Nucleare, tre domande e tre risposte

Transcript

Nucleare, tre domande e tre risposte
Nucleare, tre domande e tre risposte
di Guglielmo Ragozzino
“Non facciamoci prendere dalle emozioni”, hanno detto a caldo i governanti di fronte alla tragedia
di Fukushima. Prendiamoli alla lettera: ragioniamo.
1. Il nucleare italiano serve al paese per smettere di importare elettricità dalla Francia o
piuttosto ai francesi per estendere il loro mercato?
In Italia l’energia elettrica costa all’industria parecchio di più che in altri paesi europei. Il doppio, si
potrebbe dire, talvolta anche di più. Bisogna tenerne conto, perché è l’unico argomento non
immediatamente contraddittorio o falso a favore del nucleare nazionale, come per esempio
l’indipendenza dall’estero o i vantaggi in direzione del riscaldamento globale. Ma davvero con due
o quattro reattori nucleari il costo dell’elettricità per le industrie italiane scenderebbe di molto? Con
il sistema di prezzi e di bollette attuale non sarebbe così. Anzi il rischio sarebbe di pagare nelle
bollette la costruzione o l’eventuale interrotta costruzione delle centrali. In altre parole, conta molto
di più il sistema di prezzi in atto, molto legato all’oligopolio elettrico che non l’efficienza produttiva
leggermente incrementata da poche centrali nucleari. I due o quattro reattori in funzione tra dieci
anni potrebbero modificare marginalmente lo svantaggio che sarebbe recuperato meglio con una
politica industriale indirizzata da scelte produttive, di prodotto e di processo, più “leggere”, con
minori contenuti energetici. Nel decennio ottanta l’Italia è stata capofila in Europa da questo punto
di vista, per poi lasciarsi andare alla deriva. Contro la scelta nucleare militano i costi di costruzione,
l’inadeguatezza del territorio, scarsamente pianeggiante e con fiumi in cattiva salute o esauriti, per
cui l’acqua necessaria in grande quantità, per il raffreddamento, dovrebbe essere ricavata dal mare,
con la conseguenza di rendere più fragile l’impianto e più a rischio il territorio. Inoltre devono
essere prese in considerazione, la diffusa sismicità, la presenza ininterrotta di città, paesi e anche
luoghi isolati, notevoli da un punto di vista storico, archeologico, paesaggistico. Infine gli aspetti di
salute pubblica sempre negati e sempre riaffioranti per le persone, soprattutto i bambini, che vivono
nei pressi di un reattore; e quelli di sicurezza, sempre rimossi da parte dei sostenitori. D’altro canto
Enel, maggior produttore nazionale, possiede centrali nucleari in Spagna e in Slovacchia. Potrebbe,
se volesse, esportare una parte dei chilowatt nucleari in Italia, attraverso la rete europea,
costringendo i francesi a subire una concorrenza. Il fatto è che Enel è il socio di Électricité de
France o Edf nell’impresa del nucleare nostrano e inoltre è il maggior importatore di elettricità dalla
Francia. I margini ottenuti da Enel importando i chilowatt “nucleari” sono considerevoli; Enel
compra a poco e vende a molto. Nessuna impresa del settore è interessata a fare chiarezza, perché il
sistema elettrico nazionale è ampiamente remunerativo per tutti: ogni giorno il prezzo è fatto dal
peggiore dei venditori accettati. Infine deve essere ricordato che Edf ha un assoluto bisogno di
esportare energia elettrica da qualche parte e in quantità e l’Italia serve ottimamente allo scopo. La
Francia non sa come fare. La nazione sorella è letteralmente prigioniera del suo nucleare e non è in
grado di ridurre la propria dipendenza. Può solo continuare, con l’incubo di non trovare soluzioni
sicure o almeno accettabili per il futuro spegnimento dei suoi 58 reattori, la gestione sicura degli
impianti non più in produzione (decommissioning) e la collocazione delle scorie. Rispetto all’Italia
vi si determina una riduzione nei consumi di gas ma consumi petroliferi poco diversi da quelli
italiani, con un numero di abitanti corrispondente, pur in assenza di reattori nucleari in Italia, a
conferma del fatto che il nucleare serve solo alla generazione elettrica.
2. L’Italia ha perso terreno per l’assenza di energia nucleare diretta?
Se l’Italia è “cresciuta” meno di altri nei decenni passati, non è certo per carenza di centrali
nucleari, quanto per cattiva politica ed egoismo rapace. Da un punto di vista economico generale,
alla mancata crescita del Pil, spesso lamentata, si sarebbe potuto ovviare con un aumento di
occupazione nei servizi e nella manutenzione del territorio e delle città. Sarebbe cresciuto il Pil con
la soddisfazione dei cittadini. Si sarebbe potuto e si potrebbe investire nella scuola, nell’università,
nella ricerca, nella cultura. L’Italia sarebbe più forte e interessante, più degna d’affetto e
considerazione; e più ricca anche di Pil, se è questo che conta. La scelta del nostro paese industriale
è stata quella di cedere rami di attività molto importanti: chimica, farmaceutica, elettromeccanica di
consumo, telefonia mobile, informatica. E sono tutti settori nei quali la differenza non è data dai
quantitativi di energia elettrica disponibili o dal loro costo, ma dalla qualità d ricerca e innovazione
nonché, un po’, dal costo del lavoro. L’energia elettrica in Italia è sovrabbondante.
3. Il nucleare italiano risolve i problemi energetici nazionali?
I problemi di prospettiva sono dati soprattutto dal 20/20/20 prescritti per il 2020 con l’accordo del
dicembre 2008 da parte del Consiglio europeo. La formula matematica, per chi non lo ricorda,
significa che per l’anno 2020 si devono ridurre del 20% le emissioni di gas serra (anidride
carbonica), il 20% dell’energia deve essere da fonti alternative e l’efficienza energetica deve
aumentare del 20%. Una corsa, o anche una corsetta, al nucleare distoglie dai veri obiettivi. Sposta
risorse economiche, sociali e intellettuali verso altri fini che non sono quelli ritenuti essenziali
dall’Unione europea o Ue, in vista non tanto di un futuro successo industriale o economico, ma
semplicemente di un futuro. L’Ue ha accettato l’indicazione degli scienziati raccolti nell’Ipcc o
Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni unite sul disastro ambientale in corso per
il riscaldamento globale e ha indicato la prima tappa del proprio percorso, indicando ai paesi
membri obiettivi da rispettare. Il 20/20/20 è poi una prima tappa, insufficiente per salvare l’attuale
società umana, ma serve come partenza e come apprendimento. Ogni paese che si divincola, guarda
altrove, perde l’obiettivo, è in errore e deve cambiare. Da questo punto di vista la reale scelta
obbligata tra nucleare e rinnovabili, tra atomo e sole, non è aggirabile con un “ma anche”. Le
risorse, scarse, sono da indirizzare verso un risultato pratico e visibile. Va aggiunto che il nucleare
vedrebbe il nostro paese a rimorchio della Francia o degli Stati Uniti, mentre il solare, per non citare
che uno degli sviluppi possibili, ci potrebbe reintrodurre in testa ai paesi più avanzati. C’è un altro
aspetto, quello che un mix di impianti leggeri, adatti ai luoghi e meno invadenti dal punto di vista
della natura è preferibile per chi creda nella democrazia dei beni comuni. Non sarà invece d’accordo
chi è convinto che la natura vada dominata sempre e in ogni caso. Ma dai tempi in cui il re Serse
fece frustare il mare, quest’ultimo comportamento non è saggio, tanto nei confronti della Natura –
del mare (Ellesponto) in questo caso – quanto di chi è costretto dai suoi comandanti a fare una cosa
tanto stupida.
http://www.sbilanciamoci.info19/03/2011