel W.H., Abriouel H., Gálvez A., 2007. Diversity of enterococcal bacteriocins and their grouping in a new classification scheme. FEMS Microbiol. Rev., 31 (3): 293-310 0 3 6 aw 0,98 0,99 0,97 10 0,98 pH 5,2 5,1 5,0 5,1 17 0,98 5,1 21 0,99 4,7 26 0,98 4,6 Carica batterica totale Batteri lattici 5,4 x 106 ufc/g 6,9 x 107 ufc/g 2,2 x 108 ufc/g 1,0 x 108 ufc/g 2,9 x 107 ufc/g 9,3 x 107 ufc/g 1 x 107 ufc/g 3,4 x 106 ufc/g 6,3 x 107 ufc/g 1,7 x 108 ufc/g 4,8 x 107 ufc/g 2,5 x 107 ufc/g 7 x 107 ufc/g 4,4 x 107 ufc/g Tramezzini al prosciutto: dinamica di Listeria monocytogenes Listeria monocytogenes Lotto A 150 ufc/g 130 ufc/g 70 ufc/g 50 ufc/g 50 ufc/g 10 ufc/g 20 ufc/g Lotto B 130 ufc/g 170 ufc/g 150 ufc/g 100 ufc/g 110 ufc/g 50 ufc/g 70 ufc/g Lotto A Lotto C 2200 ufc/g 2100 ufc/g 1900 ufc/g 1700 ufc/g 1600 ufc/g 900 ufc/g 400 ufc/g 3,50 3,34 3,32 3 6 0,98 0,98 3,20 3,23 2,95 2,00 2,23 2,18 2,11 2,11 2,04 2,00 1,70 1,85 1,85 1,70 1,70 1,50 1,30 1,00 1,00 0,50 0,00 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 giorni di conservazione Figura 2 pH 5,0 5,1 5,0 10 0,98 5,1 17 0,98 5,1 21 0,98 5,1 26 0,97 5,1 Carica batterica totale Batteri lattici 5 x 103 ufc/g 6,2 x 103 ufc/g 6,6 x 103 ufc/g 6,5 x 104 ufc/g 2,3 x 106 ufc/g 2,6 x 106 ufc/g 10 x 106 ufc/g 8,4 x 103 ufc/g 3,7 x 103 ufc/g 2,1 x 104 ufc/g 5,5 x 104 ufc/g 1,9 x 105 ufc/g 1,8 x 106 ufc/g 7,6 x 106 ufc/g Tramezzini al tonno: dinamica di Listeria monocytogenes Listeria monocytogenes Lotto A 60 ufc/g 80 ufc/g 150 ufc/g 80 ufc/g 50 ufc/g 60 ufc/g 80 ufc/g Lotto B 130 ufc/g 400 ufc/g 120 ufc/g 80 ufc/g 100 ufc/g 140 ufc/g 90 ufc/g Lotto A Lotto B Lotto C 4,00 Lotto C 1500 ufc/g 2800 ufc/g 1500 ufc/g 1600 ufc/g 1800 ufc/g 1700 ufc/g 1100 ufc/g 3,50 3,45 3,26 3,20 3,18 3,23 3,18 3,04 3,00 2,60 2,50 log10 ufc/g Giorno 0,97 3,28 2,60 2,50 2,18 Tramezzini al tonno 0 Lotto C 3,00 Tabella 2 aw Lotto B 4,00 log10 ufc/g Giorno Tramezzini al prosciutto 2,18 2,15 2,11 2,00 1,78 2,00 1,90 1,95 1,90 2,08 1,90 1,90 1,78 1,70 1,50 1,00 0,50 0,00 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 giorni di conservazione 143 20 22 24 26 28 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 REGOLAMENTO (CE) 2073/2005 E INSACCATI FERMENTATI: RISULTATI PRELIMINARI DI CHALLENGE TEST PER LISTERIA MONOCYTOGENES SU COPPE STAGIONATE Comin D., Fornasiero E., Cocola F., Cassini S., Mioni R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Struttura Complesssa1- Microbiologia Alimentare – Legnaro (PD) Keywords: Listeria monocytogenes; challenge test; coppe ABSTRACT Challenge tests are the preferable instrument to study the behaviour of Listeria monocytogenes on ready to eat foods, according to Regulation (EC) 2073/2005. Challenge test with Listeria monocytogenes on seasoned napes, a kind of pork fermented sausages, showed, after two weeks of maturation of the product, a reduction of the listeria inoculated counts. Therefore, the tolerance limit of 100cfu/g of Listeria monocytogenes allowed by Regulation (EC) 2073/2005 seems to be enforceable to this particular kind of foodstuff. monocytogenes di campo, precedentemente isolati da matrici analoghe e conservati congelati su crio-bank. L’inoculo di contaminazione è stato depositato sulla superficie del taglio anatomico. Determinazioni analitiche Ciascuna serie di campioni è stata esaminata ai giorni 0, 2, 5, 10, 15, 30, 45 e 60. Ogni prelievo è stato esaminato per aw, pH, carica batterica totale, batteri lattici e ricerca quantitativa di L. monocytogenes. La numerazione di L. monocytogenes a 37°C è stata eseguita secondo la metodica ISO 112902:1998/Amd 1 2004; la determinazione della carica batterica totale è stata eseguita conformemente alla norma ISO 4833:2003; la numerazione dei batteri lattici è stata eseguita secondo un metodo interno. INTRODUZIONE L’industria salumiera nel nostro paese rappresenta un importante settore produttivo, caratterizzato da una notevole varietà di prodotti e da una molteplicità di produttori; le aziende sono prevalentemente di dimensioni medio-piccole, e gestiscono le fasi di lavorazione secondo protocolli, difficilmente standardizzabili, frutto delle proprie esperienze. Per questa tipologia di prodotti il Regolamento (CE) 2073/2005 (1) ammette dei limiti di tolleranza per Listeria monocytogenes fino ad una carica di 100 ufc/g su 5 unità campionarie, purché il prodotto non costituisca terreno favorevole allo sviluppo del patogeno (pH </= 4,4 o aw </= 0,92; pH </= 5 e aw </= 0,94) oppure a condizione che gli Operatori del Settore Alimentare (OSA) siano in grado di dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che questo limite non verrà superato per tutta la durata commerciale del prodotto, fino a scadenza. A tal fine, il Regolamento prevede che gli OSA si avvalgano di prove sperimentali, modelli matematici o dati di letteratura. Su richiesta di alcuni Operatori del Settore Alimentare (OSA) la Struttura Complessa 1 – Microbiologia Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ha avviato un’attività di ricerca finalizzata allo studio della dinamica di Listeria monocytogenes in diverse tipologie di prodotti “pronti per il consumo” tramite prove di contaminazione sperimentale (“challenge test”). La scelta preferenziale del challenge test deriva dal fatto che è l’unico strumento che consente di riprodurre lo specifico processo produttivo del singolo stabilimento, consentendo di ottenere informazioni reali sulla dinamica di Listeria monocytogenes in un determinato prodotto. Nel presente lavoro si riportano i risultati preliminari dei challenge test eseguiti su campioni di coppa stagionata, prodotta secondo gli standard di un salumificio industriale. RISULTATI Non sono stati dimostrati fenomeni di ricrescita di Listeria monocytogenes di rilievo, ad eccezione del lotto tre, nel quale si è verificata una leggera ricrescita nel corso della seconda settimana di maturazione del prodotto. In tutti i lotti si evidenzia una lenta ma progressiva tendenza ad una riduzione della carica di listeria presente, chiaramente evidente già 4 settimane dopo la produzione dell’insaccato. La riduzione dell’aw e l’acidificazione sono risultate modeste. Nelle Tabelle 1, 2 e 3 sono sintetizzati i risultati ottenuti rispettivamente per i lotti A-B-C; i grafici riportati nelle Figure 1, 2 e 3 visualizzano la dinamica di Listeria monocytogenes. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI In tutti i lotti si è verificata una lenta ma progressiva tendenza ad una riduzione della carica di listeria presente, chiaramente evidente già 4 settimane dopo la produzione dell’insaccato; la stagionatura della durata di 45 giorni normalmente seguita dalla ditta costituisce una garanzia per la tutela della salute dei consumatori. Dalle prove eseguite si desume che, anche qualora il prodotto immesso sul mercato fosse naturalmente contaminato da cariche di Listeria monocytogenes inferiori al limite di 100 ufc/g previsto dal Regolamento (CE) 2073/2005, non sono prevedibili, nelle normali condizioni di utilizzo, ulteriori aumenti delle cariche riscontrate che possano determinare un superamento del limite di legge. La dinamica di Listeria nei primi stadi di maturazione del salume e gli apparenti fenomeni di ricrescita del patogeno rilevati nei primi 15 giorni di maturazione possono essere spiegati dalla fase di crescita in cui si trova il ceppo prima di essere inoculato nel prodotto; le condizioni di pre-incubazione possono infatti influenzare la coltura batterica con la quale viene preparato l’inoculo. È stato osservato (2) che la temperatura di preincubazione influenza la durata della fase lag dei patogeni. La fase lag costituisce la fase in cui microrganismi trasferiti da un inoculum in un terreno fresco non aumentano subito di numero, ma anzi diminuiscono. Successivamente, dopo una fase di “adattamento” al substrato, si verifica una iniziale ricrescita del patogeno, che negli insaccati è seguita, per il prosieguo e fino al termine della stagionatura, da una graduale continua e progressiva diminuzione della carica. La riduzione della carica di Listeria monocytogenes è da attribuirsi ai particolari eventi che si realizzano nella matrice durante le fasi di sgocciolatura, asciugatura e stagionatura. Acidificazione, riduzione della disponibilità di acqua libera, sviluppo delle flore lattiche, produzione di acidi e batteriocine MATERIALI E METODI Preparazione e conservazione del prodotto La prova è stata condotta su tre distinti lotti di prodotto (lotti A, B e C) al fine di studiare il comportamento di Listeria monocytogenes in condizioni diverse. Per ciascun lotto, presso il Laboratorio sono state eseguite la contaminazione della materia prima fornita dal produttore, l’insaccatura con budelli di proprietà della ditta, l’asciugatura e la stagionatura in celle dedicate secondo i parametri industriali utilizzati. La carne suina è stata addizionata di destrosio, saccarosio, sale, pepe, spezie e aromi, antiossidante E300, conservanti E250 ed E252, colture starter. Contaminazione del prodotto Le tre serie di campioni (lotti A, B e C) sono state contaminate con cariche di listeria dell’ordine rispettivamente di 10, 102 e 103 ufc/g. Sono stati utilizzati ceppi di Listeria 144 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 da parte di queste ultime condizionano infatti la possibilità per Listeria monocytogenes di moltiplicarsi o di sopravvivere nel prodotto studiato. Le batteriocine sono sostanze di natura proteica di sintesi ribosomiale prodotte come metaboliti secondari dai batteri Gram positivi, capaci di uccidere o inibire lo sviluppo di altri batteri (3). L’uso di batteri lattici come starter è di notevole importanza nella produzione di salumi stagionati, in quanto, da un lato, producono batteriocine, dall’altro, in presenza di zuccheri fermentescibili, determinano un’acidificazione veloce ed efficace, limitando lo sviluppo delle flore alteranti e/o patogene per il consumatore. BIBLIOGRAFIA 1. Regolamento della Commissione 2073/2005/CE del 15 novembre 2005 - GU L 338 del 22/12/2005 2. Dufrenne J., Delfgou E., Ritmeester W., Notermans S., 1997. The effect previous growth conditions on the la phase of some foodborne pathogenica micro-organism. Int. J. Food Microbiol., 34:89-94. 3. Nes I.F., Diep D.B., Håvarstein L.S., Brurberg M.B., Eijsink V., Holo H., 1996. Biosynthesis of bacteriocins in lactic acid bacteria. Antonie van Leeuwenhoek 70: 113-128 Tabella 1 Figura 1 Giorno Coppe lotto A Aw pH Carica batterica totale ufc/g Coppe lotto A: dinamica di Listeria monocytogenes Batteri Lattici Listeria monocytogenes ufc/g Listeria monocytogenes 350 ufc/g 330 300 2 5 10 0,99 0,98 0,98 0,97 6,5 6,2 5,3 5,5 31x10 57x10 6 270x10 6 280x10 6 15 0,96 5,4 170x10 6 30 0,94 5,2 230x10 6 29x10 6 330 250 51x10 6 170 200 170x10 6 150x10 6 200 170x10 6 180 200x10 6 150 ufc/g 0 6 160 200 170 150 180 160 150 100 50 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 giorni Tabella 2 Figura 2 Coppe lotto B Batteri Lattici Listeria monocytogenes ufc/g ufc/g ufc/g Giorno Carica batterica totale Aw 0 0,99 6,2 20x10 2 0,99 6,5 180x10 6 5 0,97 5,6 240x10 6 150x10 10 0,97 5,7 210x10 6 15 0,96 5,2 210x10 5,4 160x10 30 0,93 6 Listeria monocytogenes 450 18x10 6 400 90x10 6 280 350 6 260 300 130x10 6 270 6 170x10 6 250 150 6 160x10 6 240 100 45 0,92 5,6 17x10 6 60 0,92 6,0 85x10 6 89x10 6 240 66x10 6 200 400 ufc/g pH Coppe lotto B: dinamica di Listeria monocytogenes 400 280 260 270 250 240 240 250 200 200 50 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 giorni Tabella 3 Figura 3 Coppe lotto C Batteri Lattici Listeria monocytogenes ufc/g ufc/g ufc/g Aw 0 0,98 5,8 130x10 2 0,98 6,2 51x10 5 0,97 5,7 660x10 6 270x10 6 200x10 6 10 15 30 45 60 0,95 0,97 0,94 0,92 0,92 pH 5,5 5,3 5,2 5,2 6,1 6 6 96x10 6 1400 49x10 6 800 6 800 170x10 6 1200 140x10 6 1400 180x10 6 160x10 6 100x10 6 6 180x10 6 110x10 6 Listeria monocytogenes 1600 1400 120x10 98x10 Coppe lotto C: dinamica di Listeria monocytogenes 1400 1400 1200 1200 1000 ufc/g Giorno Carica batterica totale 800 600 800 800 630 440 400 630 200 200 440 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 200 giorni 145 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BUFALINA IN PRODOTTI CARNEI MEDIANTE ANALISI MICROSATELLITARE Corrado F., Galiero G., Cutarelli A., Girardi S., Iovane G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno- Portici (NA) Keywords: Microsatelliti, Bufalo e Bovino Abstract In the last decades there is a growing attention of consumers towards food which is characterized by nutritional and organoleptic properties, healthiness and a clear production flow. The aim of this work was to develop a genetic traceability test in buffalo based on microsatellites. This genotyping method might help to guarantee the traceability of meat along the transformation process. Introduzione Negli ultimi tempi è sempre più grande l'attenzione dei consumatori verso alimenti che siano ben caratterizzati per quanto riguarda le proprietà nutrizionali ed organolettiche, la salubrità, oltre che la trasparenza della filiera di produzione. Lo sviluppo delle tecnologie di analisi del DNA ha permesso un notevole progresso nel settore della genetica animale, mettendo a disposizione gli strumenti per la caratterizzazione del genoma delle singole specie e per l'identificazione di geni con un effetto rilevante sulle produzioni zootecniche. La nascita di nuove metodologie di analisi e i progressi fatti in campo di biologia molecolare, genetica e biochimica, hanno permesso di dare uno slancio alle ricerche e di ampliare le conoscenze in questo settore, mutandone l'approccio allo studio. Si è passati dall'analisi fenotipica del prodotto genico, all'indagine a livello molecolare e dall'attenzione alla singola frazione proteica, allo studio dell'intero aplotipo. Attualmente, per quanto riguarda la specie bufalina (1), in letteratura sono disponibili informazioni relative a molte mutazioni già caratterizzate che hanno un effetto su caratteristiche produttive, riproduttive, di resistenza alle malattie e che causano difetti genetici. Molte altre informazioni relative a geni che influenzano i caratteri produttivi sono attualmente utilizzate, mediante test molecolari a livello del DNA, nella selezione dei riproduttori in modo da evitare l'utilizzo dei portatori di varianti non desiderate e per la scelta dei soggetti portatori di combinazioni geniche favorevoli. Oltre che per il miglioramento genetico degli animali di interesse zootecnico, la genetica molecolare offre gli strumenti per l'analisi di paternità e l'identificazione degli animali, aspetti che influenzano direttamente o indirettamente la selezione, ma che hanno anche importanti risvolti commerciali e applicazioni per la tracciabilità dei prodotti di origine animale (2). Le indagini effettuate sul DNA nucleare autosomico e sul cromosoma Y oggi disponibili, comprendono polimorfismi microsatelliti (Short Tandem Repeats, STRs) e polimorfismi di sequenza SNP (Single Nucleotide Polymorphism) (3). I microsatelliti, sono tratti del DNA caratterizzati da un numero variabile di ripetizioni di sequenze di 1-5 nucleotidi, sono altamente informativi grazie al loro elevato numero di alleli. In genere, i microsatelliti si trovano in regioni anonime del DNA, cioè regioni che non hanno una funzione nota. L'utilizzo di sequenziatori automatici per la loro analisi e l'impiego di software per l' interpretazione dei dati ha contribuito a fare dei microsatelliti i marcatori più utilizzati per la costruzione delle mappe genetiche e soprattutto per l'identificazione degli individui. Infatti, i sistemi utilizzati oggi a tali scopi, prevedono l'analisi di polimorfismi microsatelliti. Attualmente per le principali specie di interesse zootecnico, per la diagnosi di parentela si basa prevalentemente sull'analisi del DNA utilizzando i marcatori microsatelliti. In generale, per queste diagnosi, una serie di microsatelliti (di solito 9-12) è amplificata in multiplex ( utilizzando il DNA estratto dagli animali che si vogliono confrontare e i pattern elettroforetici dei singoli soggetti sono confrontati. L'utilizzo di un set di microsatelliti per ogni specie, composto da marcatori ciascuno dei quali con un elevato potere discriminante nelle popolazioni considerate, permette di ottenere un'elevata probabilità di esclusione di paternità. La specie bufalina riveste una notevole importanza nel settore agroalimentare e dato il vasto panorama delle indagini genetiche che si effettuano su di essa, si rende necessario sviluppare un metodo di elevata automazione per poter effettuare contemporaneamente: indagini di parentela; analisi dei polimorfismi di geni candidati coinvolti nella qualità dei prodotti agroalimentari, individuazione di mutazioni genetiche responsabili di malattie e identificazione genetica con l’utilizzo di microsatelliti. L'aumento delle conoscenze a livello del genoma e i progressi nell'ambito delle biotecnologie, ha permesso di considerare con più interesse i microsatelliti.in quanto sono ottimi marcatori L'analisi dei microsatelliti è utilizzata dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, e si basa sulla probabilità che due animali (non gemelli identici) scelti a caso nella popolazione possano presentare lo stesso genotipo per tutti i marcatori microsatelliti che costituiscono un particolare set o pannello utilizzato per l'analisi. Su questi principi si basa anche la tracciabilità della carne e dei prodotti di origine animale in generale. Utilizzando questi concetti, è possibile ritenere che, se diversi campioni biologici prelevati in momenti differenti della vita di un animale e successivamente, sulla carne al macello o al supermercato dopo la sezionatura dei vari tagli, presentano lo stesso identico profilo per il pannello di marcatori microsatelliti. Nel caso specifico, il pannello utilizzato nelle analisi di questi campioni dimostrerà l’appartenenza allo stesso animale, dichiarato in etichettatura, che può così essere identificato in modo molto preciso. Lo scopo del lavoro è stato quello di verificare se l’analisi microsatellitare ci consente di rilevare minime concentrazioni di carne bufalina in prodotti carnei. Materiali e Metodi I campioni sono stati analizzati contemporaneamente, secondo le indicazioni stabilite da Frezza et coll (4), e mediante analisi microsatellitare secondo le indicazioni stabilite da Moore et coll (2). I campioni, complessivamente 30, sono stati preparati miscelando muscolo bovino e bufalino in concentrazioni dello 0.1%, 1%, 5%, 30% e 50%. Il DNA dei campioni è stato estratto utilizzando l’Estrattore Applied Biosystem 6100 Nucleic Acid Prepstation, secondo il protocollo fornito dall’Applied Biosystem. L’estratto è stato amplificato contemporaneamente mediante PCR, per la specie bovina utilizzando la mix di primers riportata in tab.1 e per la specie bufalina utilizzando la mix di primers riportata in tab.2 (4). Le condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a 95° per 1 ciclo, seguito da 35 cicli a 94° per 30’’, 60° per 30’’ e 72° per 30’’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a 72° per 3’ (4). Mentre per la specie bufalina il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR utilizzando la mix di primers riportata in tab.2. Le condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a 95° per 1 ciclo, seguito da 35 cicli a 94° per 30’’, 60° per 1’ e 146 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 72° per 1’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a 72° per 5’ (5). Infine, per visualizzare gli amplificati, 10μl di ciascun DNA amplificato sono stati caricati su gel di agarosio al 2% contenente bromuro di etidio (1 μg ml-1) (Fig.1). Per l’analisi microsatellitare il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR-multiplex utilizzando i seguenti microsatelliti per la specie bufalina: MAF65 - INRA006- CSSM47CSSM19 -RM4- CSSM42 -CYP21 -D5S2 -BMC1013BM0922 -INRA026- CSSM60- CSSM 38- BM1706 (5). Mentre per la specie bovina sono stati utilizzati TGLA227, TGLA53, ETH03, ETH10, TGLA122, TGLA126, INRA023, SPS115, ETH225 e BMC2113 raccomandati dall’ ISAG (International Society for Animal Genetics). Le condizioni di amplificazioni sono state: denaturazione di 10’ a 95° oer 1 ciclo, seguito da 30 cicli a 95° per 15’’, 57° per1’ e 72° per1’. Lo step finale di estensione è stato eseguito a 72° per 10’.I prodotti della PCR sono stati poi, denaturati a 95° per 3’ con formammide ed analizzati mediante corsa elettroforetica ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems, USA), con l’utilizzo di un software Gene Mapper (ABI PRISM) che ha permesso di determinare gli alleli di riferimento che sono poi stati analizzati comparando i frammenti di DNA , le cui dimensioni vengono determinate per confronto con gli alleli presenti nello standard di pesi molecolari noti GeneScan-500 LIZ (Fig. 2 e Fig. 3). Risultati e Discussione L’analisi mediante PCR, ha consentito di determinare la quantità relativa delle carni bufalo e bovino in miscela nel limite di rivelazione dell’1%. Di contro, l’analisi microsatellitare ha consentito, invece, di determinare la presenza della specie bufalina e bovina fino a concentrazioni minime. Infatti, la lettura dei risultati è stata eseguita verificando l'altezza dei picchi dell'elettroferogramma, vale a dire dei microsatelliti, che dipende dall'intensità con cui il Dna riemette fotoni dopo la sollecitazione del laser. Tale intensità dipende a sua volta dal numero di molecole di Dna colpite dal laser, più molecole di Dna si troveranno sotto il laser in un dato istante, più alto sarà il picco di riemissione. La prova è stata considerata correttamente eseguita in quanto lo standard e i campioni hanno presentato tutti i picchi dei microsatelliti attesi, fino alla concentrazione di 0,1% di presenza. In conclusione, i dati ottenuti dimostrano che l'utilizzo di metodiche analitiche biomolecolari (Short Tandem Repeats) si presta ad essere uno strumento di controllo affidabile per la verifica del sistema di tracciabilità in ogni fase della filiera produttiva, con possibili vantaggi per tutte le figure coinvolte nella produzione, commercializzazione, distribuzione, somministrazione e controllo delle carni, in particolare modo quelle bufaline. Inoltre, la tecnica analitica innovativa quale l’analisi microsatellitare, offre la possibilità di ulteriori applicazioni, non strettamente collegate al controllo delle carni, ma anche alla tracciabilità degli animali, la loro identificazione, e, più in generale, alle gestione e controllo delle problematiche di sanità pubblica veterinaria nel settore zootecnico. 150 bp 1 2 34 Fig.1 Elettroforesi su gel di agarosio dei campioni di carne bovina 100% (lane 1) e bovina 1% (lane 2); bufalina 100% (lane 3) e bufalina 1% (lane 4). Fig.2 - Elettroferogramma che mostra la lettura del bufalo in concentranzione dello 0.1% Fig.3- Elettroferogramma che mostra la lettura del bovino in concentranzione dello 0.1% BIBLIOGRAFIA 1. Barker JSF, Moore SS, Hetzel DJS, Evans D, Tan SG, Byrne K, 1997. Genetic diversity of Asian water buffalo (Bubalus bubalis): microsatellite variation and a comparison with proteincoding loci. Anim Genet. 28:103-115.[ 2. Moore S, Byrne K, Berger KT, Barendse W, McCarthy F, Womack JE, Hetzel DJS, 1994. Characterization of 65 bovine microsatellites. Mamm Genome. 5:84-90. 3. Moore S, Evans D, Byrne K, 1995. A set of polymorphic DNA microsatellites useful in swamp and river buffalo. Anim Genet. 26:355-359. 4. Frezza D, Favaro M, Vaccari G, von-Holst C, Giambra V, Anklam E, Bove D, Battaglia PA, Agrimi U, Brambilla G, AjmoneMarsan P, Tartaglia M, 2003. A competitive polymerase chain reaction-based approach for the identification and semiquantification of mitochondrial DNA in differently heattreated bovine meat and bone meal. J Food Prot. 66(1):103-9 5. Blasi M., Lanza A. 2000. Parentage and identity testing by means of twelve microsatellites in dogs.Atti XXVII Conf. Minneapolis ISAG 002 103. Tab.1 Sequenze primers PCR 5’-CACAATCCAGAACTGACAC-3’ 3’-CATTTTGTTTCTCAAGGGGTG-3’ Specie bovina bovina Tab.2 Sequenze primers PCR 5’-GGCATATACTACGGATCATATACC-3’ 5’-AATTCATTCAACCAGACTTGTACCA-3’. Specie bufalina bufalina 147 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 1 POSITIVITA’ PER TAYLORELLA EQUIGENITALIS IN UN ALLEVAMENTO DEL VENETO Corrò M., 1Friso S., 1Perin R., 1Qualtieri K., 1Sturaro A., 2La Greca E., 3Donati V., 3Lorenzetti S. e 3Battisti A. 1 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Laboratorio Diagnostica Clinica, Legnaro, Padova; 2 Servizi Veterinari ULSS 6 Vicenza; Istituto Zooprofilattico Sperimentaledelle Regioni Lazio e Toscana, Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli equini, Roma Key words: Taylorella equigenitalis, identificazione, equini ABSTRACT Contagious equine metritis (CEM) is a sexually transmissible disease in horse. Generally, the clinical signs of disease in mares are not very severe, but they could be responsible for important economical loss in the international trade of horses. In this study, we describe a case of Taylorella equigenitalis in a seven-year-old Quarter Horse: it is the first case of positivity in an a-symptomatic male in Veneto Region." senza contatti diretti con gli altri animali presenti in allevamento. I dati raccolti nel corso dell’indagine epidemiologica e i risultati degli esami effettuati nell’ultimo anno sugli altri animali presenti in allevamento non hanno evidenziato problemi di ipofertilità nelle fattrici, né positività per la presenza del microrganismo negli altri stalloni. Come da procedura, i tamponi genitali dello stallone effettuati da prepuzio, fossetta uretrale ed uretra peniena, sono giunti al laboratorio in terreno di trasporto di Amies con carbone attivo entro 48 ore dal prelievo e conservati a temperatura di refrigerazione (4°C±3°C). Per l’esecuzione dell’esame colturale e l’identificazione delle colonie sospette si è seguita la procedura accreditata in uso presso l’Istituto, redatta secondo le indicazioni del Manuale OIE (9) e i protocolli operativi forniti dal Ministero della Salute e dal Centro di Referenza per le Malattie degli equini presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana. La semina è stata effettuata in un terreno di coltura selettivo (CEM agar) con supplementi nutritivi ed antibiotici per inibire in parte al crescita microbica contaminante. Le piastre sono 2 state incubate a 37°C±1°C in atmosfera arricchita con CO (5-10%). Le letture delle piastre sono state effettuate con cadenza giornaliera a partire dalla seconda giornata di incubazione (prima lettura a 48 ore). L’incubazione secondo la procedura viene protratta fino al decimo giorno in caso di negatività. Contemporaneamente ai campioni in esame e sullo stesso lotto di terreno è stato seminato il ceppo di referenza (Taylorella equigenitalis NTCC 11184), sia per garantire la produttività del terreno utilizzato e verificare le condizioni di crescita in atmosfera modificata, sia per confrontare le caratteristiche morfologiche delle colonie batteriche. La presenza di colonie sospette già evidente a 48 ore anche se di dimensioni molto piccole, si sono potute apprezzate chiaramente dopo il terzo giorno di incubazione: forma rotondeggiante, bordi regolari, superficie liscia ed opaca di colore grigio-giallastro, tendente al marrone. Dalle colonie sospette si sono preparate impronte su vetrino per la colorazione di Gram: Taylorella equigenitalis al microscopio si presenta come un coccobacillo gram negativo di piccole dimensioni (fino a 6 micron), con tendenza al pleomorfismo. Si sono inoltre effettuate subcolture in agar sangue per l’allestimento delle prove biochimiche e sierologiche. Le principali caratteristiche di Taylorella equigenitalis sono riportate nella tabella 1(7). INTRODUZIONE Taylorella equigenitalis è l’agente eziologico della metrite contagiosa equina (CEM), malattia contagiosa a trasmissione venerea responsabile di endometrite nella cavalla associata ad infiammazione di cervice e vagina con scolo mucopurulento di varia entità ed infertilità transitoria. Nella femmina la malattia con sintomatologia conclamata è, tuttavia, un evento raro grazie ai controlli sanitari effettuati sui riproduttori maschi e al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie di allevamento. Il maschio è il principale responsabile della trasmissione del patogeno. Ospita il microrganismo a livello genitale in assenza di sintomatologia clinica e la presenza di un’abbondante flora microbica saprofita nelle vie genitali esterne, contribuisce ulteriormente a celare la presenza del microrganismo se presente in bassa carica (2,3,4,6). Il genere Taylorella comprende attualmente due specie: T. equigenitalis segnalata per la prima volta da Taylor et al. nel 1978 come Haemophilus equigenitalis e successivamente collocata nell’attuale genere (Sugimoto et al. 1983) (8) e T. asinigenitalis isolata per la prima volta nel 2001 da un asino in assenza di sintomi clinici (5). Le due specie sono molto simili dal punto di vista colturale e biochimico tanto che per la loro differenziazione si ricorre a metodiche di biologia molecolare. Di quest’ultima specie non sono ancora completamente noti caratteristiche epidemiologiche ed eventuale ruolo patogeno per l’equino (1). Il laboratorio di Diagnostica Clinica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie effettua in media 400 esami/anno su tamponi prepuziali e uretrali di cavallo per la ricerca di Taylorella equigenitalis nell’ambito delle indagini previste per l’approvazione degli stalloni alla monta ed altrettanti esami batteriologici da tamponi uterini effettuati da fattrici con problemi di ipofertilità inviati dai veterinari che lavorano sul territorio. I controlli riguardano gli allevamenti con animali riproduttori e le stazioni di monta dislocati nel Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige). Tutti i campioni sono sempre risultati negativi per la ricerca di Taylorella equigenitalis, fino ad ottobre 2007 quando il microrganismo è stato isolato dai tamponi prepuziali ed uretrali di uno stallone sottoposto ad esame per l’iter di approvazione alla monta. Si tratta del primo isolamento segnalato nel Veneto. Tabella 1: principali caratteristiche colturali e biochimiche di T. equigenitalis. Colorazione di Gram Crescita 37°±1°C , 5-10% CO2 Crescita 37°±1°C in aerobiosi Catalasi (sol. 3%H2O2) Ossidasi (Bactident Oxidase-Merk) Fosfatasi alcalina Agglutinazione rapida Monotayl- Bionor MATERIALE E METODI L’animale risultato positivo, un Quarter Horse di sette anni originario degli Stati Uniti, era stato acquistato per la produzione di seme, ma non ancora utilizzato per tale scopo perché in attesa degli accertamenti veterinari necessari. Considerata la particolare attività cui l’animale era destinato, fin dal suo arrivo era stato allevato in box e paddock separati 148 Gram negativi positiva negativa positiva positiva positiva positiva X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RISULTATI Il ceppo batterico isolato, presuntivamente identificato come T. equigenitalis, è stato inviato al Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli equidi (CeRME) per la conferma. L’identificazione formale del microrganismo non è infatti ottenibile con metodi fenotipici né con metodi sierologici. Per l’identificazione definitiva dell’isolato il Centro di Referenza Nazionale ha effettuato le prove fenotipiche previste dallo Standard OIE (9) ed inoltre prove molecolari di consenso internazionale che oltre a confermare l’appartenenza del microrganismo al Genere Taylorella, sono in grado di distinguere Taylorella equigentitalis da Taylorella asinigenitalis. A seguito della segnalazione di positività all’ASL di competenza lo stallone è stato sottoposto a terapia locale e sistemica secondo le indicazioni fornite dal Centro di Referenza Nazionale. I tamponi genitali sono stati ripetuti più volte nel corso dei mesi successivi dopo ogni ciclo terapeutico e rispettando i tempi di sospensione necessari. Inizialmente si è avuta la negativizzazione dei soli tamponi prepuziali e persistenza del microrganismo in quelli effettuati a livello di uretra e fossetta uretrale: I° controllo effettuato dopo circa 2 mesi dall’ isolamento del patogeno e i successivi rispettivamente dopo 15 e 30 giorni. In realtà i primi interventi terapeutici non sono stati applicati correttamente fin dall’inizio. In mancanza di indicazioni precise è stata effettuata inizialmente solo la terapia locale: lavaggio dei genitali con sapone al 2% di clorexidina ed applicazione di pomata a base di nitrofurazone, che si è rivelata insufficiente per eliminare il microrganismo. Successivamente, grazie alle indicazioni fornite dal Centro di Referenza Nazionale, si è associata la terapia per via generale con la somministrazione di ampicillina, sulfamidici e trimethoprim per almeno nove giorni consecutivi. Il veterinario che segue l’animale, nel frattempo trasferito in una clinica per essere seguito più adeguatamente, ha riferito che i tamponi analizzati presso l’IZS competente per territorio si sono negativizzati solo dopo cinque mesi con la ripetizione di due cicli di terapia combinata locale e generale. inconvenienti a livello di scambi internazionali, con conseguenze di tipo economico (costi per terapia e mantenimento dei soggetti positivi, interruzione per lunghi periodi dell’attività riproduttiva, contenziosi per positività rilevate in altri Paesi in cavalli espatriati, ecc.) a cui si aggiunge il rischio di creare situazioni di endemicità per la presenza di soggetti portatori asintomatici sul territorio nazionale. Attualmente infatti la positività a Taylorella equigenitalis non è soggetta a denuncia obbligatoria sul territorio nazionale, a differenza di quanto avviene in altri Paesi (3,4), nonostante gli accurati controlli sanitari richiesti e le restrizioni imposte a livello internazionale in quanto malattia compresa nell’ex Lista B OIE. A tale proposito, nel corso del 2007 e del 2008 il Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini ha potuto confermare la presenza di T. equigenitalis in 7 stalloni nazionali, isolata e presuntivamente identificata presso i laboratori ufficiali degli IIZZSS. E’ molto sentita da parte dei veterinari che si occupano di equini e degli addetti al settore la necessità di avere, oltre a protocolli di screening e di terapia per l’eradicazione dell’infezione dai soggetti positivi, anche chiare disposizioni normative a livello nazionale. Tali disposizioni consentirebbero la segnalazione ufficiale all’autorità sanitaria dei soggetti positivi, l’espletamento dell’indagine epidemiologica (incluso tracing back), la corretta ed univoca applicazione delle misure igienico-sanitarie per i soggetti positivi o sospetti: in definitiva, un’adeguata gestione della sorveglianza e del controllo della malattia secondo gli standard sanitari internazionali. Bibliografia 1. Baverud V., Nystrom C., Johansson K.E. (2006) “Isolation and identification of Taylorella asinigenitalis from the genital tract of a stallion, first case of a natural infection” Vet. Microbiol. 116, 294-300. 2. Bleumink-Pluym N.M.C., Ter Laak E.A, Houwers D.J., Van Der Zeijst B. A.M. (1996) “Difference between Taylorella equigenitalis Strains in their Invasion of and Replication in Cultured Cells” Clinical and Diagnostic Laboratory Immunology, Jan. 3, 1, 47-50. 3. Engvall A., Olsson E., Bleumink-Pluym N., Ter Laak E.A., Van Der Zeijst A.M.B. (1992) “Epidemiology and control of contagious equine metritis in Sweden. .................... 4. Jackson G., Heath P. (2006) “Survey for Taylorella species in UK” Vet. Record, Dec. 9, 823-824. 5. Jang S.S., Donahue J.M., Arata A.B., Goris S., Hansen L.M., Earley D.L., Vandamme P.A.R., Timoney P.J., Hirsh D.C. (2001) “Taylorella asinigenitalis sp nov, a bacterium isolated from the genital tract of male donkeys (Equus asinus)”. Int. J. of Systematic and Evolutionary Microbiology. 51, 971-976. 6. Katz J.B., Evans L.E., Hutto D.L., Schroeder-Tucker L.c., Carw A.M., Dunahue J.M., Hirsh D.C. (2000) “Clinical, Bacteriologic, serologic, ando pathologic features of infections with atypical Taylorella equigenitalis in mares”. J. of the Am. Vet. Med. Association. 216, 1945-1948. 7. Quinn P.J., Carter M.E. et Al. (1994) “Clinical Veterinary Microbiology”. Wolfe Ed., 178-179. 8. Sugimoto C., Isayama Y., Sakazaki R., Kuramochi S. (1983) “Transfer of Haemophilus equigenitalis Taylor et al. 1978 to the genus Taylorella gen. nov. as Taylorella equigenitalis comb. nov.” Curr. Microbiol., 9, 155-162.] 9. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals OIE 2008, Parte Seconda, Sezione 2.5, Capitolo 2.5.2. (WEB version). DISCUSSIONE/CONCLUSIONI L’esperienza maturata in questa occasione ha permesso di ribadire l’importanza fondamentale, per l’isolamento di Taylorella equigenitalis, dell’applicazione di corrette modalità di prelievo e di conservazione dei campioni fino all’arrivo al laboratorio. In particolare la necessità di inviare i tamponi in idonei terreni di trasporto e di farli pervenire al laboratorio entro massimo 48 ore dal prelievo. Taylorella equigenitalis è infatti particolarmente sensibile all’azione degli UV, inoltre una scorretta conservazione del campione favorisce la proliferazione della flora microbica saprofita, particolarmente abbondante a livello di genitali esterni, che può compromettere il successivo isolamento del microrganismo, caratterizzato da crescita lenta nei terreni di coltura. La corretta distribuzione dell’inoculo e l’utilizzo di specifici terreni di coltura (9), garantiscono un’azione eugonizzante per l’agente patogeno e una migliore azione inibente del terreno contro la flora microbica contaminante durante i primi giorni di incubazione, permettendo in questo modo di rilevare la presenza del microrganismo anche se presente in bassa carica. Si è potuto inoltre constatare la difficoltà di aggredire ed eliminare il microrganismo dalle vie genitali esterne nei soggetti portatori qualora non vengano applicati in modo corretto i protocolli terapeutici necessari. Sebbene la manifestazione clinica attualmente più frequente nelle fattrici non sia particolarmente severa, la colonizzazione e l’infezione negli equini crea comunque notevoli 149 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 LA PREPARAZIONE DEI LABORATORI DIAGNOSTICI IN CASO DI EMERGENZE VETERINARIE 1 Dalla Pozza M. 1, Ceolin C. 1, Marangon S. 2 Centro Regionale di Epidemiologia Veterinaria (CREV) – Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) Key words: Veterinary emergency - Laboratory contingency planning Summary In order to adequately and efficiently handle outbreaks of contagious diseases competent veterinary authorities, including veterinary laboratories, have to be well prepared and should have functioning contingency plans available. Laboratory contingency planning (LCP) is designed to mitigate the risk of system breakdown and service unavailability in case of a crises. It is a means to ensure that the laboratory is able to operate effectively and without excessive interruption or delay during an emergency situation. Furthermore it allows a laboratory to guarantee that the necessary quality standards will also be met in a crises and serves as a reference manual to all the (laboratory) personnel. This paper describes the methodology adopted by the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie in order to prepare a LCP and the preliminary results related to the implementation of procedures to support competent veterinary authority at farm level for the clinical – anatomopathological and diagnostic approach in case of an OIE listed disease. valutate le basi normative e procedurali di supporto per la stesura del piano ed in particolare i piani di emergenza nazionali sulle malattie infettive e diffusive, le linee guida/piani di intervento approvati da organismi nazionali/internazionali (Ministero Salute/UE/OIE); il sistema qualità dell’IZSVE; il sistema informativo per la trasmissione periodica dei dati fra le componenti del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) coinvolte nella gestione di un emergenza epidemica. Per la realizzazione del PEL è stato predisposto uno studio di fattibilità rappresentato da uno schema operativo per l’individuazione delle aree di intervento, delle risorse e delle procedure da adottare per ottimizzare la risposta dell’IZSVE a situazioni di emergenza, con il fine ultimo di garantire una diagnosi rapida ed un supporto efficiente all’utenza sia da un punto di vista diagnostico che epidemiologico. Lo studio di fattibilità è stato delineato per la gestione, in via prioritaria, di emergenze epidemiche. E’ prevista dallo studio una preliminare valutazione degli assetti organizzativi, delle dotazioni e delle procedure dell’IZSVE in situazioni di normalità per stimare le risorse necessarie in situazione di “crisi” (personale, attrezzature, materiali, approvvigionamento reagenti, protocolli operativi, training). Una volta valutato lo stato dell’arte e stimate le risorse supplementari necessarie in situazioni di emergenza, deve essere programmata l’attuazione di procedure ad hoc per la gestione delle attività in emergenza, sotto i profili organizzativo (personale coinvolto), infrastrutturale (spazi, attrezzature, materiali), procedurale (protocolli operativi specifici per le diverse situazioni di emergenza) e informativo. 1. Introduzione Le emergenze veterinarie sono situazioni che compromettono la sicurezza e la salute degli animali e dei loro prodotti lungo tutta la filiera alimentare. Le risposte in tali situazioni dipendono dall’organizzazione dei servizi veterinari, ai diversi livelli, in tempo di pace. Prerequisito essenziale per intervenire in modo efficace è la predisposizione dei piani di emergenza, previsti dalle normative comunitarie che regolamentano l’eradicazione delle malattie infettive e diffusive quali ad esempio le pesti suine e l’influenza aviaria (1). Detti piani prevedono l’acquisizione di informazioni dettagliate sul patrimonio zootecnico, sulle risorse disponibili per affrontare un’emergenza, la stesura di procedure operative per la gestione delle emergenze e la preparazione dei servizi veterinari ad intervenire in modo tempestivo ed efficace. I laboratori diagnostici costituiscono parte integrante del sistema di intervento in caso di emergenza. E’ quindi essenziale individuare, anche per essi, le strategie organizzative ed operative per permettere che il servizio diagnostico venga garantito in modo efficiente anche in tali situazioni, che possono richiedere uno spiegamento di risorse umane e materiali al di sopra dei normali livelli d’intervento (2). Ad oggi sono disponibili a livello internazionale poche informazioni circa le modalità di preparazione dei piani di emergenza per i laboratori. Scopo del presente lavoro è quello di illustrare l’approccio operativo adottato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVE) per l’implementazione di un Piano di Emergenza di Laboratorio (PEL) ed i risultati preliminari raggiunti, che riguardano la predisposizione di procedure a supporto dei servizi veterinari territoriali sul campo, per un corretto approccio diagnostico per la conferma di un sospetto di malattia infettiva e diffusiva. 3. Risultati Fra le attività realizzate in via prioritaria nell’ambito del PEL sono state individuate le risorse materiali e procedurali necessarie per garantire un efficiente supporto diagnostico ed epidemiologico di campo ai servizi veterinari delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), in caso di sospetto di malattie infettive e diffusive, come previsto dalle vigenti normative sull’eradicazione delle stesse. E’ stato pertanto fornito a tutte le sedi periferiche dell’IZSVE ed alla sede centrale un kit di pronto intervento per l’esecuzione dell’indagine clinica e il prelievo di idonei campioni. E’ stato inoltre elaborato un manuale di pronto intervento contenente le procedure da adottare sul campo in caso di malattie della lista OIE (Afta Epizootica, Malattia vescicolare del suino, Pesti Suine, Influenza Aviaria, Malattia di Newcastle, Blue Tongue, West Nile Disease). Tale manuale comprende, per ciascuna di esse, una descrizione delle caratteristiche generali della malattia e delle forme cliniche (con materiale fotografico su supporto digitale); la descrizione dell’approccio diagnostico (modalità di campionamento, confezionamento e conservazione dei campioni e gli accertamenti diagnostici da effettuare); il sistema informativo (modulistica ufficiale da utilizzare nelle diverse situazioni e modalità di trasferimento dei dati ); i flussi informativi fra laboratori all’interno dell’IZSVE e di quelli fra IZSVE e i Centri di Referenza nazionali per la conferma di diagnosi. Inoltre ricomprende i riferimenti normativi e gli adempimenti degli Istituti Zooprofilattici nelle fasi di sospetto e conferma di malattia infettiva e un elenco dei contatti utili (numeri telefonici ASL, IIZZSS, Centri di Referenza) di cui disporre in caso di emergenza. 2. Materiali e metodi E’ stato preliminarmente creato un gruppo di lavoro con la finalità di esaminare le esperienze pregresse in cui l’IZSVE è stato coinvolto nella gestione di situazioni di emergenza ed individuare le priorità operative per la stesura del PEL. Con riferimento alla gestione di emergenze epidemiche sono state 150 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 nell’esecuzione di sopralluoghi in caso di sospetta malattia infettiva e diffusiva, per l’esecuzione del campionamento e della diagnosi. Le procedure predisposte per la gestione delle principali malattie infettive e diffusive hanno tenuto in considerazione gli adempimenti previsti dalle rispettive normative di riferimento oltre che dai manuali operativi redatti dai relativi centri di referenza nazionali, sia in relazione alle attività da svolgere che alla gestione del sistema informativo. L’adozione di tali procedure, supportata dall’attività di formazione effettuata sul loro utilizzo, unitamente alla messa in atto del servizio di pronta disponibilità nei giorni festivi e prefestivi, dovrebbero garantire un efficiente supporto ai servizi veterinari ufficiali delle ASL e migliorate il flusso informativo all'interno dell'istituto e fra lo stesso ed i Centri di referenza Nazionali e le altre componenti del SSN in caso di emergenza. Ulteriori attività programmate nell’ambito della realizzazione del PEL riguarderanno, per ogni malattia infettiva, la predisposizione di un documento di analisi delle diverse fasi dell’ intervento, delle strutture IZSVE coinvolte sia da un punto di vista diagnostico che epidemiologico, identificando in quali fasi dell’emergenza entrano in attività. Per ciascuna di esse quali sono le prestazioni richieste e conseguentemente quali possono essere le procedure da elaborare in risposta all’emergenza nelle sue fasi e rispetto a possibili diversi scenari. Fondamentale sarà inoltre la messa a punto di procedure di mobilità del personale fra laboratori dell’IZSVE e di pronta disponibilità al servizio in orario extranormale, oltre quelle di acquisizione di materiali /reagenti in situazioni di emergenza. La formazione del personale e la pianificazione di esercizi di simulazione di laboratorio finalizzati a testare il sistema organizzativo costituiranno parte integrante della realizzazione del piano. Con l’obiettivo di garantire il necessario supporto tecnicoscientifico e diagnostico all’utenza dell’IZSVE in caso di eventi improvvisi è stato inoltre istituito un servizio di pronta disponibilità anche durante i giorni festivi e prefestivi, che coinvolge il personale dirigente sanitario e veterinario. Sono inoltre stati realizzati specifici percorsi di aggiornamento sulla gestione delle emergenze epidemiche e sulle procedure sopradescritte. 4. Discussione La possibilità di successo nell’eradicazione di una malattia infettiva e diffusiva è legata alla rapidità di intervento e conseguentemente alla realizzazione di una diagnosi precoce. I laboratori diagnostici devono quindi dotarsi di piani d’intervento finalizzati a garantire un tempestivo supporto tecnico-scientifico e diagnostico nelle prime fasi di un’epidemia e ad evitare un possibile tracollo del sistema organizzativo in situazioni di crisi, che può comportare un ritardo nella diagnosi e una ridotta attendibilità dei risultati. Il PEL costituisce un mezzo per garantire di operare in modo efficiente e senza ritardi, oltre secondo standard qualitativi anche in situazioni di crisi (3). Deve comprendere informazioni precise sulla catena di comando all’interno del laboratorio in relazione alla gestione dei campioni (dal momento della consegna alla loro processazione) e alla comunicazione dei risultati analitici ed epidemiologici; inoltre precise procedure operative da adottare da parte degli operatori (veterinari, personale tecnico ed amministrativo) nelle diverse fasi di intervento, con descrizione precisa dei compiti ai diversi livelli. Le priorità di intervento individuate per la predisposizione del PEL dell'’IZSVE hanno riguardato il supporto operativo sul campo ai veterinari ufficiali Bibliografia 1)OIE, 2007: OIE web site. World animal health situation – Disease Emergency Preparedness. http://www.oie.int/eng/info/en_prepaurgence.htm?eld5. 2) De Smit A.J., Eble P.L., de Kluijver E.P., Bloemraad M. & Bouma A. (1999). – Laboratory decision-making during the classical swine fever epidemic of 1997-1998 in the Netherlands. Prev. vet. Med., 42 (3-4), 185-199. 3)Koenen F., Uttenthal Å. & Meindl-Böhmer A. 2007. Real-time laboratory exercises to test contingency plans for classical swine fever:experiences from two national laboratories. Rev. sci. tech. Off. Int. Epiz. 2007, 26 3, 629-638 151 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 METODI DIAGNOSTICI E SUSCETTIBILITÀ GENETICA NELLA PARATUBERCOLOSI DEGLI OVINI De Grossi L. 1, Gelli A. 1, Pifferi A. 1, Giordani F. 1, De Sanctis B. 2, Scorsino G. 3, , Pariset L. 3, Sezzi E. 1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana; Professional; 3 Dipartimento di Produzioni Animali, Università della Tuscia, Viterbo Keywords: Paratuberculosis, sheep, genes. Summary: In this study are compared different diagnostic tests about Paratuberculosis in sheep and are searched the polymorphisms in NRAMP1 AND CARD15/NOD2 genes that could be associated whith the development of paratuberculosis. The results suggest that: on milk shows a sensitivity lower then ; PCR analysis shows a lower sensitivity then Elisa on serum. No significant associations are found between SNPs in CARD15 gene. INTRODUZIONE Molti aspetti dell’infezione causata da M. paratuberculosis sono simili nelle varie specie di ruminanti , ma le performances e le interpretazioni dei test diagnostici possono differire tra specie diverse, come bovino , ovino e caprino. Inoltre restano ancora da approfondire gli aspetti relativi alla genetica per ciò che riguarda la suscettibilità/resistenza a questa malattia. I Mycobacteri sono stati comunemente ritrovati sia nel suolo che nell’acqua, questa ubiquità, rapportata con la relativamente bassa prevalenza della malattia, fa pensare che ci siano dei fattori determinanti o predisponenti nei confronti della paratubercolosi, come i fattori genetici. Due, tra i geni studiati, sembra che abbiano una maggiore influenza per la suscettibilità ai Mycobacteri in molte specie incluso topo e uomo, NRAMP1 e CARD15/NOD2 . Tabella 2. ELISA: allevamenti 1 2 3 4 Milk vs. Serum + ELISAverification + ELISAmilk 20 41 2 27 8 22 2 6 %+ milk vs. + serum 40% 54% 100% 22% 90 38 42% Totali e medie PCR Sono state raccolte feci dalle pecore positive e analizzate tramite PCR utilizzando la specifica sequenza d’inserzione IS900 seguendo il protocollo indicato. L’estrazione è stata eseguita tramite Qiamp DNA minikit ( Qiagen) in accordo al protocollo indicato. I risultati sono riportati in Tab.3 Perciò gli autori si prefiggono due obiettivi: 1) Comparare differenti tests diagnostici negli ovini; 2) Identificare polimorfismi nei geni NRAMP1 e CARD15/NOD2 degli ovini che potrebbero essere associati con lo sviluppo della paratubercolosi. Tabella 3. MATERIALI E METODI allevamenti PCRvs. ELISA +ELISA +PCR %PCRvs. ELISA Dati Sierologici 1 20 4 20% 2 41 7 17% Sono stati analizzati 1720 capi adulti di pecora di razza sarda provenienti da 4 allevamenti tramite il test ELISA, prima effettuando uno screening ( Tab. 1) e poi il verification sui sieri e sul latte dei capi positivi per confermare i risultati( Tab 2). E’ stato usato un kit commerciale (Institut Pourquier) 3 2 0 0% 4 27 2 7% 90 13 14% Tabella1. SieroELISAtest : allevamenti 1 2 3 4 Totali e medie ANALISI GENETICHE Analisi genetiche sono state condotte su 31 pecore (18 infette and 13 sane), ricercando, con metodi standard polimorfismi collegati alla suscettibilità o predisposizione genetica alla paratuberculosi negli ovini. I primers per sequenziale CARD 15, non pubblicato sugli ovini, è stato disegnato sulla base delle sequenze disponibili in GenBank do Bos Taurus E’ Stato sequenziato esone 1 (901 pb) ed esone 2 (486bp) di NRAMP1 e non è risultato nessuno SNPs. Nel CARD 15 è stato sequenziato esone 1 (270bp), esone 2 (500 bp) , esone 3 (235 bp), esone 4 (2000 pb), esone 11(120 pb) e introne 1-2 (1008 pb) introne 5-6 (300 pb) e il promotore della regione (541 pb). Gli esoni 1, 2 e 11 erano monomorfici come anche l’ introne 1-2. ScreeningeVerification Totali pecore +screening 502 33 703 86 286 7 229 41 1720 Totali e medie 167 +verification %verif. Vs. screen %Pos. 20 60% 3.9% 41 47% 5.8% 2 28% 0.7% 27 65% 11.0% 90 54% 5.2% 152 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Tabella4 Gene RISULTATI E CONCLUSIONI Dati sierologici Resultatidelleanalisi genetiche Esone monomorfico NRAMP1 1-2 CARD15 1-2-3 Introne monomorfico Esone Polimorfico 1-2 Introne Polimorfico 4 Dai nostri risultati la sieroprevalenza nei greggi andava dal 0,7% to 11% con una media di 5,23. Il 54% degli animali sieropositivi erano positivi anche all’ ELISA sul latte, mostrando una sensibilità molto bassa della prova, dato che la sensibilità del test ELISA sul siero si attesta intorno al 45%. Gli individui che mostravano un più alto valore di S/P erano più frequentemente positivi a d entrambi I test. Questo conferma che il valore S/P Elisa è un utile strumento nella diagnosi e controllo della paratuberculosi, particolarmente nei casi subclinici. Il test ELISA nel latte può essere usato solo per cercare la presenza dell’infezione in un allevamento, da campioni individuali. PCR feci Le analisi delle feci in PCR hanno confermato come positivi solo l’14% dei campioni . Questa bassa sensibilità può essere dovuta al recupero di una scarsa quantità di DNA, specialmente in campioni complessi come le feci, al metodo d’estrazione , alla presenza di low shedding o alla presenza di costituenti fecali inibitori della PCR. Aspetti genetici La sequenza dell’esone 4 e dell’esone 2 sono state pubblicate nel database Gene Bank (Number of accession EF141018). Esone 1 ed esone 2 di NRAMP1 e esone 1, 2 e introne 1, 2 di CARD 15 erano monomorfiche alle analisi eseguite. Esone 4 e introne 5, 6 risultarono polimorfiche mostrando diverse frequenze stimate. I dati sono stati analizzati con il test Ȥ2. Fino ad ora non sono state trovate associazioni significative tra le variazione nel CARD15 e lo stato di malattia. Ulteriori studi sono necessari per investigare su una più larga corte di animali infetti e controlli. 5-6 Tabella 5 SNPs and Frequenze in esone 4 di CARD15 Alleli C C/T T Frequenza Controlli 9 2 1 39% Infetti 10 7 2 61% Frequenza 61% 29% 10% P-value Contingency coefficient Chi-square DF 0.43 0.23 1.668 2 Tabella6 SNPs e Frequenze nell’ introne 5-6 di CARD1 Alleli A A/G G Frequenza P-value Contingencycoefficient Chi-square DF Controlli 2 7 2 37% Infetti 8 9 2 63% Frequenza 33% 53% 14% 0.40 0.24 1.848 2 Bibliografia Bartels, C.J. van Maanen,C., van der Meulen, A.M.,Dijkstra,T.,Wouda, W.,2005. Evaluation of three enzyme-linked immunosorbent assays for detectin to Neospora caninum in bulk milk. Vet. Parasitol. 131, 235-246 Beyerbach, M., Ortmann, G., Gerlach, G.F., Homuth, M., Strutzberg, K., Kreienbrock, L., 2004-Considerations concerning diagnostic certainties and cut-off values for a bulk milk ELISA for Mycobacterium avium ssp. Paratuberculosis. Dtsch. 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Nineteen strains of Paenibacillus larvae isolated by Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZSLT) have been biochemically characterized with API® 50CH system. All the 19 assayed strains (100%) were: catalase negative, showed idrolysis of gelatine and negative reaction with galactose and with salicine. Eighteen (95%) of the stains showed positive reaction with D-glucose and with N-acetylglucosamine, while showed negative reaction with: D-fructose, D-tagatose, D-maltose, D-sucrose and potassium gluconate. Seventeen (89%) of the strains showed positive reaction with nitrate, trehalose and glycerol. Variable results were observed with D-mannose (68% of negative reaction), ribose (63% positive) and 5ketogluconate (58% negative). Risultati e discussione I risultati sono riportati nella tabella 1. Tutti (100%) i 19 ceppi testati sono risultati catalasi negativi, hanno manifestato capacità di dare idrolisi della gelatina e non hanno reagito nè con il galattosio, nè con la salicina. Diciotto (95%) sui 19 ceppi testati hanno reagito positivamente (con produzione di acido) nei confronti del D-glucosio e della N-acetillglucosamina, mentre hanno manifestato reazione negativa nei confronti del: D-fruttosio, D-tagatosio, D-maltosio, D-saccarosio e del gluconato di potassio. Diciassette (89%) ceppi hanno ridotto i nitrati a nitriti ed hanno reagito positivamente con il trealosio ed il glicerolo. Variabili, infine, le reazioni nei confronti del D-mannosio (68% negative), del ribosio (63% positive) e del 5-ketogluconato (58% negative). Nessun ceppo, in accordo a quanto riportato dalla bibliografia esistente è stato in grado di acidificare lo xilosio (4, 9), né il mannitolo (2, 4). A tutt’oggi il sistema API® 50CH si rivela uno strumento utile nel caratterizzare dal punto di vista biochimico i diversi diversi ceppi di Paenibacillus larvae; tale strumento, inoltre, come rivela questo lavoro, potrebbe essere oggetto di ulteriori studi rispetto alle possibili risposte che possono essere fornite dai diversi ceppi dell’agente responsabile della peste americana delle api. Introduzione Il Paenibacillus larvae è l’agente eziologico responsabile della peste americana, la più grave e diffusa patologia batterica dell’ape mellifera (Apis mellifera L.). L’infezione interessa gli stadi larvali dell’ape e viene facilmente trasmessa attraverso le spore del batterio (5). Nel presente lavoro sono stati caratterizzati dal punto di vista biochimico, utilizzando il sistema API® 50CH, 19 ceppi batterici di Paenibacillus larvae provenienti da diversi focolai di peste (tabella 1). Riferimenti bibliografici 1. Alippi AM (1992). 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Ciascun ceppo batterico è stato seminato in Tryptone Soya Yeast Extract Broth (TSYEB) ed incubato in aerobiosi per 72h a 37°C±1°C. Da ogni brodocoltura sono stati quindi prelevati 100 ȝl che sono stati spatolati su JAgar con aggiunta di acido nalidixico (10). Le piastre seminate sono state poste in giara ed incubate per 96h a 37°C±1°C in microaerofilia. Le colonie di ogni ceppo batterico isolate su J-Agar con acido nalidixico sono state riprese e messe in sospensione nel terreno API® 50 CHB/E Medium fino ad ottenere una opacità uguale al punto 2 Mc Farland. La sopsensione ottenuta è stata distribuita nella galleria API® 50 CH e messa ad incubare in termostato con microaerofilia a 37°C ±1°C. La lettura delle gallerie è stata effettuata dopo 48h, considerando positive le provette in cui c’è stata l’acidificazione del rosso fenolo (viraggio dal rosso al giallo) ed il viraggio dal rosso al nero per il test dell’esculina. 154 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 N° criobank IZSLT Provenienza 21 24 31 Viterbo Frosinone Roma 72 98 119 135 137 164 167 171 173 178 179 180 181 155 28 174 Acquapendente (VT) Roma Viterbo Roma Roma Scandriglia (RI) La Storta (RM) S. Marinella (RM) Viterbo Pomezia (RM) S. Lorenzo Nuovo (VT) Viterbo Str. Certosa (SI) Alberobello (Ba) Mecho (Argentina) Gent (Belgio) Glycerol Ribose Galactose D-Glucose ND-Fructose D-Mannose Acetylglucos Salicin Trehalose D-Tagatose 5-Ketogluconate Nitrate Gelatin D-maltose D-Sucrose amine Potassium gluconate pos pos pos pos neg pos neg neg neg pos pos pos neg neg neg Pos Neg Pos pos pos pos neg neg neg pos neg pos neg neg neg pos neg pos neg pos pos pos pos pos neg neg neg neg neg neg neg neg neg pos neg neg pos neg neg pos neg pos neg pos pos pos neg neg neg pos pos pos pos neg neg neg pos neg neg neg neg pos pos pos pos neg neg pos neg pos neg neg neg pos pos pos pos neg neg neg neg pos pos pos pos neg neg neg neg neg pos neg neg pos pos pos pos pos pos pos pos neg neg pos neg neg neg pos neg neg neg neg neg pos pos neg pos neg pos pos neg pos neg pos pos pos neg neg neg pos pos neg pos neg neg pos neg pos neg neg pos pos neg neg neg pos pos neg neg neg neg pos neg pos neg neg pos pos neg neg neg pos pos neg pos neg neg pos pos neg neg neg neg pos pos neg neg pos pos neg neg pos neg pos pos pos pos neg neg neg neg neg neg pos pos neg pos neg neg pos neg pos neg pos pos pos neg neg neg pos pos neg pos neg neg neg neg pos neg neg pos pos neg neg pos pos pos neg pos neg neg pos neg pos neg neg pos pos neg neg neg pos pos neg pos neg pos pos neg neg neg neg pos pos neg neg neg neg neg neg pos neg neg pos neg pos neg neg pos pos neg neg neg neg pos neg pos neg pos pos neg pos pos pos neg pos neg neg neg 155 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 GENI CODIFICANTI PER FATTORI DI PATOGENICITA’, ANTIBIOTICO RESISTENZA E BIOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA CONIGLI DA ALLEVAMENTI INTENSIVI DEL CENTRO ITALIA Dettori A., D’Angelo G., Grelloni, V., Mangili P.M., Maresca C., Pezzotti G. , Sebastiani C., Magistrali C. F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Key words: E.coli, coniglio, biotipo, antibiotico-resistenza Summary diarrea nei conigli svezzati (Marchès O. et al, 1999). I geni codificanti per i fattori di patogenicità (eae, AF/R1, AF/R2) sono stati identificati mediante multiplex-PCR (Gannon et al, 1993, Penteado A.S. et al, 2002). E’ stata valutata inoltre la sensibilità agli antimicrobici secondo quanto indicato dalle norme CLSI M31-A2. Gli antibiotici testati sono stati i seguenti: acido nalidixico (Na), aminosidina (An), apramicina (Apr), colistina (Ct), enrofloxacin (Enr), flumequina (Ub), gentamicina (Cn), kanamicina (K), neomicina (N), sulfametossazolo+trimethoprim (Sxt), tetraciclina (Te). Escherichia coli has been isolated from healthy and diarrhoeic rabbits in 21 farms in central Italy. The isolates (#111) have been biotyped and tested for antibiotic sensitivity. In addition, the presence of virulence genes (eae, AF/R1, AF/R2) has been investigated through PCR. The biotypes B30 and B28 were mostly identified (53% of the isolates). All the strains showing the gene AF/R2 were also positive for the eae gene demonstrating a potential pathogenicity. On the other hand, there were no isolates with AF/R1 gene, confirming the low frequency of these strains in the Italian farms. No strains were colistin resistance, while common resistance to quinolones, aminoglycosides and sulfonamides was recorded, similarly to what described in other intensively reared animal species. Risultati Il numero dei campioni positivi è stato 111 su un totale di 210 campioni testati. In 20 aziende su 21 esaminate è stato isolato almeno un ceppo di E. coli. 2 allevamenti su 21 hanno segnalato la comparsa di diarrea nel post-svezzamento nella settimana precedente il campionamento. Dei 111 ceppi di E. coli, i dati riguardanti la tipizzazione biochimica sono stati i seguenti: il biotipo B30 è stato isolato in 37/111 (32%); 22/111 (19%) appartenevano al biotipo B28; 7/111 (6%) a B19 e B20; 6/111 (5%) a B27; 5/111 (5%) a B16, B18, B22, B26. 4/111 (4%) a B31; 3/111 (3%) a B23 e 1/111 (1%) a B4, B25, B29 (Grafico 1). 11 ceppi su 111 hanno fornito esito positivo con l’antisiero O 103. La tipizzazione dei geni codificanti per i fattori di virulenza ha evidenziato la presenza del gene AF/R2 in 19 ceppi, mentre il gene AF/R1 non è mai stato riscontrato; il gene eae è stato isolato in 31/111 ceppi. Tutti i 19 ceppi positivi ad AF/R2 presentavano anche il gene eae ed appartenevano ai biotipi B30 (n=4), B28 (n=8), B22 (n=1), B20 (n=3), B16 (n=2), B4 (n=1). L’associazione tra l’appartenenza ai diversi biotipi e la presenza di geni codificanti per i diversi fattori di patogenicità, nonché l’antigene O103, relativamente ai biotipi rappresentati da almeno 5 ceppi, è indicata in tabella 1. Un solo ceppo B4 ramnosio negativo è risultato essere positivo per entrambi i geni di virulenza e per l’O103 questo ceppo è stato isolato in un allevamento in cui non si era osservata la presenza di diarrea nel corso della settimana precedente. In tutte e due le aziende con anamnesi positiva per diarrea è stato isolato un ceppo di E.coli eae e AF/R2 positivo. Per quanto riguarda la sensibilità agli antimicrobici, i dati relativi alle percentuali di sensibilità sono indicati in tabella 2. Introduzione Le enteriti sostenute da Escherichia coli sono la causa più frequente di malattia negli allevamenti cunicoli intensivi determinando in questi alti livelli di morbilità e mortalità. I ceppi responsabili della malattia sono definiti REPEC (Rabbit Enteropathogenic Escherichia coli) appartenenti al gruppo AEEC (Attaching Effacing Escherichia coli) (Milon et al, 1999) la cui patogenicità si esplica con l’adesione alla mucosa intestinale dell’ileo distale e del cieco e provoca la distruzione dei microvilli degli enterociti. Questo meccanismo è dovuto alla presenza di un’isola di patogenicità chiamata LEE (Locus of Enterocytes Effacement) all’interno della quale il gene eae codifica per una proteina di membrana, l’intimina. La capacità di aderire agli enterociti e di colonizzare l’intestino oltre che alla produzione di intimina può essere legata anche alla sintesi da parte di E. coli di alcune proteine come le adesine fimbriali AF/R1-AF/R2 (Adesive Factor/Rabbit 1-2). (Dow A.M. et al. 2004) Scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare i ceppi di E. coli isolati da conigli con o senza sintomatologia enterica, individuandone così i principali biotipi, resistotipi, e valutandone la presenza o meno dei geni responsabili della virulenza (eae, AF/R1, AF/R2). Materiali e metodi Sono state campionate 21 aziende distribuite nei territori di Umbria, Marche, Lazio e Toscana, 18 delle quali con tipologia di allevamento a “ciclo chiuso” avendo insieme il settore riproduttori e ingrasso e 3 con solo ingrasso. In ciascuna azienda sono stati prelevati i tamponi rettali da 10 conigli nella fase di post-svezzamento. I tamponi sono stati prelevati in modo casuale. I tamponi sono stati sottoposti ad esame batteriologico per la ricerca di E.coli mediante semina su Agar McConkey (Oxoid) ed incubati a 37°Cr1°C overnight. Almeno una colonia da ciascun campione è stata isolata su terreno TSA (Trypticase Soy Agar), ed è stata caratterizzata in base a quanto descritto da Carter et al. 1994. I ceppi isolati sono stati biotipizzati in base allo schema di Camguilhem et Milon (1989) e sottoposti ad agglutinazione rapida su vetrino per il rilievo dell’antigene O103; i ceppi appartenenti a questo sierogruppo sono infatti considerati una importante causa di Grafico 1: numero di biotipi isolati B31 B30 B29 B28 B27 B26 B25 B23 B22 B20 B19 B18 B17 B16 B4 0 156 10 20 30 40 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Il resistotipo più frequente è stato SXTTE (43 ceppi) (sulfametossazolo+ trimethoprim e tetraciclina) seguito dall’associazione apramicina, gentamicina e tetraciclina (10 ceppi) e apramicina, gentamicina. Sulfametossazolo + trimethoprim (8 ceppi). 25 ceppi hanno evidenziato caratteristiche di multiresistenza, ad almeno 5 antibiotici testati. Tra questi 18 ceppi sono risultati resistenti ad almeno un chinolone (acido nalidixico e/o enrofloxacin e/o flumequina), un aminoglicoside (aminosidina e/o apramicina e/o gentamicina e/o kanamicina e/o neomicina) e la tetraciclina. eae; inoltre in entrambi gli allevamenti che avevano presentato diarrea nella settimana precedente al campionamento è stato isolato un ceppo con queste caratteristiche. Questa associazione, già osservata da altri autori, è ritenuta infatti fortemente indicativa per l’autonoma capacità patogena del germe (Penteado et al. 2002). Infine, il gene codificante per AF/R1 non è stato mai riscontrato, confermando la rarità di questa adesina fimbriale, tipica dello stipite RDEC-1, nei ceppi di campo italiani (Agnoletti et al 2004). Per quanto riguarda i dati di sensibilità agli antimicrobici, essi rilevano buoni risultati per la colistina, nei confronti della quale la resistenza tende a insorgere lentamente. I dati relativi a chinoloni, aminoglicosidi e sulfamidico associato a trimethoprim sono simili a quelli riscontrate in altre specie allevate intensivamente, e testimoniano il diffuso impiego di queste classi di antibiotici nella pratica. Questo dato viene confermato dalla presenza di numerosi stipiti multiresistenti. Essi sottolineano l’importanza di un monitoraggio della resistenza agli antimicrobici in una specie considerata ‘minore’ , ma caratterizzata da un ciclo produttivo breve. Tabella 1: Sono indicati per ogni biotipo i risultati della ricerca dei geni eae, AF/R2 e agglutinazione per O103 n. biotipo eae+ eae- AF/R2+ AF/R2- O103+ O103B30 (n=37) 7 30 4 33 1 36 B28 (n=22) 10 12 8 14 0 22 B19 (n=7) B20 (n=7) 1 6 0 7 1 6 4 3 3 4 0 7 B27 (n=6) 0 6 0 6 3 3 B16 (n=5) 3 2 2 3 0 5 B18 (n=5) 0 5 0 5 2 3 B22 (n=5) 2 3 1 4 1 4 B26 (n=5) 3 2 0 5 0 5 Bibliografia 1. 2. 3. Tabella 2: esito dei test per la valutazione della sensibilità agli antimicrobici antimicrobico S % R % I % Ac.nalidixico 76 68.5 31 27.9 4 3.6 Aminosidina 96 86.5 12 10.8 3 2.7 Apramicina 78 70.3 31 27.9 2 1.8 109 98.2 0 0.0 2 1.8 Enrofloxacin 81 73.0 7 6.3 23 20.7 Flumequina 78 70.3 14 12.6 19 17.1 Gentamicina 74 66.7 32 28.8 5 4.5 Kanamicina 50 45.0 16 14.4 45 40.5 34 30.6 14 12.6 63 56.8 27 24.3 83 74.8 1 0.9 1 0.9 109 98.2 1 0.9 Colistina Neomicina Sulfametossa zolo+ trimethoprim Tetraciclina 4. 5. 6. 7. 8. 9. Conclusioni I dati derivanti dalle biotipizzazioni dei ceppi di Escherichia coli vedono la predominanza di alcuni biotipi, quali B30 e B28, che insieme raggruppano il 53% degli isolati, e che già altri autori hanno segnalato come prevalenti negli allevamenti cunicoli (Agnoletti et al 2004; Penteado et al 2002). Altri biotipi, quali il B14 e B12, ramnosio negativi, dotati di particolari caratteristiche di patogenicità, non sono stati rilevati nel corso della nostra indagine. E’ tuttavia importante ricordare che il campionamento effettuato non ha interessato esclusivamente soggetti sintomatici e quindi la frequenza dei biotipi può differire rispetto a quanto osservato in altri lavori, effettuati su ceppi isolati nel corso della attività diagnostica. In effetti, l’unico ceppo ramnosio negativo isolato nel corso di questo lavoro, appartenente a B4, è risultato positivo per tutti i fattori di patogenicità ricercati. Nel corso di questa indagine, tutti i ceppi positivi per AF/R2 sono risultati positivi anche per 157 Agnoletti F., Deotto S., Passera A., Tisato E., Mazzolini E. Diagnosi di colibacillosi nelle sindromi enteriche del coniglio. Coniglicoltura, 2004. (5) 40-41. Quinn P.J., Carter G.R. Markey B.K., Carter G.R. Clinical Veterinary Microbiology, 1994 Ed. Mosby. CLSI (exNCCLS) M31-A2 “Performance standards for antimicrobial disk and susceptibility tests for bacteria isolate from animals”. 2002. Second edition. Approved standard. 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Mirri”, Palermo Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute “G. D’Alessandro” – Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Palermo Parole chiave: ETU, mancozeb, fitofarmaci. che è stato quindi utilizzato per la determinazione quantitativa dell’ETU(3). I dati ottenuti sui campioni di urina raccolti durante l'esposizione al fungicida dimostrano un assorbimento significativo di etilenbisditiocarbammati. Infatti, i livelli riscontrati durante l’esposizione risultano superiori a quelli dei campioni basali; in particolare sono stati riscontrati valori di concentrazione urinaria di ETU compresi in un range tra 4.12 e 54.60 μg/g di creatinina. Inoltre si è osservato come la concentrazione urinaria di ETU fosse maggiore per lavoratori trattoristi (valori compresi tra 12.31 e 54.60 μg/g di creatinina) rispetto ai lavoratori addetti al rientro e all’allacciatura (valori compresi tra 4.12 e 10.39 μg/g di creatinina). Abstract Ethylenethiourea (ETU) is a specific metabolite of ethylenebisdithiocarbamate (EBDC) pesticide (mancozeb); its determination in human urine is proposed to biological monitoring of agricultural workers exposed to EBDCs. The aim of this work has been to set up the analytical method suitable for determination of ETU level in human urine of Sicilian agricultural workers exposed to mancozeb, using the Gas-chromatography/mass spectrometry. Introduzione Grazie alla loro bassa tossicità acuta e al loro basso impatto ambientale, gli erbicidi Etilenbisditiocarbamati EBDC (mancozeb, zineb, maneb, etc) sono ampiamente usati e un significativo numero di lavoratori sono esposti a questi composti, sia in abito industriale che agricolo (1). Gli EBDC possono essere assorbiti prevalentemente per via inalatoria e cutanea ed in misura minore attraverso l'apparato gastroenterico. L’Etilentiourea (ETU) è il principale prodotto della degradazione metabolica e ambientale degli EBDC ed inoltre è presente come impurità in svariate formulazione di questi fungicidi. Poichè l’ETU viene prevalentemente escreta con le urine, è stata proposta come indicatore per il monitoraggio biologico dell’esposizione ad EBDC(2) Scopo dello studio è quello di misurare i livelli di esposizione ad un EBDC, il mancozeb, in un gruppo di viticoltori di un’azienda vitivinicola siciliana. Figura 1: cromatogramma di un campione di urine, raccolto prima dell’inizio della campagna di applicazione del fungicida. Materiali e metodi Lo studio è stato condotto su 21 viticoltori. Tra i lavoratori, 11 erano trattoristi, 10 addetti al rientro e alla allacciatura. Per ogni lavoratore è stato raccolto un campione di urine prima dell’inizio della campagna di applicazione del fungicida; un secondo campione è stato raccolto al mattino del giorno di lavoro successivo all’ultima applicazione della stagione. Metodo analitico L’ETU è stata estratta dai campioni di urine su colonne in terra di diatomee (ExtrElut NT3) con diclorometano e derivatizzata con N-(tert-butyldimethylsilyl)-Nmethyltrifluoroacetamide (BSTFA) e terbutildimetilsililcloruro (1%) Le soluzione standard di ETU, per la costruzione della curva di calibrazione, sono state preparate alla concentrazione di 50, 100, 200, 300 e 500 μg/l in urine. Le urine per la preparazione delle soluzioni standard di ETU fanno parte di un pool di urine di soggetti non esposti a EBDC. L’ETU derivatizzata è stata analizzata usando un GC/MS in modalità EI/SIM (AGILENT 5973). Figura 2: cromatogramma di un campione di urine raccolto il giorno dopo l’ultima applicazione stagionale del fungicida Conclusioni Da questo studio si evince come la GC/MS sia un valido metodo analitico per la valutazione della concentrazione urinaria di ETU, parametro di primaria importanza per il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale a mancozeb. Bibliografia Risultati In figura 1 è mostrato un cromatogramma di un campione di urine, raccolto prima dell’inizio della campagna di applicazione del fungicida. Al tempo di ritenzione atteso dello standard di ETU (6.32 min) non è riscontrabile alcun picco imputabile a tale metabolita. In figura 2 è mostrato, invece, un tipico cromatogramma di un campione di urine raccolto il giorno dopo l’ultima applicazione stagionale del fungicida; al tempo di ritenzione atteso dello standard è riscontrabile un picco imputabile all’ETU, confermato dal relativo spettro di massa, in cui compare il caratteristico picco della frammentazione dell’ETU a 273 m/z, corrispondente al radicale tert-butil, 1. Maroni M., Colosio C., Ferioli A., Fait A.:Biological Monitoring of Pesticide exposure: a rewiew. Toxicology 143 (2000) pp. 1-123 2. Aprea C., Sciarra G., Lunghini L. e Bozzi N.:Il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale e non ad antiparassitari. Ann.Ist.Super.Sanità, vol 37 n.2 (2001) pp. 159-174 3 .Fustinoni S., Campo L., Colosio C., Birindelli S., Foà V.: Application of gas chromatography-mass spectrometry for the determination of urinary ethylenethiourea in humans. J.of Chromatography B 814 (2005) pp. 251-258 158 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 DIFFUSIONE DELLA SARCOSPORIDIOSI NELLE CARNI PROVENIENTI DA SUINI E BOVINI ALLEVATI E MACELLATI PER AUTOCONSUMO NELLA PROVINCIA DI BIELLA 1a 1a 2 2 2 3 3 3 3 3 Domenis L. , Guidetti C. , Sacchi L. , Clementi E. , Genchi M. , Felisari L. , Felisari C. , Mo P. , Vottari F. , Cognata D. , 3 3 1b 1b 1b 1b Pellegrini S. , Sala L. , Peletto S. , Campanella C. , Zuccon F. , Acutis P. 1 a Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ( Sezione di Aosta, 2 3 Laboratorio Genetica Torino); Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia; ASL 12- Area B Biella b Key Words: Sarcocistys, Biella, carni INTRODUZIONE montaggio dei vetrini con balsamo Eukitt, osservazione dei preparati al microscopio ottico a luce trasmessa (Olympus BX60). Nella terza fase, i campioni risultati positivi per la presenza di cisti attribuibili a sarcosporidi sono stati sottoposti ad una doppia valutazione: morfologica, al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) e biomolecolare, mediante sequenziamento genetico. I campioni per la microscopia elettronica sono stati così processati: isolamento delle sarcocisti al microscopio ottico rovesciato (Olympus CK2), fissazione in miscela di Karnowsky, lavaggio in tampone cacodilato, post-fissazione in tetrossido di osmio all’1% in tampone cacodilato, disidratazione in alcoli a concentrazione crescente, inclusione in resina epossidica, allestimento di sezioni semifini per l’individuazione del particolare morfologico, allestimento di sezioni fini (60-80 nm), osservazione al TEM (Zeiss EM 900). L’indagine biomolecolare si è basata sullo studio del gene 18S rRNA attraverso le tecniche di sequenziamento diretto e PCR differenziale. E’ stato utilizzato il sequenziamento diretto su un gruppo di 44 bovini; questo metodo non permette di caratterizzare più specie presenti nello stesso campione contemporaneamente, anche se si possono evidenziare possibili coinfestazioni: queste sono state ipotizzate grazie all’osservazione di sequenze sottese (freccia) nelle sequenze ottenute con i primers utilizzati (8). Con il termine sarcosporidiosi si intende una parassitosi sostenuta da protozoi appartenenti al genere Sarcocystis, genere caratterizzato da un ciclo biologico obbligato con due ospiti vertebrati, uno definitivo e uno intermedio. Nell’ospite definitivo (in genere un carnivoro), dopo l’assunzione delle sarcocisti presenti nei muscoli degli animali predati, si svolge la fase enteroepiteliale o intestinale del parassita seguita da liberazione fecale di oocisti (o sporocisti) infestanti. Queste vengono a loro volta ingerite dall’ospite intermedio (in genere un erbivoro o specie onnivore come i roditori) nel quale si esplica la fase extraintestinale con formazione di cisti intramuscolari contenenti bradizoiti e metrociti (1,2). Al di là della potenziale e variamente descritta azione patogena per gli animali, occorre considerare la parassitosi una zoonosi minore. L’uomo infatti può ospitare la fase intestinale di due specie di sarcosporidi, S. suihominis e S. hominis, infestandosi con il consumo rispettivamente di carni suine e bovine infestate (3). Il ciclo enteroepiteliale del protozoo induce manifestazioni acute con nausea e diarrea. Secondo alcuni autori l’uomo potrebbe anche fungere da ospite intermedio, nel qual caso si osserva la formazione di cisti parassitarie intramuscolari responsabili di miopatie allergiche e asma bronchiale (4). Oltre a quelle già indicate, le altre specie riconosciute nel suino sono (tra parentesi è indicato l’ospite carnivoro) S. miescheriana (cane) e S.porcifelis (gatto) mentre nel bovino S. bovicanis (cane) S.cruzi (cane, lupo) e S. hirsuta (gatto). Nel presente lavoro si descrivono i risultati preliminari di una ricerca sulla diffusione della sarcosporidiosi nei suini e bovini allevati e macellati per auto-consumo nella provincia di Biella. Uno degli obiettivi principali del progetto è stato quello di definire un protocollo diagnostico efficace che consentisse di valutare l’incidenza delle varie specie di Sarcocystis, riservando una particolare attenzione a quelle zoonosiche. L’indagine trae ispirazione dalle numerose ricerche svolte in passato nell’ambito di territori politicamente definiti tra cui, ad esempio, la provincia di Reggio Emilia in Italia (5), Uttar Pradesh in India (6), Hokkaido in Giappone (7). Il confronto con la banca dati di BLAST ha evidenziato la possibile corrispondenza delle sequenze sottese con specie patogene per l’uomo. Il sequenziamento diretto prevede le seguenti fasi: estrazione del DNA da campioni di tessuto del peso di circa 25 mg (utilizzando il GeneEluteTM Blood Genomic DNA kit Sigma), amplificazione di circa 340 ng di DNA mediante PCR con l’utilizzo di primers specifici, rivelazione su gel d’agarosio all’1%, purificazione dei campioni risultati positivi alla PCR con Kit Invitrogen e sequenziamento degli stessi per mezzo di sette primers (8) tramite sequenziatore 3130 Genetic Analyzer ABI. Nella PCR differenziale (9) si utilizzano circa 125 ng di DNA e i primers SARf e SARr, quest’ultimo coniugato con marcatore fluorescente Hex. I primers SARf e SARr amplificano tre zone diverse del gene 18S rRNA bersaglio, generando ampliconi di lunghezza diversa in relazione alla specie: si ottengono frammenti di 164 bp per S. hominis, 172 bp per S. cruzi e 186 bp per S. hirsuta, posizionati in regioni diverse della sequenza bersaglio. Questa analisi è MATERIALI E METODI Il protocollo sperimentale si è articolato in tre fasi. Nella prima fase di campionamento, sono stati prelevati e stoccati in congelamento diaframma, esofago e cuore da 383 bovini e 197 suini macellati ad uso famigliare nel territorio provinciale. Nella seconda fase, i campioni sono stati sottoposti ad esame istologico rapido al criostato per lo screening degli animali positivi. Questa tecnica analitica si svolge secondo la seguente procedura: riduzione del pezzo a circa 1 cm di diametro, congelamento a –20°C con liquido OCT, sezionamento al criostato a 5-10 micrometri di spessore su almeno tre piani di taglio distanti 2-3 mm l’uno dall’altro, fissazione in alcool 95°, colorazione con Emallume-Eosina, disidratazione in alcoli a gradazione crescente, diafanizzazione in bioclear e successivo 159 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 delle cisti, condizione che risulta fondamentale per la valutazione del parassita al microscopio ottico e soprattutto elettronico. La tipizzazione morfologica al TEM ha sempre confermato la presenza delle specie individuate con le tecniche di caratterizzazione genetica. Queste ultime, visti i tempi di esecuzione, si rivelano pertanto un sistema più rapido ed agevole rispetto al metodo classico basato sulla microscopia elettronica. Per quanto riguarda i risultati ottenuti, l’elevata prevalenza di sarcosporidiosi nel bovino (78%), con predominanza di S.cruzi (presente nel 93% dei casi positivi), risulta in linea con i dati bibliografici e va comunque considerata in relazione all’età degli animali analizzati. Una prevalenza minore nel suino (29.4%) è probabilmente connessa alla vita commerciale più breve rispetto ai bovini (in genere un anno). Il rilevamento di S.hominis (38.5% dei bovini positivi) e S.suihominis (100% dei suini positivi) stimola alcune considerazioni di carattere sanitario. Le cisti protozoarie, tranne nei rari casi di sarcosporidiosi grave generalizzata (comunque assenti nel nostro campionamento), non sono evidenziabili ad occhio nudo al momento della visita ispettiva post-mortem. Il consumo di carni crude o poco cotte (soprattutto di bovino, in considerazione delle abitudini alimentari piemontesi) può pertanto costituire un fattore di rischio per quanto riguarda la trasmissione della sarcosporidiosi all’uomo. stata condotta mediante corsa elettroforetica dei prodotti PCR sul sequenziatore e l’uso del software Gene Mapper. RISULTATI Al test istologico di screening sono risultati positivi 299 bovini (78%) e 58 suini (29.4 %). La foto 1A corrisponde ad un quadro di infestazione elevata nell’esofago di bovino (freccia: cisti in sezione longitudinale, doppia freccia: cisti in sezione trasversale); la foto 1B ad una sarcocisti cardiaca di bovino con parziale liberazione di bradizoiti (freccia). 1A 1B Nelle tabelle seguenti si riportano i risultati preliminari della tipizzazione genetica eseguita sui campioni positivi allo screening insieme alle relative frequenze percentuali. Per ora, l’indagine è stata eseguita su 280 bovini e 23 suini, analizzando per ogni capo l’organo più infestato . RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Tipizzazione molecolare Sarcocystis - Bovini Specie Frequenza percentuale 61.5% S. cruzi 7% S.hominis Coinfestazione S.cruzi, S.hominis 30% Coinfestazione S.cruzi, S.hominis,S. hirsuta 1,5% Tipizzazione molecolare Sarcocystis - Suini 100% S. suihominis 2. La valutazione al TEM delle sarcocisti è stata eseguita riferendosi ai morfotipi descritti da Dubey et al. nel 1989 (10) sulla base dell’aspetto assunto dalle espansioni della parete cistica (Foto 2A: S.hominis; 2B: S. cruzi). 7. 3. 4. 5. 6. 8. 9. 10. Pampiglione, Canestri, Trotti, 1990. Guida allo studio della parassitologia”. Società Editrice Esculapio, Bologna. Georgi Jr, Georgi ME, 1990. Parasitology of Veterinarians. WB Sanders Company, Philadelphia. Brigere-Picoux J, Lacombe B. Le sarcosporidiosi nei ruminanti e suini domestici o selvatici. Bull.Mens.Soc. Vet. 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CRC Press, Boca Raton, FL, 215 pp. SUMMARY In this study different analytical techniques have been carried out in order to establish a diagnostic protocol to evaluate the incidence of the various species of Sarcocystis in swines and bovines slaughtered for personal consumption in the province of Biella (Italy). Analyzing by histology diaphragm, esophagus and heart, 78% of bovines and 29.4% of swines resulted positive for sarcosporidia. Applying electron microscopy and different methods of gene sequencing on the positive samples, we found these species of Sarcocystis: bovine (S.cruzi 93%, S.hominis 38.5%. S. hirsuta 1.4%), swine (S. suihominis 100%). CONCLUSIONI Il protocollo sperimentale proposto si è dimostrato applicabile ed efficace a fronte delle seguenti considerazioni. Lo stoccaggio dei campioni in congelamento (indispensabile per far fronte ai periodi di attesa tra una fase e l’altra) non ha compromesso l’integrità Attività finanziata dalla Regione Piemonte nell’ambito della Ricerca Scientifica Applicata 2004 – Delibera CIPE 20/04 160 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 STUDIO DELL’ACCURATEZZA E DELL’ATTENDIBILITA’ DEL CALIFORNIA MASTITIS TEST (CMT) NEL LATTE DI CAPRA 1 2 2 1 1 Dore S. , Doro P. , Fiori S. , Denti G.V. , Manai M.A.L. , Cannas E.A. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”, Sassari 2 Associazione Regionale Allevatori della Sardegna, Sassari Keywords: California mastitis test, somatic cell, goat milk RIASSUNTO The aim of this study is to evaluate the accuracy of the CMT to determine the somatic cell count in goat milk compared with the fluoro-opto-electronic method and to assess the reliability of the test measuring the inter-rater agreement (kappa). The study was carried out on 160 half-udder milk samples from 80 lactating goats. The best accuracy calculated on sensitivity, specificity and the related parameters was obtained at 300.000 cell/ml level. Kappa value (0.73) shows a good reliability. prevedono una responsabilità diretta da parte dell’allevatore sulla sicurezza alimentare delle proprie produzioni. SCOPO L’obiettivo del nostro studio è quello di valutare l’accuratezza del CMT confrontato con il metodo fluoro-opto-elettronico (UNI EN ISO 13366-3:1998) nella determinazione del CCS. Sarà inoltre determinata l’attendibilità attraverso la misurazione dell’accordo inter-osservazionale tra gli operatori al fine di valutare l’influenza della soggettività nella lettura del test. INTRODUZIONE Il contenuto in cellule somatiche nel latte è considerato il “principale indicatore” dello stato di salute della mammella e viene largamente utilizzato nei programmi di controllo e risanamento delle mastiti nonchè per l’individuazione dei capi con mastite subclinica. Un metodo indiretto di determinazione del CCS nel latte (1) dei singoli animali è rappresentato dal CMT che può essere effettuato direttamente in azienda dall’allevatore e viene comunemente utilizzato nel settore bovino. Trattandosi di un test di screening dovrebbe essere dotato di una elevata sensibilità, in modo da consentire l’identificazione del maggior numero di animali che presentano patologie mammarie. Il risultato, però, può essere influenzato dalla soggettività di lettura caratteristica di questo particolare test. La validità del California Mastitis Test risulta sufficientemente verificata nell’allevamento bovino e ovino, mentre richiede ulteriori approfondimenti nell’applicazione sul latte di capra. La disponibilità di uno strumento diagnostico gestibile dall’allevatore sul campo riveste un ruolo particolarmente importante nell’ambito dell’autocontrollo aziendale, in coerenza con i Regolamenti Comunitari che MATERIALI E METODI Lo studio è stato effettuato su 160 campioni di latte di emimammella provenienti da 80 capre di razza Sarda, Saanen, Maltese e meticcia in diversi stadi di lattazione appartenenti a n. 3 allevamenti di medie dimensioni della zona nord-occidentale della Sardegna. Il CMT viene eseguito in azienda con doppia lettura da due operatori diversi. Sui campioni di latte prelevati dalla singola emimammella è stato determinato il contenuto in cellule somatiche (CCS) con metodo fluoro-opto-elettronico (UNI EN ISO 13366-3: 1998). L’accuratezza del test diagnostico è stata analizzata attraverso lo studio della sensibilità e della specificità e i valori stimati sui risultati del CMT sono stati calcolati usando le tabelle di probabilità 2 X 2. Inoltre sono stati calcolati il tasso di errore falso-negativo e il tasso di errore falsopositivo, il valore predittivo positivo e il valore predittivo negativo, il rapporto di probabilità positivo e il rapporto di probabilità negativo. L’attendibilità del test è stato calcolato attraverso lo misurazione dell’accordo inter-osservazionale con il test del kappa. Tabella 1. Calcolo dei parametri relativi allo studio dell’accuratezza del CMT a diversi livelli di CCS. Valori di CCS dei diversi livelli di riferimento 200 000 300 000 400 000 500 000 600 000 700 000 800 000 900000 1 000 000 Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Cellule/ml Sensibilità 0,81 0,83 0,87 0,92 0,91 0,92 0,93 0,95 0,95 Specificità 1,00 0,75 0,55 0,54 0,41 0,38 0,34 0,34 0,32 0,00 0,25 0,45 0,46 0,59 0,63 0,66 0,66 0,68 0,19 0,17 0,13 0,08 0,09 0,08 0,07 0,05 0,05 1,00 0,97 0,88 0,82 0,69 0,62 0,54 0,50 0,46 0,18 0,27 0,52 0,76 0,76 0,82 0,85 0,91 0,91 3,30 1,92 2,02 1,54 1,48 1,41 1,43 1,40 0,19 0,23 0,25 0,14 0,22 0,21 0,22 0,15 0,16 0,96 0,92 0,79 0,69 0,59 0,52 0,45 0,41 0,38 Tasso errore falsopositivo Tasso errore falsonegativo Valore predittivo positivo Valore predittivo negativo Rapporto probabilità positiva (LR+) Rapporto probabilità negativa (LR-) Prevalenza 161 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RISULTATI Come si evidenzia dalla tabella 1, la sensibilità del test aumenta in modo proporzionale al livello di CCS considerato, per la specificità invece avviene il processo inverso. Il valore predittivo positivo, che definisce la probabilità che un animale risultato positivo al test possa essere realmente malato, tende a diminuire con l’aumentare del livello di CCS considerato, contrariamente al valore predittivo negativo che invece aumenta proporzionalmente. Diversamente dai valori predittivi sopra citati, i rapporti di probabilità non sono influenzati dalla prevalenza. Perché un test sia considerato buono il rapporto di probabilità positivo dovrebbe essere maggiore di 1, al contrario, il rapporto di probabilità negativo, dovrebbe essere quanto più possibile vicino allo 0. Dalla tabella 1 si evidenzia come il miglior rapporto tra rapporto di probabilità positivo e rapporto di probabilità negativo si verifica con il valore di CCS di 300.000 cellule/ml. Nella tabella 2 sono riportati i valori ottenuti nello studio dell’attendibilità del CMT attraverso la misurazione dell’accordo tra due diversi operatori. Il valore del test del kappa (0.73) sta ad indicare un livello di accordo buono e pertanto buona può essere considerata l’attendibilità del test. subcliniche. Le caratteristiche di semplicità e di velocità di esecuzione ne consentono un suo utilizzo direttamente sul campo da parte di personale non provvisto di specifiche competenze tecniche ma comunque supportato da una adeguata formazione. L’utilizzo del test consente quindi all’allevatore di monitorare lo stato sanitario dell’ allevamento, ottimizzando inoltre l’attività del laboratorio che potrà eseguire i controlli in modo mirato sui capi risultati positivi al CMT con conseguente risparmio di tempo e di risorse. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Barnum D.A., Newbould F.H.S., 1961. The use of the California mastitis test for the detection of bovine mastitis, Can. Vet. J. 3;83. 2. Cannas A., Nicolussi P., Dore S., 2006, Linee guida: cellule somatiche nel latte e benessere degli ovini. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”. 3. Dingwell T.D., Lesile K.E., Schukken Y.H., Sargeant J.M., Timms L.L., 2003. Evaluation of the California mastitis test to detect an intramammary infection with a major pathogen in early lactation dairy cows, Can. Vet. J. 44: 413-416 4. Hueston W.D., Hartwig N.R., Judy J.K., 1986. Detection of ovine intramammary infection with the California mastitis test, JAVMA 188 n.5; 522-524 5. Jenkel J.F., Katz D.L., Elmore J.G., 2005,”Epidemiologia, biostatistica e medicina preventiva”, II edizione, Napoli, EdiSES 6. Lafi S.Q., 2006. Use of somatic cell counts and California Mastitis Test results from udder halves milk samples to detect subclinical intramammary infection in Awassi sheep, Small Rumin. Res. 62; 83-86 7. Rosati R. et al., 2004. Cellule somatiche nel latte ovino e caprino: definizione del valore soglia nazionale per l’adeguamento alla direttiva CE n.92/46, Atti XVI S.I.P.A.O.C.; 48-60 8. Sargeant JM, Leslie KE, Shirley JE, Pulkrabek BJ, Lim GH., 2001. Sensitivity and specificity of somatic cell count and California Mastitis Test for identifying intramammary infection in early lactation. J Dairy Sci 84:2018–2024. Tabella 2. Calcolo dell’accordo inter-osservazionale con l’utilizzo della tabella standard 2X2. Operatore 1 Operatore 2 Totale Positivo Negativo Positivo 85 21 106 Negativo 0 54 54 85 75 160 Totale Accordo osservato (Ao) 139 Massimo accordo possibile (N) 160 Accordo percentuale complessivo 0,87 Accordo della cella a atteso per caso 56,31 Accordo della cella d atteso per caso 25,31 Accordo della cella a atteso per caso + Accordo della cella d atteso per caso (Ac) 81,63 Kappa 0,73 DISCUSSIONE Lo studio dell’accuratezza del test evidenzia come il valore corrispondente di CCS in cui sia possibile distinguere, con la migliore precisione, i campioni positivi da quelli negativi al CMT sia di 300 000 cellule/ml, che è in linea con i valori di CCS riportati in bibliografia per la specie ovina da latte (7). Dallo studio dell’accordo inter-osservazionale effettuato si è riscontrato un buon livello di attendibilità del CMT e quindi le performance degli operatori non influenzano in modo significativo il risultato. Il California Mastitis Test rappresenta, così come per i bovini e gli ovini, anche per le capre uno strumento attendibile per l’identificazione degli animali che presentano un contenuto di cellule somatiche elevato anche in assenza di sintomi clinici evidenti, come nel caso di mastiti 162 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RISCONTRO DI CASI DI LINFOSARCOMA IN BOVINI INFETTI DA VIRUS DELLA LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA F. Feliziani1, C. Casciari1, S. Farneti1, F. Vitelli1, E. Manuali1, S. Salamida1, E. Lepri2, D. Rutili1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche; Facoltà di Med. Veterinaria Università di Perugia Key words:Leucosi Bovina Enzootica, Linfosarcoma, PCR, ELISA Summary inoltre previsto l’obbligo di prelievo dei seguenti campioni in sede di macellazione di capi infetti o sospetti infetti di LEB: 1. campione di siero 2. campione di sangue intero non coagulato (EDTA) 3. campioni di organi linfatici (Milza, Linfonodi Perirenali, Sopramammari, Mediastinici Peribronchiali Questi campioni devono essere inviati al Centro di Referenza Nazionale per lo studio dei Retrovirus correlati alle patologie infettive dei ruminanti (CEREL) scortati dall’allegato F all’O.M. che rappresenta la scheda di rilevamento dati al macello. Il protocollo diagnostico del CEREL prevede di eseguire i seguenti esami diagnostici: Enzootic Bovine Leukosis is contagious disease of cattle caused by the retrovirus, bovine leukaemia virus (BLV). The disease causes fatal malignant cancer in a small percentage of infected animals and can be responsible for major economic losses. Diagnosis of the disease is based primarily on detection of antibodies in serum. The disease can be eradicated by testing and elimination of reactors. A panel of samples derived from seropositives animals was examined by histological test to investigate the occurrence of lynfosarcoma. Introduzione Matrice Siero Sangue intero Organi Il riscontro di linfosarcoma nel bovino non è frequente nel nostro paese ed è stato occasionalmente descritto solo come reperto di macellazione. Questa forma tumorale si può classificare su base epidemiologica ed eziologica in una varietà enzootica e in una varietà sporadica. La forma sporadica può essere ulteriormente distinta in: Leucosi cutanea che colpisce animali di età compresa tra 1-3 anni, Leucosi giovanile a carico di vitelli al di sotto dei 6 mesi, Linfoma timico legato all’evoluzione appunto del timo e quindi a carico di soggetti di circa 6-18 mesi. La forma enzootica colpisce prevalentemente i bovini adulti ed è di origine virale. L’agente eziologico, il virus della leucemia bovina (BLV), è un Retrovirus appartenente al genere Deltaretrovirus e può essere trasmesso per via orizzontale attraverso i linfociti B infetti. La prevalenza della Leucosi Bovina Enzootica (LEB), è sensibilmente diminuita grazie al piano di eradicazione obbligatorio in Italia dal 1996. Restano tuttavia nel territorio "code" di persistenza dell’infezione la cui eliminazione appare più problematica del previsto, contribuendo a porre il livello sanitario del nostro paese su un piano decisamente inferiore rispetto a quello di altri paesi dell'Unione Europea. Un ulteriore impulso alla campagna di eradicazione è stato recentemente ottenuto con l’Ordinanza del Ministero della Salute 14.11.2006 “Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovi-caprina e leucosi nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia”. L’ordinanza prevede un’intensificazione dei controlli e norme più restrittive in tema di identificazione degli animali. Le tradizionali metodiche diagnostiche, comunemente impiegate per le infezioni sostenute da Retrovirus, si basano essenzialmente sulla sierologia. Per quanto riguarda la LEB, sono andate sviluppandosi anche metodiche diagnostiche biomolecolari che trovano, tra l'altro, un'utile applicazione nella diagnosi della forma tumorale. L’esame istologico, infatti, non consente di differenziare la forma sporadica da quella enzootica e per questo motivo, in sede di conferma, è utile prevedere l’utilizzo in associazione di diversi test. Test AGID - ELISA PCR Esame istologico - PCR Test sierologici: i test sierologici impiegati sono quelli previsti dalla normativa vigente ed in particolare dal DM 358 del 2-5-1996 e dal D.Lgs. 196 del 22-5-1999. Il test AGID è stato condotto secondo quanto descritto nel Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2008 chapter 2.4.11. pubblicato dall’Office International des Epizoties (OIE). È stato impiegato un antigene prodotto dall’IZS Umbria e Marche costituito da una proteina ricombinante del BLV (gp51) espressa mediante baculovirus. Il siero di riferimento positivo è stato scelto tra quelli in dotazione del Centro di Referenza Nazionale. Il test ELISA è un test home made in uso routinariamente presso il CEREL: si tratta di un ELISA di tipo sandwich basato su un anticorpo monoclonale anti gp51 adsorbito alla piastra, un antigene ricombinante gp51 e un anticorpo monoclonale anti bovino coniugato con perossidasi. Entrambe le tecniche sono state standardizzate come previsto dalla normativa sulla base dei sieri di riferimento internazionali. Test PCR: Il DNA dei campioni di linfonodi e milza è stato estratto da omogenati di pool di organi provenienti dallo stesso animale, mediante applicazione di un protocollo che prevede l’utilizzo di QUIAamp DNA Blood mini kit (Qiagen). Per i campioni di sangue intero il materiale è stato preventivamente sottoposto a purificazione al fine di ottenere leucociti dai quali si è successivamente proceduto all’estrazione del DNA provirale in accordo con le istruzioni fornite dal produttore, (QUIAamp DNA Blood mini kit (Qiagen). Il DNA estratto è stato amplificato utilizzando primers in grado di identificare (amplificare) un frammento di 380bp del gene ENV che codifica per una regione altamente conservata della glicoproteina di superficie gp51. Le sequenze dei primers utilizzati sono di seguito riportate: gp51FW S380 CTC TTC TGT GCC AAG TCT CC gp51 RV AS380 CTG ACA GAG GGA ACC CAG TC Test Istologico: i campioni sono stati fissati in formaldeide al 4% per almeno 24h. I pezzi dopo adeguata riduzione, sono stati disidratati mediante passaggio in una serie crescente di alcool etilico, chiarificati in xilolo, impregnati ed inclusi in paraffina. Il processo di inclusione è stato attuato mediante l’uso di processatore automatico (Leica TP 1050) Materiali e metodi Al CEREL vengono routinariamente inviati campioni per la conferma diagnostica di Leucosi Bovina Enzootica. Nell’ambito dell’applicazione dell’O.M. 14.11.2006, è stato 163 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 e di dispensatore di paraffina (Leica EG 1140 H). Dai blocchetti così ottenuti, dopo raffreddamento, sono state tagliate con microtomo a slitta (Leitz) sezioni sottili dello spessore di 4-5 micron e allestiti i vetrini. Le sezioni sono state poi colorate con ematossilina-eosina mediante coloratore automatico (Leica Autostainer XL V1.81). Dopo montaggio con vetrino coprioggetto, i preparati sono stati osservati al microscopio ottico (Leica mod. DMR Fluo HC). Negli altri soggetti in cui sono state riscontrate lesioni riconducibili a linfosarcoma, i risultati dei test biomolecolari e sierologici hanno confermato la presenza di BLV. Nell’ambito dei test biomolecolari e soprattutto dei test istologici diversi campioni sono stati giudicati non idonei all’esecuzione delle prove. Tutto ciò é stato causato dalle modalità di conservazione e spedizione dei campioni: le basse temperature infatti hanno causato il congelamento dei campioni stessi e quindi un’emolisi dei campioni di sangue inviati per il test PCR e un’alterazione del profilo istologico dei campioni d’organo. Risultati e discussione I campioni esaminati dal CEREL nel 2007 sono riassunti nella tabella seguente: campioni Esame Analizzati Positivi Negativi Non idonei ELISA 270 46 224 0 PCR 249 43 186 20 Istologico 77 13 30 34 I campioni positivi all’esame istologico derivavano da 5 bovini provenienti da diversi allevamenti di cui uno soltanto era stato allevato in Umbria, mentre la derivazione degli altri animali era da riferire alle regioni soggette all’Ordinanza Ministeriale. Foto 3: risultato del test PCR con un controllo positivo (lane 1), pool di organi negativi (lane 2-3-5), pool di organi positivi (lane 4), buffy coat positivo (lane 6) e master mix (lane 7) I risultati ottenuti dimostrano che la prevalenza di linfosarcoma nei bovini in Italia è sottostimata. I resoconti inviati dal Ministero della Salute all’Unione Europea negli ultimi anni, infatti, ne riportano pochissimi casi, ma l’applicazione dell’Ordinanza Ministeriale del 14.11.2006 ha già fatto emergere quello che si potrebbe definire un epifenomeno. Non stupisce, infatti, il linfosarcoma rinvenuto in Umbria riferibile alla varietà sporadica giovanile, ma rimangono da interpretare i quattro casi provenienti da Regioni del Meridione in cui non è mai stata segnalata la presenza di linfosarcomi. L’età degli animali risultati positivi per linfosarcoma oscillava trai 4 e i 6 anni e ciò rappresenta un fattore epidemiologico a sostegno delle forme tumorali di LEB riscontrate. Questo lavoro dimostra ancora una volta la necessità di costituire nel mattatoio un vero e proprio punto di osservazione epidemiologica specialmente nel monitoraggio dei tumori animali. Foto 1. Linfonodo (obiettivo x40): spiccato monomorfismo cellulare associato alla presenza di alcune figure mitotiche. Bibliografia 1. “Evaluation of diagnostic tests to bovine leukemia virus” Marcelo F. Camargos, Francesco Feliziani, Antônio De Giuseppe, Leandro M. Lessa, Jenner K. P. Reis, Rômulo C. Leite Revista Portugesa de Ciências Veterinárias, 169-173 2. DM 2 Maggio 1996 n° 358: “Regolamento concernente il Piano Nazionale per l’Eradicazione della Leucosi Bovina Enzootica” 3. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals edition 2008 chapter 2.4.11. Office International des Epizoties http://www.oie.int/eng/normes/mmanual/ 2008/pdf/2.04.11_EBL.pdf 4. “Produzione e purificazione mediante cromatografia per affinità della proteina gp51 del virus della Leucosi Bovina Enzootica (BLV) ricombinante deleta “ Katia Forti, Francesco Feliziani, Giulio Severi, Simone Marcaccio, Miriam Menichelli, Giovanna Ferrante, Antonio De Giuseppe Workshop nazionale di Virologia Veterinaria - Diagnostica ed epidemiologia delle infezioni virali degli animali domestici – Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Bologna riassunti p. 37; 7-8/06/2007 Foto 2. Linfonodo (obiettivo x10): infiltrazione della capsula linfonodale da parte delle cellule neoplastiche. Il soggetto proveniente dall’Umbria era un vitello risultato negativo sia al test PCR su matrice sangue ed organi (Milza e Linfonodi) sia ai test sierologici. 164 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 IGIENE DEL PROCESSO DI MACELLAZIONE: VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI AUTOCONTROLLO NELLA PROVINCIA DI TRENTO NEL PERIODO 2003 - 2008 Ferrari L., Pizzo E., Debiasi K., Simonato S., Lucchini R., Farina G., Dalvit P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Key words: HACCP, macellazione, igiene di processo Summary Tabella 1. Numero di carcasse microrganismi mesofili ed enterobatteri. Bovini Suini 2003 9 13 2004 51 57 2005 50 97 2006 67 111 2007 166 122 2008 (al 22/07) 114 197 Decision 2001/471/EC and more recently Regulation No. 2073/2005/EC have introduced new microbiological criteria for meat industry. The slaughterhouse operator has to plan a microbiological monitoring system, assuring satisfactory hygienic conditions. The aim of this study was to evaluate the results of the new legislative requirements in meat processes in Province of Trento since 2003. Introduzione A partire dal 2001, la Decisione (CE) n. 471 dell’8 giugno 2001 ha apportato una sostanziale novità nella gestione del sistema di autocontrollo aziendale delle industrie alimentari operanti nel settore delle carni. Tale Decisione introduceva l’obbligo, non contemplato nella preesistente normativa, di campionare le carcasse negli stabilimenti di macellazione per la numerazione dei microrganismi mesofili a 30°C e degli enterobatteri totali, fissandone le modalità di esecuzione, le frequenze, e i limiti microbiologici di riferimento. A partire dal 1 gennaio 2006, con l’abrogazione della Decisione (CE) n. 471/2001 da parte della Direttiva 2004/41/CE, i criteri microbiologici definiti per le carcasse sono stati incorporati nel Regolamento (CE) n. 2073/2005 (capitolo 2: criteri di igiene del processo). Lo stesso Regolamento introduceva, inoltre, l’obbligo di campionare le carcasse per la ricerca di Salmonella spp. Lo scopo del presente lavoro è quello di fornire una valutazione oggettiva delle condizioni igieniche del processo di macellazione nella Provincia di Trento, a sei anni di distanza dall’effettiva entrata in vigore della Decisione europea. A tal fine, sono stati presi in considerazione i dati ricavati dalle analisi microbiologiche su tamponi eseguiti sulle carcasse e conferiti al nostro Istituto dai responsabili dei macelli in assolvimento ai nuovi obblighi normativi. analizzate per Totale 22 108 147 178 288 311 Tabella 2. Numero di carcasse analizzate per Salmonella spp. Bovini Suini Totale 2006 8 0 8 2007 141 108 249 2008 (al 22/07) 65 186 251 Analisi microbiologiche Le determinazioni analitiche sono state eseguite utilizzando i metodi di seguito riportati: -numerazione di microrganismi mesofili a 30°C (CMT) secondo ISO 4833:2001 e ISO 4833:2003; -numerazione di enterobatteri a 37°C (ENT) secondo metodo interno fino al 17/04/06: semina per inclusione in terreno VRBGA (Violet Red Bile Glucose Agar) (15 ml + 4ml di terreno fuso) e incubazione a 37°Cr1°C per 24 ore; secondo norma ISO 21528-2:2004 dal 18/04/06; -ricerca di Salmonella spp. secondo ISO 6579:2002/Cor 1:2004 (E). Risultati Il Reg. (CE) n. 2073/2005 specifica limiti microbiologici soltanto per il “metodo distruttivo”. La Decisione (CE) n. 471/2001, peraltro, stimava che il prelievo non distruttivo mediante tampone avesse una capacità di recupero pari a circa il 20% di quella associata al metodo alternativo. Le Linee Guida Applicative della Decisione (CE) n. 471/2001, emanate dal Ministero della Salute il 10 maggio 2002, disponevano perciò di moltiplicare i risultati ottenuti con il metodo non distruttivo per il fattore di correzione 5. I risultati, calcolati sulla base della media giornaliera dei risultati logaritmici, sono stati classificati come accettabili, marginali o inaccettabili secondo lo schema riportato in Tabella 3, e illustrati in Figura 1. Materiali e Metodi Campionamento Oggetto del presente lavoro sono gli stabilimenti di macellazione, dislocati su tutto il territorio della Provincia di Trento, che hanno stipulato con l’Istituto una specifica convenzione sulla base di piani di campionamento prefissati ad inizio anno nell’ambito dell’attività di autocontrollo. Sono stati interessati 20 macelli nel 2003, 33 nell’anno 2004, 31 nell’anno 2005, 30 nel 2006, 28 nel 2007 e 24 fino al 22/07/2008. Il campionamento è stato eseguito sulla base di quanto indicato dalla norma ISO 17604:2003: i prelievi per la ricerca dei microrganismi mesofili a 30°C e gli enterobatteri totali sono stati eseguiti dagli addetti alla macellazione secondo il metodo “non distruttivo”, che prevede l’esecuzione di 8 tamponi (4 bagnati e 4 asciutti) su 4 punti diversi di 2 prelievo della carcassa, per una superficie totale di 400 cm ; per la ricerca di Salmonella spp. si è utilizzato un metodo di prelievo con spugna abrasiva (sponge bag) eseguita su una superficie di almeno 100 cm2. I campioni così prelevati sono stati inviati subito al laboratorio in condizioni di refrigerazione, in modo da assicurare l’inizio dell’analisi entro le 24 ore dal prelievo. Il numero delle carcasse analizzate, suddivise per anno e per specie, è riportato nelle Tabelle 1 e 2. Tabella 3. Valori di riferimento per carcasse bovine e suine. Serie Serie Serie specie accettabile marginale inaccettabile < 3,5 log 3,5 - 5,0 log > 5,0 log bovini CMT < 4,0 log 4,0 - 5,0 log > 5,0 log suini ENT 165 bovini < 1,5 log 1,5 - 2,5 log > 2,5 log suini < 2,0 log 2,0 - 3,0 log > 3,0 log X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Figura 1. Microrganismi mesofili totali ed enterobatteri su carcasse, distinte per specie animale considerata. I valori riportati si riferiscono alla percentuale di campioni che ogni anno rientrano nelle serie di accettabilità individuate per il metodo non distruttivo. accettabili marginali inaccettabili Per la ricerca di Salmonella spp., gli esiti devono essere riferiti a una serie di 50 campioni successivi; per le carcasse della specie bovina è ammessa una tolleranza di 2 campioni positivi, per la specie suina la tolleranza è di 5 positività. Tali risultati sono stati più che confortanti con due sole positività, a carico della specie suina, su un totale di 508 carcasse analizzate 2008, mentre quelle degli enterobatteri restano praticamente invariate nel 2007 e passano dal 12,2% allo 0,0% nel 2008. Riferimenti bibliografici 1. Decisione (CE) n. 471/01 della Commissione dell’8 giugno 2001, che fissa le norme per i controlli regolari delle condizioni igieniche generali, svolti dagli operatori negli stabilimenti conformemente alla direttiva 64/433/CEE sulle condizioni sanitarie per la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche e alla direttiva 71/118/CEE relativa a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili da cortile. 2. Direttiva 2004/41/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 che abroga alcune direttive recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la Decisione 95/408/CE del Consiglio. 3. Regolamento (CE) n. 2073/05 della Commissione del 15 novembre 2005, sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. 4. ISO 17604:2003: Microbiology of food and animal feeding stuffs - Carcass sampling for microbiological analysis. 5. ISO 18593:2004 – Microbiology of food and animal feeding stuffs – Horizontal methods for sampling techniques from surfaces using contact plates and swabs. 6. ISO 4833:2003: Microbiology of food and animal feeling stuffs - Horizontal method for the enumeration of microorganisms - Colony count tecnique at 30°C. 7. ISO 21528-2:2004: Microbiology of food and animal feeding stuffs - Horizontal methods for the detection and enumeration of Enterobacteriaceae - Part 2: Colony-count methodISO 6579:2002/Cor 1:2004 (E): Microbiology of food and animal feeding stuffs - Horizontal method for the detection of Salmonella spp. 8. ISO 6579:2002/Cor 1:2004 (E): Microbiology of food and animal feeding stuffs - Horizontal method for the detection of Salmonella spp. Discussione I risultati ottenuti relativamente alla carica mesofila totale evidenziano come ci siano state, soprattutto nei primi due anni, percentuali importanti di valori inaccettabili e marginali. In generale, i capi suini hanno rispettato meglio i limiti fissati dalla Dec. (CE) n. 471/2001, con una percentuale maggiore di valori che sono ricaduti nella serie di accettabilità. Negli anni successivi la tendenza è stata quella di una riduzione generale dei valori marginali a favore di un aumento di quelli accettabili. I valori inaccettabili, a fronte di una diminuzione negli anni che vanno dal 2003 al 2006 (con percentuali prossime allo zero percento per gli enterobatteri negli anni 2005 e 2006), sono stati caratterizzati da una recrudescenza negli ultimi due anni. Tale peggioramento può trovare tre tipi di giustificazione: - aumento del numero di carcasse analizzate che, rispetto al 2006, negli ultimi due anni sono quasi raddoppiate (si veda Tabella 1); - migliore esecuzione dei tamponi da parte di operatori più formati e responsabilizzati; - introduzione, a partire dagli ultimi mesi del 2006, di un nuovo stabilimento di macellazione. Quest’ultimo, in particolare, sembra essere l’aspetto che più ha inciso nel determinare l’aumento di valori inaccettabili, almeno per quanto concerne la specie suina, come dimostra il fatto che, epurando i dati relativi a tale macello, le percentuali di valori inaccettabili di microrganismi mesofili passano dal 4,4% al 3,0% nel 2007 e dal 14,3% allo 0,0% nel 166 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA: STUDIO SUI CAMPIONI BORDERLINE AL TEST ELISA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI TOTALI CONTRO BHV 1 Ferraris M., Palermo P., Bisignano G., Guidetti C. & Orusa R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta/sezione di Aosta-Cermas Key words: BHV-1; ELISA gE; ELISA gB ELISA gB: OD espresse come % di blocking e cutoff=55%. I dati sono stati analizzati utilizzando il programma statistico ® STATA 10 . Per rendere più agevole la comprensione dei grafici si riportano le seguenti definizioni: INTRODUZIONE Quando si parla di IBR si intende un complesso di patologie che include la forma classica di Rinotracheite Infettiva Bovina (IBR), associata o meno a cherato-congiuntivite, aborto, vulvovaginite e balanopostite. Dal punto di vista eziologico il responsabile delle patologie sopraindicate è rappresentato dal virus erpetico BHV 1. Sulla base dell’analisi del genoma si riconoscono due principali sottotipi virali: BHV1.1 e BHV1.2. Di questi BHV1.1 è responsabile della patologia respiratoria, mentre BHV1.2 sostiene quella genitale. I maggiori danni economici derivano dalla patologia riproduttiva, che si manifesta principalmente con ipofertilità e aborti. Il perno della patogenesi è rappresentato dall’infezione latente. Dopo la replicazione primaria a livello mucosale, il virus diffonde, per via intra-assonale, al sistema nervoso, instaurando lo stato di latenza a livello dei gangli del trigemino e sacrali (1). Il DNA virale rimane in sede nucleare, ma non si integra nel genoma ospite, ciò implica una assenza di espressione proteica virale che interrompe la stimolazione del sistema immunitario dell’ospite. Se non accadono riattivazioni dello stato di latenza, dovute a eventi stressanti (intesi come infezioni o infestioni intercorrenti) o a trattamenti cortisonici, si osserva quindi una diminuzione del titolo anticorpale nei confronti di BHV1. La disponibilità di vaccini marker deleti nella glicoproteina E (gE) consente di affrontare il problema del controllo dell’infezione da BHV1 (5). Tali vaccini, attraverso la stimolazione dell’immunità cellulomediata, prevengono l’infezione primaria e, inducendo la produzione di elevati livelli anticorpali, facilitano la protezione dall’infezione secondaria. Inoltre, la ricerca di anticorpi verso gE, con opportuno metodo ELISA, permette di valutare lo stato virologico dell’animale in presenza di vaccinazione marker. Il controllo sierologico per IBR in Valle d’Aosta, avviato nel 2003, è stato condotto avvalendosi di tre tipologie di test ELISA: Tabella 1: Combinazioni risultati test ELISA Codice p pn ppn pnn n ELISA Ab totali P P P ELISA gb P N ELISA gE status P N N N N positivo vaccinato vaccinato negativo negativo Sono stati intesi come campioni borderline tutti quei capi positivi al test ELISA Ab totali con un range percentuale di OD compreso tra 45% e 200% (3) e solo su questi è stato eseguito anche il test ELISA gB che consente, grazie ad una maggiore specificità e sensibilità, di identificare con maggiore puntualità lo stato sanitario del capo testato. STUDIO SU 812 CAMPIONI PNN NEL 2006 Nel corso del primo monitoraggio considerato (2006) 812 campioni hanno avuto la seguente combinazione: ELISA Ab totali positivo (P), ELISA gB negativo (N), ELISA gE negativo (N). Di questi 812 campioni è stato possibile seguire l'andamento sanitario nell'anno 2007 per 658 campioni. Grafico 1: Evoluzione dei capi pnn dal 2006 al 2007 100 ELISA indiretta per la ricerca degli anticorpi totali contro BHV1 (test di screening); ELISA gE per distinguere i capi infetti da quelli vaccinati con marker (4); ELISA gB utilizzato come test di conferma sui borderline (6). 94,46 percentuale 80 60 40 20 0 L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’efficacia dei test ELISA gB applicato a campioni borderline monitorando i risultati ottenuti dal 2006 al 2008 nell'ambito del Piano di controllo e protezione dall'IBR in Valle d'Aosta. 0,03 ppn 0,66 pnn esiti elisa MATERIALI E METODI Dall’intera popolazione testata durante i monitoraggi nel periodo di riferimento sono stati estrapolati e messi a confronto i dati riguardanti i campioni borderline. Le tecniche ELISA adottate si basano su metodi normati OIE e sulle rispettive metodiche allegate ai kit commerciali. Le letture in densità ottica (OD) sono espresse come segue: ELISA indiretta: OD espresse in valori % e cutoff=45%; ELISA gE: OD espresse come rapporto S/N e cutoff=0,7; 5,22 n 0,45 p 2,89 5,3 pn vaccinati Come si può notare dal grafico n°1 il 5,22% dei capi si è negativizzato (n) nel corso del 2007 ( probabilmente trattasi di capi falsi positivi al test ELISA Ab totali eseguiti nel 2006); continua ad essere considerato borderline il 94,46% dei capi. Dal confronto con i dati forniti dall’Ufficio Bonifica Sanitaria Valle d’Aosta, inerenti le vaccinazioni effettuate nel 2006, emerge che solo lo 0,66% dei capi in oggetto risulta essere vaccinato. Questo dato evidenzia l’utilità del test ELISA gB che, a fronte di un esito ELISA Ab totali positivo, ha permesso di individuare la reale classificazione del capo, definendolo negativo anziché vaccinato. 167 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Dei 658 capi considerati nel precedente confronto è stato possibile seguire l'andamento sanitario nell'anno 2008 per 543 campioni. Dal grafico n° 4 si evince che il 78% dei capi è passato da borderline a status di vaccinato, di cui l’8,63% risulta vaccinato in base ai dati forniti dall'Ufficio Bonifica Sanitaria. Grafico 2: Evoluzione dei capi pnn dal 2006 al 2008 RISULTATI Lo studio condotto ha permesso di evidenziare l’importanza dell’esecuzione del test ELISA gB sui campioni risultati borderline al test ELISA Ab totali. Il potere discriminante di quest'ultimo test, meno specifico rispetto al gB, diminuisce con l’avvicinarsi al valore soglia (cut-off). L’impiego del test ELISA gB sui borderline ha permesso di evitare un’errata attribuzione di status vaccinato, smascherando i falsi positivi al test ELISA Ab totali; inoltre tale test ha consentito di individuare un possibile fattore di rischio nei capi codificati ppn, ma non realmente vaccinati. Seppur bassa, la % di sieroconvertiti, da borderline (con status di vaccinato) a positivo (p), indica che la presenza di un gB positivo (ppn) è rappresentativa di un certo movimento anticorpale che il test ELISA gE non riesce a rilevare. Infatti ad ogni campione borderline è sempre associato un esito ELISA gE negativo. La proteina gE, come evidenziato da Beer et al 2003 (2), è a bassa immunogenicità, e in alcuni casi la chiara definizione di uno status positivo, con titolo gE rilevabile, si manifesta negli anni. D’altra parte gli andamenti dei titoli anticorpali possono subire delle oscillazioni dovute a diversi fattori (età, stato fisiologico, trattamenti farmacologici, etc.). Per quanto riguarda i capi che non risultano vaccinati dai dati provenienti dall'Ufficio Bonifica Sanitari il passaggio da status di vaccinato (pn) a vaccinato borderline (ppn) a negativo (n) potrebbe infatti segnalare un progressivo calo anticorpale che si potrebbe imputare all’età avanzata dell’animale alla mancanza di riattivazioni dello stato di latenza. 60 56,54 50 percentuale 40 30 21,18 20 10 17,86 3,13 4 0,74 0 ppn pnn n p pn Nel confronto tra i dati percentuali riportati nel grafico 1 e grafico 2, si evidenzia come ci sia una netta relazione tra la diminuzione dei capi con esito pnn ed un aumento dei capi negativizzati (n). Oltre alla presenza di falsi positivi ELISA Ab totali, tale conversione potrebbe essere dovuta a fattori legati all’età. Infatti il 46% degli animali testati ha un'età maggiore ai 48 mesi. Tale dato potrebbe far supporre una meno efficiente riposta immunitaria nei capi più anziani con conseguente calo del titolo anticorpale. Proseguendo l'analisi tra i grafici si osserva un rilevante passaggio dei capi dalla situazione di borderline a quella di vaccinato L'aumento nel titolo anticorpale al test ELISA Ab totali, tale da rendere superfluo l'utilizzo del test ELISA gB, non è però dovuto ad effettiva vaccinazione, avvenuta solo nel 4% dei casi. STUDIO SU 1.145 CAMPIONI PPN NEL 2006 Nel corso del monitoraggio 2006 hanno avuto esito ELISA Ab totali positivo, ELISA gB positivo, ELISA gE negativo 1.145 campioni. Di questi 1.145 campioni è stato possibile l'incrocio con l'anno 2007 per 861 campioni. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Grafico 3: Evoluzione dei capi PPN 2006 nel 2007 25 2. 22,76 percentuale 20 15 10 7,43 5 0,81 0 ppn 3. 8,16 6,25 pnn n 0,58 p pn 4. Come si può notare dal grafico n°3 il 22,76% dei capi è passato dalla situazione borderline (ppn) a status di vaccinato (pn), subendo quindi un incremento del titolo anticorpale. Dal confronto con i dati forniti dall'Ufficio Bonifica Sanitaria risulta effettivamente vaccinato l'8,16% dei capi. Si presume quindi che il 91,84% dei restanti capi pn è da considerarsi a rischio, in quanto soggetto ad un aumento del titolo anticorpale ancora non rilevabile dal test ELISA gE. Degli 861 capi analizzati precedentemente, per 683 capi è stato possibile l'incrocio con i dati 2008. 5. 6. Grafico 4: Evoluzione dei capi PPN 2006 nel 2008 SUMMARY In this study we've compared the results of test ELISA gB to confirm weak positive sample to indirect ELISA. ELISA gB minimize any risk to incur in false vaccinated. 100 78,04 percentuale 80 60 40 20 0 12,74 2,3 ppn 1,17 pnn 3,22 n 1,76 8,33 p 8,63 pn Ackermann M., Peterhans, E. and Wyler, R., 1982. DNA of bovine herpesvirus type 1 in the trigeminal ganglia of latently infected calves. Am. J. Vet. Res. 43, pp. 36–40 Beer M., Konig P., Schielke G. and Trapp S. Marker diagnostic for the eradication of bovine herpesvirus- type 1: possibilities and limitations. Berl. Münch. Tierärztl. Wschr. 116 (2003), pp. 183–191 Ferraris M., Masoero L., Pais L., Brusa F., Mogliotti P., Rosati S., Mannelli A., Ragionieri M., & Orusa R. Utilizzo del metodo ELISA modificato quale tecnica di monitoraggio su larga scala per la ricerca di anticorpi nei confronti di BHV1. VII Congresso Nazionale SIDiLV 26-28 Ottobre 2005 Kramps J.A., Banks M., Beer M., Kerkhots P., Perrin M., Wellenberg G.J., Van Oirschot JT. Evaluation of tests for antibodies against bovine herpesvirus 1 performed in national reference laboratories in Europe. Vet Microbiol. 2004 Sep 8;102(3-4):169-81 Mars M.H., de Jong M.C.M., Franken P., van Oirschot J.T. Efficacy of a live glycoprotein E-negative bovine herpesvirus 1 vaccine in cattle in the field. Vaccine 19 (2001) 1924-1930 Van Oirschot J.T., Kaashoek M.J., Maris-Veldhuis M.A., Weerdmeester K., Rijsewiik F.A. An enzyme-linked immunosorbent assay to detect antibodies against glycoprotein gE of bovine herpesvirus 1 allows differentiation between infected and vaccinated cattle. J Virol Methods. 1997 Aug;67(1):23-34. 168 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 BOTULISMO ALIMENTARE ASSOCIATO AL CONSUMO DI SALSA TARTUFATA 1 Flores Rodas E. M., 2Fenicia L., 2Anniballi F., 1De Angelis V.,1Del Frate S.,1Di Domenico I., 1Bilei S. 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma; Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare (DSVSA), Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo (CNRB) Keywords: Clostridium botulinum, neurotossina, salsa tartufata ABSTRACT We investigated an incident of foodborn botulism consisting of 2 cases and related to the consumption of sauce “salsa bianca tartufata”, a delicacy prepared with truffles and mushrooms. Both people involved were hospitalized with typical gastrointestinal and neurological symptoms. Unfortunately no biological samples from patients have been taken but clinical signs, epidemiological and laboratory investigations on leftovers from food, confirmed the presence of botulism toxin type B and C. botulinum type B. Il sopralluogo eseguito dalla ASL Siena 7, zona Valdichiana Senese, nell’esercizio dove il prodotto era stato acquistato ha portato al sequestro di 21 confezioni ancora invendute prodotte da una azienda artigianale umbra, tutte appartenenti allo stesso lotto di produzione di quello incriminato. Il reperto inviato all’Istituto Zooprofilattico di Roma è stato sottoposto alla ricerca di tossine e di spore botuliniche mediante metodo CDC che prevede il Mouse test (MT). La misurazione del pH è stata ottenuta con il pHmetro Seven Multi Mettler Toledo, l’aw con il Rotronic Hygrolab 3. La ricerca della tossina ha previsto l’estrazione dal materiale in esame in Tampone Fosfato Gelatina (TFG) freddo incubato per 6-8 ore a 5°C e la doppia filtrazione con filtri da 0,45μ e da 0,22μ. Successivamente si è proceduto con l’inoculazione per via peritoneale di tre coppie di topi per ciascun campione in esame di: - 1 ml di filtrato “tal quale”; - 1 ml di filtrato addizionato con antitossina polivalente (anti A, B, E); - 1 ml di filtrato trattato termicamente a 100°C per 10’; pari a 0,5 ml per soggetto. I campioni risultati positivi sono stati quindi inviati all’Istituto Superiore di Sanità per la tipizzazione della tossina botulinica mediante Mouse Assay metodica CDC, che prevede l’uso di antitossina monovalente per ogni tipo di tossina botulinica e per la ricerca delle spore neurotossigene mediante metodo colturale CDC e con metodo PCR quadruplex. INTRODUZIONE Il botulismo alimentare è causato da una potente neurotossina prodotta da Clostridium botulinum e raramente da C. baratii e da C. butyricum. Tale tossina può essere presente negli alimenti, soprattutto in quelli che durante il ciclo produttivo subiscono un insufficiente trattamento termico o hanno un pH non inferiore a 4,6 e devono essere conservati a temperature di refrigerazione. Esistono 7 differenti tossine botuliniche (A-G) di cui la A, B, E e più raramente la F, provocano il botulismo nell’uomo. Nella maggior parte dei casi C. botulinum produce un solo tipo di tossina, rari infatti sono i ceppi in grado di formare 2 tossine contemporaneamente. La forma classica di botulismo è quella alimentare conseguente al consumo di alimento contenente la tossina preformata. Il botulismo alimentare può colpire individui di tutte le età e non è trasmissibile da persona a persona. I sintomi solitamente si manifestano molto rapidamente, da poche ore a pochi giorni dall’ingestione della tossina (6 ore 15 giorni). La tossina agisce bloccando il rilascio dei neurotrasmettitori a livello delle placche neuromotrici provocando una tipica paralisi flaccida discendente che può anche avere esito letale. I sintomi tipici sono quelli di una paralisi bulbare: diplopia, annebbiamento della vista, afasia, difficoltà nella deglutizione, secchezza delle fauci e debolezza. Una diagnosi precoce sulla base dei sintomi clinici e dei risultati delle analisi di laboratorio permette di instaurare un protocollo terapeutico specifico efficace. Focolai di botulismo sono comunque molto rari se paragonati ad altre malattie alimentari. Dal 1984 al 2007 sono stati confermati presso il CNRB 283 casi per 177 incidenti, con un’incidenza annuale di 0,02 ogni 100.000 persone. Il 60,8% dei casi è stato riportato da regioni del sud Italia ed il veicolo alimentare è stato confermato in laboratorio nel 43% dei casi. Il coinvolgimento di alimenti industriali/artigianali è stata confermata in 18 incidenti che hanno coinvolto complessivamente 38 persone. RISULTATI La ricerca della tossina è risultata positiva in 8 campioni, di cui 7 presentavano un contenuto alterato nell’aspetto (4), nella consistenza (2) e in taluni casi, gas (3) mentre 1 non presentava alcuna alterazione. I valori di pH dei campioni risultati positivi erano compresi tra 5,6 e 6,0 e l’aw tra 0,93 e 0,95. Il Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo (CNRB) ha confermato la presenza in tutti i campioni positivi, di tossina botulinica tipo B e di C. Botulinum proteolitico tipo B. DISCUSSIONE L’indagine epidemiologica messa in atto già al momento del ricovero dei pazienti con sintomatologia neurologica, ha permesso di centrare l’attenzione sulla salsa tartufata bianca sottovetro. Infatti questa preparazione comprende tra gli ingredienti tartufi e funghi che sono di per sé matrici di difficile pulizia. La valutazione del protocollo di produzione della salsa in esame ha destato non poche perplessità riguardo l’efficacia del trattamento termico applicato al fine di ottenere la “sterilità pratica” del prodotto, pari a 115°C per 7 minuti Considerando la presenza di olio nella composizione del prodotto la temperatura di sterilizzazione deve essere infatti superiore ed adeguato il tempo di applicazione. Molti sono i fattori che influenzano la resistenza al calore dei microrganismi, i più rilevanti sono il grado di contaminazione MATERIALI E METODI Nel mese di maggio 2008 è occorso un caso di botulismo alimentare che ha coinvolto due individui adulti con sintomatologia gastrointestinale e neurologica. Ricoverati presso una clinica privata di Milano, entrambi hanno riferito il consumo di salsa tartufata bianca sottovetro il giorno antecedente la comparsa dei primi sintomi, durante un weekend in Toscana. 169 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 iniziale del prodotto (alta in questo tipo di matrice), le caratteristiche del substrato (presenza di grassi, basso grado di acidità (pH >4,6), elevati valori di aw, basso tenore di sale e di additivi) ed il tipo di trattamento termico. Un fattore che può influenzare la riuscita della sterilizzazione è la velocità di penetrazione del calore dall’esterno verso l’interno del prodotto, che può dipendere dalla consistenza e dalla composizione del prodotto, dalle dimensioni del contenitore, dal suo grado di riempimento e dalla natura del recipiente e, non ultimo, dalla disposizione dei contenitori all’interno dell’autoclave. E’ importante conoscere il grado di contaminazione iniziale delle materie prime per poter calcolare tutti i parametri del processo di sterilizzazione, supponendo la presenza delle specie batteriche più resistenti e tenendo un ampio margine di sicurezza. Bisogna altresì tenere presente che non sempre è possibile trattare alcuni prodotti a temperature efficaci perché queste ne altererebbero le caratteristiche organolettiche tipiche e la palatabilità. Per i prodotti non acidi e con aw elevata, un metodo di contenimento del rischio botulinico è quello della conservazione a temperatura di refrigerazione durante tutta la shelf life, se questa è breve. Un successivo episodio verificatosi in Liguria causato da un’analoga produzione industriale/artigianale “Crema di radicchio e noci”, solleva la problematica sulla pericolosità intrinseca di tali prodotti che non vengono sottoposti a sterilizzazione e che possono presentare dei parametri favorevoli allo sviluppo di Clostridium botulinum. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. Centers for Disease Control and Prevention: Botulism in the United States, 1899-1996. Handbook for Epidemiologists, Clinicals, and Laboratory Workers, Atlanta, GA Centers for Disease Control and Prevention, 1998 Lucia Fenicia, Fabrizio Anniballi (2007), Intestinal toxaemia botulism in Italy, 1984 – 2005. European Journal of clinical microbiology and infectious disease, 26,6:11-15 Peck MW. (2006). Clostridium botulinum and the safety of minimally heated, chilled foods: an emerging issue?J Appl Microbiol, 101,3:556-70. Hatheway CL. Toxigenic clostrida. Clin Microbiol Rev. 1990;3(1):66-99. Lund BM, and Peck MW. Clostridium botulinum. In: The Microbiological safety and quality of food. Ed Lund BM, BairdParker TC, and Gould GW. pp 1057-1109. Gaithersburg: Aspen. 2000. Dodds KL. Clostridium botulinum in foods. In: Clostridium botulinum, ecology and control in foods. Edited by Hauschild AHW and Dodds KL. Marcel Dekker Inc., New York, NY, pp 105-120. 170 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 VALUTAZIONE DELLA CAPACITA’ PREDITTIVA DEL POZZETTO DI DRENAGGIO DELLE ACQUE PER IL MONITORAGGIO DELLA CONTAMINAZIONE DA LISTERIA MONOCYTOGENES NEI CASEIFICI 1 1 1 2 3 Fraccalvieri R. , Parisi, A. , Latorre L. , Sarli G. , Normanno G. , Santagada G. 1 3 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia ; ASL 2 Potenza; Università degli Studi di Bari, Facoltà di Medicina Veterinaria – Dip. Sanità e Benessere Animale Valenzano (BA) Key Words : Pozzetto di drenaggio, L. monocytogenes, Valore predittivo SUMMARY In this survey, the results of 32 cheese factories were elaborated to verify the capacity of the floor drain analysis to reveal the presence of Listeria monocytogenes in dairy plants. The sensitivity, specificity, positive and negative predictive value were calculated showing the high efficacy of this sampling site in monitoring L. monocytogenes contamination in dairy farms. Nel corso del presente lavoro abbiamo voluto verificare la capacità del pozzetto di drenaggio di svelare la presenza di L. monocytogenes all’interno dei caseifici ed a tal fine abbiamo elaborato retrospettivamente i risultati dei 32 caseifici sopra citati. MATERIALI E METODI In ogni caseificio era stato effettuato un solo sopralluogo, durante il quale erano state prelevate numerose matrici alimentari ed ambientali, lungo tutta la filiera produttiva (tab.1). La ricerca di L. monocytogenes è stata condotta secondo la metodica ISO 11290-1:1996 e Amendment 1-2004 (2;3), nella quale, per i prodotti lattiero-caseari, la specificità è del 96,5% mentre la sensibilità va dal 100% per gli alti livelli di contaminazione all’85,9% per i bassi livelli di contaminazione. Al fine di valutarne la capacità predittiva, assimilando l’esame batteriologico del pozzetto ad un test diagnostico utilizzabile per la valutazione della contaminazione dei caseifici, abbiamo stabilito di considerare per convenzione: “contaminati” i caseifici in cui almeno una matrice alimentare o una superficie a contatto con gli alimenti risultava positiva per L. monocytogenes “non contaminati” tutti gli altri caseifici “veri positivi” i pozzetti positivi in caseifici “contaminati” “veri negativi” i pozzetti negativi in caseifici “non contaminati” “falsi negativi” i pozzetti negativi in caseifici “contaminati” “falsi positivi” i pozzetti positivi in caseifici “non contaminati”. In base ai risultati ottenuti sono stati calcolati : Sensibilità (a/(a+c)) probabilità che un caseificio contaminato risulti pozzetto-positivo; Specificità (d/(b+d)) probabilità che un caseificio non contaminato risulti pozzetto-negativo; Valore predittivo POS. (a/(a+b)) probabilità che un caseificio pozzetto-positivo sia contaminato; Valore predittivo NEG. (d/(c+d)) probabilità che un caseificio pozzetto-negativo sia non contaminato. Dove: a = Pozzetto Pos - Caseificio Contaminato (vero +) b = Pozzetto Pos - Caseificio Non Contaminato (falso +) c = Pozzetto Neg - Caseificio Contaminato (falso -) d = Pozzetto Neg - Caseificio Non Contaminato (vero -) INTRODUZIONE Il genere Listeria comprende 6 specie: L. monocytogenes, L. ivanovii, L. seeligeri, L. innocua, L. welshimeri e L. grayi. Di queste solo L. monocytogenes e L. ivanovii sono patogene. L. monocytogenes è patogena per l’uomo e per gli animali mentre L. ivanovii è principalmente un patogeno animale che occasionalmente può dare malattia nell’uomo (7). Listeria monocytogenes, negli ultimi 15-20 anni, ha suscitato un grande allarme nell’ambito della sicurezza microbiologica del comparto lattiero-caseario perché gli episodi di listeriosi alimentare dovuti al consumo di latte e derivati hanno dato origine a forme cliniche anche gravi, con un tasso di mortalità elevato (circa 30%) (1). Le caratteristiche fisiologiche di L. monocytogenes quali l’acidotolleranza, l’alotolleranza e la psicrotrofia consentono a questo microrganismo di insediarsi, adattarsi e svilupparsi anche nelle condizioni ambientali più sfavorevoli (8;9). L’ubiquitarietà e la capacità di formare biofilms rende estremamente difficile la radicale eliminazione di L. monocytogenes dal caseificio in quanto numerosi sono le nicchie adatte alla sua sopravvivenza e al suo sviluppo. Nel corso di nostre precedenti indagini (5;6) abbiamo esaminato la filiera di 32 caseifici rappresentativi della realtà produttiva del territorio appulo-lucano, analizzando le matrici alimentari (materia prima, semilavorati e prodotti finiti), le superfici a contatto con le matrici alimentari lungo l’intera filiera produttiva ed i pozzetti di drenaggio delle acque siti nella sala di lavorazione del caseificio. Complessivamente sono risultati positivi per L. monocytogenes 6 caseifici (6/32; 18,7%). Da queste analisi il pozzetto di drenaggio ha evidenziato una prevalenza di contaminazione da L. monocytogenes, significativamente (p<0,005) più elevata rispetto agli altri siti ambientali . Tab.1 campioni prelevati nei caseifici in esame Matrici alimentari n. latte di giornata latte refrigerato e stoccato latte di post pastorizzazione cagliata tuma messa in forma formaggio stagionato formaggio a pasta filata formaggio fresco siero per produzione della ricotta ricotta altre matrici 18 25 2 31 19 42 25 13 25 28 7 Positivi N. % 1 4,0 1 3,2 1 5,3 2 8,0 1 3,5 - Superfici a contatto con l'alimento Positivi N. % filtri 32 caldaia per lavorazione cagliata 32 2 6,2 attrezzi per lavorazione cagliata 32 2 6,2 interno dei fuscelli 32 1 3,1 tavoli di sgocciolatura 32 3 9,4 assi di asciugatura e stagionatura 28 1 3,6 interno dei frigoriferi 23 1 4,3 mani del personale 32 2 6,2 altre superfici 10 1 10 Superfici non a contatto con l'alimento pozzetto di scarico 32 6 18,8 171 n. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RISULTATI Nella tabella 2 è indicato il numero dei caseifici contaminati con pozzetto positivo (a) e di quelli contaminati con pozzetto negativo (c), il numero dei caseifici non contaminati con pozzetto positivo (b) e di quelli non contaminati con pozzetto negativo (d). BIBLIOGRAFIA 1. 2. Tab.2 Caseifici contaminati da L. monocytogenes CASEIFICI POZZETTI non contaminati contaminati positivi a: 6 b: 0 negativi c: 0 d: 26 3. 4. L'elaborazione dei dati della tabella 2 ha portato ai seguenti risultati: Sensibilità (a/(a+c)) probabilità che un caseificio contaminato risulti pozzettopositivo Specificità (d/(b+d)) probabilità che un caseificio non contaminato risulti pozzettonegativo Valore pred. POS. (a/(a+b)) probabilità che un caseificio pozzetto-positivo sia contaminato Valore pred. NEG. (d/(c+d)) probabilità che un caseificio pozzetto-negativo sia non contaminato 5. 100% 100% 6. 100% 7. 8. 100% 9. DISCUSSIONE Le nostre precedenti indagini (5;6) avevano indicato il pozzetto di drenaggio come il sito più contaminato in quanto aveva evidenziato una prevalenza di contaminazione da L. monocytogenes significativamente più elevata rispetto agli altri siti ambientali (p<0,005). I valori di sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e valore predittivo negativo relativi all’analisi batteriologica del pozzetto sono risultati pari al 100% e ne hanno pertanto confermato l’elevata capacità diagnostica dello status del caseificio nei confronti della contaminazione da L. monocytogenes. Alla luce dei dati su esposti riteniamo che, nell’ambito del piano di autocontrollo di un caseificio per la ricerca di L. monocytogenes, sarebbe sufficiente limitarsi a monitorare sistematicamente il solo pozzetto di drenaggio, riducendo significativamente il numero di prelievi lungo il resto della filiera con conseguenti vantaggi economici per gli operatori del settore. Ovviamente il pozzetto, oltre ad essere un valido indicatore della presenza di L. monocytogenes nel caseificio, è altresì una possibile fonte di contaminazione per il caseificio stesso e pertanto le operazioni di sanificazione devono essere svolte con grande attenzione; in particolare dovrebbe essere rigorosamente vietato l’uso di getti di acqua a pressione per la loro pulizia. Diversi autori segnalano infatti che i pozzetti di drenaggio delle acque posti all’interno del caseificio rappresentano un importante fattore di rischio in quanto la loro pulizia mediante l’uso di getti di acqua a pressione potrebbe generare aerosol che, favoriti da correnti o da sistemi forzati di circolazione dell’aria, diffondono i microrganismi nell’ambiente (4). Aureli P., Ferrini A.M., Gianfranceschi M., Marongiu C., 1990. Contaminazione degli alimenti: risultati delle esperienze in Italia dei servizi di sorveglianza. In Atti “Giornata di studio su Listeriosi: diagnosi, patologia, terapia”. Istituto Sup. Sanità, Milano 23.10.1990 International Organization for Standardization. ISO 112901:1996 “Microbiology of food and animal feeding stuffs— horizontal method for the detection and enumeration of Listeria monocytogenes – Part 1 : Detection metod “ ISO 11290-1:1996 Amendement 1 2004-10-15 “Modification of the isolation media and the haemolisis test, and inclusion of precision data” Kells J., Gilmour A. 2004. Incidence of Listeria monocytogenes in two milk processing environments, and assessment of Listeria monocytogenes blood agar for isolation. Intern. J. Food Microbiol. 91: 167-174 Latorre L., Fraccalvieri R., Nuzzolese N., La Salandra G., Parisi A., Santagada G., 2006. Prevalenza di Listeria spp. in caseifici bovini della Puglia e della Basilicata. Inatti XVI Convegno Nazionale dell’Associazione Nazionale Veterinari Igienisti (A.I.V.I.) “Sicurezza alimentare: ruolo e funzioni del veterinario ispettore europeo” 23 giugno 2006 Valenzano (Bari) Latorre L., Fraccalvieri R., Natale M., Palazzo L., Parisi A., Santagada G. 2008. Prevalenza e caratterizzazione genotipica di Listeria spp. in caseifici ovi-caprini della Puglia e della Basilicata Industrie alimentari 480, 486-493 Low,J.C. and Donachie,W. (1997) A review of Listeria monocytogenes and listeriosis. Vet. J. 153, 9-29 Rocourt J., 1994. Listeria monocytogenes: the state of science. Dairy Food Environmental Sanitation, 14, 70 Ryser E. T., Marth E. H., 1991. Listeriosis, and food safety. Marcel Dekker, Inc. New York RINGRAZIAMENTI: Si ringraziano per la collaborazione tecnica il dott. Leopoldo Contò e la dott.ssa Cristina Tremamunno. Questo lavoro è stato supportato dal finanziamento del Ministero della Salute (Ricerca corrente IZSPB04/05) 172 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 TAYLORELLA ASINIGENITALIS: PRIMA SEGNALAZIONE IN ITALIA IN STALLONI ASININI Franco A.1, Di Egidio A.1, Troiano P.2, Putrella A.2, Maggi A.3, Iurescia M.1, Lorenzetti R1, Zini M. 1, Ianzano A. 1, Onorati R. 1, Onorati C.1, Cerci T. 1 , Autorino G. L. 1 e Battisti A. 1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, 3 Foggia; Veterinario Libero Professionista convenzionato con Istituto Regionale Incremento Ippico Pugliese di Foggia Key words: Taylorella asinigenitalis, isolamento, identificazione, equini I due isolati batterici, presuntivamente identificati come sospetto T. equigenitalis, sono stati inviati al Centro di Referenza Nazionale per le malattie degli equiini (CeRME) presso IZS delle Regioni Lazio e Toscana, Roma, per la conferma. L’identificazione formale delle due specie di Taylorella non è infatti ottenibile con metodi fenotipici né con metodi sierologici. Per l’identificazione definitiva dell’isolato il Centro di Referenza Nazionale ha effettuato oltre alle prove fenotipiche previste dallo Standard OIE (OIE, 2008), anche prove molecolari di consenso internazionale (First OIE CEM Conference, 2007), che hanno identificato l’isolato come T. asinigenitalis. A seguito della segnalazione di positività al Servizio Veterinario ASL ed al Centro Regionale di Incremento Ippico di competenza Allo scopo di evitare l’ulteriore possibile trasmissione nella popolazione di asini e cavalli i due stalloni asinini sono stati trattati con trimethoprim-sulfadiazina i. m. 30 mg/Kg BID and sottoposti a lavaggi genitali con Clorexidina 4% per 10 giorni. I successivi controlli per Taylorella spp. ai giorni 14, 21, 28 dall’inizio della terapia e nei successivi tre mesi ad intervalli mensili hanno dato esito negativo. ABSTRACT Taylorella asinigenitalis colonisation is reported for the first time in Italy from two donkey jacks of the endangered Martina Franca breed stabled in the regional institute of horse and donkey breeding in Apulia, Southern, Italy. The isolates were phenotypically indistinguishable from T. equigenitalis, and were identified by a multiplex PCR assay and sequencing of the 706-bp product fragment from the 16S rRNA. The origin of the infection remains unclear, as epidemiological field investigations and sampling of all the equids that had been in contact with the positive jacks gave negative results. INTRODUZIONE La Metrite Contagiosa Equina (CEM) è una malattia venerea contagiosa degli equidi, sostenuta da un batterio Gram negativo, Taylorella equigenitalis, descritto per la prima volta nel Regno Unito nel 1977. (Timoney et al., 1977; Crowhurst et al., 1979, Sugimoto et al., 1983, Timoney, 1996). La malattia è stata in seguito osservata in vari paesi dell’Europa e nel mondo ed è inclusa nell’ex Lista B del Codice zoosanitario dell’Office International des Epizooties (OIE, 2007) per il notevole impatto negli scambi internazionali di equidi. E’ trasmessa nella maggior parte dei casi da stalloni carrier asintomatici, in cui l’agente colonizza le mucose urogenitali. . II sintomi clinici, presenti nel 30-40% delle fattrici infette, includono scolo mucopurulento lieve o copioso, cervicite e vaginite. E’ descritto nelle fattrici anche lo stato di portatore per periodi prolungati (OIE, 2008). Nel 1997 un organismo T. equigenitalis-like isolato da asini e cavalli in California e Kentucky (Katz et al., 2000; Jang et al., 2001), fu classificato nella nuova specie T. asinigenitalis sulla base di studi tassonomici molecolari (Jang et al., 2001). Il batterio è fenotipicamente indistinguibile da T. equigenitalis e non causa apparentemente forme cliniche nelle asine e nelle cavalle (Jang et al., 2001, Arata et al., 2001), ma può causare problemi di misclassificazione come T. equigenitalis (e conseguenti misure di prevenzione e controllo), allorché si usino soltanto metodi fenotipici o anche metodi molecolari non adeguati per l’alto livello di omologia nelle sequenze dei due agenti (Bleumink-Pluym et al., 1994; Moore et al., 2000). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’origine dei due isolati di T. asinigenitalis ad oggi non è ancora nota. I due stalloni positivi erano risultati negativi durante gli screening della stagione di monta precedente e pertanto avevano servito regolarmente. Le indagini epidemiologiche ed I campionamenti di tutti le fattrici e gli stalloni asinini che erano venuti in contatto con i due soggetti positivi hanno dato esito negativo, così come i soggetti della specie equina stabulati presso IRIIP. Infatti esiste la possibilità di trasmissione orizzontale degli agenti del Genere Taylorella tra gli stalloni degli equidi, così come già descritto per T. equigenitalis (Burger & Dobretsberger, 2007). Tutti gli altri stalloni asinini ed equini stabulati presso IRIIP hanno dato esito negativo in tre successivi controlli effettuati ad intervalli mensili. Allo scopo di evitare l’ulteriore possibile trasmissione nella popolazione di asini e cavalli i due stalloni asinini sono stati trattati con esito negativo alla fine della serie dei controlli suggeriti dal Centro di Referenza Nazionale. Le due specie di Taylorella spp. sono altamente correlate da un punto di vista genetico con un’omologia di sequenza di circa il 98%. Si ritiene che al pari di T. equigenitalis anche T. asinigenitalis vi sia un’elevata omogeneità genetica tra i ceppi circolanti. (Båverud et al., 2006). Per svelare lo status di colonizzazione o infezione da agenti del Genere Taylorella negli equidi, risulta di fondamentale importanza l’accurato campionamento dei materiali biologici degli animali sottoposti a screening, l’accurata conservazione di tali materiali durante il trasporto in laboratorio e la consegna per le prove di laboratorio entro le 24-48 ore dal prelievo (OIE, 2008). E’ inoltre fondamentale che le prove di laboratorio vengano effettuate presso laboratori ufficiali accreditati secondo Standard Internazionali (ISO 17025). In conclusione, la prima segnalazione di colonizzazione/infezione naturale da T. asinigenitalis in Italia dimostra che l’agente è presente nella popolazione asinina del territorio italiano ed è potenzialmente trasmissibile ad animali della specie equina. Tale evenienza potrebbe causare misidentificazione dell’agente come T. equigentitalis, MATERIALE E METODI Durante i controlli sanitari di routine effettuati ai fini dell’abilitazione degli stalloni equini ed asinini alla monta presso l’Istituto Regionale per l’Incremento Ippico (IRIIP) di Foggia, due stalloni asinini della razza Martina Franca di 5 e 9 anni nati ed allevati in regione Puglia sono stati sottoposti a prelievi di tamponi dell’apparato genitale per CEM secondo protocolli internazionali presso l’IZS Puglia e Basilicata, Sede Centrale di Foggia. I tamponi sono stati sottoposti a prova per T. equigenitalis secondo procedura accreditata presso l’U. O. Diagnostica Generale (OIE, 2008). RISULTATI Le colture hanno rivelato crescita di microrganismi riferibili a Taylorella, con caratteristiche fenotipiche compatibili con l’agente eziologico della CEM (catalasi, ossidasi, fosfatasi positivi ed areattivi ad un panel miniaturizzato di test biochimici (API 20NE bioMerieux). Il test di agglutinazione al latice (OIE, 2008) impiegato è risultato positivo. 173 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 con conseguenti problemi di carattere economico e di polizia veterinaria relativi agli scambi ed alle movimentazioni nazionali ed internazionali. E’ importante ricordare che ad oggi l’infezione da Taylorella equigenitalis non è ancora soggetta a denuncia obbligatoria sul territorio nazionale, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, e nonostante gli accurati controlli sanitari richiesti e le restrizioni imposte a livello internazionale in quanto malattia compresa nell’ex Lista B OIE). A tale proposito, nel corso del 2007 e del 2008 il Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini ha potuto confermare la presenza di T. equigenitalis in n= 7 stalloni nazionali, isolata e presuntivamente identificata presso i laboratori ufficiali degli IIZZSS. E’ altresì molto sentita da parte del settore dell’allevamento e della veterinaria equini la necessità di avere, oltre a protocolli di screening e di terapia per l’eradicazione dell’infezione dai soggetti positivi, anche chiare disposizioni normative a livello nazionale. Tali disposizioni consentirebbero la segnalazione ufficiale all’autorità sanitaria dei soggetti positivi, l’espletamento dell’indagine epidemiologica (incluso tracing back), la corretta ed univoca applicazione delle misure igienico-sanitarie per i soggetti e i gruppi di animali con soggetti positivi o sospetti: in definitiva, una adeguata gestione della sorveglianza e del controllo della malattia secondo gli standard sanitari internazionali. RINGRAZIAMENTI Si ringraziano la S.ra Annamaria D’Ecclesia e il Sig. Francesco Tolve del Laboratorio di Diagnostica Generale Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata BIBLIOGRAFIA Arata, A.B., Cooke, C.L., Jang, S.S., Hirsh, D.C., 2001. Multiplex polymerase chain reaction for distinguishing Taylorella equigenitalis from Taylorella equigenitalis-like organisms. J. Vet. Diagn. Invest. 13: 263–264. Baverud V., Nystrom C., Johansson K.E. (2006) “Isolation and identification of Taylorella asinigenitalis from the genital tract of a stallion, first case of a natural infection” Vet. Microbiol. 116: 294300. Bleumink-Pluym, N.M., Werdler, M.E., Houwers, D.J., Parlevliet, J.M., Colenbrander, B., van der Zeijst, B.A., 1994. Development and evaluation of PCR test for detection of Taylorella equigenitalis. J. Clin. Microbiol. 32: 893–896. Burger D. & Dobretsberger M., 2007. CEM in stallions at the Spanish Riding School in Vienna. In: Proceedings of the First International Conference on Contagious Equine Metritis, 11-12 july 2007, CIDC-Lelystad, Lelystad, The Netherlands Jang, S.S., Donahue, J.M., Arata, A.B., Goris, J., Hansen, L.M., Earley, D.L., Vandamme, P.A., Timoney, P.J., Hirsh, D.C., 2001. Taylorella asinigenitalis sp. nov., a bacterium isolated from the genital tract of male donkeys (Equus asinus). Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 51: 971–976. Katz, J.B., Evans, L.E., Hutto, D.L., Schroeder-Tucker, L.C., Carew, A.M., Donahue, J.M., Hirsh, D.C., 2000. Clinical, bacteriologic, serologic, and pathologic features of infections with atypical Taylorella equigenitalis in mares. J. Am. Vet. Assoc. 216, 1945–1948. Moore, J.E., Millar, B.C., Buckley, T.C., 2000. Potential misidentification of Taylorella asinigenitalis as Taylorella equigenitalis: implications for the epidemiology of CEM. J. Equine Sci. 20: 479. Office International des Epizooties. Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals, 2004. Ch. 2.5.1 (Web format, version adopted May 2005). http://www.oie.int/eng/normes/mmanual/A_00079.htm (accessed 03 July 2008). Premanandh, J., George, L.V., Wernery, U., Sasse, J., 2003. Evaluation of a newly developed real-time PCR for the detection of Taylorella equigenitalis and discrimination from T. asinigenitalis. Vet. Microbiol. 95, 229–237. Wakeley PR, Errington J, Hannon S, Roest HI, Carson T, Hunt B, Sawyer J, Heath P., 2006. Development of a real time PCR for the detection of Taylorella equigenitalis directly from genital swabs and discrimination from Taylorella asinigenitalis. Vet Microbiol, 118:247-54. 174 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 1 1 1 2 2 Laboratorio Diagnostica Clinica; Analisi del rischio e sistemi di sorveglianza in Sanità Pubblica. CIRCUITO INTERLABORATORIO DI MICROBIOLOGIA DIAGNOSTICA: RICERCA TAYLORELLA EQUIGENITALIS Key words: Circuito Interlaboratorio, Assicurazione Qualità, Taylorella equigenitalis. 1 Friso S., Perin R., Mancin M. e Corrò M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro, Padova sanitari. Ogni distribuzione consta di sei campioni prova liofilizzati, opportunamente identificati che vengono inviati ai laboratori partecipanti a temperatura controllata (+4°C±3°C), rispettando le condizioni previste dalla normativa vigente riguardante il trasporto di materiale biologico (7). I campioni prova sono corredati di scheda di sicurezza, istruzioni per la conservazione ed il ripristino del liofilizzato, la modulistica da compilare per la registrazione dei risultati. Ogni laboratorio esterno all’IZSVe è libero di applicare le proprie procedure per l’analisi dei campioni prova mentre i laboratori dell’Istituto utilizzano la procedura accreditata PDP DIA 03, redatta secondo le indicazioni del Manuale OIE (5). Per la preparazione dei campioni prova si utilizzano ceppi batterici di riferimento (ATCC, NCTC) e ceppi batterici isolati ed identificati nel corso dell’attività diagnostica. Si producono più tipologie di campioni prova con le seguenti caratteristiche: colture in purezza con cariche diverse e note di Taylorella equigenitalis; colture costituite da uno o due ceppi batterici (contaminanti) associati o meno a T. equigentalis e campioni prova sterili. Una volta preparate e titolate, le sospensioni batteriche vengono addizionate ad un crioprotettore (latte sterile con 0.1 % di grassi oppure siero equino sterile, diluito 1:2 in soluzione fisiologica) e successivamente liofilizzate (liofilizzatore Edward Minifas 6000) secondo il seguente schema: raffreddamento a –40°C (±5°C) per almeno 12 ore; fase di -1 “vuoto” con il raggiungimento di una pressione di 1.10 . mbar, cui segue innalzamento graduale della temperatura fino a -10°C (±3°C) che viene mantenuto per 12 ore; riscaldamento a +15°C (±1°C) per almeno 2 ore e chiusura ermetica dei flaconi. Ogni lotto di liofilizzato prodotto viene controllato con criteri statistici per valutarne l’accettabilità, l’omogeneità e la stabilità. Per verificare l’accettabilità del lotto si campiona casualmente un numero n di flaconi, tenendo conto della consistenza del lotto prodotto, di solito limitata (50-100 flaconi). Stabilito a priori di eliminare l’intera produzione in caso di presenza anche di una sola non conformità (C=1), la probabilità di accettazione del lotto (0P1) in funzione della percentuale di non conformità presenti e della numerosità campionaria n (n=5, n=10, n=25, ecc.) è rappresentata dalla curva operativa caratteristica del piano di campionamento semplice per attributi (figura 1). ABSTRACT In this paper we describe methods used to set up a Qualitative Proficiency Testing for diagnostic labs (AQUA, Diagnostic Microbiology Scheme), about isolation and identification of Taylorella equigenitalis. Six years of work experiences and results are presented. INTRODUZIONE La normativa nazionale ed internazionale vigente (6) stabilisce i requisiti sanitari per gli equidi destinati alla riproduzione tra i quali anche l’assenza di infezione da Taylorella equigenitalis, agente eziologico della metrite contagiosa equina (C.E.M). Il metodo ufficiale di prova riconosciuto per gli scambi internazionali è l’esame colturale eseguito su tamponi uretrali e prepuziali di equino. Per la corretta esecuzione dell’analisi, per garantire l’attendibilità dei risultati e rispondere ai criteri di miglioramento continuo previsti dal Sistema Qualità, i laboratori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali incaricati delle indagini, applicano ormai integralmente le norme previste dal sistema Qualità (8). Tuttavia mancano ancora strumenti adeguati per valutare le performance dei laboratori che svolgono attività di tipo diagnostico. Per ovviare a tale carenza il laboratorio di Diagnostica Clinica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) ha attivato, prima in via sperimentale (dal 2003 al 2006) e successivamente in forma ufficiale (dal 2007), un circuito interlaboratorio di carattere qualitativo per l’isolamento e l’identificazione di Taylorella equigenitalis. L’intento iniziale era di confrontare e standardizzare le metodiche utilizzate dai diversi laboratori e di valutare l’efficacia delle procedure applicate, considerato il fatto che il microrganismo non veniva segnalato ufficialmente sul territorio nazionale da oltre un decennio. Oltre a ciò il circuito voleva essere un momento di incontro e di scambio tra laboratori di diversi istituti per discutere le problematiche incontrate nell’esecuzione della prova e concordare eventuali miglioramenti ed azioni correttive. Oggi con l’ufficializzazione del circuito e l’avvio di un percorso per la Certificazione delle prove interlaboratorio gestite secondo le norme ISO/IEC Guide 43-1:1997(E) e ILAC G13:2000, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie si propone di fornire uno strumento accessibile ed economico per la valutazione delle performance di laboratorio, che tenga conto dei differenti ambiti di attività e che si rivolga con particolare attenzione ai laboratori che svolgono attività di tipo diagnostico. Il circuito, denominato “Circuito Interlaboratorio per l’Assicurazione Qualità dei Risultati (AQUA) (2) comprende più tipologie di analisi destinate a laboratori che operano in settori diversi, suddivise in schemi: Batteriologia Alimentare, Chimica, Sierologia, ecc., tra cui anche lo schema di Microbiologia Diagnostica (MD) con la ricerca di Taylorella equigenitalis. Figura 1: Curva operativa caratteristica per n=5, n=10, N=25. C ur v a ope r a t i v a c a r a t t e r i s t i c a 1 n=5, C=1 0, 8 n=10, C=1 0, 6 n=25, C=1 0, 4 0, 2 0 0, 00 0, 00 0, 02 0, 05 0, 09 0, 13 0, 17 0, 21 0, 25 0, 29 0, 33 0, 37 0, 41 0, 45 0, 49 P e r c e n t u a l e d i n o n c o n f o r mi t à n e l l o t t o ( p ) MATERIALE E METODI Attualmente tredici laboratori di cinque istituti zooprofilattici partecipano al circuito di microbiologia diagnostica, ogni laboratorio è identificato con un codice alfa numerico per garantirne l’anonimato. Il circuito comprende due distribuzioni annuali programmate per i mesi di febbraio e novembre in modo da coincidere con i periodi di maggiore attività per la riproduzione degli equidi e lo svolgimento dei relativi controlli In pratica si accetta il lotto se tutti gli n flaconi esaminati sono conformi, mentre si elimina se anche un solo flacone dovesse risultare non conforme. Sullo stesso numero di flaconi si verificano inoltre l’omogeneità e la stabilità del lotto eseguendo in doppio la carica batterica. In ogni caso le prove 175 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 di omogeneità e di stabilità vengono ripetute ad ogni nuovo circuito su tutti i lotti di campioni prova scelti prima dell’invio. I risultati inviati dai laboratori partecipanti vengono elaborati utilizzando la statistica Kappa di Cohen (K) che permette di valutare il grado di concordanza tra risultati ottenuti e risultati attesi per ogni laboratorio. La statistica K, può assumere valori compresi tra –1 (massimo disaccordo) e +1 (massimo accordo). Per l’interpretazione dei valori intermedi si rimanda alla scala di Landis & Koch (tabella1) (1,4). latte UHT a basso tenore di grasso come crioprotettore, permette una migliore solubilizzazione del liofilizzato rispetto al siero equino. Inizialmente c’è stata una certa difficoltà da parte di alcuni laboratori ad isolare ed identificare correttamente Taylorella equigenitalis nei campioni prova, ma notevoli progressi si sono ottenuti proprio grazie allo studio delle combinazioni dei microrganismi, bilanciando le concentrazioni batteriche ed utilizzando terreni di coltura di adeguata composizione e di buona qualità. Tutto ciò ha permesso di preparare un campione prova con caratteristiche ottimali, stabile ed omogeneo. Il miglioramento dei risultati è visibile dall’elaborazione statistica dei dati inviati dai laboratori partecipanti alla prova. In molti casi è di fatto evidente un aumento del valore di concordanza tra i risultati ottenuti dai singoli laboratori e risultati attesi. Il trend positivo del circuito interlaboratorio è il risultato della standardizzazione della metodica per la preparazione dei campioni prova, delle conoscenze acquisite sulle interazioni tra specie microbiche, dell’utilizzo di terreni di coltura più adatti all’isolamento del microrganismo e dell’esperienza maturata da tutti i partecipanti alla prova nell’isolamento ed identificazione del microrganismo. Come si osserva dalla tabella 2, la maggior parte dei laboratori hanno raggiunto un valore “buono” o “ottimo” di concordanza, rispondendo completamente agli obiettivi prefissati con la realizzazione del circuito interlaboratorio. Solo due laboratori hanno mostrato una lieve flessione nei valori del 2008 I° semestre che rimangono tuttavia nell’ambito di una “buona” concordanza. Inoltre il lavoro svolto per la preparazione del circuito di microbiologia diagnostica ha permesso di aumentare le competenze degli operatori tecnici e di approfondire conoscenze microbiologiche da condividere con i colleghi di altri laboratori. Tabella 1: scala di Landis & Koch K d0 0.01-0.20 0.21-0.40 0.41-0.60 0.61-0.80 0.81-1.00 Concordanza Scarsissima Scarsa Discreta Moderata Buona Ottima RISULTATI Nella tabella 2 si riportano i valori di K dei laboratori partecipanti al circuito dal 2003 ad oggi (I° semestre 2008). Nove laboratori hanno partecipato a tutti i circuiti organizzati, tre in modo discontinuo e un laboratorio ha aderito alla prova dal 2005 in poi. Tabella 2: Valori di K rilevati per laboratorio dal 2003 al 2008 (I° semestre): 2003-2006 fase sperimentale. Legenda : * 2008 I° semestre; (-) risultati non pervenuti Codice lab. 2003 2004 2005 2006 2007 2008* Lab. 1 1 1 1 1 1 1 Lab. 2 0,75 1 1 0,7143 1 0,6667 Lab. 3 0,75 1 1 1 0,8 1 Lab. 4 1 0,7143 1 1 0,6 1 Lab. 5 0,75 1 1 0,7143 1 0,6667 Lab. 6 0,25 1 1 1 - - Lab. 7 1 1 1 1 0,8 1 Lab. 8 0,5 1 1 1 1 1 Lab. 9 1 1 1 1 1 1 Lab. 10 0,25 0,7143 1 0,7143 0,8 1 Lab. 11 - - 1 1 1 1 Lab. 12 - - - 0,5 - - Lab. 13 - - - 0,7143 - - Bibliografia 1. Douglas C. (2005) “Controllo statistico della qualità”. McGraw-Hill Companies 2. Grimaldi M., Bordin P., Mioni R., Comin D., Trevisan R., Mancin M., Milan F. (2007) “L’assicurazione della qualità dei risultati tramite l’utilizzo di circuiti interlaboratorio. Esperienze dei laboratori di Microbiologia Alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie”. Biologi Italiani 4, 68 –73. 3. Quinn P.J., Carter M.E. et Al. (1994) “Clinical Veterinary Microbiology”. Wolfe Ed., 178-179. 4. Sidney Siegel, N. John Castellan Jr. (1992) “Statistica non parametrica”. McGraw-Hill Companies 5. Contagious equine metritis. “Manual of Diagnostic Test and Vaccines for Terrestrial Animals” (2005) OIE, chapter 2.5.1 6. D.M. 13 gennaio 1994, n° 172, allegato VI e successive integrazioni (Circolare 18 ottobre 1994, n°33 (BURV 25/10/94 n° 91); Circolare Ministero della Sanità 31 gennaio 1995, n°3; Nota del Ministero della Salute “Malattie degli equidi. Metodologie diagnostiche per le malattie degli equidi riproduttori maschi ai fini della disciplina della riproduzione animale” 15 maggio 2005). 7. Circolare Ministero della Salute “Raccomandazioni per la sicurezza del trasporto di materiali infetti e di campioni diagnostici” 8 maggio 2003, n°3. 8. UNI CEI EN ISO/IEC 17025: 2005 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura” DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Le principali difficoltà tecniche incontrate nella realizzazione del circuito riguardano in particolare la preparazione dei campioni prova. Infatti, a causa delle caratteristiche di Taylorella equigenitalis, crescita lenta (48-72 ore), necessità di fattori di crescita, esigenze colturali specifiche (condizioni di incubazione ed isolamento in terreni di coltura contenenti antibiotici), interazioni con altri microrganismi (sinergie, antagonismi), ecc. (5), si presenta il problema di controllare la crescita dei contaminanti batterici che spesso avviene a scapito del patogeno da isolare. Pertanto è stato effettuato uno studio accurato per l’individuazione delle specie batteriche e delle concentrazioni ottimali di questi microrganismi che permetta di ottenere un campione prova che sia rappresentativo della situazione reale e simuli la flora microbica dei genitali esterni degli equini. Un altro inconveniente tecnico emerso nel corso della sperimentazione, riguarda le caratteristiche del liofilizzato in fase di risospensione . Si è constatato infatti che l’utilizzo del 176 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RIFLESSI CLINICI E LABORATORISTICI DI UN REGIME ALIMENTARE IPERPROTEICO NEL CANE Fusari A., Ubaldi A., Quintavalla F., 1Venturelli B., 1Venturelli G. 1 Dipartimento di Salute Animale. Università degli Studi di Parma: Chemivit s.r.l., Quattrocastella, RE Keywords: cane, nutrizione,biochimica clinica INTRODUZIONE Il cane a seguito delle sue origini evolutive è classificato come “carnivoro”, anche se nella realtà cinofila è sottoposto ad un regime alimentare che si discosta dalle peculiarità del carnivoro per avvicinarsi a quelle dell’onnivoro. Nella dieta del cane, infatti, sono previsti alimenti che non rientrano nella dieta di un carnivoro, quali vegetali fibrosi, cereali diversamente trattati, ecc. In accordo con quanto sopra descritto, gli esperti di nutrizione prescrivono per il cane dei tassi proteici nella dieta pari al 25-32%. La via migliore per soddisfare i fabbisogni proteici è, sino ad ora, l’impiego delle proteine della carne, anche in base alla conoscenza che la composizione aminoacidica risulta la più vicina alla composizione teorica del tuorlo d’uovo. Il tasso proteico indicato per il cane può essere raggiunto anche con alimenti proteici diversi dalla carne, come i cereali o i prodotti proteici cosiddetti “tecnologici”. Essi sono essenzialmente dei complessi proteici ricavati dall’industria. A scopo esemplificativo si può citare il caso delle proteine ricavate dal siero di latte, oppure i derivati dei lieviti (lisati proteici). Questi prodotti tecnologici vantano dei contenuti proteici nettamente superiori alla carne e prossimi al 41% . La presente nota riferisce sui risultati di una sperimentazione su cani di razza Siberian Husky cui è stata somministrata una razione alimentare contenente quote proteiche variabili ed elevate, che aveva lo scopo di individuare i limiti di compatibilità metabolica dei regimi iperproteici indotti con proteine tecnologiche nel cane. MATERIALI E METODI Animali: n. 17 cani adulti di razza Siberian husky, di cui 11 maschi e 6 femmine. I soggetti selezionati per la presente sperimentazione avevano un’età compresa tra 4 ed gli 11 anni. Il peso medio delle femmine era di 18 Kg e 23 Kg per i maschi. Alimentazione: L’alimento “di base” dell’allevamento è costituito da: carne di pollo fresca, carne di tacchino fresca, mangime composto integrato del commercio. La razione giornaliera era così formulata: 3,5 Kg di carne di pollo, 1,5 Kg di carne di tacchino, 3 Kg di mangime composto integrato. Da cui si ricava una media di 0,44 Kg per cane al giorno. Valore che però è stato modificato ed adattato in base al peso ed al sesso dei singoli cani. Alle quantità riportate deve essere aggiunta la quantità di concentrato proteico vegetale anallergico (Sostanza secca totale 95%, Proteine grezze 41%, Grassi greggi 5%, Carboidrati totali 35%, Ceneri 8%) nelle tre settimane di durata della prova: nella prima settimana è stato aggiunto il 5% che corrisponde ad un peso di 400 grammi aggiunti alla razione giornaliera totale; nella seconda settimana la percentuale di prodotto aggiunto è salita al 10%, che corrisponde ad un peso di 800 grammi aggiunto alla razione giornaliera totale; nella terza settimana la percentuale è salita al 25%, che corrisponde ad un peso di 2 Kg da aggiungere alla razione giornaliera. Il mangime composto integrato utilizzato, la cui composizione è riportata di seguito, era reperito sul mercato: umidità 8,00%: proteina grezza 30,00%: grassi grezzi; 21,00% fibra grezza 2,15%; ceneri 7,20%; calcio 1,50%; fosforo 1,10%. ingredienti: carne fresca di pollo e tacchino (min. 25%) carni disidratate di pollame, mais, riso, strutto suino, idrolizzato proteico di pollo, polpe di barbabietola, lievito di birra, vitamine e minerali, bioflavonoidi, L-carnitina. Preservato con vitamina E. Contiene inoltre acido linoleico 3,7%. Integrazione vitaminico-minerale (per Kg di prodotto): vit. A 14.400 U.I.; vit. D3 1.080 U.I.; vit. E (alfa-tocoferolo) 290 mg; rame (solfato rameico pentaidrato) 16 mg. Alla prova di somministrazione descritta è seguito un periodo di 30 giorni di ripristino della normale razione alimentare. Prelievi di campioni biologici: i prelievi ematici sono stati effettuati prima dell’inizio della sperimentazione (T0), allo scopo di determinare i valori fisiologici dei cani prima della somministrazione del prodotto innovativo in sperimentazione, e un prelievo alla fine della somministrazione (T1). Analisi di laboratorio: le indagini ematochimiche erano volte ad individuare le eventuali modificazioni plasmatiche. I test analitici plasmatici eseguiti sono stati: proteine totali (P.TOT.), albumina (ALB.), globuline totali (GLOB.), glucosio (GLUC.), urea (UREA), creatinina (CREAT.), acido urico (AC. UR.), GOT, GPT, bilirubina totale (BIL.TOT.), colesterolo totale (COL.TOT.), colesterolo-HDL (COL-HDL), trigliceridi (TRIGL.) e fosfo-lipidi (P-LIP.). Osservazioni e controlli clinici: Gli animali impiegati nella prova sono stati sottoposti ad un costante e programmato controllo clinico. RISULTATI E DISCUSSIONE Nella tabella sono riportati i valori medi di analisi suddivisi per sesso, ristretti ai parametri biochimico clinici che hanno presentato un comportamento significativo. I parametri omessi non hanno presentato alcuna variazione durante lo svolgimento della prova e nel periodo successivo. Dai risultati sperimentali si evince che : 1. i valori di uremia mostrano un aumento sensibile, in rapporto all’elevato tasso proteico della razione finale della terza settimana 2. i valori di creatininemia mostrano una sostanziale invariabilità 3. i valori di colesterolemia totale mostrano un significativo aumento nel gruppo delle femmine, mentre la variazione non è rilevante nel gruppo dei maschi 4. le variazioni nei valori di colesterolo-HDL hanno lo stesso andamento dei valori di colesterolemia totale 5. i valori di trigliceridemia mostrano un lieve aumento, non statisticamente significativo 6. si osserva un aumento nei valori dei fosfo-lipidi, non statisticamente significativo 7. si registrano valori contrastanti nei livelli di uricemia, perché il gruppo delle femmine mostra un lieve calo,mentre nel gruppo dei cani maschi il comportamento è inverso il punto 1 è da intendersi come la conseguenza dell’eccesso proteico creato dalla aggiunta del 25% del prodotto iperproteico anallergico. L’eccesso è stato precedentemente programmato, allo scopo di saggiare gli eventuali effetti tossici della razione alimentare. L’eccesso proteico sarebbe stato giudicato potenzialmente tossico se anche il punto 2 avesse mostrato un aumento sensibile della creatininemia. Evenienza che non è stata misurata analiticamente, né osservata clinicamente, e che esclude 177 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Nei maschi l’aumento era di 11-13%, nelle femmine era di 6-8% del peso iniziale. Inoltre, l’aumento di peso maggiore è stato rilevato in tre soggetti maschi che avevano in comune i genitori, anche se nati in due gestazioni diverse. Le misurazioni periodiche dei pesi corporei hanno mostrato che le femmine sono rientrate prontamente sui valori dell’inizio della prova dopo la sospensione della dieta speciale, mentre i maschi hanno mantenuto un sovrappeso per tempi decisamente più lunghi. I tre maschi mantenevano un sovrappeso contenuto a distanza di cinque mesi dal termine della prova. CONCLUSIONI La razione alimentare del cane, come è concepita oggigiorno, prevede la presenza massiccia di carne e quindi di un tenore proteico elevato in accordo con le caratteristiche di carnivoro. L’aggiunta di concentrati proteici di natura tecnologica costituisce una realtà legata al mondo dello sport, nel quale ai cani sono chieste prestazioni fisiche impegnative. Nel caso specifico, ai Siberian Husky è chiesto di percorrere lunghi tratti in condizioni atmosferiche estreme o comunque difficili per le basse temperature. La tendenza dei cani alimentati con un surpuls proteico ad accumulare grasso depone per una spiccata tendenza ad utilizzare le fonti proteiche e quindi gli aminoacidi come molecola iniziale per la sintesi lipidica. La naturale predisposizione metabolica del Siberian Husky a convertire prontamente l’eccesso proteico in lipidi evita il sovraccarico renale di composti azotati con conseguenti stati patologici. Inoltre, il concentrato proteico utilizzato ha soddisfatto le previsioni di anallergicità indispensabili per l’inclusione in diete speciali per cani che periodicamente sono sottoposti a razioni alimentari iperproteiche. SUMMARY The introduction of “technological” food in the canine nutrition to cover the increased needs in particular sportive trail, without provoke pathologies or imbalance, has been prooved in this trial. 17 dogs were fed with a diet added with a hyperproteic concentrated nucleous to verify its the innoquity on metabolism. Plasma analytical results confirm that the supplementation applied did not provoke any imbalance or pathology, but only slight changes in the blood picture that normalize after the end of the trial. REFERENCES l’effetto tossico dell’aggiunta del prodotto iperproteico anallergico. Il punto 2, come sopra descritto, ha assunto un valore discriminante nei confronti della funzionalità renale che, come è noto, si controlla tramite l’esecuzione dei parametri uremia e creatininemia, che in caso di compromissione renale assumono valori numerici nettamente superiori rispetto ai valori basali. I punti 3 e 4 necessitano di un esame attento, poiché la razione modificata produce un aumento significativo della colesterolemia. L’aumento del colesterolo-HDL, proporzionalmente con il colesterolo totale, costituisce un fattore positivo, in particolare nelle femmine. E’ noto che le variazioni del colesterolo totale sono rimarchevoli sul piano clinico se non sono accompagnate dall’aumento della frazione denominata colesterolo-HDL. I punti 5 e 6 segnalano che le frazioni lipidiche trigliceridi e fosfo-lipidi mostrano un aumento che induce a ritenere che la dieta con l’aggiunta del prodotto iperproteico apporta un piccolo quantitativo di lipidi in più rispetto alla razione di base. L’aumento è conseguente all’assorbimento intestinale di lipidi, perché è risaputo che i valori ematici dei fosfo-lipidi sono direttamente proporzionali alla funzione intestinale (digestione ed assorbimento). L’aumento della concentrazione plasmatica dei parametri del comparto lipidico non è, comunque, da riportare ad un effetto smagrente del prodotto in esame conseguente ad eccessiva lipomobilitazione dato che i soggetti hanno mostrato un aumento di peso. Il punto 7 evidenzia la differenza metabolica tra i cani di sesso maschile e femminile. Inoltre, è possibile correlare l’andamento dei valori di analisi del parametro urea con i valori dell’uricemia. L’aumento di urea e di acido urico nei maschi è decisamente superiore a quello osservato nelle femmine. Sapendo che l’urea e l’acido urico sono connessi al contenuto di composti azotati nell’alimento, si può spiegare il comportamento dei due parametri anche nel cane ed in particolare nei maschi. Alla fase di somministrazione del concentrato proteico è seguita, come già accennato, la fase di normalizzazione, cioè un periodo di 30 giorni durante i quali gli animali hanno assunto la normale razione alimentare. Al termine di questa seconda fase è stato effettuato un prelievo ematico e sono state eseguite le stesse analisi sopra descritte. I risultati analitici non hanno evidenziato significative variazioni rispetto ai valori che gli animali presentavano al tempo zero iniziale. Questi risultati di laboratorio testimoniano che l’ingrediente proteico aggiunto alla razione alimentare non induce modificazioni permanenti nei parametri ematici e quindi del metabolismo dei cani. L’osservazione clinica programmata degli animali, invece, ha evidenziato un fenomeno inaspettato: i soggetti maschi, ed in misura minore le femmine, hanno mostrato un aumento di peso. 1) Hand MS., Thatcher CD, Remillard RL, Roudebush P.”Small th Animal Clinical Nutrition”,4 Ed.Mark Morris Institute Marceline, MO USA 2008. 2) Case, Carey, Hirakawa, Daristotle, “Canine and Feline Nutrition”, A resource for companion animal professionals, Second edition, 2000. 3) Ubaldi A., Corbella E., Montanari P. Chimica clinica veterinaria. Ed. Ambrosiana, Milano 1982. 4) Willard M.D., Tvedten H. Small animal clinical diagnosis by laboratory methods W.B. Saunders Company, 1989. Tabella: valori plasm atici m edi di cani Siberian Husky prim a dell'inizio dell'additivazione della razione (T0) ed alla fine dell'additivazione (T1) suddivisi in base al sesso. valori norm ali cane M Fem m ine T0 DS F T0 M m aschi T0 DS M T0 M Fem m ine T1 DS F T1 M m aschi T1 DS M T1 UREA 20-25 mg/dl 40,40 8,61 48,83 15,37 45,50 6,90 58,51 13,14 CREAT. AC.UR. COL.TOT. < 1,8 mg/dl 0,20-0,90 mg/dl 105-440 mg/dl 0,92 1,20 202,10 0,16 0,34 28,12 1,10 1,27 190,13 0,14 0,24 39,51 1,00 1,11 259,18 0,22 0,16 54,11 1,10 1,36 210,96 0,37 0,60 62,88 178 COL.HDL 122,70 7,56 117,93 12,97 145,90 17,00 128,95 21,21 TRIGL. FOSFO-LIP. 50-100 mg/dl 250-500 mg/dl 93,29 482,34 5,49 33,05 92,27 452,23 12,91 77,32 95,64 600,14 8,04 58,67 99,80 493,07 4,81 86,83 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 PREPARAZIONE MEDIANTE FPLC DI IgG DI CAPRA ANTI IgG DI BUFALO 1 Fusco G., 1Amoroso M.G., 1Serpe F.P., 1De Felice A., 2Sarnelli P., 1Iovane G. 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sez. Caserta; Giunta Regionale della Campania, Area Generale di Coordinamento; Assistenza sanitaria, Settore Veterinario. Keywords: FPLC, anticorpo policlonale, bufalo Abstract We built up a method to produce and purify good polyclonal antispecies antibodies. The protocol was made of a two step purification: immunoaffinity and ionic-exchange chromatography. Purified IgG were used to raise, in goats, specific anti IgG antibodies. Goat anti IgG antibodies showed very strong affinity for species specific IgG and almost no reaction with other serum proteins or with IgG belonging to other species. 1. Introduzione Per studiare la suscettibilità di molte specie animali alle più comuni malattie o per eseguire screening diagnostici di infezioni su alcune specie animali si utilizzano molto spesso test immunologici che dosano il quantitativo di IgG anti patogeno presente nei fluidi organici dell’animale. Per fare ciò si rende necessario l’utilizzo di anticorpi antispecie che consentano di individuare le suddette IgG. Una delle maggiori difficoltà che si incontra nell’applicazione delle tecniche diagnostiche immunologiche a specie animali economicamente importanti, quale il bufalo e diverse da quelle bovina, ovina, caprina e suina, è l’assenza in commercio di anticorpi antispecie omologhi. Spesso si ricorre all’uso di anticorpi di altri animali che cross-reagiscono con la specie in studio (3). Questa pratica però è fortemente limitata dal fatto che ciascuna specie animale ha un sistema immunitario unico e specializzato a proteggere l’organismo dall’attacco di agenti infettivi diversi. L’uso di antisieri eterologhi per la ricerca di globuline rende il test meno sensibile e poco attendibile ai fini diagnostici. Per quanto suddetto appare importante avere a disposizione un anticorpo che sia in grado di riconoscere in maniera specifica e sensibile le IgG dell’animale oggetto di diagnosi. Gli anticorpi policlonali contengono diverse molecole anticorpali che riconoscono differenti epitopi su una molecola antigenica. Un antisiero policlonale di buona qualità si rivela utile per numerose applicazioni diagnostiche quali ELISA, immunoprecipitazione, immunoblotting, tutte tecniche in cui il legame di più di una molecola anticorpale per molecola antigenica migliora la sensibilità del saggio (2). Obiettivo del nostro lavoro è stato mettere a punto un protocollo che consenta di ottenere un anticorpo policlonale antibufalo altamente specifico. Ciò è stato possibile mediante l’impiego della cromatografia a flusso (Fast Protein Liquid Chromatography, FPLC). La ricerca è stata effettuata producendo un siero di capra rivolto contro le immunoglobuline di bufalo, fermo restando la possibilità di applicazione su vastissima scala. 2. Materiali e metodi I campioni di emosiero bufalino sono stati raccolti, nella provincia di Caserta, dai veterinari appartenenti alle AA.SS.LL durante i Piani di risanamento svolti sul territorio. 2.1. Purificazione cromatografica delle IgG di bufalo (WBIgG) La purificazione è stata eseguita utilizzando una strategia in due fasi mediante cromatografia liquida rapida delle proteine (FPLC) (AKTA purifier system, GE, Uppsala, Svezia). I campioni sono stati prima purificati mediante una colonna ad immunoaffinità (HiTrap ProteinG 5ml, GE). Le frazioni raccolte sono state ulteriormente purificate per cromatografia a scambio ionico eseguita con una colonna MonoQ (1 ml, GE) usando come tampone di partenza (A) Tris-HCl 20mM pH 8. Le proteine legate sono state separate mediante un gradiente lineare di tampone di eluizione (B) (0,5 M NaCl). Le frazioni eluite sono state verificate mediante SDS-Page. 2.2. Immunizzazione degli animali e raccolta del siero Le IgG di bufalo purificate sono state impiegate per produrre, in capra, un siero policlonale anti WBIgG. All’uopo due capre Saanan di 1 anno d’età (1maschio e 1 femmina in asciutta) hanno ricevuto 4 iniezioni intramuscolari, (50 mg di WBIgG emulsionate con un volume di Adjuvante di Freund), ad intervalli di 3 settimane. I campioni di sangue sono stati raccolti 3 settimane dopo ogni iniezione, centrifugati e il siero conservato a -20°C fino all’uso. 2.3. Preparazione della colonna NHS-WBIgG Le IgG di bufalo purificate sono state legate ad una colonna HiTrap-NHS (5ml, GE) al fine di isolare, dal siero di capra, esclusivamente le IgG che l'animale ha prodotto contro le IgG di bufalo (GoatĮWBIgG). Il legame NHS-WBIgG è stato realizzato come descritto dal produttore con alcune modifiche. In breve, abbiamo utilizzato il tampone di legame consigliato (0,2 M NaHCO3, NaCl 0,5 M) a pH 7,4 invece che pH 8,3. Il binding del ligando è stato poi effettuato per 3 h/T.A. e poi ricircolo O.N./4°C. Le IgG di capra anti IgG di bufalo sono state purificate, con la colonna ad immunoaffinità così prodotta. Il GoatĮWBIgG ottenuto è stato utilizzato, non coniugato, nei test di immunodiffusione oppure coniugato con perossidasi di rafano, (HRP) nei saggi ELISA. 2.4. Immunodiffusione ed ELISA L’immunodiffusione è stato condotta incubando (O.N./37°C) il GoatĮWBIgG con siero di bufalo. Per esaminare il livello di cross reazione con altre specie animali sono stati usati sieri di bovino, pecora e suino. Come controlli negativi sono stati utilizzati PBS e siero di capra non immunizzata. Al fine di analizzare il funzionamento e la sensibilità dell’antisiero di HRP capra coniugato con HRP (GoatĮWBIgG ), si è allestito un test ELISA indiretto volto a rivelare le IgG di bufalo anti Brucella abortus presenti nel siero di bufali allevati nella provincia di Caserta. In particolare, cellule di Brucella abortus fenicate (antigene "Unico" per FDC, IZS Lombardia ed Emilia Romagna) sono state fatte aderire ai pozzetti di una piastra Immuno-Plate (Nunc) ad una concentrazione di 108 UFC/pozzetto (1-4). I pozzetti sono stati poi saturati (200 ȝl PBS-gelatina 1%, 1h), lavati (tre volte con PBS-tween 0,05%) e incubati 2 h a 21 °C (± 5) con 100 ȝl di siero di bufalo diluito 1/20 e 1/100. Dopo un altro step di lavaggio i campioni sono stati incubati 30 min a 21°C (± 5) con 100 ȝl di GoatĮWBIgGHRP diluito 1/10, 1/100 e 1/1000. I pozzetti sono stati nuovamente lavati e si è aggiunta prima una soluzione di rivelazione (100 ȝl TMB, Sigma) e poi una soluzione di arresto. I risultati sono stati letti spettrofotometricamente a 450nm. Come controllo negativo si è usato un siero di bufala negativo alla prova SAR ed FDC e proveniente da un allevamento Ufficialmente Indenne alla malattia. 3. Risultati e discussione 3.1. Purificazione delle IgG di bufalo Il primo step del lavoro ha previsto la purificazione delle IgG di bufalo da impiegare sia nelle immunizzazioni che per preparare la colonna NHS-WBIgG. Per effettuare la purificazione si è pensato di usare una colonna ad immunoaffinità. Al fine di ottenere un buon livello di purificazione, sono state quindi eseguite prove con diverse colonne e con vari protocolli di purificazione (tabella 1). Come è possibile vedere dalla Fig. 1 da nessuna delle prove si è riusciti a purificare completamente le WBIgG. Si è sempre avuto un unico picco di eluizione (Fig. 1A) che all’SDS-Page ha mostrato la presenza di bande contaminanti (Fig. 1B). 179 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Solo quando si è applicato un gradiente di tampone B (gradiente di pH) abbiamo ottenuto 2 picchi di eluizione che, in ogni caso, mostravano un identico profilo elettroforetico (dati non mostrati). Si è pensato quindi, (come già riportato in letteratura), che si trattasse di due sottopopolazioni di IgG (5). maschio, (circa 0.7 mg/ml contro 1.3 mg/ml), a conferma della forte individualità della risposta immunitaria anche nell’ambito della stessa specie e della stessa razza animale. Entrambi gli animali hanno prodotto IgG già dalla seconda settimana dopo a la 2 immunizzazione con un lieve aumento di produzione nei prelievi successivi (dati non mostrati). 3.3. Valutazione della specificità dell’antisiero prodotto La specificità e la sensibilità dell’antisiero nei confronti delle WBIgG sono state analizzate mediante immunodiffusione (Fig. 3B) ed ELISA indiretta. Come si può vedere dalla figura l’antisiero di capra non presenta alcuna reazione con il siero suino e ovino e solo una blanda reazione con il siero bovino: ciò era prevedibile dato la forte somiglianza tra le due specie. Questa cross-reazione non dà in ogni caso alcun problema perché l’antisiero prodotto dovrebbe essere principalmente impiegato in kit diagnostici per la ricerca di IgG di specie rivolte contro un determinato patogeno. Un esempio è rappresentato dalla ricerca in siero/latte bufalino di IgG anti Brucella abortus mediante ELISA indiretto. Per potere usare l’antispecie prodotto come anticorpo secondario nel test ELISA suddetto, abbiamo allestito il test impiegando come antigene corpuscolato Brucella abortus fenicata e come siero di bufalo un siero positivo alla prova FDC (640UI/ml). Come anticorpo di rivelazione abbiamo poi usato sia il nostro antisiero marcato con HRP, sia un anti ruminante marcato con HRP presente in commercio. I risultati hanno evidenziato che il nostro antisiero riconosce con molta intensità (550 AU) il siero di bufalo positivo (a Brucella) e quasi per niente il siero negativo (170 AU rispetto a 155 AU per il PBS) dando una positività rispetto al negativo del 70%. L’anti-ruminante invece, pur dando un segnale molto più alto con il positivo (3095 AU), mostra anche una forte cross-reazione con il negativo (2200 AU rispetto a 360 per il PBS), determinando una positività netta solo del 30%. Il GoatĮWBIgG sembra quindi reagire in maniera molto più selettiva e quasi esclusivamente contro le IgG. Sono tuttavia in programma ulteriori esperimenti volti a valutare in maniera accurata e definitiva la sensibilità dell’antisiero prodotto. I risultati finora ottenuti, molto incoraggianti, ci invitano a sostenere che, realizzando un accurato processo di purificazione delle IgG della specie di interesse, è possibile ottenere un ottimo anticorpo antispecie che può trovare tantissime applicazioni sia diagnostiche che di ricerca. Un buon antispecie, avente elevata avidità per le IgG e nulla affinità per le altre proteine del siero, può rivelarsi utile, oltre che nelle classiche applicazioni diagnostiche previste nei Piani di risanamento anche per lo studio e la caratterizzazione del sistema immunitario del bufalo e della risposta anticorpale del citato animale a determinate malattie. Ciò è importante se si decide di intraprendere anche in questa specie animale programmi di prevenzione e Piani già in essere per il bovino. Data l’unicità del sistema immunitario di ciascuna specie infatti, adattare programmi e kit diagnostici già esistenti e validati per altri animali potrebbe non essere sufficiente e porterebbe ad ignorare o sottovalutare le esigenze specifiche della specie in questione (2). 4. Bibliografia 1)Altoon G.G., Jones L.M. Angus R.D. & Verger j.M. (988). Tab. 1 Prove di purificazione delle WBIgG per immunoaffinità PROVE DI PURIFICAZIONE EFFETTUATE Colonna di eluizione x HiTrapProtA 5ml – 15 m (Fig. 1B, lane 1) x HiTrapProtG 5ml – 15 ml x Gamma bind 1 ml Coppia tamponi binding/eluizione (HiTrapProtG/100%B) A) Tris 0.1M pH 8 /Gly 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 2) B) Tris 1M pH 8 / Gly 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 3) C) PBS pH 7 / tampone citrato 0.1M pH 3 (Fig. 1B, lane 5) Profilo eluizione x 100% B x Gradiente tampone B (HiTrapProtG/ coppia tamponi A) Eluizione del campione dopo precipitazione selettiva in solfato d’ammonio (40-60-80%) (Fig. 1B, lane 6) Fig. 1 Purificazione di WB IgG per immunoaffinità Al fine di ottenere WBIgG pure abbiamo allora deciso di combinare, alla cromatografia per immunoaffinità, quella a scambio ionico. Il campione è stato quindi sottoposto ad un primo step di purificazione con ProtG e coppia tamponi A, (condizioni che avevano dato il miglior livello di purificazione e il maggior quantitativo di proteine purificate) (Fig. 1B, lane 2). L’eluato è stato poi purificato ulteriormente per scambio ionico. I risultati hanno mostrato che, applicando alla colonna MonoQ un gradiente 0-100% di tampone B, si è riusciti a separare il campione in 3 diversi picchi. Mediante SDS-Page si è visto che il picco eluito al 30% rappresentava le IgG. Si è allora effettuata una corsa con 0-50% di B che ha risolto ancora meglio i 3 picchi suddetti e ci ha dato un ottimo livello di purificazione (Fig. 2A, picco 4; Fig. 2B, lane 4). Fig. 2 Purificazione di WB IgG per scambio ionico 3.2. Purificazione dell’antispecie prodotto (GoatĮWBIgG) Il siero delle due capre immunizzate è stato sottoposto a purificazione mediante NHS-WBIgG in modo da isolare le IgG specificatamente rivolte contro le WBIgG. Da tutti i prelievi effettuati (3 per ciascuna capra) si è sempre ottenuto un unico picco di eluizione ben definito (Fig. 3A). Fig. 3 Eluizione ed immunodiffusione dell’antispecie prodotto Techniques for the brucellosis laboratory. Institut. National. de la Recherche. Agronomique Paris 2)Cooper H.M., Paterson Y., (2001). Production of polyclonal antisera. Curr. Protoc. Cell. Biol.; May, Chapter 16: Unit 16.2. 3)Davis W.C., Khalid A.M., Hamilton M.J., Ahn J.S., Park Y.H. and Cantor G.H., (2001). The use of crossreactive monoclonal antibodies to characterize the immune system of the water buffalo (Bubalus bubalis). J. Vet. Sci. 2: 103-109. 4)Manual of standards for diagnostics test and vaccines, page 261nd 267,2 edition, OIE 5)Nikolayenko I.V., Galkin O., Grabchenko N.I., Spivak M., (2005). Preparation of highly purified human IgG, IgM, and IgA for immunization and immunoanalysis. Ukr. inorg. Acta, 2:3-11 Il contenuto proteico è stato quantificato mediante spettrofotometro e la presenza di GoatIgG specifiche per WBIgG è stata confermata tramite immunodiffusione (Fig. 3B). Come controllo negativo di specificità della colonna si è impiegato un siero di capra non immunizzato che non ha dato alcun eluato. Dalla corsa FPLC e dal calcolo della concentrazione proteica si è evinto che la femmina ha prodotto una quantità di IgG notevolmente più basso del 180 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RICERCA DI MICRORGANISMI CAUSA DI TOSSINFEZIONE MEDIANTE PCR MULTIPLEX IN UOVA DI ALLEVAMENTI RURALI E ALIMENTI CONTENENTI CARNI DI POLLAME 1 1 1 1 2 Fusco G., Proroga Y.T.R., Romano M., , Salzano C., Zinno V. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta 2 ASl Napoli 2; Dipartimento di Prevenzione;Settore Veterinario Keywords: food-borne pathogens; eggs; multiplex PCR Abstract In the present study 90 samples of eggs from family rural farms and 30 samples of ready to cook chicken meat have been investigated. PCR was used to analyse the samples by a mix of primers against E. coli, E. coli ETEC, E.coli O157, S.enteritidis., Y. enterocolitica, S. aureus, L. monocytogenes, B.cereus, C. jejuni e C. coli. While meat samples were all negative to the above mentioned pathogens, positivity was found for egg shell as follows: 14.5% to B. cereus, 4,5% to S. aureus, 24% to E. coli and 5,5 % to Campylobacter jejuni. Positivity for eggs content was: to E. coli 3,3% and B. cerus and S. aureus 2,2%. mediante l’autocontrollo, l’immissione sul mercato di prodotti alimentari sani dal punto di vista microbiologico. Per la ricerca dei microrganismi agenti di tossinfezione, abbiamo ritenuto interessante utilizzare sia il metodo colturale tradizionale e sia le metodica PCR allo scopo di confrontarne i risultati relativamente al parametro sensibilità dei due test. Entrambe le metodiche d’analisi sono state impiegate su alimenti freschi; analizzare l’alimento fresco con i metodi di biologia molecolare è fondamentale ai fini diagnostici dal momento che nel prodotto non fresco la presenza di inibitori della polymerase che legano il magnesio, rende vana e inutile la ricerca. Introduzione Considerato l’importante ruolo svolto da alcuni patogeni quali Salmonella enteritidis, Yersinia enterocolitica, Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus, Bacillus cereus, Campylobacter jejuni e Camylobacter coli, E coli ETEC ed E. coli O157H:7 quali causa di malattia alimentare nell’uomo con conseguenze, in alcuni casi, mortali, riteniamo utile valutare la salubrità, relativamente alla presenza dei citati germi, in alimenti non controllati quali uova raccolte presso allevamenti rurali. Tale tipologia di allevamento è solitamente a conduzione familiare per un consumo delle uova prodotte esclusivamente nell’ambito dei propri congiunti. Le uova rappresentano un alimento particolarmente a rischio per l’uomo, quando entrano nella preparazione di particolari salse, ad esempio la salsa tonnata, oppure per abitudini alimentari di abitanti di zone rurali vengono consumate crude come “uova da bere”. E’ noto che in persone sane agenti patogeni causa di tossinfezione sono in grado di causare malattie con sintomi gravi, prognosi riservata ed esito a volte infausto, ma la pericolosità di uno qualsiasi dei germi ricercati aumenta considerevolmente quando ad ammalarsi sono categorie deboli come bambini, anziani, donne in gravidanza e persone immunodepresse. Salvaguardare la salute del consumatore da parte degli addetti ai lavori, siano essi i Produttori o Organi Competenti del Sistema Sanitario, è un compito di difficile attuazione vista la ubiquitarietà dei microrganismi oggetto di studio e pertanto anche valutare la salubrità di questo tipo di alimento, in particolare le uova di allevamenti rurali, ha la sua importanza dal momento che questa tipologia di alimento sfugge ai normali controlli routinari di vigilanza condotti sul territorio dal personale AA.SS.LL.. Inoltre i risultati del nostro studio rappresenteranno i primi dati disponibili in letteratura che, attualmente, in merito all’argomento, risulta carente. A nostro avviso un siffatto studio è di notevole interesse oggi che il consumatore è alla continua ricerca di alimenti genuini e biologici ed è attratto da un tipo di vacanza che assicura il contatto con la natura ed il consumo di prodotti “sani” come quella offerta dagli agriturismi. L’alimento “genuino”, ad ogni modo, non sempre offre garanzie dal punto di vista della sicurezza alimentare dal momento che esce da un filiera produttiva non controllata a differenza di quanto è immesso sul mercato da parte di grossi produttori i quali, applicando le disposizioni previste dalla normativa vigente, assicurano Materiali e Metodi I campioni analizzati in questo studio sono stati i seguenti: 90 uova provenienti da allevamenti rurali ubicati sul territorio della provincia di Caserta e di Napoli e 30 campioni di alimento “pronti a cuocere” contenenti carni di pollame. Le uova sono state raccolte dai Veterinari nel corso delle attività di bonifica sanitaria degli allevamenti della regione Campania dalla brucellosi e leucosi. I campioni di alimento invece sono stati campionati dal personale delle AA.SS.LL CE/1 e CE/2 nel corso dell’attività di vigilanza svolta sul territorio della sola provincia di Caserta. La ricerca dei patogeni è stata condotta sia con i metodi colturali tradizionali che biotecnologici. Per quanto riguarda le uova, sono stati esaminati separatamente sia i gusci che i contenuti (tuorlo/albume). I saggi di PCR sono stati condotti sugli alimenti sottoposti ad una fase di pre-arricchimento. A tal fine 10 g di ciascun campione provenienti da 25 g di alimento sminuzzato grossolanamente sono stati posti in 90 ml di Tryptic Soy Broth Yeast Extract (TBSYE) e omogeneizzati per 1 min.. In seguito, dall’ omogenato incubato per 24 h a 37 °C, è stato prelevato 1 ml di campione dalla fase superiore da sottoporre a centrifugazione per 5 min a 13.000 g. Per l’estrazione del DNA dal pellet ottenuto, è stato utilizzato il kit QIAmp DNA Mini kit della Qiagen. Per la ricerca di 8 patogeni simultaneamente il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR – Multiplex, utilizzando la mix di primers ed il programma di amplificazione descritto da Wang (4). Tutti i campioni risultati positivi alla first PCR a Escherichia coli e Bacillus cereus sono stati sottoposti a conferma mediante una PCR – nested. Per l’esecuzione di quest’ultima 1 μl di ogni prodotto precedentemente amplificato è stato diluito in rapporto 1:20 e sottoposto a 35 cicli di amplificazione utilizzando le coppie di primers specifici per l’identificazione delle specie batteriche sopra menzionate ed indicate altrove (4). Per la ricerca di Campylobacter jejuni e Campylobacter coli sono state seguite i protocolli descritti da Persson e coll., (3). In particolare per la ricerca dei citati microrganismi sono stati impiegati primers che amplificano sequenze del gene hip O (hippuricase gene) caratteristico del C. coli e del gene asp (aspartokinase gene) caratteristico del C. jejuni. Per la ricerca di E. coli O:157 H:7 è stato avviato anche un protocollo di PCR multiplex (2) che amplifica sequenze target di cinque fattori di patogenicità ossia hly 933 (166bp), fliCh7 (625bp), stx 1 (210 bp) ed stx 2 (484 bp) ed il gene eae ( 397bp). Come controlli positivi sono stati usati i seguenti materiali di riferimento: Escherichia coli ATCC 25922; Escherichia coli O157H:7 ATCC 35150; Salmonella enteritidis ATCC 13076; 181 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 Yersinia enterocolitica ATCC 9610; Staphylococcus aureus ATCC 25923; Listeria monocytogenes ATCC 7644; Bacillus cereus ATCC 11778. Infine per visualizzare l’amplificato, 10μl di ciascun DNA sono stati caricati su gel di agarosio al 2% contenente bromuro di etidio (1 μg ml-1) e sottoposti ad elettroforesi. contaminazione del guscio nell’ambiente con successiva penetrazione attraverso la parete dello stesso. A favorire la contaminazione del contenuto dell’uovo attraverso il guscio può contribuire anche un difetto di spessore di quest’ultimo dovuto a carenze di calcio per una dieta dei soggetti allevati poco bilanciata oppure a malattie virali dato che questi animali non sono sottoposti ad alcun trattamento immunizzante. In conclusione, riteniamo necessario dare ulteriore risalto ai risultati conseguiti dal presente studio anche in considerazione del fatto che in letteratura non sono riportati controlli sul tipo di allevamento investigato e che la presenza di Bacillus cereus e Staphylococcus aureus rappresenta la prima segnalazione in turlo/albume di uova di allevamenti rurali. Lo scarso interesse da parte dei ricercatori nazionali e internazionali per questa realtà zootecnica che nella nostra regione è molto diffusa, potrebbe essere giustificato dal fatto che nell’ambito del territorio nazionale quest’ultima non è altrettanto sviluppata anche se da parte degli Organi preposti normalmente alla tutela della salute pubblica essa meriterebbe la stessa attenzione che il mondo scientifico rivolge all’allevamento intensivo. Risultati e Discussione L’indagine ha interessato complessivamente 120 campioni di cui 90 uova fresche provenienti da allevamenti rurali a conduzione familiare e 30 campioni di “pronti a cuocere” raccolti in esercizi per la vendita al dettaglio della provincia di Caserta. I risultati ottenuti dall’analisi delle uova, riportati in tab 1, sono i seguenti: Staphylococcus aureus è stato riscontrato nei gusci di 4 campioni (4,4%) e in 2 tuorlo/albume (2,2%); Escherichia coli, è stato riscontrato nei gusci di 22 campioni (24.4%) e 3 tuorlo/albume (3,3%); Bacillus cereus è stato riscontrato nei gusci di 13 campioni (14,4%) e 2 tuorlo/albume (2,2%). Infine riguardo a Campylobacter jejuni quest’ultimo è stato riscontrato in 5 campioni di gusci (5,5%) e nessun tuorlo/albume. I campioni di “pronti a cuocere “ sono risultati tutti negativi ai patogeni ricercati. Nelle foto 1 e 2 sono riportati rispettivamente i risultati dell’elettroforesi su gel di agarosio dei campioni risultati positivi a E. coli e Bacillus cereus. Nessun campione è stato riscontrato positivo a Salmonella enteritidis, Listeria monocytogenes Escherichia coli ETEC, Escherichia coli O157H:7 e Campylobacter coli. L’analisi dei campioni mediante tecniche convenzionali, hanno confermato i risultati delle prove biotecnologiche fatta eccezione per 3 campioni di gusci risultati negativi a Campylobacter spp. I risultati da noi ottenuti complessivamente sono interessanti, ma doverose considerazioni e attenzioni meritano i dati scaturiti dall’analisi delle uova di allevamenti rurali. Se consideriamo che le tossinfezioni alimentari rappresentano ancora oggi un grave problema per la salute pubblica, e la tipologia di allevamento esaminata non è soggetta a nessun controllo, l’assenza di Salmonella enteritidis nelle uova esaminate è un dato più che soddisfacente dal momento che questo microorganismo è estremamente diffuso nell’ambito dell’allevamento avicolo intensivo ed in letteratura sono numerosi gli episodi riportati di malattia alimentare umana attribuiti al consumo di uova oppure alimenti prodotti da uova contaminate. Nell’allevamento rurale inoltre solitamente l’uovo viene consumato crudo come “uovo da bere” nell’ambito della famiglia e pertanto la salubrità dell’alimento è una prerogativa essenziale per la prevenzione degli episodi tossinfettivi. Anche l’assenza di patogeni negli alimenti “pronti a cuocere “ è un dato interessante dal momento che questo alimento è sottoposto ad un tipo di cottura che in alcuni casi è insufficiente ad assicurare la completa sterilizzazione del prodotto; difatti, l’utilizzo di bistecchiere per una cottura rapida degli alimenti spesso causa che a cuore dell’alimento la temperatura raggiunta sia insufficiente e non garantisca la perfetta cottura del cibo che, ancora crudo, può veicolare all’uomo, se presenti, microorganismi patogeni. Relativamente alla presenza di Escherichia coli, il ritrovamento del germe nel 24.4% dei gusci e solo in 2 tuorli/albume, ci induce a pensare che la contaminazione è solo di origine fecale in seguito al transito dell’uovo in cloaca oppure a contaminazione dei gusci nei nidi sporchi di feci. La presenza di E coli nel contenuto dell’uovo, ad ogni modo, può anche essere attribuita ad una infezione endogena della gallina. Una nota di riguardo va posta ai risultati relativi alla presenza del Bacillus cereus e Staphylococcus aureus ritrovato nel 2,2% di tuorlo/albume. I germi citati sono ubiquitari e pertanto, essendo presenti nell’ambiente, la loro presenza nel contenuto delle uova potrebbe essere giustificata da una Tab. 1 presenza di patogeni in uova (Guscio, Tuorlo/albume) Patogeni guscio Positività Tuorlo/albume L.monocytogenes S.enteritidis S. aureus E. coli E. coli O157 H:7 E. coli ETEC Campylobacter jejunir Campylobacter coli Yersinia enterocolitica B.cereus 0 0 4 22 0 0 5 0 0 2 3 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 13 2 0 Pronti cuocere a Fig. 1 Nested-PCR. [A] Lane 5 e 6 campioni positivi a Escherichia coli (499bp), lane 3 controllo positivo. [B] Lane 2 e 3 campioni positivi a Bacillus cereus (162 bp). Lane 4 controllo positivo Bibliografia 1.Best A.,R.M. la Ragione, W.A. Cooley, C.D.O’Connor, P.,velge and M.J. Woodward. 2003. Interation with avian cells and colonization of specific pathogen free chicks by Shiga-toxin negative Escherichia coli o157H:7 (NCTT12900) Vet. Microbial. 93:207:222. 2.Fratamico P.M., L.K.bagi and T.Pepe. 2000° multiplex polymerase chain reaction assay for rapid detection and identification of escherichia coli O157H:7 in food and bovine feces. J.Food protect. 63: 1032-1037. 3.Persson S., and Olsen K.E.P., 2005. Multiplex PCR for identification of Campylobacter coli and Campylobacter jejuni for pure coltures and directly on stool samples. Journal of medical Microbiology 54: 1043-1047 4.Wang R.F., Cao W.W., Cerniglia E. 1997. A universal protocol for PCR detection of 13 species of foodborne pathogens in foods. Journal of Applied Microbiology 83, 727 – 736. 182 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 RICERCA DI MICRORGANISMI PATOGENI MEDIANTE PCR MULTIPLEX NEL LATTE DI BUFALA E SUOI DERIVATI Fusco G., Proroga Y.T.R., Guarino A., Mosca E., Napoletano M., Capuano F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta Keywords: food-borne pathogens; “Mozzarella di Bufala Campana”; multiplex PCR Abstract In the present study we analysed 100 samples of “Mozzarella di Bufala Campana” cheese and 50 of buffalo milk from several dairy and buffalo breeding farms in Campania region and in southern Italy. Multiplex-PCR was used to investigate the samples by a mix of primers against Escherichia coli, Escherichia coli ETEC, Escherichia coli O157 H:7, Salmonella spp., Yersinia enterocolitica, Staphylococcus aureus, Listeria monocytogenes, Bacillus cereus. While milk samples were all negative to the above mentioned pathogens, positivity was found for 48 samples as follows: 24% to B. cereus, 3% to L. monocytogenes, 3% to S. aureus, 2% to Y. Enterocolitica, 0% to Salmonella spp., to E. coli O 157 H:7 0%, to E. coli ETEC 0%, and to E. coli 16%. Introduzione Le tossinfezioni alimentari rappresentano ancora oggi un grave problema per la salute pubblica, anche nei Paesi sviluppati dove gli standard igienici sono più elevati. La tutela della salute del consumatore mediante il controllo dei patogeni negli alimenti è un compito gravoso per chiunque dal momento che i principali agenti di tossinfezione sono ubiquitari e possono raggiungere l’alimento in qualsiasi momento della sua preparazione. Escherichia coli, Escherichia coli ETEC, Escherichia coli O157 H:7, Salmonella spp., Yersinia enterocolitica, Staphylococcus aureus, Listeria monocytogenes, Bacillus cereus sono tra i principali microrganismi causa di malattia alimentare e dato che il caldo associato alla cattiva conservazione del cibo favoriscono la proliferazione dei batteri, l’estate è il periodo più a rischio per gli episodi epidemici. Ad ogni modo, le malattie indotte non sempre sono talmente gravi da prevedere il ricovero in Ospedale e pertanto i casi registrati in Italia, nonostante siano elevati, non forniscono una esatta dimensione del problema. In questo studio abbiamo valutato la presenza dei patogeni citati in prodotti particolarmente a rischio relativamente alle tossinfezioni alimentari dal momento che si consumano crudi; la “Mozzarella di Bufala Campana” è, inoltre, tra i prodotti più noti e apprezzati in Italia e nel mondo, ottenendo il riconoscimento DOP il 12 giugno 1996 per effetto del Regolamento CEE n° 1107. Per evidenziare i patogeni sono state utilizzate metodiche di PCR che oltre ad essere molto sensibili nella evidenziazione dei batteri, consentono di ottenere risultati certi e rapidi in circa un giorno, cosa di estrema importanza dal momento che le metodiche tradizionali richiedono tempi lunghi fino a 5-10 giorni, ad esempio per l’isolamento e identificazione di un ceppo di Salmonella. In conclusione, l’applicazione di un test rapido che consenta di valutare contemporaneamente la presenza di 8 patogeni in alimenti a rischio quali i lattiero – caseari da consumarsi crudi, rappresenta un valido ausilio per un corretto piano di autocontrollo tale da garantire la commercializzazione di un prodotto sicuro sotto il profilo igienico sanitario. Ciò comporta un vantaggio notevole per il Sistema Sanitario Nazionale in quanto una efficace prevenzione ridurrebbe il numero di ricoveri ospedalieri con gli evidenti ed ovvii benefici per la spesa sanitaria pubblica. Materiali e metodi Sono stati analizzati complessivamente 150 campioni costituiti rispettivamente da 100 campioni di “Mozzarella di Bufala Campana” e 50 di latte di bufala provenienti da altrettanti caseifici e allevamenti ubicati sul territorio. I campioni da analizzare mediante PCR sono stati sottoposti ad una preventiva fase di pre-arricchimento. A tal fine 10 g di mozzarella provenienti da 25 g di campione sminuzzato grossolanamente e 1 ml di latte sono stati posti rispettivamente in 90 ml e 9 ml di Tryptic Soy Broth Yeast Extract (TBSYE) e omogeneizzati per 1 min. In seguito, dalla fase superiore dell’ omogenato, incubato per 24 h a 37 °C, è stato prelevato 1 ml da sottoporre a centrifugazione per 5 min a 13.000 g. Per l’estrazione del DNA dal pellet ottenuto, è stato utilizzato il kit QIAmp DNA Mini kit della Qiagen. Il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR – Multiplex, utilizzando la mix di primers riportata in tab. 1. Per la preparazione delle mix di PCR e l’esecuzione dei cicli di amplificazioni sono state seguite le indicazioni descritte da Wang e coll., (5). Tutti i campioni risultati positivi alla first PCR a Escherichia coli, Salmonella spp. Listeria monocytogenes e Bacillus cereus sono stati sottoposti a conferma mediante una PCR – nested. Per l’esecuzione di quest’ultima 1 μl di ogni prodotto precedentemente amplificato è stato diluito in rapporto 1:20 e sottoposto a 35 cicli di amplificazione, utilizzando le coppie di primers specifiche delle specie batteriche indicate nella tab. 2. Per l’amplificazione sono state utilizzate le stesse condizioni impiegate per la PCR – multiplex. Come controlli positivi sono stati usati i seguenti ceppi puri distribuiti dalla Oxoid: Escherichia coli ATCC 25922; Escherichia coli O157H:7 ATCC 35150; Salmonella thyphimurium ATCC 14028; Yersinia enterocolitica ATCC 9610; Stapylococcus aureus ATCC 25923; Listeria monocytogenes ATCC 7644; Bacillus cereus ATCC 11778. Infine, per visualizzare l’amplificato, 10μl di ciascun DNA amplificato sono stati caricati su gel di -1 agarosio al 2% contenente bromuro di etidio (1 μg ml ) e sottoposti ad elettroforesi. Risultati e discussione L’indagine ha interessato 150 campioni di cui 100 di mozzarella e 50 di latte bufalino. I campioni sono stati prelevati dalle Autorità competenti durante i normali controlli effettuati nei caseifici e allevamenti presenti nella provincia di Caserta. I risultati ottenuti dall’analisi dei 100 campioni di mozzarella sono i seguenti: 16 (16%) sono risultati contaminati da Escherichia coli, 3 (3%) da Listeria monocytogenes, 24 (24%) da Bacillus cereus, 3 (3%) da Staphylococcus aureus, 2 (2%) da Yersinia enterocolitica. Nelle foto 1 e 2 sono riportati i risultati dell’elettroforesi su gel di agarosio dei campioni risultati positivi alla PCR – nested. Tutti i campioni di latte crudo sono risultati negativi ai patogeni ricercati. Nessun campione è stato riscontrato positivo a Salmonella spp., Escherichia coli ETEC, e Escherichia coli O157H:7. Considerando che a tutt’oggi le tossinfezioni alimentari rappresentano un grave problema per la salute pubblica, è di vitale importanza l’utilizzo di un sistema rapido e sensibile per il controllo della salubrità degli alimenti anche al fine di una efficace prevenzione della malattia. L’applicazione di uno screening veloce per il controllo degli alimenti comporta innumerevoli vantaggi come l’eliminazione rapida degli alimenti dalla catena di produzione con riduzione dei casi di tossinfezione e benefici della spesa pubblica che potrebbe volgere i fondi e le risorse in altri campi. I risultati ottenuti in questo studio risultano interessanti e richiedono doverose 183 X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Alghero, 22-24 Ottobre 2008 alimenti analizzati con il metodo colturale, il risultato non perfettamente concorde con quello ottenuto nel presente studio, analizzando i campioni mediante PCR, è sicuramente dovuto alla maggiore sensibilità della tecnica PCR rispetto al metodo colturale, così come riportato precedentemente. In conclusione, possiamo affermare che la tutela dei prodotti lattiero – caseari, in particolare di quelli che si pregiano del marchio DOP, si estrinseca mediante azioni volte a garantire non solo la sanità e qualità della materia prima utilizzata ma anche il rispetto delle norme igieniche durante le varie fasi della filiera di produzione dell’impresa alimentare. considerazioni. Relativamente alla presenza di Escherichia coli, avendo ritrovato il germe in 16 campioni su 100 analizzati ci fa pensare che le condizioni igieniche in uso durante le fasi di lavorazione sono state scarse. Ciò è avvalorato dai risultati ottenuti dall’analisi del latte crudo dove nessun campione è risultato positivo. Il dato ottenuto, sebbene riferito al solo alimento mozzarella, non è comunque preoccupante dal momento che la metodica biotecnologica evidenzia minimo 20 cellule batteriche, limite non rilevabile dal metodo tradizionale (ISO 16649-2.). Il ritrovamento di Listeria monocytogenes in 3 campioni su 100 analizzati non è un dato per noi allarmante se consideriamo che gli indici di positività relativamente al germe ritrovati da altri autori risultano superiori: 42% per i formaggi fabbricati a partire da latte crudo (4). Ad ogni modo la presenza di Listeria monocytogenes nel latte di massa potrebbe essere giustificata dalla presenza in azienda di bufale con mastiti sub – cliniche oppure attribuita a contaminazione ambientale. Riteniamo che il microrganismo non rappresenti un serio problema dal momento che se vengono rispettate tutte le condizioni di GMP previste durante i processi di lavorazione non dovrebbe moltiplicarsi. Un prodotto alimentare liberato al commercio con 20 cellule batteriche (limite rilevabile dal metodo PCR), se conservato rispettando la catena del freddo durante sia la fase di commercializzazione e sia la fase domestica, non rappresenta un rischio. A tale proposito riteniamo importante ricordare che la normativa vigente stabilisce i seguenti criteri microbiologici: alimenti pronti al consumo assenza in 25 g, oppure tolleranza di 100 UFC/g al momento del consumo. A nostro avviso sarebbe opportuno utilizzare il criterio di tolleranza zero nella fase di produzione per assicurare al consumatore nella fase di commercializzazione un alimento con carica non superiore a 100UFC/g. Una nota di riguardo va posta ai risultati relativi alla presenza del Bacillus cereus ritrovato nel 24% dei campioni analizzati. Il germe, essendo ubiquitario, è presente nell’ambiente in forma sporale e vegetativa e la sua presenza in un numero così elevato di campioni è attribuita al fatto che sopravvive anche a temperature elevate. Tanto premesso, la presenza del germe è giustificata se pensiamo che la “Mozzarella di Bufala Campana” mantiene le sue caratteristiche organolettiche, la consistenza in particolare, se conservata a temperatura superiore a +4°C. Riteniamo i risultati ottenuti nel complesso interessanti perché evidenziano quanto buoni siano gli standard igienici raggiunti durante la fase di produzione primaria. L’assenza di Salmonella spp., è un dato confortante ma non dobbiamo escludere del tutto la possibilità di malattia tramite questo prodotto dal momento che da indagini condotte da Guarino e coll., (2) la mozzarella è seconda solo agli insaccati se si considera l’isolamento del germe. Ad ogni modo il lavoro citato è stato condotto negli anni 1997-1998, periodo in cui la normativa vigente non era stata completamente recepita da tutti gli operatori del settore. Infine, i risultati ottenuti dall’ applicazione della PCR – multiplex e PCR – nested, salvo lievi differenze, concordano con quanto ottenuto mediante l’impiego di metodiche tradizionali eseguite dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Sezione di Caserta su campioni prelevati dalla AA.SS.LL. durante la normale attività di controllo e vigilanza. Difatti nell’anno 2007, presso il Laboratorio di Microbiologia degli Alimenti dell’IZSM-Sez.Ce sono pervenuti 556 campioni di Mozzarella di Bufala Campana da sottoporre alla ricerca di vari germi ed in particolare 135 per la ricerca di Escherichia coli, 177 per Listeria monocytogenes, 291 per Salmonella spp., 45 per Staphylococcus aureus. I risultati analitici hanno evidenziato una positività di 1,4 % per Escherichia coli, 0,45% per Staphylococcus aureus e 0,5% per Listeria monocytogenes, nessuna positività per Salmonella spp. Relativamente alla presenza di Escherichia coli e Staphylococcus aureus negli tab. 1 Sequenze primers multiplex PCR Tab 2. Sequenze primers nested PCR Bibliografia 1.Coia J.E., Johnston Y., Steers N.J., Hanson M.F. 2001. A survey of the prevalence of Escherichia coli O157 in raw meats, raw cow’s milk and raw – milk cheeses in south – east Scotland. International Journal of Food microbiology, 66, 63-69. 2.Guarino A., Fusco G., Romano M., De Marco G., Bani A. 1998. Epidemiologic investigation on Salmonella presence in animal origin food. Industrie Alimentari XXXVII, 5, 604-609. 3.Nastasi A., and Mammina C. 1996. Epidemiology of Salmonella enterica serotype Enteritidis infections in southern Italy durino the years 1980 – 1994. Reserch Microbiology, 147, 393 – 403. 4.Stahl V., Garcia E., Herzard B., Fassel C. 1996. Prevention of Listeria monocytogenes contamination on dairy farms and chees industry. Pathology Biology, Nov. 44,9,816-824.5.Wa