Il senso della felicità - Quaderni della Ginestra

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Il senso della felicità - Quaderni della Ginestra
Silvia Vegetti Finzi
Il senso della felicità
Lunedì 28 febbraio 2011 alle ore 18
presso il Cinema Astra
p.le Volta 3 – Parma
Moderatore: Lavinia Pesci
Tutti sanno a che cosa ci si riferisca con il termine 'felicità' perchè vi è memoria di una
condizione, quella prenatale, in cui abbiamo vissuto in una condizione di appagamento senza
richiesta e senza attesa, di tranquillità priva di minacce, una esistenza garantita dalla completa
corrispondenza tra l'organismo e l'ambiente, tra il dentro e il fuori . Nel narcisismo totale che
contraddistingue la vita psichica ai suoi esordi il feto ,che vive all’unisono con la madre , non
conosce separazioni e conflitti . Solo dopo la nascita subentra la frattura dell'alterità, la paura
del diverso,la minaccia della solitudine e dell'abbandono.
La prima emozione, dice Freud, non è l’amore ma l'odio perchè la prima esperienza è la
frustrazione del piacere e dell’attesa, la dolorosa constatazione di non essere capaci di
appagare da soli i nostri bisogni, i nostri desideri.
Il cucciolo umano viene alla luce talmente immaturo che per sopravvivere ha bisogno di
essere a lungo accudito da una figura materna.
E sarà proprio quella dipendenza a costringerlo ad abbandonare il delirio di onnipotenza
inconscia , la convinzione di poter vivere secondo il Principio di piacere. Ma quella pretesa,
mai completamente abbandonata, riappare nel sogno, nella fantasia, nel gioco e nel sintomo.
Perdura per tutta la vita la tentazione inconscia di bastare a noi stessi senza scendere
nell'arena delle relazioni.
Tutte le nostre relazioni comportano infatti di ammettere mancanza, di dar voce desiderio, di
rivolgere all’altro una domanda.
Qualunque sia il motivo che ci impegna nella relazione, ciò che ci spinge ad esporci è la
speranza di recuperare la felicità perduta, l'illusione di tornare ad essere ciò che fummo , cioé
tutto. La felicità, che sta sempre prima o dopo, è al tempo stesso nostalgia e scopo della vita.
Il suo perseguimento è irrinunciabile ma il prezzo ch'essa richiede è tale da renderla sempre
parziale. L'uomo non può essere felice da solo ma gli altri sono al tempo stesso la condizione
e l'ostacolo della sua felicità.
Per sottrarsi all'economia animale, dove regnano l'arbitrio del più forte, la prevaricazione , la
precarietà e la paura, l'uomo ha rinunciato alla libera espressione delle pulsioni erotiche e
aggressive in cambio della condizione primaria per poter essere felici : la sicurezza.
In tal modo ci siamo preclusa per sempre la felicità immediata, irriflessiva, istintiva degli
animali, abbiamo costruito delle barriere inibitorie che ci impediscono, non solo di agire
impulsivamente, ma anche di pensare liberamente. Il "Disagio della civiltà" è il costo pagato
alla tregua istintuale. Mentre la nevrosi deriva da un eccesso di inibizioni, la perversione è
piuttosto l’effetto della negazione delle inibizioni stesse. Come tale tende a infrangere ogni
limite, a ripetersi in modo coatto. Nella nostra società un certo livello di nevrosi costituisce la
normalità eppure sentiamo ancora nostalgia per la felicità vitale, impulsiva , incondizionata,
irriflessa del pre-umano.
Per riprovarla abbiamo solo una possibilità: vivere la felicità attraverso i bambini, i più
piccoli, i più "nuovi", quelli ancora aperti alla fruizione immediata del buono e del bello,
disposti all'illusione, capaci cogliere il piacere quando si manifesta , senza porre condizioni o
dilazioni. Sentiamo che , se riusciremo a proteggerli dai pericoli, potranno sperimentare,
anche per noi, la felicità perduta dalla nostra specie nelle notte dei tempi, quando l'homo lupus
adottò le vesti dell' homo sapiens.
Ogni bambino, quando viene alla luce , apre le finestre del futuro al paesaggio dell'Utopia.
Basta pensare alla differenza che intercorre tra la Scuola Materna da una parte e la Scuola
dell'obbligo dall'altra. Solo all'Asilo genitori e insegnanti si impegnano per costruire un
mondo perfetto, per realizzare un'utopia del quotidiano in cui i bambini possano vivere felici
accanto ad adulti contenti . Subito dopo, negli anni successivi, felicità e acculturazione
sembreranno incompatibili. Il piacere e il dovere si separano ineluttabilmente nella quotidiana
sequenza dei compiti da eseguire, dei comportamenti da tenere, delle valutazioni da subire. Se
inserissimo la felicità nelle condizioni auspicabili per una buona scuola avremmo precostituito
il campo per una pedagogia davvero nuova e alternativa. E, in un certo senso, avremo
intrapreso , a piccoli passi, la grande Utopia della prima Legislazione Americana.
Estratto dalla relazione di Silvia Vegetti Finzi.
SILVIA VEGETTI FINZI, psicoterapeuta della famiglia e dell'infanzia, ha insegnato Psicologia
Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia e la Scuola di Specialità dell’Università di Pavia.
Dal 1998 ha fatto parte del Comitato Nazionale di Bioetica, dell’Osservatorio Nazionale per
l’Infanzia e l’Adolescenza, del Consiglio Superiore della Sanità. Nel 1998 è stata insignita dei
Premi nazionali per la Psicoanalisi e la Bioetica; nel 2010 del “Premio Milano donna”.
Collabora regolarmente con il “Corriere della Sera” e con le riviste “Io donna”, “Insieme” e
“Azione”. I suoi studi hanno affrontato i seguenti ambiti: la storia della psicoanalisi;
l’immaginario femminile e materno; lo sviluppo psicologico dei bambini; le relazioni familiari;
la bioetica. Tra i suoi libri, tradotti in varie lingue: Storia della Psicoanalisi (1986); Il bambino
della notte (1990) Il romanzo della famiglia (1992); Volere un figlio (1999). Inoltre ha curato e
scritto con altri: Psicoanalisi al femminile (1990); Psicoanalisi ed educazione sessuale (1994);
Storia delle passioni (1996). I suoi ultimi saggi sono: Parlar d’amore. Le donne e le stagioni
della vita (2004); Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme (2005); Quando la famiglia si
divide: le emozioni dei figli (2006); Nuovi nonni per nuovi nipoti (2008); La stanza del
dialogo: riflessioni sul ciclo della vita (2010).