Contro tutte le “caste”
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Contro tutte le “caste”
ANNO LII (VIII NUOVA SERIE) – NUMERO 7 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, C.N.S. Venezia PERIODICO MENSILE – SETTEMBRE 2008 – E 1,40 In caso di mancato recapito, restituire all’Ufficio di Venezia C.M.P. detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa L’IDEA NAZIONALE EDITORIALE. PDL E SPARATE PADANE ATTUALITÀ POLITICA. I PRIVILEGI A POCHI, PER PANTALONE TANTI SACRIFICI E LA SOLITA MINESTRINA I rompiballe Contro tutte le “caste” I l campione d’italico eloquio Antonio Di Pietro se ne faccia una ragione: indipendentemente dalle sue sgangherate esternazioni, il dialogo tra il Cavaliere e Veltroni continuerà. Perché fa comodo a entrambi. E forte di una maggioranza che non ha precedenti nella storia repubblicana, il governo tirerà dritto sulla strada delle riforme e degli obiettivi ritenuti a torto o a ragione più strategici in campagna elettorale. Vale a dire Alitalia, federalismo fiscale, Rai, giustizia e completamento della Finanziaria. La partita si riaprirà proprio in queste settimane, con l’arrivo in parlamento di provvedimenti destinati a segnare l’intera legislatura. L’avvio delle larghe intese? La riforma della legge elettorale europea, che avrà ripercussioni immediate sulle nomine presso la Televisione di Stato. Poco importa se per maneggi utili a entrambi gli schieramenti, anche in questo caso non verranno concesse le preferenze: il fidanzamento degli italiani con Berlusconi non mostrerà segni di cedimento, consolidato da misure estive a tratti demagogiche ma di sicura presa popolare come la temporanea liberazione dall’immondizia campana, i soldati per le strade e la guerra ad assenteisti e fannulloni negli uffici pubblici. Il Partito democratico sa bene che il centro-destra ha la volontà e i numeri per completare l’agenda del suo primo anno. E dietro un’opposizione solo di facciata, preferisce non chiudersi tutte le porte. Non perché sia convinto della necessità di cambiare le cose, ma perché in attesa di tempi migliori e con qualche perplessità sulle capacità del suo leader, non riesce a inventarsi di meglio. A fare la voce grossa, oltre agli esagitati in servizio permanente effettivo di Italia dei Valori, resteranno i cattoprogressisti a senso unico di Famiglia Cristiana, qualche rifondaiolo e i soliti noti della sinistra al caviale. Che elettoralmente contano poco o nulla ma continuano a pensare di essere il sale della terra, e a ogni “denuncia” ottengono l’effetto contrario di rendere più simpatico il mostro di Arcore. In questo scenario, la sola vera incognita è all’interno della maggioranza e va cercata nella natura stessa della Lega, formazione cerchiobottista per vocazione: filogovernativa e dialogante da un lato con l’efficiente ministro Maroni, prepotente e barricadiera dall’altro con Bossi e i suoi pittoreschi esponenti locali. Partito antinazionale, difensore di una patria inesistente e agli occhi dei più sprovveduti “di rottura”, la Lega ha la necessità di giustificare con esternazioni spiazzanti e costantemente sopra le righe il suo sodalizio con “Roma ladrona”. Fa la voce grossa e alza la posta, per mettere in imbarazzo gli alleati ed evidenziare in questo modo la sua “specificità”. Quella stessa specificità che la scorsa primavera le ha permesso di fare indigestione di voti tanto al Nord quanto al Sud (con Lombardo), di fronte a un Pdl nato male e troppo in fretta, senza un reale dialogo con la base e senza precisi valori di riferimento. La sparata estiva sul ripristino dell’Ici sulla prima casa (che almeno ha il merito di porre il problema delle entrate alternative per le amministrazioni locali) e la rivendicazione della candidatura alla presidenza della Regione Veneto (tra le più forti per l’intero centro-destra), non sono che scenette di un teatrino destinato a prolungarsi nel tempo. Non in misura tale da pregiudicare l’esito del quinquennio o da risollevare le sorti di un centro-sinistra in stato comatoso, ma sufficiente per frenare una maggioranza che potrebbe aspirare a più ambiziosi traguardi. Presto o tardi il capo del Popolo della Libertà dovrà richiamare all’ordine i suoi bizzosi compagni di viaggio. L’alternativa, buone intenzioni e risultati conseguiti a parte, sarebbe anche per lui di lavorare per il re di Padania. Vettor Maria Corsetti L’OPINIONE. SULLA GIUSTIZIA PENALE Banchi vuoti a Montecitorio. O ra che la tornata elettorale è compiuta e le “segreterie” sono state gratificate portando in Parlamento i loro “gioielli” (non si sa con quale criterio, perché questo è meglio non palesarlo al popolo dei Pantalone), ora che i leaders sono appagati, si ritorna al solito costume. Non quello balneare, per intenderci, ma quello più tradizionale della politica italiana, dove le “caste” diventano sempre più “caste”. Il processo di creazione di due grandi soggetti politici, che in vista delle elezioni sembrava un obiettivo primario e improrogabile, trova ostacoli continui. Non perché l’idea sia malvagia, ma perché si scopre che sarebbe una pura e semplice operazione di restiling, la sommatoria riservata a un compromesso di vertice dove ciascun “capomanipolo” vorrebbe con- Italia unita o secessione? C N Sono convinto che non vi potrà essere una seria riforma del nostro sistema penale se non si inciderà su quattro punti fondamentali:la separazione delle carriere tra magistrato inquirente e giudice, l’abolizione del principio della obbligatorietà dell’azione penale, la riforma della legge sulla responsabilità civile del magistrato e la riduzione drastica dei termini di carcerazione preventiva. La scelta operata dal nostro legislatore alla fine degli anni Ottanta d’introdurre un sistema processuale penale di tipo accusatorio, comporta inevitabilmente la necessità di procedere alla separazione delle carriere. Inoltre, il principio della obbligatorietà dell’azione penale è divenuto sempre più un feticcio, se solo si pensi che il pm, di fronte alla miriade di notitiae criminis, di fatto è costretto a operare delle scelte in ordine ai reati da perseguire, che divengono sostanzialmente scelte discrezionali di politica criminale e prescindono da ogni controllo. Per quanto concerne la responsabilità civile dei magistrati, un referendum nel 1988 aveva indicato la volontà del popolo italiano in ordine alla necessità di dotarsi di leggi più rigorose che prevedessero la responsabilità civile del magistrato nei casi di dolo e colpa grave. Tuttavia il Parlamento, disattendendo il responso popolare, approvò la legge Vassalli che garantisce una vera e propria irresponsabilità Alfredo Lonoce continua a pagina 3 smo”: c’è o non c’è ? Un periodico di riferimento del mondo cattolico paventa il “ritorno del regime fascista”. E tutti, anziché coprire di ridicolo l’estensore dell’articolo galeotto, dibattono sull’argomento quasi fossimo di fronte a un’emergenza istituzionale. C’è una grave crisi nei territori dell’ex Unione Sovietica, quasi duemila morti per interventi militari dissennati. Ma il nostro ministro degli Esteri non ritiene d’interrompere le sue ferie. Le istituzioni sono in crisi, e i nostri valori quotidianamente calpestati anche da coloro che hanno responsabilità di governo. Il governatore della Sicilia, regione a statuto speciale che da sessant’anni riceve ingenti fondi straordinari da Roma e dove il numero dei dipendenti quasi eguaglia quello dello Stato centrale, si permette di invocare l’autonomia dileggiando Giuseppe Garibaldi e l’unità della Patria. Ipse dixit: di questo nessuno se ne occupa seriamente. L’Italia ha bisogno di ritrovare la “via maestra”, quella indicata dai padri fondatori e da tutti coloro che versarono il proprio sangue per fare del nostro un solo paese. Gli italiani devono riscoprire l’orgoglio di riconoscersi nei simboli della Patria. Specie nel Tricolore, che li rappresenta tutti. Questa Repubblica, se vuole continuare a esistere, deve darsi uno scrollone; ovviamente in forma democratica, finché siamo in tempo. Le occasioni non mancheranno. Le prossime ricorrenze, che celebreremo senza l’apporto degli anarchici, dei leghisti e dei secessionisti, salvo non voler rinnegare e disconoscere quanto fecero i nostri avi, saranno la vetrina per dimostrare cosa l’Italia sa e saprà fare Meglio che lo si faccia nel migliore dei modi, non solo per il bene della Patria. Alberto Claut L’impegno di un principe RASSEGNA STAMPA. DA “LIBERO QUOTIDIANO” DEL 3 AGOSTO 2008 Una riforma ancora lontana ome sempre succede all’inizio di ogni nuova legislatura, si riaccende il dibattito sulla giustizia e sulla necessità di una riforma organica del sistema che risponda ai criteri di efficacia ed efficienza senza ledere quei diritti di libertà che sono il cardine dello Stato di diritto. Da una parte vi è un centro-destra che si indigna contro gli eccessi delle procure e contro quella che considera una persecuzione contro il capo del governo; ma ancora, pur avendo una maggioranza sicura per attuare una storica riforma, si limita a intervenire in materia d’intercettazioni telefoniche, interruzione dei processi e guarentigie per le più alte cariche dello Stato. Dall’altra c’è un centro-sinistra allo sbando che, caratterizzato da un dna giustizialista e succube del dipietrismo, è incapace di elaborare una riforma del sistema penale, che superi la tradizionale difesa a oltranza dei poteri smisurati, discrezionali e al di fuori di ogni controllo della magistratura inquirente in nome del principio dell’autonomia del potere giudiziario. Di fronte a una simile situazione, appare assai difficile che questo Parlamento affronti i nodi reali della giustizia penale nel nostro Paese. Il problema appare in tutta la sua drammaticità ogniqualvolta un cittadino si trova stritolato tra le maglie di un sistema nel quale il solo ricevere un avviso di garanzia, anche per effetto dell’amplificazione mediatica che ne deriva, equivale a una condanna, in spregio al principio liberale della presunzione d’innocenza. tare per se stesso sulla base di presunti consensi impossibili da quantificare. Dove chi è organico alle suddette “caste” viene riconosciuto e ammesso, mentre chi non ne fa parte, indipendentemente dalle sue proposte intelligenti e dalle capacità adeguate, rimane emarginato e in alcuni casi nemmeno preso in considerazione. “Noi realizzeremo il grande obiettivo di costituire un soggetto politico nel quale troveranno spazio i movimenti e nuove idee, dove la classe dirigente sarà scelta con elezioni primarie”, si disse. La realtà è ben altra, e gli italiani se ne sono accorti. Sarà la solita spartizione di vertice e tanti saluti a tutti (gli altri). E i programmi con relative promesse elettorali? Anche in questo caso emergono difficoltà, e le riforme sempre più pressanti ancora non si vedono (ammesso che prima o poi queste si vedano). Pensiamo alla semplificazione della “filiera amministrativa”, con la tanto strombazzata abolizione delle Province: invece, se ne fanno di nuove. O alla sicurezza: suvvia, decidiamo subito di prendere le impronte digitali di tutti, italiani e stranieri, e che sia finita ogni polemica. Di infrastrutture non si parla e una viabilità al collasso sta danneggiando gravemente la capacità operativa dell’industria e del commercio. Non decollano le attività turistiche e culturali, che invece potrebbero essere un’ottima fonte di reddito e di occupazione per molti; mentre per strani meccanismi una vacanza all’estero di una settimana (viaggio aereo compreso) ci costa un terzo rispetto ad analogo periodo in Italia. Le produzioni agricole rimangono penalizzate da normative comunitarie che abbiamo accettato senza saper tutelare gli interessi dei nostri produttori. E tutti si preoccupano del “Veltrusconi- egli ultimi giorni ho assistito a un crescente e quanto mai assurdo dibattito sull’unità d’Italia, Cavour e Garibaldi. Da Sud a Nord non si fa altro che gettare fango sull’operato di uomini di indiscusso amore per la Patria, una patria che proprio grazie al loro contributo è sorta ed è stata resa grande. Questi uomini sono Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi. Dai lamenti di Lombardo e di alcuni sindaci della Sicilia si ode chiara e forte la volontà accusatoria verso Garibaldi, tanto da arrivare a proporre di distruggerne i monumenti. Qualche esponente della Lega, sia a Nord che a Sud, arriva a proporre lo stesso trattamento per Cavour. Al momento non si è arrivati a re Vittorio Emanuele II, padre della Patria, ma è difficile ripetere la già avanzata cancellazione storica promossa dopo il 1946 ai danni di Casa Savoia. Attenzione, tutta questa attività contro il ruolo di questi eroi non è altro che strumentale a un obiettivo oramai non tanto velato: distruggere il senso stesso dell’unità nazionale, mettere sotto processo l’Italia unita. Non si può certo ignorare che negli ultimi anni un’intensa e subdola attività divulgativa è stata messa in atto per far emergere nella coscienza dei nostri concittadini che i mali di questa nostra Italia provengano da un errore di fondo, un errore che viene dalla nascita stessa dell’Italia moderna ossia della sua forma unitaria. Questa attività “informativa” è stata lanciata inizialmente dalla Lega Nord, che a suon di urla ha voluto far passare il concetto della “Padania”. Ma cos’è la “Padania”? Mai esistito nulla con questo nome nella storia della Penisola. La Lega ha avuto tuttavia il merito di aver scoperchiato il “vaso di Pandora” degli sprechi dello Stato pagati ingiustamente dalle regioni settentrionali e, soprattutto, ha il merito di aver posto la questione federalista. Ciò che non ci si aspettava era il lavorio incessante che, in sintonia con il manifesto leghista, hanno impregnato l’opinione pubblica di molte regioni settentrionali tanto che molti comuni gridano alla secessione e fanno referendum per “emigrare” in province o regioni sempre più lontane dall’alto “ideale italico”, come ad esempio il Sud Tirolo. Questo stato di cose ha ora una sponda altrettanto forte nel Mezzogiorno d’Italia: quasi si volesse porre in atto un sistema centrifugo che miri alla dissoluzione dell’unità d’Italia. Raffaele Lombardo è a capo di un potentissimo movimento autonomista che dapprima ha mirato al governo della Regione Sicilia, ottenuto con un quasi plebiscito, e che ora allarga le sue mire all’intero Mezzogiorno. Abbiamo ben visto che le dichiarazioni di Lombardo sulle colpe di Garibaldi e sulla sua dissociazione verso le celebrazioni sul 150° anniversario dell’unità d’Italia. Questo stato di cose preoccupa non poco. È vero le regioni del Nord pagano un prezzo troppo alto allo Stato e negli ultimi anni, a causa della grave crisi, hanno visto indebolita la loro posizione, incrinata la loro qualità della vita, aumentata la criminalità. Insomma, i cittadini di queste regioni si sono stancati. La risposta del governo Prodi non c’è stata e il malumore è aumentato, ora il governo Berlusconi ha promesso entro settembre il federalismo fiscale, Bossi fa da guardiano affinché tutto proceda. È bene ricordare che già nel 1946 mio nonno re Um- berto II volle l’autonomia per la Sicilia dotandola di un suo statuto e di un parlamento, non si ricorda mai che fu proprio con il Regno d’Italia che si avviò il decentramento per dare ampie autonomie ai territori del Regno sulla base delle tradizioni e culture regionali, provinciali e comunali. Ma è a un federalismo fiscale che Bossi e Lombardo mirano? Siamo certi che questo attacco subdolo e continuo al valore dell’unità d’Italia non sia invece parte di una sorta di cambio culturale che vede nell’eliminazione dell’unità nazionale il suo obiettivo primario? È certo che il sentimento diffuso è di crescente “voglia d’indipendenza”. Sempre più spesso sento parlare del “ruolo centrale europeo del Lombardo-Veneto” che fu un Regno retto efficacemente dagli Asburgo ma che con l’Italia odierna poco ha a che fare. Vedo chi opera a livello istituzionale per lanciare l’Euroregione “Alpe-Adria” che vedrebbe riuniti Veneto, Friuli Venezia Giulia, Carinzia, Slovenia, Trentino Alto Adige sotto l’egida dell’Unione Europea. Leggo sui giornali di mostre storiche, convegni, attività didattiche che rilanciano il ruolo della cultura mitteleuropea in molte aree delle regioni prima citate. Insomma, ci troviamo di fronte a un sovvertimento culturale che, badate bene, non è iniziato ora ma sessant’anni fa. Dalla nascita della Repubblica si è voluto sistematicamente demonizzare il ruolo di Casa Savoia e con essa si sono nascosti i valori del Risorgimento, si è creata una “cultura del dopoguerra” fatta di nuovi miti: la L’intervento del principe Emanuele Filiberto non può che trovarci d’accordo, perché a tutela della memoria di coloro che fecero di un’italietta divisa in più stati una nazione capace di sedersi con pari dignità al tavolo delle grandi potenze europee. Siamo pronti a porci al suo fianco per sostenere la proposta di un comitato per il centenario dell’unità d’Italia. Alternativo, se necessario, a quello che la Repubblica ha voluto creare senza un legittimo rappresentante della Casa reale. Lo faremo per quella stessa Casa che insieme a Mazzini, Garibaldi e Cavour fu determinante per la causa nazionale. E per i tanti eroi che diedero il loro sangue mossi da ideali che oggi stentiamo a riconoscere nella cultura del cittadino medio. Finalmente un principe Savoia che parla da principe per gli italiani! Finalmente riconosciamo nel suo intervento quel ruolo che gli si addice meglio di qualsiasi scranno parlamentare. Bravo principe, il Movimento monarchico italiano sarà con voi. E siamo certi che lo saranno tutti coloro che sono profondamente innamorati dell’Italia, monarchici e non monarchici. Purtroppo, in questa battaglia nostra da sempre, a causa di un esilio tanto anacronistico quanto ingiusto, abbiamo sofferto la mancanza di un riferimento veramente pregno di quella storia. Quel simbolo che solo voi potete rappresentare, non foss’altro per il nome Savoia, che nessuno potrà scindere dal nostro passato. Una storia che ha visto la Casa reale d’Italia protagonista in Europa da oltre mille anni. Ma l’occasione della ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia sia solo il primo Emanuele Filiberto di Savoia A.C. continua a pagina 3 continua a pagina 3 Pagina 2 In breve In punta di penna Israele: un bosco dedicato a Giorgio Perlasca L’Italia rischia il baratro Grazie alla generosità di Walter Arbib e dei suoi amici canadesi, nella Ahihud Forest è stato piantato un bosco di diecimila alberi (pini, eucalipti e cipressi) dedicato a Giorgio Perlasca. La foresta si trova nel nord di Israele, sulla strada tra le città di Acco (l’antica San Giovanni d’Acri) e Safed. È gestita dal Keren Kayemeth Leisrael, impegnato dal 1991 a raccogliere in tutto il mondo i fondi necessari al riscatto della terra di Israele. Il Kkl ha bonificato paludi e piantato più di duecento milioni di alberi, livellato il terreno per la costruzione di infrastrutture e case, aperto strade e costruito bacini idrici per la conservazione dell’acqua piovana. E ha fatto indietreggiare il deserto, creando nuovo spazio per gli abitanti del Paese. Nuovi gadgets del Movimento monarchico italiano Nodo Savoia tricolore in tessuto ricamato adatto per applicazione su magliette, giacche, ecc. Dimensioni cm 2,5 x 6,5 Disponibili da fine settembre 2008 su fondo blu e bianco, forniti in coppia Contributo per una coppia € 5,00 più le spese postali, pari a € 3,00 per raccomandata Spedizione gratuita per ordini di almeno dieci coppie in unica soluzione Nessuna spesa per il ritiro presso la Segreteria nazionale Mmi (Tariffe valide solo per l’Italia; per l’estero richiedere preventivo; e-mail: [email protected]) Campagna promozionale per Libero Quotidiano Con uno zibaldone di dati in larga parte inoppugnabili, gli autori de La deriva Stella e Rizzo (Rizzoli 2008) dimostrano che l’Italia del miracolo economico si è trasformata in un paese disastrato e a rischio di naufragio. Per colpa di chi? “Di tutti noi: governo, partiti, sindacati, società civile” (Sergio Romano). Anche Romano Prodi sostiene che il popolo non è migliore dei politici. Ma le classi dirigenti (che beneficiano di ben maggiori compensi, privilegi e onori talvolta immeritati) devono assumersi correlativamente la maggiore responsabilità dell’incipiente rovina. Le denunce di Stella e Rizzo (nonché di Raffaele Costa, Salvi e Villone, Cervi e Porro, Mario Giordano) resteranno inefficaci come le “Prediche inutili” di Luigi Einaudi, se le classi dirigenti continueranno a praticare la demagogia e a godere di privilegi eccessivi. La venale partitocrazia italiana ha incassato 300 milioni di euro nel 2008 (133 in Germania, 73 in Francia, 61 in Spagna, 7,3 in Gran Bretagna e un finanziamento limitato alle campagne presidenziali negli Usa). I palazzi della politica italiana non sono case di vetro: il Quirinale, ad esempio, costa il quadruplo di Buckingham Palace, ha aperto solo una minuscola fessura sulla segretezza dei suoi conti e poteva tagliare le spese più della piccola economia del 3 per mille. Per Walter Veltroni, “non va bene che in Italia ci siano i salari più bassi e gli stipendi più alti dei parlamentari d’Europa”. Ma gli sbandierati tagli agli sprechi della politica si sono dimostrati minime sforbiciate, in un crescendo di spese: “hanno tagliato i tagli”! Il potere politico cerca di placare l’opinione pubblica, ma non ristruttura lo Stato. Tutto è rimasto come prima, anzi è peggiorato. Sono stati mantenuti, e talvolta incrementati la pletora delle rappresentanze partitiche (dal Parlamento europeo alle circoscrizioni comunali), le spese dei palazzi del potere, il sottogoverno, le municipalizzate e gli enti pubblici lottizzati, gli incarichi e le consulenze agli “amici”; inoltre il nepotismo, le raccomandazioni, il voto di scambio, come il numero e i compensi unitari e complessivi dell’esercito dei viventi di politica. Dal 2006 al 2007 gli oneri dei palazzi sarebbero aumentati di almeno 20 milioni di euro. Il presidente sudtirolese Luis Durnwalder guadagna 25 mila 600 euro lordi al mese (Angela Merkel 21 mila 262). L’ex segretario generale dell’Assemblea regionale siciliana è stato collocato in quiescenza con una liquidazione di 1 milione 770 mila euro (Stella e Rizzo, ivi, pagina 272). Così la partitocrazia e lo statalismo impoveriscono, umiliano e offendono il cittadino che continua a tirare la carretta. Diseducazione e decadenza morale Lassismo, permissivismo, edonismo e trasgressione a tutti i costi conducono al declino morale. Il livellamento mortifica l’operoso, mentre premia l’ozioso e il reo. Si diseduca quando si concede tutto al bimbo, al giovane, allo scolaro. Questo è indotto a studiare poco, perché sarà comunque promosso: così è scarsamente preparato ad affrontare difficoltà, amarezze e sconfitte della vita. Rispetto al passato, l’individuo odierno rischia d’essere viziato dalla massificazione godereccia. Inoltre, tende ad accorciare la sua ottica, sottostimare il futuro, lavorare e risparmiare di meno, consumare e sperperare senza ritegno. E ancora, per conseguire i suoi obiettivi, è orientato a pretendere, ridurre i propri freni, perdere la pazienza e talvolta a cadere nell’aggressività. Aumentano il cinismo, la prepotenza, l’ingordigia, l’insaziabilità, la boria, la superficialità, la furbizia, l’inconsistenza e la brama di potere. E tendono a ridursi il sacrificio, l’etica del lavoro, il gusto della professionalità, l’onestà, la sostanza, l’umiltà, il vero altruismo e la concezione della vita come assolvimento di doveri. Elogio del merito DIRETTO DA VITTORIO FELTRI Editore: Centro Studi Sociali “Alberto Cavalletto” Soc. Coop. a r.l. Registrazione presso il Tribunale Ordinario di Padova al n. 1719 del 22 novembre 2000 Direttore responsabile: Giorgio Corsetti Redazione: via Trieste, 28 ter – 35121 Padova Telefono e fax: 049 654507 E-mail: [email protected] Stampa: Grafiche ITE Snc – Dolo (Venezia) Nella meritocrazia gli individui non avanzano socialmente per relazioni e privilegi familiari, clientelari o di classe. La meritocrazia si fonda su responsabilità individuale, concorrenza, libero mercato, pari opportunità e mobilità sociale, ossia “circolazione delle élites” (Vilfredo Pareto). L’idea che ognuno sia l’artefice della propria fortuna è presente pure nella cultura calvinista e puritana, oltre che nel “sogno americano”. Lo statunitense Horatio Alger scrisse romanzi ispirati alla filosofia del self-made man e biografie di americani fattisi dal nulla, passati “dagli stracci alla ricchezza”. Occorre sconfiggere i privilegi e i sistemi di selezione pilotati, nei quali ciò che conta non è quanto sai, ma chi conosci. In ogni società c’è una classe dirigente che amministra la base popolare, ma solo il “comando” assegnato ai meritevoli può massimizzare il benessere di tutti i cittadini. La “terza via” di Tony Blair ha sostituito la lotta di classe con le pari opportunità e riconosciuto l’insostituibilità del libero mer- di Gianfranco Nibale cato e del capitalismo democratico e concorrenziale. L’idea del merito ha un forte contenuto morale: il Cristianesimo manda il giusto in paradiso e il peccatore all’inferno. La corretta laicità premia il merito e sanziona il demerito. Fondamentale è il principio “legge e ordine”. La maggioranza dei numerosi carcerati americani è convinta di meritare la propria pena (Roger Abravanel, Meritocrazia, Garzanti 2008, pagina 61). Anche Giovannino Guareschi scontò la pena carceraria con dignità e senza piagnistei. Il ragazzo povero può diventare un adulto benestante e talvolta celebre grazie al merito, alle pari opportunità, a diffuse borse di studio e a una rapida mobilità sociale. Lavoro, risparmio, impresa Il lavoro è dovere, azione virtuosa, riscatto dalla povertà e fonte d’abbondanza. Anche il benestante, libero dal bisogno, deve lavorare per contribuire al bene comune. Il risparmio volontario assolve funzioni economiche, etiche e di solidarietà verso le generazioni future. Investito nella produzione (capitale), fertilizza e ricrea la ricchezza. L’economia razionalizza la produzione e il consumo di beni scarsi, ad uso alternativo. Le imprese sono centri produttori di benessere e strumenti del progresso economico e morale: generano nuove utilità, e riducono il divario fra l’illimitatezza dei bisogni umani e la penuria di mezzi. L’attività imprenditoriale è motivata dall’intento di conseguire profitti e non perdite (Paul Anthony Samuelson, Economia, Utet). Spesso è nobilitata dalla vocazione professionale, dalla norma etica di mantenere o aumentare i posti di lavoro e dal contribuire a liberare l’umanità dalla povertà. La genuina mentalità imprenditoriale innova. Può estrinsecarsi in una missione, da compiere correttamente e lealmente. A vantaggio, almeno indiretto, della prosperità generale. Indottrinamento e utili idioti Per effetto di una propaganda martellante, l’ideologia marxista si è radicata nel Belpaese. Ha modellato molte menti con accanimento, agevolata dagli utili idioti. Parte della scuola è degradata da fucina di sapere e d’educazione a luogo d’indottrinamento collettivista. Si è affermata un’interpretazione faziosa, unilaterale e strumentale della realtà. Ovunque si osserva un silenzio quasi assoluto – o una trattazione insufficiente e riduttiva – sui gulag, sulle grandi carestie mortifere nell’Urss e sul centinaio di milioni di vittime dei crimini di Stalin, Mao e altri dittatori collettivisti. Il conformista si sofferma solo unilateralmente sulle tragedie passate dell’Occidente, e tende a celare le malefatte presenti. Mentre l’innamorato della libertà – che non s’aggrega al coro degli opportunisti – rischia la freddezza, l’isolamento e l’ostracismo. Lavoro, iniziativa e pari opportunità Il lavoro è elemento fondamentale del merito, fattore produttivo per antonomasia, fonte di ricchezza e di progresso materiale e morale. Contano l’etica, l’amore, la vocazione, la passione per il lavoro e l’operosità. Il duro lavoro è favorito dal protestantesimo fra gli anglosassoni e dallo shintoismo e confucianesimo fra i giapponesi. Negli Usa si persegue fortemente il merito accademico: secondo le classifiche, settanta delle cento migliori università mondiali sono statunitensi e producono il 70 per cento dei premi Nobel. Una cattiva interpretazione del welfare state può produrre inconvenienti: irresponsabilità, finanza allegra, sperperi, disavanzi, debordanti indebitamenti pubblici, inflazione e aiuti ai non meritevoli. Per rimediare a ciò, conviene passare alla welfare society (società del benessere). La solidarietà sia meritocratica: aiuti i veri deboli – non accidiosi cronici, finti poveri, falsi invalidi e malati immaginari – e li incoraggi ad assumere iniziative e rischi, nonché a utilizzare le opportunità della mobilità sociale. “Se doni un pesce sfami una persona per un giorno; ma se le insegni a pescare, quella persona si nutre per la vita”, recita un motto cinese. Opportuno superare l’assistenzialismo tradizionale, che protegge gli individui, indipendentemente dal loro impegno a migliorare le proprie condizioni. Le disuguaglianze delle società veramente meritocratiche sono temperate dalla mobilità ascendente (il povero che si dà da fare sale nella scala sociale) e discendente (il ricco scansafatiche impoverisce). Per ridurre l’handicap familiare di figli di poveri, sono previste azioni positive, affermative a loro favore: ampliamento dell’educazione e istruzione scolastica, diffusione di borse di studio a meritevoli indigenti, ecc. Inoltre, per attenuare l’incidenza delle “fortune non meritate”, viene applicata l’imposta sulle successioni e donazioni. Non conviene continuare col pietismo piagnucoloso e pauperistico: Giotto, figlio di poveri contadini, conquistò – con il talento e l’impegno instancabile – la leadership della pittura italiana, divenne un abile uomo d’affari e scrisse una canzone satirica contro l’esaltazione tradizionale della povertà (G. Previtali, Giotto, I maestri del colore, II, ed. Fabbri, Milano 1964). Negli Stati Uniti comincia a serpeggiare l’opinione che i parassiti siano i poveri oziosi e non i ricchi, come suggerisce Ken Arrow (R. Abravanel, Meritocrazia, Garzanti 2008, pagina 115). La Repubblica del demerito La società italiana è poco mobile. La redistribuzione a favore dei “falsi deboli” riduce gli incentivi al merito e rallenta lo sviluppo. La responsabilizzazione individuale – nel bene e nel male – è carente. Sono talvolta negative le azioni di leader e dirigenti, che invece dovrebbero dare esempi ineccepibili di operosità, onestà e disinteresse. Dopo aver condotto al dissesto e alla rovina le loro società, alcuni amministratori delegati hanno incassato cifre iperboliche, per liquidazione di compensi e trattamento di fine rapporto: anziché essere puniti, sono stati strapremiati. Quasi la metà dei giovani italiani (meno del 10 per cento in Usa, Regno Unito e Australia) considera equa la parità retributiva, senza incrementi per i lavori meglio eseguiti. Secondo un altro esempio di mentalità livellatrice, l’80 per cento degli italiani (solo il 33 degli statunitensi) ritiene che lo Stato debba assicurare a chiunque un reddito garantito di base. La “troppa voglia di primeggiare” d’una scolara è stata considerata dalla maestra “un problema da correggere” (Roberto Napoletano, nella trasmissione televisiva Ballarò del 27 novembre 2007). Hanno fortemente contribuito all’antimerito: il Sessantotto; gli esami di gruppo e la pretesa di diplomi e lauree anche per gli studenti poco volonterosi; il declassamento beffeggiatorio dello studioso a “secchione” e dell’operoso a “maniaco”. Sembra che l’inserimento nel mondo del lavoro e in quello accademico derivi prevalentemente dalle raccomandazioni e dalla conoscenza di qualche potente. Spesso, la selezione è di tipo feudale: il pupillo contraccambia con la fedeltà il maestro che lo coopta e protegge. Passano gli insider, mentre i candidati concorsuali outsider – anche provvisti di più idoneità all’assistentato di ruolo – non ottengono la maggioranza di voti d’approvazione. Alla facoltà di Economia dell’Università di Bari, otto insegnanti hanno lo stesso cognome; altrove, docenti vincitori di concorso – dichiarato irregolare da dieci sentenze – tengono tranquillamente il loro posto, in barba alla giustizia (R. Abravanel, Meritocrazia, Garzanti 2008, pagina 249; G. Floris, Mal di merito, Rizzoli 2007). Il familismo, il rapporto personale e l’appartenenza a corporazioni e gruppi influenti alimentano il circolo vizioso del demerito. Gli yes-men, i cloni e i fedeli dei potenti sono favoriti a detrimento di merito e originalità. Il “merito” della partecipazione al lavoro è pari solo al 65 per cento in Italia (al 75 in Usa e Regno Unito, 80 in Germania). L’alleanza fra Stato e corporazioni detentrici di forte potere elettorale penalizza i consumatori, mai rappresentati negli accordi a tre: produttori, sindacati e Stato. Contro l’assenteismo Nel 1977 un saggio intitolato “L’assenteismo nelle aziende” trovò posto nella Rassegna di statistiche del lavoro (ed. Sipi, Roma, pp. 101-141). Tale scritto analizzò il preoccupante fenomeno dell’assenteismo, patologico soprattutto nella pubblica amministrazione. Ed esaminò i fattori personali, organizzativi ed esterni influenti sul comportamento assenteistico, senza indulgere alla pretestuosa tesi marxiana del “lavoro alienante”. Per questo fu criticato da un altro ricercatore, che per esso coniò in un suo libro il termine spregiativo “presenteismo”. Finalmente, dopo decenni d’inerzia, interviene in materia il ministro Renato Brunetta. Tra il 2004 e il 2006, le assenze per “malattia” nella pubblica amministrazione hanno raggiunto mediamente i sedici giorni all’anno. E Brunetta, che con il suo decreto ha già sensibilmente diminuito tali assenze, persegue l’obiettivo di ridurle fino al livello riscontrato nelle aziende private, vale a dire poco più della metà. Sperpero di denaro pubblico “La prosperità dello Stato è la miseria del popolo” (M. Bakunin) e “I nove decimi delle attività governative sono dannose” (B. Russell): perciò, “Il migliore governo è quello che governa meno” (T. Jefferson) e “insegna a governarci da soli” (J.W. Goethe). Valorosi e coraggiosi giornalisti hanno smascherato il primato mondiale d’ingordigia e venalità dei nostri politicanti. Questi, tuttavia, non hanno ridimensionato in modo significativo il loro numero, né il loro costo. Le principali istituzioni continuano ad avere costi stratosferici: Quirinale 227,8 milioni di euro di dotazione nel 2008; Parlamento 1663,5 milioni di euro (più 26 milioni rispetto al 2007). Determina una perdita secca la grande maggioranza di parlamentari, che godono dei più alti compensi, privilegi e pensioni, e costituiscono pure il numero più alto nel mondo. Il loro numero va ridotto drasticamente, con vantaggio anche per l’ordine e l’efficienza dei lavori. Molti parlamentari si limitano a votare secondo le prescrizioni partitocratiche e/o presentano disegni di legge spesso più dannosi che utili, data anche la pletora normativa che richiede coraggiose abrogazioni dall’apposito ministero per la Semplificazione. Può continuare lo scandalo di un deputato in quiescenza che percepisce una pensione mensile anche prossima ai 10 mila euro? Si applichi almeno un’aggiuntiva imposta proporzionale (“contributo di solidarietà”) di circa il 10-20 per cento su tutte le pensioni d’oro (non solo dei parlamentari), eccedenti ad esempio i 5000 euro mensili. Non si ribatta che “è un furto”: oltre certi livelli, gli introiti riguardano il privilegio ingiustificato, non il merito. Luigi Einaudi, statista del buongoverno Vanno valorizzati pragmatismo, individualità e libera iniziativa. Libertà civili ed economiche sono interdipendenti. Il liberale completo è anche liberista e ha aspirazioni libertarie, salvo il necessario rigore statale anticriminalità. La società può prosperare mediante la competizione leale e i continui tentativi e sperimentazioni, nell’alternanza di vittorie e insuccessi. L’essere umano deve assumersi la responsabilità – guadagni o perdite – delle sue imprese economiche, senza gravare sugli altri, come accade nello statalismo assistenziale: questo rischia d’impigrire e demotivare gli individui, nonché disincentivare la loro creatività e industriosità, con conseguente stagnazione economica e morale. La società libera abbisogna di un apparato statale leggero, trasparente e vicino al cittadino, tramite federalismo e decentramento oculati, non spreconi. Il risparmio ha una funzione-chiave, economica ed etica: emancipa l’individuo dalla carità e dall’assistenzialismo, spesso pelosi; costituisce la fonte finanziaria degli investimenti produttivi d’impresa, creatori di ricchezza e benessere. Il progresso si realizza prendendo anche dal migliore passato. Colpisce il poliedrico Luigi Einaudi: studioso, economista, bibliofilo, intellettuale, radicato nella sua terra e nella cultura agraria. La sua eccezionale biblioteca di cinquantamila volumi è oggi patrimonio della fondazione che porta il suo nome. Fu statista del buon governo, conscio che “Il presidente non attinge il suo prestigio dal fasto delle corti e dalla regale prodigalità”. A moneta e potere d’acquisto costanti, il presidente Einaudi spese annualmente una cifra equivalente a 3 milioni di euro per “beni e servizi”, appena un ottavo della dotazione 2008 per lo stesso capitolo del Quirinale. Il “paradiso” cinese La festa delle Olimpiadi nasconde il vero volto della Cina. Nel Paese mancano libertà, democrazia e libere elezioni. Su 195 nazioni, la Cina è al 181° posto della classifica di Freedom House sulla libertà di stampa. Il Partito comunista – unico e tirannico – gestisce i soldi dello Stato, e il governo controlla l’intero sistema educativo. “La corruzione di politici e giudici è infinita” (L’Espresso del 7 agosto 2008, pp. 24-28). La Cina detiene il record mondiale di esecuzioni capitali: oltre 5000 nel 2007 (seguono Iran con 355, Arabia Saudita con 166 e Pakistan con 134). Inoltre, effettua ogni anno da 35 a 41 milioni di aborti selettivi. Le Olimpiadi hanno inasprito la repressione. Circa 500 mila persone sono state sottoposte a pene detentive senza accusa né processo (fonte: Amnesty International). Sono aumentati i pestaggi in prigione, le esecuzioni capitali in luoghi pubblici e i campi di lavoro forzato. Gli attivisti dei diritti umani possono protestare solo con il permesso scritto delle autorità: chi lo richiede può ottenere un rifiuto e anche finire in carcere. La Cina ha il cielo grigio di fumo e foschia; ospita sedici delle venti città più inquinate della Terra; è primatista mondiale per quantità di anidride carbonica emessa nell’aria. L’altissimo livello di contaminazione causa quasi un milione di morti premature all’anno. Fra gli altri dati negativi, si segnalano il Prodotto interno lordo annuo per abitante di soli 6757 dollari (31 mila 791 in Italia e 44 mila 190 negli Stati Uniti); il tasso d’inflazione, superiore al 7 per cento nel 2007; la disuguaglianza fra ricchi e poveri (coefficiente Gini 47), maggiore di quella statunitense (40,8) e italiana (36). Pagina 3 Zibaldone Turisti maleducati “Il turista italiano è il più maleducato”. Così titolava e scriveva il quotidiano inglese The Times del 1º agosto scorso. Gli italiani sono veramente il popolo più maleducato del Pianeta? Mi capita spesso di cercare di uscire dal vagone della metropolitana e di essere ricacciato indietro da chi entra senza aspettare l’uscita degli altri passeggeri. Sono sempre persone vestite alla moda che parlano la mia lingua. Come si può conciliare l’Italia moderna – fatta di consumismo, cibo alterato, televisione e venerazione di celebrità senza cervello – con quella rappresentata da città come Venezia o da personaggi come Leonardo da Vinci, i Medici e Giuseppe Verdi? Elementare, cari lettori. Questa è l’Italia del consumismo sfrenato, della televisione spazzatura e via dicendo. Dove il vestire firmato altro non fa che mascherare la protervia di una massa che, intrisa di McDonald’s e di mondialismo (dominato, guardacaso, dall’inglese), finisce paradossalmente con il di Gianluigi Ugo conferire un volto apparentemente italiano a ciò che italiano non è. Riformare il pubblico impiego Se da un lato quella che rinasce dalle rovine della guerra è l’Italia della ricostruzione e del “miracolo economico”, dall’altro è l’Italia dei megauffici e delle periferie metropolitane. Precorritrice della propria decadenza morale e civile, che esploderà a iniziare dagli anni Settanta, contestualmente al progressivo venir meno del ruolo tradizionale della famiglia a favore di strutture pubbliche di fatto impreparate a integrarne l’operato. L’esodo massiccio dai campi vede i più approdare nelle anonime periferie delle grandi metropoli industriali, prive d’identità e nelle quali solitudine e scontento non tarderanno a esporre soprattutto le giovani generazioni agli effetti nefasti di mode e ideologie. Campagna e bottega lasciano sempre più il posto a fabbrica e ufficio. Mentre il frequente pendolarismo sottrae ulteriore tempo all’intimità del focolare. Si sta fuori sino a tardi perché entrambi i coniugi lavorano. E i figli, sempre più soli, vanno a scuola a tempo pieno saltando da un corso all’altro, a seconda che debbano diventare dei geni o dei campioni. Ovviamente i loro coetanei del vicinato nemmeno li conoscono. A cena non si ha voglia di parlare perché si è stanchi e magari anche tesi. Si lascia che parli la Tv, poi a letto per ricominciare domani. Non si conosce più il luogo in cui si abita né quello in cui si lavora, poiché dal primo si parte la mattina per tornarvi soltanto a dormire, e nel secondo si sta per lo più rintanati in ufficio, e a fine turno bisogna correre per non perdere il treno, la metro o l’autobus. Sempre più promiscuo, l’ambiente di lavoro offre vieppiù occasioni per “scappatelle” con il/la collega o con il capo, con tutto ciò che ne conseguirà poi in famiglia, soprattutto per i figli. Settore pubblico e macroaziendale differiscono per la forma giuridica. Di diritto pubblico l’uno e di diritto privato l’altro, entrambi sono espressione di un sistema apparentemente tipico del carattere italiano ma in realtà da esso avulso, fatto di servilismo e ostentazioni gerarchiche, di procedure ripetitive in cui ci si fossilizza progressivamente, illusi di ritornare se stessi una volta usciti dall’ufficio, mascherando dietro a passatempi l’assenza di stimoli concreti. Ci si interroga allora se sia il caso di riconcepire il pubblico impiego anche in termini di durata. Infatti, se è vero come sembra che il lavoro d’ufficio è causa di un progressivo appiattimento mentale, esso andrebbe gestito in base a criteri che ne regolino la durata entro limiti precisi, con un opportuno incentivo anche economico a riqualificarsi professionalmente e, alle varie scadenze, ad avanzare di grado previa idoneità. O alternativamente, a uscire decorosamente e intraprendere una libera professione o un qualsiasi altro lavoro autonomo. Così si andrebbe a conferire al pubblico impiego un’importante funzione di educazione al lavoro, prima ancora di semplice collocamento a esso. Valorizzando la nostra capacità creativa, altrimenti sacrificata sull’altare del “posto sicuro”. Sarà questa la vera rivoluzione italiana. Il mangialibri Operazioni speciali al tempo della Cavalleria Anche il Medio Evo e il primo Evo Moderno ebbero le loro “operazioni speciali”. Oltre a battaglie campali e manovre su vasta scala, il periodo fu caratterizzato dall’assassinio, dal rapimento e dal tradimento di sovrani o comandanti nemici, e da sabotaggi e colpi di mano per la conquista o la distruzione di postazioni ritenute d’importanza strategica come ponti, mulini e dighe. Frequentemente le città poste sotto assedio cadevano dall’interno, grazie a “difensori” che per denaro o altre motivazioni venivano meno all’onore e alla parola data. E l’attacco decisivo veniva sferrato non da truppe specializzate come le potremmo concepire oggi, ma dai guerrieri più audaci, determinati e a tratti spregiudicati che dallo stesso potevano trarre i maggiori vantaggi. Ufficialmente non compatibili con il codice cavalleresco, le fonti dell’epoca tendono a omettere o minimizzare queste operazioni clandestine. Conseguentemente, gli studi approfonditi sull’argomento sono sempre stati piuttosto rari. A colmare la lacuna per il mercato italiano ci ha pensato la Libreria editrice goriziana con la traduzione di un saggio di Yuval Noah Harari, insegnante alla Hebrew University di Gerusalemme ed esperto di storia militare e del Medio Evo. Operazioni speciali al tempo della Cavalleria – 1100-1550 (pp. 284, ill. a colori e in b/n, € 24,00) propone alcuni episodi-simbolo, inquadrandoli nella cultura militare e politica del tempo. E grazie a uno stile particolarmente scorrevole, consente la lettura di questo rigoroso testo di storia come fosse un romanzo. Harari affronta il tradimento di Antiochia nel 1098, il tentativo di liberazione di Baldovino II dalla prigione di Khartpert nel 1123, l’assassinio di Corrado di Monferrato nel 1192, il tentativo di dare l’assalto a Calais nel 1350, la “guerra sporca” tra la Corona di Francia e la Casa di Borgogna tra il 1467 e il 1483, la rocambolesca distruzione del mulino di Auriol nel 1536. In conclusione, il volume è arricchito da una corposa bibliografia. La Grande Guerra a schede Lettere Una significativa sfiducia istituzionale Qualche mese fa, sul Corriere della Sera, mi e capitato di leggere un interessante articolo di Alberto Calle. In esso l’Eurispes fotografava una realtà preoccupante: negli ultimi dodici mesi, circa la metà i cittadini avrebbero visto diminuire la loro fiducia nelle istituzioni. Già, perché noi italiani siamo gli europei che pagano le tasse più alte e guadagnano meno degli altri per mantenere una classe politica di privilegiati, che da sinistra a destra le hanno promesse tutte senza mantenerne una. Si potrebbe obiettare che è mancato il tempo… E qualcuno lo ha anche sottolineato. In effetti tra un litigio e l’altro, un’intercettazione, uno scandalo, una polemica e un ribaltone, di tempo da dedicare ai cittadini ne rimane poco. Se non fosse che di anni dall’avvento di questa Repubblica ne sono passati oltre sessanta. Nel lontano 1946 fu promesso di modernizzare il Paese, ridurre gli sprechi, moralizzare le istituzioni, rendere al popolo la sua sovranità. Dunque? Pur dispiaciuto, da monarchico resto attento osservatore di un simile sfascio. E anche se emarginato come “infetto”, confuso nella nebbia dell’oblio programmato, non smetterò di puntualizzare le responsabilità di tanto regresso. Sono altresì fiducioso che presto o tardi, per il bene del nostro Paese, la verità dovrà essere affrontata. Sarà il giorno in cui stretti intorno ai nostri “simboli” e da essi garantiti, potremo confrontarci ad armi pari con le migliori democrazie del Vecchio Continente. Alberto Conterio (Biella) Falsità sul Risorgimento e perdita della memoria storica Caro direttore, per un vecchio liberale di simpatie monarchiche come me, è motivo di amarezza constatare quanto poco i valori del patriottismo e dell’eredità risorgimentale pesino ormai nell’ottica politica del governo. Gli insulti di Bossi alla bandiera non sono nuovi. Come non sono nuovi gli insulti (basati su autentiche falsificazioni storiche) al Risorgimento. Ricordo come qualche anno fa, in televisione, un noto esponente leghista si sia permesso d’infamare come “avventuriero” Cesare Battisti, il grande patriota italiano che seppe affrontare il supplizio con tanto coraggio e dignità da stupire i suoi stessi carnefici. Faccio questo esempio perché ormai quei valori e quelle figure non si celebrano più. Nelle università hanno abolito la cattedra di Storia del Risorgimento. E molti musei del Risorgimento chiudono i battenti! Si chieda al governo un impegno in questo senso, dunque. Purtroppo, la tradizione risorgimentale è poco gradita anche al mondo cattolico, specie alle sue componenti più integraliste. Il Movimento monarchico italiano si faccia promotore d’iniziative di celebrazione pubblica delle grandi ricorrenze della storia nazionale e risorgimentale. I giovani, ma anche i meno giovani, stanno perdendo ogni memoria storica. Secondo D. Giacobbi (Crema) Caro amico, condividiamo in pieno le sue preoccupazioni. In materia già facciamo del nostro meglio, anche se non possiamo certo sostituirci allo Stato. Comunque, ci sembra che diversi articoli e l’appello del segretario nazionale Mmi pubblicati in questo numero vadano proprio nella direzione da lei auspicata. Pubblicato dalle edizioni Nordpress il volume di Alessandro Gualtieri La Grande Guerra 1914-18. Percorso di studio a schede (pp. 128, illustrato, € 15,00). Un libro per conoscere il primo conflitto mondiale sotto ogni aspetto, disponendo degli strumenti indispensabili per dedicarsi a ogni altro studio sull’argomento. L’opera presenta caratteristiche innovative, specie per le sue schede tematiche esaurienti e chiare. L’autore, nato a Milano nel 1964, ha dedicato al conflitto anche progetti informatici. Come il sito www.lagrandeguerra.net e il Centro studi informatico Grande Guerra (www.csigrandeguerra.it), che si propone di raccogliere e divulgare notizie, informazioni, ricerche e iniziative inerenti la Prima guerra mondiale. L’arte di morire Un omaggio ironico alla morte in un’epoca che ha posto la morte nell’ombra, illudendosi così di esorcizzare l’inevitabile, dalla penna di Paul Morand (1888-1976), diplomatico, poeta, narratore e critico di enorme successo tra le due guerre, poi caduto in disgrazia per la sua compromissione con il regime di Vichy. Ne L’arte di morire (Sellerio, pp. 90, € 8,00) questo orientalista di vaglia, amico di Proust e Cocteau, passa in rassegna i diversi modi letterari d’interpretare il trapasso dell’estrema soglia, fornendo una molteplicità di esempi storici e sulla carta del “bel morire”. Scrive nella presentazione Giuseppe Scaraffia: “Si scopre così il razionalismo della morte illuministica o il classicismo di quella rivoluzionaria, la morte dei romantici, lo scientismo del positivista, che si spegne osservandosi e il morire decadente e dandy, il suicidio naturalistico e quello occasionale e provocatorio Dada”. In appendice, una bella conversazione di Scaraffia con Gabriel Jardin, figlioccio di Paul Morand. Curiosità padovane dalla prima pagina / Lonoce del magistrato sotto l’aspetto civile e risarcitorio. Infine, si deve ritenere non degno di un paese civile che la pena debba essere scontata prima ancora della condanna attraverso misure cautelari preventive, che a volte rischiano di diventare un surrogato a una carenza d’investigazione e di ricerca della prova sulla colpevolezza dell’indagato. In conclusione, i primi interventi di questa maggioranza in materia penale, più che tendere alla soluzione di quelle che sono le cause della grave crisi della giustizia, sembrano invece indirizzate a colpire i sintomi della crisi stessa e ancora non risolvono alcun problema. Anzi, hanno l’effetto opposto di far consolidare nel cittadino il convincimento che il di- ritto, da strumento di controllo e argine del potere, sia divenuto uno mezzo per rafforzare e garantire il potere stesso. dalla prima pagina / Em. Fil. di Savoia cancellazione dei valori risorgimentali ha lasciato spazio alla formazione di una prima generazione parzialmente lontana da queste radici, e da una seconda generazione, quella dei giovani d’oggi, abissalmente distaccata e paradossalmente “allettata” dall’idea di una Italia separata. Dunque, cari amici, permettetemi di levare un urlo di “bossiana abitudine” per salvare il prezioso e insostituibile valore dell’unità d’Italia. Siamo italiani grazie a Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi! Grazie alle migliaia di nostri connazionali che versarono il loro san- Movimento monarchico italiano gue per consegnarci una nazione che da “gruppo di staterelli di provincia” divenne già agli albori del Novecento una delle prime potenze mondiali! Ricordiamoci che quest’anno si celebrano i novant’anni dalla vittoria della Grande Guerra che consentì a Trento e Trieste di tornare italiane. Mi appello al “Comitato per i 150 anni dell’unità d’Italia”, dove guarda caso non hanno voluto alcun Savoia, affinché si dia da fare perché la cultura risorgimentale non sia schiacciata dalle comode ideologie separatiste. Non solo, rilancio e invito ad unirsi a me nella costituzione di un comitato indipendente che ristabilisca la verità storica sull’importanza dell’unità nazionale e sui progressi economici, sociali e internazionali ottenuti dall’Italia unita durante il Regno Sabaudo. Sarà il modo di fornire finalmente un’altra versione dei fatti affinché questo “processo” all’unità d’Italia possa essere meno ridicolo di quanto appare oggi. dalla prima pagina / A.C. dei nostri obiettivi. Perché il processo da porre in atto affinché gli italiani possano ritrovare l’amore per la loro Patria e i valori costituenti nel rispetto di una dignità oggi offuscata e quasi irriconoscibile, sarà lungo e pieno di difficoltà. Troveremo ostacoli e avversari inimmaginabili. Tuttavia, siamo convinti che soprattutto i giovani sentiranno la necessità di riconoscersi come italiani, per portare avanti quello che di meglio appartiene alla nostra identità di popolo e nazione. E voi giovane lo siete. Forza principe, diamoci da fare. Noi saremo con voi! Centro studi sociali “Alberto Cavalletto” Programma delle attività di settembre, ottobre e novembre 2008 Sabato 20 settembre 2008 (orario da definire) Padova – Via Trieste, 28 ter: inaugurazione della sede della segreteria nazionale del Movimento monarchico italiano, del Centro studi sociali “Alberto Cavalletto” e della direzione e redazione centrale di Opinioni nuove notizie. Durante l’incontro, il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati relazionerà sulle proposte del governo in materia di riforma della giustizia. Settembre (data e orario da definire) Padova – Via Trieste, 28 ter: conferenza su Giovanni Guareschi del giornalista, scrittore e presidente del Club dei Ventitré Giovanni Lugaresi. Ottobre (data e orario da definire) Roma – Hôtel Nazionale – Piazza Montecitorio: presentazione del volume di Francesco Garofalo Modica (presidente del Consiglio nazionale Mmi) Pensiero e storia nella polemica istituzionale, pubblicato dalle Edizioni del Movimento monarchico italiano. Mercoledì 22 ottobre 2008 (orario da definire) Padova – Via Trieste, 28 ter: prima lezione del secondo corso di formazione politica del Movimento monarchico italiano, realizzato in collaborazione con il Centro studi sociali “Alberto Cavalletto” e avente come tema le competenze delle Amministrazioni locali (sindaco, giunta, consiglio comunale, commissioni consiliari). La partecipazione è gratuita fino a esaurimento dei trenta posti disponibili e riservata a studenti e cittadini al massimo quarantenni. Necessaria la prenotazione (e-mail: [email protected]). Martedì 4 novembre 2008 (luogo e orario da definire) Conferenza su “La salvaguardia dei beni culturali a Padova e Venezia durante il conflitto 1915-1918”, organizzata dal Comune di Padova e dal Centro studi sociali “Alberto Cavalletto”. Domenica 9 novembre 2008 (orario da definire) Padova – Villa Giusti: alzabandiera per il 90° anniversario della Vittoria italiana. A seguire: messa per tutti i caduti presso il Tempio della Pace (Padova). Precisazione agli iscritti e ai simpatizzanti Nelle prossime settimane il Movimento monarchico italiano e il Centro studi sociali “Alberto Cavalletto” provvederanno a comunicare per lettera e via internet (www.monarchici.org) i dati ancora mancanti. In “Conferenze ed interventi (1982-2007), pubblicato da La Garangola, Luigi Vasoin De Prosperi propone alcuni squarci storici di Padova durante il Medio Evo o negli anni del Risorgimento italiano; la storia del pane, dell’olio extravergine di oliva prodotto nei Colli Euganei; le origini cinesi del gioco del calcio, antiche di quattromilacinquecento anni; i dolcissimi ricordi personali, come un lontano Natale, celebrato in famiglia negli anni fra il Trenta e il Quaranta del secolo scorso; le commemorazioni di illustri padovani e infine due composizioni poetiche squisitamente eleganti. La grande cultura dell’autore e la sua generosità hanno divulgato interessanti avvenimenti e ricordato personaggi prestigiosi di Padova. Tanto che Nemo Cuoghi, nella pregevole presentazione del volume, definisce Vasoin De Prosperi “l’erudito cantore della patavinitas”. (Lucia Baccelle Scudeler) Due scritti di Mariano Marchese Le “emozioni di un viaggio in una terra d’incanto” sono quelle descritte da Mariano Marchese ne La mia Grecia (Luigi Pellegrini editore, pp. 53, € 8,00). L’autore, già innamoratosi del Paese in un primo viaggio, vi ritorna per trascorrere una vacanza, solcando il mare di Ulisse in solitario, a bordo di un dieci metri a vela. Pennellate magistrali descrivono l’incantevole ed estremamente vario paesaggio, talvolta ancora del tutto incontaminato. La bellezza dell’ambiente suscita in Marchese sensazioni suggestive e vibranti, da cui scaturiscono profonde riflessioni sull’umanità e sulla cultura greca, madre della civiltà mediterranea. Una lettura invitante per lo stile brioso, la serenità e l’incentivo alla meditazione. Altro esempio di narrativa di viaggio (e non solo) è proposto dall’autore nel più recente Giallo d’Irlanda (Luigi Pellegrini editore, pp. 95, € 10,00). Anche in questa composizione è minuziosamente dipinto il mondo dei marinai e dei pescatori, in tal caso del mare d’Irlanda. L’ambiente e la vita di quel Paese sono descritti come immersi in una estrema serenità e pace. L’atmosfera quasi rarefatta induce a profonde analisi introspettive. È proprio grazie alla possibilità di riflettere e rielaborare col pensiero alcune situazioni controverse che il protagonista, affermato avvocato, riesce a dipanare un intricato caso giudiziario. Il mare e la serenità rappresentano dunque il leitmotiv anche di questo freschissimo e lungo racconto. (Lucia Baccelle Scudeler) Storie minime Le Storie minime narrate da Antonio Ceccolin (L’autore libri, pp. 134, € 15,49) sono intimiste, e in quanto tali si distinguono da certe sguaiataggini del tempo presente. I suoi personaggi un po’ retrò, timidi, prudenti e rispettosi, sono spesso neopensionati il cui tempo libero acutizza la solitudine e il desiderio di dialogo e d’amore. Si attenuano la bellezza giovanile, la forza fisica e il sex appeal, ma in loro non cessa – e forse cresce – il bisogno di “relazioni umane” e d’affetto: affetto tenue, delicato, centellinato, apprezzato e gustato forse più che nella giovinezza, maggiormente sfrenata e spiccia. L’iniziativa parte frequentemente dall’uomo, che si entusiasma – e talvolta si arrovella – in fatiche, tentativi, timori, cortesie e corteggiamenti, per conquistare e fare felice la sua donna. Egli alterna alti e bassi, illusioni e sconforti, intese e incomprensioni, speranze e insuccessi, gioie e afflizioni, sollievi e patemi d’animo. Ceccolin sa cogliere e descrivere l’animo umano con efficacia, chiarezza, richiamo e rigore. Animo umano che oltre agli indispensabili periodi di solitudine creativa sente la necessità di aprirsi, confidarsi e affezionarsi a un partner, anche per acquisire rasserenamento, contentezza, maggiore benessere fisico e psicologico, nonché contrastare cattivi pensieri ed elaborazioni ipocondriache. Nel primo dei tre racconti, si narra d’una margherita il cui sogno di diventare una rosa (regina del giardino) svanisce. La morale della favola insegna ad apprezzare quello che si è, ad accontentarsi di quanto si possiede, evitando d’affannarsi in megalomanie irrealizzabili. Antonio Ceccolin – ex funzionario di banca – è autore di altri libri sull’affettività tra la donna e l’uomo, anch’essi assai apprezzabili e godibili. Ha pubblicato pure documentati saggi storici e numerosi articoli su riviste locali. È direttore del bimestrale Notiziario del Club Ignoranti di Padova. (Gianfranco Nibale) Pagina 4 Movimento Monarchico Italiano Padova, 2 settembre 2008 Appello a Sig. Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano Sig. Presidente del Senato Renato Schifani Sig. Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi Signore e Signori Parlamentari tutti Mancano pochi mesi alla ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia, di cui ci apprestiamo a celebrare l’evento. La nostra Patria necessita di ritrovarsi unita nel riconoscimento dei valori fondanti del Risorgimento, ispirato da patrioti quali Carlo Alberto, Mazzini, Garibaldi, Cavour, Verdi, De Amicis, Re Vittorio Emanuele II – il Padre della Patria – e da tanti altri che donarono il proprio sangue con gli Eroi di Vittorio Veneto. Gli stessi che, guidati da Vittorio Emanuele III, il Re Soldato del 1918, coronarono l’obiettivo di restituire Trento e Trieste ai territori italiani. Nei momenti in cui grave è il dissesto politico ed economico, quando viene a mancare l’orgoglio di appartenere a una comunità, quando impera il malcostume di non rispettare le regole, si rende indispensabile un coraggioso e giusto intervento che noi giudichiamo indilazionabile. Il Movimento Monarchico Italiano Vi chiede di esercitare ogni intervento politico e culturale volto a ridurre gli effetti di quelle situazioni critiche che potrebbero pregiudicare il successo delle celebrazioni della ricorrenza citata. In particolare, abbia priorità il ritorno in terra italiana delle Salme dei nostri Capi di Stato ancora sepolti all’estero con le Loro Consorti, affinché possano finalmente trovare degna sepoltura nel Pantheon di Roma. Ritornino in Patria i Re d’Italia Vittorio Emanuele III e Umberto II con le Regine Elena e Maria Josè! Sarebbe un gesto illuminato, che tanti italiani attendono da anni. Confidando nella Vostra pregiata attenzione a questo appello, colgo l’occasione per porgere deferenti saluti a nome del Movimento Monarchico Italiano e di quanti altri vorranno unirsi a noi. Alberto Claut Segretario Nazionale MMI Sede centrale: 35121 Padova – Via Trieste, 28, ter – Tel. e fax 049 654507 – Cell. 347 4011818 E-mail: [email protected] – [email protected] – Sito internet: www.monarchici.org