Il fenomeno dell`immigrazione - Federazione Acli Internazionali

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Il fenomeno dell`immigrazione - Federazione Acli Internazionali
Convegno “Giovani e nuova emigrazione fra diritti negati e progetti di vita” –
Civitanova Marche, 10 aprile 2015
Giovani e nuova emigrazione
Intervento di Marco Moroni (Centro Studi Acli)
La nuova emigrazione
L’Italia è stata un Paese di emigranti. In poco più di un secolo, dal 1850 al 1975, in
totale partirono lasciarono l’Italia circa 26 milioni di emigranti. E’ a partire dagli anni
Settanta del Novecento e in particolare negli ultimi venti anni che l’Italia incomincia a
trasformarsi da Paesi di emigranti in Paesi di immigrati.
Con la crisi l’Italia è tornata ad essere un Paese di emigrazione. Come tutte le statistiche
sui fenomeni migratori, i dati sulla nuova emigrazione dall’Italia all’estero risultano
imprecisi perché sono tratti dai registri dell’AIRE ed è noto che non tutti quelli che
espatriano si iscrivono all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero. Si tratta quindi di
dati senza dubbio sottodimensionati che vanno certamente raddoppiati, se non
addirittura triplicati.
Dunque, secondo l’AIRE, i nuovi emigranti sono 89.000 nel 2012, salgono a oltre
centomila nel 2013 e a quasi 140.000 nel 2014. La realtà è ancora più drammatica se si
considera che queste cifre andrebbero raddoppiate o addirittura triplicate. Ma, al di là
dei numeri, quello che impressiona è la sostanza del fenomeno: è una fuga dei talenti,
soprattutto di giovani talenti.
Secondo il blog “La fuga dei talenti”, dai dati emergono alcuni aspetti importanti: 1)
oggi si emigra di più dalle regioni del Centro-Nord che da quelle del Sud d’Italia perché
vi è una stretta correlazione fra disoccupazione ed emigrazione; 2) fra i nuovi emigranti
prevalgono sempre più i giovani fra i 20 e i 40 anni (quelli fra i 30 e i 40 anni sono stati
ribattezzati “giovani adulti”); 3) sta crescendo il numero dei laureati (dal 19% del 2009
si è passati al 24% del 2013): questo significa che un nuovo emigrante su quattro è
laureato.
Lo spreco dei talenti
Si parla spesso di “fuga dei talenti” (richiamata dal nome del blog già citato), ma
sarebbe più corretto parlare di spreco dei talenti. Il nostro è un Paese che spreca i suoi
talenti. E questo spreco ha un incredibile costo economico. I giovani che se ne vanno
portano con sé le competenze e l’investimento formativo che è stato fatto su di loro
(dalla loro famiglia e dallo Stato). Ogni volta che un laureato o un diplomato lascia
l’Italia se ne va anche l’investimento in sapere che la collettività ha fatto su di lui.
Secondo i calcoli dell’OCSE istruire un giovane costa: 6.000 euro all’anno nella Scuola
materna; 8.000 euro all’anno nelle Scuole elementari; 9.000 euro all’anno nelle Scuole
medie (inferiori e superiori); 10.000 euro all’anno all’Università. In totale si tratta, in
media, di oltre 160.000 euro per ogni giovane. Ovviamente accanto al costo economico
c’è poi un enorme costo sociale: un Paese da cui emigrano i giovani più formati e più
intraprendenti è un Paese più povero.
Il vero problema non sta tanto nel fatto che ci siano giovani che vanno a lavorare
all’estero. Anzi una esperienza all’estero oggi è auspicabile. Spesso l’esperienza
all’estero (non solo la semplice conoscenza di una lingua) è richiesta dalle imprese, che
ormai sempre più si muovono nell’ottica della internazionalizzazione.
Il vero problema è che quei giovani non ritornano in Italia. Si fa troppo poco per indurli
a rientrare. E così, tra l’altro, l’Italia diventa un Paese sempre più vecchio. Anche i
tedeschi stanno invecchiando, ma la Germania può permettersi di invecchiare perché
attira i giovani migliori da altri Paesi. Noi invece importiamo lavoratori meno qualificati
ed esportiamo molti laureati.
Disoccupazione ed espatri: è il fallimento di una classe dirigente
Oggi l’Italia ha uno dei tassi di fecondità più bassi al mondo. Per questo i giovani in
Italia sono sempre meno. I giovani di oggi sono la metà dei giovani degli anni
Cinquanta. Ma allora perché fra i giovani ci sono così tanti disoccupati? Si dice che
l’Italia sia all’ottavo posto fra i Paesi più ricchi al mondo. Ma allora perché sono così tanti
i giovani disoccupati? Perché l’Italia con il 43% dei giovani senza lavoro ha una delle
percentuali di disoccupazione giovanile fra le più alte d’Europa?
Se si guarda al fenomeno della disoccupazione in un’ottica mondiale, è evidente che
siamo di fronte al fallimento di un modello di sviluppo che ha privilegiato l’economia
finanziaria (e la speculazione finanziaria) rispetto all’economia reale. Ma se si guarda
all’Italia, è chiaro che siamo di fronte al fallimento di una classe dirigente (non solo
politica, come spesso giustamente si dice, ma anche imprenditoriale) che non ha saputo
progettare e governare lo sviluppo di questo Paese.
Certo c’è stata la crisi. Certo c’era il problema del debito pubblico. Ma non si tratta
soltanto di questo. Altri Paesi sono riusciti ad affrontare meglio la crisi. Altri Paesi non
hanno il nostro tasso di disoccupazione giovanile. Altri Paesi hanno avuto una politica
industriale adeguata. Altri Paesi non hanno fatto tagli lineari nel loro bilancio statale.
Atri Paesi non hanno trascurato la formazione tecnica superiore. Altri Paesi hanno
investito in Ricerca e sviluppo e hanno puntato sull’innovazione. Altri Paesi hanno dato
spazio ai giovani.
L’Italia invece è un Paese per vecchi. Non è solo un Paese pervaso dalla corruzione e
dalla criminalità organizzata. E’ anche un Paese senza più mobilità sociale. E’ un Paese
dove dominano le corporazioni e le lobby. E’ un Paese per raccomandati, per figli di
papà, ancora segnato dalle clientele. I giovani sono in fuga da questo Paese: un Paese
che non piace, un Paese che non offre opportunità, un Paese che non offre speranza. E
un Paese senza speranza per i giovani è un Paese senza futuro.
La denuncia delle Acli
Queste affermazioni, indubbiamente dure, non devono sorprendere. Le Acli lo stanno
denunciando da anni. Da anni le Acli chiedono non solo una politica diversa, che punti
sull’economia reale e privilegi il lavoro, ma anche un Piano straordinario per
l’occupazione giovanile.
Da anni come Acli non ci limitiamo ad assistere e a tutelare i nuovi emigranti con i nostri
servizi (in particolare il Patronato) e con le nostre sedi Acli in oltre venti Paesi al mondo.
Da anni, anche qui nelle Marche, ci impegniamo a fornire ai giovani percorsi di
formazione professionale, cammini qualificati di servizio civile, esperienze di
cooperazione internazionale ed anche, come abbiamo fatto negli ultimi due anni, corsi di
formazione sui nuovi lavori e sulle nuove forme di autoimprenditorialità.
Ma è ovvio che tutto questo non basta. Serve uno sforzo collettivo, ma soprattutto serve
un sussulto di moralità, serve un sussulto di orgoglio, anche di orgoglio nazionale. Se si
vuole dare speranza ai giovani, servono scelte conseguenti a tutti i livelli. Soltanto così
si darà un futuro all’intero Paese.