magica Torino - Social Shoppology

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Le donne e la notte:
magica Torino
Capitale esoterica dell’anima e delle sue inquietudini,
Torino è un set artistico straordinario quanto sorprendente.
Simona Bertolotto ed Enrico Borla mettono in scena un viaggio
dello spirito attraverso gli spazi e la femminilità.
Due chiavi di lettura profondamente diverse che si integrano
nel sogno, nel ridefinire le donne e i monumenti,
nell’affrontare un’avventura fotografica
che seduce emozionando
di GUIDO BAROSIO
foto SIMONA BERTOLOTTO ed ENRICO BORLA
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© Enrico Borla
© Simona Bertolotto
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È poesia visiva, un’emozione
del momento, un sogno
rappresentato, ma è anche
istinto puro
La fotografia, a differenza di
quanto si pensa in questi tempi
rapidi di selfie e Instagram,
è lentezza
(Simona)
© Simona Bertolotto
(Enrico)
© Enrico Borla
L
oro neanche si conoscono, ma
le immagini di Enrico Borla e
Simona Bertolotto sembrano
dialogare idealmente. Ci parlano di una Torino misteriosa e onirica, lontana da stereotipi classici e recenti; uno scenario perfetto per essere raccontato durante le ore notturne e del
crepuscolo, oppure attraverso figure femminili dannate e sognatrici, tra incubo e
immaginario fiabesco. Enrico ridisegna gli spazi, Simona li abita con le sue creature. Il confronto, e il contrasto, ci portano in un viaggio verso lo sconosciuto e l’ambiguo, il gotico e la favola, dove palazzi e donne suggeriscono forme e percorsi solo apparentemente inediti. Perché Torino da sempre accoglie ed esalta l’astratto e il
misterioso, contaminando dimensioni più note e rassicuranti; si avanza di un passo, di un solo passo, e siamo già ‘oltre’, in un luogo dove servono altri strumenti
– in assoluto più introspettivi e meno quotidiani – per com-
© Enrico Borla
Le tematiche femminili,
anche per la loro complessità,
mi sembrano più interessanti.
In una donna ricerco
la sensualità e l’eleganza, tipica
delle donne del passato
alle quali mi ispiro moltissimo
(Simona)
© Enrico Borla
© Simona Bertolotto
© Enrico Borla
prendere una città profondamente esoterica nei suoi
monumenti come nei propri abitanti.
Simona, cosa rappresenta per te la ricerca
fotografica?
«È il modo più consono che ho per esprimermi. Ho fotografato invece di parlare! È poesia visiva, un’emozione
del momento, un sogno rappresentato, ma è anche istinto puro. È accostamento di elementi non usuali. La mia
è una fotografia statica, cromatica e onirica. Cerco
continuamente la bellezza allo stato puro attraverso figure sofferenti, sognanti, ma anche determinate nel loro porsi in situazioni dove la favola è gotica, inquietante, sorprendente».
Perché i tuoi soggetti sono essenzialmente
femminili?
«Le tematiche femminili, anche per la loro complessità,
mi sembrano più interessanti. In una donna ricerco la sensualità e l’eleganza, tipica delle donne del passato alle
quali mi ispiro moltissimo. La gestualità e lo sguardo sono
fondamentali all’interno della mia fotografia, quasi al limite della teatralità. Il mio mondo femminile è un mondo
onirico, spesso inquietante e struggente, rappresentato da bellezze particolari, capaci di trasmettere emozioni di diversa natura. Oggi il soggetto sul quale amo sperimentare sono principalmente io. L'analisi del femmini-
no, che fino a ieri era rivolta all'esterno, con lo sguardo
attento alle donne di ogni era e di ogni società, ora è introflessa, autoterapeutica. L'osservazione è proiettata su me
stessa e sulle profondità del mio animo. E così si materializzano pose teatrali, flash statuari che imprigionano gli
stati colti nel viaggio al centro di sé, fissati in un istante
immobile e stereotipato, rigido fino ad essere forzato per
enfatizzare l'inquietudine, lo stupore della scoperta, la
presa di coscienza di qualcosa che non si voleva vedere».
Enrico, come nasce la tua passione per la
fotografia?
«Una premessa: la mia vera attività è quella di medico
psichiatra nonché psicoterapeuta. Questa formazione,
e deformazione, professionale mi obbliga a rivolgere lo
sguardo verso tre elementi che costantemente ricorrono: la memoria, l’inconscio e il racconto. Mio padre,
amante della fotografia, mi trasmise tecnica e passione.
Fotografare fu certamente uno straordinario strumento
di continuità e alleanza generazionale, in anni in cui il rapporto padre-figlio diveniva oggetto di contestazione e
negazione. Il mio fotografare era inizialmente una testimonianza; durante i viaggi fotografavo per ricordare, per
fermare istanti, per registrare emozioni, limitandomi a usare la diapositiva come medium delle mie esperienze. Più
recentemente la fotografia è divenuta sempre più uno
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SIMONA BERTOLOTTO
cifico spazio interiore che abito, il panorama che percorro nelle mie fantasie, la metropoli ideale in cui vivo, la lotta primordiale degli elementi che io, uomo primitivamente moderno, continuo a temere e desiderare. Forse è per
questo che prediligo foto di solitudini: la folla non mi abita, anzi mi opprime occupando e razziando la mia anima. Al contrario amo il deserto, e raramente oso andare a caccia di volti, occhi, smorfie ed espressioni. La fotografia è cura dell’anima e dello spirito. Le mie immagini
sono, in sostanza, un’autoterapia, una consolazione
che cerca di rielaborare quel ‘troppo vasto per essere
compreso’ dall’animo antico di un uomo gettato nel troppo moderno».
Perché hai fotografato Torino di notte e al crepuscolo?
«Questa è stata una sorta di sfida. Le mie fotografie sono
© Simona Bertolotto
strumento ‘diaristico’, dove la mia ‘diaristica’ è quella dell’anima. Tento di raccontare le emozioni che provo nell’aggirarmi nei luoghi che visito. La fotografia, a differenza di quanto si pensa in questi tempi rapidi di selfie e
Instagram, è lentezza. Sicuramente c’è lo scatto che dura
solo qualche millesimo di secondo, ma fotografare è il
prima, è la lunga preparazione di quell’istante. È la caccia al momento, nel tentativo di fissarlo. Ancora di più,
la fotografia è il dopo: le settimane successive in cui il
file viene aperto, esaminato, cambiato di formato, bilanciato nei livelli, corretto nelle sue imperfezioni. I pixel si
devono piegare alla memoria emotiva dell’istante, e la
memoria deve costringersi alla disciplina dell’estetica, del
metodo, del limite tecnico offerto anche dai pur sofisticati strumenti di post produzione. In un certo senso, con
le mie fotografie cerco di raccontare al mondo quello spe-
La fotografia
è cura dell’anima
e dello spirito.
Le mie immagini
sono, in sostanza,
un’autoterapia,
una consolazione
(Enrico)
© Enrico Borla
Nasce nel 1971 a Torino e ha il suo esordio artistico alla fine del
2011 tramite Instagram. Le sue fotografie, elaborate e
trasformate, conducono in percorsi onirici alla ricerca
dell'essenza sensoriale femminile. Simbolismi ricorrenti sono la
prima firma dell'artista: fiori, gabbie, uccelli e farfalle che si fanno
spazio in immagini di volti retrò, in una perenne testimonianza
del viaggio nell'inquietudine di ogni donna, teso però sempre alla
Luce, alla libertà. Ogni opera viene stampata quasi
esclusivamente su specchio, materiale determinante per
l'esplorazione delle sfaccettature sfuggenti e sconosciute che
lasciano spazio all'interpretazione di ciascuno di noi. Ma la ricerca dell’artista non si ferma mai. Il viaggio
continua, e questa volta agli Inferi, intesi come buio, profondità, non conoscenza per raggiungere la
catarsi, la purificazione, al fine di una nuova agnizione, della scoperta di un Io nascosto. Simona è donna,
in primis, e poi artista, ricercatrice, vittima e carnefice, essenza del femminino. Quest’anno ha esposto a
Paratissima con la curatrice Francesca Carosso e il curatore Davide Giglio; nel 2013 e nel 2014 è stata
selezionata in vari contest dal direttore di Vogue Italia Franca Sozzani.
© Enrico Borla
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© Enrico Borla
© Enrico Borla
ENRICO BORLA
Nasce a Torino nel 1959. Laureato in medicina e specializzato in
psichiatria, dopo il dottorato di ricerca si dedica all’attività
privata come psicoterapeuta. Fonda nel 1994, insieme a Ennio
Foppiani, il Centro Studi Psicodinamiche Torino, che sarà
promotore per dieci anni della rivista ‘Radure’, edita da Moretti
e Vitali. Sempre con Foppiani ha scritto due libri: ‘Losfeld, la
terra del Dio che danza’ e ‘Bricolage per un naufragio, alla
deriva nella notte del mondo’ (Moretti e Vitali). Nel tempo libero
si dedica a due grandi passioni: la fotografia e il mare, sia in
qualità di velista che di sub.
© Simona Bertolotto
spesso delle esplorazioni, diari di un viaggiatore. Raccontare la città dove vivi da sempre diviene un’operazione
complessa, in quanto la sorpresa è cancellata, si tende
a dare lo spazio circostante per scontato, ci si trova a
guardare senza più vedere. L’abitudine ci acceca, la sorpresa e l’emozione scompaiono nell’abitudine. E allora,
come farmi sorprendere? Banalmente ho usato la notte. Sono una persona diurna che come le allodole ama
l’alba e al tramonto si ritira, desiderosa del tepore familiare e delle consolazioni offerte da un libro o dalle sfide
della post produzione fotografica. È ovvio che l’unico
modo per farmi sorprendere da Torino, di emozionarmi
in essa e per essa, è coglierla nel suo lato a me meno
conosciuto: la notte. Nella notte le folle scompaiono, l’ombra diviene protagonista nel titanico tentativo di smorzare le luci umane, troppo umane. Certo la mia notte non
è quella della movida, non è quella del dionisiaco, del proibito, dell’estasi provocata dall’oscuramento del giudizio
solare. La mia notte è quella della malinconica contemplazione, è quella del silenzio dove il Piccolo Popolo, i
Daoine Sidhe dei miti gaelici, riappare. La notte è il tempo in cui la città postindustriale, moderna, elegantemente nervosa si discioglie. La notte che ho immaginato per
Torino è quella dove si fondono il postmoderno con il
barocco sabaudo, il medievale neogotico con il rumore
degli alberi pronti al lungo sonno invernale. La notte è dunque il tempo in cui il mondo ridiviene il mondo dell’infanzia, il mondo magico dove l’eterna ghirlanda brillante delle tonalità di luce non violate dal cromatismo illumina il
mio cuore. Per questo ho cercato di rappresentare la mia
Torino interiore nella speranza di raccontarla. Perché è
nel raccontare all’Altro, anche solo attraverso un fotogramma rubato al fluire del tempo, che la realtà interiore si solidifica per divenire concreto spazio d’incontro».
I luoghi della notte e le misteriose abitanti di scenari inquieti, ma esteticamente emozionanti. Enrico Borla e Simona Bertolotto. La vitalità fotografica della nostra città ha
trovato due nuovi interpreti: un vero viaggio attraverso
emozioni inedite ma antichissime. I