di Giuseppe Mobilio Lo scopo di questo intervento, all`interno del

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di Giuseppe Mobilio Lo scopo di questo intervento, all`interno del
CONSIDERAZIONI SUI RAPPORTI TRA
«SISTEMA DELLE CONFERENZE» E COMMISSIONI
PARLAMENTARI NELL’ITER DI ADOZIONE DEI DECRETI DELEGATI
di Giuseppe Mobilio
Lo scopo di questo intervento, all’interno del gruppo di lavoro dedicato a “Gli atti
con forza di legge tra Governo e Parlamento”, vuole essere quello di porre l’attenzione
sul coinvolgimento delle Commissioni parlamentari e del «sistema delle Conferenze»1 ovvero di Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-città e Conferenza Unificata all’interno del fenomeno di delega legislativa, per come attualmente si presenta
nell’ordinamento. Il punto da cui partire è costituito da alcune prassi del Governo che
risalgono alle scorse legislature e che tutt’ora condizionano fortemente la fisionomia di
questa fonte normativa. A differenza però di quanto avveniva in passato, le
Commissioni parlamentari e le Conferenze offrono oggi particolari “forme di
resistenza” a tali fenomeni. Prendendo in esame alcune deleghe politicamente rilevanti
attuate nel corso della XVI Legislatura, si darà conto di come l’attività di questi organi
venga concretamente influenzata dagli atteggiamenti del Governo, contribuendo ad
arrecare nuovi elementi di complessità all’istituto della delegazione legislativa.
Il quadro da cui muovere viene offerto dalle considerazioni svolte da Elisabetta
Frontoni nella sua relazione principale2. Ci si riferisce alla tendenza che negli ultimi
anni vede l’intromissione di soggetti “esterni” al rapporto di delegazione legislativa che
la Costituzione ha originariamente delineato solamente “a due”, ovvero in un primo
intervento del Parlamento mediante la legge di delega ed il successivo esercizio della
potestà delegata del Governo. Si tratta del proliferare di limiti di natura procedurale
qualificabili come «ulteriori»3, o piuttosto «coessenziali»4, che il Parlamento impone al
Governo tramite le leggi di delega. Tramite essi è possibile coinvolgere una pluralità di
altri soggetti nella produzione normativa, mettendo a frutto quella potenziale apertura
alla “negoziazione” 5 insita nel modello di delega legislativa e dando vita a procedure
definite come di carattere “interistituzionale” 6 . Si consente così, come noto, alle
1
Così PIZZETTI F., Il sistema delle Conferenze e la forma di governo italiana, in Le Regioni, 34/2000, p. 473 ss., con riferimento alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano (Conferenza Stato-Regioni), alla Conferenza Stato-città ed
autonomie locali (Conferenza Stato-Città) ed alla Conferenza Unificata.
2
Cfr. il contributo di FRONTONI E., pubblicato in questo Volume.
3
CICCONETTI S. M., I limiti “ulteriori” della delegazione legislativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, p.
568 ss.
4
MALFATTI E., Corte costituzionale e delegazione legislativa tra” nuovo volto” procedurale e
sottoposizione al canone dell’interpretazione conforme, in Studi in onore di Franco Modugno, Editoriale
Scientifica, Napoli, 2011, p. 2119 ss.
5
Per tale dimensione “contrattata” della delega legislativa, si veda STAIANO S., Delega per le riforme
e negoziazione legislativa, in www.federalismi.it, n. 2/2007.
6
COSÌ PALANZA A., La perdita dei confini: le nuove procedure interistituzionali nel Parlamento
italiano, in Storia d’Italia, VIOLANTE L. (a cura di), Il Parlamento, Annali, XVII, Einaudi, Torino, 2001,
Commissioni parlamentari di esercitare una funzione peculiare che la dottrina ha
inquadrato come oscillante fra indirizzo, controllo e persino sostanziale colegislazione 7 ; mentre Regioni, Province e Comuni - tramite le citate Conferenze,
chiamate ad esprimere pareri o entro le quali raggiungere intese sugli schemi di decreto
- possono far valere le proprie istanze e condizionare il procedimento di formazione dei
decreti legislativi interferenti con ambiti di loro competenza8.
p. 1211 ss., che rimarca il «carattere interistituzionale» e «complesso» assunto da alcune procedure
parlamentari, come la procedura di bilancio e la legge comunitaria, con le quali le Camere guidano «in
modo unitario, coerente e sufficientemente stabile politiche che richiedono vasto coordinamento, che si
articolano in una molteplicità di fasi, organi, strumenti diversi, che hanno carattere continuo e ciclico o
che si sviluppano nel medio e lungo periodo» (p. 1212). Nel caso della delega legislativa però non si
utilizzano meccanismi che unificano attività policentriche verso il Parlamento, ma si «unificano invece
complesse strategie di riforma intorno al Governo» (p. 1244).
7
Risultano ancora fondate le considerazioni svolte in BALDINI V., Il procedimento di delegazione
legislativa tra elasticità ed effettività. Riflessioni su una «variabile dipendente» della democrazia
parlamentare, in COCOZZA V. - STAIANO S. (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso
le fonti del diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale. Atti del convegno di Napoli
svoltosi nei giorni 12 e 13 maggio 2000, vol. 1, Giappichelli, Torino, 2001, p. 35 ss., che individua
nell’attività consultiva delle Commissioni parlamentari «una sorta di cerniera idonea a saldare i momenti
formalmente distinti, della produzione normativa di principio e dell’esecuzione della delega, realizzando
una sostanziale continuità nella concertazione tra Parlamento ed Esecutivo ai fini della complessiva
determinazione delle scelte normative in materia» (p. 36). Sulla funzione consultiva delle Commissioni
parlamentari, si veda più approfonditamente LUPO N., Alcune tendenze relative al parere parlamentare
sui decreti legislativi e sui regolamenti del governo, in DE SIERVO U. (a cura di), Osservatorio sulle fonti
1998, Giappichelli, Torino, 1999, p. 117 ss.; RAFFAELLI A., I pareri parlamentari sugli schemi dei decreti
legislativi, in DE SIERVO U. (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2001, Giappichelli, Torino, 2002, p. 55
ss.; FERIOLI E. A. – DI CAPUA A., I pareri parlamentari sugli schemi di decreti legislativi nella XIV e XV
Legislatura, in E. ROSSI (a cura di), Le trasformazioni della delega legislativa. Contributo all’analisi
delle deleghe legislative nella XIV e nella XV Legislatura, Cedam, Padova, 2009, p. 29 ss.; ALIBERTI C.,
Il controllo parlamentare sugli atti normativi del governo: spunti ricostruttivi, in DICKMANN R. STAIANO S. (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo. L’esperienza
dell’Italia, Giuffrè, Milano, 2008, p. 313 ss.; ILARI P., Il parere parlamentare in relazione all’attività
normativa del Governo, in BARBERA A. - GIUPPONI T., La prassi degli organi costituzionali, Bononia
University Press, Bologna, 2008, p. 379 ss. Gli atti approvati dalle Commissioni parlamentari di cui verrà
fatta menzione nel testo sono reperibili su www.camera.it.
8
Gli atti da queste prodotti e dei quali viene fatta menzione nel testo sono reperibili su
www.statoregioni.it e www.conferenzastatocitta.it. In maniera appropriata si è osservato come il
contenuto dei pareri - ad esempio della Conferenza Stato-Regioni - che costituisce la forma principale di
coinvolgimento rispetto ai decreti delegati, sia «espressione della volontà non già delle sue due
componenti, ma dei soli Presidenti delle regioni». Se infatti, in occasione dell’elaborazione del parere,
all’interno di questi organi avvenisse effettivamente una concertazione sul contenuto dello schema di
decreto legislativo, «si riaprirebbe, su uno schema di atto già approvato, in via preliminare, dal Consiglio
dei Ministri, un improvvido e improprio supplemento di esame da parte dei Ministri invitati alla seduta»
della Conferenza; così CARPANI G., La Conferenza Stato-regioni. Competenze e modalità di
funzionamento dall’istituzione ad oggi, Il Mulino, Bologna, p. 43. In tema di Conferenze si veda più
ampiamente anche CAPOTOSTI P. A., Regione: IV) La Conferenza Stato-Regioni, in Enc. Giur., Treccani,
Roma, 1992; AZZENA A., Conferenze Stato-autonomie territoriali, in Enc. Dir., Aggiornamento, Vol. III,
1999; BIFULCO R., Conferenza Stato-Regioni, in CASSESE S. (a cura di), Dizionario di diritto pubblico,
Giuffrè, Milano, 2006; ANTONELLI V. (a cura di), Città, Province, Regioni, Stato. I luoghi delle decisioni
condivise, Donzelli Editore, Roma, 2009.
2
Una prima questione su cui concentrarsi riguarda una discutibile prassi che la
dottrina aveva già posto in evidenza fin dalla XIII Legislatura 9 . Si tratta
dell’atteggiamento assunto dal Governo con il quale viene surrettiziamente contrapposta
la posizione delle Commissioni parlamentari nei confronti delle Conferenze, o
viceversa, per seguire l’indirizzo a lui più congeniale. Come è stato pragmaticamente
osservato, l’intervento di una pluralità di altri soggetti nell’iter di formazione dei decreti
delegati - ed in particolare delle Conferenze - «può essere elemento che altera la
linearità dei rapporti tra Parlamento e Governo» 10 . E’ ben possibile infatti che «il
Governo giochi strumentalmente il contenuto dell’intesa per modificare il testo del
decreto sul quale già la Commissione [...] ha espresso il proprio parere o viceversa che
giochi il contenuto del parere della Commissione in sede di definizione dell’intesa»11.
Senza trascurare come questo avvantaggiarsi, in maniera puramente alternativa, dei
rilievi sollevati determini una conseguente «sovrapposizione di logiche distinte [...] con
possibile confusione e appannamento delle responsabilità dei vari protagonisti
istituzionali» 12 , stante appunto le differenti logiche che caratterizzano i rapporti tra
Esecutivo e Commissioni parlamentari (in termini di maggioranza ed opposizione) e tra
Esecutivo e Conferenze (in termini di diversi livelli territoriali di governo). É però
interessante osservare come la situazione appena descritta non sia rimasta del tutto
immutata con il passare del tempo. Se infatti il Governo ha tendenzialmente mantenuto
costante il proprio atteggiamento, le Commissioni parlamentari e le Conferenze hanno
invece tentato di reagire nei termini di cui si darà conto.
Bisogna premettere che l’intera questione si pone perché l’adozione del decreto
delegato, nonostante il contributo di altri soggetti, rientra formalmente nella piena
disponibilità del Governo. Ed infatti, da una parte, la disciplina di cui al d.lgs. n.
281/1997 prefigura meccanismi e procedure tali per cui il Governo non debba ritenersi
giuridicamente vincolato dall’eventuale dissenso delle Conferenze 13 , così che «la
capacità di condizionare le decisioni definitive in ordine agli atti sottoposti alla
Conferenza [...] dipende anzitutto dalla sensibilità e disponibilità del Governo nei
9
Cfr. CARETTI P., Il sistema delle Conferenze e i suoi riflessi sulla forma di governo nazionale e
regionale, in Le Regioni, n. 3-4/2000, p. 547, facendo espresso riferimento alle c.d. riforme Bassanini,
legate all’attuazione della legge delega n. 59/1997.
10
Ivi, p. 550.
11
Cfr. Ivi, p. 550. Secondo MANGIAMELI S., Riflessioni sul principio cooperativo, prima della riforma
delle Conferenze, in Ist. Fed., n. 1/2007, p. 111, nel rapporto di delega, «l’assetto delle Conferenze
delineerebbe un sistema a tre punte», ma «la prassi ha dimostrato che il sistema non ha mai avuto la terza
punta, il Parlamento, e, per certi aspetti, neppure la seconda, le autonomie», traducendosi, essenzialmente,
in «un sistema incentrato sul Governo».
12
CARETTI P., Il sistema delle Conferenze, cit., p. 551
13
Si fa qui riferimento agli artt. 2, 3 e 9, ove è possibile rinvenire, fra l’altro, la distinzione fra pareri
obbligatori e facoltativi (art. 2, c. 3° e c. 4°); la qualificazione del parere della Conferenza Stato-Regioni
come obbligatorio, ma implicitamente non vincolante (art. 2, c. 5°); la previsione delle procedure per
superare l’eventuale dissenso delle autonomie in caso di mancato raggiungimento dell’intesa,
qualificabile pertanto come “debole” (art. 3, c. 3°); la facoltà riconosciuta al Governo di prescindere, in
caso di urgenza, dall’acquisizione della posizione della Conferenza (art. 2, c. 5°, art. 3, c. 4°). Su questi
aspetti della disciplina si veda più ampiamente PIZZETTI F., La Conferenza unificata Stato-regioni, città e
autonomie locali. Il commento, in Giorn. dir. amm., 1998, p. 11 ss.. In termini di «vero e proprio salto di
qualità» rispetto al passato, grazie alla disciplina di un «potere consultivo di notevole peso», si esprime
AZZENA A., Conferenze Stato-autonomie territoriali, cit., p. 420.
3
confronti delle autonomie territoriali»14, salvo che non sia la legge di delega stessa ad
imporre un vincolo maggiore o particolari modalità procedurali 15; dall’altra, il parere
delle Commissioni parlamentari, che nella sequenza procedurale viene rilasciato per
ultimo 16 , non viene generalmente imposto dalla legge di delega come vincolante 17 .
Assumendosene la piena responsabilità politica, il Governo può prescindere dagli
14
Così CARPANI G., La Conferenza Stato-regioni, cit., p. 52. Anche la Corte Costituzionale ha
avallato questa impostazione. Più in generale, con riguardo al procedimento legislativo ordinario, si è
sostenuto che «le procedure di cooperazione o di concertazione possono [...] rilevare ai fini dello scrutinio
di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o
indirettamente, dalla Costituzione. [...]. Né il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni può
esser dilatato fino a trarne condizionamenti, non altrimenti riconducibili alla Costituzione, rispetto alla
formazione e al contenuto delle leggi» (sent. n. 437/2001, punto 3 cons. dir.). A commento della sentenza
si veda CARETTI P., Gli «accordi» tra Stato, Regioni ed autonomie locali: una doccia fredda sul mito del
sistema delle Conferenze»?, in Le Regioni, n. 5/2002, p. 1169 ss., che osserva rispetto al procedimento
legislativo parlamentare - ma la considerazione è mutuabile anche per i decreti delegati - come
«l’efficacia degli strumenti di cui si avvale il sistema delle conferenze risulta del tutto spuntata sul piano
giuridico e interamente affidata alla dialettica politica» (p. 1171-1172). Quanto alla «disciplina contenuta
nell’art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997 (atto normativo primario)», la Corte ha poi sostenuto che essa
«prevede solo un parere non vincolante della Conferenza Stato-Regioni sugli “schemi di disegni di legge
e di decreto legislativo o di regolamento”» (sent. n. 196/2004, punto 27 cons. dir.). La Corte ha inoltre
sostenuto che «in linea di principio il mancato parere della Conferenza non determina l’illegittimità
costituzionale del decreto», specialmente qualora «il decreto in larga prevalenza attiene a materie di
competenza statale» (sent. n. 384/2005, punto 26 cons. dir.). Diversamente si lascia intendere che
potrebbe accadere nel caso in cui l’atto del Governo abbia una «incidenza su ambiti materiali di
pertinenza regionale» (sent. n. 401/2007, punto 5.3 cons. dir.). Per una rassegna della recente
giurisprudenza costituzionale in argomento, cfr. CARMINATI A., Dal raccordo politico al vincolo
giuridico: l’attività della Conferenza Stato-Regioni secondo il giudice costituzionale, in Le Regioni, n.
2/2009, p. 257 ss.
15
E’ quanto esplicitato anche nella sent. n. 206/2001, mediante la quale la Corte Costituzionale ha
dichiarato illegittimo l’art. 3 del d.lgs. n. 443/1999, approvato dal Governo con un testo parzialmente
diverso da quello risultante dall’intesa sancita nella Conferenza Stato-Regioni ma senza motivare tale
discostamento, come viceversa la legge di delega n. 59/1997 imponeva in tale eventualità. La Corte però
motiva la declaratoria di incostituzionalità non per la violazione del principio di leale collaborazione, ma
per violazione indiretta dell’art. 76 Cost. (punto 16 cons. dir.). A commento si veda MARINI F.S., Il
«plusvalore» dei termini di impugnazione e la degradazione (ad «inviti») delle intese Stato-Regioni, in
Giur. cost., 2001, p. 1596 ss. Sulla giurisprudenza successiva, non chiarissima sul punto, v. nt precedente.
16
Così secondo le indicazioni contenute nella lettera che nel 1998 i Presidenti delle Camere hanno
indirizzato al Presidente del Consiglio. Con essa si fa richiesta che eventuali organi coinvolti forniscano il
loro apporto prima che le Camere siano chiamate a pronunciarsi. Una volta trasmesso lo schema di
decreto al Parlamento per l’espressione del relativo parere, il Governo inoltre non dovrebbe più avere la
possibilità di apportarvi modifiche, se non al fine di recepire le indicazioni fornite delle Commissioni
stesse. Eventuali modifiche successive estranee a questa logica pregiudicherebbero infatti la funzione
consultiva dell’organo delegante. Rileva queste innovazioni procedurali PLUTINO M., Note sullo
svolgimento dei rapporti tra Parlamento e Governo nella XIII Legislatura. L’esperienza della cd.
Bicameralina sulla legislazione delegata nel contesto del riaffacciarsi del principio dell’intesa, in
COCOZZA V. - STAIANO S. (a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto,
cit., p. 543, e GORI L., I pareri della Conferenza Stato-Regioni sugli schemi di decreto legislativo: linee
di tendenza e problemi recenti, in E. ROSSI (a cura di), Le trasformazioni della delega legislativa, cit., p.
79 ss.
17
Sul dibattito e sulla conseguente impostazione critica assunta dalla dottrina circa l’eventualità di un
parere vincolante, previsto in un’unica occasione, con l’approvazione della legge di delega n. 81/1987, sul
nuovo codice di procedura penale, si veda per tutti LUPO N., Il parere parlamentare sui decreti legislativi
e sui regolamenti del governo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 1037 ss., nonché CERULLI IRELLI V.,
Legislazione delegata e delegificazione, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 2000 - Il
Parlamento, Padova, Cedam, p. 159 ss.
4
indirizzi espressi dalla Conferenza o dalle Commissioni parlamentari, come accade in
occasione dell’approvazione di un decreto delegato fortemente modificato rispetto allo
schema originariamente trasmesso alla Conferenza Unificata, senza poi ottenere un
parere conforme da parte delle Commissioni parlamentari competenti18. Infine, basti qui
ricordare come in alcuni casi siano state ritenute ammissibili persino alcune
“deviazioni” dall’iter di adozione così come prefigurato e formalmente imposto dalle
leggi di delega19.
Tuttavia, in continuità con quanto avviene fin dalla XIII Legislatura, sono frequenti i
casi in cui il Governo decide di non prescindere dall’apporto degli altri soggetti
18
Come in occasione del d.lgs. n. 23/2011, recante “disposizioni in materia di federalismo fiscale
municipale”. Nella seduta del 28 ottobre, la Conferenza Unificata ha dato atto della scadenza del termine
di 30 giorni e della mancanza delle condizioni per addivenire ad un intesa fra Governo ed autonomie
territoriali. In Commissione bicamerale invece, secondo ben note vicende, non si è giunti
all’approvazione del parere proposto dal relatore di maggioranza. Infatti, nella seduta del 3 febbraio 2011,
pur elogiando la disponibilità del Governo nel lavoro svolto in Commissione, all’esito della votazione sul
parere si è registrata una parità di voti favorevoli e contrari. Il Governo ha proceduto quindi come se il
parere non fosse stato reso, deliberando il via definitiva lo schema di decreto e trasmettendolo al
Quirinale per l’emanazione. Come però successivamente puntualizzato nel Comunicato del 4 febbraio da
parte del Capo dello Stato, l’art. 7, c. 1° del regolamento interno della Commissione bicamerale dispone
che «in caso di parità di voti la proposta si intende respinta» e pertanto il parere debba essere considerato
non approvato. Il Capo dello Stato ha quindi dichiarato «di non poter ricevere» lo schema di decreto ai
fini dell’emanazione, non essendosi ancora perfezionato l’iter imposto dall’art. 2 della legge n. 42/2009.
La Corte Costituzionale in passato ha considerato legittima l’eventualità di modifiche successive al
raggiungimento dell’intesa, dichiarando che «non sussiste alcuna violazione del principio di leale
collaborazione nel caso in cui le modifiche introdotte allo schema di decreto legislativo successivamente
alla sua sottoposizione alla Conferenza unificata siano imposte dalla necessità di adeguare il testo alle
modifiche suggerite in sede consultiva». In tale caso, «non è necessario che il testo modificato torni
nuovamente alla Conferenza per un ulteriore parere, anche perché altrimenti si innescherebbe un
complesso e non definibile meccanismo di continui passaggi dall’uno all’altro dei soggetti coinvolti»
(sent. n. 401/2007, punto 5.3 cons. dir.).
19
Si rievoca qui quanto accaduto nel caso del d.lgs. n. 85/2010, “recante attribuzione a comuni,
province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio” (c.d. federalismo demaniale) e del d.lgs.
n. 41/2011, concernente “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, recante
disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di
produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei
sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché benefici economici e
campagne informative al pubblico”. Nel primo caso non è stata raggiunta l’intesa in sede di Conferenza
Unificata e conseguentemente, nella relazione che il Governo ha trasmesso alle Camere, ai sensi dell’art.
2, c. 3° della legge n. 42/2009, si dà conto - senza peraltro specificarne in maniera approfondita le
motivazioni - di come l’intesa fosse stata messa all’o.d.g. della seduta del 27 gennaio 2010 della
Conferenza Unificata, ma che tale seduta sia stata sconvocata il giorno stesso su iniziativa delle Regioni.
Non potendo concludere l’intesa in tale sede, il Ministro per la semplificazione normativa ha chiesto che
lo schema di decreto fosse esaminato in Conferenza Stato-città ed autonomie locali, seguendo quindi un
iter diverso da quello previsto nella legge delega. Nella seconda vicenda, il relativo decreto legislativo è
stato approvato senza acquisire formalmente il parere della Conferenza Unificata - il quale era stato
messo all’o.d.g. della seduta del 27 gennaio 2010, seduta che è stata successivamente sconvocata dal
Governo stesso - ma solo previa espressione di un parere «negativo a maggioranza» della Conferenza
delle Regioni. Sulla base di tale vicenda, il decreto in parola è stato fatto oggetto di un giudizio di
costituzionalità, ma la Corte non ha giudicato che vi sia stata lesione del principio di leale collaborazione,
argomentando che «la circostanza che sia stato espresso, sia pure in modo irrituale, un parere è il sintomo
di una pregressa opera di documentazione e di studio («anche tenuto conto dell’iter istruttorio fin qui
svolto», come si legge nella “deliberazione” della Conferenza delle Regioni)» (sent. n. 33/2011, punto 5.
cons. dir.).
5
coinvolti, interagendo in vario modo con essi. Da tempo, la dottrina particolarmente
attenta alle prassi che nascono dall’attività delle Conferenze, ha evidenziato come un
provvedimento sul quale è maturato il consenso reciproco degli esecutivi di tutti i livelli
territoriali di governo finisca col divenire politicamente «blindato»20 e «tendenzialmente
impermeabile»21 alle proposte modificative del Parlamento22. Differentemente, è anche
possibile che il Governo decida di avvantaggiarsi dei rilievi sollevati nelle Commissioni
parlamentari a discapito dell’attività svolta in Conferenza23, potendo così smarcarsi da
una decisione assunta - magari in via fortemente compromissoria - con le autonomie
territoriali, facendosi forte della necessità di venire incontro alle richieste parlamentari.
Entrambe le ipotesi descritte finiscono comunque per avvantaggiare la posizione del
Governo. Parrebbe quindi un “cortocircuito” che consente al Governo «di giocare su
due tavoli una partita diversa a seconda dei casi, con una pressoché totale libertà di
20
Cfr. D’ATENA A., Diritto regionale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 337.
Cfr. CARPANI G., La Conferenza Stato-regioni, cit., p. 44
22
«E’ evidente infatti che in questi casi in Parlamento non c’è solo il Governo ma di fatto c’è, dietro o
con il Governo centrale, l’intero sistema dei Governi regionali e locali che in sede di Conferenze hanno
condiviso le medesime posizioni. [...]. E’ chiaro infatti che se davvero il sistema delle Regioni e delle
autonomie locali è tutto schierato dietro il Governo è più difficile anche per i singoli parlamentari
assumere posizioni fortemente contrarie alle proposte governative giacchè queste diventerebbero in realtà
posizioni contrarie anche alle opinioni delle amministrazioni e dei rappresentanti locali del loro collegio e
comunque del sistema politico locale col quale essi devono fare i conti per la rielezione»; così PIZZETTI
F., Il sistema delle Conferenze, cit., p. 483. Sull’importanza oramai assunta dall’attività concertativa e
sulla necessità che «se un mutamento di ruolo della Conferenza deve prospettarsi dopo la riforma del
Titolo V della Costituzione - da meramente consultivo a co-decisorio - occorre prenderne atto», si veda
CARPINO R., Evoluzione del sistema delle Conferenze, in Ist. fed., n. 1/2006, p. 21
23
A titolo di esempio, è quanto accaduto con lo schema di decreto legislativo “in materia di
ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni”, futuro d.lgs. n. 150/2009. In particolare, nel parere reso il 2 ottobre 2009 dalle
Commissioni riunite Affari Costituzionali e Lavoro della Camera, pur ritenendo condivisibile il
complesso delle modifiche allo schema di decreto concordate in sede di Conferenza, si richiama quella
relativa all’art. 1, c. 1°, ove, nel definire l’oggetto del provvedimento, si fa riferimento «all’azione
collettiva a tutela di interessi giuridicamente rilevanti»; si osserva però come tale ambito non venga
successivamente disciplinato in alcuna parte dello schema di decreto legislativo, nonostante ciò sia
espressamente previsto dalla legge di delega. All’esito di tale rilievo, il Governo espunge l’inciso
indicato. Analogamente è accaduto durante l’iter di approvazione del d.lgs. n. 156/2010, recante
“Ordinamento transitorio di Roma Capitale”. In data 23 settembre 2010 è giunta alle Camere una
relazione del Consiglio dei Ministri deliberata ai sensi dell’art. 2, c. 4°, l. n. 42/2009, con cui il Governo
dà atto di non volersi conformare all’intesa precedentemente raggiunta in sede di Conferenza Unificata.
In tale relazione, il Governo segnala che nel recepire nel testo definitivo del provvedimento le modifiche
contenute nel parere della Commissione bicamerale e nei pareri delle Commissioni bilancio, «ha dato
altresì seguito alle proposte di modifica contenute nell’intesa raggiunta in Conferenza Unificata; in ordine
a tale intesa, tuttavia, non è stata recepita, sulla base di quanto previsto nei pareri parlamentari, una
modificazione relativa al comma 5 dell’articolo 5, in materia di indennità dei consiglieri dell’Assemblea
capitolina». Da ultimo va ricordata la vicenda del d.lgs. n. 68/2011, concernente “Disposizioni in materia
di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle Province, nonché di determinazione dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”. L’iter di elaborazione è caratterizzato da
un’importante attività concertativa fra Governo e Commissione bicamerale, la quale, in data 24 marzo
2011, ha adottato un parere favorevole ma condizionato all’accoglimento di una proposta di completa
riscrittura del testo. Il Governo, accettando tale condizione, ha in più parti riscritto quelle disposizioni su
cui era stata raggiunta un’intesa nella seduta della Conferenza Unificata del 16 dicembre 2010, come
emerge dai documenti in quell’occasione presentati ed attestanti le modifiche concertate.
21
6
manovra»24. Uno sguardo anche alla più recente prassi induce però a sostenere che le
relazioni fra gli attori coinvolti non debbono necessariamente avere questa
configurazione e produrre tali risultati. Elemento di novità rispetto a quanto fin ora
osservato sono le conseguenze derivanti dall’instaurarsi di canali di dialogo formali ed
informali tra Conferenze e Commissioni parlamentari, dai quali entrambe possono
ottenere elementi utili per definire le posizioni da assumere25. Le forme tradizionali di
tali raccordi sono costituite dalle audizioni parlamentari, rese in fase di elaborazione
delle leggi di delega o degli schemi di decreti delegati, spesso nell’ambito di più
complesse indagini conoscitive. Le Commissioni parlamentari possono farne richiesta
su uno specifico tema per conoscere in via diretta la posizione dei rappresentanti delle
Conferenze, oppure possono essere gli stessi membri delle Conferenze a chiedere
informalmente una convocazione per dar conto dei propri intendimenti 26 . Si tratta
comunque di uno strumento prettamente conoscitivo, rimesso all’iniziativa ed alla libera
disponibilità dei soggetti coinvolti. Inoltre, sul piano funzionale, per avere una qualche
utilità, è necessario rispettare esigenze di tempistica e programmazione, garantendo a
Regioni ed enti locali la possibilità di concordare una posizione comune da spendere in
Parlamento27.
Queste forme di cooperazione possono però andare oltre e sfociare in fenomeni che
potremmo definire di “reciproco supporto”: meno evidenti, meno prevedibili e dal peso
politico non facilmente trascurabile. Nell’esercizio della funzione consultiva, le
Conferenze prediligono rivolgersi all’Esecutivo nazionale mediante la forma del parere
“nei termini di cui in premessa” o del parere “condizionato” 28 . L’accoglimento dei
24
Cfr. CARETTI P., Gli «accordi» tra Stato, Regioni ed autonomie locali, cit., p. 1172. Si veda inoltre
la ricerca condotta nell’anno 2011 nell’ambito del Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari “Silvano
Tosi”, dal titolo Il sistema delle Conferenze tra Parlamento e Governo, consultabile su
www.scpol.unifi.it/tosi.
25
Già all’inizio degli anni ’80, all’indomani dell’istituzione della Conferenza dei Presidenti delle
Regioni, in dottrina ci si interrogava su quali fossero i canali lungo i quali si muovono i rapporti tra questi
due soggetti, distinguendo fra contatti diretti formali o informali intercorrenti tra Commissioni
parlamentari e Regioni; cfr. CARETTI P. - CHELI E., I rapporti tra Regioni e Parlamento. Esperienza
attuale e prospettive, in le Regioni, 1-2/1983, p. 25.
26
Attivissima in questo senso è la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale,
che nell’ambito delle riforme di cui alla legge n. 42/2009, ha avviato cicli di audizioni per quasi ognuno
dei decreti legislativi approvati, convocando spesso anche i rappresentanti delle singole componenti
territoriali che siedono in Conferenza Unificata. I resoconti di tali incontri sono consultabili su
http://parlamento.camera.it/ .
27
Rispetto alle indagini conoscitive per le quali si intende sentire i membri delle Conferenze, è invalsa
la prassi di dare notizia a questi ultimi della relativa convocazione fin dal momento della formale
deliberazione da parte della Commissione, in modo da consentire agli organi interni delle Conferenze di
anticipare l’avvio della relativa attività istruttoria e di discussione.
28
Sullo sviluppo a livello organizzativo e della prassi dei meccanismi decisionali all’interno delle
Conferenze, si veda CARPANI G., La Conferenza Stato-regioni, cit. p. 47 ss. e ID, La collaborazione
strutturata tra regioni e tra queste e lo Stato. Nuovi equilibri e linee evolutive nei raccordi “verticali” ed
“orizzontali”, in www.federalismi.it., 13 ottobre 2009, p. 7 ss.; qui viene ben sintetizzata l’importanza
assunta nel tempo dalla Conferenza delle Regioni e dalle sue articolazioni interne, quale forma di “autocoordinamento strutturato” entro cui le componenti regionali elaborano una posizione comune da
presentare in maniera unitaria al Governo in Conferenza Stato-Regioni o Unificata. Si dà conto inoltre dei
compiti dell’Ufficio di Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, ove tecnici di Stato e Regioni svolgono
gli adempimenti preliminari e conseguenti alle sedute ed istruiscono le questioni da portare all’attenzione
della Conferenza; in tale sede vengono però raggiunte fra le parti le prime forme di coordinamento
7
rilievi condizionanti rimane nella piena disponibilità del Governo, il quale, dopo aver
esplicitato un primo avviso contrario o aver offerto una generica disponibilità ad un
ripensamento, ha la possibilità di lasciar cadere nel vuoto le richieste avanzate. Ma nel
momento in cui lo schema viene trasmesso alle Commissioni parlamentari, è possibile
anche che quegli stessi rilievi vengano recuperati e riproposti in sede parlamentare sotto
forma di indirizzi, osservazioni o condizioni29. Quando avviene ciò, può accadere che
alle proposte emendative venga conferito sul piano fattuale un “valore aggiunto” che
determina un cambiamento delle loro sorti. Il Governo, infatti, trovandosi innanzi ad un
“fronte comune”, può esser maggiormente indotto a rivalutare i propri giudizi,
mostrandosi poi più propenso ad accogliere quegli stessi rilievi già rigettati in sede di
Conferenza. E’ come se l’avallo delle Commissioni conferisse alle proposte delle
autonomie un peso politico ulteriore delle quali in precedenza si erano dimostrate
prive30. In definitiva, si è indotti a credere che Conferenze e Commissioni parlamentari,
in particolari circostanze, realizzino forme di collaborazione per opporsi alle accennate
forme di protagonismo del Governo nella legislazione delegata. Bisogna però
considerare come si tratti di ipotesi che scontano tutta l’opacità che caratterizza
l’esercizio dell’attività normativa dell’Esecutivo. Non è infatti possibile appurare se
effettivamente il Governo abbia dato seguito alle richieste espresse congiuntamente
perché indotto a ciò da questo “asse” Conferenze-Parlamento. Né è dato sapere se, al di
là delle audizioni formali, vi sia stato effettivamente, ed in quali modalità, un contatto
fra questi ultimi due organi. Analizzando però il mero dato normativo, bisogna dar
interistituzionale che eventualmente potranno essere poi “ratificate” dalla Conferenza stessa, in modo che
quest’ultima possa concentrarsi solo sui profili più eminentemente politici. Nella prassi degli atti
approvati dalle Conferenze, le intese ed i pareri favorevoli o contrari sono andati per la maggior parte
qualificandosi come “condizionati” o “nei termini” di cui in premessa. Sono queste le ipotesi in cui la
valutazione positiva delle Conferenze è subordinata all’accoglimento da parte del Governo di alcune
proposte emendative avanzate, che però non hanno avuto la forza sufficiente di imporsi ai rappresentanti
ministeriali in sede di mediazione tecnica o a livello di incontro politico. Sulla intrinseca debolezza del
contributo mediante parere - ma il discorso è estendibile anche alle intese - cfr. CARPINO R., Evoluzione
del sistema delle Conferenze, cit., p. 17, che rileva come «la debolezza dell’attuale tipo di parere consiste
proprio nel fatto che l’accoglimento o meno delle proposte emendative è una sorta di condizione il cui
avveramento non è verificato, come dovrebbe, da parte dello stesso organo che lo ha adottato».
29
Sulle differenti forme assunte dai pareri parlamentari ed il loro peso politico, v. RAFFAELLI A., I
pareri parlamentari sugli schemi dei decreti legislativi, cit., p. 64 ss.
30
E’ quanto si è verificato con il citato d.lgs. n. 150/2009. All’esito di diversi incontri tecnici e di un
lavoro portato avanti «con grande disponibilità e massima convergenza, raggiungendo un apprezzabile
risultato qualitativo» (come espresso dal Presidente della Conferenza delle Regioni nel corso della seduta
del 29 luglio 2009), permangono ancora alcune criticità relative ai comparti di contrattazione, rispetto alle
quali non viene espressa l’intesa e sulle quali vengono proposti degli emendamenti condizionanti. Nel
parere reso il 2 ottobre 2009 dalle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Lavoro della Camera, si
invita a «seguire l’impostazione emersa in sede di Conferenza Unificata nel senso di ampliare sino a
quattro il numero dei comparti stessi, verificando la possibilità di costituire eventualmente anche apposite
sezioni contrattuali per specifiche professionalità». Quest’ultima modifica trova infine accoglimento
all’art. 54, secondo cpv. del d.lgs. n. 150. Similmente è accaduto per il d.lgs. n. 156/2010 “in materia di
ordinamento transitorio di Roma Capitale”. Nella seduta del 29 luglio 2010 della Conferenza Unificata, è
stata raggiunta l’intesa prevista dalla legge delega, sebbene il Sindaco di Roma abbia reiterato alcune
richieste fino ad allora non accolte dal Governo, fra cui quelle relative al numero massimo di municipi ed
alle ipotesi di decadenza dei consiglieri. Questi rilievi sono stati poi ripresi dalla Commissione I Affari
Costituzionali della Camera (parere del 15 settembre 2010) e dalla Commissione bicamerale (parere del
16 settembre 2010) ed il Governo li ha rispettati nel testo finale del decreto.
8
conto del susseguirsi di circostanze che potrebbero non essere fortuite, ovvero del
sovrapporsi dei rispettivi rilievi, del loro accoglimento e della frequente attivazione di
circuiti informali. Non bisogna però trascurare i rischi che queste forme di “supporto” si
traducano impropriamente in una sorta di “concertazione parallela” fra autonomie
territoriali e Parlamento rispetto a quella svolta fra gli esecutivi. Che le Conferenze e le
Commissioni parlamentari operino di concerto per raggiungere una sorta di “posizione
comune” su alcuni contenuti del decreto legislativo non distoglierebbe, ma anzi
favorirebbe la confusione di logiche e la sovrapposizione di responsabilità paventate
nella diversa ipotesi, sopra accennata, in cui il Governo si avvalga in maniera
strumentale dei rilievi sollevati. Questi meccanismi finiscono così per ripercuotersi
negativamente sulla linearità del processo decisionale e, soprattutto, sulla sua
trasparenza.
La circostanza che Conferenze e Commissioni parlamentari siano indotte a cooperare
emerge ancor più con riguardo ad un altro fenomeno che interessa la prassi delle
deleghe legislative, e cioè la tendenza del Governo ad usufruire dell’esercizio del potere
legislativo delegato a ridosso dello scadere del termine fissato dalle Camere31. A questo
riguardo, per non pregiudicare eccessivamente il coinvolgimento degli organi
parlamentari, è invalsa la previsione di meccanismi di proroga automatica del termine di
delega nei casi in cui lo schema di decreto legislativo venga trasmesso alle Camere in
prossimità della sua scadenza32. Tuttavia, sul piano funzionale, questo atteggiamento del
Governo può tradursi in un iter di elaborazione affrettato e poco meditato, senza che
vengano concessi tempi sufficienti affinché Conferenze e Commissioni parlamentari
possano adempiere efficacemente ai propri compiti33. Soprattutto per quanto riguarda le
31
Che l’Esecutivo non si dimostri capace di adeguarsi alla tempistica imposta dalle leggi di delega anche a causa di difficoltà riconducibili sul piano politico - lo si evince chiaramente dal ricorso ai c.d.
decreti-legge milleproroghe, utilizzati allo scopo di dilazionare le scadenze più immediate. A tal riguardo,
di vera e propria «patologia» parla TARLI BARBIERI G., Analisi di alcuni casi emblematici di patologie del
decreto legge milleproroghe, su www.osservatoriosullefonti.it, n. 2/2008. Si veda inoltre ZACCARIA R. (a
cura di), Aspetti problematici nella evoluzione delle fonti normative: Atti dei seminari promossi dal
Comitato per la legislazione e dalle Università di Firenze, Genova, Perugia e LUISS di Roma, 2008;
LUPO N., Decreto legge e manutenzione legislativa: i decreti legge «milleproroghe», in SIMONCINI A. (a
cura di), L’emergenza infinita. La decretazione d’urgenza in Italia, Eum, Macerata, 2006, p. 173 ss.
32
In LUPO N., Alcune tendenze relative al parere parlamentare, cit., p. 151, si individua la ratio
principale di tali meccanismi nel consentire al Governo di «prendere nella dovuta considerazione i rilievi
contenuti nei pareri parlamentari e nel contempo di salvaguardare la riserva di tempo che l’art. 14 della
legge n. 400/1988 afferma spettare al Presidente della Repubblica», ma anche nello «scoraggiare
comportamenti scorretti del Governo», che potrebbe decidere di trasmettere tardivamente alle Camere lo
schema di decreto, riducendo così il margine di tempo disponibile alle Commissioni per rendere il parere.
Più di recente, v. inoltre MILAZZO P., Uno sguardo sulle prassi e le tendenze della delega legislativa nel
decennio 1996-2007, in CARETTI P. (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2006, Giappichelli, Torino, 2007,
p. 114 ss.; TARLI BARBIERI G., La delega legislativa nei più recenti sviluppi, in La delega legislativa
nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 148 ss.
33
Come di recente è accaduto, sempre nell’ambito della riforma del federalismo fiscale, con lo
schema di decreto legislativo recante “meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e
comuni”. Nella seduta del 18 maggio 2011, la Conferenza Unificata ha preso atto della mancate
condizioni per giungere ad un’intesa sullo schema di decreto, considerato che il Governo non ha accolto
la richiesta avanzata dalle autonomie per un ulteriore rinvio della discussione, «attesa la scadenza del
termine per la delega prevista dalla legge n. 42/2009» fissata per il 31 maggio 2011. Successivamente è
intervenuta la legge 8 giugno 2011, n. 85, che ha prorogato il termine di delega di ulteriori sei mesi,
9
prime, la previsione di venti giorni - di cui all’art. 2, c. 3° del d.lgs. n. 281/1997 - quale
termine «in uscita» per la pronuncia del parere sugli atti normativi governativi, non è
controbilanciata da un’analoga previsione «in entrata», con la conseguenza che il
Governo ha la possibilità di trasmettere «schemi di decreto legislativo, di regolamento o
di disegni di legge alle Conferenze “tardivamente”, inserendoli contestualmente
nell’ordine del giorno della discussione successiva, con il risultato che le Conferenze
hanno un brevissimo lasso di tempo per analizzare lo schema e formulare le loro
osservazioni»34. La necessità che le autonomie territoriali usufruiscano di un “tempo di
recupero” per poter svolgere le attività eventualmente precluse dalla citata condotta del
Governo è possibile che trovi soluzione in una prassi alquanto discutibile. In simili
occasioni accade che l’Esecutivo possa chiedere alle Conferenze di rendere ugualmente
il parere o esprimere l’intesa dovuta, benché vi siano ancora questioni aperte o aspetti
problematici da affrontare, permettendo così al procedimento di formazione del decreto
di continuare il suo iter. Contestualmente, però, viene anche formulato un invito a
rivolgersi informalmente alle Commissioni parlamentari, tramite scambi epistolari e di
documenti, allo scopo di richiedere che queste ultime appoggino i rilievi che non hanno
avuto modo di formulare al Governo nelle proprie sedi 35 . E’ evidente come anche
questa prassi favorisca non solo una sovrapposizione delle rispettive attività consultive
consentendo così all’iter di continuare ed alle Commissioni parlamentari di esprimersi. Situazioni di
urgenza possono venirsi a creare anche rispetto ai decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie, sui
quali incombe la scadenza del termine di delega o di adeguamento imposto dall’Unione europea. Su tutti,
si pensi al parere reso dalla Conferenza Stato-Regioni il 7 ottobre 2010 sullo schema di decreto legislativo
di “attuazione della Direttiva 2007/33/CE del Consiglio relativa alla lotta ai nematodi a cisti della patata”,
la quale impone l’entrata in vigore delle nuove disposizioni comunitarie dal 1° luglio 2010, mentre lo
schema di decreto è stato trasmesso alla Conferenza il 29 settembre; oppure al parere della Conferenza
Unificata del 13 novembre 2008, reso sullo schema di decreto legislativo recante “recepimento della
direttiva 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, relativa a pile e
accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e che abroga la direttiva 91/157/CEE”, rispetto al quale le
Regioni hanno evidenziato che, «non avendo avuto il tempo di approfondire il testo e nemmeno quello di
confrontarsi in sede politica in un incontro interregionale, sono state impossibilitate a formulare proposte
concrete».
34
Così. BIN R. - RUGGIU I., La rappresentanza territoriale in Italia. Una proposta di riforma del
sistema delle conferenze, passando per il definitivo abbandono del modello Camera delle Regioni, in Ist.
fed., n. 6/2006, p. 919, ove si ribadisce l’importanza di una disciplina sulla tempistica “in entrata” «che il
Governo deve rispettare per non mortificare il ruolo delle regioni e degli enti locali».
35
E’ quanto accaduto durante l’iter di approvazione del d.lgs. n. 198/2009, “in materia di ricorso per
l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi”. Nel corso della seduta del 5
novembre 2009 della Conferenza Unificata (verbale n. 13/2009), il Ministro Brunetta, pur mostrando
disponibilità a conseguire l’intesa sullo schema di decreto prevista dalla legge delega n. 15/2009, in
ragione del poco tempo a disposizione prima dello scadere del termine, ha esortato le Regioni a
«utilizzare la procedura già positivamente utilizzata nei confronti dei decreto legislativo nel suo
complesso», vale a dire «la formalizzazione di una lettera da parte della Conferenza da inviare, attraverso
il Ministro, ai Presidenti delle due Commissioni del Parlamento competenti»; una lettera che indicasse «lo
stato dell’arte e che la richiesta è avvenuta semplicemente per un approfondimento tecnico», non
implicando perciò un blocco dell’attività parlamentare e consentendo inoltre alla Conferenza di presentare
ulteriori rilievi. Analogamente, nella seduta del 29 aprile 2009, la Conferenza Stato-Regioni ha reso un
parere sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro,
accogliendo l’invito del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali a spostare la discussione
su alcuni aspetti problematici legati all’art. 2-bis (presunzione di conformità) e 10-bis (obbligo di
impedimento) nelle Commissioni parlamentari competenti.
10
o concertative, ma anche una confusione dei ruoli stessi che distinguono i due organi
coinvolti, rispondenti a dinamiche istituzionali ben diverse. Con il - non così velato rischio che nelle questioni veramente spinose il Governo possa bypassare del tutto la
sede di confronto con le autonomie, concentrando unicamente nella sede parlamentare
la discussione sullo schema di decreto.
I comportamenti del Governo all’origine dei due fenomeni cui si è precedentemente
accennato inducono Conferenze e Commissioni parlamentari a reagire stringendo forme
di collaborazione più o meno “volontarie”. Vi è però un’ultima prassi da menzionare,
connessa ai rapporti tra fonti di rango primario e fonti subordinate, che, differentemente,
le pone in aperta contrapposizione. Ci si riferisce a quel fenomeno che già dalla XIII
Legislatura ha attirato l’attenzione della dottrina36 e per il quale, rispetto alla disciplina
delegata, si assiste ad una sorta di “slittamento” dei contenuti fondamentali di una
riforma dagli atti di rango primario a fonti regolamentari o di non ben specificata
natura37. Sempre più accade infatti che i decreti delegati demandino l’adozione della
disciplina indicata dalla legge di delega ad ulteriori atti di rango inferiore. Ciò può
trovare una giustificazione qualora a questi ultimi venga devoluta la disciplina degli
aspetti tecnici o più specifici della materia. Tuttavia, la prassi sta uscendo da queste
ipotesi fisiologiche ed oramai non si può più prescindere da un attento vaglio degli atti
sub-legislativi per comprendere la portata innovatrice di una nuova disciplina 38 . A
questi ultimi vengono infatti affidati aspetti decisamente “sostanziali” di una riforma o
dai quali dipende in concreto la sua effettiva operatività39. Oltre a ciò, sorgono senza
36
Sempre con riguardo alle c.d. riforme Bassanini, si osservava come «la legge serve ad incanalare il
confronto con gli interessi in una successione di fasi in modo da diluire e graduare le decisioni in
relazione all’effettiva formazione del consenso», con un conseguente «progressivo slittamento delle scelte
difficili verso gli ultimi atti della catena di provvedimenti normativi»; così PALANZA A., La perdita dei
confini: le nuove procedure interistituzionali nel Parlamento italiano, cit., p. 1243-1244. In STAIANO S.,
Politiche delle riforme e tensioni nel modello della delegazione legislativa, in COCOZZA V. - STAIANO S.
(a cura di), I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto, cit., p. 592, si parlava
invece di delega legislativa e “processi di riforma ad attuazione «aperta»”, indicando così la tendenza a
«considerare la delega come una fase minore o non dominante di una sequenza affidata ad altre modalità
di «prolungamento» del processo di produzione normativa», come gli strumenti di delegificazione.
37
Per una disamina di alcune dinamiche e problematiche che interessano le fonti di rango secondario
nella più recente prassi, si rinvia ai diversi contributi raccolti in questo Volume, ed in particolare a quelli
di ALBANESI E. ed ARCONZO G. Si fa rinvio anche al seminario svoltosi il 18 febbraio 2011 presso
l’Università di Firenze e dedicato a La delegificazione ed i decreti di natura non regolamentare, i cui
resoconti sono ora pubblicati in ZACCARIA R. (a cura di), Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della
legislazione, Grafo, Brescia, 2011.
38
Denuncia questo fenomeno, soffermandosi in particolare sulla previsione di regolamenti
delegificanti e sulle conseguenze che ne derivano, TARLI BARBIERI G., La delega legislativa nei più
recenti sviluppi, in La delega legislativa nella giurisprudenza costituzionale, Atti del Seminario svoltosi
in Roma, Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Giuffrè, Milano, 2009, p. 173 ss.
39
Senza allontanarci dalla riforma del federalismo fiscale, basti qui ricordare il provvedimento del
Direttore dell’Agenzia del demanio contenente i beni esclusi dal trasferimento agli enti territoriali, di cui
all’art. 5, c. 3° del d.lgs. n. 85/2010, sul c.d. federalismo demaniale. Lo schema di provvedimento è stato
inizialmente trasmesso alla Conferenza Unificata il 9 novembre 2010 ed è stato oggetto di così numerosi
incontri tecnici, riformulazioni ed integrazioni che sono state ben sette le volte in cui la relativa
trattazione è stata messa all’ordine del giorno della Conferenza e sono stati invece richiesti dei rinvii sul
punto. Da ultimo, il 18 maggio è stato reso un definitivo parere negativo, poiché non si ritiene ancora
completato il lavoro di individuazione o accertamento dei beni immobili da inserire nella c.d. black list,
senza il quale non sarà possibile procedere all’attuazione della disciplina prevista nel decreto legislativo.
11
dubbio una serie di ulteriori conseguenze problematiche, come una più accentuata
sottrazione di trasparenza al momento decisionale, oppure un più marcata elusione dei
limiti posti dalla legge di delega - ed in particolare del termine - qualora il Governo,
nella necessità di esercitare in tempi celeri la potestà legislativa delegata di rango
primario, decida di procrastinare l’esercizio del potere decisionale mediante l’adozione
di ulteriori fonti subordinate40. Il fenomeno risulta poi ancor più significativo quando è
direttamente ed esclusivamente il decreto legislativo, nel silenzio o in contrasto con la
legge di delega, a disporre il rinvio ad una successiva fonte secondaria, con una più
accentuata emarginazione del Parlamento. Su tutto emerge la considerazione che si
discute di fonti sub-primarie sulle quali il Parlamento non ha più occasione di
esprimersi, trattandosi di atti che vengono perlopiù rimessi alla sola concertazione fra
Governo ed esecutivi territoriali. La reazione degli organi parlamentari è, quasi
scontatamente, l’assunzione di una posizione fortemente contraria a tutto ciò,
denunciando espressamente i profili di illegittimità ed inopportunità che ne derivano41.
Viceversa, i rinvii formulati dai decreti legislativi sono contenuti in disposizioni che
sono state previamente concertate in Conferenza. Gli esecutivi dimostrano dunque di
condividere un interesse a mantenere il potere decisionale concentrato nelle proprie
sedi, prevedendo fonti per la cui adozione è escluso l’intervento degli organi
parlamentari 42 . Si realizza così una forte divergenza di posizioni tra Conferenze e
Commissioni parlamentari, che in definitiva soddisfa pienamente il solo Governo, forte
dell’appoggio delle prime e della titolarità ultima di un potere normativo di rango
primario e secondario sempre più libero da limiti esterni.
Dalle considerazioni brevemente svolte, si evince come le posizioni assunte dalle
Conferenze e dalle Commissioni parlamentari rappresentino la risposta ad alcune prassi
contestabili che oramai caratterizzano l’esercizio della delega legislativa, tanto rispetto
alle modalità di adozione dei decreti legislativi, quanto ai loro contenuti. Nelle ipotesi di
cui si è dato conto, Conferenze e Commissioni parlamentari hanno deciso
spontaneamente di attivare canali per ottenere un reciproco supporto, sono state indotte
forzatamente a collaborare, oppure hanno raggiunto momenti di aperta contrapposizione
fra di loro. In ogni caso, si tratta di soluzioni che scontano alcuni vizi di fondo, vuoi
perché tali organi incorrono nel rischio di snaturare e confondere i rispettivi ruoli,
oppure perché, sebbene ciascun organo si ritrovi a difendere le proprie prerogative e
responsabilità, si verificano situazioni che in sostanza avvantaggiano solamente il
40
In questo senso, con particolare riferimento ai regolamenti di delegificazione, CERVATI A.A.,
Delegificazione, in Enc. Giur., X, Treccani, Roma, 1997, p. 12 e CERRI A., Delega legislativa, in Enc.
Giur., X, Treccani, Roma, 1993, p. 10.
41
In aperta denuncia delle conseguenze provocate dall’abbondanza di rinvii a fonti secondarie, si
veda, su tutti, il caso del recente d.lgs. n. 68/2011, recante “Disposizioni in materia di autonomia di
entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle Province, nonché di determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard nel settore sanitario”, ed i pareri approvati dal Comitato per la legislazione e dalla
Commissione I Affari Costituzionali della Camera il 23 marzo 2011.
42
Sulla dilatazione del momento decisionale fra Governo e Conferenze e sulle conseguenze di una
possibile «correzione permanente delle politiche», cfr. RUGGIU I., Il sistema delle Conferenze ed il ruolo
istituzionale delle Regioni nelle decisioni statali, testo provvisorio della relazione al Convegno su Dieci
anni dopo: più o meno autonomia regionale?, organizzato dall’ISGRE e da Il Mulino, Bologna, 27-28
gennaio 2011.
12
Governo. Si tratta dunque di risposte certamente non risolutive a prassi in atto già dalla
XIII Legislatura, dalle quali sicuramente è possibile trarre un’ulteriore conferma della
“signoria” del Governo nei procedimenti normativi, specie di quelli delegati. Se si ha
intenzione di affrontare e risolvere gli aspetti più patologici delle questioni citate, è
necessario affrontare radicalmente alcune problematiche sottese e ben più ampie,
attinenti al sistema delle fonti normative, alla forma di governo ed alla forma di Stato.
Ci si riferisce alle torsioni del modello costituzionale che hanno fatto seguito alla grande
“espansione” della delega legislativa43; alla proliferazione di nuove forme di fonti di
rango secondario, all’inadeguatezza dei soli criteri formali per l’identificazione della
loro natura ed al loro sindacato44; all’improcrastinabile questione ordinamentale della
partecipazione delle autonomie territoriali ai processi decisionali statali ricadenti in aree
di loro competenza 45 . In attesa dunque degli interventi strutturali necessari, sarebbe
forse opportuno che queste forme di raccordo che si innescano fra Governo, Conferenze
Stato-autonomie territoriali e Commissioni parlamentari venissero formalizzate e rese
adeguatamente trasparenti, consentendo così di comprendere quali siano le rispettive
posizioni e potervi ricondurre le relative responsabilità.
43
Così TARLI BARBIERI G., La grande espansione della delegazione legislativa nel più recente
periodo, in CARETTI P. - RUGGERI A. (a cura di), Le deleghe legislative: riflessioni sulla recente
esperienza normativa e giurisprudenziale: atti del convegno, Pisa, 11 giugno 2002, Giuffrè, Milano,
2003, p. 43 ss. Più in generale, sulla delega legislativa si veda anche TARLI BARBIERI G., La delega
legislativa nei più recenti sviluppi, cit., p. 93 ss.; ZACCARIA R. - ALBANESI E., La delega legislativa tra
teoria e prassi, in La delega legislativa nella giurisprudenza costituzionale, cit., p. 333 ss.; MILAZZO P.,
Uno sguardo sulle prassi e le tendenze della delega legislativa nel decennio 1996-2007, cit., p. 80 ss.;
STAIANO S., Delega per le riforme e negoziazione legislativa, cit.; MACCABIANI N., La legge delegata,
Vincoli costituzionali e discrezionalità del Governo, Giuffrè, Milano, 2005; MAGARÒ P., Delega
legislativa e dialettica politico-istituzionale, Giappichelli, Torino, 2003; DE FIORES C., Trasformazioni
della delega legislativa e crisi delle categorie normative, Cedam, Padova, 2001. Alle fonti citate si rinvia
per indicazioni sulla manualistica e voci enciclopediche.
44
Sui criteri formali di identificazione delle fonti e la loro idoneità a tale scopo, si veda su tutti
CRISAFULLI V., Lezioni di diritto costituzionale, II, Cedam, Padova, p. 122 ss.; PALADIN L., Le fonti del
diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 54 ss. Sul complesso sistema delle fonti secondarie si rinvia
a TARLI BARBIERI G., Il potere regolamentare del Governo (1996-2006), in CARETTI P. (a cura di),
Osservatorio sulle fonti 2006, cit., p. 183 ss.; DI COSIMO G., I regolamenti nel sistema delle fonti,
Giuffrè, Milano, 2005; U. DE SIERVO (a cura di), Il potere regolamentare nell’amministrazione centrale,
Il Mulino, Bologna, 1992; ID, Norme secondarie e direzione dell’amministrazione, Il Mulino, Bologna,
1992. Sul sindacato delle fonti di rango secondario si rinvia a MASSA M., Regolamenti amministrativi e
processo. Il doppio volto dei regolamenti e i suoi riflessi nel giudizio costituzionale e in quello
amministrativo, in corso di pubblicazione.
45
Si fa qui riferimento alle soluzioni più discusse, oscillanti fra l’opzione dell’introduzione di una
Camera delle Regioni; l’integrazione della Commissione bicamerale per gli affari regionali ex art. 11,
legge costituzionale n. 3/2001; la costituzionalizzazione delle Conferenze Stato-autonomie territoriali; la
previsione di un c.d. doppio binario, con la presenza congiunta delle rappresentanze territoriali in
Parlamento ed in organi misti Governo/enti territoriali. In dottrina si veda CARETTI P., La lenta nascita
della «bicameralina», strumento indispensabile non solo per le Regioni, ma anche per il Parlamento, in
Le Regioni, n. 2-3/2003, p. 351 ss.; RIZZONI G., La riforma del sistema delle autonomie nella XIII
legislatura, in GROPPI T. - OLIVETTI M. (a cura di), La Repubblica delle autonomie, Giappichelli, Torino,
2003; LUPO N., Sulla necessità costituzionale di integrare la Commissione parlamentare per le questioni
regionali, in Rass. parl., II, 2007, p. 357 ss.; BONFIGLIO S., Il Senato in Italia. Riforma del bicameralismo
e modelli di rappresentanza, Laterza, Bari, 2006; RUGGIU I., Contro la Camera delle Regioni. Istituzioni
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