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L’ Indis, Istituto nazionale distribuzione e servizi, è l’organismo tecnico dell’Unione italiana delle Camere di commercio (Unioncamere) al quale è demandata l’attività di studio e promozione del settore distributivo-commerciale e dei servizi. L’Istituto assolve a tale compito istituzionale promuovendo, o eseguendo direttamente, studi e ricerche; organizzando conferenze, convegni e seminari di studi; divulgando, attraverso proprie pubblicazioni, informazioni statistico-economiche e giuridiche sul settore commerciale. In quest’ambito si colloca la rivista “Disciplina del commercio e dei servizi” che si propone quale strumento d’informazione, per gli operatori pubblici e privati, relativamente alla produzione legislativa, giuridica e giurisdizionale, con riferimento anche all’ambito comunitario, inerente al composito mondo delle attività commerciali. L’Indis ha sede a Roma, Piazza Sallustio, 21 tel. 06·4704502 • fax 06·4704526 • e-mail: [email protected] sito web: www.indisunioncamere.it Direttore Responsabile Paolo Maggioli Comitato di Direzione Andrea Babbi Francesco Barbolla Emanuela Caneponi Gianfranco Cardosi Amedeo Del Principe Elena Fiore Serenella Milia Daniela Paradisi Andrea Sammarco Alessandro Selmin Enzo Maria Tripodi Comitato Scientifico Giuseppe Caia, Mario Chiti, Marcello Clarich, Carlo Emanuele Gallo, Potito Jascone, Marco Maceroni, Claudio Malavasi, Fabio Merusi, Fabio A. Roversi-Monaco, Enzo Santucci, Roberto Sbrana, Federico Tedeschini, Riccardo Varaldo, Andrea Zanlari Rete dei corrispondenti regionali Indis Fausta Emilia Clementi (Abruzzo), Lorenzo Affinito (Basilicata), Natina Crea (Calabria), Giovanni Miele (Campania), Paola Castellini (Emilia-Romagna), Terzo Unterwegen Viani (Friuli-Venezia Giulia), Riccardo Monachesi (Lazio), Serenella Milia, Roberto Raffaele Addamo (Liguria), Franco Pozzoli, Giuseppe Pannuti (Lombardia), Pietro Talarico, Nadia Luzietti, Oscar Schiavon (Marche), Luca Marracino, Manlio Palange (Molise), Patrizia Vernoni, Giacomo Orlanda (Piemonte), Pietro Trabace, Teresa Lisi, Angelo Vincenti (Puglia), Maria Cristina Paderi (Sardegna), Giuseppe Giudice, Franco Virgillito (Sicilia), Silvana Adriana Panetta (Toscana), Antonella Tiranti, Francesco Nesta, Andrea Kaczmarek (Umbria), Enrico Di Martino (Valle d’Aosta), Giacomo De’ Stefani, Giorgia Vidotti (Veneto), Alessandro Melchiori (Prov. autonoma di Bolzano), Marzio Maccani (Prov. autonoma di Trento) Direzione, Amministrazione e Diffusione Maggioli Editore – presso c.p.o. Rimini – via Coriano, 58 – 47900 Rimini tel. 0541.628111 – fax 0541.622100 Maggioli Editore è un marchio Maggioli s.p.a. Servizio Abbonamenti tel. 0541.628779 fax 0541.624457 e-mail: [email protected] www.periodicimaggioli.it Redazione Via del Carpino, 8 – 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Maggioli s.p.a. Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2008 Iscritta al registro operatori della comunicazione Registrazione presso il Tribunale di Rimini al n. 3/2002 del 27.3.2002 Stampa, Maggioli s.p.a. – Santarcangelo di Romagna (RN) Condizioni di abbonamento 2014 Il prezzo di abbonamento della rivista “Disciplina del commercio e dei servizi” + la Newsletter on line quindicinale “Commercio news” è di € 230,00 Il prezzo di una copia della rivista è di € 59,00. Il prezzo di una copia arretrata è di € 60,00. I prezzi sopra indicati si intendono Iva inclusa. Il prezzo di abbonamento della rivista solo in formato PDF è di € 115 + IVA. Il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli Spa - Periodici - Via del Carpino, 8 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie L’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno. In mancanza di esplicita revoca, da comunicarsi in forma scritta entro il termine di 45 giorni successivi alla scadenza dell’abbonamento, la Casa Editrice, al fine di garantire la continuità del servizio, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non sarà ritenuta valida qualora l’abbonato non sia in regola con tutti i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo. Coloro che sono in regola con i pagamenti hanno diritto a richiedere entro l’anno la risoluzione gratuita di due quesiti di interesse generale. I quesiti dovranno essere formulati per iscritto ed inviati all’indirizzo e-mail: [email protected] Pubblicità PUBLIMAGGIOLI – Concessionaria di pubblicità per Maggioli s.p.a. Via del Carpino, 8 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) tel. 0541.628736 fax 0541.624887 e-mail: [email protected] www.publimaggioli.it Filiali Milano Via F. Albani, 21 – 20149 Milano – tel. 02.48545811 fax 02.48517108 Bologna Via Volto Santo, 6 – 40123 Bologna – tel. 051.229439-228676 fax 051.262036 Roma Via Volturno 2/c – 00185 Roma – tel. 06.5896600-58301292 fax 06.5882342 Napoli Via A. Diaz, 8 – 80134 Napoli – 081.5522271 fax 081.5516578 Progetto grafico Niki Caragiulo Collaborazioni Per l’invio di articoli: [email protected] oppure Redazione Disciplina del commercio e dei servizi via del Carpino, 8 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. Gli autori garantiscono la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. SOMMARIO 4/2014 Editoriale .......................................................................................... pag. 15 Dottrina Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari Andrea Kaczmarek............................................................................» Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana Gianfranco Cardosi...........................................................................» Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi Andrea Girella..................................................................................» Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet Enzo Maria Tripodi............................................................................» 17 33 38 64 Repertorio di giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi Somministrazione di alimenti e bevande – Occupazione del suolo pubblico – Subentro – Abusivismo. T.A.R. Lazio – Roma, sez. II-ter, 6 agosto 2014, n. 8705....................» 79 Sanità e sanitari – Centro di diagnostica – Uso diverso dei locali – Somministrazione di medicinali. T.A.R. Sicilia – Catania sez. IV, 2 settembre 2014, n. 2296..............» 83 Concessione cimiteriale – Sepoltura gentilizia – Atti di ritiro della concessione – Decadenza sanzionatoria. T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. III, 12 agosto 2014, n. 2175..................» 90 Rassegna Di Giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi Le forme speciali di vendita...............................................................» 93 Come agire Circoli: sintesi di controlli (parte 1) Elena Fiore........................................................................................» 115 Normativa nazionale .........................................................................................................» 127 Circolari e Pareri Termini di ricevibilità dei ricorsi gerarchici impropri, in materia di attività di mediazione, agenzia, mediazione marittima, spedizione e di periti ed esperti. Circolare Ministero dello sviluppo economico 15 ottobre 2014 n. 3675/C..............................................................................................» Esercizio attività commerciale da parte di cittadino extracomunitario Parere Ministero dello sviluppo economico 8 ottobre 2014 prot. 17554.......................................................................................» Articolo 20, comma 7-bis del d.l. 24.6.2014 n. 91, convertito con la legge 11.8.2014, n. 116. Richiesta di iscrizione nel Registro delle imprese sulla base di atto pubblico o scrittura autenticata Circolare Ministero dello sviluppo economico 19 settembre 2014, n. 3673/C..............................................................................................» D.P.R. 9 luglio 2014, 159 – Regolamento recante i requisiti e le modalità di accreditamento delle agenzie per le imprese, a norma dell’articolo 38, comma 4 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. – Modalità di trasmissione delle dichiarazioni di conformità al SUAP Nota Ministero dello sviluppo economico 4 settembre 2014 ............» Attività di commercio all’ingrosso – Verifica requisiti soggettivi Ris. Min. dello sviluppo economico 23 giugno 2014, n. 114972........» Parere in merito al funzionamento di apparecchiature self-service con pagamento anticipato Ris. Min. dello sviluppo economico 11 giugno 2014, n. 108496........» Parere in merito agli orari dei distributori di carburanti Ris. Min. dello sviluppo economico 17 giugno 2014, n. 108679........» Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 – Esercizio dell’attività di vendita da parte degli imprenditori agricoli – Sanzioni Ris. Min. dello sviluppo economico 10 giugno 2014, n. 107841........» Decreto legislativo 26 marzo 2010 – Sospensione attività di somministrazione di alimenti e bevande Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101224........» D.P.R. 2010, n. 159. Ambiti di operatività degli organismi accreditati per l’esercizio dell’attività di Agenzia per le Imprese. Quesito Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101227........» Quesito in ordine al concetto di “pastigliaggi” Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101231........» Art. 1 D.P.R. 19 dicembre 2001, n. 481 – Noleggio veicoli senza conducente on-line – Quesito Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101242........» 129 131 133 137 137 137 138 138 138 138 138 138 Attività di vendita on-line di programmi software per elaboratori elettronici – Richiesta parere Ris. Min. dello sviluppo economico 27 maggio 2014, n. 101229........» 138 Normativa regionale a cura di Emanuela Caneponi .........................................................................................................» 155 • Lombardia Creatività e commercio: spazi espositivi per l’attrattività territoriale. Attuazione del piano d’azione per la moda e il design 2014-2015 – Deliberazione della giunta regionale 14 novembre 2014, n. X/2644 • Marche L.r. n. 27/2009 “Testo unico in materia di commercio” Periodi delle vendite di fine stagione – Anno 2015 – Deliberazione della giunta regionale 27 ottobre 2014, 1197 • Piemonte Approvazione di criteri e modalità per la Misura 5 – Programmi di Qualificazione Urbana – “Percorsi urbani del commercio” – Deliberazione della giunta regionale 18 novembre 2014, n. 20-587 • Prov. autonoma di Trento Individuazione delle caratteristiche dei mercati tipici ai sensi del comma 2, dell’art.18 della L.p. n. 17/2010 – Deliberazione della giunta provinciale 8 settembre 2014, n. 1559 Criteri e modalità per la qualificazione delle manifestazioni fieristiche in “internazionali”, “nazionali” e “locali” e individuazione delle condizioni di svolgimento delle manifestazioni fieristiche – Deliberazione della giunta provinciale 8 settembre 2014, n. 1560 • Umbria Bando pubblico per la concessione di contributi per le imprese commerciali e artigianali costituite in Centri Commerciali Naturali innovativi e stabili nelle aree dei centri storici così come delimitate dal Comune di Perugia e dal Comune di Terni – Deliberazione della giunta regionale 24 novembre 2014, n. 1505 • Veneto Bando per il finanziamento di progetti – pilota finalizzati all’individuazione dei distretti del commercio ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 50/2012 – Deliberazione della giunta regionale 14 ottobre 2014, n. 1912, Allegato A Cronache regionali a cura di Silvana Adriana Panetta Vendite promozionali e di fine stagione............................................. »161 Cronache comunali Il nuovo regime autorizzatorio delle attività di spettacolo e delle manifestazioni dopo l’entrata in vigore dell’accordo del 5.8.2014, n. 91 Claudio Malavasi...............................................................................» 175 Disciplina comunitaria a cura di Emanuela Caneponi .........................................................................................................» 201 Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre – Legge 7 ottobre 2014, n. 154 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis – Legge 30 ottobre 2014, n. 161 Libera circolazione dei lavoratori Misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/54/UE Valutazione di impatto ambientale (VIA) Modifica della Direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/52/UE Tutela dei viaggiatori Risultati dell’azione esecutiva coordinata per un maggior rispetto dei diritti dei consumatori sui siti web di viaggi – Commissione europea 14 aprile 2014 Abusi di mercato Abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) che abroga la Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le Direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione - Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 596/2014 Sanzioni penali in caso di abusi di mercato (direttiva abusi di mercato - Direttiva del Parlamento e del Consiglio 16 aprile 2014, n. 2014/57/UE Tutela dei consumatori Attuazione della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle Direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/ CEE e 97/7/CE. - Decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21 Small Business Act Una forte politica europea di sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) e agli imprenditori (2015-2020) - Consultazione pubblica della Commissione europea sullo “Small Business Act”, 8 settembre 2014 Registrazione marchi comunitari Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Articolo 3, paragrafo 1, lettera e) – Diniego o nullità della registrazione – Marchio tridimensionale – Sedia da bambino regolabile “Tripp Trapp” – Segno costituito esclusivamente dalla forma imposta dalla natura del prodotto – Segno costituito dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto – Corte di giustizia europea 18 settembre 2014 (causa C‑205/13) Etichettature dei prodotti alimentari Consultazione pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari - Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestale (MIPAAF) 7 novembre 2014 Per consultare tutta la documentazione in formato elettronico, iscrivetevi gratuitamente alla newsletter quindicinale “Commercio News” Per maggiori informazioni: [email protected] Hanno collaborato a questo numero: EMANUELA CANEPONI Consulente legislativa, coordinatrice della rete regionale del commercio GIANFRANCO CARDOSI Dirigente del settore attività produttive, concessioni e turismo del Comune di Viareggio (a r.) ELENA FIORE Comandante polizia municipale di Forlì ANDREA GIRELLA Ufficiale della Guardia di Finanza ANDREA KACZMAREK Consulente di enti locali CLAUDIO MALAVASI già Comandante di Polizia Municipale – Dottore commercialista – Revisore legale – Direttore CRI Emilia-Romagna e Lombardia SILVANA ADRIANA PANETTA Funzionario Regione Toscana ENZO MARIA TRIPODI Coordinatore INDIS-Unioncamere www.preview.periodicimaggioli.it Le riviste Maggioli anche in digitale Con l’abbonamento alla rivista cartacea IN OMAGGIO l’accesso al servizio “Preview” del tuo periodico in versione digitale CHI PRIMA ARRIVA... LEGGE PREVIEW! Il servizio Preview consente di: > scaricare il PDF della tua rivista; > leggere on line gli “Speciali” di approfondimento; > creare la tua rivista personale, selezionando gli articoli di tuo interesse; > consultare l’archivio di tutti i fascicoli della rivista pubblicati negli anni passati. 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La citata Agenda ha, per oggetto, cinque settori strategici, individuati in: 1) cittadinanza digitale, 2) welfare e salute, 3) fisco, 4) edilizia, 5) imprese. Il successo dell’iniziativa, adottando logiche di risultato, sarà valutato non tenendo conto del numero delle norme introdotte od eliminate, ma dell’effettiva riduzione dei costi e dei tempi connessi ai vari adempimenti amministrativi che gravano su cittadini ed imprese. È stabilito che i risultati vengano resi noti ed accessibili on-line, allo scopo di permettere un costante coinvolgimento, sul tema della semplificazione, di cittadini e imprese. Le azioni previste nell’Agenda per sgravare di oneri burocratici le imprese hanno, quale obiettivo base, quello di ridurre costi e tempi per l’avvio e l’esercizio delle singole attività di impresa, attraverso azioni quali, ad esempio: l’affiancamento degli operatori nella gestione di procedure complesse; la verifica della operatività degli sportelli unici per le attività produttive (SUAP) e delle procedure ambientali; il taglio dei tempi per lo svolgimento di conferenze dei servizi, ecc. Il crono-programma risulta così temporalmente articolato: - semplificazione e standardizzazione della modulistica degli sportelli unici e diffusione di linee guida per agevolare le imprese: giugno 2016 (a nostro modesto avviso il termine sembra essere eccessivamente lungo e sarebbe stato forse meglio prevederlo entro giugno 2015, con la seguente scansione temporale: modulistica unica nazionale, com’è esistita senza inconvenienti fino agli anni ’90, per il commercio al dettaglio, ingrosso, su aree pubbliche – entro febbraio 2015; pubblici esercizi – bar-ristoranti – alberghi – stabilimenti balneari, ecc. – entro aprile 2015; attività artigianali – acconciatori – tassisti – parrucchieri, ecc. – entro maggio 2015; altre attività di impresa, giugno 2015); - creazione di un “modulo” per ottenere celermente, e con semplicità, l’autorizzazione unica ambientale (AUA): giugno 2015; - ricognizione sistematica, per area di regolazione, delle procedure per l’avvio delle attività di impresa, con individuazione dei casi oggetti di SCIA e di si- 13 Editoriale lenzio assenso: ricognizione delle prime aree di intervento, entro giugno 2015; completamento dell’operazione, entro marzo 2016; - semplificazione delle numerose autorizzazioni e nulla osta necessari per l’avvio delle attività di impresa Un primo pacchetto di interventi da emanare entro dicembre 2015; completamento entro dicembre 2016. Speriamo, sulla scia di un vecchio detto toscano che “almeno questa sia la volta buona!” e che, con l’Agenda voluta dal Governo, si riesca finalmente a mettere in campo e concludere un serio progetto-programma di semplificazione, che riformi la pubblica amministrazione ed elimini lacci e laccioli inutili, e tutti quei ritardi ed inefficienze che sono causa, da sempre, della arretratezza della macchina pubblica. Il previsto coinvolgimento, nell’operazione di semplificazione, di cittadini ed imprese, dovrebbe poter portare a superare anche quello stato di difficoltà con il quale è stato guardato l’istituto della DIA, oggi SCIA, di cui all’articolo 19 della legge n. 241/1990, aggravato da una espressa previsione di un “potere generalizzato” di autotutela da parte della pubblica amministrazione, ed a dare slancio e valorizzazione all’istituto del silenzio-assenso, divenuto istituto ad applicazione generale grazie alla riforma introdotta, nel lontano 2005, nella legge n. 241/1990 e, purtroppo, assai poco perfezionato e seguito. Per quanto riguarda il contenuto di questo numero della rivista, nella rubrica riservata alla “dottrina” si registra l’intervento di Andrea Kaczmarek che, con l’articolo “Sentenze nn.125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale:prospettive e scenari”, analizza il quadro che si è venuto a creare nelle competenze delle regioni in materia di autorizzazioni amministrative per il commercio, a seguito di dette sentenze. L’autore tenta di spingersi oltre il contenuto delle sentenze, per cogliere le nuove prospettive che oggi si presentano alle regioni che sono chiamate a colmare, tempestivamente, il vuoto normativo prodotto dalle decisioni della Corte Costituzionale, in materia di governo del territorio, ai fini dell’insediamento e gestione di imprese commerciali, tenuto conto anche dei principi di liberalizzazione e semplificazione, quali emergono dalle decisioni della Corte Costituzionale. Sull’argomento “Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana” si è intrattenuto Gianfranco Cardosi, che ha analizzato la recente legge n. 35/2014 con la quale la Regione Toscana ha modificato ed integrato il vigente codice del commercio, approvato con l.r. n. 28/2005, e successive modifiche, per inserirvi una “disciplina specifica” che riguarda, appunto, le fiere specializzate, riservate alla vendita di oggetti di antiquariato che rappresentano, oggi, un sicuro punto di riferimento di una filiera commerciale, nel cui ambito si valorizzano competenze professionali meritevoli di protezione e tutela. Andrea Girella, nell’articolo “Frode in commercio, contraffazione ed altri reati connessi” esamina, in tutti i suoi aspetti quali, la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine; la contraffazione di indicazioni geografiche o di denominazione di origine dei prodotto, ecc., il fenomeno della contraffazione alimentare, che risulta nuocere notevolmente ad un buon funzionamento del mercato oltre che ad un corretto svolgimento degli scambi commerciali. Nello 14 Editoriale scritto vengono esaminati gli elementi, sia soggettivi che oggettivi, che connotano le singole condotte penalmente punite, indicando le connesse pene relative, le circostanze aggravanti e le pene accessorie, i rapporti con altri reati e le competenze a decidere in merito. Enzo Maria Tripodi, nell’articolo “Sant’Antonio arriva anche da internet”, presenta al lettore il tema delle vendite definite come “piramidali, di cui alla legge n.173/2005, anche sotto il profilo di una loro irregolare gestione. L’occasione per un attento esame della materia che, tra l’altro, si sta oggi avvalendo anche di strumenti telematici, connessi all’uso di internet, è stata fornita all’autore da alcuni recenti provvedimenti dell’Antitrust. Nella rubrica dedicata al “Repertorio di giurisprudenza”, Giuliana Poleggi riporta il testo di interessanti decisioni di giudici amministrativi che riguardano: la somministrazione di alimenti e bevande; la destinazione d’uso di locali nei quali vengono commercializzati “medicinali”, le concessioni cimiteriali, ecc. ecc., mentre nella rubrica riservata alla “Rassegna di giurisprudenza”, curata sempre da Giuliana Poleggi, sono riportate sentenze che riguardano le forme speciali di vendita; il commercio elettronico, gli impianti self-service per la distribuzione di carburanti e le vendite effettuate a mezzo di distributori automatici. Nella rubrica del “Come agire”, Elena Fiore, affronta l’argomento dei “Controlli nei circoli privati”, riferendosi sia alla libertà di associazione e sia alle autorizzazioni necessarie per la loro gestione , con riferimento anche ai requisiti igienico-sanitari e di sorvegliabilità, con un preciso accenno ad ipotesi di violazioni di normative vigenti. Nella rubrica dedicata alla “Normativa nazionale”, sono indicati i provvedimenti che riguardano il settore del commercio e delle attività produttive, emanati nel trimestre settembre-novembre 2014, mentre nella rubrica dedicata a “Circolari e pareri”, sono riportati atti e provvedimenti del MISE, aventi attinenza con la materia del commercio in generale. Nella “Normativa regionale”, Emanuela Caneponi illustra l’iter normativo della proposta di legge (A.C. 750 A/R Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali) che introduce alcune limitazioni nella liberalizzazione degli orari di vendita previsti dalla disciplina attualmente vigente. Nello scritto, vengono messi in luce i tratti più significativi della proposta, e sono ricordate al lettore anche la normativa di recente approvata dalla Regione Piemonte (delib. n. 20547 del18 novembre 2014) concernente i “percorsi urbani del commercio”; la delibera della Regione Lombardia (n. 10/2014) con la quale è stato approvato un bando volto a promuovere l’attrattività e la competitività degli esercizi commerciali. Vengono inoltre presentati al lettore i recenti provvedimenti con i quali la Regione Veneto (delib n. 1912/2014) ha stabilito le regole per individuare i distretti del commercio, a rilevanza sia comunale che intercomunale, la Regione Umbria ha fissato le regole per la concessione di contributi per la valorizzazione delle reti di impresa costituite dai centri commerciali naturali (in acronimo CCN), dotati di autonomia strutturale ed organizzativa, la Regione Marche ha stabilito (delib. n.1197/2014) nuove regole per le vendite di fine stagione, e 15 Editoriale la Provincia Autonoma di Trento (delibere nr. 1559 e 1570 del 2014) ha individuato le ulteriori caratteristiche che devono connotare i “mercati tipici”, per distinguerli dagli altri istituti similari. Nella rubrica “Cronache regionali”, Silvana Panetta, con l’articolo “Vendite promozionali e di fine stagione”, esamina il contesto economico e la disciplina nazionale di dette vendite che, a causa dell’attuale contesto economico-finanziario e la perdurante situazione di recesso, tendono ad espandersi, sia per numero, che per la durata. Sono passate in rassegna anche le normative di varie regioni (Provincia Autonoma di Trento, Campania, Friuli Venezia Giulia, Umbria, EmiliaRomagna, Lombardia e Liguria), ed esaminato il problema della coesistenza delle vendite promozionali e di fine stagione, sorto a seguito della emanazione del decreto legge n. 223/2006, che ha escluso la possibilità di prevedere limiti e divieti per le vendite promozionali. Un accenno è stato fatto anche al contenzioso causato da alcune forme utilizzate per pubblicizzare dette tipologie di vendita, tipo “occhio ai prezzi”, “la giusta scelta“ e simili, e si è cercato di individuare il confine, peraltro assai incerto, tra libera politica dei prezzi e concorrenza sleale. Non manca, nell’articolo, un accenno anche alla normativa comunitaria vigente. Nelle rubrica “Cronache comunali”, Claudio Malavasi, nell’articolo “Il nuovo regime autorizzatorio delle attività dello spettacolo e delle manifestazioni, dopo l’entrata in vigore dell’accordo del 5.8.2014, n. 91”, dopo aver ricordato qual è il vigente regime autorizzatorio che disciplina le attività di pubblico spettacolo ed intrattenimento, ed indicato relativo sistema sanzionatorio, illustra i riflessi operativi prodotti dal recente accordo, approvato in sede di Conferenza Unificata il 5 agosto 2014, contenente le “linee di indirizzo sull’organizzazione dei soccorsi sanitari negli eventi e manifestazioni di qualsivoglia tipologia e connotazione, soprattutto qualora gli stessi richiamino un rilevante afflusso di persone, in merito agli obblighi che gravano su enti ed organizzatori di detti eventi, in materia di assistenza sanitaria. La problematiche è rilevante ed attuale tenuto conto della frequenza con la quale vengono organizzati feste, sagre, concerti ed altre simili iniziative, in luoghi pubblici od aperti al pubblico, con forte richiamo di pubblico che vi partecipa, attivamente o meno, e con montaggio ed allestimento di impianti ed attrezzature le più varie, per le quali non ci stancheremo mai di ricordare, fino a quando volontà e forze ci sosterranno, di tener presenti anche le “regole” scritte nel decreto interministeriale emanato dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro della Salute il 22 luglio 2014 (G.U. n.183 dell’8 agosto 2014) del quale, purtroppo poco si parla (forse perché emanato nel cuore delle ferie estive, è passato inosservato o, come suol dirsi, è rimasto sotto silenzio? Speriamo, ovviamente, che l’interrogativo resti una mera supposizione e non si trasformi in una triste e deprecabile realtà!). Gianfranco Cardosi 16 Dottrina Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari Andrea Kaczmarek Consulente di enti locali I l presente contributo è volto a delineare il quadro che si è venuto a creare nelle competenze delle regioni in materia di regolamentazione delle attività commerciali in seguito alle sentenze nn. 125 e 165 del 2014 della Corte Costituzionale, tentando di andare oltre il mero contenuto di queste per cogliere quali nuovi orizzonti e prospettive si aprono per le regioni in relazione all’abbandono dell’ottica di controllo quantitativo e dei profili di qualità degli insediamenti commerciali e di alcuni strumenti ad essa correlati ed al pieno recepimento dei principi di massima liberalizzazione e semplificazione: dall’incentivazione e la promozione a favore delle imprese al governo del territorio. Sommario: Introduzione. – 1. Procedura di autorizzazione per le grandi strutture di vendita. – 2. Requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita. – 3. Strutture di vendita in forma aggregata – Poli commerciali. – 4. Regime autorizzatorio. – 5. Distribuzione di carburanti. – 6. Esposizione dei prezzi presso gli outlet. – 7. Considerazioni. – 7.1. – Regime di concorrenza. – 7.2. – Promozione della qualità. – 7.3. – Proporzionalità, adeguatezza, semplificazione. – 7.4. – Previa conoscibilità. – 7.5. – Distribuzione di carburanti. – Conclusioni Introduzione Ad una vera e propria rivoluzione copernicana, in materia di disciplina del commercio, abbiamo assistito nei mesi scorsi in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale n. 125 del 7 maggio 2014 e, soprattutto, n. 165 dell’11 giugno 2014, relative alle normative regionali, rispettivamente, di Umbria e Toscana. Con tali sentenze, infatti la Corte, procedendo nello sviluppo delle argomentazioni già presenti in precedenti pronunce, esprime principi la cui portata, al di là della dichiarazione di illegittimità delle norme specificamente ad essa sottoposte, è tale da richiedere un ripensamento globale 17 Rivoluzione copernicana nella regolamentazione del commercio Andrea Kaczmarek dell’approccio fino ad oggi seguito dalle regioni nella disciplina del commercio, minandone l’impalcatura in alcuni dei suoi profili più rilevanti. Entrambe le sentenze, a ben vedere, poggiano prevalentemente sul principio della competenza statale esclusiva in materia di concorrenza di cui all’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione con richiamo, a seconda dei casi considerati, delle varie norme che ne costituiscono l’espressione o di altri principi generali (liberalizzazione, semplificazione, ecc.) che contribuiscono a delineare il nuovo quadro normativo discendente dalla direttiva comunitaria n. 2006/123/CE e dal d.lgs. n. 59/2010. Le due sentenze, pertanto, possono essere trattate congiuntamente nelle brevi note che seguono che non vogliono essere una illustrazione o spiegazione di carattere tecnico dello svolgimento dei ricorsi, in merito ai quali già molto è stato autorevolmente scritto, ma piuttosto un contributo alla riflessione sulla portata e sugli effetti delle pronunce di illegittimità. Ricordiamo, dunque, brevemente i passaggi più significativi dei giudizi di costituzionalità ed il loro oggetto, omettendo di riportare il contenuto delle norme statali richiamate che si presume noto. Le norme impugnate Per quanto riguarda la Toscana, sono state impugnate dalla Presidenza del Consiglio alcune norme della l.r. n. 52 del 2012 ”Disposizioni urgenti in materia di commercio e l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla l.r. n. 28/2005 e alla l.r. n. 1/2005” nonché della successiva l.r. n. 13/2013 “Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla l.r. n. 28/2005 e alla l.r. n. 52/2012” che aveva prontamente tentato di eliminare alcuni dei profili oggetto di impugnativa; per quanto riguarda l’Umbria il ricorso ha avuto ad oggetto tre articoli della l.r. n. 10/2013 emanata, anche in questo caso, per l’attuazione dei dd.ll. n. 201/2011 e n. 1/2012 con modifiche ed integrazioni delle ll. rr. n. 24/1999 sul commercio fisso, n. 6/2000 sul commercio sulle aree pubbliche e n. 13/2003 sulla distribuzione di carburanti. Per entrambe le regioni le norme impugnate concernono la disciplina del commercio in sede fissa e della distribuzione di carburanti (l.r. n. 28/2005: Codice del commercio in Toscana e ll.rr. n. 24/1999 e n. 13/2003 in Umbria): esse possono essere raggruppate in relazione al loro contenuto ed illustrate congiuntamente. 1. Procedura di autorizzazione per le grandi strutture di vendita Un primo gruppo è costituito dagli articoli 13, 14, 15 e 16 della l.r. n. 52/2012 della Toscana che hanno inserito all’interno del Codice del 18 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari commercio, di cui alla l.r. n. 28/2005, gli artt. 18-ter, quater, quinquies e sexies, disposizioni sostanzialmente già presenti nel Regolamento regionale n. 15/R del 2009 (art. 15 e ss.) e relative alla domanda di autorizzazione per grandi strutture di vendita, alla documentazione da allegare, allo svolgimento dell’istruttoria comunale e regionale ed alla conferenza di servizi per il rilascio del titolo. In tali norme che prevedono, ad esempio, l’obbligo di produzione di dettagliate planimetrie, analisi di flussi veicolari, relazioni di compatibilità ambientale, lo Stato, con ricorso 27-29 novembre 2012, ha ravvisato una procedura “particolarmente complessa e onerosa, sia per la copiosità dei documenti richiesti sia per la pluralità delle fasi procedimentali…“ con l’effetto di ritardare l’ingresso nel mercato di nuovi operatori. Ne consegue la lesione dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e dell’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, espressione della potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, nonché il contrasto con l’art. 7 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 sul procedimento unico presso il SUAP e con l’art. 41 della Costituzione. Tali procedure – ha replicato la regione costituendosi il 27.12.2012 – non sono sproporzionate e onerose, ma armonizzano celerità del procedimento e rispetto delle competenze degli enti coinvolti aggiungendo, con memoria integrativa del 12.11.2012, che le disposizioni in materia di liberalizzazione, essendo di principio, necessitano di ulteriori sviluppi normativi, anche regionali. La Corte ha, invece, accolto la tesi della Presidenza del Consiglio, ravvisando nelle norme in esame l’introduzione di requisiti ulteriori rispetto a quelli prescritti dalla legislazione vigente con conseguente effettivo ostacolo alla libera concorrenza, sia tra operatori della Toscana e di altre regioni, sia tra operatori nuovi e già in attività e, di conseguenza, una violazione dell’articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione di cui è espressione l’articolo 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 che interdice l’introduzione di vincoli, di qualsiasi natura, che non siano connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso, l’ambiente urbano, e dei beni culturali. 2. Requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita Un secondo gruppo di norme impugnate è rappresentato dagli articoli 17 e 18 della l.r. n. 52/2012 che hanno introdotto nel Codice del commercio della Toscana, rispettivamente, gli articoli 18-septies e 18-octies prevedenti il primo una copiosa e dettagliata serie di requisiti di carattere strutturale ed organizzativo per le grandi strutture di vendita, il secondo, al comma 1, lettera d), l’obbligo che il relativo progetto di realizzazione sia a tali requisiti conforme, subordinando a ciò il rilascio 19 Divieto di procedure onerose e complesse in materia di grandi strutture di vendita Andrea Kaczmarek La previsione di requisiti qualitativi per le grandi strutture di vendita lede la concorrenza ed esula dalle competenze regionali dell’autorizzazione. Questi spaziano dalla classificazione energetica, all’uso di fonti rinnovabili, alle modalità di trattamento dei rifiuti, alla collaborazione con associazioni di volontariato, al rispetto dei piani del colore nonché, limitatamente alle strutture con superficie superiore a 4.000 mq, alla prevenzione della contaminazione del suolo, l’inquinamento da polveri o acustico, la raccolta delle acque, l’organizzazione del trasporto (1), l’organizzazione di spazi di accoglienza e simili. Così come la procedura complessa per grandi strutture, trattata al punto precedente, anche i requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita, “pur apparentemente motivati con ragioni di tutela dell’ambiente, della salute e dei lavoratori”, sono stati giudicati dalla Presidenza del Consiglio, di qualità e quantità tali da risultare ingiustificatamente restrittivi della concorrenza ed ostacolare, aggravando il costo degli investimenti, l’ingresso nel mercato, cosa quest’ultima negata dalla regione che, nella sua replica, ha sottolineato come essi fossero già presenti nel regolamento n. 15/R del 2009 senza aver mai creato ostacolo. Tali requisiti sono stati rimodulati nella successiva l.r. n. 13/2013 (art. 2), ma l’Avvocatura generale dello Stato ne ha ribadito la natura discriminatoria, l’inserimento in modo ingiustificato e sproporzionato, in danno alla concorrenza (svantaggio per le sole grandi strutture, discriminazione per le strutture sopra e sotto i 4.000 mq, svantaggio per gli operatori in Toscana), l’estraneità di molti requisiti alla disciplina del commercio. La Corte, anche in questo caso, ha ritenuto fondato il ricorso dello Stato (2) sottolineando che valori quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori, pur costituendo valida ragione di deroga al principio generale di liberalizzazione, attengono alla competenza esclusiva dello Stato e non possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso la competenza residuale del commercio che incontra un limite nella natura trasversale e prevalente della tutela della concorrenza di competenza statale. (1) La previsione di trasporto privato con tariffe di trasporto pubblico violerebbe anche le norme sul relativo affidamento. (2) La Presidenza del Consiglio, con memoria integrativa depositata il 24.3.2014 aveva ritenuto improcedibile il ricorso avverso l’art. 17 della l.r. n. 52/2012 in quanto sostituito integralmente dall’art. 2 della l.r. n.13/2013, ma la Corte è stata di diverso avviso perché la modifica normativa, non avendo eliminato tutti i requisiti obbligatori ed anzi avendone previsto alcuni nuovi, non è stata pienamente satisfativa delle pretese del ricorrente ed inoltre l’art. 17 non può non aver avuto medio tempore applicazione, presupposti questi entrambi necessari per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere. 20 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari 3. Strutture di vendita in forma aggregata – Poli commerciali Una ulteriore norma impugnata è l’articolo 20 (3) della l.r. n. 52/2012 che ha inserito nel Codice del commercio della Toscana l’art. 19-bis relativo alle cosiddette Strutture di vendita in forma aggregata, ancora una volta già previste nel regolamento n. 15/R del 2009, all’articolo 11, e costituite da più medie o grandi strutture di vendita a distanza reciproca inferiore a 120 metri o dotate di collegamenti strutturali. La norma, come difeso con forza dalla Regione Toscana, risponde ad un’esigenza (4) di mantenere sotto controllo quegli addensamenti di offerta che, pur non avendo le caratteristiche dei centri commerciali, esercitano tuttavia analogo impatto sulla viabilità e consumo del territorio cosicché l’esigenza di regolamentazione discende da quella di impedire l’elusione di disposizioni dettate, appunto, per i centri commerciali. Le censure mosse, al riguardo, dalla Presidenza del Consiglio e riconosciute fondate dalla Corte riguardano l’introduzione di distanze minime tra esercizi commerciali, vietata dall’articolo 34, comma 3, del d.l. n. 201/2011 e dall’articolo 1 del d.l. n. 1/2012, in violazione, anche in questo caso, della competenza esclusiva statale in materia di concorrenza ed introduzione di limitazioni. Le violazioni riguarderebbero, pertanto, l’art. 117, comma 1 e comma 2, lettera e) e l’articolo 41 della Costituzione. Analoga impugnativa è stata mossa avverso l’articolo 9 della l.r. n. 10/2013 dell’Umbria che, ha integrato l’articolo 10-bis della l.r. n. 24/1999 in materia di “poli commerciali”, figura sostanzialmente corrispondente alle strutture di vendita in forma aggregata della normativa toscana. Anche in questo caso la fattispecie era già presente da tempo in norme di rango inferiore (deliberazione della Giunta regionale dell’Umbria n. 738 del 2011). Anche in questa occasione lo Stato ha lamentato l’introduzione di norme “restrittive e discriminatorie” in contrasto con l’articolo 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 con violazione degli articoli 117, comma 2, lettera e) e 41 della Costituzione. Nello specifico, è stata sottolineata l’introduzione dell’eventualità che un esercizio di vicinato debba essere sottoposto ad autorizzazione preventiva in quanto ricadente in un polo commerciale. La Corte ha ritenuto fondate queste doglianze, sottolineando (3) Anche per l’articolo 20 la Corte ha ritenuto insussistente la cessazione della materia del contendere, tenuto anche conto che la l.r. n.13/2013 ha, in proposito, solamente disposto la riduzione (da 120 a 60 m) della distanza minima per edifici a destinazione commerciale con titolo edilizio perfezionato entro un dato periodo. (4) Tale esigenza e diffusa in gran parte d’Italia come dimostrano le varie normative regionali. 21 Forme aggregate di esercizi commerciali: divieto di distanze minime ed oneri aggiuntivi per le imprese Andrea Kaczmarek che l’attribuzione della qualifica di polo commerciale avvenga ad esercizi commerciali “per il solo fatto che questi siano adiacenti o vicini a prescindere dalla volontà degli esercenti di unirsi in un polo commerciale”. In tal modo anche eventuali esercizi di vicinato sono soggetti a procedure di tipo autorizzatorio, in luogo di quella di segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 19 della l. n. 241/1990, con introduzione, pertanto, di vincoli non ammessi ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011, espressione della competenza statale in materia di concorrenza e della libertà di iniziativa economica (violazione degli artt. 117, comma 2 lett. e) e 41 Cost.). Quanto alle distanze minime, la Corte ha richiamato l’articolo 3, comma 1, lett. b) del d.l. n. 223/2006 che già allora ne disponeva il divieto. La particolarità della situazione in Umbria è che la Corte ha annullato il solo articolo 9 della l.r. 10/2013 il quale si era limitato ad aggiungere i commi da 3-bis a 3-sexies (5) all’articolo 10-bis della l.r. n. 24/1999 sul commercio e non anche l’articolo 75 della l.r. n. 15/2010 che in essa aveva inserito i poli commerciali e che non fu a suo tempo impugnato. Tuttavia il recente Codice del commercio di cui alla l.r. n. 10/2014 ha definitivamente soppresso la figura dei poli commerciali (6). 4. Regime autorizzatorio Gli articoli 11, 12 e 19 della l.r. n. 52/2012 della Toscana, prevedenti l’autorizzazione per medie e grandi strutture di vendita, salvo nell’ipotesi di modifica del settore merceologico da operare con Scia (7), e per i centri commerciali sono stati anch’essi impugnati dallo Stato. I motivi, in questo caso, sono rappresentati dall’asserito contrasto con i principi di semplificazione amministrativa di cui all’articolo 19 della l. n. 241/1990 e con l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201/2011 che hanno abolito i regimi autorizzatori, così come con l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 1/2012 che interdice la previsione o il mantenimento di divieti e prescrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche (5) I commi in esame sono relativi alle modalità di intestazione dell’autorizzazione, di individuazione dei poli (contiguità, distanze, ecc.) e del loro perimetro e di calcolo delle dotazioni territoriali e degli standard urbanistici. (6) Un riferimento indiretto all’art. 11, comma 2, lett. b) (“addensamento di esercizi che producono impatti equivalenti a quelli delle grandi strutture”) è impropriamente sopravvissuto alla modifica normativa. (7) L’articolo 3 della l.r. 13/2013, parimenti impugnato, ha esteso ai centri commerciali, equiparati ad una media o grande struttura di vendita, la possibilità di modificare i settore merceologici con Scia. 22 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari nonché disposizioni di pianificazione o programmazione con prevalente finalità o contenuto economico. La procedura penalizzerebbe gli operatori toscani e, secondo l’Avvocatura generale, avendo il principio di liberalizzazione ambito applicativo esteso alla totalità dei cittadini, accanto all’art. 41 e 117, comma 2, lettera e) della Costituzione sarebbe violato anche il comma 2, lettera m) relativo ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Sulle disposizioni impugnate, che comunque la regione nella sua replica ha ritenuto rientrare nella propria competenza e non violative delle norme costituzionali anche alla luce di precedente decisione relativa al Veneto, la Corte ha ravvisato da parte del ricorrente l’eccessiva genericità della doglianza e la mancata specificazione delle singole disposizioni che si assumono illegittimamente derogate (8), cosicché ha dichiarato inammissibili le relative questioni di legittimità costituzionale, ad eccezione del richiamo ai requisiti obbligatori delle grandi strutture di vendita, operato all’articolo 12. L’ingiustificato mantenimento dei regimi autorizzatori 5. Distribuzione di carburanti Sia relativamente al Codice del commercio della Toscana (l.r. n. 28/2005) che alla l.r. n. 13/2003 dell’Umbria sono state impugnate alcune disposizioni in materia di carburanti introdotte, rispettivamente dalla l.r. n. 52/2012 della Toscana e dalla l.r. n. 10/2013 dell’Umbra. Il primo aspetto concerne le limitazioni all’uso, presso gli impianti di carburante, del self-service in assenza del gestore. Infatti, l’art. 16 della l.r. n. 13/2013 della Toscana, sostituendo l’art. 54-bis comma 1 del Codice, condiziona alla presenza di “adeguata sorvegliabilità” la possibilità di apparecchiature self-service prepagamento senza la presenza del gestore, per di più in sole aree montane ed insulari, cosa che il ricorrente ha ritenuto in contrasto con l’obiettivo di liberalizzazione contenuto nell’articolo 28, comma 7, del d.l. n. 98/2011 che – come è noto – consente tale modalità al di fuori dei centri abitati e senza ulteriori condizioni. La norma regionale avrebbe per effetto un aggravio di costi ed organizzativo per gli operatori toscani e, ancora una volta, alterazione della parità concorrenziale (art. 117, comma 2, lett. e) Cost.). Pur avendo la Regione Toscana sottolineato l’esigenza di evitare che la quasi totalità (8) Tale specificazione – si legge nella sentenza – era tanto più necessaria considerando che la regione si è sostanzialmente limitata a sostituire al comune il Suap nella competenza a ricevere le istanze. 23 L’uso di dispositivi self-service senza gestore non può essere sottoposto a condizioni aggiuntive rispetto alla normativa nazionale Andrea Kaczmarek degli impianti potesse operare con modalità di self-service senza gestore, con ripercussioni negative sull’occupazione, la finalità di tutela del consumatore e dell’incolumità pubblica, la Corte ha condiviso le argomentazioni del ricorrente dichiarando illegittima la disposizione in esame. Per analoghe motivazioni il ricorrente ha impugnato anche l’art. 18 della l.r. n.13/2013 che, sostituendo l’art. 84 comma 3 del codice, ha imposto agli impianti il funzionamento contestuale della modalità “servito” e self-service, durante l’orario di apertura: anche in questo caso ed in presenza delle medesime controdeduzioni della regione, la Corte ha ravvisato alterazione della concorrenza. La medesima situazione si è verificata in Umbria: la Corte, infatti, ha dichiarato illegittima la limitazione operata dall’art. 44 della l.r. n. 10/2013 che prevede la possibilità di self-service pre-pagamento senza gestore solo per gli impianti di pubblica utilità, cioè unici di un comune o ad almeno dieci chilometri da altro impianto. Anche l’articolo 43 di detta legge regionale, che disponeva l’obbligo di erogazione di vari prodotti da parte dei nuovi impianti, è stato censurato ravvisando la Corte la presenza di indebite restrizioni costituenti barriere all’ingresso, con discriminazioni in violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e) Cost. Il riferimento, in questo caso, è all’articolo 83-bis, comma 1, del d.l. n. 112/2008 che vieta l’imposizione dell’obbligo di presenza contestuale di più prodotti. Per completezza espositiva, sempre in tema di carburanti, l’originario ricorso avverso la l.r. n. 52/2013 comprendeva anche gli articoli 39 e 41 il primo dei quali prevedeva tra l’altro, nei nuovi impianti, obbligo di presenza di impianti fotovoltaici e di serbatoi di date capacità (art. 54 l.r. n. 28/2005) ed il secondo limitava alla soglia dimensionale degli esercizi di vicinato (300 mq) l’attività di vendita al dettaglio (art. 56 l.r. n. 28/2005). In seguito alla riformulazione delle norme operata dagli articoli 15 e 17 della l.r. n. 13-2013 (9) la Presidenza del Consiglio ha operato la rinuncia al ricorso, accettata dalla regione e della quale la Corte ha preso atto. Anche in questo caso i motivi di doglianza concernevano le indebite restrizioni e l’alterazione della concorrenza. 6. Esposizione dei prezzi presso gli outlet L’ultima norma della l.r. n. 13/2013 della Toscana impugnata e censurata dalla Corte Costituzionale è l’art. 5, comma 2, della l.r. n. 13/2013, (9) L’obbligo di impianti fotovoltaici è stato mantenuto. 24 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari modificativo dell’art. 19-quater del Codice, che ha imposto agli outlet l’esposizione del solo prezzo finale. Anche in questo caso, avverso l’asserita introduzione di disparità ed invasione della sfera del diritto civile, nella fattispecie il Codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206/2005, la regione ha opposto l’esigenza di evitare una concorrenza sleale nei confronti degli altri esercizi commerciali con tutela del consumatore, ma la Corte ha ravvisato ostacolo alla concorrenza, dato che la disposizione impedisce il confronto tra i prezzi, e difetto di competenza in materia di diritto civile (art. 117, comma 2, lettere e) ed l) Cost. Competenza esclusiva statale nella disciplina civilistica dei prezzi 7. Considerazioni Come accennato in premessa, al di là delle singole norme che la Corte ha analizzato e dichiarato illegittime, emergono dalle sentenze in esame dei principi di ampia portata che inducono ad una riflessione circa l’attuale impostazione di molte normative regionali. Le sentenze nn. 125 e 165 del 2014, infatti, toccano il “cuore” delle competenze regionali, costituito dal controllo delle strutture di vendita di maggiori dimensioni ed espresso soprattutto attraverso procedure attente di verifica di requisiti e presupposti (mantenimento del regime autorizzatorio e relative procedure) ed una assunzione di un ruolo di indirizzo degli insediamenti (localizzazione, criteri qualitativi, ecc.). 7.1. Regime di concorrenza La prima riflessione concerne il regime di concorrenza, continuamente richiamato dalla Corte nelle due sentenze, avente natura trasversale e prevalente così da fungere da limite alla disciplina che le regioni possono dettare in materia di commercio. Sulla tutela della concorrenza è molto interessante la premessa che la Corte sviluppa nella sentenza n. 125/2014 relativa all’Umbria: la nozione di concorrenza riflette quella operante in ambito comunitario e comprende sia interventi regolatori a titolo principale (misure di contrasto di comportamenti scorretti, ecc.) sia misure legislative di promozione, apertura del mercato, rimozione dei vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche in genere. In questa seconda accezione tutela della concorrenza viene ad identificarsi con promozione di essa, in una visione non solo statica (ripristino di equilibri compromessi) ma anche dinamica (misure di riduzione di squilibri, sviluppo del mercato, instaurazione di assetti concorrenziali, ecc.). La liberalizzazione, da intendersi come razionalizzazione della regolazione, costituisce, pertanto, uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi 25 La duplice accezione del concetto di libera concorrenza Andrea Kaczmarek La parità di condizioni di insediamento ed esercizio deve essere garantita sia tra territori sia tra imprese nuove ed in attività L’importanza dell’omogeneità come strumento di semplificazione per il circuito economico e la qualità di tale regolazione non è indifferente, atteso che una regolamentazione ingiustificatamente intrusiva genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri è dunque funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale. I principi di liberalizzazione, in tal modo, vengono a costituire “un ramo dell’albero” rappresentato dalla tutela, statica e dinamica, della concorrenza e ne assumono la medesima natura sul piano della competenza statale. Ma quali sono le caratteristiche della distorsione della concorrenza secondo la Corte? Essa – si legge in entrambe le sentenze – ha rilevanza nello spazio e nel tempo. Infatti, la previsione di oneri, vincoli, aggravi, ingiustificati così come l’individuazione di tipologie di attività cui applicare normative differenti, crea disparità sia tra le imprese sia nell’ambito della medesima regione, sia tra imprese di regioni diverse, magari confinanti, sia, infine, tra imprese nuove ed imprese già in attività. La nozione è molto ampia in quanto, a ben vedere e spingendo alle estreme conseguenze, ogni differenziazione di regolamentazione da parte delle regioni, quale che essa sia, può di per sé creare disparità tra l’una e l’altra nell’accesso e permanenza delle imprese nel mercato, cosicché è lo stessa portata della riforma del titolo V, relativamente alle attività economiche, che viene in un certo senso ridimensionata. Invero, forse troppo spesso si sottovaluta l’importanza dell’omogeneità normativa e procedurale (norme, iter, modulistica, ecc.) a livello nazionale in materia di attività economiche, quale prima e forse principale fonte di semplificazione a favore delle imprese. Si insiste spesso sull’eccessiva quantità e scarsa chiarezza delle norme che regolano certi settori in Italia e forse troppo poco sulla loro frammentarietà e disomogeneità tra le regioni che impedisce all’operatore, specie straniero, di valutare con correttezza le opportunità per i propri investimenti, costringendolo ad una complessa valutazione dei pro ed i contro che le differenti normative offrono. Riconoscere nell’omogeneità a livello nazionale un importante strumento di semplificazione e promozione del mercato, significa iniziare a concepire la differenziazione normativa a livello regionale come strumento eccezionale, da utilizzarsi cum grano salis solo nei casi di effettiva necessità, legata ad esigenze locali, non altrimenti risolvibili. 26 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari 7.2. Promozione della qualità Una seconda riflessione concerne i requisiti qualitativi: in proposito – afferma la Corte – “il legislatore regionale ha interpretato le norme statali interposte in materia di liberalizzazione delle attività economiche, e in particolare l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e l’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, come attributive di competenze legislative a favore della regione per la salvaguardia di valori quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori, che invero rientrano nelle materie più disparate di competenza esclusiva dello Stato. La tutela dei predetti valori è effettivamente considerata dal legislatore statale quale valida ragione di deroga al principio generale della liberalizzazione delle attività commerciali; tuttavia, i predetti valori non possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso l’esercizio della competenza residuale del commercio”. Anche questo è un principio molto importante e fortemente limitativo della sfera di competenza nella quale le regioni possono operare: non basta, cioè, che un vincolo sia riconducibile ad un motivo imperativo di interesse generale per rendere legittimo un intervento limitativo. Quando la materia è di competenza esclusiva dello Stato, resta comunque precluso l’intervento regionale, anche se operato per intenti magari condivisibili e corretti, come nel caso della Toscana: questo, ad esempio, emerge bene nella pronuncia relativa alle modalità di esposizione dei prezzi degli outlet. Si noti, infatti, che quasi mai la Corte ha ritenuto infondate, pretestuose o carenti, le motivazioni a sostegno delle scelte regionali, ma ha censurato, di norma, sul piano della competenza in tema di concorrenza nell’accezione ampia sopra ricordata. Un ulteriore aspetto sottolineato nella sentenza n. 165/2014 riguarda l’estraneità alla disciplina del commercio di alcuni requisiti, pur posti con intenti condivisibili, da cui si può desumere un principio di “non ingerenza” nelle scelte imprenditoriali del privato. Qui il discorso si amplia fino a chiedersi se le regioni possano considerarsi investite di una funzione di “promozione della qualità”, nel senso lato del termine, dell’apparato commerciale e delle sue componenti. Probabilmente va operata, in proposito, una distinzione tra “incentivo” della qualità che va nella direzione della tutela della concorrenza, nell’accezione dinamica di sviluppo del mercato e della sua concorrenzialità anche sul piano internazionale, ed “imposizione” della qualità che, invece, viene a costituire aggravio, limite, vincolo e disparità sul piano spaziale e temporale. Tra l’altro la spinta all’elevazione qualitativa, nello spirito della liberalizzazione, dovrebbe discendere dalla selezione darwiniana che premia le imprese, 27 Incentivi alla qualità ed imposizione della qualità Andrea Kaczmarek non migliori secondo parametri precostituiti a livello normativo, ma più aderenti alla domanda in quel dato luogo e in quel preciso momento, secondo confronto effettivo sul campo. Questo principio di non ingerenza dovrebbe probabilmente ispirare gli interventi non solo nel commercio in sede fissa, ma in tutti i settori (aree pubbliche, feste e sagre, strutture ricettive, ecc.). 7.3. Proporzionalità, adeguatezza, semplificazione Il principio di massima liberalizzazione Un ulteriore principio che sembra desumersi dallo svolgimento dei giudizi di costituzionalità in oggetto attiene al profilo di proporzionalità ed adeguatezza: anche interventi legislativi corretti possono non essere più tali quando per “qualità e quantità” vengono a risolversi, di fatto, in ingiustificate restrizioni della concorrenza: è quanto sostenuto nel ricorso dello Stato a proposito delle complesse procedure previste dalla normativa toscana per le grandi strutture di vendita. Qui quello che viene in risalto è soprattutto il principio di semplificazione, di cui è espressione l’articolo 19 della l. n. 241/1990, la cui violazione, attraverso la nuova previsione o semplicemente il mantenimento di procedimenti ingiustificatamente complessi, si traduce ancora una volta in compressione del diritto costituzionale di impresa, imposizione di vincoli e restrizioni, alterazione della concorrenza. A ben vedere, dal tenore della sentenza n.165/2014, che ha insistito sulla non estinzione della materia del contendere in relazione al ricorso avverso il mantenimento del sistema autorizzatorio (10) (articoli 11, 12 e 19 l.r. n. 52/2012) pervenendo ad una pronuncia di improcedibilità del giudizio per genericità delle doglianze e mancata specificazione delle normative asserite violate, può desumersi un non improbabile giudizio di incostituzionalità nell’ipotesi di ricorso formulato in modo più puntuale. Invero il richiamo non alla liberalizzazione tout court, bensì alla “massima liberalizzazione” implica che la previsione di titoli autorizzatori debba costituire l’extrema ratio, quando qualsiasi altra modalità più snella di strutturazione del procedimento sia impossibile da seguire. In questa ottica anche la segnalazione certificata di inizio di attività o Scia di cui all’art. 19 della l. n. 241/1990 può costituire un aggravio, laddove la tutela di valori preminenti di rango costituzionale (salute, sicurezza, (10) La Regione Toscana non ha introdotto un regime autorizzatorio per le medie e grandi strutture, limitandosi a conservare quello esistente sin dal d.lgs. 114/1998 ed anzi operando un’apertura per le modifiche di settore merceologico. 28 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari ecc.) può essere parimenti efficacemente realizzata attraverso la semplice informazione dello svolgimento di attività economiche, cioè la semplice comunicazione (11), non necessariamente previa. L’idea di un commercio, anche rappresentato dalla grande distribuzione, realizzato in forma totalmente libera da atti d’assenso dell’apparato pubblico, ma ovviamente esercitato nell’integrale rispetto delle sole regole effettivamente necessarie, è probabilmente un punto di arrivo ancora lontano. 7.4. Previa conoscibilità Quanto alle strutture di vendita in forma aggregata della Toscana o ai poli commerciali dell’Umbria che ne sono sostanzialmente l’equivalente, oltre ai consueti profili di illegittimità comuni alla censura di altre norme impugnate e, specificamente, al divieto di distanze minime che, pur poste quale parametro per la definizione delle fattispecie, di fatto si risolvono in elementi di preclusione o aggravamento delle possibilità di insediamento, vi è un altro elemento interessante che emerge, specie dalla sentenza n. 125/2014 relativa all’Umbria. Trattasi del concetto di previa conoscibilità di requisiti, presupposti e condizioni per intraprendere e svolgere una data attività. Infatti viene introdotta l’eventualità – si legge nella sentenza “che un esercizio di vicinato debba essere sottoposto ad autorizzazione preventiva, in quanto facente parte di un «polo commerciale» (12) come definito dalla norma, potendosi pertanto verificare la possibilità che, a priori, l’esercente non sia in condizioni di conoscere i requisiti di accesso all’attività stessa. Infatti, l’avvio dell’attività verrebbe sottoposto a disposizioni specifiche, in relazione alla superficie di vendita complessiva eventualmente derivante dall’appartenenza, appunto, ad un polo commerciale che, in alcuni casi, non è all’evidenza chiaramente individuabile in tale fase; e ciò anche alla luce dei complessi criteri previsti al comma 3-quinquies.” È questo un principio molto importante, già riportato all’articolo 15, comma 1, del d.lgs. n. 59/2010, in conformità con la direttiva comunitaria 2006/123/CE, secondo il quale “1. Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi sono: a) – c) … (omissis) … (11) Non di rado si assiste, invece, da parte di taluni comuni, alla previsione di Scia per attività in passato esercitabili liberamente. (12) A rigore questo ragionamento varrebbe anche per i centri commerciali. 29 Andrea Kaczmarek Per l’art. 15 del d.lgs. n. 59/2010 le condizioni di insediamento delle attività commerciali debbono essere chiare, oggettive e rese note preventivamente d) chiare ed inequivocabili; e) oggettive; f) rese pubbliche preventivamente; g) trasparenti e accessibili. Sulla base di questo principio ogni operatore economico dovrebbe poter conoscere, ex ante, tutti e soli i requisiti, condizioni, presupposti, legittimi vincoli previsti per intraprendere o svolgere una data attività cosicché la discrezionalità dell’ente (regione, comune, ecc.), ove necessaria, dovrebbe essere esercitata nelle fasi di produzione normativa e regolamentare e non all’interno di specifici procedimenti amministrativi nei quali rappresenta pur sempre elemento di indeterminatezza e di non semplificazione e snellezza. Tutto ciò viene a sposarsi con il principio del controllo ex post delle attività economiche, già presente nell’articolo 19 della l. n. 241/1990, che avrà verosimilmente nel futuro maggiore estensione. 7.5. – Distribuzione di carburanti Poco v’è da dire in merito alle pronunce sulla distribuzione di carburante che non siano riconducibili alle considerazioni svolte: in particolare appare evidente, anche in questo caso, come il richiamo ad esigenze di tutela tutt’altro che inesistenti, come la salvaguardia dei livelli occupazionali invocata dalla Regione Toscana a favore della limitazione degli impianti c.d. ghost, non sia sufficiente a giustificare i vincoli e le limitazioni disposte. Conclusioni Non semplice revisione ma rifondazione delle discipline regionali su nuovi principi Alla luce delle considerazioni svolte appare evidente la necessità di una svolta radicale nel modo di concepire gli interventi regionali in tema di disciplina del commercio. Una volta venuti a cadere dei capisaldi dell’intervento regionale classico in materia di disciplina del commercio si rende necessaria non un’operazione di semplice adeguamento delle discipline regionali alle pronunce della Corte Costituzionale, sicuramente opportuna medio tempore per colmare il vuoto normativo creatosi, ma un’operazione più complessa di rifondazione su nuovi principi. Ciò dovrebbe avvenire, abbandonando in modo deciso e definitivo ogni riferimento diretto o indiretto ad una programmazione con finalità economiche per incentrare l’attenzione sugli interventi di carattere promozionale dello sviluppo, passando dalla filosofia della regolamentazione a quella della propulsione, dal 30 Le sentenze nn. 125/2014 e 165/2014 della Corte Costituzionale: prospettive e scenari controllo ex ante a quello ex post, dal ruolo di interlocuzione a quello di assistenza all’impresa. Ad esempio la promozione dell’aggregazione del commercio nelle sue varie espressioni (centri commerciali naturali, associazioni di quartiere, reti d’impresa, distretti del commercio, ecc.), quale strumento di rafforzamento globale del mercato, è un terreno tutto da esplorare e sviluppare. Tra l’altro le due sentenze avranno presumibilmente un effetto “domino” nelle varie normative regionali, nel senso di porre in serio imbarazzo nel mantenimento di disposizioni analoghe a quelle dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale, richiedendone l’immediata modifica. In particolare in Umbria – per limitarsi alla situazione delle due regioni le cui leggi sono state impugnate – sono vigenti disposizioni del tutto speculari a quelle dichiarate illegittime per la Toscana, in materia di procedimento per le grandi strutture di vendita, mentre i numerosi requisiti qualitativi per le grandi strutture di vendita, anche in questo caso simili a quelli della regione vicina, sono attualmente contenuti in una delibera di giunta regionale, la n. 738 del 2011, e divenuti, dopo la sentenza n. 165/2014, ancor più deboli di quanto già non lo fossero. Per i poli commerciali, invece, come si è detto il problema non si pone avendo la Regione Umbria rinunciato a riproporli in sede di Testo unico in materia di commercio, di carattere compilativo delle preesistenti normative in materia. Il presumibile “effetto domino” delle sentenze È singolare, in proposito, constatare che proprio – si presume – la volontà di “rafforzare”, sul piano della gerarchia delle fonti, alcune disposizioni di rango inferiore ne abbia favorito la caduta: le norme sulle strutture di vendita in forma associata e sul procedimento delle grandi strutture di vendita erano in Toscana già presenti nel regolamento regionale n. 15/R del 2009, quelle sui poli commerciali erano in Umbria nella ricordata d.g.r. n. 738/2011. Infine, un terreno sul quale sicuramente le regioni potranno maggiormente sviluppare le proprie normative è senz’altro quello del governo del territorio, nell’accezione più ampia, attraverso il quale potranno essere riaffrontate, in altra chiave di lettura, problematiche senz’altro rilevanti come quella degli assembramenti di attività commerciali, o strutture di vendita in forma aggregata, poli commerciali o come altro le regioni li hanno spesso denominati. Il problema della nascita di queste realtà senza controllo è reale e, a ben vedere, le censure della Corte attengono allo strumento di regolamentazione utilizzato e non al fatto di non 31 Il governo del territorio come strumento privilegiato di indirizzo Andrea Kaczmarek essere state previste queste figure dalla normativa nazionale del d.lgs. n. 114/1998, lasciando così aperta la via alla riconsiderazione della problematica in altra prospettiva. Da ultimo viene fatto di notare come spesso alcune disposizioni impugnate siano state ritenute in contrasto, tra l’altro, con l’articolo 41 della Costituzione sulla libertà d’impresa, quello stesso articolo 41 alla cui ombra l’antica legge n. 426/1971 consentiva superfici minime e contingenti per generi di largo e generale consumo magari limitati ad una ristretta zona comunale: le interpretazioni corrono spesso più veloci delle norme ed hanno i suoi corsi e ricorsi, come direbbe Giambattista Vico. 32 Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana Aggiornato il Codice regionale del commercio Gianfranco Cardosi Dirigente settore attività produttive, concessioni, mercati e turismo del Comune di Viareggio (a.r.) L a Regione Toscana, con una recente legge – n. 35 del 26 giugno 2014 – ha modificato ed integrato il vigente Codice del commercio per inserirvi la disciplina delle “fiere specializzate nel settore dell’antiquariato” che rappresentano, oggi, un sicuro punto di riferimento di una filiera commerciale, nel cui ambito si valorizzano competenze e qualità professionali meritevoli di promozione e tutela. Con questi “appunti”, si evidenziano le note salienti della nuova disciplina regionale. Sommario: 1. Premessa. – 2. Definizione di “fiera specializzata dell’antiquariato“. – 3. Modalità di concessione dei posteggi. – 4. Riserva di posteggi a commercianti al dettaglio in sede fissa. – 5. Nota finale. 1. Premessa Il Codice del Commercio vigente nella Regione Toscana, approvato con legge regionale n. 28/2005 contiene, all’articolo 29, inserito nel capo V, dedicato al “commercio su aree pubbliche”, le varie definizioni delle iniziative che si svolgono su dette aree. Tra queste sono indicate, al comma 1, lettere f), e g), del citato articolo 29, quelle della “fiera” e della “fiera promozionale”, mentre non vi figurano le “fiere dell’ antiquariato” che, in Toscana, costituiscono eventi assai diffusi ed importanti legati, spesso, ad antiche tradizioni commerciali, che richiamano un notevole numero di pubblico e visitatori, con effetti positivi per il turismo e per il commercio in genere. La lacuna legislativa è stata di recente colmata con la legge regionale n. 35/2014 con la quale, oltre a definire cosa si intende per “fiera specializzata nel settore dell’antiquariato”, sono stati previsti criteri e modalità di rilascio delle concessioni, temporanee e pluriennali, dei posteggi, con la precisazione sia dei criteri di priorità per le relative assegnazioni, anche in sede di prima applicazione della legge, sia del numero massimo di posteggi assegnabili. Degno di nota è il fatto che, alle 33 Le iniziative commerciali su aree pubbliche Legge regionale 35/2014 Gianfranco Cardosi “fiere specializzate” di che trattasi, sia stata prevista la possibilità di partecipazione, in posteggi appositamente riservati, anche dei commercianti che operano al dettaglio in sede fissa, vendendo oggetti di antiquariato. 2. Definizione di “fiera specializzata dell’antiquariato” Definizione di fiera specializzata Necessità di definire i prodotti Con integrazioni apportate agli articoli 29, 33, e 34, della l.r. n. 28/2005 (Codice del commercio), la Regione Toscana ha definito la “fiera specializzata nel settore dell’antiquariato” come la manifestazione commerciale che “è volta a promuovere l’esposizione e la vendita di oggetti di antiquariato, modernariato, e di oggetti e capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca provenienti dal mondo della cultura, dell’arte e dell’artigianato artistico e tradizionale”. Dal momento che il legislatore regionale ha ritoccato, per l’ottava volta, l’originario testo del Codice del commercio, avremmo gradito vedere inserite, nell’articolo 29 del codice stesso, riservato alle “definizioni” afferenti il commercio su aree pubbliche, anche quelle di: “oggetti di antiquariato”, “modernariato”, “capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca …”, per non lasciare ai Comuni l’arduo compito di connotarle, nei regolamenti per mercati e fiere. Tenuto conto, infatti, del noto principio di legalità di cui all’articolo 1 della l. n. 689/1981, in base al quale l’unica fonte regolatrice delle violazioni amministrative è la legge, sia in senso formale che sostanziale (regolamenti regionali, comunali, provinciali), e sia per ciò che riguarda la determinazione dei fatti ai quali si applicano le sanzioni amministrative, si è dell’avviso che sia indispensabile chiarire normativamente tutte dette “definizioni”, per sapere con certezza quali siano le merci o prodotti inquadrabili nell’antiquariato, nel modernariato, nell’abbigliamento sartoriale di alta moda d’epoca, ecc., e poter orientare, in modo opportuno, i relativi controlli e le connesse procedure sanzionatorie. Troppe volte, ahimè, ci è capitato di assistere personalmente a quesiti rivolti da organi accertatori, ai competenti uffici e servizi comunali che gestiscono la materia del commercio e delle attività produttive, allo scopo di conoscere se un prodotto posto i vendita in un mercato o fiera sia da considerare o meno come “oggetto di antiquariato”. Ai quesiti è spesso seguita la risposta “... non lo sappiamo, mancando una definizione giuridica e risoluzioni ministeriali, ecc.”. Quesiti simili li abbiamo sentiti porre specie in casi di rifacimento parziale di mobili ed arredi venduti per “antichi”; di capi di abbigliamento, con cartellini “made in ...”, ecc. Non ci sentiamo affatto allineati con coloro che, nel dubbio, consigliano di sanzionare, affermando che “se lo riterranno opportuno, faranno opposizione e, quindi, ... sarà il giudice a decidere ...”. Non abbiamo 34 Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana mai condiviso, e continuiamo a non condividere, un tale modo di operare (e consigliare), ritenendo che chi scrive leggi e regolamenti, utilizzando determinati termini, dovrebbe avere anche l’onere di chiarirli, qualora sia necessario o richiesto, e che non debba essere sempre la magistratura a dover risolvere i problemi interpretavi o applicativi di norme e regole. Preferiremmo, se possibile, per la casistica della quale ci occupiamo con questi brevi appunti, che fossero le regioni, coordinandosi tra di loro, a chiarire dette definizioni, a livello di indirizzo per i Comuni e, qualora ciò non fosse possibile, che vi si provvedesse almeno a livello regionale, in modo che tutti coloro che operano nel settore – uffici comunali e servizi vari, commercianti ed associazioni di categoria – sappiano, con certezza, quando un oggetto o prodotto può considerarsi “antico”, “moderno”, “vintage” o “capo di abbigliamento sartoriale di alta moda”. Se con legge regionale, si sono definiti termini come: “aree pubbliche”, “mercato”, ”posteggio”, ”fiera”, ”fiera specializzata”, ”manifestazione commerciale straordinaria”, ”presenze”, ecc., non si vede come altrettanto non si possa fare per i termini che abbiamo sopra indicati. Lasciare l’onere amministrativo di connotare o definire le categorie di detti prodotti ai singoli Comuni, nei regolamenti per la disciplina di fiere e mercati, si corre il rischio, purtroppo, di vedere qualificato come “antico” un prodotto in un determinato Comune ed, in un altro, magari contermine, veder qualificato lo stesso prodotto come “moderno”, con conseguenze negative per chi opera in mercati e fiere, per chi deve eseguire i controlli che devono essere improntati al principio di legalità, e per il consumatore finale, conseguenze che, con un po’ di attenzione e buona volontà potrebbero essere facilmente evitate, nel pubblico interesse. Necessità di un coordinamento 3. Modalità di concessione dei posteggi L’articolo 34 del vigente Codice del commercio della Regione Toscana, stabilisce le modalità di rilascio dell’autorizzazione e della contestuale concessione di posteggio in mercati, fiere o fuori mercato, prevedendo che a ciò si adempia con l’emanazione di appositi bandi, da pubblicare alle scadenze tassativamente previste dall’articolo 34, comma 2, di detto codice. A seguito dell’inserimento, nel Codice del commercio regionale, della tipologia della “fiera specializzata dell’antiquariato”, sono stati previsti specifici “criteri di priorità”, ai fini del rilascio, sia dell’autorizzazione d’esercizio per la vendita, sia per la concessione del posteggio sul quale vengono posizionate le strutture utilizzate per la vendita. Detti criteri di priorità, sono stati precisati come segue: 35 Le gare per assegnare i posteggi I criteri di priorità Gianfranco Cardosi Fiere “diverse” e “specializzate” In caso di parità a) maggiore professionalità acquisita con la partecipazione, nei tre anni precedenti, ad almeno cinque fiere diverse specializzate nel settore dell’antiquariato, di particolare importanza e pregio, nazionali e internazionali, e dotate di un minimo di duecento posteggi. Si ha la sensazione che sui concetti di “fiere diverse” e di “fiere specializzate di particolare importanza e pregio”, saranno posti vari quesiti alla regione, data le genericità dei termini usati dal legislatore. Azzardiamo esprimerci soltanto per le “fiere diverse”, che, a nostro sommesso avviso, possono essere le fiere che si svolgono in uno stesso Comune ma in date diverse, oppure fiere che si svolgono in Comuni diversi. Sulla “particolare importanza o pregio” essendo il giudizio legato esclusivamente a valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione che prevede, organizza e gestisce una determinata iniziativa fieristica, riteniamo di non poterci esprimere, non disponendo di dati o parametri oggettivi di riferimento, e non potendo certo legare un giudizio al numero dei partecipanti ad una fiera, che potrebbero esporre e vendere oggetti e prodotti non di pregio né di particolare importanza. In caso di parità di punteggio è previsto che si applichino, nell’ordine, i seguenti ulteriori elementi di priorità: b) possesso di diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennali, attinenti al settore artistico, dei beni culturali o della storia dell’arte. Anche su questo elemento o dato prioritario, si è dell’avviso che sarebbe stato opportuno, per evitare dubbi ed incertezze, che il legislatore regionale avesse indicato i titoli di studio che danno diritto o giustificano la priorità, attingendoli dagli elenchi ufficiali pubblicati nel sito del Ministero competente; c) maggiore professionalità acquisita, anche in modo discontinuo, nell’esercizio del commercio su aree pubbliche. La professionalità valutabile è riferita all’anzianità di esercizio dell’impresa, compresa quella acquisita nel posteggio per il quale viene indetta la selezione. L’anzianità di impresa è comprovata dall’iscrizione, quale impresa attiva, nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio riferita, nel suo complesso, al soggetto titolare dell’impresa al momento di partecipazione alla selezione, cumulata con quella del titolare al quale eventualmente il partecipante sia subentrato nella titolarità del posteggio medesimo; d) nel caso di posteggi ubicati nei centri storici od in aree aventi valore storico, archeologico, artistico ed ambientale, o presso edifici aventi tale valore, l’assunzione dell’impegno a rendere compatibile il servizio commerciale con la funzione e la tutela territoriale e, pertanto, a rispettare 36 Le fiere specializzate dell’antiquariato in Toscana le eventuali condizioni particolari, comprese quelle correlate alla tipologia dei prodotti offerti in vendita ed alle caratteristiche della struttura utilizzata, stabilite dall’autorità competente, ai fini della salvaguardia delle predette aree. È previsto, inoltre, che in sede di prima applicazione della normativa di che trattasi, l’anzianità acquisita nel posteggio al quale si riferisce la selezione pubblica, possa essere valutata fino al massimo del quaranta (40) per cento (40%) del punteggio complessivo. 4. Riserva di posteggi ai commercianti al dettaglio in sede fissa L’articolo 38 del Codice regionale del commercio è stato integrato e modificato dall’articolo 5 della l.r. n. 35/2014, per prevedere l’obbligo, per i Comuni, di riservare posteggi per coloro che esercitano il commercio al dettaglio in sede fissa di oggetti di antiquariato, modernariato e di oggetti e capi di abbigliamento sartoriali di alta moda d’epoca. La riserva di cui sopra deve essere limitata ad una sola concessione di posteggio, per ogni commerciante. Per la fruizione, da parte dei singoli commercianti al dettaglio in sede fissa, dei posteggi loro riservati nell’ambito di fiere specializzate dell’antiquariato, il Comune rilascia concessioni temporanee di posteggio – ossia valida dal ... al ..., dalle ore ... alle ore ... – tenendo conto dell’anzianità di esercizio dell’impresa, comprovata dall’iscrizione nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di Commercio territorialmente competente. Il Comune è tenuto a prevedere, nel proprio regolamento, ulteriori criteri da osservare, ai fini del rilascio delle concessioni temporanee, qualora dallo scrutinio del criterio dell’anzianità di esercizio dell’impresa, risultino casi di parità di punteggio. L’obbligo di riserva di posteggi 5. Nota finale I Comuni, con sede nel territorio della Regione Toscana dovranno, quanto prima, provvedere ad integrare i propri regolamenti per il commercio sulle aree pubbliche, per adeguarli alla nuova normativa regionale recentemente approvata con l.r. n. 35/2014, prevedendovi anche i criteri per rilasciare concessioni temporanee di posteggio ai commercianti al dettaglio tradizionali (non su area pubblica), abilitati alla vendita dei prodotti di antiquariato sentendo, sul tema, anche gli organismi rappresentativi delle categorie interessate, oltre che dei consumatori. 37 Necessità di adeguare i regolamenti comunali Andrea Girella Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi Andrea Girella Ufficiale della Guardia di Finanza L a ripresa delle attività economiche è ritenuta dal legislatore raggiungibile, oltre che con una politica di incentivazione, anche attraverso il buon funzionamento del mercato e la correttezza negli scambi commerciali. In quest’ambito, è stato più volte evidenziato come il fenomeno della contraffazione, globalmente inteso (cioè quel fenomeno patologico attraverso il quale si vìola il diritto del titolare all’uso esclusivo del marchio), investa tematiche quali la concorrenza sleale, il fenomeno della criminalità organizzata, il mancato gettito erariale a favore dello Stato (con un danno conseguente per tutti i contribuenti), la salute dei consumatori. Vero è che tale buon funzionamento del mercato può essere condizionato – nel panorama italiano – dalla presenza o meno di efficaci sistemi di controllo e pari strumenti repressivi. Sommario: Il fenomeno della contraffazione. – La tutela penale ad oggi. – 1. Frode in commercio. – 1.1. Bene interesse tutelato. – 1.2. Soggetto attivo. – 1.3. Elemento oggettivo. – 1.4. Elemento soggettivo. – 1.5. Consumazione e tentativo. – 1.6. Aggravante/attenuante. – 1.7. Rapporti con altri reati. – 1.6. Altri profili. – 2. Vendita/commercio alimenti non genuini. – 2.1. Bene interesse tutelato. – 2.2. Soggetto attivo. – 2.3. Elemento oggettivo. – 2.4. Elemento soggettivo. – 2.5. Consumazione e tentativo. – 2.6. Aggravante/attenuante. – 2.7. Rapporti con altri reati. – 2.8. Altri profili. – 3. Aggravanti. – 3.1. Aggravante o nuova fattispecie?. – 3.2. Sanzioni accessorie. – 4. Contraffazione indicazioni geografiche/denominazione origine. – 4.1. Bene interesse tutelato. – 4.2. Soggetto attivo. – 4.3. Elemento oggettivo. – 4.4. Elemento soggettivo. – 4.5. Aggravanti/attenuanti. – 4.6. Altri profili. – 5. Attenuanti. – Pene accessorie. – 7. Adulterazione, contraffazione e commercio di sostanze alimentari. – 7.1. Bene interesse tutelato. – 7.2. Soggetto attivo. – 7.3. Elemento oggettivo. – 7.4. Elemento soggettivo. – 7.5. Consumazione e tentativo. – 7.6. Rapporti con altri reati. – 7.7. Altri profili. – Procedura–Verbalizzazione. – Altri aspetti – Considerazioni conclusive. Il fenomeno della contraffazione Aspetto economico Il fenomeno della contraffazione è da considerare: a) lesivo del regolare funzionamento dell’economia pubblica. Dal lato del venditore: si ha una vera e propria concorrenza sleale, basata sui minori costi di produzione e sulla totale assenza del “rischio d’impresa”, dato il preesistente successo dell’oggetto copiato, limitando l’accesso al mercato. 38 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi Dal lato del consumatore, quando quest’ultimo è consapevole della non originalità del prodotto, si avvantaggia del prezzo irrisorio (soprattutto delle famiglie in crisi di liquidità) e incentiva questo mercato illegale a danno di quello c.d. ‘regolare’ [inutile qui fare riferimento ai costi di cui è investita un’attività commerciale regolare]. Secondo un rilevamento statistico del Cesis, il cittadino non acquirente, suo malgrado, paga in termini di mancato gettito (e quindi aumento ovvero non diminuzione delle imposte) di oltre 5 miliardi di euro (pari al 2,5% delle entrate tributarie); b) viola i diritti di proprietà industriale in una prospettiva più circoscritta di tutela degli interessi economici degli imprenditori [sfruttamento indebito]. Nell’ultimo triennio, in base ai sequestri effettuati, si è riscontrato la notevole estensione e diversificazione dei prodotti soggetti a contraffazione, non più costituti da soli beni di lusso o comunque di costo elevato, ma dalle più svariate merci d’interesse comune; c) lesivo della fiducia dei consumatori. Inteso come affidamento che i consumatori ripongono in quei pubblici segni distintivi, oggetti, forme esteriori; d) potenziale attentatore della salute dei consumatori. Si pensi a giocattoli, prodotti per l’infanzia, prodotti per la pulizia della casa o medicinali; o ancora, a quei beni di consumo – alimenti provenienti dall’attività agricola – la cui destinazione li renda potenzialmente offensivi, in certe circostanze, anche della salute (oltre che della fiducia), dei consumatori, tenuto conto che dal luogo falsamente indicato come provenienza del prodotto agricolo dipendono, esclusivamente o essenzialmente, le caratteristiche o le qualità dello stesso. Se in genere è noto e d’impatto la contraffazione dei capi di abbigliamento e/o accessori, la contraffazione non risparmia nemmeno il settore agro-alimentare, riguardando imitazioni di denominazioni protette, aree geografiche, o altri simboli che richiamano la cucina italiana. Oggetto di tali azioni sono quei prodotti a marchio di qualità: DOP, IGP, STG, quali soprattutto vini, latte e suoi derivati, prosciutti, pasta, aceti e conserve alimentari. Per tutelare gli operatori del settore, il consumatore (e la sua salute) nel tempo una serie di provvedimenti – ora d’ispirazione europea ora d’iniziativa italiana – hanno portato all’introduzione di nuove disposizioni (anche penali) (1), (1) Nel Capo II (Dei delitti contro l’industria e il commercio) del Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), la fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.) e la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agro-alimentari (art. 517-quater c.p.) 39 Aspetto fiduciario Aspetto sanitario Andrea Girella modifiche ed integrazioni di norme già esistenti [si pensi alla l. n. 99/2009 (c.d. collegato sviluppo)] (2), dando nuovo impulso alla tutela del marchio in generale. I prodotti alimentari Il panorama normativo a tutela degli alimenti non è ristretto, anche se spesso vive di spinte garantiste altalenanti (3). Qui mi limiterò a trattare le previsioni del codice penale in tema di Frode nell’esercizio del commercio (art. 515), la Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine (art. 516), la Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater), l’Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440). Di ognuno s’intende definire soggetto attivo, l’elemento oggettivo e quello soggettivo, le eventuali aggravanti/attenuanti, la configurabilità del tentativo, concludendo con il concorso di reati. La tutela penale ad oggi 1. Frode in commercio Il primo articolo cui possiamo fare riferimento è l’art. 515 c.p. (come riformulato dal citato “collegato sviluppo” [l. 99/2009]). Intitolato “Frode nell’esercizio del commercio”, punisce: art. 515 c.p. con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065 (4), chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, (2) Che modifica e integra, in un’ottica di maggiore severità, i delitti di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi o di opere dell’ingegno o di prodotti industriali (art. 473 c.p.) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.); pone a carico degli enti, in favore dei quali siano commessi i delitti di cui agli artt. 473, 474, 517-ter e quater, c.p. e i delitti in violazione del diritto d’autore, sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, interdittive; chiarisce la portata del delitto di false o fallaci indicazioni di provenienza od origine (art. 4, comma 49, l. n. 350/2003); modifica l’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7, del c.d. decreto competitività (n. 35/2005), in modo da consentirgli un ambito di effettiva applicazione, finora resa difficile dalla presenza della contravvenzione di incauto acquisto; la causa di non punibilità prevista a favore degli ufficiali di polizia dall’art. 9, comma 1, lett. a) della l. n. 146/2006, alle operazioni sotto copertura finalizzate alla repressione della contraffazione. (3) Vedasi, in tal senso, il d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della l. 25 giugno 1999, n. 205). (4) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds. oltre). 40 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, a condizione che il fatto non costituisca un più grave delitto. 1.1. Bene interesse tutelato Inquadramento: siamo nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il commercio). L’interesse tutelato è quello del leale e scrupoloso comportamento nell’esercizio dell’attività commerciale con riferimento a tutte le cose mobili. Ne deriva che l’atteggiamento psicologico del compratore non assume rilevanza. 1.2. Soggetto attivo Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti. Nella casistica giurisprudenziale sono stati inclusi tra i soggetti attivi del reato i: a)commessi; b)dipendenti; c)rappresentanti; d)familiari; e)preposti. 1.3. Elemento oggettivo Il primo degli elementi oggettivi che costituiscono la fattispecie in esame è il luogo d’azione del soggetto attivo, che deve (in ogni caso) aver agito nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico. In particolare, s’intende: a)per attività commerciale l’esercizio abituale di un’attività diretta allo scambio dei beni; b)per spaccio aperto al pubblico qualsiasi luogo destinato abitualmente e funzionalmente al commercio delle merci. La giurisprudenza ha attribuito una più ampia portata alle due espressioni tanto da ritenere responsabile anche il singolo produttore che occasionalmente (anche un solo atto di scambio) venda i suoi prodotti al pubblico direttamente e al di fuori di uno spaccio. Tale tesi non è condivisa dalla dottrina osservando che tale condotta viola gli interessi tutelati dall’art. 515 esclusivamente se lo scambio avviene 41 Andrea Girella con le caratteristiche tipizzate dalla norma, e cioè nel luogo espressamente destinato al commercio. Altro aspetto degli elementi oggettivi costituenti tale fattispecie è la condotta, la quale consiste nella consegna di una cosa mobile diversa da quella convenuta, ovvero una cosa, per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella pattuita. Alcuni precisazioni in merito: a)il termine consegna fa riferimento ad un’attività contrattuale pattuizione-dichiarazione tra venditore ed acquirente, distinta dall’attività di porre in vendita di cui agli artt. 516 e 517. Il riferimento del testo all’acquirente integra sia il contratto di compravendita che ogni tipo di negozio che importi l’obbligo di consegnare una cosa mobile all’acquirente (contratto estimatorio, di somministrazione, di permuta); b)oggetto della consegna deve essere un bene, mobile (ad esclusione, però, del denaro e delle prestazioni meccaniche di taluni strumenti, perché non possono essere qualificate come cose); c)la diversità si accerta comparando la cosa consegnata a quella dichiarata o pattuita. Per la dottrina: la pattuizione si riferisce a contratti le cui condizioni vengono discusse e concordate tra le parti, mentre la dichiarazione concerne i casi in cui la merce viene offerta a condizioni prestabilite e l’acquirente si limita ad accettarle. Si avrà frode in contrahendo se la cosa venduta è difforme a quella dichiarata nella fase dell’offerta e delle trattative. Relativamente alle singole connotazioni di divergenza tra pattuito e consegnato, la diversità può riguardare l’origine, la provenienza, la qualità o la quantità: 1)per diversità d’origine s’intende il diverso luogo di produzione o di sistema di preparazione; 2)per diversità di provenienza s’intende che è diverso l’intermediario che l’ha procurata rispetto a quello indicato o altrimenti è diverso il fabbricante. Per provenienza ed origine della merce deve intendersi non già la provenienza della stessa da un dato luogo di fabbricazione, totale o parziale, ma la sua provenienza da un determinato imprenditore che si assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica della produzione, rendendosi garante delle qualità del prodotto nei confronti degli acquirenti; 3)per diversità qualitativa s’intende riferirsi a quei casi di divergenza su qualifiche non essenziali della cosa in rapporto alla sua utilizzabilità, pregio o grado di conservazione, cui pur non essendoci difformità di specie. 42 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi Esempi di frode qualitativa: - l’offerta in vendita di un prodotto in stato di avanzato scongelamento senza l’indicazione dell’origine di prodotto congelato, come pure la detenzione di merce scaduta; - produrre insaccati con carne congelata senza indicarlo; - consegnare come mozzarella, prodotta, con latte bufalino non fresco, ma surgelato, in difformità di quanto prescritto dal disciplinare di produzione; - miscelare vini da tavola nazionale con vini provenienti da diversi paesi dall’Unione Europea, senza specificarlo nella documentazione di accompagnamento. L’assenza di nocività della salute del prodotto difforme dal dichiarato non esclude la frode: è il caso di indicazione come ingrediente burro, prosciutto e mozzarella, in luogo di quelli effettivamente utilizzati, vale a dire margarina, spalla cotta e preparato alimentare filante, o del caso di ordinario vino da tavola recante l’apparente denominazione “IGT Toscano”; - consegnare un tipo di prosciutto diverso da quello indicato nell’etichetta e protetto da denominazione di origine integra il reato previsto dall’art. 515 e 517-bis; - mettere in vendita di una bottiglia di alcolici, con gradazione diversa, rispetto a quella dichiarata; - vendere uova recanti in etichetta l’indicazione «uova bio – “agricoltura biologica”, ove tali uova provengano da allevamenti che non utilizzano il metodo di produzione biologico». La difformità cumulativa di più elementi (per es. qualità e quantità) dà luogo ad un unico reato e non ad un concorso omogeneo in quanto la fattispecie è qualificabile come norma a più fattispecie; 4)per diversità quantitativa s’intende la divergenza di numero, peso, misura e dimensioni. Esempi di frode quantitativa: - vendita al minuto al lordo della tara degli involucri che contengono i prodotti ceduti; -[tentativo di frode] tenere in un esercizio commerciale una bilancia con il dispositivo della tara disattivato. D’incerta collocazione come frode quantitativa o frode qualitativa risulta la produzione di un quantitativo di vino superiore al disciplinare di produzione. 43 Andrea Girella 1.4. Elemento soggettivo Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente che l’agente abbia consapevolezza e coscienza di consegnare cosa diversa [come detto, una divergenza di origine, qualità e quantità] da quella pattuita o dichiarata. Non sono richiesti né la volontà del pregiudizio altrui, né uno scopo di lucro o comunque di profitto. 1.5. Consumazione e tentativo Il delitto si consuma con la consegna della cosa, cioè con la ricezione della cosa da parte dell’acquirente. La ricezione può dirsi avvenuta anche se non è l’acquirente in persona a prendere in consegna la cosa, ma un incaricato o un dipendente dell’acquirente medesimo [giuridicamente si può parlare di consegna ogni volta che la cosa sia entrata nella sfera giuridica dell’acquirente]. La consegna è l’adempimento (secondo legge, convenzione o prassi mercantile) di un qualsiasi contratto che importi l’obbligo di consegnare una cosa mobile. Sul tentativo dottrina e giurisprudenza ammettono la configurabilità della forma tentata di frode in commercio ogni qualvolta sono posti in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare una cosa diversa da quella pattuita/dichiarata. Se nel tempo si era considerato che la sola detenzione di cibi congelati o surgelati in un laboratorio o la mancanza di segnalazione sul menù dei prodotti congelati non costituisse tentativo, le Sezioni Unite della Cassazione (25.10.2000) hanno sostenuto che indipendentemente da ogni concreto rapporto con l’acquirente e, quindi, da un inizio di contrattazione con lo stesso, il tentativo di frode in commercio deve ritenersi integrato avendo riguardo all’univocità degli atti. Casistica in cui si è ritenuto di configurare il tentativo (per univocità e idoneità dell’azione): - la detenzione di prodotti congelati in un esercizio commerciale e l’omessa indicazione nel menù di tale precondizione dell’alimento; - la conservazione all’interno del frigorifero di un albergo di prodotti scaduti; - la detenzione nei magazzini all’ingrosso di olio commestibile, già imbottigliato ed etichettato, non conforme al prodotto dichiarato; - la sola detenzione, presso le cantine di un’azienda vinicola, di vino Brunello di Montalcino in parte derivante da vitigni non conformi; - la detenzione per la vendita di confezioni di olio extravergine di oliva, 44 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi - - - - - - proveniente da altra azienda, con etichettatura che ne attesti la produzione ed il confezionamento presso lo stabilimento del detentore; la detenzione, negli stabilimenti vitivinicoli di un’azienda commerciale, di vino preparato con l’aggiunta di zuccheri o materie zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall’uva fresca, in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine all’aggiunta di tali ingredienti; la conservazione in un congelatore, di prodotti vari – hamburger, olive ascolane – senza specificare nel menù che i cibi venivano preparati con prodotti non freschi, ma surgelati; [relativamente alla vendita self service] l’offerta al pubblico dei consumatori di confezioni con peso diverso da quello reale o di qualità o provenienza diversa da quella effettiva, trattandosi di attività diretta alla consegna; [nella vendita al minuto] tenere sul bancone di vendita di una birreria due erogatori di bevande alla spina utilizzati per somministrare il vino, sui quali erano apposte etichette non corrispondenti alla qualità del vino erogato, nonché esporre sul bancone di prodotti, a cui erano state staccate e/o sostitute le etichette con la dicitura scaduti, poi ritrovate all’interno del locale; [nella vendita all’ingrosso] (5) le confezioni di alimenti qualitativamente difformi dal pattuito e pronte per essere imballate e vendute; la detenzione, presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione, di prodotti alimentari con false indicazioni di provenienza, destinati non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi. 1.6. Aggravante/attenuante Vds. succ. punto 3, in quanto l’aggravante, espressamente prevista nell’art. 515, 2° comma, concerne la frode di oggetti preziosi. Non sono riconosciute attenuanti sulla considerazione che il bene tutelato è considerato di natura indisponibile; quindi, anche in caso di consapevole accettazione, il delitto può ricorrere. 1.7. Rapporti con altri reati [concorso] In genere, chi vìola questa disposizione normativa si rende anche autore di altre fattispecie. (5) Diversamente da quella al minuto, non necessita di una esposizione al pubblico del prodotto. 45 Andrea Girella Dottrina e giurisprudenza si sono, nel tempo, confrontati sulla possibilità di concorso di reati dell’art. 515 c.p., con particolare riferimento agli artt. 516 e 640 c.p. • artt. 515 e 516 c.p. (Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) si riconosce un concorso di reati, attesa la diversità strutturale tra i due delitti; • artt. 515 e 640 c.p. (6) – le due norme non concorrono in quanto si differenziano per: – differenze strutturali – elementi costitutivi quali la presenza di artifizi e raggiri o l’induzione in errore ravvisando: – l’art. 515 (e non la truffa) nel fatto del distributore di vino il cui meccanismo interno di impostazione automatica del prezzo sia manomesso in modo da consegnare ai vari utenti una quantità inferiore a quella realmente pagata; – l’art. 640 nel caso in cui un prodotto venduto, magnificato dalla pubblicità, abbia dato risultati inferiori alle aspettative e addirittura provocato lesioni; • art. 515 c.p. e leggi speciali [a differenza della disposizione codicistica che è posta a presidio della regolarità dei rapporti commerciali, le leggi in materia di alimenti proteggono la garanzia della qualità dei prodotti] – è generalmente riconosciuto il concorso di reati, in ragione del diverso interesse protetto. 1.8. Altri profili Competenza: Tribunale (monocratico) Procedibilità: d’ufficio Arresto: non consentito Fermo: non consentito. (6) Art. 640 c.p. (Truffa) – 1. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. – 2. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità; 2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5). – 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante. 46 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi 2. Vendita/commercio alimenti non genuini Il secondo articolo in commento è il 516 c.p., intitolato “Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine”, che prevede che sia punito: chiunque pone in vendita o mette altrimenti in commercio come genuine Art. 516 c.p. sostanze alimentari non genuine con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032 (7). Tradizionalmente viene evidenziata la natura accessoria della norma rispetto a quelle contenute nel Capo II del Titolo VI (Delitti di comune pericolo mediante frode), per cui si deve escludere che l’art. 516 sia posto a tutela dell’incolumità pubblica. 2.1. Bene interesse tutelato Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il commercio). L’interesse tutelato è quello della buona fede degli scambi commerciali, o nel c.d. onesto svolgimento dell’attività commerciale. Si noti come dal dato letterale la norma si riferisca alle sole sostanze alimentari (ambito più limitato rispetto l’art. 515). 2.2. Soggetto attivo Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti. 2.3. Elemento oggettivo Il primo aspetto degli elementi oggettivi della fattispecie in esame è la condotta, la quale consiste nel porre in vendita o mettere altrimenti in commercio sostanze alimentari non genuine come genuine, dove: a)porre in vendita si riferisce ad un’attività di offerta al pubblico di una determinata sostanza; b)per messa in commercio s’intende qualsiasi forma di messa a disposizione della merce, anche a titolo non oneroso. La condotta rilevante non si estende al rapporto contrattuale diretto ma si ferma ad una fase prenegoziale, che segna il confine con il delitto della frode in commercio (art. 515). (7) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds oltre). 47 Andrea Girella Si escludono dalla portata oggettiva del delitto tutti gli atti che non costituiscono immissione in commercio, come per esempio la fabbricazione. Altro elemento è l’oggetto dell’azione, cioè le sostanze alimentari (siano esse solide che liquidi, come le bevande) non genuine (e non dannose per la salute). A livello definitorio s’intende per: c)sostanze alimentari: 1)i prodotti provenienti direttamente o indirettamente dalla terra (per coltura o allevamento); 2)i prodotti manipolati, lavorati e trasformati e, quindi, provenienti dall’industria, qualsiasi sia il loro stato fisico (solidi, liquidi o gassosi); d)genuinità, concetto [che non coincide con quella di pericolosità per la salute pubblica o dell’uso comune del termine e] che prevede un aspetto formale e uno naturale: 1)la genuinità naturale indica la condizione di una sostanza che non abbia subito processi di alterazione della sua normale composizione biochimica, o che comunque la modificazione non ne abbia alterato l’essenza. L’artificiosa modificazione può attuarsi anche facendo uso dei componenti naturali della sostanza, ma in maniera abnorme. La non genuinità si avrà anche nel caso dell’aggiunta di sostanze estranee, anche di per sé genuine, idonee a modificare i princìpi nutritivi che caratterizzano un certo prodotto. Casistica di non genuinità: - vendita come olio d’oliva di olio misto d’oliva e di semi; - vendita di pane denominato all’olio e contenente invece strutto; - vendita di salsicce contenenti carne bovina come puro suino; 2)la c.d. genuinità formale è la corrispondenza della sostanza ai parametri che sono formalizzati dal legislatore in apposita disciplina (ove sono indicate le caratteristiche e i requisiti essenziali per qualificare un determinato prodotto alimentare). Pertanto debbono considerarsi non genuini: - i prodotti che abbiano subito un’alterazione nella loro essenza e nella composizione mediante la commistione di sostanze estranee o la sottrazione di princìpi nutritivi rispetto a quelli prescritti; - i prodotti che contengono sostanze diverse da quelle che la legge indica per la loro composizione o che contengano sostanze in sé genuine in una percentuale superiore o inferiore rispetto a quella consentita dalla legge. 48 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi Casistica di non genuinità: - il pane che presenti un contenuto d’acqua superiore al massimo consentito; - il formaggio che abbia una sostanza grassa inferiore a quella stabilita dalla legge; - il “grana padano”, confezionato con latte termizzato – procedura non prevista dalle disposizioni che riconoscono la denominazione d’origine del prodotto e privano il prodotto dei microrganismi che consento il peculiare processo di maturazione; - la vendita di un alimento prodotto senza il rispetto di tutte le modalità di produzione prescritte dal disciplinare, come nel caso di modalità di alimentazione degli animali destinati alla produzione del latte, differente da quanto risulta dal disciplinare di produzione del parmigiano. 2.4. Elemento soggettivo Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente la coscienza della non genuinità della sostanza e la volontà di presentarla come genuina. La consapevolezza della non genuinità deve sussistere al momento della messa in vendita/in commercio, non rilevando una presa di coscienza successiva. 2.5. Consumazione e tentativo Il reato si consuma nel luogo e nel momento della messa in vendita/ commercio, senza che occorra un concreto atto di vendita o la consegna al compratore o un offerta specifica della merce. Sul tentativo dottrina e giurisprudenza divergono per la difficoltà a configurare gli atti idonei diretti in modo non equivoco a mettere in commercio prodotti non genuini, in quanto sarebbero atti che già di per sé integrano la consumazione. La configurabilità del tentativo è stata ravvisata nell’ipotesi in cui il prodotto non genuino, pur non uscito dalla sfera di disponibilità del produttore, è stato oggetto di una condotta diretta alla commercializzazione. 2.6. Aggravante/attenuante Vds. succ. punto 3. 49 Andrea Girella 2.7. Rapporti con altri reati [concorso] In genere, chi vìola queste disposizioni normative si rende anche autore di altre fattispecie. Dottrina e giurisprudenza si sono, nel tempo, confrontati sulla possibilità di concorso di reati dell’art. 516 c.p. (con particolare riferimento all’art. 515 c.p., di cui rappresenta una forma di tutela avanzata e di cui abbiamo già accennato sopra). L’art. 516 c.p. è ritenuta un’ipotesi accessoria in relazione alle norme [del Capo II del Titolo VI (Delitti di comune pericolo mediante frode)] che disciplinano le frodi alimentari causanti un pericolo concreto per la salute pubblica, ovvero gli artt. 439 (avvelenamento di acque e di sostanze alimentari), 440 (adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari). L’art. 516 c.p. è considerato norma generale, ma di difficile applicazione, in quanto si limita a sanzionare condotte non pericolose per la salute pubblica visto che non viene richiesto un vero e proprio atteggiamento frodatorio. Tuttavia, in taluni casi è stato configurato un concorso di reati. • artt. 516 e 440 e 452 c.p. – in giurisprudenza si sostiene la sussistenza di un concorso tra l’art. 516 c.p. e l’adulterazione e contraffazione colposa di sostanze alimentari (artt. 440, 2° co. e 452, ult. co.) assumendo che un delitto colposo non può mai assorbire un delitto doloso rilevando la diversità di oggettività giuridica, poiché l’uno tutela l’incolumità pubblica e l’altro la buona fede commerciale; • artt. 516 e 515 c.p. – l’art. 516 è assorbito dalla frode in commercio atteso che la condotta di porre in vendita o mettere in commercio non riguarda un rapporto contrattuale diretto, e, quindi, si pone come prodromica rispetto a tale rapporto nel quale è necessariamente presente (e tipizzata dall’art. 515) la figura dell’acquirente. 2.8. Altri profili Competenza: Tribunale (monocratico) Procedibilità: d’ufficio Arresto: non consentito Fermo: non consentito. 3. Aggravante L’articolo di riferimento ai primi due descritti è l’art. 517-bis c.p. [“Circostanza aggravante” – norma aggiunta ad opera dell’art. 5, d.lgs. 30.12.1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1, l. 25.6.1999, n. 205)] secondo cui: Le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da 50 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso (8). 3.1. Aggravante o nuova fattispecie? Leggendo il 1° comma sembra di essere di fronte ad una circostanza ad effetto comune, accessoria rispetto agli artt. 515, 516 [e 517]. Tuttavia, ben si potrebbe trattare di una nuova fattispecie incriminatrice. Se l’oggetto materiale della condotta dei reati previsti agli artt. 515, 516 [e 517] è costituito da alimenti “qualificati”, cioè: - di origine controllata (DOC); - di origine garantita (DOCG); - di origine protetta (DOP); - o comunque, sottoposti ad una specifica disciplina e tutela, in ragioni delle peculiarità dei prodotti stessi per caratterizzazione geografiche, e (IGP), così come individuati dal Reg. (CE) 20.3.2006, n. 510/2006 [con esclusione dei prodotti vitivinicoli, già individuati e disciplinati dal Reg. (CEE) 16.3.1987, n. 823/87], prevederne una sanzione quando non costituiscono un marchio o un segno distintivo [ma soltanto il riconoscimento di una caratteristica di un prodotto legata alla sua origine] ben potrebbe essere considerata una nuova fattispecie incriminatrice. 3.2. Sanzioni accessorie Leggendo il 2° comma, invece, non abbiamo dubbi. Siamo di fronte a (due) sanzioni accessorie di carattere interdittivo, discrezionalmente ed alternativamente applicabile dal giudice, consistenti: - nella chiusura dello stabilimento o dell’esercizio, da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, (8) Articolo aggiunto dall’art. 5, d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507. 51 Andrea Girella altrimenti - nella revoca della licenza, dell’autorizzazione o di altro atto che autorizza l’attività. Lo spazio di discrezionalità è indubbiamente molto ampio ed i parametri cui dovrà attenersi il giudice sono costituiti soltanto dalla: - recidiva specifica - e dalla particolare gravità del fatto. 4. Contraffazione indicazioni geografiche/denominazioni origine Altro articolo è l’art. 517-quater c.p. (“Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”) [tra le misure introdotte dalla l. 23.7.2009, n. 99, volte a rafforzare la tutela dei diritti di proprietà industriale che va ad integrare la previsione dell’art. 517-bis e collocato subito dopo la vendita di prodotti con segni mendaci (art. 517 c.p.), alla quale è parificato sul piano sanzionatorio, in quanto punito con la reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000 euro. Diverso, invece, è il bene giuridico tutelato], secondo cui: Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 (9). Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. 4.1. Bene interesse tutelato Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo II (Delitti contro l’industria e il commercio). (9) E la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote di cui al d.lgs. n. 231/2001 (vds. oltre). 52 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi L’interesse pubblico tutelato è quello di preservare il commercio dalle frodi [condotte che presentano una spiccata attitudine ingannatoria] circa la provenienza di prodotti agroalimentari particolarmente qualificata. In merito, la punibilità dei delitti previsti (1° e 2° comma) è subordinato [come già previsto per gli artt. 473, 474 e 517-ter] alla condizione (3° comma) che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. In caso contrario, la condotta dovrà ricondursi nell’alveo dei più indistinti marchi mendaci e troverà applicazione l’art. 517 c.p. 4.2. Soggetto attivo Il delitto ex art. 517-quater è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la stessa formulazione della norma) la qualità di commercianti. 4.3. Elemento oggettivo In merito alla condotta, come visto, l’articolo prevede due fattispecie, distinte per commi. Nel 1° comma la condotta punita è quella della contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. In merito all’oggetto del reato va precisato che, facendo riferimento alle indicazioni fornite dall’art. 2, reg. CE 20.3.2006, n. 510/2006 (10): a)per denominazione d’origine si deve intendere il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese; la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata; b)per indicazione geografica si deve intendere il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale (10) Relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari. 53 Andrea Girella regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata. Con riferimento alle nozioni di contraffazione e alterazione: a)la contraffazione è la fabbricazione di una cosa simile ad un’altra e si esegue, di regola, per imitazione, ma anche con un’alterazionetrasformazione, che è comunque riconducibile alla contraffazione. Si ha contraffazione: 1)[per la dottrina] quando il marchio altrui venga riprodotto abusivamente, in modo più o meno ben riuscito, oppure venga imitato; 2)[per la giurisprudenza] quando la riproduzione è integrale del marchio in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa; b)alterazione. Si ha alterazione: 1)[per la dottrina] quando la manomissione (rara nella prassi) del contrassegno genuino apposto dall’avente diritto è tale da indurre i consumatori a confondere la provenienza del prodotto; 2)[per la giurisprudenza] quando la modificazione del segno, ricomprendente anche la imitazione fraudolenta, cioè la riproduzione parziale è tale da potersi confondere con il marchio originale o con il segno distintivo. Il rischio di confusione richiede che il marchio contraffatto sia utilizzato per contrassegnare prodotti o servizi identici o affini a quelli del marchio registrato, cosicché il pubblico possa essere tratto in inganno non distinguendo beni provenienti da fonti diverse. Nel 2° comma la condotta punita è quella della introduzione nel territorio dello Stato, detenzione per la vendita, messa in vendita con offerta diretta ai consumatori o messa comunque in circolazione dei prodotti indicati al 1° comma. In merito: a)introduzione nel territorio dello Stato – è l’importazione di quanto contraffatto o alterato dall’estero (dove si è realizzata la falsificazione) nel territorio nazionale, quest’ultimo comprensivo delle acque e dello spazio aereo territoriale (11); (11) Integra il reato previsto dall’art. 474, l’introduzione di prodotti con segni falsi nelle acque territoriali italiane, anche se non risulti superata la barriera doganale, purché la scoperta e il conseguente sequestro di detti prodotti siano avvenuti nel corso degli appositi controlli (nella specie merce in transito nel porto di Napoli e non ancora accettata dal destinatario). 54 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi b)detenzione per la vendita – consiste nella concreta disponibilità, anche temporanea e a qualsiasi titolo, di quanto contraffatto o alterato, che si sia realizzata di concerto con il falsificatore o con un suo intermediario; c)messa in vendita o altrimenti in circolazione – consiste in qualsiasi fatto di offerta in vendita, pubblica o clandestina, all’ingrosso o al minuto, e si realizza con la semplice offerta, non essendo necessario anche un effettivo atto di alienazione. Il momento consumativo del reato si verifica nel momento in cui la cosa sia posta in vendita o appena ne avviene l’acquisto. Per realizzare la condotta di messa in vendita non occorre né l’offerta, né l’esposizione in vendita, ma basta, ad es., la giacenza della merce nei luoghi destinati all’esercizio del traffico (magazzini, botteghe, ecc.). Pur in mancanza di una espressa clausola di esclusione della responsabilità in caso di concorso tra le condotte considerate al 1° e al 2° comma della norma, si ritiene che i fatti di cui al 1° comma assorbano quelli previsti nel 2° comma della disposizione. 4.4. Elemento soggettivo Attesa la sua duplice configurazione, il delitto di cui all’art. 517-quater c.p. è diversamente punibile: - il 1° comma a titolo di dolo generico, essendo sufficiente la coscienza della contraffazione o alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari; - il 2° comma a titolo di dolo specifico, essendo richiesto anche che il soggetto abbia agito al fine di trarre profitto dalla introduzione nello Stato o dalla messa in circolazione del bene. 4.5. Aggravanti/attenuanti In tema di attenuanti/aggravanti, il 3° comma contempla che si applicano le disposizioni di cui agli artt. 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma, sotto richiamati per comodità. 474-bis. Confisca. Nei casi di cui agli art. 473 e 474 è sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti. 55 Andrea Girella Quando non è possibile eseguire il provvedimento di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto. Si applica il terzo comma dell’art. 322-ter. Si applicano le disposizioni dell’art. 240, commi terzo e quarto, se si tratta di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, appartenenti a persona estranea al reato medesimo, qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego, anche occasionale, o l’illecita provenienza e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza. Le disposizioni del presente articolo si osservano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma del titolo II del libro sesto del codice di procedura penale. 474-ter. Circostanza aggravante. Se, fuori dai casi di cui all’articolo 416, i delitti puniti dagli articoli 473 e 474, primo comma, sono commessi in modo sistematico ovvero attraverso l’allestimento di mezzi e attività organizzate, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 50.000. Si applica la pena della reclusione fino a tre anni e della multa fino a euro 30.000 se si tratta dei delitti puniti dall’articolo 474, secondo comma. 517-bis. Circostanza aggravante. Le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato commesso da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell’autorizzazione o dell’analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell’attività commerciale nello stabilimento o nell’esercizio stesso. Per il delitto di cui all’art. 517-quater c.p. è configurabile la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 517-quinquies c.p., relativa alla collaborazione con l’autorità di polizia o giudiziaria. 56 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi 4.6. Altri profili Competenza: Tribunale (monocratico) Procedibilità: d’ufficio Arresto: non consentito Fermo: non consentito. 5. Attenuanti Il quarto articolo d’interesse è l’art. 517-quinquies c.p. (“Circostanza attenuante”) (12), secondo cui: Le pene previste dagli articoli 517-ter e 517-quater sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 517-ter e 517-quater, nonché nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti. L’articolo disciplina una circostanza attenuante applicabile ai delitti di cui agli artt. 517-ter e 517-quater, ad effetto speciale. Quest’ultima comporta una diminuzione della pena prevista per tali reati dalla metà a due terzi, diretta a incentivare tutte quelle condotte che possono favorire la scoperta e la repressione dei reati di cui agli artt. 517-ter, 517-quater c.p. Nel dettaglio l’attenuante è configurabile nei confronti di chi si adoperi per: - aiutare concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nell’azione di contrasto dei delitti di cui agli artt. 517-ter, 517-quater; - nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e la cattura dei concorrenti negli stessi; - nella individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti. Ai fini del riconoscimento dell’attenuante, sono irrilevanti i motivi per i quali il colpevole abbia deciso di collaborare con l’autorità. 6. Pene accessorie Inquadramento: siamo ancora nel Titolo VIII (Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio), Capo III (Disposizione comune ai capi precedenti). (12) Articolo aggiunto dalla lett. e), comma 1, dell’art. 15, l. 23 luglio 2009, n. 99. 57 Andrea Girella La chiusura comune ai citati articoli è l’art. 518 c.p. (“Pubblicazione della sentenza”), secondo cui: La condanna per alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 501, 514, 515, 516 e 517 importa la pubblicazione della sentenza. Trattasi di una pena accessoria derivante dalla condanna. Si è ritenuta applicabile la pena accessoria anche nel caso di sentenza di condanna per tentativo di frode in commercio sulla base che tale norma non differenzia il tentativo dal reato consumato. 7. Adulterazione, contraffazione e commercio di sostanze alimentari Un ulteriore accenno va fatto all’art. 440 c.p. (“Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”), secondo cui: Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio. La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali. 7.1. Bene interesse tutelato Inquadramento: abbiamo cambiato Titolo, VI (Delitti contro l’incolumità pubblica (13)) e Capo, II (Delitti di comune pericolo (14) mediante frode). L’interesse tutelato è quello della pubblica incolumità sotto la particolare visuale della salute pubblica, insidiata da forme di condotta fraudolenta che pregiudicano la qualità delle acque o di altre sostanze destinate all’alimentazione. Il concetto di salute, bene di significativa rilevanza costituzionale (cfr. art. 32 Cost.) (15), secondo la definizione fornita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è uno stato di effettivo benessere fisico, mentale (13) L’incolumità pubblica consiste nella «sicurezza collettiva», nel complesso delle condizioni (garantite dall’ordinamento) necessarie e indispensabili alla esplicitazione primaria della convivenza sociale (sicurezza della vita, dell’integrità personale e della salute), come beni di tutti e di ciascuno, indipendentemente dal loro riferimento a determinate persone. (14) Il comune pericolo va inteso come connubio tra i concetti di collettività, indeterminatezza delle persone e potenza espansiva del nocumento alle cose. (15) “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. 58 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi e sociale e non va inteso in senso negativo, come mera assenza di malattia o di infermità. Si tratta di un c.d. reato di pericolo atteso che per la sua integrazione è sufficiente l’insorgere del pericolo per la salute pubblica. Riguardo ai delitti commessi mediante frode, si ritiene comunemente che non si tratti di frode in senso proprio, se per frode si intende la condotta diretta ad indurre in errore a scopo di trarne ingiusto profitto. L’inganno entra comunque tra le modalità di aggressione relative ai delitti del capo II, con generico riferimento al mezzo o effetto insidioso, senza che però sia sempre escluso dalle figure del capo I. 7.2. Soggetto attivo Il delitto è ascrivibile alla categoria dei reati comuni. Soggetto attivo può essere chiunque in quanto non è essenziale (per la formulazione della norma) la qualità di commercianti. 7.3. Elemento oggettivo Il reato in esame è a forma libera, potendo realizzarsi con qualsiasi condotta attiva od omissiva, attività non occulte o fraudolente, non vietate in modo espresso dalla legge. La condotta della fattispecie in commento consiste nel corrompere, adulterare, contraffare le cose indicate. In merito vanno precisati alcuni termini: a)adulterare (acque o sostanze alimentari di cui al 1° comma) – si verifica con l’alterazione della natura genuina di una sostanza attraverso un procedimento col quale si aggiungono o si sostituiscono elementi che sono nocivi alla salute, con l’effetto di far apparire come genuina la sostanza o il prodotto. Più precisamente, “adulterare” significa alterare la struttura originale di un alimento, mediante sostituzione di elementi propri dell’alimento con altri estranei, ovvero sottrazione di elementi propri dell’alimento, o ancora, aumento della quantità proporzionale di uno o più dei suoi componenti. L’adulterazione può verificarsi anche per sottrazioni, miscele, correzioni e modificazioni varie, tali da determinare una innovazione nella qualità della sostanza o del prodotto; b)corrompere – consiste nell’immissione negli alimenti o nelle bevande di sostanze che ne alterano l’essenza, guastando o viziando la composizione naturale e simulandone la genuinità così da renderle pericolose per la salute pubblica. 59 Andrea Girella Da quest’ultima osservazione emerge il carattere fraudolento che caratterizza la condotta in esame. Si è sostenuto, in dottrina, che il corrompimento costituirebbe ipotesi speciale rispetto all’adulterazione, in quanto riferita, nella previgente legislazione in materia, esclusivamente alle acque; c)contraffare – diversamente dall’adulterazione e dal corrompimento, i quali presuppongono un alimento preesistente che viene manipolato – implica l’inesistenza della cosa e consiste nel formare ex novo un alimento con l’apparenza della genuinità in quanto prodotto con sostanze in tutto o in parte diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo. Oggetto materiale della condotta di cui al 1° e 2° comma sono le acque e le sostanze destinate all’alimentazione. In giurisprudenza, si è osservato che, in tema di delitti di comune pericolo mediante frode, va escluso ogni rilievo alla distinzione tra alimenti e sostanze destinate all’alimentazione. Per quanto riguarda le “acque”, si è precisato, in giurisprudenza, che il reato di cui all’art. 440 si configura anche nell’ipotesi in cui il corrompimento venga operato su acque non originariamente pure dal punto di vista chimico e batteriologico. Non viene qui trattata la condotta di cui al 3° comma, che ha come oggetto materiale le sostanze medicinali (16). Per l’esistenza del reato è necessario che le acque e le sostanze alimentari adulterate o corrotte siano pericolose per la salute pubblica. Non è necessario che dall’uso alimentare della sostanza derivi un danno per la salute pubblica, essendo sufficiente che tale evenienza appaia come probabile per l’attitudine della sostanza stessa a cagionare perturbamenti o alterazioni del normale ed armonico svolgimento delle funzioni psico-fisiche. La giurisprudenza individua il termine di riferimento della dannosità dell’alimento nel consumatore sano, così escludendo che la nocività del prodotto possa essere determinata alla stregua della sua azione in persone affette da particolari stati patologici. (16) La distinzione tra alimenti e medicinali non è sempre agevole. Alcuni alimenti, infatti, hanno proprietà farmaco-dinamiche e farmaco-terapeutiche mentre vi sono dei medicinali che vengono impiegati nella preparazione degli alimenti o prodotti a carattere bivalente. 60 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi 7.4. Elemento soggettivo Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo sufficiente che l’agente abbia consapevolezza e coscienza del pericolo obiettivo per la salute pubblica connesso al corrompimento o all’adulterazione delle acque o sostanze destinate all’alimentazione) senza alcuna necessità che il detto evento sia specificamente perseguito in funzione dell’obiettivo di realizzare un attentato alla salute pubblica. 7.5. Consumazione e tentativo Il reato si consuma con il fatto del corrompimento, dell’adulterazione o della contraffazione senza che sia necessario l’uso effettivo o il consumo e il danno alla salute, coincidendo con il verificarsi della pericolosità della cosa. È configurabile il tentativo qualora siano stati compiuti atti idonei (17) diretti in modo non equivoco a produrre l’adulterazione, il corrompimento, la contraffazione, senza che il pericolo per la salute pubblica si sia verificato. 7.6. Rapporti con altri reati [concorso] Come già detto: • artt. 516 e 440 e 452 c.p. – in giurisprudenza si sostiene la sussistenza di un concorso tra l’art. 516 c.p. e l’adulterazione e contraffazione colposa di sostanze alimentari (artt. 440, 2° co. e 452, ult. co.) assumendo che un delitto colposo non può mai assorbire un delitto doloso rilevando la diversità di oggettività giuridica, poiché l’uno tutela l’incolumità pubblica e l’altro la buona fede commerciale; • artt. 440 e 444 c.p. (Commercio di sostanze alimentari nocive) – nella prima ipotesi si ha un’opera di corruzione/adulterazione delle sostanze alimentari, mentre nella seconda l’elemento oggettivo consiste nella detenzione per il commercio/distribuzione. 7.7. Altri profili Competenza: Tribunale collegiale Procedibilità: d’ufficio Arresto: obbligatorio Fermo: consentito. (17) L’inidoneità a trarre in inganno gli acquirenti integra l’ipotesi del c.d. reato impossibile. 61 Andrea Girella Procedura – Verbalizzazione Come noto, sotto l’aspetto processuale penale, vista anche la procedibilità d’ufficio, l’attività d’iniziativa della p.g. consisterà principalmente ne: – il sequestro; – l’eventuale affidamento (in giudiziale custodia) ad un custode; – i rilievi fotografici, per una migliore repertazione; – la nomina (quale ausiliario p.g.) di un perito; – la possibilità di distruzione (nei casi v/Ignoti, cfr. art. 260, comma 3-ter, c.p.p.) (18). Altri aspetti La tutela del regolare e corretto funzionamento del mercato e della fiducia dei consumatori apprestata dai delitti codicistici è rafforzata anche con la previsione di sanzioni a carico degli enti. Infatti, dato che la contraffazione di marchi e la messa in circolazione Enti di prodotti contraffatti possono essere svolte per conto o a vantaggio di imprese, il legislatore ha introdotto misure repressive finalizzate a disincentivare tale pratica, colpendo anche i soggetti giuridici. Per tali motivi è stato integrato (19) l’art. 25-bis, comma 1 e comma 2, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti) ponendo a carico degli enti una sanzione pecuniaria fino a 500 quote e sanzioni interdittive [una di quelle previste dall’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001] in caso di commissione dei delitti contro l’industria e il commercio previsti nel Capo II, del Titolo VIII del Libro II del codice penale (in relazione alla commissione dei delitti di cui agli artt. 473-474, 515, 516, 517, 517-ter, 517-quater). Considerato che la contraffazione appare come un fenomeno complesso, spesso riconducibile ad organizzazioni criminali (sfruttamento del lavoro nero e irregolare, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti), la l. n. 99/2009, nell’ottica di un’efficace opera di contrasto, ha previsto alcuni effetti penali nei (18) Decorso il termine di tre mesi dalla data di effettuazione del sequestro, la p.g. operante può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all’a.g. La distruzione può avvenire dopo 15 giorni dalla comunicazione salva diversa decisione dell’a.g. È fatta salva la facoltà di conservazione di campioni. (19) Con l. 23.7.2009, n. 99, recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, pubblicata sulla G.U. 31.7.2009, n. 176, S.O. n. 136, ed entrata in vigore il 15.8.2009. 62 Frode in commercio, contraffazione e altri reati connessi confronti di coloro che si organizzano per la commissione dei delitti in esame, a prescindere dalla effettiva realizzazione degli stessi. È stato così integrato l’art. 12 sexies del d.l. n. 306/1992 (modifiche ur- Confisca genti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), aggiungendo l’associazione per delinquere finalizzata a commettere i delitti di cui agli artt. 473-474 e 517-quater c.p. all’elenco dei reati per la cui condanna è obbligatoria la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non riesca a giustificare la provenienza e di cui risulti essere titolare, anche per interposta persona fisica o giuridica, o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito. La misura di sicurezza è chiaramente mirata a impedire la reiterazione della condotta illecita attraverso la sottrazione alle organizzazioni criminali di tutte le disponibilità economiche destinate a finanziare l’attività di contraffazione, quando non sia possibile condannare per i delitti di cui agli artt. 473-474, 517-quater e, conseguentemente, ordinare, ex art. 474-bis c.p., la confisca obbligatoria delle cose che siano servite alla loro realizzazione o che ne siano il prodotto, il prezzo, il profitto. Considerazioni conclusive Da operatore di polizia, come porre concreto freno al fenomeno velocemente descritto? È possibile qui suggerire tre direttrici di azione. Prima – presidiare gli spazi doganali, con la finalità d’intercettare i traffici illeciti di merci contraffatte e pericolose extra-UE prima ancora che vengano immesse nel circuito commerciale nazionale. Seconda – operare un sistematico controllo economico del territorio, con la collaborazione di tutte le FF.PP. (nazionali e locali) per garantire una risposta repressiva tempestiva e capillare dei traffici illeciti di minore spessore e della minuta vendita. Terza – investigazioni orientate non solo al sequestro al momento della vendita al pubblico quanto piuttosto per risalire l’intera ‘filiera del falso’ ed individuare i canali d’importazione, i centri di abusiva produzione, le aree di deposito nonché la rete della grande distribuzione delle merci contraffatte. 63 Enzo Maria Tripodi Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet Enzo Maria Tripodi Coordinatore INDIS-Unioncamere L e vendite “piramidali” sono vendite al dettaglio che si basano sul meccanismo in cui il rivenditore, oltre a vendere i prodotti dell’impresa preponente, effettua anche il reclutamento di ulteriori venditori al fine di conseguire le provvigioni sulle sue vendite ed una quota delle provvigioni maturate dai venditori da questi inseriti nell’organizzazione di vendita. Le vendite “piramidali” sono anche fattispecie illecite allorquando il sistema è strutturato per la vendita (cioè per l’autoconsumo) da parte degli aderenti che pagano, inoltre, una “quota” quale diritto di “accesso” all’organizzazione. Per recuperare l’investimento il loro obiettivo è reclutare altri partecipanti per ognuno dei quali ricevere una “provvigione”, secondo meccanismi diversificati. La legge 17 agosto 2005, n. 173 regolamenta, per un verso, gli incaricati della vendita a domicilio e, per l’altro, sanziona le ipotesi di vendita “piramidale” illecita. L’occasione di alcuni provvedimenti recenti dell’Autorità garante della concorrenza offre il destro per una breve disamina della materia che, tra l’altro, si sta avvalendo delle potenzialità offerte dalle dinamiche dei contatti telematici, secondo la logica imprenditoriale del commercio elettronico. Sommario: 1. Premessa. – 2. Le vendite piramidali. – 3. La l. 17 agosto 2005, n. 173 e il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146. – 4. Le conseguenze civilistiche e penali (molto in breve). – 5. Le vendite piramidali come pratiche commerciali scorrette. – 6. Le vendite piramidali ed il contratto di franchising. – 7. Le vendite piramidali tramite Internet. 1. Premessa L’Autorità garante della concorrenza ha nuovamente affrontato il tema delle vendite piramidali, sotto il versante delle pratiche commerciali sleali, comminando sanzioni pecuniarie elevate, in ragione della gravità dei comportamenti perpetrati dall’organizzazione del “sistema” (1). (1) AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24784, Vemma Italia-Prodotti con succo di mangostano (PS7621), in Boll. n. 10/2014, p. 22 ss.; AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24785, Asea-Acqua del benessere (PS8171), in Boll. n. 10/2014, p. 39 ss.; AGCM, 5 febbraio 2014, n. 24786, Organo Gold Italia (PS8202), in Boll. n. 10/2014, p. 64 ss. 64 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet Il tema fornisce l’occasione per una breve descrizione della legge 17 agosto 2005, n. 173 che, con le modifiche del 2007, regolamenta i “confini” delle vendite piramidali che – va detto – non necessariamente costituiscono attività illecite. Tuttavia, data la loro configurazione di “sistema” costituito dalla vendita e dal “reclutamento” di altri venditori, si presta a generare una evidente confusione, anzitutto con il franchising (2). Da ultimo, i fenomeni “virali” sviluppati utilizzando i siti su Internet e le potenzialità del commercio elettronico, hanno fornito ulteriori possibilità al sorgere di “Catene di Sant’Antonio” telematiche. 2. Le vendite piramidali Vengono considerate come “vendite piramidali”, le operazioni di “vendita” in cui l’incentivo economico dipende dal mero reclutamento di nuovi soggetti (3). In Italia prevale la tendenza a valutare negativamente il fenomeno ed, infatti, sono state vietate dalla l. 17 agosto 2005, n. 173 che disciplina la «vendita diretta a domicilio e la tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale». Si differenziano dalla vendita diretta a domicilio in quanto, mentre quest’ultima ha lo scopo di avvicinare il produttore al consumatore finale e di favorire la vendita di beni o servizi; le vendite piramidali tendono, invece, a moltiplicare i livelli di vendita attirando nella rete nuovi aderenti. (2) Per un quadro v. E.M. Tripodi, La regolazione del franchising dieci anni dopo la legge n. 129/2004, in Discipl. comm. e servizi, n. 3/2014, p. 17 ss. (3) Sulle vendite piramidali v. E. Battelli, F. Reggiani, Legge 17 agosto 2005, n. 173, Vendita diretta a domicilio e vendite piramidali, in V. Cuffaro, Codice del consumo, III ed., Milano, 2012, p. 1310 ss.; M. Serena, Il divieto delle forme di vendita piramidali, in Aa.Vv., Le vendite speciali, a cura di G. Sicchiero, Padova, 2009, p. 435 ss.; C. Iurilli, Le vendite piramidali della nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali. Dal business to consumer al business to business, in Studium Iuris, 2008, p. 656 ss.; M.I. Zecchino, Vendite piramidali, in Notariato, 2007, p. 197 ss.; A. Vallini, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, in Leg. pen., 2006, 1, p. 33 ss.; E. Squarcia, Vendita piramidale e tutela del consumatore: un intervento settoriale da inserire nella più globale e completa riforma del codice del consumo, in Nuove Leggi civ. comm., 2006, III, p. 601 ss.; M. Atelli, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale, in Obbl. e contr., 2005, p. 271 ss.; A. Pagano, Legge 17 agosto 2005, n. 173 – Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali , in Corriere giur., 2005, p. 1343 ss.; G. Bisazza, Vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale, in Studium Iuris, 2006, p. 398 ss.; F. Agnino, Vendita piramidale, in E.M. Tripodi, B. Tassone (a cura di), Vendita, ne I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, vol. XV, Tomo I, Torino, 2004, p. 469 ss. 65 Vendita a domicilio e vendita piramidale Enzo Maria Tripodi I “meccanismi” delle “catene” piramidali Inoltre, mentre una società che opera attraverso forme di vendita diretta retribuisce i propri agenti o venditori riconoscendo loro provvigioni proporzionali alla quantità o al valore del prodotto venduto; nelle organizzazioni piramidali, la remunerazione è basata sull’acquisizione di nuove posizioni di rivendita, cioè sul semplice reperimento di nuovi elementi da inserire nell’organizzazione. Agli acquirenti che entrano nella “catena” viene richiesto un investimento iniziale obbligatorio, non tanto per l’acquisto della merce, ma quale diritto di accesso per entrare nell’organizzazione. A sua volta, il venditore appena entrato cercherà altri venditori a cui far pagare il «diritto d’accesso», i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via, indipendentemente dalla quantità di merce venduta. In altri termini, a fronte del versamento di una quota di adesione, viene offerta la possibilità di acquistare prodotti a prezzi scontati ed a condizioni vantaggiose, promettendo l’attribuzione di provvigioni agli aderenti che reclutino altri soggetti da inserire nella catena di vendita. In realtà i beni di volta in volta commercializzati sono solo un pretesto per reclutare altri venditori, che pagheranno all’agente esclusivamente la posizione di rivenditore all’interno della struttura. Tuttavia, quanto più si avanza nella “piramide”, tanto più diventa difficile trovare nuovi clienti oppure smerciare beni in quantità sufficiente a recuperare il c.d. diritto di entrata nella catena. Di conseguenza, la dilatazione potenzialmente illimitata dei livelli della “piramide” determina un progressivo aumento del rischio del suo crollo, a danno soprattutto dei soggetti che entrano alla base della rete di vendita. Tale rischio è taciuto ai nuovi candidati, ai quali viene prospettata la possibilità di notevoli guadagni così come è effettivamente avvenuto per i soggetti che si trovano al vertice della “piramide”. Chiarite le differenze tra vendita diretta e vendita piramidale, appare evidente come, al fine di tutelare i consumatori, da un lato, ed il principio della libera e corretta concorrenza, dall’altro, si sia ritenuto necessario prevedere degli strumenti normativi che colpiscano in modo specifico e puntuale le organizzazioni che propongono forme di vendita piramidale, segnando anche un margine di legittimità della pratica del multilevel marketing (4). Si tenga conto, infatti, che, come detto, la vendita diretta attuata attraverso una rete multilivello non è illecita qualora siano evitati i “meccanismi” (4) Per le fattispecie lecite v. Aa.Vv., Network marketing, Milano, 2006; G.G. Scott, Arricchirsi con le vendite articolate multilivello, VII ed., Milano, 2004. 66 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet propri delle vendite piramidali. Per sintetizzare, il multilevel marketing è una forma di vendita diretta (porta a porta) in cui gli incaricati commercializzano i prodotti di una impresa e, contemporaneamente, reclutano altri rivenditori se costoro intendono entrare nell’organizzazione di vendita. Il pagamento per l’attività svolta è in forma di provvigione sulle vendite andate a buon fine, alle quali si aggiungono i compensi detratti dalle provvigioni conseguite dai venditori “reclutati”. Le provvigioni, quindi, maturano solo a seguito delle effettive vendite procurate e non per aver reclutato altri soggetti per far parte dell’organizzazione. 3. La l. 17 agosto 2005, n. 173 e il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146 La l. 17 agosto 2005, n. 173 opera una netta distinzione tra le forme di “vendita diretta” – includendo tra queste anche quelle a struttura multilevel – e le cosiddette forme di “vendita piramidale”, conosciute anche come “catene di S. Antonio” (5). La legge in parola è stata poi parzialmente modificata dal d.lgs. n. 146/2007, relativo alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori. Nella sua formulazione originaria, l’art. 5 disponeva il divieto della «promozione e la realizzazione di attività e di struttura di vendita nelle quali l’incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o di promuovere la vendita di beni o servizi determinati direttamente o attraverso altri componenti la struttura». Del pari, la normativa, al comma 2, vieta la promozione o l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, “catene di Sant’Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito, previo il pagamento di un corrispettivo. Con l’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 146/2007, la suindicata disposizione, insieme all’art. 7 relativo alle sanzioni da applicare, è stata modificata prevedendo che: «Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli articoli 5, comma 1, e 7, della legge 17 agosto 2005, n. 173, recante la disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, sono abrogati nella parte in cui riguardano forme di vendita piramidali tra consumatori e (5) A. Natalini, Catene di Sant’Antonio a rischio-manette. Stop alla vendita piramidale: ora è reato, in Dir. giust., 2005, 37, p. 106 ss.; A. Vallini, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, in Leg. pen., 2006, p. 33 ss. 67 Le modifiche alla disciplina con il d.lgs. n. 146/2007 Enzo Maria Tripodi Il quadro sanzionatorio professionisti come definite all’articolo 23, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo in cui è previsto o ipotizzabile un contributo da parte di un consumatore come definito dall’articolo 18, comma 1, lettera a), del predetto codice. I suddetti articoli 5, comma 1, e 7, restano applicabili pertanto alle forme di promozione piramidale che coinvolgano qualsiasi persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale». Detta previsione comporta che «avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti» viene considerata come una pratica commerciale in ogni caso ingannevole. Inoltre, le sanzioni previste nell’art. 7, l. n. 173/2005 si applicheranno, non più ai consumatori, meri reclutati e dunque soggetti passivi di reato, ma soltanto alla «persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale», evitando così il rischio che la vittima del reato sia tramutata in soggetto attivo dello stesso e quindi punita. Le sanzioni stabilite dall’art. 7 si applicano – salvo che il fatto costituisca più grave reato – nei confronti delle persone fisiche o giuridiche agenti nel quadro della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, che organizzano e promuovono iniziative di carattere collettivo o inducono uno o più soggetti ad aderire, associarsi o affiliarsi a tali organizzazioni. Si tratta di un reato contravvenzionale punito con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda da 100.000,00 euro a 600.000,00 euro. Il reato è da ritenersi di natura permanente, in quanto sono punite sia la «promozione» sia la «realizzazione» di strutture di vendite piramidali. Inoltre, per la complessità di tali operazioni, difficilmente i promotori e gli organizzatori riescono ad evitare l’accusa più grave di associazione a delinquere, con conseguenze ulteriori a titolo sanzionatorio e cautelare. È rimasto invece invariato l’art. 6, l. n. 173/2005, che individua gli elementi presuntivi della vendita piramidale costituiti da eventuali obblighi posti in capo al cliente-venditore reclutato, ed in particolare: a)acquistare dall’impresa organizzatrice, ovvero da altro componente la struttura, una rilevante quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rifusione del prezzo relativamente ai beni ancora vendibili, 68 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario, nel caso di mancata o parzialmente mancata vendita al pubblico; b)corrispondere, all’atto del reclutamento e comunque quale condizione per la permanenza nell’organizzazione, all’impresa organizzatrice o ad altro componente la struttura, una somma di denaro o titoli di credito o altri valori mobiliari e benefici finanziari in genere di rilevante entità e in assenza di una reale controprestazione; c)acquistare, dall’impresa organizzatrice o da altro componente la struttura, materiali, beni o servizi, ivi compresi materiali didattici e corsi di formazione, non strettamente inerenti e necessari all’attività commerciale in questione e comunque non proporzionati al volume dell’attività svolta. 4. Le conseguenze civilistiche e penali (molto in breve) Nelle vendite piramidali il contratto stipulato tra l’organizzazione piramidale e il cliente-venditore ha una giustificazione causale nella quale si mescolano la componente lavoristica e quella relativa al contratto di compravendita. La predominanza della seconda componente rispetto alla prima finisce, però, con l’attrarre sul piano causale l’intero negozio verso il modello della compravendita, con la conseguente applicabilità, sotto il profilo civilistico, di quanto stabilito dal codice civile per i contratti nulli e annullabili (6). Innanzitutto, al fine di sentir dichiarare la nullità del contratto stipulato in violazione della l. n. 173/2005, le vittime dei raggiri possono invocare il dolo contrattuale o l’impossibilità dell’oggetto, allorché il bene (6) La l. n. 173/2005, come si è detto, vieta la promozione o l’organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, “catene di Sant’Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo. È proprio il trasferimento di tale diritto/obbligo di reclutamento a caratterizzare il contratto di vendita piramidale che, quindi, a differenza del contratto di compravendita disciplinato dal codice civile agli artt. 1470 ss., non si esaurisce nello scambio della cosa contro un prezzo. La giurisprudenza che si è pronunciata a riguardo ha concluso che «i contratti di vendita piramidale si configurano nella pratica come contratti atipici che presentano alcuni caratteri dell’associazione in partecipazione, del mandato e della vendita. Si tratta dunque di negozi a causa mista che costituiscono espressione del potere delle parti di concludere un atto negoziale nel quale siano combinati elementi propri di tipi negoziali diversi». (In questi termini, Trib. Torino, ord. 3 ottobre 2000, in Giust. civ., 2001, I, p. 816 ss. con nota di Plaia, Organizzazioni “piramidali” e interessi del consumatore: il giudice ordinario e la l. n. 281 del 1998). 69 Il dolo Enzo Maria Tripodi L’impossibilità della prestazione Il contratto in frode alla legge L’assenza di causa non presenti nessuna delle caratteristiche citate nei vari contratti di vendita o, come si è visto in giurisprudenza, di affiliazione commerciale (7). Inoltre, la giurisprudenza di merito ha ipotizzato che la nullità di tali contratti possa derivare dalla presenza di prestazioni impossibili da eseguire essendo state estorte con promesse irrealizzabili di successo ed elevato reddito (8). Anche la fruizione di sconti, servizi e vantaggi appare spesso tanto generica da far ritenere nulli i contratti stipulati per indeterminatezza dell’oggetto. O, ancora, le vittime dei raggiri possono ricorrere alla «frode alla legge, nell’aver perseguito il tentativo di utilizzare uno strumento contrattuale per fini e scopi ritenuti dall’ordinamento non meritevoli di tutela, chiedendo l’annullamento o la nullità giudiziale del contratto che il preponente ha ingannevolmente qualificato come franchising (9). L’annullamento del contratto, in tal caso, travolgerà tutte le obbligazioni delle rispettive parti» (10). Sotto altro aspetto, nei casi in cui non esista un prodotto da commercializzare ma solo un’idea, può porsi in dubbio la stessa esistenza di una causa del contratto, ogni qualvolta il fine sia quello di ritenere commercialmente valido un insieme di formule e di tecniche che si risolvono in realtà in una vendita di fumo, come nel caso di franchisor che pretenda di aver messo a punto un pseudo-sistema volto a rafforzare la personalità dell’individuo e tale sistema sia fatto oggetto di cessione a vari franchisee che lo pongono in concreta attuazione con prestazioni di servizi in favore di terzi malcapitati. La giurisprudenza ha, inoltre, ritenuto nullo un contratto associativo, motivato dall’esclusiva finalità di vendita di tessere, per contrarietà all’ordine pubblico e illiceità della causa ex art. 1343 cod. civ. (11) Altra questione che può essere sollevata è la nullità dei contratti per violazione di norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. (12). È «noto che, per la giurisprudenza, per aversi contrarietà a norme (7) Cfr. Trib. Torino, 3 ottobre 2000, in Corriere giur., 2001, p. 389, con commento di R. Conti. (8) Cfr. Trib. Firenze, 30 maggio 1986. (9) V. quanto si dirà al successivo par. 6. (10) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, in Aa.Vv., Manuale di diritto dei consumatori, a cura dello stesso Iurilli, Torino, 2005, p. 158. (11) Cfr. Trib. Torino, 3 ottobre 2000, in Foro it., 2000, I, c. 3622. (12) Già una pronuncia risalente aveva riconosciuto, a seguito di ricorso di massa di alcuni truffati di una vendita piramidale, che la nullità di simili contratti che «qualificati in apparenza come franchising, sono in realtà privi di causa, oppure contengono prestazio- 70 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet imperative ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato» (13). Nel caso di specie il contratto concluso in violazione del precetto normativo, comporta non solo le sanzioni penali ex art. 7 della l. n. 173/2005 (come detto al par. precedente), ma anche la possibilità che sussistano gli estremi del reato di truffa (14). Il sistema di vendita piramidale potrebbe integrare il reato di cui all’art. 640 c.p., in quanto avrebbe come necessario presupposto una réclame menzognera, la quale, allettando col miraggio di ottenere la merce a prezzo assai inferiore a quello corrente o una percentuale sul prezzo dei prodotti venduti, non renderebbe noti i rischi ai quali espone e le minime probabilità esistenti a favore di chi s’imbarchi in questa avventura. Tale forma di réclame sarebbe idonea, quindi, a far cadere in errore ed a creare un pregiudizio patrimoniale, per chi non riesce a recuperare le cifre investite, ed a recare un profitto al commerciante, il quale invece si arricchisce con tutti i versamenti fatti da coloro che abbandonano il sistema. L’illiceità penale toglie validità al contratto concluso dall’organizzatore della vendita piramidale, e il consumatore ha diritto di ripetere quanto ha pagato al truffatore, in forza dell’art. 2033 cod. civ. L’azione di ripetizione deve essere esclusa solo qualora il privato avesse proceduto al pagamento per uno scopo contrario al buon costume (in tal caso è, però, necessario provare che la partecipazione al sistema costituisca offesa alla morale o al buon costume). ni impossibili da eseguire, o quantomeno per essere stati estorti con promesse irrealizzabili di successo e reddito elevato». (Trib. Firenze, 30 maggio 1986, in Impr. Comm. Ind., 1988, p. 2980). Nel caso di aspirante franchisee che sia cioè un c.d. Newcomer del settore, non disponendo né di una organizzazione d’impresa né di una precedente esperienza nel settore oggetto di contratto, pare indubbia la definizione dello stesso alla stregua non di franchisee, ma di consumatore (Trib. Ivrea, 5 ottobre 1999, in Danno e resp., 2000, p. 861, con nota di A. Palmieri). (13) M. Atelli, Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali, in Obb. e contr., 2005, p. 271; in tal senso, v. Cass., 25 settembre 2003, n. 14234, in Contratti, 2004, p. 151, con nota di Franchi. (14) Allo stato, tale fenomeno ha avuto un notevole risalto mediatico con i casi Tucker ed Alpha club: approdati entrambi nelle aule di giustizia, il primo con importanti profili di rilevanza penale e con pesanti conseguenze per gli organizzatori della struttura piramidale; il secondo, letto in chiave civilistica, ove i contratti sottoscritti dai consumatori sono stati dichiarati nulli perché non meritevoli di tutela per indeterminatezza dell’oggetto. Su detti “casi” v. E. Battelli, F. Reggiani, Legge 17 agosto 2005, n. 173, Vendita diretta a domicilio e vendite piramidali, cit., p. 1351 ss. 71 Il possibile reato di truffa Enzo Maria Tripodi Peraltro, non può neppure escludersi che il sistema di vendita piramidale possa dare luogo ad un’attività che presenti i caratteri di sollecitazione e raccolta del risparmio tra il pubblico, con la conseguenza, in mancanza dei prescritti requisiti e delle prescritte autorizzazioni, di far ravvisare gli estremi del reato di illecita raccolta di risparmio in relazione al T.U. in materia bancaria e creditizia e al T.U. in materia di intermediazione finanziaria. 5. Le vendite piramidali come pratiche commerciali scorrette Il lucro del promotore di vendite piramidali ai consumatori Le vendite piramidali, quando attengono a rapporti tra imprese e consumatori, rientrano tra le pratiche commerciali sleali di cui alla direttiva 2005/29/UE. Di conseguenza, con il d.lgs. n. 146/2007, la loro disciplina è stata, ratione materiae, fatta rientrare nell’ambito del Codice del consumo. L’art. 23, comma 1, lett. p), di detto codice qualifica come scorretta la condotta del professionista che avvia, gestisce o promuove «un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti». Il guadagno del promotore del sistema di vendita, quindi, risiede principalmente dall’ingresso di altri soggetti nella rete di vendita o di promozione, aspetto principale di tale schema e dal quale dipende il livello di ricavi che saranno riconosciuti al consumatore (reclutatore). La remunerazione del promotore generalmente si basa su una “fee” di “ingresso” mediamente elevata e nei periodici obblighi di acquisto di prodotti da parte del consumatore che, per poter guadagnare il suo compenso, deve costantemente reclutare nuovi partecipanti ma senza che via sia una diretta relazione tra gli acquisti di questi ultimi e le provvigioni (15). Come ha sottolineato l’Autorità garante «(…) mentre una società che opera attraverso forme di vendita diretta multilivello retribuisce i propri agenti o venditori riconoscendo loro delle provvigioni sempre direttamente collegate al valore o alla quantità dei beni o servizi venduti direttamente o per il tramite di altri soggetti che si è riusciti ad includere nella struttura di vendita, in una forma di vendita con caratteristiche piramidali il bene oggetto di vendita passa in secondo piano, rappresentando semplicemente il pretesto e l’occasione per reclutare altri consumatori che (15) AGCM, 13 aprile 2011, n. 22299, Xango-Prodotti con succo di mangostano (PS6425), in Boll. n. 17/2011, p. 48 ss. 72 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet entrino all’interno della piramide e vi rimangano effettuando ordini personali (acquisti), con ciò alimentando artificialmente il sistema. Per questo il neo-venditore, non appena avuto accesso alla struttura piramidale, avrà come obiettivo primario la ricerca di altri venditori – ai quali far pagare il diritto d’accesso alla catena o comunque la permanenza nella stessa – i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via» (16). Il divieto della vendita piramidale (e non della vendita multilivello) è legato alla “esponenzialità” della partecipazione di nuovi “aderenti” che, seppur rende possibile in alcuni casi la remunerazione dell’attività, nella maggior parte delle ipotesi provoca la “rottura” della catena e, di conseguenza, l’impossibilità per i nuovi entrati nella rete di poter ricevere alcun profitto. In questi termini gioca anche la “scorrettezza” della pratica, poiché al momento del reclutamento di nuovi incaricati, nella prospettazione dei guadagni viene omessa la loro probabilità concreta che questi possano verificarsi (17). La competenza a ricevere denunce in merito è, com’è noto, in capo all’Autorità garante che interviene ai sensi di quanto previsto dall’art. 27 del Codice del consumo. L’Autorità, se ritiene la pratica commerciale scorretta, ne vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata. Inoltre, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria tenuto conto della gravità e della durata della violazione (18). (16) AGCM, Vemma, cit., punto 50. (17) AGCM, Vemma, cit., punti 51-52. (18) Si ricorda che, ai sensi dell’art. 27 cod. cons., l’attivazione dell’Autorità può avvenire sia d’ufficio che su “istanza” di qualsiasi soggetto od organizzazione “che ne abbia interesse”. La procedura per l’accertamento e per l’irrogazione delle sanzioni è quella prevista dall’art. 27, commi 2-15. L’Autorità inibisce la continuazione del comportamento scorretto e ne elimina gli effetti e può anche, in caso di particolare urgenza, disporre la sospensione provvisoria del contratto posto in discussione. Nella sua attività istruttoria l’Autorità può chiedere informazioni e documenti e può, inoltre, avvalersi della Guardia di finanza. In caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro (art. 27, comma 4). Con il provvedimento che vieta la condotta o la clausola, l’Autorità dispone, inoltre, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 5.000.000 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. La sanzione non è inferiore, nel minimo, a 50.000 euro quando si tratti di situazioni che possono mettere in pericolo i consumatori, ovvero bambini ed adolescenti. 73 Scorrettezza della pratica e poteri dell’AGCM Enzo Maria Tripodi Tre casi recenti In relazione proprio all’art. 27, di recente l’Autorità garante, al termine di tre distinti procedimenti, ha applicato sanzioni alle società Vemma Italia (100.000 euro), Asea Italy (150.000 euro) e Organo Golden Europe (250.000 euro) per pratiche commerciali scorrette che hanno interessato decine di migliaia di consumatori nel settore delle vendite multilivello illecite di bevande. Secondo l’Antitrust, ai consumatori veniva proposto l’acquisto di prodotti attraverso meccanismi finalizzati, in realtà, al reclutamento di altri venditori ai quali viene richiesto un contributo iniziale o la sottoscrizione di un programma di acquisti personali. Il sistema prevede in sostanza il coinvolgimento e la partecipazione di consumatori in uno schema di acquisto e vendita dei prodotti: chi aderisce è incentivato, al momento dell’ingresso nel sistema, a coinvolgere un numero sempre crescente di altri consumatori/venditori. Con il provvedimento di divieto può essere disposta, a cura e spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per estratto, ovvero di un’apposita dichiarazione rettificativa, in modo da impedire che le violazioni dei diritti del consumatore continuino a produrre effetti dannosi. L’art. 27, comma 7, prevede anche il “ravvedimento operoso” del professionista che può essere invitato dall’Autorità ad assumere un impegno alla cessazione dell’infrazione ed alla rimozione degli effetti “in cambio” della chiusura dell’istruzione. Detto impegno – possibile solo quando la gravità della condotta non sia manifesta – può essere reso vincolante e pubblicato a spese del professionista. La violazione di detto impegno comporta l’applicazione di una sanzione da 10.000 a 5.000.000 euro. La stessa sanzione è disposta dall’Autorità nel caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti, di cui all’art. 27, commi 3, 8 e 10. Il pagamento delle sanzioni amministrative di cui al presente articolo deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità. Qualora vi sia una reiterata inottemperanza l’Autorità, oltre alle sanzioni pecuniarie, può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni. I ricorsi avverso le decisioni adottate dall’Autorità sono soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ove ha la sua sede l’Autorità (ossia il T.A.R. Lazio e, poi, il Consiglio di Stato). Per le sanzioni amministrative pecuniarie si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni negli artt. 26-29 della l. 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Le suddette sanzioni, di cui all’art. 27 cod. cons., sono state inasprite dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, sulla quale v., in prima approssimazione, E.M. Tripodi, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori. Brevi note sul d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Discipl. comm. e servizi, n. 2/2014, p. 19 ss. e, più ampiamente, Aa.Vv., I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e G. Nava, Torino, 2014; E.M. Tripodi, La vendita fuori dei locali commerciali e a distanza. La nuova disciplina del Codice del consumo, Altalex, Milano, 2014. 74 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet Si tratta di un meccanismo distributivo considerato scorretto dal Codice del consumo per il quale il consumatore non può fornire un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema anziché dalla vendita o dal consumo dei prodotti. La posizione di Asea Italy e di Organo Golden Europe risultava ulteriormente aggravata dalla circostanza che le due società hanno attribuito ai loro prodotti capacità curative che non risultano adeguatamente dimostrate e certificate. Nel dettaglio l’Antitrust ha sanzionato Vemma Italia, Asea Italy e Organo Gold Europe per le seguenti pratiche: avvio di un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore paga un contributo ‘d’ingresso’ (anche nella forma di autoconsumo) in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema anziché dalla vendita dei prodotti teoricamente commercializzati. Infatti, il fatturato di ciascun professionista derivava principalmente dai meccanismi di ingresso o di autoconsumo e non dalla vendita dei prodotti; ingannevole e mancata informazione completa sulle possibilità di guadagno, che appaiono totalmente irrealistiche e funzionali a ingannare i consumatori per farli aderire allo schema. La stragrande maggioranza di incaricati non ha generato e ricevuto corrispettivi o di importo del tutto trascurabile (19). 6. Le vendite piramidali ed il contratto di franchising Da un’analisi della l. n. 173/2005, in particolare con riguardo alla disciplina della «vendita diretta a domicilio» e dell’«incaricato di vendita» di cui all’art. 4, emerge la concreta possibilità di un’applicabilità congiunta della suddetta legge con la l. 6 maggio 2004, n. 129 sull’«affiliazione commerciale» (20). (19) Limitatamente ai procedimenti a carico di Asea Italy e di Organo Golden Europe, diffusione di affermazioni ingannevoli sulle capacità curative dei prodotti non dimostrate attraverso idonea certificazione. Infatti, a detta dell’Antitrust, la società Asea sostiene che la composizione della miscela commercializzata sarebbe perfettamente equilibrata e in grado di rinforzare il sistema immunitario, favorire il processo di guarigione e limitare l’effetto dannoso dei radicali liberi. Organo Golden Europe invece sostiene che la bevanda a base di fungo ganoderma avrebbe proprietà tali da renderla efficace nella profilassi di malattie nervose, vascolari e tumorali, senza effetti collaterali. (20) Aa.Vv., L’affiliazione commerciale, a cura di V. Cuffaro, Torino, 2005 e, più ampiamente, E.M. Tripodi, V. Pandolfini, P. Iannnozzi, Il Manuale del franchising, Milano, 2005. 75 Enzo Maria Tripodi Somiglianze con il contratto di franchising Mentre la l. n. 129/2004 «procede più immediatamente a regolamentare la struttura e la “vita” del contratto di franchising, provvedendo, a pena di nullità, all’indicazione degli elementi essenziali che dovrebbero caratterizzare ogni fattispecie contrattuale, la neo-disciplina sulle vendite piramidali (…) risulta più immediatamente finalizzata alla tutela del c.d. “incaricato di vendita”, ovvero di colui che (…) era costretto ad effettuare ingenti acquisti di materiali che, poi rimanevano invenduti a causa dell’inesistenza, de facto, di una reale struttura di vendita» (21). Anche la l. 6 maggio 2004, n. 129 prevede, come di fatto avviene nelle vendite piramidali, un «diritto di ingresso» (c.d. entry fee), che viene però rapportato al valore economico ed alla capacità di sviluppo della rete e che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale, quale forma di “concorso” alle spese sostenute dal franchisor per l’impianto e l’organizzazione della Rete. Stabilisce anche delle royalties in una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa, da versare anche periodicamente. Date le caratteristiche del franchising, si può assistere al «mascheramento di operazioni illecite nel settore delle vendite piramidali, “nascoste” sotto forma di contratti di affiliazione commerciale» (22). In giurisprudenza, come si è già accennato, non sono infatti mancati casi in cui si è riconosciuto espressamente che i contratti di affiliazione in realtà dissimulavano dei contratti tra professionisti e consumatori e sono stati dichiarati nulli per indeterminatezza dell’oggetto (23). È chiaro che, queste forme di “mascheramento” della vendita piramidale come franchising, crea un grave pregiudizio a coloro che operano nel “vero” franchising ed alle stesse associazioni nazionali che li rappresentano. In realtà, si tratta di sistemi che non hanno nulla a che fare con il franchising, in quanto usualmente manca il trasferimento di quell’insieme di diritti e rapporti che costituiscono l’oggetto del contratto di affiliazione. Rispetto al contratto di franchising mancano, infatti, sia gli elementi soggettivi che oggettivi: quanto ai primi, difetta la qualifica di imprenditore nei c.d. franchisees; quanto ai secondi, perché non c’è alcun trasferimento di know-how e di segni distintivi da parte del presunto franchisor. (21) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, cit., p. 185. (22) C. Iurilli, Vendite piramidali e contratto di franchising, cit., p. 152. (23) Si v. il caso “Alpha Club” (Trib. Torino, 3 ottobre 2000, cit.). Per un confronto tra franchising e vendita piramidale v. A. Frignani, Il contratto di franchising, Milano, 1999, p. 31 s.; id., Franchising. La nuova legge, Torino, 2004, p. 57; E.M. Tripodi, V. Pandolfini, P. Iannozzi, Il Manuale del franchising, op. cit., p. 228 s. 76 Le vendite piramidali: Sant’Antonio arriva anche da Internet 7. Le vendite piramidali tramite Internet Le modalità di realizzazione del meccanismo illecito delle vendite piramidali si evolvono secondando i fenomeni, più recenti, di socializzazione e di “riunione” effettuati attraverso Internet ed i social network. I casi Vemma, Asea, e Organo Gold, ne sono una riprova, come si può facilmente verificare dai loro rispettivi siti Internet. In anni recenti la Suprema Corte ha stabilito che integra “una forma di vendita piramidale, punita dall’art. 7, legge n. 173/2005, la creazione di un sito «web» a cui chiunque può iscriversi, a fronte del pagamento iniziale di una somma di denaro, senza ottenere alcuna controprestazione, se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti da parte del sistema stesso” (24). Nel caso di specie l’incentivo economico primario dei componenti si fondava sul mero reclutamento di nuovi soggetti, piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati, direttamente o attraverso altri componenti la struttura. Il complesso sistema di vendita funzionava in questo modo: l’utente dichiarava di voler acquistare il bene proposto e, dopo il pagamento del prezzo, pari a 34 euro, veniva inserito in una delle quattro liste del prodotto che aveva scelto. Al momento dell’iscrizione, veniva generata un’e-mail con i dati per il pagamento; al fine di consentire a tutti gli iscritti di ricevere il regalo, per ogni premio venivano create solo quattro liste che, a un certo punto, venivano chiuse. Ogni sette iscrizioni, ve ne era una a spese del sito, in modo che a tutti era garantito l’ottenimento del regalo scelto, che corrispondeva ad un costo di circa il 14% su ogni 34 euro incassati. In altri termini, l’utente che pagava i 34 euro non riceveva il regalo, sino a quando non era raggiunto un certo numero di iscrizioni di altri soggetti; ad esempio in una lista con 14 iscrizioni, affinché il quindicesimo iscritto potesse ricevere il regalo, erano necessarie 210 iscrizioni, ciò che consentiva a tutti i quindici utenti di ricevere il regalo. Nel ricorso in cassazione, la difesa deduceva, tra i motivi, l’erronea applicazione della legge penale, posto che l’imputato non aveva provveduto al reclutamento degli interessati, i quali avevano aderito spontaneamente alla lista di iscrizione al sito e la prestazione da costoro effettuata non era a fondo perduto, perché la controprestazione non era inesistente. (24) Cass. pen., 30 maggio 2012, n. 37049, in Dir. pen e processo, 2012, p. 1336, con annotazione di S. Corbetta, Vendite piramidali. 77 Una vendita piramidale on line Enzo Maria Tripodi La decisione della Corte di Cassazione La Suprema Corte ha ritenuto che il meccanismo rientrasse nella prima forma di vendita piramidale considerata dall’art. 5, l. n. 173/2005, proprio perché «i partecipanti al sistema non svolgono alcuna attività di vendita o di promozione di beni o servizi, ma ricevono un beneficio economico solo dal mero reclutamento di nuovi soggetti; reclutamento in conseguenza del quale vedono aumentare – secondo i meccanismi previsti nel sito web (...) – la loro probabilità di conseguire il premio, che costituisce per loro un corrispettivo meramente eventuale». In altri termini, «a fronte del pagamento dell’iniziale somma di denaro, il soggetto che si iscrive al sistema non può ottenere alcuna controprestazione, se non in conseguenza del reclutamento di nuovi soggetti da parte del sistema stesso». Ad avviso dei ricorrenti, però, andava anche presa in esame la circostanza (dirimente a loro avviso) che gli iscritti avevano manifestato, senza alcuna “induzione”, la volontà di aderire al sistema. La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’adesione al sistema, da parte degli interessati, fosse volontaria, dato che la norma di cui all’art. 4, l. n. 173/2005 «non richiede l’involontarietà dell’adesione quale presupposto per la sussistenza del reato». Per cui, in assenza di una specifica indicazione del legislatore, la volontarietà dell’adesione non può essere configurata quale causa giustificatrice rispetto alla condotta punita dalla legge. 78 Repertorio di Giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi ?? T.A.R. Lazio – Roma, sez. II-ter, 6 agosto 2014, n. 8705 • SISA Srl c. Roma Capitale. Somministrazione di alimenti e bevande • Occupazione del suolo pubblico • Subentro • Abusivismo. Il fatto che l’occupazione del suolo pubblico sia stata posta in essere da una persona giuridica diversa dalla persona giuridica intestataria del titolo determina che, da un punto di vista soggettivo, l’occupazione deve qualificarsi come abusiva, laddove, da un punto di vista oggettivo, un’abusività totale non sussiste in quanto il titolo abilita proprio all’occupazione strumentale all’attività di somministrazione gestito dalla Società avente causa e proprio per lo spazio antistante tale esercizio. In una fattispecie in cui l’abusività ha carattere soggettivo ma non anche oggettivo, essendo la concessione OSP ancora in essere ad esempio intestata ad altro soggetto, dante causa dell’attuale gestore, ma strumentale al medesimo esercizio destinato ad attività di somministrazione, l’amministrazione è tenuta ad ordinare la rimozione dell’occupazione abusiva e ad irrogare la sanzione pecuniaria, ma non anche ad applicare la sanzione della temporanea chiusura dell’esercizio, che richiede la sussistenza di una occupazione totalmente abusiva, vale a dire sia soggettiva che oggettiva. Motivi della decisione 1. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale, ha disposto nei confronti della Società ricorrente: 1) la rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico, accertata dal Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale con verbale (Omissis), antistante l’esercizio sito in Piazza (Omissis) per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese dell’interessato; 2) la chiusura dell’esercizio sito in Piazza (Omissis) per un periodo pari a cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi. 2. La Società interessata ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi: Violazione l. n. 94/2009 – illegittimità propria dell’ordinanza del Sindaco di Roma n. 258/2012 e illegittimità derivata della determinazione dirigenziale del Comune di Roma prot. 63986/14 e del vav n. 14130020608/13 – eccesso di potere – illogicità – violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa. 3. La chiusura dell’esercizio, ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009, rappresenterebbe l’extrema ratio nei soli casi di pericolo alla sicurezza e all’ordine pubblico e la norma richiamata non prevederebbe la sanzione della chiusura quale effetto automatico dell’accertamento e della violazione del codice della strada. Il Sindaco, pertanto, avrebbe la facoltà di applicare la sanzione accessoria e, in particolare, avrebbe la facoltà di commisurare la stessa a seconda della gravità della violazione contestata, previa logica ponderazione tra interessi pubblici e privati. 4. Vi sarebbe illogicità e sproporzione tra la contestazione mossa alla Società ricorrente e la sanzione irrogata. Violazione dell’art. 20 del codice della strada – illegittimità propria dell’ordinanza del Sindaco di Roma n. 258/2012 e illegittimità derivata della determinazione 79 Repertorio di Giurisprudenza dirigenziale del Comune di Roma prot. 63986/14 e del vav n. 14130020608/13. Nella fattispecie non sarebbe stato accertato alcun intralcio alla circolazione, lasciando i tavolini ampio spazio al passaggio dei pedoni. Violazione del principio della congrua comparazione tra interesse pubblico e privato. La chiusura dell’attività commerciale per cinque giorni, in un momento di grave recessione economica, arrecherebbe notevole nocumento alla posizione lavorativa-retributiva dei dipendenti del locale. Violazione del principio del giusto procedimento – violazione art. 2, commi 1 e 2, l. n. 241 del 1990 – violazioni dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa. 5. L’area interessata all’occupazione sarebbe già munita di apposito titolo in quanto la ricorrente sarebbe subentrata nella gestione dell’attività di somministrazione ad altro soggetto provvisto di regolare concessione di suolo pubblico. Roma Capitale ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso. Alla camera di consiglio del 30 luglio 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione. 6. Il ricorso, che può essere immediatamente definito nel merito con sentenza in forma semplificata adottata ai sensi dell’art. 60 d.lgs. n. 104 del 2010, è parzialmente fondato e va accolto con esclusivo riferimento al punto 2 dell’avversata determinazione – che dispone la chiusura dell’esercizio sito in Piazza (Omissis) per un periodo pari a 5 giorni – ai sensi di quanto di seguito indicato. La determinazione dirigenziale impugnata è stata adottata in quanto il I Gruppo Trevi di Polizia Locale Roma Capitale, con 80 rapporto amministrativo del 10 gennaio 2014, ha comunicato di avere accertato, con verbale elevato ai sensi dell’art. 20 del codice della strada che, in data 23 novembre 2013, la SISA Srl “occupava il suolo pubblico antistante il proprio esercizio, sul marciapiede e per una piccola parte sulla sede viaria, con tavoli, sedie, fioriere, pannellature e pedana per mq 42,84 senza essere in possesso della relativa autorizzazione”. 7. Il punto centrale della controversia è costituito dall’esame dell’ultima censura, con cui la ricorrente ha contestato il carattere abusivo dell’accertata occupazione di suolo pubblico. L’art. 10, comma 2, del regolamento in materia di occupazione di suolo pubblico e del canone (deliberazione C.C. n. 75 del 2010) dispone che le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il pagamento del canone per l’anno di riferimento, a condizione che non risultino variazioni e l’amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza. Il Collegio ritiene che la concessione a suo tempo rilasciata a favore della dante causa della ricorrente, fosse ancora in essere alla data dell’accertamento dell’infrazione. Infatti, non risulta che l’amministrazione abbia adottato un provvedimento di disdetta, revoca o decadenza del titolo abilitativo e la ricorrente SISA Srl ha fornito un consistente principio di prova, attraverso l’allegazione di copia dei bollettini di versamento, che la Galleria Sciarra Srl, locatore del ramo d’azienda, ha pagato le rate del canone relativo al 2013. Il pagamento, peraltro, risulta avvenuto il 23 maggio 2013, vale a dire antecedentemente alla data di accertamento dell’infrazione (23 novembre 2013), sicché, in Repertorio di Giurisprudenza ragione della normativa comunale di riferimento, deve ritenersi sussistente, alla detta data del 23 novembre 2013, una concessione OSP a nome della Galleria Sciarra Srl sull’area antistante l’esercizio commerciale gestito già a tale data dalla ricorrente SISA Srl. Viceversa, la concessione OSP, alla data del 23 novembre 2013, non poteva in alcun modo ritenersi di titolarità della SISA Srl in quanto la domanda di subentro è espressamente qualificata, ai sensi dell’art. 7 del relativo regolamento, come domanda di nuova concessione. Il fatto che l’occupazione del suolo pubblico sia stata posta in essere da una persona giuridica diversa dalla persona giuridica intestataria del titolo determina che, da un punto di vista soggettivo, l’occupazione deve qualificarsi come abusiva, laddove, da un punto di vista oggettivo, un’abusività totale non sussiste in quanto il titolo abilita proprio all’occupazione strumentale all’attività di somministrazione gestito dalla Società avente causa e proprio per lo spazio antistante tale esercizio. In altri termini, così come non può essere posto in discussione, che la SISA Srl non fosse intestataria del titolo, di qui la abusività soggettiva dell’occupazione, non può parimenti essere posto in dubbio che l’area antistante l’esercizio fosse oggetto di un provvedimento di concessione OSP strumentale allo stesso esercizio commerciale, di qui l’assenza di una totale abusività oggettiva dell’occupazione. Di talché, occorre valutare se, in presenza di una occupazione soggettivamente abusiva ma oggettivamente non totalmente abusiva, siano legittimi l’ordine di immediata rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico (punto 1 del dispositivo del provvedimento impugnato) e la sanzione della chiusura dell’esercizio per cinque giorni (punto 2 del dispositivo del provvedimento impugnato). 8. La determinazione dirigenziale dell’11 aprile 2014 è stata adottata ai sensi e per gli effetti dell’ordinanza sindacale n. 258 del 2012. Il Sindaco di Roma Capitale, con detta ordinanza, ha disposto che i Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione Capitolina, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, applichino le disposizioni previste dall’art. 20 del codice della strada e dall’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009. 9. L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992, nuovo codice della strada, al quarto comma, prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 e, al quinto comma, che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese. La formulazione della norma è ad ampio spettro e disegna in termini di doverosità l’azione amministrativa, sicché deve ritenersi che in presenza di una qualunque abusività, anche solo soggettiva, la norma sia applicabile e, di conseguenza, debba senz’altro essere ordinata la rimozione dell’occupazione abusiva, oltre all’irrogazione della relativa sanzione pecuniaria. L’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009, invece, attribuisce una facoltà discrezionale all’autorità amministrativa in quanto stabilisce che, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico, il Sindaco, 81 Repertorio di Giurisprudenza per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e, se si tratta di occupazione a fini di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni. Il Sindaco, nell’esercizio del potere conferito dalla legge, rilevato che la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del codice della strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere, ha precisato che intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16, della l. n. 94 del 2009 per sanzionare le “occupazioni totalmente abusive” di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco. Il riferimento alle “occupazioni totalmente abusive” è interpretabile nel senso che, per dar luogo alla sanzione più estrema della chiusura temporanea dell’esercizio, l’occupazione debba essere completamente sfornita di titolo, sia in senso soggettivo che in senso oggettivo, per cui se l’ipotesi dell’occupazione soggettivamente ma non oggettivamente abusiva è fonte delle ulteriori richiamate sanzioni, a fronte della stessa, ove l’OSP preesistente ed ancora in essere sia strumentale al medesimo esercizio commerciale, non è però applicabile la sanzione della chiusura temporanea dell’esercizio (cfr. T.A.R. Lazio, IIter, 12 maggio 2014, n. 4901). In tale direzione, d’altra parte, milita la stessa ratio dell’ordinanza sindacale in discorso, in cui si evidenzia che “l’obiettivo di garantire la massima fruizione degli spazi pubblici va costantemente perseguito anche attraverso lo strumento della 82 tutela del patrimonio pubblico cittadino, ponendosi quest’ultimo proprio come un elemento caratterizzante di quel grado di vivibilità cittadina che favorisce l’incremento della coesione sociale” e che “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte dei titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro”. Tali esigenze appaiono ragionevolmente legate alle ipotesi delle occupazioni abusive in difetto assoluto di qualunque titolo, tali da dar vita ad una indiscriminata occupazione del suolo pubblico con le ripercussioni negative evidenziate nell’ordinanza, ma non possono ritenersi presenti allorquando un titolo – sia pure, come nel caso di specie, intestato ad altra Società – sussiste, postulando quindi una preventiva scelta dell’amministrazione in ordine alla compatibilità tra l’occupazione di uno specifico spazio del territorio e la tutela del patrimonio pubblico cittadino. In altri termini, la sanzione della temporanea chiusura dell’esercizio commerciale, per la sua particolare incisività, è ragionevole ritenere sia stata indirizzata alle sole ipotesi in cui l’occupazione di un determinato spazio del suolo pubblico non è per nulla assentita ovvero è assentita ma è strumentale ad una diversa attività di somministrazione di alimenti e bevande (cfr. su tale ultimo profilo, T.A.R. Lazio, Roma, II-ter, 31 gennaio 2014, n. 1219) , mentre, ove sia stata ritenuta compatibile con la tutela del patrimonio pubblico cittadino, sia pure attraverso provvedimento rilasciato Repertorio di Giurisprudenza ad altro soggetto dante causa dell’attuale gestore, l’ordinanza sindacale deve interpretarsi nel senso che, non essendo l’occupazione totalmente abusiva, ma essendo abusiva soggettivamente e non anche oggettivamente, ferme restando le obbligatorie misure di cui all’art. 20 del codice della strada, il disvalore della condotta non è tale da rendere meritevole il responsabile dell’infrazione della misura maggiormente afflittiva costituita dalla chiusura temporanea dell’esercizio. 10. In conclusione, il Collegio ritiene che in una fattispecie quale quella in esame, in cui l’abusività ha carattere soggettivo ma non anche oggettivo, essendo la concessione OSP ancora in essere intestata ad altro soggetto, dante causa dell’attuale gestore, ma strumentale al medesimo esercizio destinato ad attività di somministrazione, l’amministrazione è tenuta ad ordinare la rimozione dell’occupazione abusiva e ad irrogare la sanzione pecuniaria, ma non anche ad applicare la sanzione della temporanea chiusura dell’esercizio, che richiede la sussistenza di una occupazione totalmente abusiva, vale a dire sia soggettiva che oggettiva. (Omissis) 11. In conclusione, l’impugnata determinazione dirigenziale si rivela scevra dai vizi di legittimità prospettati con riferimento al punto 1 del dispositivo, mentre si rivela illegittima, risultando condivisibile la assorbente censura esaminata, con riferimento al punto 2, vale a dire all’ordine di chiusura per cinque giorni dell’esercizio sito in Piazza (Omissis). Di qui, la fondatezza parziale del ricorso, con esclusivo riferimento al richiamato punto 2) del provvedimento, che, per l’effetto, deve essere annullato. In ragione della peculiarità della fattispecie nonché del complessivo esito della controversia, sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Ter, accoglie in parte il ricorso in epigrafe, nei limiti indicati in motivazione, e, per l’effetto, annulla la gravata determinazione dirigenziale dell’11 aprile 2014, nella sola parte in cui è stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale sito in Roma, Piazza (Omissis) per un periodo pari a giorni cinque. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. ?? T.A.R. Sicilia - Catania - sez. IV, 2 settembre 2014, n. 2296 • Centro Medico Radiodiagnostico di A.R. c. Azienda Sanitaria Provinciale 4 di Enna. Sanità e sanitari • Centro di diagnostica • Uso diverso dei locali • Somministrazione di medicinali. L’uso diverso dei locali che abbia la caratteristica di essere estremamente circoscritto a uno di essi, non configura un evento tanto grave da imporre la radicale chiusura, per sempre, della struttura sanitaria: la concessione straordinaria e circoscritta dell’uso di uno spazio all’interno del Centro, per la sua limitazione temporale (una volta ogni tanto), per gli orari in cui avviene (fuori degli orari di apertura del centro), per la parzialità del coinvolgimento (una stanza ed i percorsi necessari per accedervi), per la non interferenza, per 83 Repertorio di Giurisprudenza l’assenza di pregiudizio per lo svolgimento del servizio convenzionato, rientrerebbe in pieno nel sistema sanzionatorio di cui all’art. 3, comma 4, d.a. 467/2003, il cui primo passo consisterebbe nella “formale diffida” con la quale l’ASP “impone l’eliminazione entro un termine tassativo” della situazione di contrasto. 1. Nei fatti esposti nel ricorso principale, il Centro medico ricorrente è una struttura accreditata in radiologia, operante da un trentennio (Omissis). Quest’ultima, con provvedimento del Commissario straordinario dell’A.S.P. 4 di Enna (Omissis), è stata, però, revocata, poiché, di seguito alla comunicazione della locale stazione dei Carabinieri (occasionata dagli accertamenti eseguiti in occasione del decesso di un’anziana signora avvenuto all’interno di una stanza del Centro), veniva rilevato che i locali del Centro erano stati adibiti “per l’erogazione di attività sanitaria diversa da quella autorizzata in violazione dell’art. 193 del t.u.ll.ss. r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 in relazione al DARS n. 890 del 17.06.2002”. In particolare, i locali cui si riferisce la revoca erano costituiti dalla stanza nella quale era avvenuto il decesso (ed i connessi spazi necessari per accedervi) durante una visita effettuata da un medico cui era stata consentito, asseritamente in maniera precaria ed eccezionale, di effettuare qualche visita di controllo a favore dei suoi clienti della zona. Nella sostanza, quindi, l’ASP contesterebbe al Centro ricorrente l’irregolarità di un tale uso (anche se effettuato per mera cortesia, in via assolutamente eccezionale una volta ogni tanto, nell’orario pomeridiano quando il Centro era chiuso e 84 limitatamente ad una stanza) in difformità a quanto previsto dall’autorizzazione. Inoltre, veniva contestato di “avere detenuto per la somministrazione a paziente medicinali guasti perché scaduti di validità”. 2. Le dette violazioni hanno determinato l’ASP intimata ad adottare il provvedimento di revoca, in quanto ritenute “gravi”. 3. Con ricorso notificato (Omissis), il ricorrente ha impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure: I) Sulla duplicità del richiamo normativo. Il contestuale richiamo, a giustificazione della revoca, dell’art. 193 t.u. leggi sanitarie e dell’art. 3 del decreto attuativo 467/2003 sarebbe affetto da contraddizione, nonché, quanto meno, da perplessità e vizio della motivazione, poiché sarebbero diversi i sistemi sanzionatori disciplinati dalle due norme sia sotto l’aspetto procedurale, sia con riguardo alla gradualità dei provvedimenti, sia, infine, in relazione alla possibilità della revoca a tempo indeterminato. II) Sull’asserita violazione dell’art. 193 t.u. ll.ss. Il riferimento contenuto nella revoca impugnata alla norma calendata sarebbe illegittimo, poiché, al comma 4, ultima parte, viene stabilito che “la durata della chiusura non può essere superiore a tre mesi”. Nel caso in esame, invece, è stata disposta una revoca dell’autorizzazione a tempo indeterminato. III) Sull’asserita violazione dell’art. 3 d.a. Sanità 467/2003. Il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo anche nella parte in cui richiama a suo fondamento l’art. 3 d.a. Sanità 467/2003. 4. L’Assessorato, con detta disposizione, per il caso di inadempienze commesse dai titolari di autorizzazioni per l’apertura ed esercizio di strutture sanitarie, ha inteso fissare regole di carattere generale Repertorio di Giurisprudenza circa le sanzioni irrogabili, nonché il relativo procedimento. La prima di esse stabilisce che l’avvio del procedimento è obbligatoriamente costituito dalla contestazione degli addebiti, non intervenuta, nel caso in esame. Altra regola fissata dall’Assessorato sarebbe quella, conforme ai principi generali dell’ordinamento, della gradualità delle sanzioni, che, infatti, sarebbero progressivamente individuate: - nella “diffida” ad eliminare “le irregolarità rilevate” “entro un termine tassativo”; - nella “chiusura temporanea o parziale della struttura medesima sino alla rimozione delle cause che l’hanno determinata”, in caso di inutile decorso del termine assegnato con la diffida; - infine, nella “revoca dell’autorizzazione”, ma nel solo “caso di reiterate e gravi infrazioni” non altrimenti eliminate. 5. L’ASP non solo non avrebbe contestato le irregolarità ma, di più, avrebbe immediatamente disposto la massima sanzione della revoca. Quest’ultima, per altro, potrebbe essere comminata solo in presenza di “infrazioni” che presentino congiuntamente i requisiti della reiterazione e della gravità, asseritamente non rilevate, né rilevabili, nel caso in esame. Quanto meno, infatti, mancherebbe la reiterazione delle regole fissate per il buon funzionamento dei presidi sanitari. Non sussisterebbe neanche la gravità degli addebiti contestati. L’uso diverso dei locali, per altro estremamente circoscritto a uno di essi, non sarebbe tale da determinare un evento grave o, almeno, tanto grave da imporre la radicale chiusura, per sempre, della struttura sanitaria: la concessione straordinaria e circoscritta dell’uso di uno spazio all’interno del Centro, per la sua limitazione temporale (una volta ogni tanto), per gli orari in cui avveniva (fuori degli orari di apertura del centro), per la parzialità del coinvolgimento (una stanza ed i percorsi necessari per accedervi), per la non interferenza, per l’assenza di pregiudizio per lo svolgimento del servizio convenzionato, rientrerebbe in pieno nel sistema sanzionatorio di cui all’art. 3, comma 4, d.a. 467/2003, il cui primo passo consisterebbe nella “formale diffida” con la quale l’ASP “impone l’eliminazione entro un termine tassativo” della situazione di contrasto. 6. Sul secondo addebito (presenza di due medicinali scaduti). In secondo luogo non è grave la presenza di due medicinali scaduti ed erroneo il riferimento alla violazione all’art. 443 c.p., “avere detenuto per la somministrazione a paziente medicinali guasti perché scaduti di validità”. In disparte l’inconfigurabilità della fattispecie di reato prevista dalla norma, l’assenza di una gravità tale da giustificare la revoca emergerebbe dal confronto con la sanzione amministrativa contemplata per il farmacista che detenga prodotti scaduti. Infatti, l’art. 123, commi 3 e 4, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, di approvazione del testo unico delle leggi sanitarie, recita: “Il titolare deve inoltre curare che i medicinali, dei quali la farmacia è provvista, non siano né guasti né imperfetti. In caso di trasgressione a tale obbligo si applicano le pene stabilite dall’articolo 443 del codice penale” (comma 1). “Nei casi preveduti nel presente articolo, il prefetto, indipendentemente dal procedimento penale, può ordinare la sospensione dall’esercizio della farmacia da cinque giorni ad un mese e, in caso di recidiva, può pronunciare la decadenza dell’autorizzazione ai termini dell’art. 113, lettera e)” (comma 2) . Pertanto, non potrebbe riservarsi ad un 85 Repertorio di Giurisprudenza centro di diagnostica strumentale un trattamento di gran lunga più severo (immediata revoca) di quello previsto per la farmacia (sospensione da 5 gg. ad 1 mese). IV) Sulla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. L’Amministrazione non solo avrebbe omesso di inviare la necessaria diffidacontestazione espressamente contemplata dall’art. 3 d.a. 467/2003, ma avrebbe, altresì, omesso di comunicare l’avvio del procedimento. V) Sul difetto di istruttoria e di motivazione. In via subordinata, il ricorrente lamenta che i fatti sarebbero stati contestati, senza un’adeguata istruttoria e appropriata motivazione. Costituitasi, l’Amministrazione ha concluso per l’infondatezza del ricorso. 7. Con ordinanza dell’1.3.2013, n. 188 questa Sezione si è così pronunciata sulla domanda di sospensione cautelare del provvedimento: “Ritenuto che dal combinato disposto delle norme nazionali e regionali (art. 193 t.u. leggi sanitarie e art. 3 del d.a. 17.4.2003) emerge l’obbligatorietà della revoca degli esercizi sanitari dalle stesse contemplate (e, quindi la vincolatività in quanto all’”an” del provvedimento) nel caso di esercizio dell’attività senza autorizzazione o nei casi di contestuali “reiterate e gravi infrazioni”; “Ritenuto che le dette circostanze, allo stato, non appaiono immediatamente percepibili nella loro necessaria contestualità, configurandosi: “a) l’esercizio della prestazione professionale diversa da quella autorizzata (visite specialistiche), come evento occasionale e non grave anche se reiterato; “b) la somministrazione di medicinali scaduti, come evento astrattamente 86 certamente grave (tale da giustificare il provvedimento impugnato), ma contestato nella dinamica rappresentata dall’Amministrazione, in special modo in riferimento al loro effettivo uso da parte della struttura e alla loro potenziale “nocività” (Omissis); “Ritenuto, tuttavia, che in sede di discussione in Camera di Consiglio sono emersi collegamenti tra i fatti contestati e l’evento che ha determinato il procedimento penale richiamato nel provvedimento impugnato, invero in quest’ultimo non assolutamente rappresentati; “Ritenuto che l’adozione del provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento (emanato in data solo in data 17.1.2013 e al limitato fine di avviare l’iter di revoca del rapporto di accreditamento), contenente la contestazione degli addebiti, e dall’esame delle deduzioni della parte interessata; “Ritenuto, quindi, fermo restando la sospensione dell’attività, che l’Amministrazione dovrà ripronunciarsi motivatamente e senza indugio, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, alla luce delle considerazioni trasfuse in ricorso e negli atti difensivi successivi e degli eventuali approfondimenti e/o specificazioni relativi all’uso e alla natura dei medicinali scaduti, nonché all’eventuale collegamento tra l’evento a rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata; “Ritenuto che, a tal fine, gli Organi preposti alle indagini in corso, salva la tutela del segreto istruttorio, dovranno fornire, ogni utile elemento”. 8. Ricorso per motivi aggiunti. Con provvedimento dell’11.5.2013, richiamati due documenti acquisiti con il supplemento di istruttoria (il verbale dell’interrogatorio reso in Procura il Repertorio di Giurisprudenza 26.4.2013 dal medico ospitato dal Centro e la relazione resa dell’unità operativa di medicina legale dell’ASP il 6.5.2013), l’ASP intimata ha confermato la revoca dell’autorizzazione sanitaria. Il detto provvedimento è stato gravato con ricorso per motivi aggiunti, affidato ai seguenti motivi: I) Mancanza di reiterazione di infrazioni gravi. Asserisce parte ricorrente che l’ASP ha emesso la conferma della revoca senza mai affermare, né direttamente né attraverso il richiamo ai due atti istruttori, l’esistenza di una pluralità di infrazioni qualificabili come gravi. In definitiva l’unico addebito, per il quale con il supplemento di istruttoria si specifica qualcosa di nuovo, riguarderebbe la detenzione del Nifedicor scaduto, che non sarebbe, di per sé, evento grave e, comunque, collegata ad altri episodi contestati, tali da determinare l’ulteriore presupposto richiesto della reiterazione degli stessi. II) Non gravità dell’uso diverso (visite specialistiche). Asserisce parte ricorrente che l’ordinanza resa da questa Sezione, in considerazione della tesi sostenuta oralmente dall’ASP in camera di consiglio, ha disposto che la detta Amministrazione, nel ripronunciarsi, avrebbe dovuto effettuare “eventuali approfondimenti e/o specificazioni” con riferimento “all’eventuale collegamento tra l’evento a rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata”. 9. L’ASP si sarebbe determinata a confermare la revoca dopo avere svolto un’istruttoria di contenuto assolutamente favorevole per il Centro medico, la quale, quindi, avrebbe giustificato una conclusione di segno radicalmente opposto. Infatti l’ASP, dopo avere chiesto informa- zioni agli inquirenti, non avrebbe avuto la possibilità di indicare, con il provvedimento impugnato, alcun “collegamento (per il Centro medico) tra l’evento a rilievo penale e la prestazione professionale diversa da quella autorizzata”. Anzi, secondo le risultanze del supplemento di istruttoria, l’attività diversa era stata svolta in modo assolutamente occasionale, gratuitamente, svincolata da qualsiasi collegamento con l’attività e la gestione del Centro. Infatti dal “verbale d’interrogatorio” del medico ospite (Omissis) richiamato nel provvedimento impugnato e costituente sua motivazione per relationem, risulta che: “non vi era rapporto di lavoro” con il Centro ma che il sanitario fruiva “dei locali esclusivamente a titolo di cortesia”; i responsabili del Centro “non erano a conoscenza che in quel momento” il sanitario “stesse praticando quel tipo di procedura nei confronti” della sua paziente. Dalla relazione dell’unità operativa di Medicina legale, anch’essa richiamata dal provvedimento impugnato, non risulterebbe alcun elemento di fatto attestante la gravità dell’uso diverso da quello autorizzato e addirittura nemmeno si ipotizzerebbe che tale uso possa costituire una violazione grave. Infatti la relazione sul punto si limiterebbe ad affermare che “risultano violate le norme su cui è basata l’autorizzazione sanitaria”. 10. La conferma della revoca sarebbe pertanto ulteriormente illegittima perché il supplemento di istruttoria (attraverso il richiamo del verbale dell’audizione da parte dei carabinieri del medico ospite (Omissis) e della relazione della unità operativa di Medicina legale) non avrebbe provato collegamento alcuno tra l’uso ulteriore 87 Repertorio di Giurisprudenza (visite specialistiche) e l’evento a rilievo penale riguardante il sanitario ospitato ed anzi avrebbe dimostrato l’assoluta estraneità del Centro medico. III) Non gravità della detenzione del Nifedicor scaduto. Il riesame ingiunto dalla predetta ordinanza cautelare infine, avrebbe dovuto essere effettuato nel rispetto del principio secondo il quale è grave la “somministrazione” del medicinale scaduto e non la semplice “detenzione”. L’ASP avrebbe emesso l’impugnata conferma della revoca non potendo in alcun modo affermare che dei medicinali scaduti sia stata fatta “somministrazione”. Anzi ha addirittura accertato che uno di essi (Omissis) era estraneo all’attività svolta dal Centro medico (relazione dell’unità operativa di Medicina legale) e che apparteneva al medico ospite (Omissis). La conferma della revoca sarebbe illegittima nella parte in cui erroneamente risulta motivata sul presupposto che il medicinale scaduto Nifedicor rientrerebbe nella dotazione obbligatoria del c.d. “carrello dell’emergenza” a servizio dell’apparecchiatura per la risonanza magnetica. In primo luogo, perché risulta non la “somministrazione” del medicinale scaduto, ma la sua semplice detenzione, circostanza che nel caso in cui riguardi un farmacista è ritenuta sanzionabile con la semplice chiusura da 5 a 30 giorni. In secondo luogo, perché, comunque, il Nifedicor non è tra i medicinali che devono stare sul carrello dell’emergenza relativo all’apparecchiatura di risonanza magnetica presente nel Centro. Tanto risulta dalle stesse “raccomandazioni” richiamate nella relazione dell’unità operativa di Medicina legale. Infatti, alla pag. 14 di tale documento, interpretando quanto disposto dal d.m. 2 88 agosto 1991 (in particolare l’allegato 3, quadro 4, punto 4.6 e 4.10), si precisa che rientra tra le competenze del c.d. “medico responsabile” di ciascuna struttura l’individuazione dei farmaci che devono fare parte della dotazione del carrello di emergenza a servizio dell’apparecchiatura di risonanza magnetica. 11. Nel caso di specie, il medico responsabile dell’apparecchiatura di risonanza magnetica presente nel Centro (Omissis) in esecuzione del superiore obbligo su di lui gravante, aveva predisposto in data 20.8.2010 il documento contenente la indicazione della dotazione di emergenza, specificando i medicinali che avrebbero dovuto essere presenti, individuati nel numero di cinque, tra i quali non figurerebbe il Nifedicor. IV) Revoca dell’autorizzazione sanitaria per motivo attinente all’autorizzazione assessoriale all’apparecchiatura R.M. Il provvedimento di conferma della revoca dell’autorizzazione sanitaria, nella parte in cui si fonda sulla presenza del Nifedicor scaduto, risulterebbe illegittimo per un’ulteriore ed autonoma ragione fondata sul fatto che l’asserita violazione riguarderebbe non l’autorizzazione sanitaria rilasciata al Centro medico dall’ASP ai sensi del d.a. 890/2002, ma l’autorizzazione dell’Assessorato regionale alla sanità riguardante l’apparecchiatura di risonanza magnetica prevista dal d.m. 2 aprile 1991 e dal d.a. per la Sanità 13.4.1999. Trattasi di due autorizzazioni del tutto autonome rilasciate al Centro medico (Omissis). Invero, in base alla relazione dell’unità operativa di Medicina legale, il Nifedicor sarebbe un medicinale facente parte del “carrello per l’emergenza” di pertinenza esclusiva dell’apparecchio di risonanza magnetica e non richiesto per gli altri Repertorio di Giurisprudenza apparecchi presenti nel Centro medico. Pertanto controllo e potere di irrogare le sanzioni apparterrebbero non all’ASP ma all’Assessorato regionale, si sensi dell’art. 3 d.a. 13.4.1999. V) Sviamento di potere - Difetto di motivazione e di istruttoria - Ulteriore violazione dell’ordinanza. Con ordinanza cautelare (Omissis), la Sezione si è così espressa: “Ritenuto che va confermata la ricostruzione normativa rappresentata con ordinanza (Omissis) resa da questa stessa Sezione; “Ritenuto che, in considerazione della motivazione posta a supporto dei provvedimenti impugnati, in ordine al medicinale scaduto, secondo quanto condivisibilmente argomentato da parte ricorrente, non traspare la gravità dell’evento tale da comportare la revoca dell’autorizzazione amministrativa, posto che, per altro, lo stesso non è stato somministrato ad alcuno e, tanto meno, può dirsi causa che ha determinato il decesso del paziente; “Ritenuto che, così come emerge dal certificato (Omissis) reso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nicosia e, per quanto affermato in camera di consiglio dai difensori dei responsabili della struttura ricorrente, a carico di questi ultimi nessun ulteriore procedimento penale è più in corso, essendo stato archiviato dal competente GIP, su richiesta del Pubblico Ministero, quello instaurato per i reati previsti dagli artt. 443 (commercio o somministrazione di medicinali guasti) e 589 c.p. (omicidio colposo), nonché dall’art. 193 l. n. 1265 del 1934, a mente del quale “nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medicochirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità”; “Ritenuto, quindi, che, almeno allo stato, i detti rappresentanti della struttura risultano non responsabili per le due ipotesi gravi che avrebbero, in teoria, consentito l’adozione del provvedimento impugnato”. (Omissis) Motivi della decisione 1. I ricorsi sono fondati. In vista dell’udienza pubblica nessuna ulteriore novità in punto di fatto, se non la sussistenza degli atti adempitivi alle ordinanze rese da questa Sezione, è stata rappresentata in giudizio. Il dovere di sinteticità espressamente sancito dall’art. 74 c.p.a. può essere assolto con il richiamo, in punto di fatto, a quanto sopra rappresentato e, in punto di diritto, alle articolate ordinanze cautelari (Omissis), con le quali si è chiaramente indicato che non sussistono i requisiti della gravità e, comunque, della reiterazione dei fatti giustificativi di una sanzione definitiva, quale quella comminata dalla resistente Amministrazione sanitaria. 2. Consegue, come premesso, l’accoglimento dei ricorsi e, dunque, l’annullamento degli atti impugnati. Le ragioni che, a monte, hanno determinato l’Amministrazione a intervenire con il provvedimento impugnato con il ricorso principale, comunque, inducono il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, dispone 89 Repertorio di Giurisprudenza l’annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. ?? T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. III, 12 agosto 2014, n. 2175 • C.A. e R.L.M.C. c. Comune di Palermo. Concessione cimiteriale • Sepoltura gentilizia • Atti di ritiro della concessione • Decadenza sanzionatoria. La decadenza sanzionatoria si differenzia dagli altri atti di ritiro (quali l’annullamento o la revoca) perché non comporta un riesame dell’atto, alla stregua della sua legittimità o opportunità, bensì una valutazione del comportamento tenuto dal destinatario durante lo svolgimento del rapporto. In questa direzione la decadenza dall’autorizzazione amministrativa è un atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, che non richiede specifiche valutazioni in ordine all’interesse pubblico alla sua adozione. 1. I ricorrenti impugnano il provvedimento di decadenza dalla concessione cimiteriale “perpetua” presso il cimitero (Omissis) di Palermo, adottato dal resistente comune e motivato da gravi e reiterate violazioni delle norme che disciplinano l’uso della sepoltura oggetto della concessione. In particolare, è stata contestata ai ricorrenti la violazione del divieto previsto nel contratto di concessione di immettere nel sepolcro salme estranee non prima di avervi immesso almeno un proprio parente o 90 affine entro il 6 grado; dette tumulazioni sono state effettuate su richiesta di (Omissis), in qualità di procuratore della moglie e del figlio del concessionario originario (Omissis). 2. I ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento di decadenza sotto numerosi profili riguardanti l’incompetenza dell’organo emanante, la sussistenza di vizi procedimentali, l’assenza di una congrua motivazione e dell’indicazione dell’autorità giurisdizionale contro cui agire, la violazione del contratto di concessione nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per sviamento dell’interesse pubblico. 3. Si è costituito in giudizio l’intimato Comune, depositando memorie scritte e contestando la fondatezza delle censure proposte. Alla camera di consiglio (Omissis) è stata respinta l’istanza cautelare proposta, per difetto dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Alla pubblica udienza (Omissis), in presenza dei difensori delle parti e su loro conforme richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione. Motivi della decisione 1. Il ricorso è infondato e va respinto. Con il provvedimento impugnato l’amministrazione comunale ha dichiarato la decadenza della concessione cimiteriale relativa alla sepoltura gentilizia in uso ai ricorrenti, motivata dalla violazione dell’art. 3 del contratto di concessione stipulato (Omissis) tra il comune e l’originario concessionario e dell’art. 9 del regolamento cimiteriale del 1912, norma applicabile ratione temporis alla sepoltura oggetto della controversia. L’atto di decadenza è stato legittimamente disposto dal dirigente dell’Ufficio competente, Repertorio di Giurisprudenza rientrando nel novero degli atti gestionali ed esecutivi adottati nel corso dello svolgimento del rapporto concessorio, come tale espressione della funzione di amministrazione attiva spettante, ai sensi dell’art. 107 del t.u.e.l., alla dirigenza (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2013, n. 5421). 2. Il provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e l’apporto partecipativo fornito dagli interessati, come risulta dal preambolo dell’atto impugnato, è stato oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione benché le osservazioni formulate non siano state in grado di modificare l’esito del provvedimento finale. Invero, come si evince dalla ricostruzione dei fatti risultante dagli atti del giudizio, la decadenza è stata pronunciata a seguito delle ripetute violazioni dell’art. 3 della concessione-contratto stipulata tra le parti e del divieto ivi sancito di tumulare soggetti estranei nel sepolcro; non assume rilievo in proposito la circostanza che le tumulazioni siano state disposte da soggetto diverso dal concessionario, in quanto questi ha operato in qualità di procuratore speciale all’uopo nominato, in forza di atto notarile, dall’odierno ricorrente A.C., unitamente alla madre, soggetti sui quali incombeva un obbligo di vigilanza sul corretto operato del delegato. 3. Non risulta del resto che i rappresentati, venuti a conoscenza dell’illecito comportamento del procuratore e delle operazioni poste in essere sulla sepoltura gentilizia, abbiano intrapreso azioni volte a far cessare gli effetti della procura conferita e a contestare la legittimità degli atti compiuti dal rappresentante. Non rileva, inoltre, sul punto che il comune non sia stato in grado di contestare immediatamente le irregolarità compiute nella gestione del sepolcro, in quanto il decorso del tempo non inficia il potere di pronunciare la decadenza a fronte dell’accertamento delle violazioni del rapporto concessorio (cfr. T.A.R. Campania, sez. VII, 4 settembre 2013, n. 4166). 4. Il provvedimento adottato, infatti, va ascritto alla categoria della decadenza sanzionatoria in quanto evidenzia, a carico del destinatario di un precedente provvedimento concessorio, inadempimenti tali da impedire la costituzione o la prosecuzione del rapporto sorto per effetto del suddetto provvedimento ampliativo (cfr. T.A.R. Lombardia, sez. II, 7 aprile 2006, n. 985). In ciò si differenzia dagli altri atti di ritiro (quali l’annullamento o la revoca) perché non comporta un riesame dell’atto, alla stregua della sua legittimità o opportunità, bensì una valutazione del comportamento tenuto dal destinatario durante lo svolgimento del rapporto. In questa direzione la decadenza dall’autorizzazione amministrativa è un atto dovuto, vincolato ed espressione di un potere di autotutela ad avvio doveroso, che non richiede specifiche valutazioni in ordine all’interesse pubblico alla sua adozione (T.A.R. Liguria, sez. I, 21 settembre 2011, n. 1393). Dalla natura vincolata del provvedimento consegue altresì l’irrilevanza di eventuali vizi procedimentali, che non potrebbero comunque comportare, ex art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, l’annullamento dell’atto impugnato. Tanto meno rileva l’omessa indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere che non determina, per giurisprudenza costante, l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ma solo una mera irregolarità eventualmente valutabile ai fini della rimessione in termini in ipotesi di impugnazione tardiva, in quanto la 91 Repertorio di Giurisprudenza disposizione dell’art. 3 comma 4, l. n. 241 del 1990 tende semplicemente ad agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale (T.A.R. Lecce, sez. III, 7 aprile 2011, n. 608; T.A.R. Campania, sez. VII, 8 aprile 2011, n. 2009). 5. Infine, è infondata la linea difensiva addotta secondo la quale, essendo la concessione oggetto di giudizio di tipo “perpetuo”, la stessa non potrebbe essere comunque oggetto di decadenza. Giova in proposito ricordare che l’art. 842, comma 3 del codice civile include espressamente i cimiteri nel demanio comunale e la concessione da parte del comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro. Ciò comporta la legittimità sia degli atti di revoca che di decadenza a valere su dette concessioni, non potendosi configurare atti dispositivi, 92 in via amministrativa, senza limiti di tempo a carico di elementi del demanio pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, sez. II, 18 gennaio 2012, n. 70). 6. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso non può essere accolto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del resistente comune come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Palermo, che liquida in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori se e in quanto dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Rassegna di Giurisprudenza a cura di Giuliana Poleggi Le forme speciali di vendita SOMMARIO: 1. Commercio elettronico. – 1.1. Vendita on line di servizi ricettivi. – 1.2. Non liceità del commercio elettronico di autovetture. – 2. Impianti self-service di carburanti. – 2.1. Questioni di legittimità costituzionale: orari degli impianti relativamente alla modalità self-service nell’erogazione dei carburanti. – 3. Distributori automatici. – 3.1. Patentino per la vendita di generi di monopolio. – 3.2. Distributori automatici: procedura negoziata per l’affidamento del servizio da parte di una p.a. – 3.3. Attività di commercio effettuato a mezzo di distributori automatici: aliquota Iva applicabile. – 3.4. Vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici: concessione di servizi. 1. Commercio elettronico 1.1. Vendita on line di servizi ricettivi Nei fatti, due società, appartenenti allo stesso gruppo societario di gestione di strutture recettive turistiche, hanno presentato ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio per l’annullamento di un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) con cui, dopo avere deliberato il compimento di una pratica commerciale scorretta da parte di entrambe le suddette società, l’Autorità irrogava a ciascuna società una sanzione amministrativa pecuniaria (pari a 60.000 euro per la prima e 30.000 euro per la seconda), prevedendo, altresì, l’obbligo del professionista di comunicare alla stessa Autorità (entro il termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento) le iniziative assunte in ottemperanza alla diffida compimento della pratica commerciale scorretta. Va specificato che una delle due società era titolare di un marchio utilizzato da numerose strutture alberghiere facenti parte dell’omonima catena, mentre la seconda gestiva il sito internet del gruppo, per conto del quale curava l’aggiornamento dei dati pubblicizzati dal sito e gli eventuali reclami dei consumatori sulle prenotazioni effettuate tramite call-center. Nello specifico, la pratica censurata dal Garante sarebbe consistita nella divulgazione di informazioni omissive ed ingannevoli circa l’identità e la sede del soggetto offerente i servizi pubblicizzati sul sito internet, nonché altre carenti informazioni rilevanti. In particolare l’Autorità, sulla base di una dettagliata e puntuale analisi del sito internet ha rilevato come, nell’ambito dei messaggi presenti sullo stesso, finalizzato alla promozione dei servizi recettivi del gruppo, sia stata più volte utilizzata la locuzione relativa al nome del gruppo per individuare un soggetto unitario, al quale ricondurre l’offerta. Precisamente, al gruppo facevano riferimento l’omonimo link della home page e le sezioni nelle quali esso si articolava. Al gruppo facevano pure riferimento 93 Rassegna di Giurisprudenza la “Guida alla prenotazione” e la sezione “Contatti”, che forniva un’indicazione di numeri telefonici attraverso i quali era possibile contattare un operatore per informazioni. Anche il link “Hotels e villaggi”, ulteriormente articolato nei link “Struttura”, “Dati villaggio” e “Servizi”, pur contenendo la descrizione delle caratteristiche degli hotel, non riportava la denominazione e la sede o il recapito del gestore delle stesse. Con riferimento alle modalità di prenotazione on line (corrispondente ad altro link sulla home page), l’Autorità ha rilevato poi l’assenza di indicazioni relative al soggetto percettore dei pagamenti e alla procedura per richiedere il rimborso di eventuali somme erroneamente versate, facendosi ordinariamente riferimento al nome della catena alberghiera. Dall’istruttoria è pure emerso che, nella sezione “Conclusioni” compariva un indirizzo e.mail – info@(nome della catena alberghiera) – da contattare in caso di dubbi, suggerimenti e chiarimenti e, nello step “Riepilogo della prenotazione” venivano illustrate le condizioni di acquisto della sistemazione nella specifica struttura, ma non l’identità delle società che gestivano le strutture. Le criticità non sono state eliminate in corso di procedimento, atteso che l’Autorità ha verificato che le modifiche apportate al sito ed illustrate dal gruppo con una memoria, hanno inciso su aspetti formali privi di rilevanza, mentre, con riferimento agli specifici servizi offerti negli alberghi della catena, le indicazioni relative alla denominazione, alla sede e alle condizioni generali di vendita delle singole società gestrici delle singole strutture apparivano visualizzabili, ma solo dopo vari passaggi successivi alla home page. L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato ha, quindi, ritenuto la pratica commerciale accertata in contrasto con l’art. 20, comma 1, del codice del consumo, che vieta le pratiche commerciali scorrette, con il successivo art. 21, che qualifica come ingannevole una pratica commerciale “che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio” su aspetti riguardanti, tra gli altri, la natura, le qualifiche e l’identità del professionista, e con l’art. 22, commi 2, 4, lett. b) e d) e 5), il quale dopo aver previsto che, “Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1 (...) quando ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, stabilisce come, nel caso di un invito all’acquisto sono considerate rilevanti le informazioni relative a “b) l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce;... d) le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale”, precisando, infine, che “Sono considerati rilevanti, ai sensi 94 Rassegna di Giurisprudenza del comma 1, gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto”. L’Autorità ha pure rilevato come la pratica commerciale in esame fosse in contrasto con le previsioni del d.lgs. n. 70 del 2003 il quale, in materia di commercio elettronico, agli artt. 7 e 8, stabilisce, a carico dell’operatore, un obbligo di completezza informativa avente ad oggetto il nome, la denominazione o la ragione sociale, il domicilio o la sede legale, gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lo stesso (compreso l’indirizzo di posta elettronica) e, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi, una specifica informativa, diretta ad evidenziare la persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale. Infine, l’opacità delle informazioni, come sopra descritta, la rilevanza delle medesime ai fini della fruibilità dell’offerta, la circostanza che la competenza e l’attenzione in concreto utilizzate siano inferiori a quelle che è ragionevole attendersi dal professionista e l’idoneità delle informazioni fornite ad indurre in errore il consumatore sono state pure evidenziate nel parere reso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni su richiesta dell’A.G.C.M. (la cui acquisizione si è resa necessaria, ai sensi dell’art. 27, comma 6 del codice del consumo, in quanto la pratica commerciale è stata diffusa a mezzo internet). Nel ricorso, le ricorrenti sostenevano che, poiché il sito internet era finalizzato alla sottoscrizione di un contratto alberghiero, il consumatore medio non avrebbe potuto prescindere, nella consultazione del sito, dall’esame delle sezioni “condizioni generali hotel” e “condizioni di vendita”, sulla base delle quali egli sarebbe venuto in possesso di tutte le indicazioni utili sia in relazione ai dati identificativi dei soggetti che offerente il servizio sia di quelle relative alle procedure di gestione dei reclami. Per le ricorrenti, l’Autorità avrebbe anche omesso di considerare la bassissima percentuale di contestazioni – inferiore allo 0,0060% in tutti gli anni oggetto di esame e, peraltro, quasi sempre oggetto di transazione – circostanza questa che avrebbe di fatto dimostrato l’inidoneità del sito a trarre in inganno i consumatori. Le ricorrenti hanno altresì lamentato che gli accertamenti, sulla cui base è stata riscontrata la sussistenza della pratica commerciale sanzionata, siano avvenuti senza utilizzo degli strumenti offerti dall’art. 13 della delib. A.G.C.M. n. 17589 del 2007, contenente il regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette e consistenti in perizie, analisi statistiche ed economiche. I Giudici però hanno rilevato in proposito come le stesse società ricorrenti non abbiano contestato efficacemente, in fatto, la circostanza che il sito non consentisse, o consentisse dopo un significativo numero di passaggi, l’accesso alle informazioni attinenti all’identità del soggetto, alla sua sede, alla qualità del professionista, alla procedura di prenotazione e al sistema di trattamento dei reclami (circostanza dettagliatamente documentata dall’amministrazione resistente). 95 Rassegna di Giurisprudenza I Giudici hanno inoltre ricordato come, nell’assetto di interessi disciplinato dal d.lgs. n. 206 del 2005, le norme a tutela del consumo delineano una fattispecie di “pericolo”, essendo preordinate a prevenire le possibili distorsioni delle iniziative commerciali nella fase pubblicitaria, prodromica a quella negoziale, sicché non è richiesto all’Autorità di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la potenziale lesione della loro libera determinazione. Quanto, infine, alla prospettata necessità di avvalersi, in sede istruttoria, degli strumenti di cui all’art. 13 del regolamento dell’Autorità sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette, il Tribunale amministrativo ha osservato che la norma non prevede affatto un obbligo di utilizzo delle modalità istruttorie invocate dalle ricorrenti e che il provvedimento gravato ha determinato la sanzione tenendo conto della gravità della violazione, desunta dall’elevato grado di diffusione della condotta, suscettibile, per le relative modalità di realizzazione (offerta mediante internet), di ledere un numero significativo di consumatori, nonché delle dimensioni delle due società oltre ai fatturati e risultati di bilancio. La valutazione effettuata dall’Autorità al fine della determinazione degli importi delle sanzioni amministrative è pertanto apparsa ai Giudici operata in maniera logica e correttamente correlata a tutti i richiamati parametri normativi. In estrema sintesi, per tutto quanto sopra, il ricorso è stato respinto (T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, sent. 25 marzo 2014, n. 3270). 1.2. Non liceità del commercio elettronico di autovetture Roma Capitale, con nota ha comunicato ad una società che la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia) per commercio elettronico di autovetture non poteva essere accolta poiché il Dipartimento Attività Economiche e Produttive, Formazione e Lavoro (sempre con nota) aveva comunicato a tutti i 19 Municipi che “l’attività di vendita di auto nuove ed usate non può essere esercitata mediante il commercio elettronico di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 114 del 1998, in quanto il bene di scambio, nel caso di specie auto nuove o usate, rientra nella categoria dei beni mobili registrati per cui data la natura giuridica degli stessi, è necessaria la sottoscrizione del contratto di compravendita, anche ai fini della successiva registrazione al P.R.A. Tale tesi risulta avallata da quanto disposto all’art. 11 del d.lgs. n. 70 del 2003, che disciplina i casi di esclusione dei contratti di beni di scambio che non possono essere oggetto di commercio elettronico. Si ritiene di dover applicare la stessa ratio anche per le altre forme speciali di vendita per corrispondenza o altri mezzi di comunicazione di cui all’art. 18 del d.lgs. n. 114 del 1998”. Di fronte al rifiuto, la società ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo impugnando il provvedimento per l’annullamento, ma il ricorso è stato respinto con le argomentazioni a seguire. In primo luogo, il provvedimento impugnato è stato congruamente motivato in quanto, anche attraverso il rinvio per relationem alla nota dell’amministrazione 96 Rassegna di Giurisprudenza comunale sopra citata, espone le ragioni di fatto e di diritto a base della sua adozione. Inoltre, e questo costituisce il punto centrale della controversia, il provvedimento è basato su presupposti di fatto non erronei e costituisce una corretta applicazione della norma di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 70 del 2013. Il contratto di compravendita di un’automobile non richiede la forma scritta ad substantiam, ma si perfeziona, così come la vendita di qualsiasi bene mobile, con il semplice consenso delle parti validamente manifestato. La forma scritta, però, è richiesta ai fini della trascrizione al Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) e, può essere sostituita, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del r.d. n. 814 del 1927, nel caso di vendita verbale, da dichiarazione autenticata sottoscritta dalla sola parte venditrice. Pertanto, ai fini della validità ed efficacia del trasferimento di proprietà del bene non rileva la circostanza che l’atto di alienazione non sia stato trascritto presso il P.R.A., che, invece, configura uno strumento di pubblicità legale e di tutela in quanto volto a dirimere i conflitti che dovessero sorgere tra aventi causa dal medesimo venditore che vantino diritti sullo stesso bene. Tuttavia, appare indubitabile che – richiedendo il contratto, sia pure al fine di costituire uno strumento di pubblicità legale e di risoluzione di conflitti tra più aventi causa dal medesimo dante causa, la sottoscrizione di almeno una delle due parti, la parte venditrice, e l’esercizio di pubblici poteri, funzionale all’esecuzione della trascrizione presso il P.R.A. – la fattispecie rientra tra le cause di esclusione del commercio elettronico di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 70 del 2013. In sintesi, l’attività avente ad oggetto il commercio di veicoli, intesa nel senso del perfezionamento della vendita degli stessi, pertanto, non può avvenire in forma elettronica per espressa previsione legislativa. Diversamente, può senz’altro essere effettuata in forma elettronica l’attività di offerta al pubblico degli autoveicoli al pubblico, che costituisce una fase antecedente al perfezionamento del contratto di compravendita attraverso il quale avviene il trasferimento di proprietà del bene verso il pagamento di un prezzo. La ricorrente ha dedotto che l’amministrazione, prima di adottare il provvedimento tardivo, non avrebbe previamente comunicato alla ricorrente le ragioni ostative all’accoglimento della Scia, ma la censura è stata disattesa. A prescindere dalla considerazione che, come si vedrà infra, i Giudici non hanno ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina di cui all’art. 19 l. n. 241 del 1990, la natura vincolata dell’azione amministrativa determina che il provvedimento non è in alcun caso annullabile per vizi del procedimento. L’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990, infatti, dispone che non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 97 Rassegna di Giurisprudenza Parimenti, la censura di violazione dell’art. 19, l. n. 241 del 1990 non ha persuaso i Giudici in quanto la Scia è stata presentata il 3 ottobre, mentre il provvedimento impugnato è stato adottato il 27 dicembre 2012 e spedito il 2 gennaio 2013, vale a dire oltre il termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione. L’art. 19, l. n. 241 del 1990 stabilisce che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze. Il terzo comma dell’art. 19 prevede che l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo comma, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. Il Collegio ha posto in rilievo che il commercio elettronico di automobili, nel senso di compravendita di automobili in via telematica, non è neanche astrattamente configurabile, sicché la fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione di cui all’art. 19, l. n. 241 del 1990. Il citato art. 19 si riferisce infatti ad attività il cui esercizio può astrattamente avvenire a seguito di segnalazione certificata di inizio attività, mentre il potere inibitorio si riferisce all’assenza di requisiti o presupposti per poter svolgere in concreto l’attività in astratto esercitabile. In altri termini, la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività non può di per sé rendere lecita un’attività illecita, sicché, nella fattispecie in esame, la Scia, non rientrando nel perimetro di applicazione di cui all’art. 19, l. n. 241 del 1990, deve sostanzialmente considerarsi tamquam non esset (T.A.R. Lazio – Roma, sez. II ter, sent. 18 febbraio 2014, n. 1918). 2. Impianti self-service di carburanti 2.1. Questioni di legittimità costituzionale: orari degli impianti relativamente alla modalità self-service nell’erogazione dei carburanti La Corte Costituzionale ha valutato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della l.r. Toscana n. 13 del 2013 (recante Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla l.r. n. 28/2005 e alla l.r. n. 52/2012) ritenendola fondata. 98 Rassegna di Giurisprudenza La resistente regione ha rimarcato, nel tentativo di difesa della legittimità della norma, che si trattava di intervento regionale nella materia del commercio, con la finalità di bilanciare l’interesse al libero accesso ed esercizio dell’attività di distribuzione con altri interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela dell’occupazione, la tutela del consumatore e la salvaguardia dell’incolumità pubblica. Stessa finalità, ritenuta tale da legittimare l’intervento regionale, è stata ricondotta dalla resistente alla disposizione di cui all’art. 16 della legge reg. n. 13 del 2013, che ha modificato l’art. 54-bis della legge reg. n. 28 del 2005, la quale ha limitato la possibilità di ubicare gli impianti dotati esclusivamente di impianti “self-service” solo nelle aree montane e insulari, in considerazione dell’incidenza negativa sull’occupazione di dette installazioni. La Suprema Corte ha innanzitutto osservato che la disposizione relativa all’orario degli impianti di distribuzione di carburanti, sostituendo l’art. 84, comma 3, della l.r. Toscana n. 28 del 2005, impone il funzionamento contestuale della modalità “servito” e della modalità “self-service” durante l’orario di apertura dell’impianto, in contrasto con quanto stabilito dall’art. 28, comma 7, del citato d.l. n. 98 del 2011, espressivo della competenza statale esclusiva in materia di concorrenza ex art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. L’onere aggiuntivo imposto agli operatori toscani origina, invero, una alterazione della parità concorrenziale in patente violazione del citato art. 28, comma 7, secondo cui “Non possono essere posti specifici vincoli all’utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, durante le ore in cui è contestualmente assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, a condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la presenza del titolare della licenza di esercizio dell’impianto rilasciata dall’ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori. (...)” (Corte Cost., sent. 11 giugno 2014, n. 165). 3. Distributori automatici 3.1. Patentino per la vendita di generi di monopolio Il Tribunale amministrativo della Campania ha affermato che (ai sensi dell’art. 23 della l. n. 1293 del 1957 e art. 54 del d.P.R. n. 1074 del 1958) non è possibile concedere il patentino per la vendita di tabacchi in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina posto al di sotto della distanza minima di 200 metri. Infatti, il c.d. patentino per la vendita di tabacchi può essere rilasciato anche laddove non siano rispettati i limiti di distanza richiesti per l’istituzione di una tabaccheria, a condizione che il bar del beneficiario del patentino osservi un orario più ampio rispetto a quello delle rivendite circostanti ed un turno di riposo settimanale in giornata diversa dalla domenica, usuale giorno di riposo delle tabaccherie. Nei fatti, la società ricorrente, titolare di un esercizio commerciale in una zona che, negli ultimi anni, aveva conosciuto un forte incremento demografico, 99 Rassegna di Giurisprudenza atteso il considerevole sviluppo urbanistico e la sua localizzazione nel centro della città, inoltrava regolare istanza, all’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato, per il rilascio del patentino, per la commercializzazione dei tabacchi nell’esercizio dalla medesima gestito. Con il provvedimento impugnato però la p.a. aveva negato il richiesto titolo abilitativo. Il ricorso è stato reputato privo di fondamento e, nelle argomentazioni a sostegno di tale tesi, i Giudici hanno ritenuto opportuno operare una sintesi delle norme di legge e delle istruzioni amministrative, vigenti nella materia in esame. In tal prospettiva, viene anzitutto in rilievo l’art. 23 della l. n. 1293 del 1957, intitolato “Patentino per la vendita dei generi di monopolio”, il quale prevede: “Salvo quanto previsto per le rivendite ordinarie e speciali, l’amministrazione può consentire la vendita dei generi di monopolio nei pubblici esercizi, nei luoghi di ritrovo e di cura e negli spacci cooperativi. L’autorizzazione è effettuata a mezzo di patentino. La rivendita ordinaria più vicina al locale cui è concesso il patentino rifornisce quest’ultimo dei generi, salvo diversa determinazione dell’amministrazione”. L’art. 54 del d.P.R. n. 1074 del 1958, intitolato “Patentini”, ai suoi primi quattro commi prevede: “I patentini sono rilasciati dall’Ispettorato compartimentale secondo le norme di massima della Direzione generale. Le relative licenze sono valide per un biennio, salvo rinnovo, ed abilitano alla vendita di tutti i generi di monopolio o di parte di essi. Ai titolari dei patentini sono estese le disposizioni di cui all’art. 6 della legge nonché per quanto applicabili, le norme relative ai doveri da osservarsi da parte dei rivenditori. Il titolare del patentino deve rifornirsi di generi di monopolio presso la rivendita ordinaria più vicina al suo esercizio. L’Ispettorato compartimentale può disporre una diversa aggregazione quando la norma di cui innanzi possa comportare alterazione dell’assetto di vendita dei generi di monopolio nella zona”. Quanto alle istruzioni, diramate dall’amministrazione delle Finanze, i Giudici hanno osservato che la circolare n. 04/63406 del 2001, nel titolo V, dedicato ai patentini, alla lett. a), intitolata “Tipologie di locali”, stabilisce quanto segue: “I patentini, possono essere istituiti presso: 1. alberghi; 2. stabilimenti balneari; 3. campi sportivi; 4. discoteche; 5. pubs; 6. ristoranti e pizzerie; 7. locali da ballo; 8. cinema multisala con annesso punto di ristoro; 9. bar di rilevante frequentazione dotati di adeguate strutture di intrattenimento; 10. nelle sale “Bingo”, quando non resti possibile procedere all’impianto di rivendite speciali” (...). “II patentino, in considerazione del carattere di complementarietà del servizio svolto, non deve essere una duplicazione delle rivendite, bensì un’espansione della preesistente struttura di vendita giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie. A tal proposito assumerà preminente rilievo l’orario prolungato dell’esercizio del richiedente rispetto alle rivendite circostanti, il giorno di riposo settimanale diverso rispetto a quello delle tabaccherie viciniori e l’eventuale presenza di distributori automatici nella tabaccheria più vicina. In quest’ultimo caso il patentino non potrà essere concesso. L’estensione del servizio della 100 Rassegna di Giurisprudenza preesistente struttura di vendita, che viene a realizzarsi con il rilascio del patentino – ferme restando le prescrizioni di cui alla presente circolare – dovrà in ogni caso essere correlata ad obiettive esigenze di servizio, tali da giustificare l’ampliamento del servizio di vendita al pubblico (...)”. La successiva circolare, n. 04/64713 del 2001, sempre riguardo alla tematica in esame, ha previsto che l’inconcedibilità del patentino in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina deve intendersi operante solo nel caso che il distributore medesimo sia posto al di sotto della distanza minima – (ordinariamente prevista per l’impianto delle rivendite in relazione alla popolazione del comune) – dal locale proposto per il rilascio del patentino medesimo. Distanza che nella fattispecie concreta, essendo il comune con popolazione compresa tra i 10.000 e i 30.000 abitanti, è pari a 300 metri. L’ulteriore circolare n. 375/UDG del 2005, intitolata “Nuova regolamentazione delle procedure di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini” (per quanto qui rileva) prevede che: “La recente introduzione di nuove norme antifumo e la correlata esigenza di porre sotto attento controllo l’intera rete di vendita impongono una modifica delle direttive emanate stabilendo criteri più rigorosi in tema di patentini. A tal fine si forniscono i nuovi sottostanti indirizzi, per la valutazione della effettiva necessità di integrare la rete primaria, costituita dalle rivendite, che dovranno essere rispettati nella fase di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini. Per il rilascio non sarà più presa in considerazione la presenza nel locale della sala di intrattenimento in quanto scarsamente compatibile con le predette norme antifumo, ma si farà esclusivo riferimento alla effettiva rilevanza, collocazione e frequentazione dello stesso. Si eviterà, tuttavia, di procedere al rilascio di patentini in locali ubicati ad una distanza inferiore a metri 100 dalla rivendita più vicina” (...) “Gli intestatari dei patentini che avranno scadenza successiva al 31 dicembre 2005 non potranno più rinnovarli automaticamente con l’apposizione della prescritta marca da bollo ma dovranno presentare, almeno un mese prima della scadenza, specifica istanza (in bollo) al competente Ispettorato corredata da apposita dichiarazione attestante la quantità ed il valore dei prelievi effettuati risultanti dal modo U88/ Pat. regolarmente compilato e firmato dalle parti. Tali dichiarazioni potranno essere oggetto di specifici accertamenti circa l’effettiva sussistenza del dato dichiarato ed, in caso di falsità del loro contenuto o di omesso invio delle stesse, le relative istanze verranno respinte. A tale riguardo si evidenzia che uno degli elementi fondamentali, ai fini della decisione di rinnovo, dovrà essere il rapporto fra il prelievo della rivendita di aggregazione e quello del patentino. Salvo situazioni particolarissime, per collocazione ambientale e tipologia di clientela, ovvero quando non vi sia alcuna sovrapposizione con il servizio reso dalla tabaccheria di aggregazione, si eviterà di procedere al rinnovo delle autorizzazioni che prelevino annualmente tabacchi per un valore lordo inferiore al 15% di quello complessivo dei generi esitati dalla rivendita, stante la loro scarsa necessità nell’interesse del servizio” (...) “Ai fini applicativi di quanto sopra indicato occorrerà: – eliminare l’indicazione relativa al rinnovo automatico in occasione del rilascio di nuovi patentini sostituendola con le 101 Rassegna di Giurisprudenza nuove disposizioni; avvisare i titolari delle autorizzazioni già rilasciate del nuovo regime di rinnovo e voltura; – richiedere ai titolari di tutte le autorizzazioni concesse l’invio, con cadenza semestrale, di un prospetto riepilogativo del modello U88/Pat contenente l’entità complessiva, a quantità e valore, dei prelevamenti effettuati nel semestre; integrare la banca dati dei patentini con l’indicazione della loro produttività”. Infine, l’art. 7 del d.m. n. 38 del 2013, entrato in vigore il 17 aprile 2013 (dopo l’adozione del provvedimento gravato), intitolato “Criteri per il rilascio di patentini” (che comunque è stato riportato in quanto indicativo delle linee di tendenza della normativa concernente la specie), prevede quanto segue: “1. Ai fini del rilascio di patentini l’Ufficio competente prende in considerazione il carattere di complementarietà del servizio di vendita dei tabacchi lavorati che costituisce mera espansione di una preesistente struttura di vendita, non sovrapponibile alla stessa e giustificata dalla necessità di erogazione del predetto servizio in luoghi e tempi in cui tale servizio non può essere svolto dalle rivendite ordinarie. 2. I patentini possono essere istituiti presso pubblici esercizi dotati di licenza per la somministrazione di cibi e bevande, nonché presso i seguenti esercizi: a) alberghi; b) stabilimenti balneari; c) sale “Bingo”; d) agenzie di scommesse e punti vendita aventi come attività principale la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblico; e) esercizi dediti esclusivamente al gioco con apparecchi di cui all’articolo 110 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, come definiti dall’articolo 9, comma 1, lettera f), del d. dirett. 22 febbraio 2010 del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 9 febbraio 2010, n. 32; f) bar di rilevante frequentazione, in presenza di comprovati elementi che dimostrano l’elevato flusso di pubblico, la rilevanza dei servizi resi alla clientela, la concreta esigenza di approvvigionamento di prodotti da fumo. 3. Ai fini dell’adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all’esercizio del richiedente, valutano: a) l’orario prolungato dell’esercizio rispetto a quello delle rivendite circostanti; b) il giorno di riposo settimanale praticato dall’esercizio in un giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine; c) la distanza dell’esercizio dalla rivendita più vicina, comunque non inferiore a 100 metri; d) l’ubicazione e la dimensione dell’esercizio; e) la redditività dell’esercizio prodotta negli ultimi ventiquattro mesi, valutata anche mediante verifica del numero di scontrini fiscali ovvero di biglietti di accesso emessi quotidianamente, nonché dalle dichiarazioni dei redditi ed Iva; f) l’eventuale presenza di distributori automatici nella rivendita ordinaria più vicina; g) l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili. 4. In ogni caso il patentino non può essere concesso quando presso la rivendita più vicina risulti installato un distributore automatico di tabacchi lavorati e la stessa rivendita sia a distanza inferiore a quelle di cui all’articolo 2, comma 2”. Nell’interpretare le norme di legge e le circolari, sopra specificate, la giurisprudenza amministrativa ha statuito, per quanto qui rileva, che il c.d. “patentino” 102 Rassegna di Giurisprudenza per la vendita di tabacchi può essere rilasciato anche laddove non siano rispettati i limiti di distanza richiesti per l’istituzione di una tabaccheria, a condizione però che il bar del beneficiario del patentino osservi un orario più ampio rispetto a quello delle rivendite circostanti ed un turno di riposo settimanale in giornata diversa dalla domenica, usuale giorno di riposo delle tabaccherie; ciò sulla base della circolare n. 375/UDG dell’1 agosto 2005, tuttora vigente, in base alla quale non devono essere assentite mere duplicazioni di servizi già esistenti (nella specie, sulla base di tale principio, è stato ritenuto legittimo il diniego di rilascio del patentino basato sulla accertata esistenza di due rivendite delle quali una effettuava “orari lunghi e prolungati” e l’altra era provvista di distributore automatico che assicurava il servizio nelle ore di chiusura. La circolare prot. 375/UDG del 2005, avente ad oggetto la “Nuova regolamentazione delle procedure di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini”, ha introdotto un criterio di distanza minima, evidentemente incompatibile con l’applicazione di quelli (più articolati, ma comunque basati sulla distanza) previsti dalle precedenti circolari, che funziona come limite oggettivo all’esercizio di una valutazione discrezionale, che deve riguardare la “rilevanza, collocazione e frequentazione” del locale. Si fa, quindi, riferimento alla potenzialità di dar luogo ad una integrazione della rete di vendita, e non ad una duplicazione dei punti di vendita, secondo una prospettiva coerente con i principi costituzionali. In base alle regole (di cui alle circolari n. 4/63406 e n. 4/64713 del 2001) non è possibile concedere il patentino in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina posto al di sotto della distanza minima di 200 mt. (il che non ricorre nel caso di specie). Nella specie, è emerso che il locale per il quale è stato richiesto il patentino era ubicato in una zona servita dalla rivendita ordinaria ubicata a circa 150 metri, la quale provvista di distributore automatico era al di sotto del limite minimo previsto (dalla circolare prot. n. 04/63406 del 2001 ed integrata dalla circolare n. 04/64713 del 2001), che per l’istituzione di un patentino nel comune sopra citato prevede una distanza minima di metri 300. Considerato inoltre che a circa metri 200 era ubicata una rivendita ordinaria e a circa metri 30 funzionava già un’altro patentino, non poteva essere consente l’istituzione di altri punti vendita (T.A.R. Campania – Salerno, sez. I, sent. 12 febbraio 2014, n. 386). Già in precedenza, il Tribunale amministrativo del Lazio si era pronunciato con riferimento ad un caso avente ad oggetto la medesima materia. In fatto, la società ricorrente, titolare di un esercizio bar, pasticceria e gelateria, aveva presentato istanza volta ad ottenere il rilascio di un patentino per la vendita di generi di monopolio presso il proprio esercizio, ma tale domanda era stata esitata in un provvedimento di rigetto non essendo stata riscontrata l’esistenza degli indici rivelatori del carattere di complementarietà del patentino stante la presenza di una rivendita a 350 mt., di un patentino a 260 metri e di una ulteriore rivendita dotata di distributore automatico di nuova istituzione. Avverso tale provvedimento di diniego la società aveva proposto appello. 103 Rassegna di Giurisprudenza I Giudici hanno rilevato che l’atto di diniego, nel ricordare il carattere di sussidiarietà del patentino rispetto alla normale rete di vendita, ha negativamente riscontrato la presenza degli indici rivelatori del carattere di complementarietà dello stesso nella considerazione che la zona risultava essere servita da una rivendita posta a circa 350 metri, da un patentino ubicato a circa 260 metri in analoga attività e con orari prolungati e da una ulteriore rivendita di più recente assegnazione, dotata di distributore automatico con orari più lunghi di quelli osservati dall’esercizio della società ricorrente. Su tali basi è stato quindi negato il rilascio del patentino, tenuto conto che lo stesso deve poter operare in luoghi e tempi in cui il servizio non sarebbe altrimenti garantito. Tale essendo il supporto motivazionale posto a sostegno del provvedimento di diniego gravato e tali essendo gli elementi sulla cui base è stato negativamente riscontrato il carattere di complementarietà dello stesso rispetto alla rete di vendita di generi di monopolio esistente nella zona, il Collegio ha ritenuto che tale provvedimento non fosse immune dalle proposte censure e dovesse essere annullato alla luce delle seguenti considerazioni. Procedendo alla preliminare ricognizione del quando normativo di riferimento, il Tribunale amministrativo ha rilevato che l’art. 23 della l. n. 1293 del 1957 (recante la Disciplina in materia di organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio) dispone, all’art. 23, che l’amministrazione può consentire, attraverso il rilascio di un patentino, la vendita dei generi di monopolio nei pubblici esercizi, nei luoghi di ritrovo e di cura e negli spacci cooperativi, il cui rifornimento è effettuato dalla rivendita ordinaria più vicina al locale cui è concesso il patentino. L’art. 53 del d.P.R. n. 1074 del 1958 dispone che i patentini sono rilasciati dall’Ispettorato Compartimentale secondo le norme di massima della Direzione generale. Tali criteri di massima sono stati dettati mediante adozione di apposite circolari, succedutesi nel tempo, al fine di indirizzare l’attività amministrativa degli uffici periferici rendendola omogenea ed univoca. In particolare, la circolare n. 04-63406 del 2001 (che ha introdotto una rivisitazione dell’intera materia al fine di renderla più adeguata alle modificate dinamiche del mercato e di razionalizzare le procedure) stabilisce che “il patentino, in considerazione del carattere di complementarietà del servizio svolto, non deve essere una duplicazione delle rivendite, bensì un’espansione della preesistente struttura di vendita giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie” dovendo assumere a tal proposito “preminente rilievo l’orario prolungato dell’esercizio del richiedente rispetto alle rivendite circostanti, il giorno di riposo settimanale diverso rispetto a quello delle tabaccherie viciniori e l’eventuale presenza di distributori automatici nella tabaccheria più vicina”, precluso essendo, in tale ultimo caso, il rilascio del patentino. La circolare in esame stabilisce inoltre che l’estensione del servizio della preesistente struttura di vendita da realizzarsi 104 Rassegna di Giurisprudenza attraverso il rilascio del patentino deve essere correlata ad obiettive esigenze di servizio che giustifichino l’ampliamento del servizio di vendita al pubblico. Tale circolare è stata successivamente integrata stabilendosi che l’inconcedibilità del patentino in caso di presenza di distributore automatico installato dalla tabaccheria più vicina deve intendersi operante solo nel caso in cui il distributore sia posto al di sotto della distanza minima stabilita in relazione alla popolazione. La ricognizione della disciplina di riferimento va completata con il richiamo alla circolare n. 375 del 2005, la quale esclude la possibilità di rilascio di patentini in locali ubicati ad una distanza inferiore a 100 metri dalla rivendita più vicina. Poste le illustrate coordinate normative, il Collegio ha ritenuto che il censurato provvedimento di diniego di rilascio del patentino fosse censurabile in quanto basato su presupposti inidonei a sorreggere l’affermata assenza degli indici di complementarietà del relativo servizio rispetto alla rete di vendita esistente nell’area. Ed invero, per come riferito nel provvedimento gravato, esistevano nella zona, due rivendite, di cui una posta a distanza di 350 metri e l’altra a distanza di 500 metri rispetto al locale con riferimento al quale è stato richiesto il rilascio del patentino, ed esisteva altresì un patentino ubicato a circa 250 metri. Tale essendo la situazione inerente la rete di vendita di generi di monopolio esistente nella zona su cui insisteva l’esercizio commerciale gestito da parte ricorrente, non sono stati ravvisati dal Giudice motivi ostativi al rilascio del patentino richiesto tenuto conto della normativa di riferimento e delle finalità cui tale strumento di vendita deve rispondere. Se, difatti, attraverso il rilascio del patentino deve essere assicurata l’espansione, e non la duplicazione, della struttura di vendita esistente – per come si afferma nella richiamata circolare n. 04-63406 del 2001 – giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie, e se, con riferimento alle distanze, la circolare n. 375 del 2005 stabilisce una distanza minima di 100 metri dalla rivendita più vicina, il Collegio ha osservato come le distanze tra punti vendita esistenti nella zona, siano essi rivendite ordinarie o patentini, sono ricomprese tra i 350 e i 200 metri, e quindi di per sé non preclusive al rilascio del patentino. Pur non essendo il criterio della distanza decisivo in relazione al rilascio del patentino – per come giustamente si è dato atto nel provvedimento gravato – il carattere di complementarietà del servizio svolto tramite patentino rispetto a quello svolto dalle rivendite ordinarie e da preesistenti patentini non può tuttavia prescindere dalla considerazione della concreta diffusione e distribuzione territoriale della rete di vendita e della relativa fruibilità da parte dell’utenza, che non può essere, all’evidenza, sganciata dalla considerazione della concentrazione dei punti vendita, anche in ragione della distanza tra gli stessi. Se, inoltre, la disciplina di dettaglio, contenuta nelle illustrate circolari, pone un preciso limite di distanza – 100 metri dalla rivendita più vicina – al di sotto del quale non è consentito il rilascio di patentini, è evidente come, nella valutazione discrezionale rimessa all’amministrazione in materia di rilascio di patentini, il criterio della distanza assuma decisiva valenza ai fini della verifica del carattere di 105 Rassegna di Giurisprudenza complementarietà del servizio svolto tramite patentino rispetto alla rete di vendita esistente, costituendo un imprescindibile indice di valutazione della natura integrativa del servizio assicurato dal patentino rispetto alla rete di vendita. Se, difatti, il rispetto delle distanze minime previste evita, secondo un giudizio ex ante ed in astratto, la duplicazione della rete di vendita, nelle ipotesi in cui la distanza tra patentino ed altro punto di distribuzione sia superiore a quella minima l’accertamento della rispondenza del richiesto patentino alla realizzazione di un servizio avente carattere complementare e sussidiario non può basarsi (per come avvenuto nella fattispecie in esame) su di una apodittica constatazione della esistenza di altri punti vendita dotati di distributore automatico che assicurano il servizio per analoghi periodi e fasce orarie, non risultando comprensibili le ragioni del gravato diniego di rilascio del patentino e dell’assenza del carattere di complementarietà dello stesso laddove le distanze tra i punti vendita siano molto superiori rispetto a quelle stabilite dalle citate circolari. Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso stato dunque accolto, con conseguente annullamento del provvedimento di diniego (T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, sent. 20 gennaio 2014, n. 673). 3.2. Distributori automatici: procedura negoziata per l’affidamento del servizio da parte di una p.a. Nei fatti una società ha presentato ricorso avverso la procedura negoziata seguita dal comune per l’affidamento del servizio di ristoro con distributori automatici presso i locali comunali. Procedura conclusasi con l’affidamento ad altra società che è stata chiamata in giudizio in qualità di controinteressata all’azione. La ricorrente ha esposto di svolgere dalla fine del 2008 il servizio di ristoro a mezzo distributori automatici, nei locali sedi di uffici dell’amministrazione comunale, e che in data 11.12.2012 riceveva una nota del comune con la quale veniva chiesta la rimozione dei distributori installati. Era, quindi, venuta a conoscenza dell’esistenza e degli esiti della procedura negoziata per l’affidamento del servizio, della quale in precedenza non aveva avuto alcuna notizia ufficiale. Con ricorso contestava la violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 163 del 2006, deducendo che non sussistessero ragioni, ovvero adeguata motivazione, per il ricorso alla procedura negoziata anziché agli ordinari procedimenti per affidamento di appalti definiti da contratti con pubbliche amministrazioni, né per omettere l’invito alla ricorrente a partecipare alla procedura. In subordine ha dedotto la violazione dell’art. 125, comma 14, del d.lgs. n. 163 del 2006, giacché il regolamento del comune per l’acquisizione in economia di beni, servizi e lavori, approvato con delibera del consiglio comunale, non annoverava il servizio in argomento fra quelli acquisibili secondo procedure in economia. I motivi d’impugnazione sono stati ripresi e rimarcati con atto di motivi aggiunti a contestazione degli atti specifici della procedura negoziata, conosciuti dalla ricorrente in un momento successivo alla proposizione del ricorso. 106 Rassegna di Giurisprudenza Si sono costituite in giudizio l’amministrazione comunale e l’impresa controinteressata. Quest’ultima ha eccepito in pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso per genericità delle censure e per difetto d’interesse di parte ricorrente, la quale non ha mai avuto rapporti contrattuali con il comune. Nel merito ha eccepito l’infondatezza dell’azione, poiché la fattispecie non sarebbe stata compatibile con i riferimenti normativi del codice degli appalti pubblici, ma il Giudice amministrativo ha ritenuto infondate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controinteressata. Le censure sono state valutate sufficientemente precise nel dedurre la violazione della normativa disciplinante l’affidamento di appalti di pubblici servizi e forniture e nell’affermare la riferibilità ad essa della fattispecie sottoposta all’esame del Giudice, per la quale, invece, l’amministrazione ha ritenuto svolgere procedura negoziata. Quanto all’interesse all’azione, questo è stato riconosciuto sussistente, benché indiretto e strumentale, ossia volto all’annullamento dell’intera procedura di affidamento in vista di un eventuale rinnovo con diversa disciplina legale e con l’affermazione dell’onere per l’amministrazione di chiamare in giudizio l’impresa ricorrente, qualificata nello specifico settore. Ciò a prescindere da rapporti pregressi tra l’impresa stessa e l’amministrazione comunale, i quali sono dimostrati insussistenti, giacché la ricorrente aveva fino al allora operato come affittuaria di un ramo d’azienda di un’altra società, essa solo titolare di contratto quadriennale con il Comune per la somministrazione di bevande e generi alimentari mediante distributori automatici, sottoscritto in data 11.9.2007 e scaduto nel settembre 2011. Dunque la ricorrente occupava i locali degli uffici comunali e operava in via di mero fatto, non avendo mai comunicato all’amministrazione il contratto di affitto di ramo di azienda, né avendo dal comune ricevuto assenso a sostituire la ditta appaltatrice nella gestione del servizio; tant’è che la ricorrente non risultava neppure nell’elenco dei fornitori ufficiali del comune al quale l’amministrazione, come meglio esplicitato di seguito, ha attinto per la negoziazione. Nel merito, i Giudici hanno rilevato come il comune per il nuovo affidamento del servizio di distribuzione di cibi e bevande a beneficio dei propri dipendenti e degli utenti frequentatori degli uffici amministrativi ha privilegiato un modus operandi di tipo privatistico, chiamando alla contrattazione anzitutto i due fornitori ufficiali del settore iscritti nell’elenco posseduto dall’amministrazione, poi ha chiamato altre tre imprese scelte secondo un’indagine di mercato. Infine ha ritenuto maggiormente congrua e conveniente l’offerta della società alla quale ha affidato il servizio a mezzo stipula di apposito contratto. Emerge con evidenza che assume un rilievo determinante ai fini del decidere la corretta qualificazione giuridica dell’affidamento per cui è causa, che parte ricorrente ritiene ascrivibile al genus dell’appalto di servizi ai sensi del comma 10 dell’art. 3 del d.lgs. n. 163 del 2006. Il Collegio ha condiviso il diffuso orientamento giurisprudenziale secondo cui l’affidamento in questione è qualificabile come concessione di servizi, la quale viene definita come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della 107 Rassegna di Giurisprudenza fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30” (art. 3, comma 12, d.lgs. n. 163 del 2006). Ai fini della qualificazione in parola sono risultate dirimenti da un lato la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio all’origine dei fatti di causa resta interamente in capo al soggetto affidatario e dall’altro lato la circostanza che il servizio veniva erogato non in favore del comune, ma di una collettività di utenti (personale degli uffici comunali, frequentatori, fruitori dei servizi). Nel caso di specie i Giudici hanno ritenuto dovesse quindi trovare puntuale applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale – conforme peraltro al paradigma comunitario di riferimento – secondo cui si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’amministrazione. Si è precisato, al riguardo, che quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi. Pertanto, si avrà concessione quando l’operatore si assuma in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza, mentre si avrà appalto quando l’onere del servizio stesso venga a gravare sostanzialmente sull’amministrazione. Conseguentemente nella fattispecie concreta sono apparse condivisibili le deduzioni delle controparti, laddove affermavano che l’affidamento all’origine dei fatti di causa fosse configurabile come concessione di servizi, sì da rendere applicabili le previsioni di cui all’art. 30 del codice dei contratti pubblici e, correlativamente, da rendere inapplicabili le previsioni di cui agli artt. 56 e 57 del medesimo codice, alle quali non può essere riconosciuta valenza di principio in relazione all’applicazione dei canoni di trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità. Al contrario, dagli atti di causa è emerso che l’amministrazione ha correttamente applicato la previsione di cui al comma 3 dell’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006, la quale impone l’esperimento di una gara informale cui devono essere invitati almeno cinque concorrenti (se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione), con predeterminazione dei criteri selettivi. Ed infatti il comune ha esperito una procedura comparativa in cui ha invitato cinque operatori del settore e ne ha regolato lo svolgimento esplicitandolo nella lettera di invito, la quale riporta sia un dettagliato disciplinare di gara con previsione dei criteri selettivi, sia un capitolato di oneri. Né è stato condiviso l’argomento sollevato dalla società ricorrente, la quale lamentava l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione che non l’avrebbe convocata alla procedura per cui è causa. 108 Rassegna di Giurisprudenza La ricorrente però non aveva alcun rapporto contrattuale con il comune e gestiva il servizio di distribuzione automatica sine titulo, giacché il contratto d’affitto stipulato con la precedente concessionaria, non poteva legittimarla a operare in suo luogo senza l’espressa accettazione della concedente amministrazione, non determinando ex se l’automatico subentro nella posizione dell’impresa affittante e nel contratto affidato; e comunque il contratto di affidamento del servizio di distribuzione automatica di bevande e generi alimentari tra il comune la società locatrice del ramo di azienda era da tempo scaduto (nella determinazione dirigenziale con la quale è stata autorizzata la procedura di contrattazione negoziale, l’amministrazione dava atto dell’esistenza nei locali sede degli uffici di apparecchiature installate senza contratto e rileva la necessità di regolarizzazione). Non è quindi apparsa irragionevole la scelta operativa dell’autorità comunale che ha selezionato le cinque imprese da chiamare alla contrattazione attingendo dall’elenco dei fornitori ufficiali e da un’indagine di mercato tra le imprese del settore più qualificate. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso è stato respinto (T.A.R. Lazio – Roma, sez. II bis, sent. 14 gennaio 2014, n. 453). 3.3. Attività di commercio effettuato a mezzo di distributori automatici: aliquota Iva applicabile Con il presente ricorso una società ha impugnato l’avviso di accertamento relativo all’anno 2007 chiedendone la declatoria di nullità ed in subordine la conferma dell’applicazione dell’Iva al 4%. Nei fatti l’ufficio nell’atto in contestazione accertava maggiori ricavi pari ad euro 110.676,00 ed un reddito complessivo di euro 124.875,00 a fronte di un dichiarato di euro 14.199,00 In precedenza l’ufficio aveva acquisito documentazione a mezzo invio di questionario e, dall’esame della documentazione, riscontrava che la società svolgeva attività di commercio effettuato a mezzo di distributori automatici, che constava di 2 soci e che dai dati rilevati dalla dichiarazione dei redditi e dal bilancio emergeva la seguente situazione: ricavi dichiarati euro 909.518,00 costi della produzione euro 872.098,00 di cui euro 195.031,00 per personale, costi per materie prime euro 403.108,00 costi per servizi 148.313,00 utile d’esercizio 4.305,00 e reddito di impresa 14.199,00. Dallo studio di settore per l’anno in oggetto risultava una non congruità e lo scostamento era pari a euro 89.045,00 e la società non si era adeguata. Secondo quanto dichiarato dalla stessa la società operava con un utile del 6,5% con soggetti Iva e con 93,5% con privati quindi senza partita Iva. La caratteristica fondamentale dell’attività svolta era quella dell’assenza di contatto diretto tra cliente e venditore L’aliquota applicata era del 4%, prevista per le somministrazioni di alimenti e bevande tramite distributori automatici. Secondo l’ufficio, la società ricorrente non aveva diritto all’applicazione di tale aliquota in quanto se da un lato corrispondeva la tipologia di somministrazione dall’altro manca uno dei requisiti cioè il luogo di somministrazione. 109 Rassegna di Giurisprudenza Veniva richiesta ulteriore documentazione quale contratti di comodato, ma la società asseriva di non averne mai stipulati e l’elenco delle strutture presso le quali erano collocati i distributori sarebbero stati in ogni caso individuabili dalle fatture di vendita. L’Ufficio ravvisando l’assenza del luogo destinato alla collettività, pur permanendo il sevizio di ristorazione, riteneva corretta l’applicazione dell’aliquota la 10%. Sotto un secondo profilo l’Ufficio riscontrava dai dati presenti in bilancio gli elevati costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività pari a euro 872.098,00 non immediatamente giustificabili e contrastanti con i ricavi di euro 909.518,00 tale elemento costituiva sintomo di gestione antieconomica tale da legittimare un ricostruzione induttiva. Al fine della ricostruzione venivano considerati i prodotti maggiormente commercializzati per bevande calde per le fredde e altri prodotti non vendo dati a disposizione veniva applicata la media dei ricarichi previsti per i dolciumi. Venivano estrapolati per gli acquisti i prezzi più alto per le vendite il più basso, comunque prezzi riportati dalle fatture. La parte presentava istanza di accertamento con adesione, ma dopo la richiesta di rinvio e la mancata presentazione presentava una sintetica memoria, però oltre il termine utile per la conclusione della fase di adesione tale procedura non arrivava a buon fine. In sede di ricorso veniva contestata l’applicazione dell’Iva al 10% ribadendo che ogni macchina aveva un valore unitario elevato e quindi incompatibile con l’istallazione in case private e presentava dichiarazioni di installazione da parte degli utilizzatori. Contestava la ricostruzione indiretta, ma si limitava ad evidenziare che i beni oggetto dell’attività erano soggetti a deperimento e a scadenza in misura quantificabile nel 5%. L’ufficio ribadiva nel merito la correttezza del proprio operato per quanto concerneva l’applicazione dell’aliquota del 4% ribadendo che in assenza di uno dei 2 presupposti viene meno la possibilità di assoggettare le operazioni all’aliquota ridotta. Per quanto concerne la ricostruzione indiretta, l’ufficio avrebbe fornito corretta e sufficiente motivazione rilevate una serie di anomalie le stesse avrebbero legittimato la rettifica tra cui una gestione antieconomica e sproporzione tra costi e ricavi esito di non congruità allo studio di settore con consistente scostamento 10%. La Commissione tributaria ha parzialmente accolto le doglianze della società ricorrente e precisamente: per quanto concerne la rettifica dell’Iva dal 4 al 10% ha ritenuto che la stessa fosse dovuta da parte dell’ufficio ad una semplice presunzione dei corrispettivi quali operazioni con soggetti privati e che questa porti alla seconda presunzione cioè che tali distributori fossero posti in luoghi diversi da quelli previsti dal punto 38 della tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972. A sostegno della tesi della Commissione che tale somministrazione fosse da considerarsi effettuata in luoghi quali ospedali, stabilimenti case di cura uffici 110 Rassegna di Giurisprudenza ecc. e altri edifici destinati alla collettività può essere il fatto che la società ricorrente possedeva quasi esclusivamente macchine distributrici di valore unitario elevato come si evince dal registro beni ammortizzabili che non si presterebbero all’installazione in case private. Anche dall’acquisto dei beni destinati alla vendita quali quantità di caffè in grani, snack, bibite, acqua e merendine fanno presumere la somministrazione degli stessi in luoghi diversi dai privati. È pur vero che non sono stai presentai comodati o altri contratti particolari, ma sono state presentate dichiarazioni di installazione da parte degli utilizzatori di tali servizi dalle quali si può evincere l’esclusività di enti società e ditte. È stato inoltre riconosciuto una perdita di beni nella misura del 5% per sfrido (ovvero perdita di peso) o scadenza delle merci che vanno gettate in quanto non più idonee ad essere consumate. Per quanto concerne la ricostruzione indiretta la Commissione ha ritenuto che l’ufficio abbia fornito corretta e sufficiente motivazione. La serie di anomalie rilevate hanno legittimato la rettifica: in primo luogo la gestione antieconomica dell’azienda e la sproporzione tra costi e ricavi come anche documentato nell’avviso di accertamento. Non ultimo, l’esito di non congruità dello studio di settore con uno scostamento del 10%. L’andamento antieconomico ha costituito elemento sintomatico di evasione fiscale comunque idoneo a legittimare il ricorso all’accertamento induttivo e analitico-induttivo. In parziale accoglimento la Commissione ha riconosciuto l’aliquota Iva al 4% nonché lo sfrido quantificato nel 5% (Commiss. Trib. Prov. Lombardia – Pavia, sez. I, sent. 29 gennaio 2014, n. 59). 3.4. Vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici: concessione di servizi All’esito di un giudizio, il Consiglio di Stato ha espresso il principio per cui l’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici rientra nell’ambito della concessione di servizi, atteso che la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio (Riforma della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, sez. I, n. 2061/2012). Nel giudizio, una società di gestione distributori ha proposto appello per ottenere la riforma della sentenza con cui il Tribunale amministrativo aveva dichiarato irricevibile il ricorso principale e improcedibili i motivi aggiunti dalla stessa società proposti in primo grado per ottenere l’annullamento degli atti della gara, indetta dal Politecnico di Bari per l’affidamento del servizio di somministrazione del servizio di somministrazione di alimenti e bevande tramite distributori automatici presso le sedi del Politecnico stesso, gara conclusasi con l’aggiudicazione a favore di altra società. L’appellante ha formulato in sintesi le seguenti censure: anzitutto ha contestato la dichiarazione di irricevibilità del ricorso introduttivo sostenendo che l’atto 111 Rassegna di Giurisprudenza dal quale il Tribunale amministrativo ha fatto decorrere il termine per impugnare (ovvero la nota del Politecnico) non fosse in alcun modo assimilabile alla comunicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. n. 1663 del 2006 in quanto non contenente gli elementi necessari richiesti dallo stesso art. 79 per integrare una “piena conoscenza” del provvedimento di aggiudicazione. Ed infatti, successivamente l’amministrazione aveva inviato una ulteriore nota nella quale, contrariamente alla prima, venivano menzionati gli elementi richiesti per integrare la fattispecie di cui all’art. 79. Secondo l’appellante, quindi, l’atto da cui decorrere il termine per ricorrere doveva ravvisarsi nella seconda nota inviata. Superata la questione della tardività, l’appellante ha, quindi, riproposto i motivi già formulati in primo grado, diretti in particolare a far valere: - la violazione dei principi di trasparenza, imparzialità, proporzionalità e par condicio, perché il criterio scelto dal bando dell’offerta economicamente più vantaggiosa sarebbe violato dalla palese sproporzione tra il valore numerico attribuito al prezzo più basso e il valore numerico attribuito agli elementi tecnici-qualitativi dell’offerta; - la violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e par condicio sotto un ulteriore duplice profilo: a) sia in quanto la stazione appaltante non ha fornito i dati relativi alle consumazioni erogate in precedenza o previste nelle strutture dell’ente idonei a consentire una corretta valutazione economica del valore dell’appalto, impedendo, dunque, la formulazione di un’offerta consapevole; b) sia in quando avrebbe irragionevolmente fissato l’importo a base di gara in euro 1.500 a distributore, affidandosi, nel farlo, a soggetti esterni, avanzando il dubbio che tali soggetti potrebbero avere avuto interesse a condizionare le determinazioni del Politecnico e potrebbero avere successivamente partecipato alla gara medesima; - l’illegittima composizione della commissione di gara in quanto priva delle necessarie professionalità; - l’inaffidabilità (sotto il profilo della insostenibilità economica) dell’offerta presentata dall’aggiudicatario. Con successivo atto di motivi aggiunti proposti direttamente in appello la ricorrente ha poi formulato ulteriori censure (che in parte specificano quelle già dedotte nell’appello principale) lamentando, in particolare, che l’importo posto a base di gara (euro 1.500 per distributore) sarebbe stato determinato dal Politecnico sulla base di un’offerta ricevuta dalla società risultata successivamente aggiudicataria della gara, la quale, ancor prima dell’indizione della procedura di gara, si era resa disponibile a pagare un canone annuo per ciascun distributore pari ad euro 2.000. Il Politecnico, in particolare, consapevole di questa disponibilità manifesta sarebbe stato indotto, secondo la tesi dell’appellante, ad individuare un importo da porre a base di gara (euro 1.500) già molto alto rispetto all’importo tipico in uso presso strutture simili del territorio, inducendo così gli altri operatori ad offrire un rialzo minimo e consentendo alla società di aggiudicarsi la gara con un rialzo notevole, che essa, in parte, aveva già rivelato prima della gara. 112 Rassegna di Giurisprudenza Si è costituita in giudizio la società aggiudicataria per difendersi nel merito, proponendo anche appello incidentale nel quale: - deduceva l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respingeva l’istanza risarcitoria ex art. 89 c.p.c. formulata dall’aggiudicataria nel giudizio di primo grado per il carattere asseritamenrte offensivo e diffamatorio di alcune frasi contenute negli scritti difensivi della ricorrente; - riproponeva i motivi del ricorso incidentale condizionato dichiarati improcedibili in primo grado (in conseguenza della declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo), facendo valere che la ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per la mancata presentazione della dichiarazione ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006 da parte di un procuratore speciale dell’impresa. Nel giudizio si costituiva anche il Politecnico di Bari chiedendo il rigetto del ricorso. Esaminando nel merito l’appello principale ed i motivi aggiunti, il Supremo Consiglio li ha ritenuti fondati nei sensi di seguito specificati. Innanzitutto, la sentenza del Tribunale amministrativo andava riformata nella parte in cui aveva dichiarato irricevibile per tardività il ricorso introduttivo. Nel caso di specie, infatti, anche a prescindere dalla questione se l’atto da cui far decorrere il termine per impugnare fosse la prima nota o la seconda (come sopra specificato), risulta decisiva la circostanza che, venendo in considerazione una gara per l’affidamento di un contratto non riconducibile alla categoria dei contratti di appalto pubblico (di lavori, servizi e forniture), non andava applicato il rito speciale in materia di appalti di cui all’art. 120 c.p.a. e, dunque, non doveva essere applicato il termine “breve” di trenta giorni per la proposizione del ricorso introduttivo, bensì quello ordinario di sessanta giorni. Come già affermato dalla giurisprudenza, l’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande mediante distributori automatici rientra, infatti, nell’ambito della concessione di servizi, atteso che la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Nel merito, è risultato fondato il motivo (già presente, sia pure in forma dubitativa, nell’appello principale e poi compiutamente sviluppato nei motivi aggiunti) diretto a censurare le modalità attraverso le quali la stazione appaltante ha determinato il prezzo per ciascun distributore individuato a base d’asta. Dai documenti acquisiti in esecuzione dell’ordinanza interlocutoria pronunciata dalla Sezione è emerso, infatti, che tale importo era stato determinato non sulla base di proposte rinvenienti da “note società operanti nel settore” (come aveva inizialmente dichiarato, con formula generica, l’amministrazione appaltante), ma sulla base di una specifica proposta, presentata da una sola società risultata poi aggiudicataria, la quale si era dichiarata disponibile a pagare fino a euro 2.000 annui per ciascun distributore. Contrariamente a quando dedotto dal Politecnico, non sono stati ritenuti significativi, ai fini della determinazione del prezzo, i disciplinari delle Università degli Studi di Bari, di Foggia e di Verona, atteso che: 113 Rassegna di Giurisprudenza - il disciplinare dell’Università degli Studi di Bari (euro 1.800 a distributore) attiene all’erogazione di bibite e snack senza limiti di prezzo per l’operatore aggiudicatario della gara (mentre nella gara in questione ci sono limiti di prezzo imposti); - il disciplinare dell’Università degli Studi di Verona (più di euro 2.000 a distributore) con prezzi già stabiliti è inutilizzabile perché fa riferimento ad un mercato economicamente e geograficamente molto diverso rispetto al luogo di esecuzione del contratto per cui è causa; - il disciplinare dell’Università degli Studi di Foggia (mercato comparabile) prevede un prezzo significativamente più basso di quello poi messo a base d’asta (euro 1.200 a distributore con prezzi stabiliti). L’importo stabilito a base d’asta (euro 1.500 a distributore), quindi, oltre ad essere irragionevolmente più elevato rispetto al prezzo di mercato, in uso nella zona (quale desumibile dal disciplinare dell’Università di Foggia) risultava determinato utilizzando come parametro di riferimento l’offerta presentata, prima della gara, dalla società risultata successivamente aggiudicataria. Il tutto aggravato dal fatto che la stazione appaltante non aveva reso palese tale circostanza, dichiarando al contrario di aver fissato il prezzo sulla base di proposte rinvenienti da “note società operanti nel settore” di cui, invece, a parte quella della aggiudicataria, non vi era traccia in atti. L’accoglimento di tale motivo (che poteva essere legittimamente proposto direttamente in appello mediante motivi aggiunti secondo la previsione di cui all’art. 104, comma 3, c.p.a.) ha determinato l’illegittimità di tutta la gara, minandola in radice sin dalla pubblicazione del bando, con il conseguente travolgimento di tutti gli atti della procedura. Da ciò è derivato l’assorbimento degli altri motivi del ricorso introduttivo (e dei motivi aggiunti di primo grado), oltre che del ricorso incidentale riproposto in appello dalla aggiudicataria, in quanto tali ulteriori motivi erano tutti diretti a contestare le modalità di svolgimento della gara, la quale, invece, per le considerazioni appena svolta, è risulta radicalmente compromessa sin dalla sua stessa origine. Il motivo di appello incidentale diretto ad ottenere la riforma del capo della sentenza che in primo grado ha respinto la domanda risarcitoria proposta dall’aggiudicataria ex art. 89 c.p.c. è risultato infondato. Le frasi contestate, in cui si fa riferimento ad assunti illeciti penali ottenuti dalla società risultata aggiudicataria della gara per ottenere dalle pubbliche amministrazioni l’installazione di servizi di distribuzione sono, a prescindere da ogni ulteriore valutazione, certamente riconducibili all’oggetto della lite, in cui il thema decidendum principale è proprio l’esistenza di un prezzo di gara irragionevolmente calibrato su un’offerta ricevuta ex ante dalla stessa aggiudicataria. Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello principale è stato accolto e, di conseguenza, in riforma della sentenza appellata, accolto il ricorso di primo grado (Cons. Stato, sez. VI, sent. 16 gennaio 2014, n. 152). 114 Come agire Circoli: sintesi di controlli (parte 1) (*) Elena Fiore Comandante polizia municipale di Forlì Il caso Il legale rappresentante di un circolo privato, con annessa attività di somministrazione, ha omesso di comunicare immediatamente al comune le variazioni intervenute successivamente alla presentazione della Scia, come previsto dall’art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 235/2001. Chiarimenti La quasi completa liberalizzazione delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, attuata con l’art. 64, commi 1 e 3 (1) del d.lgs. n. (*) La II parte sarà pubblicata sul prossimo numero. (1) Art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 59/2010 “L’apertura o il trasferimento di sede degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio solo nelle zone soggette a tutela ai sensi del comma 3. L’apertura e il trasferimento di sede, negli altri casi, e il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi di cui al presente comma, in ogni caso, sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Art. 64, comma 3, del d.lgs. n. 59/2010 “Al fine di assicurare un corretto sviluppo del settore, i comuni, limitatamente alle zone del territorio da sottoporre a tutela, adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico di cui al comma 1, ferma restando l’esigenza di garantire sia l’interesse della collettività inteso come fruizione di un servizio adeguato sia quello dell’imprenditore al libero esercizio dell’attività. Tale programmazione può prevedere, sulla base di parametri oggettivi e indici di qualità del servizio, divieti o limitazioni all’apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. In ogni caso, resta ferma la finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale e sono vietati crite- 115 Come agire 59/2010, come modificato dal d.lgs. n. 147/2012, non ha – almeno per il momento – diminuito il numero dei circoli privati sul territorio nazionale e rimane quindi sempre cogente il problema del controllo delle attività che in essi si svolgono. È quindi utile una panoramica delle diverse discipline che, in qualche modo, incidono sulla vita e sulle attività dei circoli. 1. Il diritto alla libertà di associazione L’art. 18 della Costituzione stabilisce che i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale e che sono proibite solo le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Per costituire un circolo occorre: • uno statuto; • individuare un fine lecito; • stabilire l’ambito delle attività (culturali, sportive, ricreative, ecc.); • definire le cariche sociali; • prevedere le modalità per diventare soci; • stabilire le quote sociali annuali, la sede, il patrimonio necessario, ecc.; ma non occorre alcuna autorizzazione né comunicazione. Un circolo privato è quindi una libera associazione di persone che si riunisce per perseguire i fini e gli interessi (culturali, ricreativi, sportivi, ecc.) comuni che sono stabiliti nello statuto, in locali ove l’accesso è consentito esclusivamente a determinati soggetti (soci). Occorre però non confondere il termine “circolo privato” con l’attività di somministrazione che non necessariamente un circolo deve effettuare nei confronti dei propri associati. 2. Le attività e le autorizzazioni necessarie I circoli possono gestire, senza alcun titolo autorizzativo, quelle attività culturali, sportive, ricreative, ecc. necessarie per perseguire i fini stabiliti nello statuto del circolo, quali palestre, sale da ballo, campi da tennis, cinema, spettacoli, ecc., ad esclusione di quelle attività vietate ai singoli dalla legge penale (gioco d’azzardo, ecc.). ri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell’esistenza di un bisogno economico o sulla prova di una domanda di mercato, quali entità delle vendite di alimenti e bevande e presenza di altri esercizi di somministrazione”. 116 Come agire Solo alcune attività sono soggette ad autorizzazione/Scia ed in particolare: • la vendita di prodotti ai soci – art. 16 del d.lgs. n. 114/1998 e art. 66 del d.lgs. n. 59/2010; • la somministrazione di alimenti e bevande – d.P.R. n. 235/2000; • l’installazione di apparecchi per il gioco – artt. 86 e 110 t.u.l.p.s.; •gli spettacoli a carattere non privato (rivolti anche a non soci, con elevato numero persone, ecc.) – artt. 68 e 80 del t.u.l.p.s. 3. I locali dei circoli I locali dei circoli ove si svolgono le attività sono soggetti alle norme previste per la tutela della salute e della incolumità delle persone (agibilità, sorvegliabilità, ecc.) ma non richiedono idonea destinazione d’uso. Il comma 4 dell’art. 32 della legge n. 383/2000 dispone infatti che “La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968 (2), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. A supporto di questa disposizione è utile citare due sentenze: (2) Art. 2 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 “Zone territoriali omogenee. Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765: A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi; B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq; C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B); D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati; E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C); F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”. 117 Come agire • T.A.R. Veneto, sez. III, sentenza n. 1661/2008 – “Vista la meritevolezza delle finalità perseguite da tali associazioni, il legislatore ha così previsto non solo facilitazioni sul piano fiscale, ma anche su quello amministrativo, con particolare riferimento agli aspetti urbanistici, proprio allo scopo di agevolare l’individuazione delle sedi ove svolgere tali attività. In questa direzione, le predetti sedi sono allora localizzabili: a) in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d’uso urbanistico (ossia quelle genericamente individuate dagli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. n. 1444/1968); b) a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio impressa specificamente e funzionalmente al singolo fabbricato, sulla base del permesso di costruire”; •T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza n. 1653/2008 – “a differenza degli esercizi pubblici di somministrazione..., per i circoli privati che intendono aprire punti di ristoro non è richiesta, alla luce del d.P.R. 4 aprile 2001, n. 235, né la conformità alle norme urbanistiche, né il rispetto della destinazione d’uso dei locali. La ratio che complessivamente ispira l’intervento di semplificazione, previsto dal citato d.P.R. n. 235/2001, risiede nella constatazione che la conformità alle norme urbanistiche è suffragata dall’attività principale condotta all’interno della più ampia sede del circolo privato; il rispetto della destinazione d’uso edilizia non è richiesta per la sede più ristretta ove si esercita la predetta attività di somministrazione, trattandosi di esercizio riservato ai soli soci del circolo”. Anche il Ministero dello sviluppo economico nella risoluzione n. 264058 del 31 dicembre 2012 ha precisato quanto segue: “Si ritiene, inoltre, di confermare che non costituisce ostacolo, ai fini della suesposta interpretazione del citato articolo 32, quanto disciplinato dall’articolo 2, comma 2, del d.P.R. n. 235 del 2001, il quale dispone che nella denuncia di inizio di attività che deve essere presentata da associazioni o circoli aderenti ad enti o organizzazioni aventi finalità assistenziali che intendano intraprendere attività di somministrazione di alimenti e bevande, il legale rappresentante deve dichiarare tra l’altro che il locale è conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’interno. Detta disposizione non può essere finalizzata ad imporre il rispetto di una particolare destinazione d’uso in quanto il d.P.R. n. 235 disciplina tutti i circoli privati e le associazioni aderenti ad enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali mentre la legge n. 383 dispone solo per quella limitata categoria di associazioni che soddisfa i 118 Come agire rigorosi parametri statutari in essa previsti; inoltre l’attestazione di conformità alla quale fa riferimento l’articolo 2 del d.P.R. n. 235 concerne esclusivamente la materia “edilizia, igienico-sanitaria e... di sicurezza”, in quanto la non necessità della conformità urbanistica dei locali delle associazioni di promozione sociale è acclarata dall’articolo 32, comma 4, della citata legge n. 383 che ne sancisce la compatibilità con tutte le destinazioni d’uso”. 4. L’attività di somministrazione Per comprendere la portata del d.P.R. n. 235/2001 occorre fare riferimento all’ancora vigente art. 3, comma 6, lettera e) della legge n. 287/1991 che recita: “la programmazione non si applica per autorizzazioni alla somministrazione negli spacci annessi ai circoli cooperativi e degli enti a carattere nazionale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’interno” (ovviamente questa disposizione è ormai ampiamente superata dal dettato dell’art. 64 del d.lgs. n. 59/2010). Per dare attuazione alla citata disposizione della legge n. 287/1991 è stato emanato il d.P.R. n. 235/2001 che reca “Il regolamento di semplificazione del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione nei circoli privati”. Da notare che nella quasi generalità le leggi regionali, che disciplinano l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, rimandano al d.P.R. n. 235/2001 per quanto attiene alla somministrazione attuata nei circoli a favore dei soci, rendendo quindi ancora attuale e pertanto applicabile questo regolamento. Il d.P.R. n. 235/2001 individua due tipologie di circoli con somministrazione: • all’art. 2, i circoli aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, che possono attivare la somministrazione con una Scia; •all’art. 3, i circoli NON aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, che possono attivare la somministrazione con una autorizzazione, da rilasciarsi per quanto indicato nella norma entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, pena il silenzio assenso. La disposizione del citato art. 3 deve però essere letta alla luce delle recenti modifiche normative e pertanto: • l’autorizzazione è richiesta solo se il circolo, non aderente a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, è situato in una zona soggetta a tutela ai sensi 119 Come agire dell’art. 64, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 59/2010, in quanto diversamente la somministrazione può essere avviata con una Scia; •l’autorizzazione, la cui domanda va inoltrata al SUAP competente per territorio, deve essere rilasciata, pena il silenzio assenso, entro 60 giorni, in quanto così dispone l’art. 7 (3) del d.P.R. n. 160/2010. Nella Scia e nella domanda di autorizzazione il legale rappresentante del circolo deve dichiarare: a)il tipo di attività di somministrazione (bar, ristorante, paninoteca, ecc.); b)l’ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione; c)che l’associazione si trova nelle condizioni previste dall’articolo 111, commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del testo unico delle imposte sui redditi; d)che il locale, ove è esercitata la somministrazione, è conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’interno (cioè che il locale è sorvegliabile ai sensi del d.m. n. 564/1992), e in particolare, di essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia. Inoltre, se si tratta di un circolo aderente a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, il legale rappresentante deve dichiarare anche l’ente nazionale con finalità assistenziali al quale aderisce. Alla Scia o alla domanda di autorizzazione va allegata una copia semplice, non autenticata, dell’atto costitutivo o dello statuto, in quanto per i circoli non aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’interno, di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 235/2001, il comune deve verificare che lo statuto dell’associazione preveda modalità volte a garantire l’effettività del rapporto associativo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, nonché lo svolgimento effettivo dell’attività istituzionale. (3) Art. 7, commi 1 e 2, del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 “Procedimento unico”: 1. Fuori dei casi disciplinati dal capo III, le istanze per l’esercizio delle attività di cui all’articolo 2, comma 1, sono presentate al SUAP che, entro trenta giorni dal ricevimento, salvi i termini più brevi previsti dalla disciplina regionale, può richiedere all’interessato la documentazione integrativa; decorso tale termine l’istanza si intende correttamente presentata. 2. Verificata la completezza della documentazione, il SUAP adotta il provvedimento conclusivo entro trenta giorni, decorso il termine di cui al comma 1, salvi i termini più brevi previsti dalla normativa regionale, ovvero indice una conferenza di servizi ai sensi del comma 3. 120 Come agire 5. I requisiti morali per l’attività di somministrazione Il d.P.R. n. 235/2001 non fa alcun riferimento all’obbligo del legale rappresentante di dichiarare, al fine di attivare la somministrazione di alimenti e bevande, il possesso di requisiti. Il Ministero dello sviluppo economico con circolare n. 3656/C del 12 settembre 2012 ha precisato che “… con nota 5.7.2012, n. 152888, la scrivente ha chiarito che resta fermo, indistintamente per tutte le tipologie di associazioni e circoli, il possesso dei requisiti di onorabilità di cui al citato art. 71 (del d.lgs. n. 59/2010 come modificato dal d.lgs. n. 147/2012). L’articolo, infatti, dispone l’obbligatorietà del possesso di tali requisiti per tutti coloro che intendano esercitare l’attività di vendita e di somministrazione, senza fare alcuna distinzione tra le attività rivolte al pubblico e quelle riservate a determinate categorie di soggetti”. Non possono quindi esercitare l’attività di somministrazione nei circoli: a)coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione; b)coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale; c)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione; d)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, titolo VI, capo II del codice penale; e)coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali; f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza. Non possono inoltre esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande anche coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione 121 Come agire da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi. In caso di società, associazioni od organismi collettivi i requisiti morali devono essere posseduti dal legale rappresentante, da altra persona preposta all’attività commerciale e da tutti i soggetti individuati dall’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 252/1998, “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia”; oggi sostituito dal d.lgs. n. 159/2011. 6. I requisiti professionali per l’attività di somministrazione Gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 235/2001 ancora dispongono: “Se l’attività di somministrazione è affidata in gestione a terzi, questi deve essere iscritto al registro degli esercenti il commercio di cui all’articolo 2 della legge (REC)”; questa norma infatti non è stata abrogata ma deve intendersi non più applicabile, non solo per quanto attiene il riferimento al REC ormai abolito, ma anche in relazione ai requisiti professionali previsti dall’art. 71, comma 6, del d.lgs. n. 59/2010 che recita: “L’esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, è consentita solo a chi possiede i requisiti professionali”. Prima della modifica, ad opera del d.lgs. n. 147/2012, il citato comma 6 prevedeva che i requisiti professionali erano da richiedersi anche quando la somministrazione era “effettuata nei confronti di una cerchia determinata di persone”. Lo stesso Ministero dello sviluppo economico, nella circolare n. 3656/C del 12 settembre 2012 ha sostenuto che non è più obbligatorio il possesso di uno dei requisiti professionali elencati alle lett. a), b) e c) del comma 6 dell’art. 71 nel caso di attività di vendita di prodotti alimentari e di somministrazione di alimenti e bevande, effettuate non al pubblico, ma nei confronti di una cerchia determinata di soggetti; e quindi sono esentate da tale obbligo: • la vendita negli spacci interni; •la somministrazione nei circoli, nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità religiose, sui mezzi di trasporto, nelle mense, ecc. 7. Il testo unico delle imposte sui redditi Il d.P.R. n. 235/2001 precisa che il legale rappresentante di un circolo nella Scia o nella domanda di autorizzazione per attività di somministrazione deve dichiarare di avere caratteristiche di ente NON commerciale e quindi di trovarsi nelle condizioni previste: 122 Come agire • (Circoli art. 2) – dall’articolo 111, commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del t.u.i.r.; • (Circoli art. 3) – dall’articolo 111 e 111-bis del t.u.i.r. Si evidenzia che il t.u.i.r. ha subito in questi anni alcune modifiche e che quindi la norma cui fare riferimento non è più l’art. 111 ma l’art. 148 che dispone: • al comma 3 – per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati; • al comma 5 – per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3; • al comma 8 – le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata: a)divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione …; b)obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento … ai fini di pubblica utilità, …; c)disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla 123 Come agire vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione; d)obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie. 8. Le norme igienico-sanitarie L’art. 2 del d.P.R. n. 235/2001 dispone che il comune, nel cui territorio si esercita l’attività, ricevuta la Scia, deve inviare comunicazione per conoscenza alla competente Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) per il parere necessario all’eventuale rilascio dell’autorizzazione di idoneità sanitaria. Anche questa parte del d.P.R. n. 235/2001, pur ancora vigente, è superata in quanto per gli aspetti igienico-sanitari occorre far riferimento ai regolamenti europei in materia di igiene dei prodotti alimentari, ai fini della registrazione delle attività e del riconoscimento degli stabilimenti del settore alimentare, e per quanto attiene alle sanzioni all’art. 6 del d.lgs. n. 193/2007, recante “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore” per le violazioni al Regolamento (CE) n. 852/2004, al Regolamento (CE) n. 853/2004 e al Regolamento (CE) n. 2073/2005. Inoltre, il personale addetto alla produzione, preparazione, manipolazione e vendita di alimenti, non deve più sottoporsi alla visita annuale per il rilascio o il rinnovo del libretto di idoneità sanitaria, ma deve frequentare periodicamente corsi di formazione sulle norme igieniche e di comportamento indispensabili a garantire la salubrità degli alimenti. 9. La sorvegliabilità dei locali L’art. 4 del d.m. n. 564/1992, come modificato dal d.m. n. 534/1994, dispone che i locali di circoli privati o di enti in cui si somministrano alimenti o bevande devono essere ubicati all’interno della struttura adibita a sede del circolo o dell’ente collettivo e non devono avere accesso diretto da strade, piazze o altri luoghi pubblici. All’esterno della struttura non possono essere apposte insegne, targhe o altre indicazioni che pubblicizzino le attività di somministrazione esercitate all’interno. Una deroga è però prevista dall’art. 5 del d.m. n. 564/1992 per i circoli privati o enti che siano stati autorizzati, alla data di entrata in vigore del regolamento (e quindi entro il 27 febbraio 1993), a somministrare alimenti e bevande, che si possono limitare ad ottemperare al divieto 124 Come agire di apporre all’esterno dei locali insegne, targhe o altre indicazioni che pubblicizzino l’attività di somministrazione effettuata all’interno; a questi quindi è consentito anche avere accesso diretto da strade, piazze o altri luoghi pubblici. I Violazione Illecito: • quale legale rappresentante di un circolo privato, con annessa attività di somministrazione, ometteva di comunicare immediatamente al comune le variazioni intervenute successivamente alla presentazione della Scia ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 235/2001 in quanto... Norma violata: • art. 2, comma 6, del d.P.R. 4 aprile 2001, n. 235 Sanzione pecuniaria: • da € 2.500 a € 15.000 – art. 10 della legge 25 agosto 1991, n. 287, in relazione all’art. 4, comma 2, del d.P.R. 4 aprile 2001, n. 235 Pagamento in misura ridotta: • € 5.000 Devoluzione dei proventi: • regione (o ente delegato) Sanzione accessoria: •nessuna Autorità competente • regione (o ente delegato) (art. 17 della legge n. 689/1981): Misure interdittive • cessazione immediata dell’attività di sommi(art.17-ter t.u.l.p.s.): nistrazione di – art. 10, comma 3, della legge 25 agosto 1991, n. 287 e art. 17-ter del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, t.u.l.p.s. Autorità competente •sindaco (art.17-ter t.u.l.p.s.): Procedura: •amministrativa Atti da redigere: • verbale di ispezione di attività di somministrazione in circolo privato • verbale di accertata violazione amministrativa rapporto autorità amministrativa competente (art. 17-ter t.u.l.p.s.) • ordinanza di cessazione dell’attività di somministrazione 125 Normativa nazionale • Decreto legislativo 4 novembre 2014, n. 169 Disciplina sanzionatoria delle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) n. 181/2011, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus (GU 21-11-2014, n. 271) • Decreto-legge 18 novembre 2014, n. 168 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani all’estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico, nonché ad altre armi ad aria compressa o gas compresso destinate all’attività amatoriale e agonistica (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) • Legge 11 novembre 2014, n. 164 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) • Legge 30 ottobre 2014, n. 161 Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2013-bis (S.O. 10 novembre 2014, n. 261) • Decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153 Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (G.U. 27 ottobre 2014, n. 250) • Decreto Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 3 ottobre 2014 Individuazione dei requisiti minimi ai fini dell’equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato alle strutture ricettive all’aria aperta (G.U. 13 ottobre 2014, n. 238) • Decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (G.U. 12 settembre 2014, n. 212) • Ordinanza ministeriale Ministero della salute 2 settembre 2014 Divieto di vendita ai minori di sigarette elettroniche con presenza di nicotina 127 www.newslettereuropean.eu LA NEWSLETTER ON LINE PER L’UNIONE EUROPEA “NEU NEWSLETTER FOR THE EUROPEAN UNION” è il nuovo servizio quindicinale di informazione sulle Politiche Europee interamente in lingua inglese r Banditpi eEuropei en finanziam Newsletter quindicinale Immigrazione Energia Economia Relazioni esterne Politiche del lavoro Affari sociali Maggioli Spa via del Carpino, 8 Santarcangelo di Romagna (RN) www.maggioli.it Tel. 0541 628111 Circolari e Pareri CIRCOLARE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 15 ottobre 2014 n. 3675/C Termini di ricevibilità dei ricorsi gerarchici impropri, in materia di attività di mediazione, agenzia, mediazione marittima, spedizione e di periti ed esperti. Pervengono con frequenza alla scrivente quesiti da parte delle CCIAA e, da ultimo da parte della Camera di commercio di Mantova, via e-mail in data 13 ottobre u.s., concernenti i termini per la presentazione a questa Amministrazione dei ricorsi gerarchici avverso i provvedimenti inibitori dell’attività, emessi dalle Camere di commercio, inerenti le attività regolamentate di seguito indicate (per il cui accesso, cioè, è necessario disporre di requisiti previsti da leggi o altri atti normativi): Agente e Rappresentante di commercio – legge 3 maggio 1985, n. 204 Agente di affari in mediazione – legge 3 febbraio 1989, n. 39 e d.m. 21 dicembre 1990, n. 452 Perito ed Esperto – Decreto ministeriale 29 dicembre 1979 Spedizioniere – legge 14 novembre 1941, n. 1442 Mediatore marittimo – legge 12 marzo 1968, n. 478 In proposito, si fa presente che avverso detti provvedimenti gli interessati (direttamente o per il tramite di un loro legale) hanno facoltà di presentare un ricorso gerarchico improprio al competente ufficio di questo Ministero – Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica – Divisione XXI Registro imprese – Via Sallustiana n. 53, 00187 Roma, nei termini seguenti: Agente e Rappresentante di commercio (cfr. art. 7 della Legge n. 204/1985) entro 60 gg. dalla notifica camerale, in caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di inibizione alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. Agente di affari in mediazione (cfr. art. 10 del D.M. n. 452/1990) entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. Perito ed Esperto (cfr. art. 7 del d.m. 29.12.1979) entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di diniego di iscrizione nel ruolo. entro 30 gg. dalla notifica camerale, nei casi di sospensione o di cancellazione dal ruolo. Spedizioniere (cfr. art. 14 della Legge n. 1442/1941) entro 15 gg. dalla notifica camerale, in caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. entro 15 gg. dalla notifica camerale, in caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta 129 Circolari e Pareri perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. entro 15 gg. dalla notifica camerale, in caso di imposizione all’interessato di una sanzione pecuniaria. Mediatore marittimo (cfr. art. 22 della Legge n. 478/1968) entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di diniego all’avvio iniziale dell’attività (segnalato tramite presentazione della SCIA), per accertata mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. entro 30 gg. dalla notifica camerale, in caso di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività – successiva all’avvio iniziale – per sopravvenuta perdita di uno dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa. L’ufficio ministeriale, una volta esaminato il ricorso in questione e l’ eventuale documentazione probatoria presentata dal ricorrente, nonché le controdeduzioni richieste per legge alla Camera di Commercio competente, provvederà, nel previsto termine di 90 giorni dal completamento dell’istruttoria, alla valutazione dei medesimi atti e all’emanazione di un parere che si sostanzierà in un decreto ministeriale di accoglimento o di rigetto del ricorso stesso. La copia conforme di tale atto sarà quindi inviata (per raccomandata a/r, o tramite PEC) al ricorrente, nonché alla Camera di commercio (tramite PEC). Ora, è opportuno anche far presente che talvolta su detti ricorsi il predetto parere ministeriale può sostanziarsi, in luogo di un decreto di accoglimento o di rigetto, nei seguenti atti: - in una dichiarazione di inammissibilità (che comporta nella sostanza il non accoglimento del ricorso), quando il ricorso in questione viene presentato contro un provvedimento camerale non definitivo, cioè quando ancora non è stato 130 emesso il provvedimento di diniego all’avvio, o di inibizione, temporanea o definitiva, alla prosecuzione dell’attività da parte della Camera di commercio, ma questa ha solo notificato all’interessato il suo intendimento con una lettera di avvio del procedimento; - in una dichiarazione di irricevibilità (anch’essa comportante nella sostanza il non accoglimento del ricorso), quando il ricorso viene presentato/spedito al Ministero fuori termine, cioè oltre il periodo di tempo sopra indicato; - in una dichiarazione di cessata la materia del contendere quando l’interessato chiede spontaneamente l’archiviazione del suo ricorso già presentato al Ministero, o quando il provvedimento camerale oggetto del ricorso stesso viene annullato dalla Camera di commercio medesima (per esempio in regime di autotutela). Da ultimo, ed unicamente in relazione alle attività interessate dalle modifiche introdotte dagli artt. 73, 74, 75, 76 ed 80 del d.lgs. n. 59/2010 – attuazione della Direttiva 2006/123/CEE relativa ai servizi del mercato interno – quindi solo per quanto concerne gli Agenti e Rappresentanti di commercio, gli Agenti di affari in mediazione, gli Spedizionieri ed i Mediatori marittimi, è opportuno ribadire che possono essere presentati a questo Ministero unicamente i ricorsi gerarchici più sopra descritti, cioè quelli avverso i provvedimenti camerali concernenti il diniego all’avvio iniziale o alla prosecuzione dell’attività che discendono dall’accertamento della mancanza/carenza dei requisiti o delle condizioni previste per l’esercizio della stessa, iniziale o sopravvenuta che sia; mentre non compete al Ministero stesso l’esame della fattispecie relativa al mancato aggiornamento della propria posizione da uno degli ex ruoli di riferimento al RI/REA (anche se questa, nella sostanza, determina comunque un provvedimento camerale di inibizione alla prosecuzione dell’attività). Circolari e Pareri In quest’ultimo caso infatti, verrebbe richiesto al superiore organo giudicante ministeriale non di valutare se – legittimamente o meno – gli uffici camerali hanno ritenuto mancante un determinato requisito morale e/o professionale in capo ad un Agente/Mediatore/Spedizioniere/ Mediatore Marittimo, bensì di stabilire se ci sia stata o meno una discriminazione nei suoi confronti da parte camerale, per aver emesso un provvedimento inibitorio alla prosecuzione dell’attività a causa del mancato aggiornamento da parte di detto soggetto della propria posizione al Registro delle Imprese/REA: circostanza, questa, che non ha niente a che vedere con l’eventuale carenza delle condizioni e dei requisiti stabiliti dai rispettivi articoli n. 7 della Legge n. 204/1985; n. 10 del d.m. n. 452/1990; n. 14 della legge n. 1442/1941; n. 22 della legge n. 478/1968. Pertanto in questa circostanza, di ricorso presentato contro un provvedimento camerale di inibizione alla prosecuzione dell’attività causato dall’inadempimento all’obbligo di aggiornamento della propria posizione da uno degli ex ruoli di riferimento al Registro delle Imprese o al REA, questo Ministero non potrà che esprimersi con una dichiarazione di improponibilità. PARERE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 8 ottobre 2014, prot. n. 17554 Esercizio attività commerciale da parte di cittadino extracomunitario Con messaggio di posta elettronica del 1° ottobre scorso, codesto Sportello ha sottoposto a questo Ufficio la questione inerente la necessità, per un cittadino extracomunitario che intenda avviare una attività commerciale, del possesso di una residenza anagrafica in Italia. Si rappresenta in merito quanto segue. Come noto, ai sensi del primo comma dell’articolo 2196 del codice civile l’imprenditore esercente un’attività commerciale deve, entro trenta giorni dall’avvio dell’impresa, chiedere l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione stabilisce la sede. Le indicazioni che devono essere ricomprese nella domanda di iscrizione di un imprenditore individuale sono stabilite dal secondo comma dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581, recante «Regolamento di attuazione dell’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all’art. 2188 del codice civile», la cui lettera a) elenca, tra le altre, la residenza anagrafica dell’imprenditore. Correttamente, dunque, codesto Ufficio identifica la residenza anagrafica dell’imprenditore individuale quale requisito ineludibile per l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese. Ciò risponde pienamente alla ratio costitutiva del registro delle imprese, volto a consentire la pubblica conoscibilità dei dati afferenti l’impresa e la reperibilità di quest’ultima e del suo titolare ai fini di notifiche di atti, comunicazioni, richieste, ispezioni. Si richiama, a conferma, il disposto dell’articolo 2, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 2004, n. 247, recante «Regolamento di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese», laddove si prevede la cancellazione d’ufficio dell’impresa individuale nel caso in cui l’ufficio del registro delle imprese accerti l’irreperibilità dell’imprenditore. Si ritiene tuttavia utile svolgere un approfondimento in relazione al possesso della residenza anagrafica da parte del cittadino extracomunitario. L’avvio di una attività di lavoro autonomo, nella specie consistente nell’attività di 131 Circolari e Pareri commercio su aree pubbliche, da parte di un cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea né allo Spazio economico europeo è soggetto, salvo il diverso iter volto alla verifica di eventuali condizioni di reciprocità tra l’Italia ed il Paese di origine dello straniero, al prerequisito della condizione di legittima presenza dell’interessato in Italia. Sotto questo profilo viene in esame la normativa vigente in materia di ingresso e soggiorno dello straniero nel nostro Paese, recata dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 («Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero») e dalle relative disposizioni di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. L’articolo 5, primo comma, del testo unico dispone che «possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente (…), che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno (…) in corso di validità». In assenza di informazioni al riguardo, si presupporrà in questa sede che il richiedente sia in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’articolo 26 del testo unico, valido per l’esercizio di attività di lavoro autonomo e dunque idoneo ai fini dell’avvio dell’attività commerciale in esame. È appena il caso di accennare che l’eventuale possesso di un documento di soggiorno rilasciato per altre finalità potrà richiedere la conversione del titolo, ai sensi degli articoli 6 del testo unico e 14 del regolamento, nonché l’effettuazione delle dovute annotazioni di cui all’articolo 41 del medesimo regolamento per «i casi in cui il permesso di soggiorno è utilizzato (…) per un motivo diverso da quello riportato nel documento». Nell’ipotesi, qui presunta, che il permesso di soggiorno sia stato rilasciato al cittadino straniero per finalità di lavoro autonomo o assimilati, egli avrà già 132 dimostrato, all’atto della richiesta, di «disporre di idonea sistemazione alloggiativa» (articolo 26, comma 3), apparentemente ritenuta sufficiente dalla Questura, da codesto Sportello interpellata in via informale. Si deve tuttavia evidenziare che il testo unico, nello stabilire all’articolo 6 gli obblighi derivanti dal rilascio del permesso di soggiorno, dispone, con il comma 7, che «le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione». In esecuzione della predetta disposizione normativa, il comma 1 dell’articolo 15 del regolamento stabilisce che «le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate nei casi e secondo i criteri previsti dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228, e dal regolamento anagrafico della popolazione residente, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223». Ai sensi delle disposizioni sopra richiamate, sembra dunque doversi ritenere che lo straniero regolarmente soggiornante in Italia sia tenuto a richiedere le iscrizioni e le variazioni anagrafiche alle stesse condizioni del cittadino italiano, oltre ad essere soggetto ad uno specifico obbligo di rinnovare all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel Comune entro 60 giorni dal rinnovo del documento di soggiorno (articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, come sostituito dal regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione): il primo comma dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 («Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente») pone in capo a ciascun cittadino un obbligo «di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione Circolari e Pareri di posizioni anagrafiche», mentre il primo comma, lettera c), del già richiamato articolo 7 del relativo regolamento di attuazione (dPR 223/89) indica che «l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente viene effettuata: (…) c) per trasferimento di residenza da altro comune o dall’estero dichiarato dall’interessato oppure accertato» d’ufficio. In esito alla disamina delle disposizioni vigenti in tema di immigrazione ed iscrizioni anagrafiche, sin qui brevemente svolta, si ritiene dunque che il cittadino straniero dovrebbe necessariamente già essere in possesso di una residenza anagrafica, ovvero dovrebbe essere invitato a provvedere all’esecuzione delle previste iscrizioni presso l’anagrafe del Comune di dimora abituale. Sul punto, tuttavia, questa Amministrazione non può che rimettersi alle valutazioni ed alle definitive determinazioni dei competenti Uffici del Ministero dell’Interno, in indirizzo. Per completezza di risposta, infine, attesa l’assenza di informazioni di dettaglio sul punto, si ritiene opportuno esaminare brevemente l’ipotesi che l’attività di commercio su aree pubbliche sia volta all’esercizio nell’ambito del settore alimentare. Si ritiene opportuno ricordare che in tale eventualità il possesso da parte del cittadino straniero dei requisiti morali e professionali previsti dalla normativa vigente (in ispecie, legge Regione FriuliVenezia Giulia 5 dicembre 2005, n. 29, recante «Normativa organica in materia di attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 “Disciplina organica del turismo”»), qualora derivi dal conseguimento di titoli rilasciati all’estero, richiede il preventivo esperimento delle procedure amministrative per il riconoscimento dei titoli professionali esteri, da svolgersi presso la Divisione VI «Servizi e professioni» di questa Amministrazione. CIRCOLARE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 19 settembre 2014, n. 3673/C Articolo 20, comma 7-bis del d.l. 24.6.2014, n. 91, convertito con la legge 11.8.2014, n. 116. Richiesta di iscrizione nel Registro delle imprese sulla base di atto pubblico o scrittura autenticata Con la presente circolare si intende fornire chiarimenti ed indicazioni in merito all’attuazione delle procedure di iscrizione degli atti al Registro delle imprese le cui modalità sono state recentemente innovate a seguito dell’introduzione dell’art. 20, comma 7-bis del d.l. 24.6.2014, n. 91, convertito con la legge 11.8.2014, n. 116. La nuova disposizione recita come segue: “Al fine di facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative all’attività dell’impresa, quando l’iscrizione è richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il conservatore del registro procede all’iscrizione immediata dell’atto. L’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione rientra nella esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto. Resta ferma la cancellazione d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 del codice civile. La disposizione del presente comma non si applica alle società per azioni”. Si precisa in primo luogo che la norma specifica espressamente la data dell’entrata in vigore del nuovo regime fissandola nel “primo giorno del mese successivo 133 Circolari e Pareri alla data di entrata in vigore della legge di conversione” cioè nell’1 settembre 2014. La legge di conversione ha, pertanto, fissato una decorrenza che obbliga ad una tempestiva soluzione dei non pochi problemi interpretativi che pone. Proprio al riguardo dell’entrata in vigore della norma sembra opportuno precisare che la stessa si applica alle istanze trasmesse dall’1 settembre in poi, ciò vuol dire che restano escluse dal nuovo regime tutte quelle presentate fino al 31 agosto, anche se prese in esame dopo l’1 settembre o che a questa data risultano sospese. La norma esordisce affermando che lo scopo della nuova disciplina è quello “di facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative all’attività dell’impresa”. Pertanto questa è la ratio con la quale occorre leggere la disposizione e dare soluzione alle questioni sorte con riguardo alla sua applicazione, già rilevate da diverse Camere di commercio. Prioritariamente occorre riflettere sull’espressione “immediata iscrizione”. Secondo il parere della scrivente con tale locuzione il legislatore ha voluto imporre all’ufficio del registro delle imprese di procedere comunque all’iscrizione dell’atto senza avviare i controlli concernenti “le condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione” che a norma di legge, ordinariamente, precedono l’iscrizione e che in caso di esito negativo comportano la sospensione o il rifiuto dell’iscrizione stessa. Il legislatore ha voluto incidere sulle attività inerenti i controlli che l’ufficio ordinariamente effettua ai sensi dell’art.11, comma 6, del d.P.R. 581/95 mirati ad accertare la legalità formale degli atti. Nel corso dell’istruttoria ex art. 11 citato, di fatto, il conservatore procede alla verifica di ulteriori elementi quali ad es. illegibilità o mancanza degli allegati o del 134 formato pdf, discordanza tra il contenuto dell’atto e compilazione della modulistica ecc. Questi, come anche altre verifiche portano attualmente alla sospensione della procedura di iscrizione. Alla luce della nuova normativa ed al fine di assicurare l’immediatezza dell’iscrizione funzionale alla ratio normativa si ritiene che l’attività di controllo come esemplificata, vada limitata alla verifica dei requisiti di ricevibilità dell’atto in relazione, ad esempio, alla competenza territoriale della Camera, ma anche all’autenticità della sottoscrizione della domanda. Tutti gli elementi dell’atto sono da ricondurre all’attività di chi ha redatto l’atto pubblico o la scrittura privata stante che la norma in argomento afferma che l’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione rientra nella esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto. Si osserva, tuttavia che le problematiche rilevate meritano approfondite riflessioni e che le necessarie indicazioni vengano adottate alla luce dell’esame di ampie casistiche che emergeranno in breve tempo e rappresentate in occasione di confronti con gli uffici Camerali. Considerando improrogabile fornire i primi chiarimenti sulle questioni emerse nell’immediato, la scrivente ritiene, quindi, di dover rinviare ad una successiva circolare per una più puntuale disamina di ogni tipo di verifica o controllo trattenuti nella competenza dell’ufficio non attinenti meramente alle “condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione”. Affinché, il registro delle imprese garantisca una pubblicità sostanziale, essenziale e corretta il legislatore ha ritenuto di ribadire che resta ferma la cancellazione d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 c.c.. Poiché l’articolo ora menzionato dispone che “ Se un’iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l’interessato, ne ordina con decreto la cancellazione” sembra di poter affermare che l’ufficio del registro, Circolari e Pareri sia pur provvedendo all’immediata iscrizione, deve effettuare, ad iscrizione avvenuta, quindi a posteriori, quei controlli che se effettuati a priori avrebbero comportato la mancata iscrizione dell’atto. Tutto ciò premesso in merito all’interpretazione della locuzione “iscrizione immediata dell’atto”, occorre ancora osservare che, secondo il parere della scrivente, resta inalterato il rispetto del principio dell’ordine cronologico dell’esame delle pratiche come enunciato e imposto dall’art. 6 del citato d.P.R. 581/95 e che l’immediatezza riguarda, pertanto, la qualità dell’esame della pratica e non implica modifiche o accelerazioni rispetto al turno assegnato ad essa al momento della protocollazione. Si richiama, inoltre, l’attenzione sul fatto che la norma dispone che “… il conservatore procede all’iscrizione immediata dell’atto” e, quindi, conferma il potere di iscrizione in capo al conservatore del registro delle imprese al quale continuano a spettare i poteri di controllo in ordine alla domanda. Occorre, a questo punto, individuare quali siano gli atti presi in considerazione dal legislatore al fine di riservare ad essi lo specifico trattamento prescritto dal citato comma 7-bis. Innanzi tutto la norma richiede che si tratti di iscrizione basata su un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. Al riguardo si ritiene che il legislatore abbia inteso riferirsi oltre che agli atti notarili anche a tutti gli atti provenienti da un’autorità pubblica, ad esempio le sentenze. Si ritengono, quindi esclusi gli atti provenienti da professionisti diversi. In proposito si ritiene, quindi, debbano escludersi anche gli atti di cessione di quote di società a responsabilità limitata stipulati ai sensi del comma 1-bis dell’art. 36 della legge 6 agosto 2008, n. 133 che consente la sottoscrizione digitale degli atti di trasferimento di quote delle s.r.l. e la trasmissione presso l’ufficio del registro delle imprese a cura di un intermediario autorizzato. A tale proposito, si osserva che il legislatore ha sollevato l’ufficio del registro “da qualsivoglia controllo sull’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione” delineando una procedura che renderebbe inarrestabile l’iter di iscrizione al registro delle imprese avviato sulla base di un atto pubblico o una scrittura privata. Il legislatore, inoltre, ha sottolineato la “esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto” in caso di iscrizioni avvenute illegittimamente. Ne consegue in questi casi che il pubblico ufficiale potrà essere sottoposto, ove ne ricorrano le condizioni, a segnalazioni all’ordine professionale o essere chiamato a rispondere dei danni conseguenti alla compiuta irregolarità. Sarebbe, quindi auspicabile l’adozione, da parte ad esempio dei consigli notarili, di programmi informativi per prevenire il verificarsi delle irregolarità stesse riducendo nel contempo il rischio del coinvolgimento del professionista la cui attività oggi assume un rilievo diverso e più consistente, nell’ambito delle procedure di iscrizione, rispetto al passato. Nonostante il tenore letterale della norma, all’attività di segnalazione sopra ricordata, va infine privilegiata la possibilità che, senza alterarne le prescrizioni legislative, gli uffici e i professionisti trovino forme di dialogo nell’ambito del più generale e sempre dovuto principio di leale collaborazione fra pubblici uffici e pubblici ufficiali nell’interesse primario delle imprese e della trasparenza e correttezza delle informazioni ad esse riferite. Occorre appena accennare, visto che a tale proposito la norma è esplicita, che le procedure cui si riferisce il comma 7 bis in questione, sono quelle che riguardano l’avvio di tutte le attività ed in generale tutte le procedure di iscrizione al registro delle imprese basate su atti pubblici o scritture private autenticate quale che sia la forma giuridica del soggetto titolate dell’impresa. Restano escluse solo le società per azioni. 135 Circolari e Pareri Resta ancora la questione dell’applicazione della norma in argomento al caso in cui l’istante che presenta domanda di iscrizione al registro delle imprese e possiede tutti i requisiti per usufruire del trattamento accelerato introdotto dall’articolo 20, comma 7-bis non abbia comunicato il proprio indirizzo di PEC. Al riguardo si precisa quanto segue. A seguito dell’introduzione dell’obbligo di comunicazione della PEC al registro delle imprese per le società (art.16, comma 6 del d.l. 29 novembre 2008, n.185, convertito con modificazioni con la legge 28 gennaio 2009, n. 2) il legislatore con il d.l. 9 febbraio 2012, n.5,convertito con legge 4 aprile 2012, n. 35, (cfr. art. 37) ha, anche, previsto una sanzione per il mancato rispetto della norma. È stato così aggiunto il comma 6-bis all’art. 16 cit., stabilendo che :«(…) L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa costituita in forma societaria che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda per tre mesi, in attesa che essa sia integrata con l’indirizzo di posta elettronica certificata». L’art. 5 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazione dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) ha esteso l’obbligo della comunicazione della pec al registro delle imprese, alle imprese individuali. Analogamente a quanto stabilito per le società il legislatore ha previsto una sanzione per la mancata comunicazione ed ha stabilito che: “Le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale, sono tenute a depositare, presso l’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata entro il 30 giugno 2013. L’ufficio del registro delle imprese che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica 136 certificata, in luogo dell’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 2630 del codice civile, sospende la domanda fino ad integrazione della domanda con l’indirizzo di posta elettronica certificata e comunque per quarantacinque giorni; trascorso tale periodo, la domanda si intende non presentata. Risulta evidente che le due norme ora richiamate collidono con il disposto dell’art. 20, comma 7-bis nel caso in cui l’iscrizione al registro delle imprese è richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata da parte di un soggetto (impresa individuale o societaria ad esclusione delle s.p.a) che non abbia comunicato l’indirizzo di pec. L’ufficio del registro si troverà di fronte al dilemma se sospendere la pratica per mancanza della pec o procedere all’iscrizione immediata dell’atto al fine di facilitare ed accelerare le procedure di iscrizione al registro delle imprese in linea con quanto recita il citato comma 7-bis. Emerge chiaramente un conflitto fra le norme in questione. Come già sottolineato nelle premesse della presente circolare la norma introdotta con il comma 7-bis dell’art. 20 nasce con l’intento di “facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative all’attività dell’impresa”. La scrivente, ribadisce, pertanto, che il processo interpretativo della nuova disciplina debba essere ispirato dagli obiettivi esplicitati dal legislatore. L’introduzione dell’obbligo di munirsi della pec per le imprese individuali e societarie si inserisce in un contesto di iniziative che guardano verso una prospettiva di semplificazione, modernizzazione e speditezza dei rapporti tra Amministrazione e impresa. Disporre della pec è oggi importante considerato che anche altre Amministrazioni (ad es. Agenzia delle entrate) Circolari e Pareri si sono rese disponibili a mettere a disposizione del cittadino questo canale di comunicazione che assicura celerità, certezza ed economicità da ambo le parti. Allo stato attuale, pertanto, la scrivente non può fare a meno di osservare che dare seguito immediatamente all’iscrizione delle istanze basate su atto pubblico o scrittura privata nei casi in cui l’impresa sia venuta meno all’obbligo di comunicazione della pec significherebbe mortificare in parte il carattere di essenzialità della pec in una fase nella quale si assiste, invece, ad un programma di sua piena valorizzazione. La scelta contraria, invece, ne rafforzerebbe la funzione nell’ambito dei rapporti fra imprese e Pubblica Amministrazione. In questo momento storico-economico sembra opportuno prediligere ed incentivare ogni strumento di semplificazione nei rapporti fra imprese e P.A. anche attraverso l’imposizione di un onere (munirsi della pec) che non è da considerarsi un aggravio per l’imprenditore ma una corsia di comunicazione obbligatoria che non può non rivelarsi favorevole per il mondo imprenditoriale. Il legislatore ha ritenuto talmente importante ciò che ha munito la norma sulla pec di una sanzione che va ad incidere direttamente nelle vicende dell’impresa impedendo l’iscrizione dell’atto, cioè la rilevanza di esso nei confronti dei terzi, attraverso la mancata iscrizione e conseguente pubblicità. È solo il caso di ricordare, ad adjuvandum, che sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato che ha reso il parere in data 10 aprile 2013, n. 1714/2013, con il quale ha precisato che anche nel caso di impresa costituita in forma societaria un’istanza presentata per una società priva di p.e.c. si deve “... intendere come non presentata”. Sulla base delle suesposte considerazione alla scrivente sembra opportuno ritenere che la norma contenuta nel comma 7-bis, dell’art. 20 del d.l. 24.6.2014 convertito con la l. 11.8.2014, n. 116 debba considerarsi derogabile nel caso in cui l’istanza di iscrizione di un atto basato su atto pubblico o scrittura autenticata pervenga all’ufficio del registro delle imprese da parte dell’impresa che non ha provveduto alla comunicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata a norma di legge. NOTA MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 4 settembre 2014 D.P.R. 9 luglio 2014, 159 – Regolamento recante i requisiti e le modalità di accreditamento delle agenzie per le imprese, a norma dell’articolo 38, comma 4 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – Modalità di trasmissione delle dichiarazioni di conformità al SUAP Nel corso del 2010 sono stati emanati i due decreti attuativi dell’articolo 38, commi 3 e 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Trattasi dei due interventi normativi, funzionali al disegno di semplificazione di assetti procedimentali ed organizzativi, aventi ad oggetto il SUAP (Sportello Unico per le Attività Produttive) e le Agenzie per le imprese. Il d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 reca la nuova disciplina del SUAP (Sportello Unico Attività Produttive), che semplifica e riordina la disciplina dello sportello unico, ne individua il ruolo di canale unico tra imprenditore ed amministrazione per eliminare ripetizioni istruttorie e documentali e prevede l’introduzione dell’esclusivo 137 Circolari e Pareri utilizzo degli strumenti telematici nell’esplicazione di tutte le fasi del procedimento amministrativo, al fine di garantire semplificazione e certezza dei tempi di conclusione. Le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività d’impresa e i relativi elaborati tecnici e allegati sono presentati, esclusivamente in modalità telematica, al SUAP del comune competente per il territorio, che provvede all’inoltro telematica della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento (anch’esse tenute ad adottare modalità telematiche di ricevimento e di trasmissione) e assicura al richiedente una risposta telematica unica e tempestiva in luogo degli altri uffici comunali e di tutte le amministrazioni pubbliche comunque coinvolte nel procedimento. L’elenco dei comuni con il SUAP operante è disponibile nell’apposita sezione del portale www.impresainungiorno. gov.it. Il d.P.R. 9 luglio 2010, n. 159, disciplina le Agenzie per le imprese, istituite dalla norma primaria con lo scopo di facilitare i rapporti tra imprese e amministrazione sotto vari profili, compreso quello telematico. L’art. 38, al comma 3, lett. c), prevede la possibilità per gli imprenditori di affidare a soggetti privati, denominati appunto Agenzie per le imprese, il compito di attestare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell’attività di impresa, mediante il rilascio di una dichiarazione di conformità, che in quanto tale costituisce titolo per l’avvio immediato dell’attività o per la realizzazione dell’intervento. La dichiarazione di conformità è rilasciata solo per le pratiche rientranti nell’attività vincolata dell’amministrazione. Qualora infatti si tratti di procedimenti che comportano attività discrezionale, le Agenzie svolgono unicamente attività istruttoria in luogo e a supporto del SUAP. Per l’esercizio della loro attività, le 138 Agenzie devono essere state accreditate dal Ministero dello sviluppo economico. A tal fine l’organismo che intende accreditarsi presenta apposita istanza con l’indicazione dettagliata delle attività economiche per le quali chiede l’accreditamento e dell’ambito territoriale, almeno regionale, nel quale intende operare. A tal fine deve accludere all’istanza la documentazione comprovante il possesso di una struttura tecnico-amministrativa rispondente a criteri di competenza, indipendenza e terzi età, nonché copia dell’atto di stipula di una polizza assicurativa di responsabilità civile professionale che copra i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività e che sia valida per l’intera durata dell’accreditamento. La disciplina prevede due livelli di accreditamento. Il primo livello è riferito alle attività vincolate ossia soggette a SCIA, mentre il secondo abilita l’Agenzia ad esercitare attività istruttoria in luogo e a supporto dello sportello unico nei casi in cui l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell’esercizio dell’attività di impresa comporta attività discrezionale da parte dell’ amministrazione. Sia nel primo caso (Agenzie di tipo a) che nel secondo (Agenzie di tipo b) l’accreditamento è concesso con provvedimento della scrivente Direzione generale ai soggetti richiedenti l’accreditamento che, a seguito della verifica da parte del Ministero, delle Regioni nei cui ambiti territoriali intendono svolgere l’attività, nonché delle eventuali amministrazioni statali coinvolte in relazione alla tipologia di procedimenti in relazione ai quali intendono operare, risultano in possesso dei requisiti e dei presupposti previsti dal citato d.P.R. n. 159 e, nello specifico, dall’allegato al decreto. A seguito dell’ottenimento del provvedimento di accreditamento le Agenzie per le imprese di tipo a) nel procedimento Circolari e Pareri automatizzato di cui all’art. 5 del citato decreto n. 160, in caso di esito positivo della verifica trasmettono al SUAP competente per territorio una dichiarazione di conformità comprensiva della SCIA e delle attestazioni e certificazioni richieste, che costituisce titolo per l’avvio immediato dell’attività o per la realizzazione dell’intervento dichiarato: l’art. 38, comma 3, letto c), del decreto legge n. 112 del 2008, infatti, conferisce alla dichiarazione di conformità da esse rilasciata valore provvedimentale, circostanza che, sotto questo aspetto, fa assumere alle Agenzie la veste di amministrazioni-autorità incaricate di esercitare pubbliche funzioni. Nel procedimento ordinario di cui all’art. 7 del citato decreto n. 160, esse offrono assistenza all’imprenditore ai fini della individuazione dei procedimenti da attivare in relazione all’esercizio delle attività d’impresa o alla realizzazione di impianti produttivi, per la redazione in formato elettronico delle domande e su richiesta dell’interessato, per lo svolgimento dell’attività istruttoria. In tal senso le Agenzie di tipo b) rilasceranno una attestazione dell’accertato rispetto di tutte le prescrizioni di carattere tecnico, giuridico, amministrativo e procedurale previste dalla normativa ai fini della formazione dell’atto autorizzatorio. Nel rimandare alla sezione Agenzie per le imprese del portale www.impresainungiorno.gov.it per il dettaglio dei procedimenti e dei settori per i quali sono state accreditate, di seguito si riportano le denominazioni delle Agenzie per le imprese accreditate alla data odierna per l’esercizio dell’attività di tipo a) con i relativi ambiti regionali: UNITER S.r.l., costituita da Confcommercio, operante in Lombardia, Marche, Veneto; CAF CNA S.r.l., operante in Marche, Lazio. Veneto; AGENZIA PER LE IMPRESE Confartigianato S.r.l., operante in Marche, Veneto, Lombardia, Lazio; CAAF SICUREZZA FISCALE SRL, costituita da Confesercenti, operante nel Lazio; AGENZIA NAZIONALE PER LE IMPRESE DEI PROFESSIONISTI S.r.l. ovvero AGIPRO, operante in Lombardia e Piemonte. Premesso quanto sopra si richiama il disposto di cui all’art. 19-bis, comma 1, lett. a), del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, il quale prevede che “i controlli, le dichiarazioni,e le attività istruttorie delle Agenzie per le imprese sostituiscono a tutti gli effetti i controlli e le attività delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari, salvo per le determinazioni in via di autotutela e per l’esercizio della discrezionalità”. Si richiama, altresì, il comma 3 del medesimo articolo il quale modifica l’art. 19, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e stabilisce che, nel caso di SCIA corredata della dichiarazione di conformità rilasciata da una Agenzia di tipo a) all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente. per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. Ciò significa che, nel caso di specie, ossia in presenza della dichiarazione di conformità rilasciata dall’Agenzia per le imprese, attestante la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti per l’avvio o l’intervento non è ammissibile l’applicazione del primo periodo del comma 3 che disciplina l’attività inibitoria e riparatoria che l’amministrazione competente può porre in essere dopo aver accertato la carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma l citato che, in questo caso, sono già stati verificati da parte dall’Agenzia per le Imprese. 139 Circolari e Pareri Di conseguenza, considerato quanto esplicitato in relazione al ruolo e alla funzione affidati a detti organismi dalla disciplina vigente, nonché il rilievo che possono assumere nel rappresentare un efficace ed ulteriore supporto per le imprese negli ambiti territoriali nei quali sono legittimati ad operare, con la presente si intende segnalare ai Comuni in indirizzo, appartenenti alle Regioni nei cui ambiti territoriali le Agenzie su elencate sono legittimate ad operare, l’opportunità di inserire, nella sezione dedicata al SUAP indicata nell’istanza di accreditamento del medesimo presentata alla scrivente amministrazione, l’informazione relativa alla circostanza della esistenza nell’ambito territoriale di riferimento di Agenzie per le imprese accreditate (con relative denominazioni, servizi prestati in ordine ai procedimenti per i quali hanno ottenuto l’accreditamento, nonché, ove sussistano eventuali costi da sostenere) e quindi la conseguente possibilità per le imprese di optare, in alternativa all’invio telematico diretto al SUAP, per l’invio telematico all’Agenzia presente nel territorio. Stante quanto sopra, si richiama l’art. 4, commi 1 e 2 del citato d.P.R. n. 159, il quale dispone che “Le Agenzie comunicano immediatamente al SUAP, tramite il portale, le dichiarazioni di conformità costituenti titolo autorizzatorio rilasciate, le attestazioni rese a supporto degli Sportelli Unici e le istanze per le quali e’ stata accertata la mancanza dei presupposti per l’esercizio dell’attività di impresa” e che “Le Amministrazioni competenti tengono conto di tali informazioni, raccolte in una banca dati integrata con il portale, accessibile da parte delle amministrazioni pubbliche ai fini dello svolgimento dell’attività di vigilanza (...)“. Si richiama, altresì, la disposizione di cui all’art. 6, comma 2, del citato d.P.R. n. 160, la quale dispone che “L’Agenzia, compiuta l’istruttoria, trasmette, in modalità telematica, al SUAP una dichiarazione 140 di conformità, comprensiva della SCIA o della domanda presentata dal soggetto interessato corredata dalle certificazioni ed attestazioni richieste, che costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività e per l’avvio immediato dell’intervento dichiarato. (...). Il SUAP provvede ad inserire tali informazioni in una sezione del portale, accessibile da parte delle amministrazioni pubbliche ai fini dell’attività di monitoraggio di cui al comma 1 dell’articolo 11” del medesimo decreto. Dal contenuto delle disposizioni su richiamate risulta evidente che la disciplina in materia di SUAP e Agenzie per le imprese di cui al d.P.R. n. 160 e al d.P.R. n. 159 presuppongono ai fini dell’ operatività del sistema un costante e continuo flusso di informazioni. notizie e dati tra SUAP, Agenzie e Portale nazionale, che, solo ove funzionante a regime, è in grado di garantire alle imprese un servizio rispondente ai dettami normativi e alle amministrazioni coinvolte una efficace attività di monitoraggio e la conseguente adozione, ove se ne rilevi la necessità, di misure correttive finalizzate ad eliminare inadempienze, disfunzioni o irregolarità In tal senso assume rilievo, ad avviso della scrivente che i SUAP in indirizzo operino, altresì, al fine di dotarsi dei necessari strumenti informatici in grado di consentire che le dichiarazioni di conformità possano essere trasmesse telematicamente in maniera corretta ed efficace da parte delle Agenzie per le Imprese al SUAP e poi possano essere inserite nel Portale www.impresainungiorno.gov.it. Ci si riferisce, nello specifico, ai Comuni che abbiano già reso pienamente operativa la possibilità di inoltrare le Scia utilizzando la procedura informatica all’uopo predisposta che risponde alle caratteristiche tecniche stabilite dal decreto n. 160, considerato che ai sensi e per gli effetti dall’articolo 5, comma l, del decreto interministeriale 10 novembre 2011, recante misure per l’attuazione dello sportello Circolari e Pareri unico, il quale disciplina le modalità di rilascio e gli effetti della ricevuta, “In attesa dell’adozione, da parte del SUAP, di strumenti che consentano la verifica in modalità informatica della completezza formale della segnalazione o dell’istanza e dei relativi allegati, nonché di una ricevuta rilasciata automaticamente ai sensi delle regole tecniche stabilite dal decreto, è valida la ricevuta di posta elettronica certificata che attesta l’avvenuta consegna al SUAP della segnalazione o dell’istanza, ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, oppure la ricevuta emessa in modalità automatica dal portale www.impresainungiorno.gov.it o dal sito del SUAP tramite web browser, previa identificazione informatica secondo le modalità previste (...)“. Ai Comuni nei quali sia pienamente operativo il percorso telematico auto compilativo per tutti i procedimenti relativi all’attività d’impresa, correttamente indicato sulla pagina web del SUAP, pertanto, si segnala l’opportunità di adottare un sistema di opzione informatico riservato alle Agenzie per le imprese, nel quale possano transitare le dichiarazioni di conformità dalle medesime rilasciate in considerazione della circostanza che in tal caso è già stata verificata la completezza formale e la correttezza sostanziale della Scia e dei relativi allegati. Ove il Comune utilizzi piattaforme regionali, si estende alla Regione l’invito a prevedere forme di comunicazione telematica espressamente dedicate alle Agenzie per le imprese. In conclusione, a conferma della opportunità di predisporre una specifica opzione dedicata alle imprese che vogliano usufruire dei servizi delle Agenzie per le imprese, si evidenzia che detta facoltà è già operativa sul portale nazionale www. impresainungiorno.gov.it per cui la sua introduzione sui siti degli enti locale consentirebbe di uniformare le opportunità e garantire al meglio il servizio alle imprese. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 23 giugno 2014, n. 114972 Attività di commercio all’ingrosso – Verifica requisiti soggettivi Si fa riferimento alla nota inviata per e-mail, con la quale codesta Unione di Comuni chiede un parere in merito alla competenza relativa alla verifica dei requisiti soggettivi in materia di commercio all’ingrosso. Questo in quanto la Camera di Commercio competente per territorio avrebbe trasmesso a codesta Unione una comunicazione, con la quale, facendo presente una serie di novità normative, riteneva che la competenza alla verifica dei requisiti soggettivi dell’attività in discorso sarebbe ora in capo al SUAP, anche ai sensi di quanto disposto dalla nota della scrivente n. 135873 del 6 ottobre 2010. Al riguardo si precisa quanto segue. Si richiama il contenuto della citata nota n. 135873, con la quale la scrivente Direzione ha preliminarmente richiamato la propria interpretazione sugli adempimenti ai quali erano tenuti i soggetti aspiranti l’attività di commercio all’ingrosso in vigenza del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Al riguardo ha richiamato il punto 1.1 della circolare 28 maggio 1999, n. 3467/C, nella quale ha precisato che ai sensi del citato decreto legislativo n. 114 ai fini dell’avvio dell’attività in discorso non sono previste né comunicazione né autorizzazione. Di conseguenza ha sostenuto, richiamando la circolare 10 ottobre 2001, n. 3526/C, recante istruzioni sulla compilazione della modulistica da utilizzare ai fini dell’avvio e dell’esercizio dell’attività commerciale (approvata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo 141 Circolari e Pareri Stato, le Regioni e le Province autonome) che, nel caso di specie, fosse sufficiente la sola compilazione del quadro di autocertificazione, allegato alla circolare, attestante il possesso dei requisiti prescritti da parte del soggetto che intendeva avviare l’attività all’ingrosso. Stante quanto sopra, nella citata nota la scrivente, a seguito delle modifiche intervenute nella formulazione dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad opera dell’articolo 49 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha introdotto nell’ordinamento l’istituto della SCIA, il quale per espressa previsione ha sostituito “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi ...“, ha conseguentemente sostenuto l’applicabilità dell’istituto della SCIA dal momento che anche ai fini dell’avvio dell’attività all’ingrosso non sussiste alcun margine di discrezionalità in capo all’autorità competente. Alla luce, però, delle numerose norme di semplificazione e liberalizzazione introdotte nel corso del 2012 (cfr. in particolare il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché il d.l. 9 febbraio 2012, n. 5 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35), ed in particolare dell’articolo 12, comma 4 del citato d.l. n. 5 del 2012, che individua gli istituti a cui sottoporre l’avvio delle attività, ovvero “... ad autorizzazione, a segnalazione certificata di inizio di attività 142 (SCIA) con asseverazioni o a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) senza asseverazioni ovvero a mera comunicazione...“, è evidente che allo stato attuale la SCIA non risulta l’unico istituto applicabile ai fini dell’avvio di un’attività, considerato infatti che la disposizione citata individua espressamente anche l’applicabilità dell’istituto della comunicazione. In conseguenza di quanto sopra, la scrivente ritiene di modificare la posizione assunta nella citata nota il 135873, stante anche la necessità di intervenire ai fini della eliminazione di procedure non proporzionate, e pertanto rappresenta che il soggetto aspirante all’avvio dell’attività in discorso possa utilizzare la Comunicazione Unica, ferma restando la necessità di indicare il settore di attività e autocertificare il possesso dei requisiti di cui all’articolo 71, comma l del decreto legislativo n. 59 del 2010 e s.m.i., ossia solo di onorabilità alla luce delle modifiche intervenute all’alinea del comma 6 dell’articolo 71 del citato decreto legislativo n. 59 ad opera del decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147, che hanno di fatto determinato l’obbligatorietà del possesso dei requisiti professionali solo nel caso del commercio al dettaglio dei prodotti alimentari, con conseguente soppressione di tale obbligo nel caso di commercio all’ingrosso. Ai fini dell’avvio dell’attività, il rilascio di apposita ricevuta telematica da parte della Camera di Commercio consente all’impresa di esercitare immediatamente l’attività. Va rilevato, altresì, che, essendo utilizzabile la Comunicazione Unica, non può sostenersi l’applicabilità delle modalità di controllo e della tempistica stabilite in caso di SCIA dal citato articolo 19 della legge n. 241 che la disciplina. La Camera di Commercio, competente per territorio, però, stante la circostanza che il soggetto in questione autocertifica il possesso dei requisiti e la conseguente applicabilità alla fattispecie Circolari e Pareri delle conseguenze penali e amministrative previste dagli artt. 75 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 in caso di dichiarazioni mendaci e formazione o uso di atti falsi, è tenuta a verificare la veridicità di quanto auto certificato in materia di requisiti, ma può effettuare detto controllo anche a campione e a prescindere dal rispetto di termini temporali che nel caso di specie non sono espressamente previsti. In conclusione, considerata la generale competenza dei Comuni in materia di vigilanza sulle attività commerciali operanti sul territorio e quindi la necessità di avere conoscenza della dislocazione delle medesime, la scrivente ritiene che le Camere di Commercio, stante la collaborazione con le amministrazioni pubbliche che le contraddistingue, debbano rendersi disponibili a trasmettere le notizie relative alle attività di commercio all’ingrosso ai Comuni che, eventualmente, ne facciano richiesta. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 11 giugno 2014, n. 108496 Parere in merito al funzionamento di apparecchiature self-service con pagamento anticipato Si fa riferimento alla nota a margine indicata, con la quale codesto Comune fa presente che nel territorio comunale è presente un distributore di carburanti dotato di impianto funzionante anche in modalità self service con pagamento anticipato. Sottolinea, al riguardo, di aver ricevuto segnalazione che il titolare dell’impianto self service tende a prestare assistenza agli automobilisti che si riforniscono autonomamente con tale modalità anche durante l’orario di apertura dell’impianto, inserendo i soldi nell’accettatore di banconote, nonché posizionando l’erogatore nel serbatoio senza far scendere i conducenti dalle rispettive auto. Fa presente, inoltre, che il d.P.R. 13 dicembre 1996, all’articolo 4, lettera i), dispone che: “le apparecchiature self-service pre-pagamento devono, di norma, restare sempre aperte, purché funzionino senza l’assistenza di apposito personale”, e alla lettera f) del medesimo articolo prevede, altresì, delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni previste ai sensi della legge n. 558 del 1971, abrogata dall’articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Stante quanto sopra, codesto Comune chiede, pertanto, di sapere se l’eventuale attività di assistenza prestata dal gestore durante l’orario di apertura dell’impianto possa essere sanzionata e, in caso positivo, quale normativa applicare al riguardo. La scrivente Direzione, fermo restando che si esprime esclusivamente con riferimento alla disciplina nazionale, per quanto di propria competenza, fa presente quanto segue. In via preliminare, si evidenzia che la competenza diretta in materia di orari e turni di apertura e di chiusura dei distributori di carburanti è esercitata dalle Regioni, alle quali, con il d.P.R. 13-12-1996, tuttora vigente, sono state indicate le direttive sulla materia in discorso. Premesso quanto sopra, si evidenza, altresì, che la legge 28 luglio 1971, n. 558, abrogata dall’articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recava la “Disciplina dell’orario dei negozi e degli esercizi di vendita al dettaglio”. Le sanzioni in essa previste all’articolo l0, quindi, erano riferibili a chi contravveniva alle disposizioni riguardanti la specifica disciplina degli orari. Proprio per questo motivo, nell’ambito del d.P.R. 13-12-1996, la lettera f) del citato articolo 4, che prevede le sanzioni di cui alla legge n. 558 per chi viola le disposizioni in materia di orari, è posta dopo 143 Circolari e Pareri le lettere a), b), c), d) ed e), con le quali vengono disciplinati gli orari dei distributori di carburanti. Ad avviso della scrivente, pertanto, le sanzioni previste dalla abrogata legge n. 558 potevano essere applicate solo a chi violava le disposizioni in materia di orari disciplinate dalle lettere dell’articolo 4 sopra citate. Alla luce dell’abrogazione operata dall’articolo 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, la scrivente ritiene, comunque, che eventuali violazioni in materia di orari dei distributori di carburanti possano quindi essere sanzionate ai sensi dell’articolo 22, comma 3 del citato decreto legislativo n. 114 del 1998. Con riferimento alla possibilità di sanzionare l’eventuale attività di assistenza prestata dal gestore agli automobilisti che si avvolgono dell’impianto self-service, si evidenzia che l’articolo 28, comma 7, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, come modificato dall’articolo 18, comma l, del d.l. 24 gennaio 2012, n. l, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede che “Non possono essere posti specifici vincoli all’utilizzo di apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, durante le ore in cui è contestualmente assicurata la possibilità di rifornimento assistito dal personale, a condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la presenza del titolare della licenza di esercizio dell’impianto rilasciata dall’ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori”. Ad avviso della scrivente, pertanto, non sembra escludersi la possibilità che il cliente possa essere assistito durante la fase di rifornimento di carburante. Stante comunque la prevalente competenza regionale in materia, la presente nota e il relativo quesito sono inviati alla Regione Calabria, che legge per conoscenza, la quale è pregata di far conoscere anche alla ascrivente il proprio avviso 144 al riguardo. La presente nota e il relativo quesito sono altresì inviati anche alla Direzione Generale per la sicurezza della’approvvigionamento e per le infrastrutture, la quale è pregata di far conoscere alla scrivente Direzione eventuali determinazioni contrarie. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 17 giugno 2014, n. 108679 Parere in merito agli orari dei distributori di carburanti Si fa riferimento alla nota a margine indicata, con la quale codesto Comune fa presente che l’orario dei distributori di carburanti presenti all’interno del territorio comunale è disciplinato da relativa ordinanza sindacale, la quale stabilisce l’orario di apertura e di chiusura degli impianti nonché i turni di riposo relativi alla giornata del sabato e alle giornate festive. Riferisce, inoltre, che l’orario dei distributori di carburanti a livello regionale era disciplinato dalla legge regionale n. 9 del 1986, di recente abrogata, in attesa di determinazione di una nuova regolamentazione commerciale. Stante quanto sopra, tenuto conto della recente liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura delle attività commerciali ad opera dell’articolo 31 del d.l. n. 201 del 2011 e delle numerose norme di liberalizzazione delle attività economiche che si sono succedute dal 2011 in poi, codesto Comune chiede: se il d.P.R. 13-12-1996 è ancora applicabile; se l’amministrazione comunale può stabilire l’orario di apertura e di chiusura oppure si deve limitare a stabilire delle fasce orarie di apertura lasciando ai gestori una maggiore flessibilità; Circolari e Pareri se in caso di orario flessibile, il gestore deve rispettare un orario massimo di apertura settimanale o giornaliero. Al riguardo, la scrivente Direzione, per quanto di propria competenza, fa presente quanto segue. In via preliminare, si evidenza che la competenza diretta in materia di orari e turni di apertura e di chiusura dei distributori di carburanti è esercitata dalle Regioni, alle quali, con il d.P.R. 13-12-1996, tuttora vigente, sono state indicate le direttive sulla materia in discorso. In particolare, l’articolo 4, lettera b) del citato d.P.R. del 1996 prevede che “l’orario minimo settimanale di apertura, già determinato in cinquantadue ore, sarà progressivamente aumentato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio di Ministri 11 settembre 1989, sulla base delle ulteriori direttive emanate dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato e subordinatamente alla verifica del graduale raggiungimento degli obiettivi di ristrutturazione della rete”. Tale orario di servizio settimanale, ai sensi dell’articolo 7, comma 1 del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, come modificato dall’articolo 83-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge n. 133 del 2008 “può essere aumentato dal gestore fino al cinquanta per cento dell’orario minimo stabilito. Ciascun gestore può stabilire autonomamente la modulazione dell’orario di servizio e del periodo di riposo, nei limiti prescritti dal presente articolo, previa comunicazione al comune”. Il comma 2 del medesimo articolo 7 dispone, inoltre, che fatta eccezione per gli impianti funzionanti con sistemi automatici di pagamento anticipato rispetto alla erogazione del carburante “... per gli impianti assistiti da personale restano ferme le vigente disposizioni sull’orario minimo settimanale, le modalità necessarie a garantire il servizio nei giorni festivi e nel periodo notturno, stabilite dalle regioni alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonché la disciplina vigente per gli impianti serventi le reti autostradali e quelle assimilate”. Fermo quanto sopra, in assenza di specifica regolamentazione regionale, la scrivente ritiene che codesto Comune possa emanare un’ordinanza tenendo conto dei criteri indicati dalle citate normative, considerata la necessità di garantire una corretta fruizione del servizio da parte della cittadinanza. Stante comunque la prevalente competenza regionale in materia, la presente nota e il relativo quesito sono inviati alla Regione Calabria, che legge per conoscenza, la quale è pregata di far conoscere anche alla scrivente il proprio avviso al riguardo. La presente nota e il relativo quesito sono altresì inviati anche alla Direzione Generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e per le infrastrutture, la quale è pregata di far conoscere alla scrivente Direzione eventuali determinazioni contrarie. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 10 giugno 2014, n. 107841 Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 – Esercizio dell’attività di vendita da parte degli imprenditori agricoli – Sanzioni Si fa riferimento alla nota pervenuta per e-mail, con la quale codesto Comune ha chiesto informazioni circa le modalità di vendita dei propri prodotti da parte di un imprenditore agricolo, regolarmente iscritto al Registro delle Imprese e che esercita l’attività nell’androne del portone di accesso alla propria abitazione, fuori 145 Circolari e Pareri dal fondo di produzione e senza alcun titolo autorizzatorio. Al riguardo, la scrivente, dopo avere espressamente richiamato la disciplina applicabile nel caso di attività di vendita da parte dei produttori agricoli, con riferimento agli aspetti sanzionatori, ha precisato, in sede di primo esame, di non ritenere applicabili le sanzioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. In tal senso aveva inviato il parere ed il relativo quesito anche al Ministero delle Politiche Agricole, con preghiera di conoscere quali eventuali sanzioni poter applicare, considerato che l’articolo 4 del decreto legislativo n. 228 non ne prevede espressamente alcuna. L’Amministrazione in parola, con nota del 6-3-2014, n. 16292, ha precisato che: “Con riferimento alle sanzioni da applicarsi, si rappresenta che il legislatore all’art. 4 del d.lgs. n. 22812001 e s.m.i., non ha previsto sanzioni ad hoc in caso di violazione dell’obbligo di comunicazione al Comune. Il d.m. del 20.11.2007 ha delineato le linee guida, valide per tutto il territorio nazionale, sulle modalità di vendita dei prodotti fornendo indicazioni chiare e uniformi alle amministrazioni comunali interessate alle attività di controllo. Si tratta di un decreto, per espressa previsione normativa, di natura non regolamentare, dal momento che la competenza legislativa nelle materie del commercio e dell’agricoltura è riservata alle Regioni”. Verificato, pertanto, che non esiste specifica sanzione nella normativa di competenza del predetto Ministero e fermo restando che la fattispecie in parola non è espressamente prevista ai fini sanzionatori neanche nella disciplina in materia commerciale, la scrivente non può non rilevare che, nei casi in cui sia accertato che non sussistono i requisiti e le condizioni di applicazione della disciplina speciale di cui al decreto legislativo n. 228 del 2001, non potrebbe che riespandersi la generale 146 disciplina prevista per le attività di vendita al dettaglio. Pertanto, trattandosi di attività di vendita al pubblico non conforme a quanto consentito in base a tale vigente normativa generale di settore, sarebbe legittimamente adottabile un provvedimento di inibizione di continuazione dell’ attività nei confronti del soggetto in questione. Ciò significa, salvo diverso avviso del Ministero della Giustizia e fatte salve eventuali diverse previsioni delle norme regionali, che tale vendita al pubblico rientra nella disciplina anche sanzionatoria prevista per la generalità delle attività di vendita al dettaglio. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 27 maggio 2014, n. 101224 Decreto legislativo 26 marzo 2010 – Sospensione attività di somministrazione di alimenti e bevande Si fa riferimento alla nota pervenuta per e-mail, con la quale codesto Comune chiede se ai sensi del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.mi., nello specifico l’articolo 64, comma 8, possa essere consentita la possibilità di proroghe alle sospensioni che si protraggano oltre il termine massimo consentito dalla norma in discorso. Tali proroghe, infatti, erano previste dall’articolo 17, comma 1 della legge regionale n. 29 del 2007; a seguito di modifiche normative, la nuova formulazione del medesimo articolo rinvia all’articolo 64, comma 8 del citato decreto legislativo n. 59, che però non contiene riferimento alcuno ad eventuali proroghe di sospensione. Al riguardo la scrivente Direzione rappresenta quanto segue. Circolari e Pareri L’articolo 64, comma 8 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.mi. dispone che “L’autorizzazione e il titolo decadono nei seguenti casi: a) (Omissis) b) Qualora il titolare sospenda l’attività per un periodo superiore a dodici mesi”. La norma consente la sospensione dell’attività da parte del titolare per un periodo non superiore ad un anno. Di conseguenza, nel caso di specie, la scrivente ritiene che la decadenza sia una conseguenza automatica delle condizioni previste dalla legge che l’amministrazione si limita ad accertare e pertanto è un istituto giuridico che, come tale, non appare suscettibile di nuove o diverse valutazioni, nonché di proroghe. La scrivente, comunque, ritiene che, in sede di accertamento delle condizioni di decadenza, codesto Comune possa non considerare quali periodi di sospensione quelli che consentono di ritenere che non sia stato il titolare a sospendere volontariamente l’attività. RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 27 maggio 2014, n. 101227 D.P.R. 2010, n. 159. Ambiti di operatività degli organismi accreditati per l’esercizio dell’attività di Agenzia per le Imprese. Quesito Codesta Società, in possesso di accreditamento per l’esercizio dell’attività di Agenzia per le imprese di cui al d.P.R. n. 159 del 2010, con mail trasmessa in data 22 gennaio 2014, ha chiesto alla scrivente Direzione Generale chiarimenti in merito alla possibilità “dell’invio contestuale a Comunica della dichiarazione di conformità che la (...) Agenzia rilascia a seguito dei controlli e delle verifiche effettuate sulla Scia”. Quanto sopra, ad avviso di codesta società, sarebbe consentito in base ad una “interpretazione sistematica del comma 3 dell’articolo 6 del d.P.R. n. 160 del 2010”. Al riguardo, si fa presente quanto segue. Ai sensi del d.P.R. n. 159 del 2010 le Agenzie per le Imprese sono soggetti privati accreditati ai quali l’impresa può rivolgersi per l’espletamento degli adempimenti prescritti ai fini dell’avvio dell’attività produttiva. Esse svolgono un duplice ruolo: nel procedimento automatizzato (ossia nel caso in cui l’avvio o la modifica di un’attività produttiva o di servizio è soggetta a SCIA e non esiste alcuna attività discrezionale da parte dell’amministrazione) in caso di verifica positiva a seguito dell’istruttoria, l’Agenzia trasmette al SUAP una dichiarazione di conformità comprensiva della SCIA e delle attestazioni e certificazioni richieste, che costituisce titolo per l’avvio immediato dell’attività o per la realizzazione dell’intervento dichiarato. L’art. 38, comma 3, letto c), del decreto legge n. 112, infatti, conferisce alla dichiarazione di conformità da esse rilasciata valore provvedimentale, circostanza che, sotto questo aspetto, fa assumere alle Agenzie la veste di amministrazioni-autorità incaricate di esercitare pubbliche funzioni. Nel procedimento ordinario (ossia quello nel quale sussiste un’attività discrezionale dell’amministrazione) esse offrono assistenza all’imprenditore ai fini della individuazione dei procedimenti da attivare in relazione all’esercizio delle attività d’impresa o alla realizzazione di impianti produttivi, per la redazione in formato elettronico delle domande e su richiesta dell’interessato, per lo svolgimento dell’attività istruttoria. Premesso quanto sopra, con riferimento alla richiesta di parere sulla possibilità dell’invio contestuale a Comunica della dichiarazione di conformità, si fa presente quanto segue. 147 Circolari e Pareri In via preliminare, si richiama l’articolo 9 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, il quale ha introdotto la comunicazione unica per la nascita dell’impresa da presentarsi all’ufficio del Registro delle imprese per via telematica o su supporto informatico. Detta disposizione consente al soggetto interessato, ai fini dell’avvio dell’attività d’impresa, di presentare, all’ufficio del registro delle imprese, la comunicazione unica che vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l’iscrizione al registro delle imprese e che ha effetto, sussistendo i presupposti di legge, ai fini previdenziali, assistenziali e fiscali individuati con il d.P.C.M. 6 maggio 2009 recante “Individuazione delle regole tecniche per le modalità di presentazione della comunicazione unica e per l’immediato trasferimento dei dati tra le Amministrazioni interessate, in attuazione dell’articolo 9, comma 7, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7”, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA. L’ufficio del registro delle imprese contestualmente rilascia la ricevuta, che costituisce titolo per l’immediato avvio e dà notizia alle Amministrazioni competenti dell’avvenuta presentazione della comunicazione unica, le quali comunicano all’interessato e all’ufficio del registro delle imprese, per via telematica, immediatamente il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate. La procedura sopra descritta si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell’attività d’impresa. La comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi di cui al citato articolo 9 del d.l. n. 7/2007 sono adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica. La modalità telematica o su supporto informativo diventa, pertanto, l’unica modalità di trasmissione possibile per tutte le imprese, comprese quelle individuali, anche in considerazione del fatto che con la 148 comunicazione unica, si espletano tutte le formalità relative alla fase costitutiva, modificativa ed estintiva dell’impresa, essendo valida, inoltre, anche quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti dalla legge, anche ai fini previdenziali, assistenziali e fiscali. Viste, comunque, le eventuali problematiche correlate all’utilizzo della firma digitale e quindi al fine di agevolare l’utilizzo della procedura e semplificare gli adempimenti per le imprese, si è resa necessaria l’adozione di strumenti operativi per consentire agli imprenditori di conferire, a professionisti o altri intermediari, l’incarico di svolgere le attività correlate alla presentazione della comunicazione unica. Pertanto, con circolare n. 3616/C del 15 febbraio 2008 il Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito le modalità di conferimento del potere di rappresentanza tramite procura speciale e di presentazione della comunicazione unica con l’utilizzo della sola firma digitale del soggetto incaricato. Dette modalità di conferimento del potere di rappresentanza tramite procura sono dettagliatamente chiarite nel punto 3 della citata circolare, nel quale viene evidenziato che con la procura, il titolare dell’impresa, attribuisce al soggetto designato il potere di sottoscrizione digitale e presentazione telematica della comunicazione unica all’ufficio del registro delle imprese competente per territorio, sulla base del codice univoco di identificazione della pratica. Tale documento ha quindi il valore di procura speciale, ovvero limitata all’espletamento della formalità identificata dal codice univoco della pratica, in forma scritta non autenticata. L’ufficio del registro delle imprese, dopo aver acquisito il documento allegato al plico informatico, potrà eventualmente effettuare i controlli opportuni senza arrestare o rallentare la procedura. Premesso quanto sopra, si richiama l’articolo 6 del d.P.R. n. 160 del 2010 Circolari e Pareri che esplicita le funzioni dell’ Agenzia per le imprese sia nel caso di procedimento automatizzato che ordinario. Il comma 1 prevede che nel caso di procedimento automatizzato “.. il soggetto interessato può avvalersi dell’Agenzia (..) “. Il successivo comma 2, dispone che “L’Agenzia, compiuta l’istruttoria, trasmette, in modalità telematica, al SUAP una dichiarazione di conformità, comprensiva della SCIA o della domanda presentata dal soggetto interessato corredata dalle certificazioni ed attestazioni richieste, che costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività e per l’avvio immediato dell’intervento dichiarato (...)“. Il comma 3, che “L’Agenzia, in modalità telematica, può presentare la SCIA presso l’Ufficio del registro delle imprese nei casi in cui essa sia presentata contestualmente alla comunicazione unica (...)“, come, peraltro, già sancito dal comma 2 dell’articolo 5 del d.P.R. n. 160. Il comma 4, infine, che “L’interessato utilizza gli strumenti informatici messi a disposizione dall’Agenzia e può, mediante apposita procura, incaricare la stessa Agenzia di accedere, per suo conto, a tutti gli atti e i documenti necessari che siano in possesso di un’amministrazione pubblica”. Dal contenuto delle disposizioni citate e in particolare dal contenuto del comma 3 dell’articolo 6, risulta evidente che l’Agenzia ha la facoltà di interagire direttamente con il registro imprese, potendo presentare la SCIA presso tale Ufficio in tutti i casi in cui può utilizzarsi la comunicazione unica. Comunque, la facoltà attribuita all’Agenzia dal citato comma 3, ossia di interagire con il registro imprese, lungi dal riferirsi al percorso procedimentale da ultimo richiamato, si riferisce invero all’esercizio della funzione da parte dell’Agenzia nel senso che la medesima, nel caso di trasmissione contestuale alla comunicazione unica, può assumere il ruolo di soggetto che assiste l’impresa pur non svolgendo una funzione amministrativa. Questa duplicità di ruoli in capo ali’ Agenzia, peraltro, trova conferma nel contenuto del comma 4 del citato articolo 6, il quale dispone che: “L’interessato utilizza gli strumenti informatici messi a disposizione dall’Agenzia e può, mediante apposita procura, incaricare la stessa Agenzia di accedere, per suo conto, a tutti gli atti e i documenti necessari che siano in possesso di un ‘amministrazione pubblica “; l’Agenzia, pertanto, assume il ruolo di alter ego del SUAP, quando attesta la conformità alla disciplina vigente con la sua dichiarazione, ma anche il ruolo di assistenza ali’ imprenditore, potendo essa, sulla scorta di una procura, accedere a tutti gli atti dell’amministrazione per conto del mandante (tutto quanto precede, ovviamente, viene meno nel caso dei procedimenti discrezionali, ove il legislatore ha lasciato in mano dell’ Amministrazione la gestione del procedimento (cfr. articolo 7 del d.P.R. n. 160 del 2010). In conseguenza di quanto sopra, ai fini degli adempimenti pubblicitari nei confronti del registro delle imprese, la scrivente ritiene che anche alle Agenzie per le imprese possa essere conferito, da parte del soggetto interessato, il potere di rappresentanza tramite procura speciale redatta in forma cartacea, con firma autografa dell’obbligato, trasmessa dall’Agenzia incaricata con propria firma digitale, come, peraltro, già consentito a professionisti o altri intermediari indicati nella citata circolare n. 3616/C. Tale documento è, quindi, una procura speciale in forma scritta non autenticata, la cui validità è limitata allo specifico adempimento identificato dal codice univoco di identificazione della pratica. La procura speciale, oggetto di diversi pronunciamenti ministeriali, è tuttavia utilizzabile esclusivamente ai fini della sottoscrizione digitale della distinta relativa al modello di trasmissione della comunicazione unica e la sua forma semplificata trova giustificazione nel fatto che le modulistiche 149 Circolari e Pareri allegate risultano sottoscritte, in ogni caso, secondo le normative di riferimento di ciascuna amministrazione coinvolta. La comunicazione unica, quindi, è una “collezione di file” rappresentati da un “modello Comunicazione”(decreto 19.11.2009), che funge da modello riassuntivo dei contenuti della pratica, e dalle varie modulistiche relative ai diversi procedimenti confluiti nella procedura. Nella fattispecie, con tale procura, il rappresentato attribuirebbe all’Agenzia il potere di sottoscrizione digitale e presentazione telematica della SCIA presso l’Ufficio del registro delle imprese, nel caso in cui essa sia presentata contestualmente alla predetta comunicazione unica, comprensiva di dichiarazione di conformità o della domanda presentata dall’interessato. Tale procedimento è disciplinato dal comma 2, art. 5 del citato d.P.R. n. 160/2010 (art. 6, co. 2 e 3 del d.P.R. n. 160/2010). Anche in questo caso è utilizzabile il formulario “tipo” di procura speciale, univoco a livello nazionale, predisposto in ottemperanza a quanto previsto dal Codice dell’ Amministrazione digitale (art. 57 del decreto legislativo n. 82 del 2005). Per quanto concerne l’ulteriore quesito, ossia se l’Agenzia può “asseverare i requisiti d’impresa artigiana”, si fa presente quanto segue. A livello nazionale l’attività artigianale è disciplinata dalla legge 8 agosto 1985, n. 443, “Legge-quadro per l’artigianato”, la quale agli articoli 2 e 3 definisce rispettivamente l’imprenditore artigiano e l’impresa artigiana, all’articolo 4 specifica i requisiti e i presupposti ai fini del riconoscimento della qualifica artigiana e all’articolo 5 prevede l’istituzione dell’Albo provinciale delle imprese artigiane, considerandone l’iscrizione costitutiva e condizione per la concessione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane. Ciò premesso, stante il disposto di cui all’articolo 9 della citata legge n. 443, nonché in base alle competenze regionali sulla materia dell’artigianato, a seguito 150 dell’emanazione di specifiche discipline, molte Regioni hanno soppresso l’Albo delle imprese artigiane sostituendolo a tutti gli effetti con il registro delle imprese (con relativa delega alle Camere di Commercio delle funzioni amministrative concernenti l’annotazione, modificazione e cancellazione delle imprese artigiane nella sezione speciale del registro delle imprese) ed eliminato le Commissioni provinciali per l’artigianato, le quali ai sensi dell’articolo 7 della citata legge n. 443 valutavano e decretavano l’iscrizione all’albo, condizione necessaria per la concessione delle agevolazioni. Attualmente, pertanto, in alcuni casi i requisiti di impresa artigiana vengono valutati e riconosciuti dalle commissioni provinciali, in altri casi dalle Camere di Commercio competenti per territorio. In conseguenza di quanto sopra e premesso che le Agenzie per le imprese, ai sensi della disciplina vigente (cfr. articolo 2, comma 3 del d.P.R. n. 159 del 2010) possono accertare ed attestare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione di un’attività d’impresa (cfr. articolo l, comma l, lettera h), articolo 6, e articolo 7, comma 5 del d.P.R. n. 160 del 2010), nel caso di specie, trattandosi invece di tipologia di requisiti a fini diversi da quelli su esplicitati e, peraltro, non di competenza del SUAP, la scrivente ritiene che le Agenzie per le imprese non possano attestarne l’esistenza RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 27 maggio 2014, n. 101231 Quesito in ordine al concetto di “pastigliaggi” Si fa riferimento alla nota a margine indicata, con la quale codesto Comune Circolari e Pareri chiede dei chiarimenti in merito al concetto di “pastigliaggi”, stante anche la nota ministeriale del 15-10-2007, n. 16490, che ha ricondotto i pastigliaggi all’interno dei generi alimentari non deperibili. Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, codesto Comune chiede di conoscere se nei cosiddetti pastigliaggi possa farsi rientrare anche il gelato alla soia preconfezionato. Al riguardo, la scrivente Direzione, per quanto di propria competenza, rappresenta quanto segue. In via preliminare, la scrivente precisa che per l’avvio e l’esercizio di un’attività commerciale rientrante nel settore merceologico alimentare e per la somministrazione di alimenti e bevande il vigente dettato normativo prevede l’obbligo del possesso dei requisiti di onorabilità e professionali ai sensi dell’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e S.m. i. Al riguardo, richiama il Regolamento (CE) n. I78/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, il quale stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare e che all’articolo 2 dispone: “si intende per «alimento» (o «prodotto alimentare», o «derrata alimentare») qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento”. Appare chiaro, dunque, che anche il gelato alla soia preconfezionato, nonché i pastigliaggi, quali ad esempio le gomme da masticare, rientrano nella definizione di “alimento” e pertanto la vendita di tali prodotti alimentari è consentita ai titolari di attività commerciali in possesso del citato requisito professionale. Fermo quanto premesso, si precisa ulteriormente che con l’entrata in vigore del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, ad opera dell’articolo 26 del medesimo, è stato abrogato il d.m. 4 agosto 1988, n. 375, ad esclusione del comma 9 dell’articolo 56 e dell’allegato 9. Il citato comma 9, tuttora vigente, dispone l’istituzione di tre apposite tabelle per i titolari di farmacie, di rivendite di generi di monopolio e di impianti di distribuzione automatica di carburanti, il cui contenuto è elencato nell’allegato 9. La tabella speciale dei titolari di rivendite di generi di monopolio comprende, tra gli altri, anche la voce pastigliaggi vari (caramelle, confetti, cioccolatini, gomme americane e simili). Nonostante tale tabella preveda in minima parte anche la vendita di generi alimentari, la scrivente Direzione ha avuto modo di precisare che al rivenditore in questione non è richiesto il possesso del requisito professionale ai sensi dell’articolo 71, comma 6 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e s.m.i., obbligatorio, invece, per le altre attività commerciali al dettaglio inerenti il settore merceologico alimentare. Da ciò si desume, la volontà del legislatore pro tempore di accordare detta possibilità a specifiche categorie di rivenditori, inserendo, appunto, la voce “pastigliaggi vari” nella tabella merceologica speciale a loro riservata. Resta fermo, comunque, ad avviso della scrivente, che in nessun caso il gelato alla soia preconfezionato può essere fatto rientrare nella categoria dei “pastigliaggi” di cui alla tabella speciale citata; esso è da considerarsi, pertanto, un prodotto alimentare la cui vendita non può essere consentita negli esercizi legittimati alla vendita di prodotti non alimentari. 151 Circolari e Pareri RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 27 maggio 2014, n. 101242 Art. 1 D.P.R. 19 dicembre 2001, n. 481 – Noleggio veicoli senza conducente on-line – Quesito Si fa riferimento alla nota a margine indicata con la quale codesto Comune ha richiesto informazioni in ordine all’ammissibilità dell’attività di noleggio di autoveicoli senza conducente in modalità telematica. In particolare ha chiesto se una società può svolgere tale attività attraverso un sito internet, utilizzando un posteggio a pagamento presso un garage di terzi e provvedendo, quindi, alla consegna delle stesse presso il domicilio dei clienti, non effettuando alcuna attività in sede fissa né di ricezione del pubblico. Ha chiesto, altresì, se tale società può prevedere, quale sede legale, la residenza del titolare e se l’attività può essere legittimamente svolta previa presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA). Al riguardo, considerato il contenuto della richiesta di codesto Comune, la scrivente Direzione ha inoltrato il quesito al competente Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il quale, con nota n. 8293 (prot. di arrivo 11-4-2014, n. 60627) ha evidenziato quanto di seguito si riporta: “In relazione a quanto richiesto con la nota in epigrafe, ad avviso di questa Direzione generale la locazione senza conducente dei veicoli non rientra tra le attività di autotrasporto, ma piuttosto costituisce uno degli strumenti tramite i quali un soggetto può avere in disponibilità un veicolo, corrispondendo una controprestazione economica al soggetto che esercita la 152 predetta attività. Ciò per significare che la materia in parola non rientra tra quelle attribuite alla scrivente Direzione ai sensi della normativa in vigore. Ciò premesso, si precisa, in ogni caso, che l’art. 84 del codice della strada (d.lgs. 285/2005) non prevede la necessità – da parte del locatario – di avere in disponibilità specifici locali, quali rimesse per i veicoli oggetto della locazione”. Fermo quanto sopra, con riferimento alla richiesta di conoscere se l’attività può essere legittimamente svolta previa presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA), la scrivente richiama il d.P.R. 19-12-2001, n. 481, emanato su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell’Interno, il quale all’articolo l, comma l dispone che “L’esercizio dell’attività di noleggio di veicoli senza conducente è sottoposto a denuncia di inizio di attività da presentarsi ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al comune nel cui territorio è la sede legale dell’impresa e al comune nel cui territorio è presente ogni singola articolazione commerciale dell’impresa stessa per il cui esercizio si presenta la denuncia”. Si precisa, ovviamente, che la prevista denuncia di inizio di attività, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, a seguito delle numerose modificazioni e integrazioni che hanno riguardato il testo dell’articolo in parola, è stata sostituita dalla Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA). Infine, con riferimento alle specifiche modalità di svolgimento dell’attività come indicate nel quesito, la scrivente rileva che non sussiste nella disciplina vigente il divieto di indicare, quale sede legale dell’azienda, la residenza del titolare. Circolari e Pareri RISOLUZIONE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 27 maggio 2014, n. 101229 Attività di vendita on line di programmi software per elaboratori elettronici – Richiesta parere Si fa riferimento alla nota pervenuta per e-mail, con la quale codesto Comune chiede alcune informazioni con riferimento all’attività di sviluppo di programmi software per elaboratori elettronici da parte di una società, che verrebbero poi distribuiti a soggetti professionali con partita IVA. Premesso quanto sopra chiede se: la predetta attività di e-commerce debba essere considerata come attività di commercio al dettaglio e se, pertanto, per l’esercizio della stessa occorra la preventiva presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività; la medesima attività di e-commerce, nel caso in cui sia effettuata commercializzando anche software sviluppati da terzi, debba essere considerata come attività di commercio all’ingrosso con relativa presentazione della SCIA. Al riguardo, la scrivente Direzione rappresenta quanto segue. L’articolo 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 definisce il commercio all’ingrosso come quell’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande (...)“. La successiva lettera b) del medesimo articolo definisce, altresì, il commercio al dettaglio, qualificando lo come quell’attività “svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende,su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”. Sulla base di quanto previsto dalla citata normativa di settore, appare evidente che la prima tipologia di attività in discorso, ovvero la vendita on-line di programmi software sviluppati direttamente dalla società e poi distribuiti a professionisti in possesso di partita IVA, non può essere considerata commercio al dettaglio, in quanto non rivolta al consumatore finale, né commercio all’ingrosso, in quanto la società in questione non acquista i programmi software, bensì li sviluppa. In conseguenza di quanto sopra, il secondo caso oggetto del quesito, ossia l’attività di vendita di programmi software sviluppati da altri, rientra invece nella tipologia di commercio all’ingrosso e quindi l’avvio della medesima è soggetto alla preventiva presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA), stante quanto precisato dalla scrivente Direzione nella nota n. 135873 del 6-10-2010, che si allega. 153 Commercio e Attività Produttive News Contenuti Le fiere, le sagre e le feste paesane, che hanno, nel nostro Paese, grandissima diffusione e notevole rilevanza economica, sono disciplinate da diverse normative, in quanto molteplici sono le attività che si sviluppano all’interno di esse: attività commerciali, di ristorazione, di pubblico spettacolo e di intrattenimento. Tali manifestazioni, pertanto, coinvolgono non poco le amministrazioni locali, impegnate sia nelle fasi organizzative che nei controlli da effettuare affinché le stesse si svolgano regolarmente e in piena sicurezza per i partecipanti. À VIT NO › › › › Prontuario delle violazioni Casi operativi Modulistica Bozza di regolamento comunale per le manifestazioni di sorte locali Maggio 2013 - pp. 306 - f.to 17x24 - Codice 81148 - € 38,00 Elena Fiore, Comandante del Corpo di Polizia municipale di Forlì, docente nei corsi di formazione per operatori di Polizia locale, è autore di numerose pubblicazioni per i tipi della Maggioli Editore. Indice Presentazione TITOLO I FIERE, SAGRE E FESTE PAESANE Cap. I - Le attività che si svolgono nelle fiere, nelle sagre e nelle feste paesane 1. Premessa 2. Le attività presenti nelle fiere, nelle sagre e nelle feste paesane Cap. II - Il controllo delle fiere, delle sagre e delle feste paesane 1. Le sanzioni 2. Casi operativi svolti 3. Prontuario Cap. III - La modulistica per le fiere, le sagre e le feste paesane 1. Regolamento per il funzionamento e la disciplina della commissione comunale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo 2. Ordinanza di confisca di merce venduta abusivamente da cittadino extracomunitario 3. Delibera per la destinazione della merce confiscata sulle aree pubbliche TITOLO II LA DISCIPLINA DELLE MANIFESTAZIONI A PREMIO E DI SORTE LOCALI Cap. I - Le manifestazioni a premio 1. Il nuovo regolamento per la disciplina delle manifestazioni a premio 2. La normativa abrogata 3. Le manifestazioni a premio 4. Gli adempimenti dei promotori 5. Il controllo delle manifestazioni a premio Cap. II - Le manifestazioni di sorte locali 1. Premessa 2. Le manifestazioni di sorte vietate 3. Le manifestazioni di sorte locali consentite 4. Le lotterie, le tombole, le pesche di beneficenza 5. La comunicazione 6. Il nulla osta dell’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato 7. La cauzione 8. La ritenuta fiscale sui premi e sulle vincite 9. Gli adempimenti dei promotori 10. L’incaricato del Sindaco 11. Il controllo delle manifestazioni di sorte locali Cap. III - Il sistema sanzionatorio 1. Le sanzioni 2. Casi operativi svolti 3. Prontuario Cap. IV - La modulistica per le manifestazioni di sorte locali 1. Comunicazione per lotteria 2. Comunicazione per tombola 3. Comunicazione per pesca o banco di beneficenza 4. Processo verbale per estrazione di lotteria 5. Processo verbale per estrazione di tombola 6. Processo verbale per pesca di beneficenza 7. Avviso pubblico di lotteria 8. Avviso pubblico di tombola 9. Informativa al Prefetto per comunicazione irregolare 10. Decreto di nomina di incaricato del Sindaco Cap. V - Il regolamento comunale 1. Il regolamento comunale per le manifestazione di sorte locali Appendice Visiti la pagina www.maggiolieditore.it o contatti il nostro Servizio Clienti per conoscere la libreria più vicina. Tel 0541 628242 - Fax 0541 622595 I Posta: Maggioli Spa presso c.p.o. Rimini - 47921 - (RN) I [email protected] Normativa regionale a cura di Emanuela Caneponi Orario di apertura degli esercizi commerciali - Iter normativo della Proposta di legge L’Assemblea della Camera lo scorso 25 settembre ha approvato l’A.C.750 A/R “Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali” che, apporta alcune limitazioni alla liberalizzazione degli orari di vendita previsti dalla disciplina vigente. In particolare, il progetto di legge prevede che in dodici giorni festivi dell’anno, specificamente indicati nel testo1, le attività commerciali debbano essere svolte nel rispetto degli orari di apertura e di chiusura domenicale e festiva. Viene, però, contestualmente consentito a ciascun esercente l’attività di vendita al dettaglio, di derogare all’obbligo di chiusura, fino a un massimo di sei giorni, individuati liberamente tra i dodici indicati dal testo. Sono escluse dal campo di applicazione di tali limiti le attività di somministrazione di alimenti e bevande, nonché le attività individuate dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 114/1998 quali: le rivendite di generi di monopolio, i negozi interni agli alberghi, alle stazioni, ai porti e agli aeroporti, le edicole, le stazioni di servizio e le sale cinematografiche ed altre tipologie di attività. Le disposizioni relative all’obbligo di chiusura nei giorni festivi si applicano a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello dell’entrata in vigore della proposta di legge in esame. Ciascun comune, anche in coordinamento con altri comuni contigui, può predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, ferme restando le citate limitazioni, con la finalità di assicurare la fruibilità dei servizi commerciali, promuovere l’offerta commerciale e valorizzare zone a più marcata vocazione commerciale. Al fine di favorire l’adesione a tali accordi territoriali da parte delle micro, piccole e medie imprese del commercio, le regioni e i comuni possono stabilire incentivi, anche sotto forma di agevolazioni fiscali relative ai tributi di propria competenza. Ai sindaci è conferita anche la facoltà di porre limiti agli orari di apertura notturna in determinate zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione serale, per esigenze di sostenibilità ambientale o sociale, di tutela dei beni culturali, di viabilità o di tutela del diritto dei residenti alla sicurezza e al riposo, attraverso ordinanze con validità di tre mesi che possono essere reiterate. Il testo approvato prevede anche la facoltà (e non più l’obbligo) di istituire un Osservatorio sugli orari dei negozi e l’accesso, riservato alle sole microimprese a un fondo ad hoc (con dotazione di 18 milioni di euro fino al 2020) per sostenere (1) I dodici giorni in riferimento sono: 1) il 1° gennaio, primo giorno dell’anno; 2) il 6 gennaio, festa dell’Epifania; 3) il 25 aprile, anniversario della Liberazione; 4) la domenica di Pasqua; 5) il giorno di lunedì dopo Pasqua; 6) il 1° maggio, festa del lavoro; 7) il 2 giugno, festa della Repubblica; 8) il 15 agosto, festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria; 9) il 1° novembre, festa di Ognissanti; 10) l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione; 11) il 25 dicembre, festa di Natale; 12) il 26 dicembre, festa di santo Stefano”. 155 Normativa regionale spese di ampliamento delle attività, ma anche per l’accrescimento dell’efficienza energetica e per l’erogazione dei contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione. Questa proposta di modifica dovrà ora essere approvata dal Senato che, nel frattempo, ha emanato un Dossier, redatto dal proprio Centro studi in cui, oltre ad una sintesi del contenuto della proposta di legge, ha elaborato una scheda di lettura di ogni singolo articolo. Nella seduta del 7 ottobre l’atto è stato assegnato alla 10a Commissione Industria, Commercio, Turismo, che non ha ancora iniziato l’esame. • Programmazione commerciale La Giunta regionale del Piemonte, con Delibera n. 20 - 587 del 18 novembre 2014, ha approvato i criteri e le modalità contenuti nell’Allegato 1 - Programmazione 2014-2015 “Programmi di Qualificazione Urbana - Percorsi Urbani del Commercio”, rivolti principalmente a comuni e unioni di comuni e finalizzati a riconoscere al commercio un ruolo centrale nelle scelte di programmazione territoriale. Le risorse a disposizione sono complessivamente, fino al 2016, di 15,8 milioni di euro. L’obiettivo è valorizzare i luoghi del commercio nei comuni piemontesi attraverso iniziative di riqualificazione urbanistica, favorendo la creazione di “centri commerciali naturali” e sostenendo progetti specifici nei territori più svantaggiati. Il provvedimento più consistente riguarda l’approvazione dei “Percorsi urbani del commercio”, che prevede interventi quali la risistemazione viaria finalizzata anche alla pedonalizzazione, il rifacimento o la realizzazione di impianti di illuminazione pubblica, la realizzazione di arredi urbani, la creazione di aree da destinare a verde pubblico e ludico-ricreative. Saranno ritenuti ammissibili anche altri interventi, purché strettamente funzionali alla realizzazione del progetto complessivo di valorizzazione commerciale. I soggetti beneficiari hanno diritto ai finanziamenti nei limiti delle disponibilità finanziarie previste per ciascuna annualità che, per la programmazione 201415, ammontano a 4 milioni di euro a cui si aggiungono le somme non utilizzate nell’ambito della programmazione 2013-14, ancora disponibili al momento della predisposizione della graduatoria finale. Inoltre, sarà rivolto ai comuni anche un bando, per il quale sono stati stanziati 500 mila euro, per il sostegno alle imprese che operano nell’ambito dei “percorsi urbani del commercio”, ovvero quei luoghi ove il commercio di tradizione è nato e si è sviluppato. I progetti, in questo caso, dovranno riguardare iniziative specifiche per garantire l’uniformità dell’ambiente in cui operano le imprese, favorendo il commercio di vicinato e i servizi di prossimità al cittadino. Infine, in ottica di sostenere progetti promossi in ambiti territoriali svantaggiati, montani e non, a rischio di “desertificazione commerciale”, sono a disposizione risorse per 300 mila euro, soprattutto per finanziare progetti che agevolino le consegne e lo smistamento degli ordini di spesa, promuovendo anche l’associazionismo intercomunale a tale scopo. 156 Normativa regionale • Distretti urbani del commercio La Regione Lombardia, con la Deliberazione di Giunta n. 10/2644 del 14 novembre 2014, ha approvato un bando che mette a disposizione degli esercizi dei Distretti urbani del commercio 522.000,00 euro per promuovere l’attrattività e la competitività degli esercizi pubblici e commerciali attraverso la realizzazione di vetrine e spazi espositivi creativi, per costruire un’esperienza d’acquisto coinvolgente ed emozionale e massimizzare i risultati e la redditività dei punti vendita. La Giunta regionale con la Deliberazione n. 2435 del 26 settembre 2014 aveva approvato i criteri di attuazione del bando “Creatività e Commercio”, inserito nel Piano d’azione regionale 2014-2015, per la Moda e il Design, attraverso il quale la Regione ha adottato un piano d’azione pluriennale a sostegno di questi comparti con una serie di linee di intervento finalizzate a creare connubi sperimentali tra terziario e creatività. I finanziamenti saranno trasferiti a Unioncamere Lombardia in qualità di soggetto attuatore della misura e, potranno essere incrementati, a seguito di ulteriori risorse che dovessero rendersi disponibili da parte del Sistema camerale lombardo e di Enti locali interessati all’iniziativa. Beneficiari del contributo a fondo perduto fino a un massimo del 75% delle spese ammissibili e fino ad un massimo di 15.000 euro, sono le micro, piccole e medie imprese operanti nel settore degli esercizi pubblici e commerciali, che rientrano nel perimetro dei Distretti Urbani del Commercio (DUC) riconosciuti dalla Regione Lombardia. Saranno previste limitazioni relative agli esercizi commerciali e turistici che detengono, a qualsiasi titolo, apparecchi per il gioco d’azzardo lecito. Sono ammessi a contributo l’acquisto e/o il noleggio di prodotti per allestimenti; le spese di adeguamento delle vetrine e dei luoghi in cui saranno realizzati gli spazi espositivi; le spese per l’acquisto di servizi e consulenze finalizzate alla realizzazione delle vetrine e degli spazi espositivi; le spese per la promozione, comunicazione e pubblicità dell’iniziativa e dei prodotti esposti l’acquisto e/o il noleggio di hardware e software esclusivamente funzionale alla realizzazione del progetto. L’assegnazione del contributo avviene sulla base di una procedura valutativa a sportello, secondo l’ordine cronologico di presentazione delle domande previa istruttoria formale volta a verificare il possesso dei requisiti previsti dal bando. La valutazione delle proposte progettuali ritenute formalmente ammissibili sarà validata da un Nucleo di valutazione, composto da rappresentanti di Regione Lombardia e di Unioncamere Lombardia, nominato con apposito provvedimento regionale. La Regione Veneto, con la Deliberazione di Giunta n. 1912 del 14 ottobre 2014, e l’Allegato A parte integrante della delibera, ha presentato il bando per il finanziamento di progetti-pilota finalizzati all’individuazione dei Distretti del commercio. La misura complessiva del finanziamento regionale ammonta a 5,7 157 Normativa regionale milioni di euro (a cui potrà aggiungersi il cofinanziamento dei comuni). Le domande vanno presentate dai comuni in forma singola o associata, anche su iniziativa delle organizzazioni delle imprese del commercio e dei consumatori. I Distretti del commercio sono una progettualità di grande innovazione, all’interno della cornice totalmente nuova disegnata dalla legge regionale sulle politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nel Veneto (L.r. n. 50/2012) e la regione, attraverso un percorso condiviso con le associazioni di categoria e il territorio, con questo strumento intende ridare valore alla polarità del commercio nei centri urbani, superando anche la contrapposizione con la grande distribuzione. I Distretti del commercio sono aree di rilevanza comunale o intercomunale nelle quali i cittadini e le imprese, liberamente aggregati, qualificano il commercio come fattore di innovazione, integrazione e valorizzazione delle risorse di cui dispone il territorio al fine di accrescerne l’attrattività, rigenerare il tessuto urbano e sostenere la competitività delle sue polarità commerciali. Il distretto è costituito da attività commerciali di vendita al dettaglio e di somministrazione, ma anche da altre tipologie di attività produttive e di servizi. La guida sarà affidata alla figura professionale del “manager del distretto”, individuato dai partners, e gli impegni dei soggetti aderenti ai distretti saranno regolati da un “accordo di partenariato”. Il partenariato dovrà essere costituito dal comune, da almeno due organizzazioni delle imprese commerciali e dei servizi e da imprese prevalentemente del commercio ma comunque aperto anche ad altri soggetti. Il bando prevede, tra l’altro, misure di finanziamento per interventi strutturali, comunicazione e animazione del territorio, miglioramento dei servizi legati all’accoglienza turistica per favorire l’utilizzo dei luoghi di interesse commerciale, enogastronomico, della produzione artistica e creativa. I programmi di intervento avranno una durata di 18 mesi (dall’1 gennaio 2015 al 30 giugno 2016) con possibilità di proroga fino a 24 mesi. Il bando prevede alcuni rilevanti fattori di “premialità” nell’assegnazione dei contributi attraverso misure fiscali di vantaggio, di politiche di riuso delle unità immobiliari commerciali sfitte nei centri storici e urbani, di avvio di nuove imprese commerciali da parte di lavoratori espulsi dai processi produttivi. • Centri Commerciali Naturali (CCN) Rendere l’offerta delle imprese commerciali e artigianali insediate nei centri storici di Perugia e Terni più attrattiva e competitiva, attraverso progetti aziendali supportati da investimenti innovativi, è questa la principale finalità del bando della Regione Umbria per la concessione di contributi per la valorizzazione delle reti di impresa costituite in Centri commerciali naturali (CCN), dotati di una autonoma struttura organizzativa. I finanziamenti messi a disposizione dalla Regione, complessivamente 2 milioni di euro per le imprese del commercio di Perugia e Terni e 200 mila euro per quelle artigiane, equamente ripartiti, prevedono un contributo pubblico a fondo perduto in conto capitale (regime “de minimis”), nel limite massimo del 60% dell’investimento ammesso per 158 Normativa regionale i progetti comuni, e del 50% dell’investimento ammesso per i progetti singoli. Ai fini dell’ammissibilità, e a pena di esclusione il progetto generale di ciascun CCN deve prevedere almeno i cinque progetti comuni riguardanti: i sistemi per l’accesso Wi-Fi gratuito a Internet; il portale web per il commercio elettronico e/o per la promozione; la fidelity card, marchi, brand, loghi, elementi caratteristici e distintivi, portali di ingresso. Le richieste di contributo dovranno essere presentate da almeno 30 piccole e medie imprese che, alla data di presentazione della domanda, esercitano attività commerciale o artigianale nelle aree dei centri storici di Perugia e Terni. Imprese singole o associate, comunque aderenti al medesimo Centro commerciale naturale innovativo e stabile, costituito o da costituire. Il bando rappresenta un nuovo strumento a disposizione delle imprese per sostenere l’economia attraverso l’innovazione, uno dei fattori ormai indifferibili per stare sui mercati e per essere competitivi. • Vendite di fine stagione Nella Regione Marche le vendite di fine stagione, per l’anno 2015, si potranno effettuare in due periodi: dal 5 gennaio al 1 marzo e dal 4 luglio al 1 settembre. L’ha stabilito la Giunta regionale, con Delibera n. 1197 del 27 ottobre 2014. Le date d’inizio sono identiche su tutto il territorio regionale, a seguito dell’accordo del 2011 maturato all’interno della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, poi recepito a livello locale. L’intesa prevede, annualmente, l’inizio delle vendite dal primo giorno feriale antecedente l’Epifania e dal primo sabato del mese di luglio. L’individuazione delle date di conclusione sono invece lasciate alla valutazione delle singole Regioni, sulla base delle diverse esigenze territoriali. La regione ha concordato il periodo d’inizio e fine con le limitrofe Regioni dell’Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo, con cui la regione ha deciso di condividere un percorso comune sia per aiutare le famiglie e le attività commerciali da una difficile situazione di stagnazione, sia per scongiurare la concorrenza di confine, particolarmente avvertite nei bacini di consumo che gravitano su realtà amministrative diverse. • Mercati tipici La legge sul commercio n. 17/2010 dalla Provincia autonoma di Trento, ha introdotto nell’ordinamento provinciale la nuova figura del “mercato tipico”, che si affianca ad altre fattispecie accomunate dall’offerta di prodotti di varie tipologie merceologiche, in un contesto a carattere temporaneo come, ad esempio, manifestazioni fieristiche, mercati su aree pubbliche o vendite temporanee in occasione di sagre o feste. Le principali caratteristiche del “mercato tipico”, secondo la legge, sono che debba essere promosso da un unico soggetto organizzatore privato, avere quale scopo esclusivo la vendita al dettaglio, prevedere che i partecipanti possano essere operatori appartenenti a tutte le categorie merceologiche e che i prodotti posti in vendita debbano appartenere a una merceologia specifica o richiamare 159 Normativa regionale un tema specifico o una tradizione. La stessa legge del 2010 ha previsto che la Giunta provinciale possa aggiungere ulteriori caratteristiche al “mercato tipico”. Con le Deliberazioni n. 1559 e 1560 dell’8 settembre 2014 sono state individuate ulteriori caratteristiche allo scopo di chiarire quanto già previsto dalla normativa e di distinguere ulteriormente la fattispecie del “mercato tipico” dagli altri istituti similari. In particolare sono stati individuati i limiti temporali di tale manifestazione, prevedendo che possa svolgersi, salvo deroghe, una sola volta all’anno per una durata di 7 giorni, a meno che non sia legata ad una festa tradizionale. È stata, inoltre, ulteriormente specificata la “tipicità” dei prodotti posti in vendita che dovranno essere legati ad una tradizione o agli “antichi mestieri”, oppure essere alternativamente: innovativi e originali, prodotti artigianali di particolare pregio o prodotti “di nicchia”. Contestualmente ai criteri, con la delibera è stato approvato il modello di domanda di svolgimento del mercato tipico, che sarà gestito tramite lo Sportello unico telematico per le attività produttive (SUAP). 160 Cronache regionali a cura di Silvana Adriana Panetta Vendite promozionali e di fine stagione 1. Il contesto economico e la disciplina nazionale L’attuale contesto economico-finanziario e la perdurante situazione di recessione tendono a far proliferare fenomeni per i quali, a fronte di una netta contrazione dei consumi, si moltiplicano le iniziative delle imprese, volte ad indirizzare ed influenzare le scelte dei consumatori che, se in teoria possono trarre vantaggio dalle offerte “speciali”, sono anche più esposti a forme di pubblicità ingannevole, ad offerte promozionali non veritiere o comunque eccessivamente enfatiche e ad altre insidie, mentre le imprese spesso utilizzano le vendite straordinarie per farsi concorrenza, allo scopo di recuperare o mantenere una clientela che dispone di budget più ridotti ed anche, purtroppo, per ottenere liquidità ed evitare il dilagante fenomeno della chiusura degli esercizi commerciali. In questo periodo dell’anno, in particolare, si ripropone il tema della coesistenza di tipologie diverse di vendite straordinarie, ciascuna con le sue caratteristiche, ma spesso, nella pratica, difficilmente distinguibili. L’articolo 15 del decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998 (1) classifica come “straordinarie” le vendite di liquidazione, di fine stagione e le promozionali. Si tratta di tre tipologie di vendita diverse, con un’unica caratteristica: in tutte “l’esercente dettagliante offre condizioni favorevoli, reali ed effettive, di acquisto dei propri prodotti”. Tralasciando, al momento, le vendite di liquidazione che, pur potendo essere effettuate in ogni momento dell’anno, necessitano di una specifica motivazione (cessazione dell’attività, cessione o trasferimento dell’azienda, trasformazione o rinnovo dei locali), il problema maggiore è determinato dalla coesistenza delle vendite di fine stagione e di quelle promozionali, benché spesso anche in relazione a quelle di liquidazione si rilevino non pochi problemi concreti. Dalla lettura dell’articolo 15, la differenza teorica delle due tipologie di vendite appare chiara: (1) “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”. 161 Cronache regionali a)le vendite di fine stagione “riguardano i prodotti, di carattere stagionale o di moda, suscettibili di notevole deprezzamento se non vengono venduti entro un certo periodo di tempo”; b)le vendite promozionali “sono effettuate dall’esercente dettagliante per tutti o una parte dei prodotti merceologici e per periodi di tempo limitato”. Lo stesso articolo 15, mentre nulla dice per le vendite promozionali, attribuisce alle regioni il compito di disciplinare “le modalità di svolgimento, la pubblicità, anche ai fini di una corretta informazione del consumatore, i periodi e la durata delle vendite di liquidazione e delle vendite di fine stagione”. Per quanto riguarda le vendite promozionali, invece, è intervenuto il decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006 (2) che, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e) ed m) della Costituzione, all’articolo 3, comma 1, lettere e) e f), ha escluso la possibilità di prevedere per le attività commerciali “la fissazione di divieti ad effettuare vendite promozionali, a meno che non siano prescritti dal diritto comunitario” e “l’ottenimento di autorizzazioni preventive e le limitazioni di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti”. Come si può notare, la disposizione non prevede più le limitazioni contenute nell’articolo 15 citato, ossia la possibilità di effettuare le vendite promozionali solo per “periodi di tempo limitato” e dunque introduce la liberalizzazione di tali vendite. Qualche regione, nel tentativo di regolamentare le vendite promozionali, aveva provato a introdurre disposizioni limitative. 2. Disposizioni regionali in materia di vendite promozionali 2.1. La normativa della Provincia Autonoma di Trento Ad esempio, la Provincia Autonoma di Trento, con la legge n. 4 del 3 aprile 2009 (3) ed in particolare con l’articolo 3, commi 1 e 6, intervenendo (2) “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006. (3) “Norme di semplificazione e anticongiunturali di accompagnamento alla manovra finanziaria provinciale di assestamento per l’anno 2009”. 162 Cronache regionali sulla legge n. 4 dell’8 maggio 2000 (4), aveva stabilito che l’esercente che volesse effettuare vendite promozionali, ne dovesse dare comunicazione alla CCIAA e per conoscenza al comune competente per territorio, prevedendo anche una sanzione amministrativa in caso di inadempienza. Secondo la provincia, un tale obbligo non costituiva una forma di autorizzazione preventiva alla vendita, ma semplicemente una mera pubblicità-notizia, con effetti dichiarativi e non costitutivi, ossia uno strumento finalizzato ad assicurare una conoscenza del fenomeno, senza limitarlo né comprimerlo, in quanto a tale adempimento non era subordinata alcuna attività valutativa da parte dell’Amministrazione. Si sarebbe trattato, in sostanza, solo di una misura di carattere organizzativo inerente allo svolgimento delle attività commerciali, negli ambiti di competenza provinciale assegnati dallo Statuto. La Presidenza del Consiglio dei ministri ha impugnato la norma davanti alla Corte Costituzionale, ritenendola incidente non sulla materia “commercio”, di competenza provinciale, bensì sulla “tutela della concorrenza”, di spettanza esclusiva dello Stato e sostenendo che tale disposizione fosse in contrasto con quelle statali che impongono una completa liberalizzazione delle vendite promozionali. Senza attendere il giudizio, la Provincia di Trento è intervenuta con la legge n. 19 del 28 dicembre 2009, eliminando l’obbligo di comunicazione preventiva per le vendite pubblicizzate come promozionali e la correlata sanzione per il suo mancato inoltro. Conseguentemente, la Corte Costituzionale ha dichiarato, con ordinanza n. 136/2010, cessata la materia del contendere, anche in considerazione del fatto che la norma sospettata di incostituzionalità non aveva ancora mai trovato applicazione sanzionatoria. 2.2. La normativa della Regione Liguria La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata anche in relazione all’articolo 113, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 1 del 2 gennaio 2007 (5), come sostituito dall’articolo 27 della legge regionale n. 14 del 3 aprile 2007 (6), il quale stabiliva che: “Non possono essere effettuate vendite promozionali nei quaranta giorni antecedenti le vendite di fine stagione o saldi”. (4) “Disciplina dell’attività commerciale in provincia di Trento”. (5) “Testo unico in materia di commercio”. (6) “Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2007”. 163 Cronache regionali Il Giudice di pace di Genova, nel corso di un giudizio di opposizione a seguito di una sanzione amministrativa irrogata a causa di una vendita promozionale effettuata in periodo vietato, si era rivolto alla Corte Costituzionale ritenendo che la norma regionale censurata ponesse una disciplina difforme da quella nazionale, che ha eliminato le limitazioni (temporali, quantitative e procedurali) relative alle vendite promozionali, con l’unica eccezione riferita ai periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti. Secondo il ricorrente, la norma ligure avrebbe violato l’articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, in quanto “le vendite promozionali sono previste allo scopo di garantire un regime di libera concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e un regolare funzionamento del mercato”, ed anche la lettera m) dello stesso comma, in quanto “le vendite promozionali sono previste al fine di assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di acquisto di prodotti e di servizi”. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 232 del 21 giugno 2010, ha invece ritenuto fondata la questione di legittimità solo sotto il profilo della violazione della lettera e) e dunque della competenza esclusiva dello Stato in materia di “tutela della concorrenza”. Secondo la Corte, i due tipi di vendita (promozionali e di fine stagione) – riunite dall’articolo 15 del d.lgs. n. 114/1998 nel più ampio genus delle “vendite straordinarie” – “trovano il loro peculiare tratto distintivo nel fatto che, alla tendenziale possibilità di svolgimento durante tutto l’arco dell’anno delle vendite promozionali, che possono riguardare qualsiasi tipo di merce, si contrappone la stretta connessione tra alcuni specifici prodotti merceologici (connotati appunto dalle caratteristiche della stagionalità ovvero della rispondenza ai dettami della moda del momento) ed il dato temporale che, onde evitare una perdita di valore commerciale dei prodotti stessi, giustifica l’effettuazione delle vendite di fine stagione o saldi solo in ben determinati periodi dell’anno”. Un divieto generalizzato di effettuare, nel periodo antecedente le vendite di fine stagione, vendite promozionali per qualsiasi tipologia di prodotti (stagionali e non), si porrebbe pertanto in aperto contrasto con la disciplina statale, che consente soltanto di prevedere un termine antecedente a quello di svolgimento delle vendite di fine stagione, durante il quale non possono essere effettuate solo le vendite promozionali che abbiano ad oggetto gli stessi prodotti destinati ad essere posti in saldo. Il Legislatore regionale ha quindi invaso la sfera di competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza. 164 Cronache regionali Successivamente, la norma regionale è stata più volte modificata, fino al testo attualmente vigente: “Art. 113 – Vendite promozionali. 1. Le vendite promozionali sono effettuate dall’esercente dettagliante per tutti o una parte dei prodotti merceologici non oggetto delle vendite di fine stagione o saldi e per periodi di tempo limitati e residuali rispetto a quelli di cui al comma 2. 2. Non possono essere effettuate vendite promozionali nei quaranta giorni antecedenti le vendite di fine stagione o saldi per la medesima merceologia di prodotti stagionali o di moda tradizionalmente oggetto delle vendite di fine stagione. Per medesima merceologia di prodotti s’intendono: a) abbigliamento; b) calzature; c) biancheria intima; d) accessori di abbigliamento; e) pelletterie. 2-bis. Solo in casi straordinari legati a gravi eventi calamitosi per i quali è stato decretato lo stato di emergenza, quali tra l’altro danni alluvionali, i Comuni possono adottare provvedimenti motivati di deroga rispetto a quanto previsto al comma 2 anche per singole parti del territorio. 2-ter. La Giunta regionale, su richiesta delle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello regionale delle imprese del commercio e sentiti i Comuni, può ogni anno stabilire l’effettuazione delle vendite promozionali in deroga a quanto previsto al comma 2. 3. L’esercente dettagliante che intende effettuare la vendita promozionale è tenuto a darne comunicazione, con avviso apposto nel locale di vendita ben visibile dall’esterno, almeno tre giorni prima della data prevista per l’inizio delle vendite, indicando quanto previsto all’articolo 112, comma 1”. Si nota come sia stata mantenuta la limitazione “per periodi di tempo limitati” e si preveda inoltre l’obbligo di effettuare una serie di indicazioni alla clientela. 3. Vendite di fine stagione e promozionali La possibilità di coesistenza di vendite promozionali e di fine stagione è scaturita proprio dalla liberalizzazione introdotta dal d.l. n. 223/2006. Già la legge n. 80 del 19 marzo 1980 (7), abrogata dall’articolo 26 del (7) “Disciplina delle vendite straordinarie e di liquidazione”. 165 Cronache regionali d.lgs. n. 114/1998, all’articolo 8 prevedeva una specifica regolamentazione per le vendite promozionali dei prodotti compresi nella tabella IX, ossia abbigliamento, calzature e accessori, stabilendo che esse non potessero essere effettuate durante il periodo dei saldi e nei quaranta giorni precedenti. Le promozioni dovevano inoltre essere comunicate al comune con almeno cinque giorni di anticipo. A tali restrizioni non erano soggette le vendite di prodotti alimentari e per l’igiene della persona e della casa, che potevano essere effettuate durante tutto l’anno e senza necessità di comunicazione preventiva. Tutti gli altri prodotti potevano essere oggetto di vendite promozionali durante tutto l’anno, previa comunicazione con cinque giorni di anticipo, a condizione che la vendita non riguardasse l’intera gamma delle merci comprese nell’autorizzazione. Abrogata tale legge e superata anche la disciplina dell’articolo 15 del d.lgs. n. 114/1998, con la relativa previsione di promozionali effettuabili solo per periodi limitati di tempo, in base al d.l. n. 223/2006 le Regioni possono soltanto decidere se prevedere e con quale durata un periodo antecedente le vendite di fine stagione durante il quale vietare le vendite promozionali, ma solo per i prodotti soggetti a saldo. La questione si collega strettamente, ovviamente, a quella della data di inizio delle vendite di fine stagione. La legge n. 80/1980 fissava uniformemente inizio e durata delle vendite di fine stagione tra il 7 gennaio e il 7 marzo e tra il 10 luglio e il 10 settembre. A seguito del d.lgs. n. 114/1998 ogni regione ha invece disciplinato tali vendite per suo conto, per poi prendere coscienza dell’importanza di uniformare su tutto il territorio nazionale quanto meno le date di inizio delle vendite di fine stagione, onde evitare, tra l’altro, forme di concorrenza tra comuni vicini ma appartenenti a regioni diverse ed anche per venire incontro a quelle imprese che, operando a livello nazionale, devono adattare le loro politiche pubblicitarie ai diversi limiti fissati a livello regionale. A questo scopo la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato, il 24 marzo 2011, un documento recante “Indirizzi unitari delle Regioni sull’individuazione delle date di inizio delle vendite di fine stagione”. Con questo documento sono state condivise le seguenti date di inizio: - il primo giorno feriale antecedente l’Epifania, per le vendite di fine stagione invernale; - il primo sabato del mese di luglio, per le vendite di fine stagione estiva. 166 Cronache regionali A queste date si sono uniformate tutte le regioni, anche se ad ogni stagione si assiste da qualche parte al balletto delle date diversificate. L’individuazione di date uniche per le vendite di fine stagione, tuttavia, non risolve il problema della coesistenza di tali vendite con quelle promozionali, che sempre più vengono utilizzate quale “anticipo” dei saldi. Non ha molto senso, infatti, fissare in tutte le regioni date uguali di inizio delle vendite di fine stagione (anche se ogni regione può prevedere durate differenti delle stesse), se poi non si prevedono contestualmente periodi di limitazione delle vendite promozionali (per i prodotti oggetto di saldo). Sul punto, invece, le regioni vanno in ordine sparso. La Regione Campania, all’articolo 25, comma 19, della legge regionale n. 1 del 9 gennaio 2014 (8), ha stabilito che le vendite promozionali possono essere effettuate “per tutti i periodo dell’anno e senza limitazioni di tempo con il solo obbligo di adeguata informativa al pubblico”. La Regione Friuli Venezia Giulia, con la legge regionale n. 13 del 20 novembre 2008, ha modificato l’articolo 35 della legge regionale n. 29 del 5 dicembre 2005 (9), eliminando sia il divieto di effettuazione delle vendite promozionali nei quaranta giorni precedenti i saldi sia l’obbligo di preliminare comunicazione al Comune. La Provincia Autonoma di Trento, con legge provinciale n. 17 del 30 luglio 2010 (10), all’articolo 28 ha disciplinato tutte le vendite “presentate al pubblico come occasioni particolarmente favorevoli”, comprendendo in tale definizione: “le vendite speciali, straordinarie, di saldi, di fine stagione, di promozione, di liquidazione, di realizzo, di rimanenze di magazzino, a prezzi scontati o ribassati, le offerte e tutte le altre vendite che, con sinonimi, comparativi, superlativi o altri nomi di fantasia sono presentate come occasioni particolarmente favorevoli per gli acquirenti, anche prospettate al pubblico attraverso mezzi pubblicitari o d’informazione inviati, consegnati, indirizzati tramite mezzi informatici o in qualunque modo destinati al consumatore o a gruppi di consumatori”. Per quanto riguarda le vendite promozionali non sono state previste limitazioni temporali né obblighi di comunicazione al comune. Anche la Regione Umbria, con la legge regionale n. 10 del 13 giugno (8) “Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale”. (9) “Normativa organica in materia di attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Modifica alla legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 «Disciplina organica del turismo»”. (10) “Disciplina dell’attività commerciale”. 167 Cronache regionali 2014 (11), all’articolo 31, comma 6, prevede la piena liberalizzazione delle vendite promozionali, che “possono essere effettuate durante tutto il periodo dell’anno” e anche la Regione Emilia-Romagna, non prevedendo alcun limite temporale per lo svolgimento delle vendite promozionali, le rende di fatto effettuabili in ogni periodo. La Regione Lombardia, con legge regionale n. 9 del 7 giugno 2012, aveva invece sospeso solo in via sperimentale per un anno il divieto, contenuto nella sua legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2010 (12), di effettuare vendite promozionali nel periodo delle vendite di fine stagione, nei trenta giorni antecedenti e dal 25 novembre al 31 dicembre. Nelle altre Regioni le vendite promozionali sono vietate per periodi tra i trenta e i quaranta giorni precedenti i saldi. In un quadro normativo così variegato, rimane il dubbio se la liberalizzazione completa delle vendite promozionali non faccia venir meno il significato delle vendite di fine stagione o, piuttosto, se la coesistenza delle due tipologie di vendita non possa costituire una pratica commerciale sleale tra imprese e verso i consumatori. L’esigenza di una politica dei prezzi trasparente, perseguita anche attraverso l’obbligo di indicare sulle merci il prezzo normale di vendita, la percentuale di sconto e il prezzo finale, perde forse di incisività di fronte a un proliferare di offerte che spesso fanno perdere di vista il vero valore di mercato del bene da acquistare. A ciò si aggiungono più o meno furbi tentativi di aggiramento dei divieti, che si concretizzano in pratiche commerciali ormai diffuse e che spesso portano al contenzioso. 3.1. Il contenzioso Il Giudice di pace di Firenze, con sentenza del 26 settembre 2014, si è pronunciato nella causa n. 7998/2014 relativa a due ordinanze sindacali con le quali venivano respinti altrettanti ricorsi contro le sanzioni pecuniarie applicate a un esercizio commerciale per aver, rispettivamente, effettuato una vendita promozionale nei trenta giorni antecedenti le vendite di fine stagione e anticipato l’inizio delle vendite di fine stagione rispetto alla data fissata dalla regione. In relazione alla prima contestazione, l’esercente aveva posto all’interno (11) “Testo unico in materia di commercio”. (12) “Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere”. 168 Cronache regionali e nelle vetrine del negozio cartelli con scritte quali: “occhio ai prezzi”, “la giusta scelta”, “grande vendita” “tutto da 5 a 179 euro” e simili, evidenziando la data “dal 13 dicembre”, periodo nel quale le vendite promozionali sono vietate in Toscana. Va a questo punto ricordato che la legge regionale n. 28 del 7 febbraio 2005 (13) non ha seguito la classificazione dell’articolo 15 del d.lgs. n. 114/1998 che, come si è detto, assimila in un unico genus di “vendite straordinarie” le vendite promozionali, di liquidazione e di fine stagione: il Capo XII della legge regionale è invece ripartito in due Sezioni: nella sezione I, sono disciplinate le “vendite straordinarie”, costituite dalle vendite di liquidazione e da quelle di fine stagione; nella Sezione II sono disciplinate le “vendite promozionali”. Apparirà una sottigliezza, ma il Legislatore con ciò ha voluto sottolineare come le vendite promozionali abbiano perso il loro carattere di “straordinarietà”. L’articolo 96, al comma 2, vieta lo svolgimento di vendite promozionali di prodotti del settore merceologico non alimentare di carattere stagionale che formano oggetto delle vendite di fine stagione nei trenta giorni precedenti a tali vendite. Ora, stante questo divieto, riconosciuto come legittimo sia dal Legislatore regionale che da quello nazionale che dalla Corte Costituzionale (cfr. la citata sentenza n. 232/2010), si assiste sempre più spesso a varie forme di aggiramento della norma quali, ad esempio, gli anticipi di saldi “limitati alla clientela”, che viene allertata con telefonate, inviti, ecc. e che nei giorni che precedono le vendite di fine stagione si vede offrire le merci a prezzi già ribassati. Il concetto di “clientela”, poi, è piuttosto vago: se si era partiti col concetto di clientela di affezione, ormai chi entra in un negozio qualche giorno prima dei saldi si sente sussurrare che se acquisterà gli verrà praticato lo sconto: e, d’altra parte, nulla si può obiettare, in quanto chi acquista è un cliente (magari “nuovo” cliente, ma pur sempre cliente)! Tornando al caso affrontato a Firenze, il Giudice di Pace ha rilevato come alle vendite promozionali si applichi l’articolo 90 della legge regionale n. 28/2005, il quale stabilisce che per le vendite straordinarie e promozionali le merci poste in vendita devono recare “il prezzo normale di vendita; lo sconto o il ribasso espresso in percentuale; il prezzo effettivamente praticato a seguito dello sconto o del ribasso”. (13) “Codice del commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti”. 169 Cronache regionali Poiché invece la stessa Polizia Municipale aveva dato atto che sulle scatole delle scarpe poste in vendita era riportato un solo prezzo, senza indicazioni di sconti o di altri prezzi, il Giudice ha accolto l’opposizione, concludendo che “non potendosi qualificare oggettivamente la vendita praticata come promozionale, ritiene il giudicante l’attendibilità degli assunti del ricorrente laddove rappresenta che i cartelli esposti alle vetrate, i prezzi esposti sulle vetrine e sulla merce all’interno del negozio indicavano unicamente il range dei prezzi degli articoli, da un minimo ad un massimo, come semplice informazione e pubblicità diretta alla clientela sui prezzi praticati”. La seconda violazione contestata al solito negoziante era relativa al fatto che il giorno prima della data di inizio delle vendite di fine stagione, erano stati posti in negozio e in vetrina grandi cartelli con scritte tipo: “saldi”, “sconti”, “tutto – 50%”, con l’indicazione, di più piccolo formato, recante “dal 04/01/2014”. Il Giudice ha ritenuto “l’infondatezza della contestazione effettuata al ricorrente, essendo altrettanto evidente che la cartellonistica apposta sulle vetrine aveva unicamente lo scopo di pubblicizzare l’inizio dei saldi per il giorno dopo”. Il confine tra la libera politica dei prezzi praticati e la concorrenza sleale è comunque labile. La difficoltà di tracciare un solco tra l’una e l’altra si rinviene anche nel fenomeno delle vendite effettuate attraverso convenzioni con appartenenti ad associazioni o gruppi comunque individuati, a mezzo tessere-sconto o tessere-fedeltà: queste vendite non sono vietate da alcuna norma e pertanto sono considerate rientranti nella politica dei prezzi praticata dal negozio e finalizzate a favorire una clientela definita, anche se poi molti grandi magazzini rilasciano le tessere contemporaneamente all’acquisto a condizioni “speciali”. 4. Le disposizioni e la giurisprudenza comunitarie Le disposizioni comunitarie, sempre attente alla tutela della concorrenza, non sempre forniscono strumenti utili per poter distinguere nettamente tra pratiche coerenti con la liberalizzazione e altre che mirano soltanto ad aggirare le norme vigenti. Ciò assume ancor maggiore rilevanza nel periodo di crisi economica che ha investito tutti i Paesi dell’Unione e che ha reso la concorrenza tra imprese sfrenata se non aggressiva, tanto da mostrare come forse la tutela piena e incondizionata della libertà di concorrenza non sia da sola in grado di garantire la protezione degli interessi dei consumatori. 170 Cronache regionali A livello comunitario, infatti, il principio della libera concorrenza viene individuato sia nella tutela dei rapporti tra imprese che nella tutela dei consumatori (che, a sua volta, si articola in una pluralità di interventi, tra cui il divieto di pratiche commerciali scorrette), che tuttavia spesso diventa subordinata rispetto alla prima. L’Unione Europea ha inteso perseguire una politica di protezione dei consumatori con la direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle “pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, volta all’armonizzazione delle disposizioni nazionali divergenti e che introduce un divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori (14). La direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori e tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che non rispettano le regole previste dalla direttiva e, pertanto, garantisce nel settore da essa coordinato una concorrenza leale. Per individuare le pratiche commerciali sleali e garantire una maggiore certezza del diritto, l’Allegato I alla direttiva contiene un elenco tassativo di tali pratiche, non modificabile dagli Stati membri: solo quelle ivi elencate possono essere considerate in ogni caso sleali senza una valutazione caso per caso, come previsto dagli articoli da 5 a 9 della direttiva. Può essere interessante, ai fini dell’argomento trattato, leggere la sentenza pronunciata il 17 gennaio 2013 dalla Corte di Giustizia europea nella causa C-206/11, relativa a un caso di supposta pratica commerciale sleale. La questione era sorta in Austria, dove un commerciante aveva pubblicizzato con formule quali “svendita totale”, “fuori tutto” e “sconti fino al 90%”, una vendita di liquidazione senza aver chiesto preventivamente l’autorizzazione amministrativa agli organi competenti, i quali avevano chiesto un provvedimento inibitorio per bloccare la vendita. La Corte di Giustizia, investita del giudizio dalla Corte di Cassazione, ha chiarito che non basta la mancanza di autorizzazione preventiva per far rientrare una vendita di liquidazione nella previsione contenuta (14) La direttiva è stata recepita in Italia dai decreti legislativi n. 145 del 2 agosto 2007 (Attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/ CEE sulla pubblicità ingannevole) e n. 146 del 2 agosto 2007 (Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004). 171 Cronache regionali al punto 7 dell’Allegato I della direttiva, il quale classifica come pratica commerciale sleale, ad esempio, il caso di una dichiarazione mendace che induca i consumatori a credere che il prodotto di cui si tratta “sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole”. La Corte ha anche sostenuto che, in talune circostanze, un controllo anticipato o preventivo da parte dello Stato membro, attraverso un regime di previa autorizzazione, potrebbe rivelarsi più adeguato e appropriato di un controllo ex post che ordini la cessazione di una pratica commerciale già in essere. Tuttavia, un simile regime nazionale non può condurre a vietare una pratica commerciale per il solo fatto che detta pratica non sia stata previamente autorizzata dall’amministrazione competente, senza essere sottoposta ad una valutazione del suo carattere sleale. Pertanto, per la Corte, la direttiva 2005/29/CE deve essere interpretata nel senso che essa impedisce a un giudice nazionale di ordinare la cessazione di una pratica commerciale che non rientri nell’Allegato I della direttiva, “per il solo fatto che detta pratica non abbia costituito l’oggetto di una previa autorizzazione dell’amministrazione competente, senza tuttavia procedere a valutare esso stesso il carattere sleale della pratica di cui trattasi alla luce dei criteri individuati dagli articoli 5-9 della direttiva”. Di conseguenza, possono essere interrotte solo quelle vendite che perseguono il fine di raggirare il consumatore, mentre l’assenza di autorizzazione non è di per sé prova della natura sleale della vendita. La Corte di Giustizia si è pronunciata il 30 giugno 2011 nella causa C-288/10, nell’ambito di un giudizio tra due catene di negozi di abbigliamento tra loro concorrenti in merito ad una disposizione nazionale del Belgio che stabiliva che nei settori dell’abbigliamento, degli articoli in cuoio, di pelletteria e delle calzature, le vendite in saldo potessero svolgersi solamente nel periodo compreso tra il 3 gennaio e il 31 gennaio e tra il 1° luglio e il 31 luglio, mentre nei periodi precedenti (dal 15 novembre al 2 gennaio e dal 16 maggio al 30 giugno) vigeva un divieto generale di effettuare annunci di riduzione dei prezzi o allusioni a tali riduzioni. Una delle due ditte in contenzioso aveva inviato ad alcuni clienti un invito a partecipare ad una vendita privata, nel quale si precisava che i clienti selezionati, presentando la loro carta fedeltà, avrebbero potuto beneficiare di alcuni giorni di prezzi fortemente ridotti. Su ricorso della ditta concorrente, il Tribunale commerciale aveva vietato 172 Cronache regionali di praticare una qualsiasi riduzione di prezzi fino alla data dei saldi, dichiarando che un tale invito costituiva un annuncio vietato dalla legge. La Corte, chiamata a valutare se una tale disposizione normativa fosse contraria alla direttiva 2005/29/CE, ha ritenuto che quest’ultima impedisca alla normativa degli Stati membri di vietare gli annunci di riduzione dei prezzi nei periodi antecedenti ai saldi, poiché nell’Allegato I alla direttiva non figurano elencate le pratiche consistenti nell’annunciare ai consumatori riduzioni di prezzi. Spetta comunque al giudice del rinvio e non alla Corte di Giustizia Europea stabilire se la disposizione nazionale persegua effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori. In conclusione, da quanto si è detto emerge come sia complesso oggi utilizzare gli schemi tradizionali per inquadrare fattispecie in continua evoluzione. Da un lato, infatti, imprese e consumatori hanno a disposizione maggiori strumenti (basti pensare alla diffusione ed alle possibilità che offre l’e-commerce), dall’altro appare chiaro come sia difficile tracciare un solco tra politica dei prezzi e concorrenza sleale. In questo contesto, mentre ogni regola o limitazione deve trovare un’interpretazione restrittiva per non violare la libera concorrenza tra le imprese, è essenziale che il consumatore diventi sempre più “informato” per riuscire a districarsi tra le offerte. 173 Cronache comunali Il nuovo regime autorizzatorio delle attività di spettacolo e delle manifestazioni dopo l’entrata in vigore dell’accordo del 5.8.2014, n. 91 Claudio Malavasi già Comandante di Polizia Municipale – Dottore Commercialista – Revisore Legale – Direttore CRI Emilia-Romagna e Lombardia Tutte le attività esercitate, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, per divertire le persone con fini culturali, di ricreazione o di insegnamento sono disciplinate dall’art. 68 del T.u.l.p.s. che stabilisce l’obbligo della licenza, rilasciata dal Sindaco, ai sensi del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Art. 68 (art. 67 T.U. 1926) Senza licenza del Questore non si possono dare in luogo pubblico o aperto o esposto, al pubblico, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, né altri simili spettacoli o trattenimenti, e non si possono aprire o esercitare circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione. Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza è sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, presentata allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo. Per le gare di velocità di autoveicoli e per le gare aeronautiche si applicano le disposizioni delle leggi speciali. Quindi l’esercizio di locali di pubblico trattenimento è soggetto a Scia ed il relativo procedimento è soggetto a regolamentazione comunale. In particolare sono soggetti a questo titolo autorizzativo: – le rappresentazioni teatrali; – le accademie; – le feste da ballo; – le corse di cavalli; 175 Cronache comunali – i circoli; – le scuole di ballo; – le sale pubbliche di audizione. L’elenco delle attività non è comunque tassativo; infatti, lo stesso articolo 68 del T.u.l.p.s. stabilisce l’obbligo della licenza per tutti gli spettacoli o trattenimenti simili a quelli sopra elencati. L’elenco potrebbe estendersi all’infinito, ma caratteristica indispensabile perché il trattenimento o lo spettacolo sia sottoposto alla disciplina dell’art. 68 del T.u.l.p.s. è che l’attività sia esercitata in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico nell’esercizio di una attività imprenditoriale. Sono pertanto da escludere tutte quelle attività con finalità puramente sportive ed educative; quando queste attività sono a carattere sportivo, però, i promotori devono darne preventivo avviso all’autorità di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima di quello fissato per la manifestazione (art. 123 del reg. d’es. del T.u.l.p.s.) che di seguito si richiama nel testo vigente: 123. Chi intende promuovere manifestazioni sportive, con carattere educativo, esclusa qualsiasi finalità di lucro o di speculazione, deve darne avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima di quello fissato per la manifestazione. La stessa Corte Costituzionale è intervenuta in materia stabilendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 68 limitatamente alla parte in cui vieta di dare feste da ballo in luogo esposto al pubblico (sent. n. 142 del 15 dicembre 1967) e alla parte in cui stabilisce l’obbligo della licenza per i trattenimenti da tenersi in luoghi aperti al pubblico e non indetti nell’esercizio di un’attività imprenditoriale (sent. n. 56 del 15 aprile 1970). L’obbligo della licenza, oggi Scia, inoltre è previsto anche, ai sensi dell’art. 118 del reg. d’es. del T.u.l.p.s., per: – i circoli privati a cui si acceda da non soci con biglietto di invito, quando, per il numero delle persone invitate, o per altre circostanze, sia da escludere il carattere privato della rappresentazione o del trattenimento (la Cassazione penale ha stabilito che un locale dove siano dati degli spettacoli ai quali tutti possano assistere acquistando contemporaneamente al botteghino la tessera da socio e il biglietto di ingresso non è da considerarsi circolo privato, ma luogo aperto al pubblico, sottoposto alla disciplina degli spettacoli pubblici ... – sez. I, sent. n. 10997 del 13 settembre 1978, Fiorenza); 176 Cronache comunali – le rappresentazioni o i trattenimenti dati al pubblico nel recinto delle esposizioni artistiche, industriali e simili. La licenza, oggi Scia, inoltre viene richiesta, ai sensi dell’art. 69 del T.u.l.p.s., anche per: – dare anche temporaneamente pubblici trattenimenti; – esporre alla pubblica vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici o altri oggetti di curiosità; – dare audizioni all’aperto. L’art 69 T.u.l.p.s. prevede infatti: Art. 69 (art. 68 T.U. 1926) Senza licenza della autorità locale di pubblica sicurezza è vietato dare, anche temporaneamente, per mestiere, pubblici trattenimenti, esporre alla pubblica vista rarità, persone, animali, gabinetti ottici o altri oggetti di curiosità, ovvero dare audizioni all’aperto. Per eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio, la licenza è sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo19 della legge n. 241 del 1990, presentata allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo. Anche in questo caso l’elenco non è tassativo; l’art. 124 del reg. d’es. del T.u.l.p.s. infatti estende l’obbligo della Scia, a termine dell’art. 69 della legge, anche ai piccoli trattenimenti che si danno in pubblico, anche temporaneamente, in baracche o in locali provvisori, o all’aperto, da commedianti, burattinai, tenitori di giostre, di caroselli, di altalene, bersagli e simili. Le novità conseguenti l’entrata in vigore del nuovo accordo All’interno di questo sistema si inserisce il nuovo accordo che la conferenza unificata ha approvato ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 28.8.1997 n. 281 per quanto concerne gli obblighi a carico degli Enti e degli organizzatori in materia di assistenza sanitaria negli eventi e nelle manifestazioni programmate. Il prima dato da rilevare è l’ambito di applicazione delle nuove prescrizioni che devono essere inserite sia nelle attività delle C.C.V.L.P.S. che di quelle Provinciali nonché nelle prescrizioni ex art. 9, T.u.l.p.s. previste nelle modulistiche sia dell’art. 68 che dell’art 69 T.u.l.p.s.: 177 Cronache comunali a)eventi/manifestazioni: tutte quelle iniziative di tipo sportivo, ricreativo, ludico, sociale, politico e religioso che, svolgendosi in luoghi pubblici o aperti al pubblico, possono richiamare un rilevante numero di persone. b)luoghi pubblici: gli spazi e gli ambienti caratterizzati da un uso sociale collettivo ai quali può accedere chiunque senza alcuna particolare formalità (es. strade, piazze, giardini pubblici...). c)luoghi aperti al pubblico: gli spazi e gli ambienti a cui può accedere chiunque, ma a particolari condizioni imposte dal soggetto che dispone del luogo stesso (es. pagamento di un biglietto per l’accesso, orario di apertura...) o da altre norme. Occorre pertanto che gli enti introducano in tutta la modulistica che i Suap mettono a disposizione degli utenti sui portali anche la previsione del rispetto degli adempimenti previsti dal richiamato accordo nonché che le singole Commissioni di vigilanza inseriscano questa prescrizione nelle licenze rilasciate ex art 80 T.u.l.p.s. ed in particolare quanto qui di seguito richiamato. Al fine di garantire un adeguato livello di soccorso è necessario che gli organizzatori osservino le seguenti disposizioni: a)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio molto basso o basso: 1)obbligo di comunicazione dello svolgimento dell’evento al SET 118 almeno 15 giorni prima dell’inizio. b)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio moderato o elevato: 1)obbligo di comunicazione al SET 118 dello svolgimento dell’evento almeno 60 giorni prima dell’inizio; 2)obbligo di trasmissione del documento recante il dettaglio delle risorse e delle modalità di organizzazione preventiva di assistenza sanitaria messe in campo dall’organizzatore (Piano di soccorso sanitario relativo all’evento/manifestazione); 3)obbligo di osservare eventuali prescrizioni fornite dal SET 118. c)per gli eventi/manifestazioni con livello di rischio molto elevato: 1)obbligo di comunicazione al SET 118 dello svolgimento dell’evento almeno 180 giorni prima dell’inizio; 2)obbligo di validazione, da parte del SET 118, del documento recante il dettaglio delle risorse e delle modalità di organizzazione preventiva di assistenza sanitaria messe in campo dall’organizzatore (Piano di soccorso sanitario relativo all’evento/manifestazione) da parte del SET 118; 3)obbligo di osservare eventuali prescrizioni fornite dal SET 118. 178 Cronache comunali d)per tutte le tipologie di evento con qualsiasi livello di rischio: 1)obbligo di presentazione, alle competenti Commissioni di vigilanza, della documentazione comprovante il rispetto delle sopra riportate disposizioni. 4)È competenza del medico presente nelle Commissioni di vigilanza, verificare tale documentazione e richiedere un confronto con il SET 118, se ritenuto opportuno. Alfine di definire il livello a cui la singola manifestazione/evento si deve attenere occorre auto valutare l’evento con l’allegata scheda determinata con l’algoritmo di Maurer. Quindi è necessario che quando si procede al rilascio delle autorizzazioni ex art. 80 T.u.l.p.s. si verifichi la presenza nel parere della Commissione di vigilanza di queste prescrizioni che devono essere poi inserite nella licenza ex. art. 9 T.u.l.p.s. alfine di garantire un sistema sanzionatorio penale più pregnante in caso di omissioni in quanto trattasi di illeciti sanzionati dall’art. 681 c.p. Il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e il relativo regolamento prevedono inoltre numerose disposizioni che disciplinano gli spettacoli e i trattenimenti pubblici; tra le più significative possiamo ricordare: – divieto di concedere licenza per l’apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell’edificio e l’esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente in caso di incendio (art. 80 del T.u.l.p.s.); – obbligo di esporre cartello di avviso del divieto di introdurre, installare o utilizzare dispositivi o apparati che consentono la registrazione, la riproduzione, la trasmissione o la fissazione, in tutto o in parte, su supporto audio, video od audio-video, delle opere dell’ingegno (art. 85-bis T.u.l.p.s.) (vedi tabella di seguito). Proprio in relazione all’obbligo della previa verifica di agibilità dei locali e delle aree destinate alle attività oggetto del nuovo accordo che deve inserirsi il nuovo adempimento a carico degli organizzatori che, oltretutto, dovranno anche farsi carico di tutti gli oneri così come già accade con i VVFF per il servizio di prevenzione incendi. 179 Cronache comunali Il sistema sanzionatorio delle manifestazioni di spettacolo e degli eventi Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 507/1999 ed in particolare con le modifiche apportate dall’art. 49 dello stesso decreto, il sistema sanzionatorio degli spettacoli è stato parzialmente depenalizzato e si può così sinteticamente rappresentare: Comportamento illecito Spettacolo/ Intrattenimento abusivo Norme precedenti 1.1.2000 Il quadro attuale (post d.lgs. 507/1999) sanzione principale artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. san- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma zionati dagli artt. 666 e 681 1 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. c.p. • informativa ai sensi 507/1999) violazione amministrativa da €258,00 a dell’art. 347 c.p.p. alla Pro- €1.549,00 a utorità competente ad irrogare la sancura della Repubblica • in- zione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. formativa al Sindaco 681 c.p. informativa di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica sanzione accessoria art. 10 T.u.l.p.s. sospensione art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fao revoca attività (facoltativa) coltativa) SINDACO art. 666, comma 3 c.p. (così SINDACO come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) ordinanza di sospensione obbligatoria dell’attività condotta in difetto di autorizzazione (Sindaco) provvedimenti interdittivi sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p. ordi321-bis c.p.p. ordinanza nanza di sospensione ex art. 100 T.u.l.p.s. del di sospensione ex art. 100 questore T.u.l.p.s. del questore Spettacolo sanzione principale od intrattenimento artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. san- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma con licenza zionati dagli artt. 666 e 681 2 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. negata c.p. • informativa ai sensi 507/1999) violazione amministrativa da € 413,00 dell’art. 347 c.p.p. alla Pro- a €2.478,00 autorità competente ad irrogare la cura della Repubblica; • in- sanzione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionaformativa al Sindaco to dall’art. 681 c.p. informativa di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica sanzione accessoria art. 10 T.u.l.p.s. sospensione art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fao revoca attività (facoltativa) coltativa) SINDACO art. 666, comma 3 c.p. (così SINDACO come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) ordinanza di sospensione obbligatoria dell’attività condotta in difetto di autorizzazione provvedimenti interdittivi sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p. 321-bis c.p.p. ordinanza di sospensione attività ex art. ordinanza di sospensione attività ex art. 100 100 T.u.l.p.s. del questore T.u.l.p.s. del questore (segue) 180 Cronache comunali Comportamento illecito Trattenimenti e spettacoli abusivi in locale autorizzato anche per la somministrazione di alimenti e bevande o altra attività (art. 86 T.u.l.p.s./ l. n. 287/1991) Mancato rispetto delle prescrizioni nelle autorizzazioni ex artt. 68 e 69 T.u.l.p.s. Norme precedenti 1.1.2000 Il quadro attuale (post d.lgs. 507/1999) sanzione principale artt. 68 e 80 T.u.l.p.s. sanzio- art. 68 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 666, comma nati dagli artt. 666 e 681 c.p. 2 c.p. (così come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) violazione amministrativa da € 413,00 • informativa ai sensi dell’art. a €2.478,00 autorità competente ad irrogare la 347 c.p.p. alla Procura del- sanzione: SINDACO art. 80 T.u.l.p.s. sanzionala Repubblica • informativa to dall’art. 681 c.p. informativa di reato ai sensi al Sindaco dell’art. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica sanzione accessoria art. 10 T.u.l.p.s. sospensio- art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività (fane o revoca attività di in- coltativa) – SINDACO art. 666 comma 3 c.p. (così trattenimento (facoltativa) – come mod. dall’art. 49 del d.lgs. n. 507/1999) – SINDACO ordinanza di sospensione obbligatoria dell’attività condotta in difetto di autorizzazione. Nel caso di reiterazione della violazione o di licenza negata è prevista la chiusura obbligatoria anche dell’altra attività per un periodo non superiore a sette giorni (SINDACO) provvedimenti interdittivi sequestro preventivo ex art. sequestro preventivo ex art. 321-bis c.p.p. ordi321-bis c.p.p. ordinanza di nanza di sospensione attività ex art. 100 T.u.l.p.s. sospensione attività ex art. del questore 100 T.u.l.p.s. del questore sanzione principale art. 17 T.u.l.p.s. • informati- art. 17 T.u.l.p.s. • informativa ai sensi dell’art. va ai sensi dell’art. 347 c.p.p. 347 c.p.p. alla Procura della Repubblica • inalla Procura della Repubbli- formativa al Sindaco ca • informativa al Sindaco sanzione accessoria art. 10 T.u.l.p.s. sospensio- art. 10 T.u.l.p.s. sospensione o revoca attività di ne o revoca attività di in- intrattenimento (facoltativa) – SINDACO trattenimento (facoltativa) – SINDACO Le attività di spettacolo ed intrattenimento ed il conseguente regime autorizzatorio L’art. 19 del d.P.R. n. 616/1977 – ai punti 5 e 6 – ha assegnato ai Comuni le funzioni relative al rilascio delle licenze di cui agli artt. 68 e 69 del T.u.l.p.s. dal 1° gennaio 1978. Si veda qui di seguito la tabella che evidenzia le tipologie di autorizzazioni richieste a seconda dell’attività da svolgere e nelle quali è d’obbligo espletare i nuovi adempimenti nella gradualità prevista dall’accordo stesso che è qui allegato ed applicando l’algoritmo di Maurer. 181 Cronache comunali TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ PREAVVISO O LICENZA PIANO BAR con carattere di prevalenza rispetto Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., agibilità dei loall’attività di pubblico esercizio cali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere C.P.V.L.P.S. PIANO BAR senza particolare rilievo Occorre Scia ex art. 69 T.u.l.p.s. se non all’interno di PE con l.r. che autorizza KARAOKE installato in sale appositamente attrez- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., previa agibizate e con la presenza di un animatore lità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere C.P.V.L.P.S. KARAOKE utilizzato alla stessa stregua di un Occorre presentare la Scia (art. 19 legge n. jukebox 241/1990) se il PE non è in regione con l.r. che consente FESTE DA BALLO E GARE DI BALLO organizza- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., licenza di agite in forma imprenditoriale SCUOLE DI BALLO bilità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s. previo parere C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. FESTE DA BALLO a carattere privato o BALLI IM- Non occorre licenza (v. sentenza Corte CostituPROVVISATI dai clienti di un albergo o di un ri- zionale n. 142/1967) storante senza intrattenitore od organizzazione d’impresa a scopo di lucro SCUOLE DI DANZA CLASSICA con riconosci- Il pretore di Napoli con sentenza del 30 maggio mento del Ministero della pubblica istruzione 1975 ha decretato che non occorre licenza essendo prevalente il carattere artistico e scolastico e perché manca il carattere della pubblicità RIUNIONI in luogo pubblico Occorre dare preavviso all’autorità di P.S. RIUNIONI in luogo aperto o esposto al pubblico In virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 142 del 15 dicembre 1967 non occorre alcun preavviso o licenza TRATTENIMENTI E SPETTACOLI in luogo aper- Occorre la Scia ex art. 68 T.u.l.p.s. solo se l’attività to al pubblico di intrattenimento o spettacolo è esercitata nell’esercizio di una attività imprenditoriale (v. sentenza Corte Costituzionale n. 56 del 15 aprile 1970) (segue) 182 Cronache comunali TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ PREAVVISO O LICENZA TRATTENIMENTI E SPETTACOLI nei circoli pri- Se gli spettatore sono unicamente i soci non ocvati corre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s.. Se ricorre una delle seguenti circostanze il circolo perde il carattere “privatistico” e necessita della licenza ex art. 68 T.u.l.p.s.: a) possibilità per chiunque di entrare con contemporaneo acquisto della tessera di socio (Cassazione 26 gennaio 1973); b) pubblicità degli spettacoli effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico senza l’evidente indicazione che l’ingresso è riservato ai soci (escluso circoli ex art. 31 l. n. 383/2000); c) numero eccessivo dei soci anche rispetto alla capienza del locale; d) numero degli spettacoli e loro periodicità in analogia con quella dei locali di pubblico spettacolo; e) assenza di una forma associativa di tipo culturale consolidata nel tempo e struttura aziendale (Vedi anche d.p.c.m. n. 504/1999) PICCOLI TRATTENIMENTI in locali adibiti ad Secondo la prassi instaurata occorre Scia ex art. altre attività 69 del T.u.l.p.s. (Secondo la Prefettura di Modena v. nota prot. 151 dell’1 febbraio 1995 occorre la licenza ex art. 68 T.u.l.p.s. solo se la manifestazione assume carattere di prevalenza rispetto all’attività di P.E. oppure se l’attività di intrattenimento assume un rilievo tale per cui il pubblico vi assiste in modo diretto e non incidentale o causale) ESIBIZIONI DI CANTANTI, BALLERINI, CANTA- Occorre Scia ex art. 69 T.u.l.p.s.. Se l’attività vieSTORIE, GIOCOLIERI, BURATTINAI, ESPOSIZIO- ne svolta in locali o se si fa uso di palchi, tribuNE DI RARITÀ, PERSONE, ANIMALI, CURIOSITÀ ne, ecc. occorre licenza di agibilità ex art. 80 T.u.l.p.s., previo parere C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. TRATTENIMENTI DATI IN FORMA AMBULAN- Occorre l’iscrizione dell’artista al registro dei TE DA GIOCOLIERI, SUONATORI, CANTANTI, mestieri ambulanti di cui all’art. 69 del T.u.l.p.s. MIMI E SIMILI come spettacolo viaggiante SPETTACOLI CIRCENSI SPETTACOLI VIAGGIAN- Occorre Scia ex art. 69 del T.u.l.p.s. previa auTI LUNA PARK PARCHI DIVERTIMENTI torizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento dello spettacolo (v. legge 18 marzo 1968, n. 337) Il Comune deve fissare le aree disponibili per l’installazione di dette attività; in mancanza deve comunque concedere il suolo pubblico. Al medesimo Dipartimento si devono presentare le istanze per l’esibizione di artisti extracomunitari (v. d.lgs. n. 391/1991) (segue) 183 Cronache comunali TIPOLOGIA DI ATTIVITÀ PREAVVISO O LICENZA FESTIVAL CONCERTI MANIFESTAZIONI PO- Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s. (licenza di agiPOLARI (tornei, giochi tradizionali, ecc.) SFILA- bilità dei locali ex art. 80 T.u.l.p.s.) previo pareTE DI CARRI ALLEGORICI MASCHERATE COL- re C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. LETTIVE (generalmente tollerate) tutti organizzati con fine di lucro Occorre Scia ex art. 68 T.u.l.p.s., agibilità dei loMANIFESTAZIONI SPORTIVE E GARE a scopo di cali e parere C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. Si deve intrattenimento pubblico e fine di lucro comunicare il regolamento della gara MANIFESTAZIONI SPORTIVE a carattere educa- Occorre preavviso al Sindaco tre giorni prima tivo e senza scopo di lucro della manifestazione (art. 123 del regolamento al T.u.l.p.s.) GARE AERONAUTICHE (compresi deltaplani) PISCINE NATATORIE Occorre licenza del prefetto (art. 183 r.d. 11 gennaio 1925, n. 709) Occorre Scia ex art. 68 del T.u.l.p.s. previo parere della C.P.V.L.P.S. o C.C.V.L.P.S. Per i requisiti IGIENICO-SANITARI e l’obbligo della presenza di un responsabile v. normativa regionale INSTALLAZIONE DI APPARECCHI DA TRATTE- Se non è prevista dalla legge regionale è suffiNIMENTO (juke-box, elettrogrammofoni) NEI P.E. ciente semplice Scia ex art 69 T.u.l.p.s. SALA GIOCHI I locali in cui si esercita esclusivamente l’attività di “sala giochi” sono soggetti alla Scia ex art. 86 del T.u.l.p.s. ed alle norme fissate dal regolamento comunale VIDEOGIOCHI I locali in cui si installano “VIDEOGIOCHI” sia che si tratti di circoli privati nei locali di som ministrazione che di esercizi pubblici sono soggetti alla Scia ex art. 86 del T.u.l.p.s. ed alle norme fissate dal regolamento comunale previo ottenimento del nulla osta dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato sia per la distribuzione che per la messa in esercizio DETENZIONE DI APPARECCHI RADIO TELE- Completamente liberalizzata, è necessaria Scia VISIVI ex art. 69 T.u.l.p.s. quando si tratta di pay-tv con aumento delle consumazioni e della Scia; ex art. 68 T.u.l.p.s. previo rilascio agibilità; ex art. 80 T.u.l.p.s. quando oltre alla presenza della pay-tv vi è il pagamento di un biglietto di ingresso ed una sala appositamente attrezzata INSTALLAZIONE ED EFFETTUZIONE DI GIOCHI Occorre Scia al SUAP ai sensi dell’art. 86 del LECITI NEI P.E. (gioco delle carte bigliardo vide- T.u.l.p.s. ogiochi calcio balilla apparecchi e congegni automatici ed elettronici da trattenimento e da gioco di abilità (art. 110 T.u.l.p.s.) 184 Cronache comunali Modalità operative di intervento in caso di evento o manifestazione senza che sia stata presentata comunicazione dello svolgimento al Servizio di Emergenza territoriale 118 Oltre a compilare il verbale di identificazione e di dichiarazione o di elezione di domicilio per le notificazioni ai sensi dell’art. 161 c.p.p. occorre redigere i seguenti atti: – verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose; – comunicazione di reato; – nota informativa al Sindaco per l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10 del T.u.l.p.s. VERBALE DI ACCERTAMENTI URGENTI SULLO STATO DEI LUOGHI E DELLE COSE COMUNE DI ............................ CORPO POLIZIA MUNICIPALE Via ............................... n. ....... Prot. n. ..................................... del ............................................ VERBALE DI ACCERTAMENTI URGENTI SULLO STATO DEI LUOGHI E DELLE COSE (Art. 354, commi 2 e 3, c.p.p.) L’anno ......................... il giorno ........................ del mese di ............... alle ore .......... in località ............................. via ..................... n. ......... Comune di ...................................... Provincia di .................................. noi sottoscritti ............................................................ Uff./Ag. di P.G. stante il pericolo che le cose, le tracce e i luoghi si alterino o si disperdano o comunque si modifichino prima dell’intervento del Pubblico Ministero abbiamo provveduto ad accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose. Si dà atto che al momento dell’accertamento era presente il sig. ....................................... ............. nato a ........................................ il ............................. residente a ........................... via ........................... n. ..... identificato con ...................... .................. n. ..................... rilasciata da .......................................... in data .................. in qualità di titolare del locale di pubblico spettacolo, che, reso edotto della sua facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, ha dichiarato di non volersene avvalere per il sopralluogo. Dagli accertamenti e rilievi si è rilevato quanto segue: 185 Cronache comunali Ubicazione: .......................................................................................... denominazione dell’esercizio pubblico: “.............................................” Titolare dell’esercizio pubblico: sig. ..................................................... nato a ............................... il ...................... residente a ....................... via ....................... n. ..... Al momento dell’ispezione si accertava il reato di cui all’art. 80 T.u.l.p.s. sanzionato dall’art. 681 c.p. in quanto si stava svolgendo evento/manifestazione senza che fosse stato inviato il piano di emergenza al servizio emergenze 118 competente così come previsto nelle prescrizioni della licenza ex art 80 T.u.l.p.s. rilasciata dal Comune di .......................... L’organizzazione era svolta dal sig. ............................................................... nato a ......................................................... il .............................. residente a .................................... via ................................ n. ....... identificato con ................................................................ n. .......................... rilasciata da ........................................ in data ....................... All’interno dell’area si trovavano circa 700 persone di cui molte intente a ballare sulla pista posta al centro dell’area. Si dà atto che il titolare del locale, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura. Di quanto sopra viene redatto il presente verbale, che previa lettura e conferma viene sottoscritto dall’intervenuto e dai verbalizzanti. Chiuso alle ore .................................... del ......................... L’intervenuto .............................. I verbalizzanti Uff. di P.G. ........................................................... 186 Cronache comunali COMUNICAZIONE DI REATO COMUNE DI ............................ CORPO POLIZIA MUNICIPALE Via ............................... n. ....... Prot. n. ..................................... del ............................................ Al signor Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di ........................................ OGGETTO: Comunicazione di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p. L’anno ........... il giorno .............. del mese di ............... alle ore ....... noi sottoscritti .................................................... Uff./Ag. di P.G. ai sensi dell’art. 347 c.p.p. comunichiamo la seguente notizia di reato: Descrizione sommaria del fatto: Evento/manifestazione in un area aperta al pubblico privo della comunicazione preventiva al Servizio Emergenze 118 e della relativa validazione da parte dello stesso del piano sanitario di assistenza Reato ipotizzato: art. 681 del codice penale in relazione all’art. 80 T.u.l.p.s. per violazione delle prescrizioni inserite dalla C.C.V.L.P.S. Data di acquisizione della notizia: ................................................................ Data della commissione del fatto: .................................................................. Luogo in cui il fatto è avvenuto: .................................................................... Persona nei cui confronti vengono svolte le indagini: .................................... 1) sig. ............................... nato a ........................ il ........ residente in .......................... via ............................. n. ...... in qualità di titolare del locale da ballo. Altre violazioni accertate: nessuna. Persone che possono riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto: 2) sig.ra ............................ nata a ......................... il ......... residente a ......... .......................... via ...................... n. ..... in qualità di cassiera; 3) sig. .............................. nato a ......................... il ........ residente a ........................... via ............................ n. ....... in qualità di disc-jokey. Fonte di prova: verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose. Provvedimenti richiesti: nessuno 187 Cronache comunali Attività compiuta ed elementi raccolti: In data ..... alle ore ..., in normale servizio di polizia commerciale, personale del Corpo di polizia municipale di ........ ha effettuato un’ispezione nel l’area destinata alla manifestazione denominata “.....”......” sito a ....... in via ............... n. .......... Al momento dell’ispezione si accertava la violazione di cui all’art. 681 del codice penale in relazione all’art. 80 e 9 T.u.l.p.s. in quanto nel locale si stava svolgendo manifestazione senza la prescritta validazione del piano di assistenza sanitaria approvato dal servizio Emergenza del 118. Al momento del sopralluogo alla cassa vi era la sig.ra ........................ e l’attività di disc-jokey era svolta dal sig. .................... entrambi sopra meglio generalizzati. All’interno dell’area si trovavano circa 700 persone di cui molte intente a ballare sulla pista posta al centro del locale. Si dà atto che l’organizzatore dell’evento, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura. Sussistendo problemi legati alla sicurezza pubblica si propone il sequestro preventivo dei locali e delle attrezzature in quanto il titolare del locale ha espresso con azione e fatti precisi l’intenzione di riaprire lo stesso locale l’indomani. Attività ed indagini a cura di: ................................................................ ................................................................................................................. Allegati: – verbale di accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose – verbale di identificazione e di dichiarazione o di elezione di domicilio – copia verbale della seduta della commissione tecnica provinciale – copia comunicazione diniego per rilascio licenza – nota informativa al Sindaco V.to Il Comandante ....................................... Uff. di P.G. ....................................... ....................................... 188 Cronache comunali NOTA INFORMATIVA AL SINDACO COMUNE DI ............................ CORPO POLIZIA MUNICIPALE Via ............................... n. ....... Prot. n. ..................................... del ............................................ OGGETTO: Nota informativa in merito a manifestazione/evento realizzato senza la prescritta comunicazione e validazione del piano di assistenza sanitaria validato dal servizio di emergenze 118 competente in quanto negata attivata da: sig. .......................................................... nato a ............................ ....... il .................... residente a ...............................via ............ Al sig. Sindaco di sede .................... L’anno .......... il giorno ........ del mese di .................. alle ore .... noi sottoscritti .................................... in merito a quanto indicato in oggetto riferiamo quanto segue: in data ......... alle ore ....., in normale servizio di polizia commerciale, abbiamo effettuato un’ispezione nel locale da ballo denominato “...........” sito a ......... in via ........ n. ..... . Al momento dell’ispezione nel locale si stava svolgendo un evento/manifestazione senza che gli organizzatori avessero comunicato ed ottenuto la validazione del piano di assistenza ed emergenza da parte del servizio 118 competente. All’interno dell’area si trovavano circa 700 persone di cui molte intente a ballare sulla pista posta al centro dell’area stessa. Si dà atto che l’organizzatore dell’evento, dietro nostra richiesta, interrompeva lo spettacolo, considerato anche l’orario ormai prossimo alla chiusura. Avendo accertato il reato di cui all’art. 681 del codice penale in relazione all’art. 80 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 si è proceduto a notiziare la Procura della Repubblica per l’art. 681 c.p. Di quanto sopra si dà atto per doverosa conoscenza e per quanto di competenza ed al fine dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10 T.u.l.p.s.. Gli accertatori ............................. ............................. 189 Cronache comunali 190 Cronache comunali 191 Cronache comunali 192 Cronache comunali 193 Cronache comunali 194 Cronache comunali 195 Cronache comunali 196 Cronache comunali 197 Cronache comunali 198 Cronache comunali 199 Cronache comunali 200 Disciplina comunitariaa cura di Emanuela Caneponi È stata pubblicata, sulla G.U. n. 251 del 28 ottobre 2014, la legge 7 ottobre 2014, n. 154, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – legge di delegazione europea 2013 –secondo semestre”. Si tratta, in particolare, della seconda legge di delegazione europea relativa al 2013 (secondo semestre) – in vigore dal 12 novembre 2014 – la quale contiene principi e criteri direttivi per il recepimento di 19 direttive, di cui 2 inserite nell’Allegato A e 17 nell’Allegato B. Si cita, nello specifico, l’art. 8 che contiene i criteri per il recepimento della direttiva n. 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento CE n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE. Ricordiamo che la Legge n. 234/2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”, prevedeva espressamente la possibilità per il Governo di presentare, nel secondo semestre dell’anno, un nuovo disegno di legge di delegazione europea, nonché la possibilità dell’adozione di appositi disegni di legge per l’attuazione di singoli atti normativi dell’Unione europea, in casi di particolare importanza politica, economica e sociale. Il Governo, in proposito, ha presentato, un altro disegno di legge europea (Legge europea 2013-bis), al fine di porre rimedio alla parte ancora residua di precontenzioso e contenzioso per poter presiedere il semestre europeo nel 2014 con il minor numero di infrazioni possibili a carico dell’Italia. La Camera, lo scorso 23 ottobre, ha dato il via libera al disegno di Legge europea 2013-bis, ed è stata emanata la Legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013-bis”.pubblicata, sulla G.U. n. 261 del 10 novembre 2014 – Supplemento Ordinario n. 84. Il provvedimento contiene disposizioni di natura eterogenea, volte ad adeguare l’ordinamento giuridico italiano all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea. Tra le procedure risolte si segnalano le modifiche al regime fiscale applicabile ai contribuenti che, pur essendo fiscalmente residenti in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo, producono o ricavano la maggior parte del loro reddito in Italia (cfr. sentenza Schumacker). Per questi soggetti l’imposta dovuta sarà determinata sulla base delle regole IRPEF “a condizione che il reddito prodotto dal soggetto nel territorio dello Stato italiano sia pari almeno al 75% del reddito complessivo”. Il provvedimento, inoltre, interviene su numerose materie, fra cui, nello specifico: - l’art. 6 integra il decreto legislativo n. 59/2010 di attuazione della Direttiva 2006/123 sui servizi nel mercato interno (Direttiva Bolkestein), rafforzando il regime di tutela dei destinatari dei servizi per assicurare il rispetto del divieto di 201 Disciplina comunitaria discriminazioni basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza. Sempre riguardo al decreto legislativo n. 59/2010, il suddetto articolo 6 specifica che la notifica obbligatoria alla Commissione europea dei progetti di disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative, contenenti restrizioni all’accesso o all’esercizio delle attività di servizi, sono effettuate tramite il sistema telematico IMI (Internal Market Information) istituito dalla Commissione europea. - L’art.23 supera i rilievi formulati dalla Commissione europea nel caso EU Pilot 4734/13/MARK in relazione alla disciplina delle stazioni di distribuzione dei carburanti ubicate nelle aree urbane. Si rammenta che, l’articolo 28 del d.l. n. 98/2011 – convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011, successivamente modificato dal d.l. n. 1/2012, convertito dalla l. n. 27/2012 – aveva previsto il divieto di porre vincoli o limitazioni all’utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per il rifornimento di carburante senza servizio con pagamento anticipato (ossia in modalità “self service”), limitando però questo divieto agli impianti posti fuori dai centri abitati. Con l’articolo 23 della legge europea-bis 2013 la portata del divieto di porre limiti al self service viene estesa a tutti gli impianti. Con questo intervento vengono così escluse le limitazioni all’utilizzo continuativo delle apparecchiature self-service, anche senza assistenza, agli impianti di distribuzione ovunque ubicati e non più solo per questi posti fuori dai centri abitati. - L’art. 24 contiene modifiche al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, relativo ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, come modificato dal d.lgs. 6 novembre 2012, n. 192, che ha recepito la direttiva 2011/7/UE. In particolare, viene modificato l’articolo 4, comma 4, relativo alla possibilità nelle transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione, prevedendo che le parti possano derogare, purché in modo espresso, ai termini di pagamento ordinari solo quando “ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche”. • Libera circolazione dei lavoratori Una nuova Direttiva, la 2014/54/UE, volta a garantire una migliore applicazione a livello nazionale del diritto dei cittadini dell’UE di lavorare in un altro Stato membro è stata emanata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, lo scorso aprile. Le nuove norme, proposte dalla Commissione, intendono colmare il divario esistente tra diritti e realtà lavorative e aiuteranno i cittadini che lavorano o cercano un lavoro in un altro paese a esercitare concretamente i loro diritti. La Direttiva ha come obiettivo di eliminare gli ostacoli esistenti alla libera circolazione dei lavoratori, tra cui la scarsa consapevolezza delle norme UE da parte dei datori di lavoro, sia pubblici che privati, e le difficoltà incontrate dai cittadini mobili nell’ottenere informazioni e assistenza negli Stati membri ospitanti. Per superare questi ostacoli e prevenire ogni forma di discriminazione la Direttiva imporrà agli Stati membri di garantire: 202 Disciplina comunitaria • che uno o più organismi a livello nazionale forniscano un sostegno e assistenza giuridica ai lavoratori migranti dell’UE per quanto riguarda l’applicazione dei loro diritti; • una tutela giuridica efficace dei diritti (tra cui, ad esempio, la protezione dalla vittimizzazione per i lavoratori migranti dell’UE che vogliono far valere i loro diritti); • informazioni facilmente accessibili in più di una lingua dell’UE sui diritti di cui godono i lavoratori migranti dell’UE e le persone in cerca di lavoro. Tali norme andranno a vantaggio non solo dei lavoratori mobili ma anche dei datori di lavoro, che saranno meglio informati quando assumeranno persone provenienti da un altro paese dell’UE. Gli Stati membri dovranno mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente Direttiva entro il 21 maggio 2016. • Valutazione di impatto ambientale (VIA) Lo scorso 15 maggio è entrata in vigore la Direttiva 2014/52/UE del Parlamento e del Consiglio del 16 aprile 2014 che apporta modifiche alla direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA) di determinati progetti pubblici e privati. La precedente Direttiva 2011/92/EU, risulta essere applicata ad una vasta gamma di progetti pubblici e privati e sin dalla primissima entrata in vigore, che risale a circa venticinque anni fa, è stata già sottoposta a tre emendamenti, (in proposito, si ricorda che la direttiva 2011/92/UE è ancora in fase di recepimento da parte del Governo, che ha ricevuto apposita delega dal Parlamento con l’art. 23 della legge n. 97/2013 – legge di delegazione europea 2013). Con le ultime modifiche si intende concentrare maggiormente l’attenzione sui rischi e le sfide emerse nel corso degli ultimi anni, come l’efficienza delle risorse, i cambiamenti climatici e la prevenzione dei disastri. L’attuale Direttiva – com’è precisato nelle considerazioni preliminari che precedono l’esposizione degli articoli – oltre ad assicurare una migliore protezione ambientale, semplificherà di molto le regole amministrative già esistenti, in linea con l’orientamento verso una smart regulation della Commissione Europea e rafforzerà la coerenza e le sinergie con altre normative e politiche dell’Unione. Tra le principali novità introdotte: obbligo degli Stati membri di semplificare le varie procedure di valutazione ambientale; definizione di diversi termini di tempo a seconda dei differenti stadi di valutazione ambientale; semplificazione della procedura d’esame per stabilire la necessità o meno di una valutazione d’impatto ambientale; rapporti più chiari e comprensibili per il pubblico; obbligo da parte degli sviluppatori di intraprendere i passi necessari per evitare, prevenire o ridurre gli effetti negativi laddove i progetti comportino delle conseguenze importanti sull’ambiente. Gli Stati membri dovranno recepire le nuove regole, al più tardi, entro il 2017 203 Disciplina comunitaria e dovranno anche comunicare alla Commissione la legislazione nazionale adottata per ottemperare alla nuova Direttiva. • Tutela dei viaggiatori Da un’azione di controllo concertata dalla Commissione europea risulta che buona parte dei siti web che vendono viaggi online nell’Ue ancora non tutelano completamente i diritti dei consumatori. Tali ispezioni, eseguite dalle autorità nazionali ad intervalli regolari, mirano ad individuare le violazioni delle norme a tutela dei consumatori e a far ripristinare il rispetto delle norme. Nel 2013 sono stati controllati 552 siti web di società che vendono viaggi aerei e sistemazioni in albergo, di operatori e intermediari del settore. Ne sono emersi 382 che non rispettavano il diritto europeo in tema di tutela dei consumatori. I siti web sono stati controllati per verificare se: -le informazioni sulle caratteristiche principali dei servizi erano facilmente accessibili; -il prezzo era indicato tempestivamente ed era comprensivo dei supplementi opzionali; - erano indicati gli indirizzi di posta elettronica ai quali rivolgersi per domande e reclami; - erano consultabili i termini e le condizioni prima dell’acquisto; - erano scritti in modo semplice e chiaro. I principali problemi riscontrati sono stati: mancanza di informazioni obbligatorie relative all’identità dell’operatore, in particolare l’indirizzo di posta elettronica, che privava i consumatori di un efficace canale di comunicazione: 162 siti (il 30% del totale dei siti esaminati) non fornivano tali informazioni; mancanza di istruzioni chiare su come presentare un reclamo: 157 siti (28%) ne erano privi; alcuni supplementi opzionali al pagamento, come le commissioni sui bagagli, i premi assicurativi o l’imbarco prioritario, non erano facoltativi: è stato riscontrato in 133 casi (24%); il prezzo totale del servizio non era indicato immediatamente quando venivano visualizzati gli elementi principali della prenotazione: 112 siti (20%) erano privi di tale indicazione. Alcune pratiche del settore dei viaggi, sono ancora sotto esame, si vuole verificare, infatti, che i consumatori dispongano di tutte le informazioni pertinenti e che possano quindi effettuare scelte informate. • Abusi di mercato Sono state pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 12 giugno 2014 le nuove disposizioni europee in materia di market abuse, in particolare: - il Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (Regolamento sugli abusi di mercato) che abroga la Direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione; 204 Disciplina comunitaria - la Direttiva 2014/57/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali in caso di abusi di mercato (Direttiva abusi di mercato). Il nuovo Regolamento sugli abusi di mercato istituisce un quadro normativo comune in materia di abuso di informazioni privilegiate, comunicazione illecita di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato (abusi di mercato), nonché misure per prevenire gli abusi di mercato, onde garantire l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e accrescere la tutela degli investitori e la fiducia in tali mercati. La Direttiva abusi di mercato, invece, stabilisce le norme minime per le sanzioni penali applicabili all’abuso di informazioni privilegiate, alla comunicazione illecita di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, al fine di assicurare l’integrità dei mercati finanziari all’interno dell’Unione e di rafforzare la protezione degli investitori e la fiducia in tali mercati. Il Regolamento, fatte salve le eccezioni previste dall’art. 39, si applica dal 3 luglio 2016. Entro lo stesso termine dovrà essere recepita a livello nazionale la Direttiva. • Tutela dei consumatori Dallo scorso 13 giugno sono diventate operative le nuove regole per il commercio elettronico dettate dal Decreto Legislativo 21 febbraio 2014, n. 21 con cui è stata recepita la Direttiva europea 2011/83 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori. Il Decreto modifica il Capo I del Titolo III del Decreto legislativo 6 Settembre n. 206 (Codice del Consumo) riguardante i contratti a distanza, (le vendite on-line o con qualsiasi mezzo di comunicazione che prevede la presenza fisica e simultanea delle parti) e quelli negoziati al di fuori dei locali commerciali (le vendite porta a porta o a domicilio, cioè in luogo diverso dai locali del professionista, ma alla presenza fisica e simultanea delle parti). Si ricorda che, il recepimento introduce importanti novità sugli obblighi informativi precontrattuali che dovranno essere più dettagliati; sui requisiti formali nella gestione del contratto di vendita on-line e sul diritto di recesso del consumatore, esteso dagli attuali 10 giorni fino a 14. Nel caso poi che il consumatore non sia stato informato di questa modifica, si avrà diritto ad un periodo ancora più lungo: esattamente tre mesi di tempo. Anche per i contratti conclusi telefonicamente, ci sono novità. Non avrà più valore il solo consenso, il consumatore sarà vincolato solo dopo aver firmato l’offerta e aver dato la conferma scritta. Un altro cambiamento importante degli acquisti on-line, è la maggiore trasparenza delle spese. Il negoziante è obbligato a dichiarare i costi che il consumatore dovrà sostenere in caso di restituzione della merce. E se le spese non sono state palesate in anticipo, allora i costi di restituzione saranno a carico del negoziante. 205 Disciplina comunitaria • Protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti non agricoli Il 24 ottobre si è conclusa la consultazione pubblica avviata dalla Commissione sulla protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti non agricoli. Dal 15 luglio 2014, infatti la Commissione europea aveva avviato una consultazione pubblica su un “Libro verde” che analizza l’opportunità di estendere la protezione delle indicazioni geografiche ai prodotti non agricoli. Il “Libro verde” è composto di due parti. La prima parte comprende domande sugli attuali mezzi di protezione a livello nazionale e dell’UE e sui potenziali vantaggi economici, sociali e culturali che potrebbero derivare da una migliore protezione delle IG nell’UE. La seconda parte contiene domande più tecniche volte a raccogliere i pareri delle parti interessate sulle possibili opzioni per la protezione delle IG a livello dell’UE per i prodotti non agricoli. Attualmente, mentre i prodotti agricoli (ad es. formaggi, vini, carni, frutta e verdura, ecc.) di una specifica origine geografica, che presentano determinate caratteristiche o sono prodotti secondo metodi tradizionali, possono beneficiare di una protezione a livello europeo della IG (ad es.: il formaggio parmigiano), i prodotti non agricoli (ad es.: la ceramica, il marmo, la posateria, le calzature, la tappezzeria, gli strumenti musicali, ecc.) non godono di un’analoga protezione unitaria della IG a livello della UE, bensì solo di una protezione derivante da leggi nazionali. Per tali prodotti, il quadro giuridico di protezione è molto frammentato: alcuni Stati membri ricorrono alla normativa in materia di concorrenza o di tutela dei consumatori o a marchi collettivi o di certificazione; solo un terzo degli Stati ha una legislazione specifica. Al momento attuale, quindi, i produttori non agricoli che desiderano proteggere un’indicazione geografica nell’UE devono presentare una domanda per ottenere la protezione in ciascuno Stato membro in cui esiste questa possibilità (14 Stati) o ricorrere alla tutela giurisdizionale o amministrativa in caso di abuso. Si attendono ora i risultati della consultazione per valutare l’opportunità di adottare ulteriori misure a livello dell’UE. • Small business act Di che cosa hanno bisogno le piccole e medie imprese dalla futura politica dell’UE? È questa la domanda al centro di una consultazione avviata l’8 settembre 2014 dalla Commissione, allo scopo di contribuire a migliorare lo Small Business Act (SBA). Lo SBA – che consiste in un’ampia gamma di misure volte a semplificare la vita delle piccole imprese – si è già rivelato una valida base per la politica in materia di PMI. Basato com’è sullo scambio di migliori pratiche, sul sostegno all’internazionalizzazione e all’imprenditorialità nonché sull’accesso ai finanziamenti, lo SBA stimola i paesi dell’UE ad adottare soluzioni rivelatesi efficaci altrove e a trovare essi stessi idee altrettanto valide. 206 Disciplina comunitaria Obiettivo della consultazione è ricevere ulteriori contributi da tutte le parti interessate, comprese le organizzazioni di imprenditori e di imprese, per aiutare la Commissione europea a garantire che lo SBA sia in grado di far fronte alle problematiche future. La consultazione rimarrà aperta per 12 settimane e si chiuderà il 15 dicembre 2014; subito dopo, la Commissione europea analizzerà le risposte ricevute e pubblicherà un report riassuntivo. L’Esecutivo comunitario farà poi una proposta per un nuovo SBA che dovrebbe essere adottato nella prima metà del 2015. Lo SBA mira a porre le piccole e medie imprese al centro dell’azione dell’UE e a rafforzare la loro capacità di competere sia nel mercato unico sia sui mercati globali, nonché a migliorare l’approccio globale all’imprenditoria e a promuovere la crescita delle PMI, aiutandole ad affrontare i problemi irrisolti che ne ostacolano lo sviluppo. Nella futura revisione verranno mantenuti i quattro pilastri su cui si sono basate le azioni e le strategie racchiuse nello SBA: 1)Accesso ai finanziamento; 2)Accesso ai mercati; 3)Imprenditorialità; 4)Migliore regolamentazione. Al fine di ovviare alla carenza di competenze che si è verificata in molte economia europee, la Commissione ha deciso di aggiungere un quinto pilastro, al fine di dare ancora maggiore stabilità alla politica dell’UE in materia di PMI: 5)Formazione e competenze degli imprenditori e del personale. Il questionario per la consultazione è accompagnato da un documento che illustra tutte le misure già in corso di attuazione e una serie di proposte di possibili azioni che la Commissione potrebbe intraprendere in futuro nell’ambito dei 5 pilastri sopracitati. • Registrazione marchi comunitari È possibile escludere, sulla base del diritto dell’Unione europea, la registrazione come marchio comunitario di un segno costituito esclusivamente dalla forma di un prodotto che presenti una o più caratteristiche di utilizzo essenziali e inerenti alla funzione o alle funzioni generiche di tale prodotto, che il consumatore può eventualmente ricercare nei prodotti dei concorrenti. Il giudice olandese ha proposto una questione pregiudiziale relativa alla domanda di annullamento del diritto alla registrazione del marchio tridimensionale che rappresenta la sedia per bambini “Tripp Trapp”. La questione riguarda la problematica dei marchi consistenti nella riproduzione del prodotto stesso, laddove la differenza tra il marchio e l’oggetto tende a scomparire. Da ciò, il rischio che l’esclusività risultante dalla registrazione del marchio possa essere estesa ad alcune caratteristiche del prodotto espresse attraverso la 207 Disciplina comunitaria sua forma, portando dalla limitazione della possibilità di lanciare sul mercato prodotti concorrenti. Per tale motivo, il diritto dell’Ue ha una disposizione speciale – l’art. 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 89/104 – che riguarda proprio i marchi che rappresentano la forma del prodotto. La Corte Ue per la prima volta ha offerto la sua interpretazione della portata di due impedimenti alla registrazione formulati da tale disposizione che, rispettivamente, vieta la registrazione del segno costituito esclusivamente dalla forma “imposta dalla natura stessa del prodotto” (primo trattino di tale disposizione) o dalla forma “che dà un valore sostanziale al prodotto” (terzo trattino). Secondo la Corte Ue, in questi due casi la registrazione come marchio può essere esclusa: se tali forme fossero riservate a beneficio di un solo operatore economico si creerebbe un monopolio sulle caratteristiche essenziali dei prodotti, con la compromissione dell’obiettivo della tutela dei marchi. La percezione della forma del prodotto da parte del pubblico di riferimento costituisce solo uno degli elementi di valutazione per determinare l’applicabilità dell’impedimento stesso. Ad ogni modo gli impedimenti alla registrazione di cui al primo e al terzo trattino della citata disposizione non possono applicarsi in maniera combinata. • Etichettatura prodotti agroalimentari Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha comunicato che è stata aperta il 7 novembre 2014 una consultazione pubblica on line tra i cittadini sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari. I consumatori, i produttori e gli operatori potranno indicare quali sono le informazioni che vorrebbero trovare sui prodotti, rispondendo a un questionario con 11 domande sull’importanza dell’origine e della tracciabilità dei cibi. I risultati saranno poi utilizzati come supporto e rafforzamento delle scelte nazionali che l’Italia farà sul tema dell’etichettatura, che verranno presentate a Bruxelles, in attuazione del nuovo Regolamento sull’etichettatura, (Regolamento (UE) n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011), che entrerà in vigore il 13 dicembre 2014. Tale normativa ha armonizzato le numerose regole esistenti nell’area europea, al fine di razionalizzare e aggiornare la disciplina in materia di etichettatura, onde evitare l’utilizzo di informazioni che possano indurre in errore il consumatore e tutelare la sicurezza e la qualità alimentare di quest’ultimo. Le modalità di applicazione di tale regolamento sono state dettate dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013. L’iniziativa, si ricorda, fa parte delle misure di “Campolibero” previste dalla Legge n. 116/2014, di conversione del D.L. n. 91/2014 (c.d. “Decreto Competitività”) e ha l’obiettivo di coinvolgere la collettività su una questione decisiva come la trasparenza delle informazioni sugli alimenti. Un ulteriore effetto della consultazione è allinearsi ai principi generali dell’Unione europea, dove la condivisione dei contenuti delle decisioni pubbliche costituisce da tempo una prassi consolidata. 208