come mori oscar wilde - Emeroteca Digitale Salentina
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(rniiHliaíHY1WW!nrill1H710111171HIIIIMIhiNinlIIIIIIIMINIHIP111■11W1H11117WW:r1IHTTAHIWili!HHWIHIMW111111114i111 Ptbg COME MORI OSCAR WILDE DI GREGORIO CARRUGGIO C'era in una di quelle prime notti di novembre, un fremito di agonia nell'aria ; come una densa nebbia impalpabile, che abbattendosi pesantemente sulle vie, sulle case • e sulle luci della grande metropoli, imprigionava in un velo di tristezza le cose e gli uomini. E gli uomini in quella notte passavano come fantasmi, più leggeri delle loro ombre gettate sul fango del selciato e lontani gli uni dagli altri come non mai. Verso una cert'ora di notte un uomo at• traversò diagonalmente un largo viale più desertn e più oscuro di tutte le altre vie della immensa città, e si fermò un momento, indeciso, sotto un fanale. La sua ombra si allungò smisuratamente fino a confondersi con le tenebre, in un mobile contatto tra la luce e la notte. Strano uomo, quello! Vestito povera liente di panni che sembravano aver servito a più di una generazione di uomini, con le scarpe rotte e deformate dall'uso, aveva però all'occhiello della giacca una magnifica orchidea freschissima : tanto strano, questo fatto, che se un passante avesse potuto per un momento osservarlo con calma l'avrebbe certo creduto un pazzo. Ahimè, non un pazzo ma soltanto una maschera d'uomo sulla quale l'impertinenza del destino aveva pur segnato la più grottesca avventura che uomo abbia mai conosciuto ! L'incognito sostò per qualche minuto sotto la luce opaca del fanale pubblico e la sua mano s'indirizzò meccanicamente verso un immaginario taschino dove comunemente vi sta — per chi lo possiede — l'orologio, e ricadde, la mano, con gesto inerte sull'anca malferma, mentre sulle labbra dell'uomo -passava, impercettibile come sbadiglio di sonnambulo, un sorriso indefinibile. A pochi passi di là una luce morente in un angiporto tenebroso indicava un'entrata certamente accessibile al pubblico ; il viandante pezzente vi si diressse rapidamente con la lugubre praticità della nottola dopo avere invano cercato un'altra volta su sè stesso qualche cosa che non era più che ricordo. E nel salire una ripida e angusta scala tenebrosa anche la sua ombra lo abbandonò ad un tratto, sulla soglia. Bussò con padronanza ad un uscio ; gli fu subito aperto da una vecchia in ciabatte, lercia e cisposa, megera guardiana di un appartamentino inusitatamente elegante di quell'apparato artificiale d'un prostribolo di terz'ordine. In un salottino rosa, sepolto nella lontana penombra d'una tenua luce vestita di verde e sotto cui si perdevano le forme delle cose, tre donne occheggiavano -sdraiate nell'attesa consueta ; ed erano le tre grazie invecchiate nella schiavitù della vita, della loro lunghissima vita di trent'anni trascorsi fatalmente sui volti eguali e induriti dal carminio, consunti dalle veglie e dalla contaminazione dei baci subiti. L'uomo si fermò indeciso nel mezzo della stanza: sguardo sp2rduto nel sogno tempestoso di una meditazione incessante; si fermò sotto l'ombra del paralume verde, nè si accorse che le donne che esso era venuto a cercare non badavano alla meschinità dei suoi panni nè al pallore profondo del suo viso di sfinge. Poi silenziosa, automaticamente compassata nelle movenze lubriche del corpo quasi svestito, una delle donne gli si accostò con gesto pigro ; senza guardarlo gli prese la mano che fremette misteriosamente al viscido contatto, e come dormienti sparirono in un'altra stanza. * * * S li alla luce si guardarono. Lui mecca- nicamente, con uno sguardo senza comprensione ; lei con una indefinibile curiosità sulla sua maschera di donna impersonale. E gli disse RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA « Così sporco e tanto bello ; perchè Ghignò sotto l'ombra dello sguardo profondo, simile al triste baleno d'un temporale sul lontano orizzonte fosco, e rispose come a sè stesso : « Non v'è bellezza perfetta che nello spirito ; anche la sudiceria è una realtà relativa, e del resto anche tu sei bella, questa sera, ai miei _occhi. Come ti chiami ? » Le porse con galante gesto distratto l'orchidea, strappandola all'occhiello che la contaminava, e per la prima volta la guardò negli oc,:hi. La donna rispose : « Mi chiamo Maria ; e tu ?. » « Il mio nome non conta — vi fu nella sua voce aristocratica come un tremolio impercettibile di rimpianto per qualche cosa perduta e non mai ritrovata — tu chiamami Oscar, per questa sera unica in cui ci siamo conosciuti ; ma sappi anche che porto su di me, al disotto di questi abiti che mi abbassano al livello d'un mendicante, il peso estremo di una grande bellezza sublime. Essere anormale vuole spesso dire essere grande. Essere naturale vuoi quasi sempre dire essere stup do. » • « Sei dunque Un artista! » esclamò con imi. eto la donna, curiosa di sorprendere almeno in quest'uomo qualcosa di meglio della bestialità collettiva degl'innumeri maschi che l'avevano sottomessa carnalmente. L'uomo ebbe uno scatto di ribellione sul viso angoloso, e comandò « Spogliati ! » indi, ammansito subitamente dal sorriso di umiltà apparso sulle labbra della donna che non aveva alcun diritto di domandare, -soggiunse: « Artista, fin'oggi, non è stato nessuno. L'arte è al di fuori della vita... » Riposavano adesso tutti e due sul largo letto, nella nausea dell'amplesso compiuto senza entusiasmo. Lei soggiocata dal parlare enigmatico e profondo di quel pazzo che aveva voluto dare a quel quarto d'Ora di amore una forma proibita di voluttà anormale; ma vi si era prestata quasi per curiosità e per una certa simpatia nata improvvisamente 2 31 nel suo animo per l'uomo, che ancora in preda ad una strana agitazione del suo spirito, come una irrequietezza espansiva che lo spingeva a parlare a raccontare a gridar forte il suo intimo dramma umano che durava da anni, sembrava trasfigurato. Lui, che per la stessa enormità di quest'ultimo periodo della sua esistenza aveva ben voluto e dovuto silenziosamente appartarsi e sparire e suggellare nel più reposto canto della sua anima infangata e libera il proprio nome scintillante ; che aveva lasciato il proprio nome su l'altitudine del mondo, per metà glorioso e per metà infame, l'uomo dalla seconda esistenza falsa e anormale come i suoi vestiti, come la sua miseria, come il suo mistero ; l'uomo nuovo, vivente cadavere d'una splendida gioventù ricolma di abissi e di bellezza, che sentiva avvicinarsi alla morte la sua volontà perennemente leonina, ma che pur sentiva l'estremo bisogno di gettare sul suo ultimo giaciglio — di roseo fango voluttuoso — l'ultimo triste grido di confessione di dolore di protesta! Sul petto nudo, niveo del candore di bianchi lini aristocratici, spiccavano come croce sullo sfondo d'un cielo di neve undici lettere tatuate : De Profundis. La donna le aveva accennate col dito, silenziosamente, come davanti ad un mistero di bassifondi: ma lui le aveva nascoste celermente agli occhi impuri, in un ultimo scatto di gelosia infantile. E finalmente parlò: « Mi è mollo doloroso essere costretto a dire la verità. È la prima volta in vita mia che mi .trovo ridotto a tale dura necessità, e la mia inesperienza in proposito è assoluta. Ma via, mi ci proverò. Non so perchè tale fatto mi doveva accadere proprio questa sera con te che non conosco se non da un'ora e soltanto attraverso la dedizione impura della tua carne: Ma mi accorgo adesso che mi sei forse più vicina di quanto prima non immaginavo; del resto, ciò che avverrà dopo ti convincerà meglio che non potevo parlare se non a te. Molte cose di me le ho diL menticate ; Peccato! Perchè, « le sole cose 234 171 i. FEDE che valgano la pena di essere dette sono appunto quelle che dimentichiamo; quelle che valgono invece la pena di essere fatte sono appunto quelle che sorprendono il mondo. » -.— Non ho però dimenticato che la mia vita fu tutta una passione di bellezza ; nel godimento e nel dolore, nel cer vello e nei nervi; la bellezza anche nella morte, tra poco. Non pensano forse così, di me, quegli altri ai quali è rimasta la maggior parte di me, la più' pura bellezza mia S'inteíruppe per un momento perchè un colpe, secco di tosse venne a scuotere la sua iperbolica magrezza, e dopo, i suoi occhi vagarono lontano, rompendo le tenebre del pensiero. Per lui non esisteva più la donna ; esisteva soltanto un punto fisso al di là delle parole e delle idee che la sua anima tracciava: « Ed ecco come a furia di perseguire la perfezione della bellezza io sfidai il mondo, che naturalmente mi ha spezzato. Del resto, preso nel suo complesso il mondo è un mo:,tro pieno di pregiudizi, affardellato di preconcetti, corrotto dalle cosiddette virtù ; è un puritano ed un fatuo. Il segreto della vita è l'arte di sfidarlo. Sfidare il mondo: ecco quale dovrebbe essere il nostro scopo, invece di vivere per accondiscendere alle sue pretese, come facciamo per le più ! Ti sci dunque acc trta chi sono?... » La venditrice di amplessi rimaneva pensosa. Anche non afferrando tutto il grave senso di quella enorme sfida alla collettività, la creatura che anch'essa aveva molto imparato dal dolore e dall'odio, percepiva indirettamente la \.ertigine di quell'audacia, ma era troppo debole per comprenderla. Ed ebbe un senso d'infinita pietà per sè stessa — tanto povera cosa — e per quel. l'altro essere così diverso e non meno infelice. Gli posò la testa sulle ginocchia e compianse : « Quanto siamo deboli! » Il maschio trovò la forza della protesta : « Deboli in che ? In ricchezza o in volontà? « Gesù disse all'uomo: Tu hai una meravigliosa personalità, Sviluppala ; sii tu stesso. Non t'immaginare che la tua perfezione stia nell'accumulare o nel possedere cose esterne; la tua perfezione sta in te. Se tu riuscirai a realizare questo, tu non vorrai essere ricco. I ricchi possono essere derubati dall' uomo ; i veramente ricchi no. Nella tesoreria della vostra anima vi sono molte più cose preziose che non possono esservi tolte. E perciò cercate di costruire la vostra vita in modo che le cose esterne non vi possano nuocere. E cercate anche di liberarvi dalla proprietà personale. Essa coinvolge sordide preoccupazioni, cure senza fine, mali continui. La proprietà perso tale ostacola I' individualismo ad ogni passo. » — lo fu i quello: l'uomo, cioè, che volli , raggiung.a-e fino in fondo tutta intera la rinuncia al legame con gli altri, per esser solo e più forte, e mantenermi in piedi da me stesso ». « Cadesti ? » domandò ' la donna. « Non so. Altri forse lo penseranno, io l'ho dubitato qualche volta, ma è possibile che l'avveniie — che pur dovrà giudicare tante cose — si pronunzi sul genere della mia caduta. Ma quello che è vero io lo so : è che non mi senti mai tanto forte come quando gli altri mi credettero vinto ; mai tanto libero come quando mi si precluse la libertà: mai tanto grande come oggi che gli uomini — i quali mi credono morto — non han più timore a proclamarmi tale. » « Ma infine, chi sei ? » domandò sgomenta la prostituta. « Vuoi saperlo assolutamente ? allora ascolta: io sono l'uomo che non ebbi mai bisogno di alcuno, nemmeno nella morte ; un perfetto sognatore che riuscii a fare dei sogno la realtà della mia vita ; infine un grande poeta, che, come faccio adesso, trovò pure il modo di uccidersi ai piedi di una cortigiana ! ! ! ! » e davanti agli occhi di quella estranea, terrorizzata nella tragedia improvvisa, balenò ad un tratto l'arma che uccide, estratta improvvisamente, come se sola scaturisse dalla volontà indistruttibile di quell'anima finita. Partì un colpo solo, sul cuore, e l'uomo cadde inondando di sangue e di orrore la stanza funeraria . . . m iTh n i I I IIH II IH r1111 1H11911.1 11 11r nli r illi TI1 111 1 g11111 111M1 1- 1 1 i i 1 11 1:',H11 ruv131 LJ 1-11-(1 Non seppero mai chi -fosse lo straniero suicida. Soltanto pochi amici, che ne tacquero sempre il nome, si prestarono l'ind )mani a trasportarne il corpo al cimitero. :: Ul 1.UKA . 235 E siccome pesava molto per la somma delle passioni e dei dolori, lo portarono piano, un pò per uno Gregorio 'Carruggio DISCUSSIONI 5CIENTIFICIE L'ingegnere Paolo Sanò aure -una discussione sulla teoria Bella relatività, dopo aver dello che la teoria si basa su di un presupposto che Einslein afferma di dimostrare matematicamente con l'aiuto delle formule di Lorentz. La discussione s'inizia col far vedere che la dinzostrazzone delle Formule di Lorentz data dalr Einstein -non è matematicamente vera, Il Sanò si riserva poi di considerare le formule nel loro significato fisico, affermandone la falsità anche da questo punto di vista. La conclusione cui per ora si ferma il Sanò è senza dubbio di alla importanza, •poichè da essa si ricava che la teoria della Relatività poggia su basi matematicamente false. La nostra non eccessiva preparazione, se non ci permette di seguire il Sanò nella sua discussione, ci fa però intravedere ch' egli possa avere ragione. Richiamiamo quindi l'attenzione degli studiosi su quanto egli dice, perchè, confermando o negando, portino il loro contributo a quello che è il profondo continuo travaglio dell'anima umana: la ricerca della verità (N. d. R.) DISCUSSIONI SULLE TEORIE DI EINSTEIN Discussioni sulle Teorie di Einstein La teoria della Relatività di A. Einstein si basa: i. sul postulato della costante velocità della luce e sul presupposto che questa velocità della luce sia una velocità — limite che nessun corpo reale può raggiungere e tanto meno superare; 2. sulle formule di Lorentz con l'aiuto delle quali l'Autore crede di dimostrare matematicamente la verità del presupposto. Discuteremo qui il significato matematico delle formule di Lorentz, riservandoci di occuparci in atra occasione dei risultati generali della teoria Einsteniana. ** Nella « Deduzione elementare della Trasformazione di Lorentz » esposta in Appendice nella « Teoria della Relatività » di Einstein è detto : « Un segnale luminoso lanciato lungo l'asse x positivo di un sistema K, si propaga secondo l'equazione: ct ossia 3,C -C t = (i) Lo stesso segnale si propaga con la stessa velocità C rispetto ad un sistema K' che si muove con velocità uniforme v rispetto al primo sistema ed avente in comune con queste l'asse degli x. Si avrà quindi la relazione analoga : (2) — c t' = Ogni punto spazio-temporale (avvenimento), che soddisfi alla (i), deve soddisfare anche alla (2). Ciò si verificherà eyidentemehte sempre che sia: (3) x' — c t' = (x — c t) ove X indica una costante: infatti per la (3), se si annulla x — c t si annulla anche c t'.