Per una nuova storia della letteratura italiana*

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Per una nuova storia della letteratura italiana*
Il narratario, nella moderna
critica letteraria indica il
lettore, non quello reale, che
ha letto o che leggerà, ma
l’implicito, quello cui si
rivolge l’autore.
Come scriveva Manzoni nel
primo capitolo del suo
capolavoro: “Pensino i miei
venticinque lettori che
impressione dovesse fare
sull’animo del pover etto,
quello che s’è raccontato”.
il
di Enzo Noè Girardi
C
Milano, 11/10/2005
aro professore,
da tempo non mi faccio
vivo con lei;
ma leggo sempre con
interesse e consenso il
“Narratario”. Ora,
quanto lei ha scritto
sul n.16 sul modo con
cui gli intellettuali
giornalisti servono
l’Opinione Pubblica,
mi induce a farle
presente il caso di uno
di essi, Claudio Magris,
che sul “Corriere della
sera” del 29 agosto ha
creduto opportuno
giustificare la
—a mio giudizio—
assurda decisione del
giornale di rifilare ai
suoi lettori quella
raccolta di monografie
messa insieme da Cecchi
e da Sapegno nel ’65
per l’editore Garzanti
come Storia della
Letteratura italiana,
con l’argomento che,
come “molte altre
discipline nell’età
contemporanea, la
storia letteraria non sa
più bene quale sia il suo
preciso oggetto”.
No. Che cosa sia la
letteratura e come vada
fatta la sua storia il
sottoscritto lo va
dicendo e dimostrando
da quasi cinquant’anni;
ma agli “intellettuali
giornalisti” che si
preoccupano
dell’Opinione Pubblica
fa comodo che non lo si
sappia —che non si
sappia che la
letteratura, in versi o in
prosa che sia, è
produzione di Bellezza,
sentimento e intuizione
della totalità
dell’Essere, discorso
naturaliter religioso, sia
che lo faccia Manzoni,
sia che lo faccia
Leopardi— per poter
continuare a servirsene
come strumento di
educazione del
“popolo” secondo la
propria ideologia o
propri interessi politici.
In proposito ho scritto
una lettera,
non pubblicata,
ma accolta gentilmente,
a Sergio Romano,
accompagnandola con
la fotocopia di quanto
ebbi a scrivere per
“una nuova storia della
letteratura italiana” e a
proposito del “concetto
di letteratura” proprio
in occasione della
pubblicazione di quella
“storia” garzantiana.
A parte, spedisco tale
fotocopia anche a Lei
unendovi anche in
omaggio il mio ultimo
libro, su Letteratura
e critica nel pensiero
di T. S. Eliot, e il mio
ultimo saggio su
Manzoni.
Con viva riconoscenza,
laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee
giornale in foglio con editoria elettronica da tavolo direttore responsabile Fabio Trazza
www.ilnarratario.info - Premio Nazionale “Verba Volant” 1999 con patrocinio Ministero Pubblica Istruzione - [email protected]
redazione organizzazione fotocomposizione e stampa in proprio
sabato
15 ottobre 2005
Per una nuova storia della letteratura italiana*
* Da: Manzoni, De Sanctis,
anno undicesimo
numero diciassette
Lettera al ‘narratario’
narratario
Enzo Noè Girardi, Letteratura e critica nel Pensiero di T. S. Eliot,
Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova, 2004, pp. 1-244.
Periodico Quindicinale - Aut. Tribunale Milano 34/95 28.1.1995 - tel/fax 02/6123586 - via Arbe 29 - 20125 Milano
di Enzo Noè Girardi
C
hi voglia farsi un’idea della situazione degli studi letterari quantitativamente secondario, vuoi come epifenomeni del
oggi in Italia, nei suoi aspetti positivi e in quelli negativi, non ha secolare discorso culturale, vuoi, in una prospettiva dialettica,
che da esaminare il saggio 1) che l’editore Garzanti ha offerto in come necessari strumenti di elaborazione di un linguaggio
questi giorni ai possibili acquirenti della sua nuova Storia della destinato a servire comunque alle preminenti funzioni
«economiche» della tribù.
letteratura italiana.
E qui converrà lasciare un poco la parola all’anonimo
Positiva è senz’altro la presenza di numerosi studiosi, assai
ben preparati, di questa materia, giovani e anziani. Il gruppo di presentatore del saggio, il quale, a p.5, scrive:«Nell’interpretazione
specialisti che il Garzanti aduna in quest’opera, pur non essendo critica moderna, la storia della letteratura non è più concepita
certamente, né volendo essere, rappresentativo di tutti gli come mera cronologia delle manifestazioni letterarie di una civiltà:
orientamenti scientifici della odierna critica italiana (una certa oggi si pensa all’evoluzione della vita letteraria come a uno
preoccupazione di rappresentatività si scorge, se mai, nell’ordine sviluppo in cui convergono da tutti i territori della cultura stimoli
delle appartenenze politiche, che è tuttavia scientificamente e occasioni diverse, collocate tra loro in costante rapporto
irrilevante), appare tale da soddisfare le maggiori esigenze, non dialettico. La storia della letteratura viene in sostanza a definirsi
soltanto per l’autorità indiscutibile dei due direttori, che sono il come storia della civiltà».
Francamente, di una storia della letteratura «concepita come
Cecchi e il Sapegno, ma anche per il valore degli autori delle
singole monografie, e sia di quelle di natura propriamente mera cronologia delle manifestazioni letterarie di una civiltà»
filologico–letteraria (p. es. Roncaglia, Folena, Petrocchi, Caretti, saremmo imbarazzati a citar qualche esempio che non ci riporti
Bonora, Raimondi, Binni, ecc.) e sia di quelle propriamente storico– alle compilazioni erudite del Sei e Settecento; a meno che il
presentatore quando scriveva queste righe, non pensasse ai
culturali (Garin, Cantimori, Firpo, ecc.).
Meno positiva, o piuttosto negativa è invece la situazione benemeriti «bigini» che circolano tra le mani febbrili dei liceali in
della disciplina, cioè dell’istituto letterario in se stesso, soprattutto tempo di esami! Mera cronologia delle manifestazioni letterarie
per l’attuale incertezza dei confini e dei fondamenti della critica e non sono, ad ogni modo, né la Storia della letteratura del De
della storiografia letteraria, quale si rivela, tra l’altro, nel crescente Sanctis, né poi quelle del Momigliano, del Flora, del Sapegno,
discredito e nel progressivo abbandono dei quadri e dei metodi che molto liberamente e indirettamente ne sono derivate. Anzi, ci
artistici e letterari di conoscenza, per far posto ad altri quadri e sembra che esse partecipino tutte in diverso modo di quel carattere
metodi (storici, filosofici, ideologici o genericamente culturali), onde «la storia della letteratura si definisce come storia della
che non solo vengono con sempre maggior frequenza assunti dal civiltà», carattere che essendo eminentemente proprio della
critico e dallo storico letterario nella illusione di pervenire da più capostipite, non so come possa presentarsi qui come nuovo e
aggiornate premesse storicistiche e culturalistiche a più esatte tale da contraddistinguere questa storia garzantiana. Diremo
conoscenze critico–estetiche, ma comportano ora addirittura semmai che tale storia si presenta qui, certo senza che gli ideatori
l’intervento degli studiosi stessi cui sono familiari quei quadri e lo volessero e lo pensassero, come lo specchio più sincero della
quei metodi, cioè di veri e propri storici (civili o della cultura), decadenza o del definitivo esaurimento, appunto, di quella
filosofi, ideologi, ecc., chiamati a integrare l’opera dei letterati in tradizione storiografica romantico–desanctisiana, che concepisce
merito a momenti e figure in ogni caso fondamentali della storia la storia letteraria come una storia della civiltà italiana. E diremo
letteraria.
ancora ch’essa è il frutto persino prevedibile della penosa
È questa appunto la novità più grossa e significativa, che confusione di idee che successivi storicismi e sociologismi hanno
risalta nel piano dell’opera. Ove, a parte certe novità in fatto di portato nel campo degli studi letterari.
partizione della materia e di periodizzazione
Se infatti l’approssimativa mitologia
storiografica, su cui è prudente riservare il
storicistico–idealistica di estrazione
giudizio per quando saranno apparsi tutti o « Liberarsi dagli impacci ideologici hegeliana non aveva impedito al grande
quasi tutti i volumi 2), quel che colpisce e per ricavare il senso della civiltà critico e scrittore che fu il De Sanctis di
che non appare in ogni caso né casuale né dal cuore stesso della parola » comporre un’opera geniale e viva, e se
provvisorio, è il notevole predominio che
l’influenza del Croce aveva poi aiutato i suoi
gli interessi storico–culturali (teologici,
seguaci a liberarsi in vario modo dagli
politici, sociali, ideologici) e i collaboratori che li rappresentano impacci ideologici per ricavare il senso della civiltà italiana dal
«pleno iure», cioè non letterati ma storici di professione, assumono cuore stesso della parola e dalla sua storia autonomamente
nelle parti più rappresentative dell’opera.
sensibile e significativa —talché, con l’opera floriana, la situazione
Nel volume quarto, dedicato al Cinquecento, cioè al secolo sembra ormai matura per un radicale ripensamento del problema
indubbiamente più «letterato» di tutta la nostra storia, un’unica della storiografia letteraria—; ancora non s’erano fatti i conti,
sezione letteraria, dal titolo Letteratura del classicismo dal Bembo ahinoi!, con la moda del nuovo ideologismo marxista e non marxista,
al Tasso, affidato alla diligente competenza del Bonora, non sembra introdottosi dopo la guerra nei nostri studi, per cause e fini del
messa nel debito rilievo, chiusa com’è tra le altre due sezioni, tutto estranei a quelli della scienza 6).
rispettivamente su Machiavelli. Storici e politici del primo
Grossi editori si misero in gara a ripubblicare e a riverniciare il
Cinquecento, e su Teologi, politici e storici del tardo De Sanctis; il cadavere del vecchio metodo ottocentesco fu
Cinquecento, ambedue curate da uno storico «engagé» come il richiamato in vita e rivestito nei panni del nuovo e più scaltrito
Cantimori.
storicismo; e il risultato fu che oggi, per buttar giù due idee sul
Nel volume successivo, contro ben tre parti di prevalente D’Annunzio, un critico ritiene indispensabile affliggere il lettore
interesse culturale, di cui sono responsabili il Firpo (Bruno e con venti pagine su Francesco Crispi e i suoi tempi; che lo
Campanella), il Raimondi (Galilei), e ancora il Cantimori (Paolo studioso del Boccaccio o del Petrarca si sente in dovere di
Sarpi nella crisi della Controriforma), sta un’unica parte (Dalla scodellarti tutta la storia sociale ed economica della Toscana di
lirica al poema eroico) affidata a Claudio Varese, ottimo studioso quel tempo; mentre tra le mani dei liceali circolano poderose
delle nostre lettere, ma non veramente, ci pare, specialista del antologie i cui compilatori prima di porger l’offa di un testo di
Seicento, un secolo che del resto non manca davvero oggi di prosa o di poesia, forniscono al mal capitato scolaro massicce
assidui e qualificati studiosi 3).
dosi di lutulente logomachie sulle condizioni della lotta di classe
Nel volume settimo poi, dedicato all’Ottocento, a parte la totale nei tempi relativi: penosi esempi, non che altro, di inesperienza
scomparsa del Foscolo 4), evidentemente risospinto in compagnia didattica.
del Monti nel gran limbo settecentesco dei neoclassici e dei
Ma se per far capire Dante e l’Ariosto, Machiavelli e
preromantici in cura a Walter Binni, colpisce il curioso carattere di D’Annunzio occorre tanto corredo di nozioni storiche e
omaggio ai defunti ch’esso assume sia con la monografia sul sociologiche, non è meglio lasciar l’incarico di far critica e storia
Manzoni, per la quale l’editore utilizza un profilo divulgativo, opera letteraria a chi quelle nozioni può procurarsi e fornire con tanto
dello scomparso Guglielmo Alberti, già pubblicato nella collana maggiore autorità e minor goffaggine, cioè agli storici veri e propri?
Ed è ciò appunto che avviene ora con questa nuova opera del
«Saper tutto», sia con quella dedicata al Leopardi, che è il ben
altrimenti noto e apprezzabile saggio di Giuseppe De Robertis 5); Garzanti, e se la cosa è aberrante, non è però priva di logica, né del
sicché l’unica interessante, perché nuova, delle tre monografie è tutto inaspettata. Le premesse antiletterarie implicite nella dottrina
ancora quella di uno storico, unico vivo dei tre autori, Ettore e nella Storia desanctisiana (l’idea, insomma, di fare una storia
Passerin d’Entrèves, che tratta delle Correnti culturali e letteraria prendendosela con la letteratura) sono state logicamente
svolte e la poesia e la sua storia muoiono, riassorbite nell’ampio
ideologiche del Risorgimento.
Un po’ più spazio la storia della letteratura se lo guadagna, alveo (o immenso calderone, a seconda dei punti di vista) di una
quanto al numero dei collaboratori, nei primi volumi e nell’ultimo, storiografia civile che, non più soltanto stanca di raccontare
oltre che nel Settecento del Binni; ma se si tien conto che guerre, alleanze e trattati, ma ora persino impaziente di attenersi ai
contenutisti, sociologi, ideologi, culturalisti non mancano neppure suoi temi e ai suoi documenti politici e civili, estende il suo dominio
negli altri volumi che non abbiamo indicato, si dovrà convenire a tutti gli aspetti dell’attività umana, riducendoli tutti, ovviamente,
che questa che ci viene ora annunciata è ormai soltanto di nome alle sue proprie ragioni. Così la letteratura e la poesia diventano
o solo in parte anche di fatto, una «storia della letteratura italiana»; meri documenti illustrativi di situazioni storiche e di correnti
ché in realtà si tratta di una storia della cultura italiana, ove, come ideologiche; così si mortificano un Tasso e un Foscolo, cioè le
si è detto, le conoscenze e soprattutto le prospettive religiose, libere voci della fantasia e della coscienza metapolitica,
filosofiche, storico–politiche, socio–ideologiche, ecc., sono anticonformista e antisettaria, e si esaltano gli storici, i politici, gli
destinate a rappresentare la parte dominante e determinante, il ideologi, riducendone il lato letterario, nel più felice dei casi, a
perno della sua eventuale organicità, riservandosi invece alla questione di stile (di uno stile inteso, naturalmente, nel senso più
letteratura e alla poesia, cioè alle conoscenze e alle prospettive triviale, come forma di un contenuto di natura sostanzialmente
segue in seconda
artistiche e creative, un ruolo sostanzialmente se non
Note al testo
Croce e altri studi di storia
della critica italiana. Vita e
Pensiero. Milano. 1986. IV.3
1)—Storia della letteratura
italiana. Direttori: Emilio
Cecchi e Natalino Sapegno.
Saggio nel formato dell’opera con una scelta di
capitoli integralmente riprodotti e con 63 illustrazioni in facsimile, Milano
1965.
2)—Strano è, per esempio, il
titolo del terzo vol. Il Quattrocento e l’Ariosto: potrebbe essere giusto sottrarre l’Ariosto alla costrizione di una precisa collocazione in un secolo; ma
allora perché non fare lo
stesso con Dante, che invece figura nel volume del
Trecento, e nemmeno da
solo, ma in compagnia del
Petrarca? Un’altra stranezza è la collocazione del
Carducci e dei Veristi nel
Novecento, che poi però
sono venuti a far parte del
vol. Dall’Ottocento al Novecento.
3)—In realtà poi i tre studiosi della cultura secentesca
sono stati sostituiti rispettivamente da N. Badaloni,
F. Brunetti e G. Cozzi,
mentre al saggio di Varese
è stato dato il nuovo titolo: Teatro, prosa, poesia.
4)—Poi vi è stato inserito.
5)—Poi sostituito da N. Sapegno.
6)—Che il fatto abbia poi
avuto qualche contraccolpo positivo, è ovvio: tutti
gli errori contengono, del
resto, qualche verità.
Risposta alla
Lettera al ‘narratario’.
C
di Fabio Trazza
Milano, 15/10/2005
osì, caro professor
Girardi, svelando la sua
indignata amarezza, che
mi appare in quel suo
deciso, secco «No», ha
svelato anche identità e
temperamento di uno
dei miei venticinque
lettori. Mi fa piacere.
Ma soprattutto mi onora
sapere che quelle poche
cose che scrivo possono
servire anche a far
leggere meglio quanto
altri scrivono su altri
fogli e a indurre a
denunciare i limiti delle
cose, per superarli,
andando al cuore della
parola. Mi dispiace
invece molto dover
credere che il Corriere
della Sera sia rimasto
così a corto di spazi, da
doversi limitare alla
sola gentile accoglienza
della Sua lettera.
Il narratario,
evidentemente, ne ha di
più e pubblica le sue
analisi. Lo spazio in un
giornale, infatti, non è
solo una questione
fisica, ma anche un
ambito in cui
decidiamo, se ne siamo
capaci, di far apparire,
comunicandocelo,
qualcosa di vero,
qualcosa di bello.
Ma, Lei lo sa,
noi tutti si vorrebbe
pensassimo ai polli.
il
narratario
pagina 2
sabato 15 ottobre 2005
laboratorio di testi: racconti analisi rapsodie epopee
continua dalla prima
extra–poetica), e perdendosi la profonda nozione della poesia
come principio e fondazione stessa della cultura e della storia.
A questo punto peraltro qualcuno potrebbe obbiettarmi che, dopotutto,
Machiavelli e Guicciardini, Sarpi e Campanella, Gioberti e Oriani appartengono
più alla storia delle idee politiche e filosofiche che non a quella della poesia e della
letteratura, e che sono semmai la poesia e la letteratura che in passato l’hanno
fatta da padrone in casa d’altri, inglobando nei propri domini persone e opere che
non sarebbero appartenute loro di diritto. Al che, uno potrebbe perfino essere
tentato di istituire una specie di revisione dei passaporti per rispedire oltre confine
gli abusivi delle patrie lettere!
In realtà, qui si tocca il vero punto critico di tutta la questione. Ovviamente,
non si tratta di rivendicare proprietà di uomini e di opere più o meno chiaramente
aggiudicabili o divisibili; si tratta invece di stabilire e di rispettare la proprietà
delle prospettive e dei metodi; si tratta, almeno, di non tornare indietro, al
confusionismo arruffone e inconcludente di prima del Croce! Una volta fissati il
fine ed i mezzi di una storiografia letteraria autonoma, ove la poesia e la letteratura
non siano ripensate come oggetto, ma come soggetto di storia, non come deposito
di altri valori, ma come valore esse stesse, la determinazione anche materiale dei
confini tra la storia letteraria ed il resto, è cosa che vien da sé; e a nessun letterato
che abbia idee chiare sul suo mestiere verrà in mente di poter trattare il Machiavelli
come un mero stilista, come a nessun sociologo di utilizzare la poesia del Leopardi
come una testimonianza più o meno diretta dell’avvento al potere della borghesia
industriale!
Dovrebbe dunque esser chiaro che non si propone affatto il ritorno a una
storia della letteratura come storia di forme o di generi, di poetiche o di scuole.
Questo stesso saggio della Storia garzantiana la dice, del resto, abbastanza lunga,
in più di un punto, sulla facile connivenza che può stabilirsi fra quei due opposti
e simili modi di peccare contro l’arte della parola che sono il contenutismo e il
formalismo. Si propone invece di porre 1’accento sul principio stesso che è alla
base di ogni vicenda di forme e di contenuti, il principio della originaria creatività
della parola, di cui la storia dell’istituto letterario, nelle sue diverse manifestazione
e nei suoi momenti di vigore o di crisi, di stasi o di trasformazione, rivela l’incessante,
necessario e imprevedibile operare.
Non sarebbe il caso, qui, di dire di più. E si sarebbe certo detto già troppo, se
si fosse trattato di discorrere d’una delle tante iniziative dell’editoria attuale per la
cultura o piuttosto incultura di massa. Si è parlato invece di un’opera di
notevolissimo impegno scientifico e divulgativo, il cui valore come raccolta di
monografie cronologicamente ordinate sulla cultura italiana appare, anche per
quanto già si può dedurre dagli esempi compresi in questo saggio, indiscutibile.
N
el licenziare la presente nota, a puntuale conferma della opportunità delle
sue ragioni mi giunge il primo volume dell’opera, con due introduzioni, del Sapegno
e del Cecchi, che prospettano appunto in termini ancora sostanzialmente crociani,
e dunque in senso negativo, la questione delle possibilità di una storia letteraria.
Dice qui il Sapegno, tra l’altro, che l’aporia, apparentemente irriducibile, tra una
storia letteraria sociologica che avvilisce le opere poetiche a documenti e gli
opposti e altrettanto astratti tentativi di storicizzazione degli elementi tecnici,
rettorici e formali, «può esser superata soltanto ove si ritorni all’impostazione
desanctisiana e si riconosca che i fatti artistici (ma non essi soli, anche i sistemi
filosofici, i progressi della scienza, gli eventi politici) mentre non si costituiscono
in una serie autonoma e astrattamente riconoscibile in un ambito chiuso, crescono, e pertanto diventano oggetto di concreto studio solo in quanto si collocano
nel flusso totale delle condizioni storiche...». Ma se non è possibile una storia
letteraria (e neppure una storia della filosofia, e della scienza, e la stessa storia
politica), come sarà possibile una storia totale? come si potrà intendere, dico, il
flusso totale delle condizioni storiche? Questo flusso totale non è che l’intreccio
di tanti flussi particolari, ciascuno dei quali, del resto, basta da solo a rispecchiare
il senso universale delle cose. Dunque, l’unico modo, perché una storia della
letteratura sia anche storia della civiltà, è che sia veramente storia della letteratura, ove la letteratura figuri come soggetto e fondamento delle sue stesse condizioni: una storia, insomma, fatta da chi crede nella letteratura, o, almeno, da chi
riconosca che molti, in passato, vi hanno creduto, e vi si sono travagliati.
A proposito del concetto di letteratura*
La domanda: «che cosa è la letteratura?» è motivo di controversia non solo quanto alle risposte che le
si possono dare, ma anche quanto all’opportunità di
porla.
Un esempio di ciò lo troviamo nel primo volume
della nuova opera einaudiana che si intitola Letteratura italiana. Nel saggio introduttivo il curatore dell’opera, A. Asor Rosa, intitola un paragrafo appunto a
questa domanda; ma la mette tra virgolette, come per
prenderla con le molle, precisando infatti di doversi
«sottrarre a tale quesito, subito dopo averlo posto» in
quanto dubita «che sia utile affrontare» in quella sede
«una discussione di estetica o anche di teoria letteraria, alla ricerca di un fondamento oggettivo, di una
di Enzo Noè Girardi
certezza inconfutabile. La caratteristica congenita di
questo tipo di discorso, infatti, è nella grande maggioranza dei casi di lasciare ancor più insoddisfatto e confuso il lettore», perché «quando una risposta precisa
ed univoca... sia pervenuta, proprio allora ci si accorge di quante cose non siano contenute in quella risposta e subito si corre a cercarle altrove» 1).
Si può obbiettare che oggi probabilmente neppure
i teologi pretendono che alla domanda: chi è Dio?, si
risponda in termini inconfutabili o tali da accontentare
tutti, sempre e comunque. Figurarsi se lo si pretende
nella definizione di cose umane e umanamente sempre
opinabili, come, per esempio, la medicina, l’economia
e, per l’appunto, l’arte e la letteratura!
n
D’altra parte, ci si ponga o non ci si ponga la domanda, la risposta si ricava ugualmente dal tenore del
discorso che si fa. Chi legga l’intero saggio e dia anche solo uno sguardo ai titoli dei vari capitoli di questo primo volume si rende subito conto che, per l’Asor
Rosa, come per l’editore Einaudi, la letteratura continua ad essere quella che per l’ortodossia marxista è
sempre stata: produzione culturale, non necessariamente artistica, condizionata e, alla lunga, determinata
come ogni produzione dal potere, cioè dai rapporti di
classe. Dunque, in termini marxisticamente corretti, una
«sovrastruttura», non conoscibile che movendo dalle
«strutture» del potere; e la cui conoscenza, d’altra parsegue in basso
il
laboratorio di testi
racconti analisi
rapsodie epopee
il
arratario
periodico quindicinale
anno undicesimo numero diciassette
2005 sabato 15 ottobre
Note al testo
*Croce
Da: Manzoni, De Sanctis,
e altri studi di storia
della critica italiana. Vita e
Pensiero. Milano. 1986. IV.4
1)—AA.VV., Letteratura italiana, Vol. I, Torino 1982, p. 17.
Nota bibliografica
Dò qui l’indicazione dell’edizione originaria dei singoli studi:
—I, l: C. G. Londonio (17801845) nel secondo centenario
della nascita in «Rendiconti
dell’Istituto Lombardo di scienze e lettere», Parte generale e
Atti ufficiali, voI. 115 (1981),
Milano 1984, pp. 115-140;
—I, 2: Sul Manzoni critico, in
Studi di Letteratura e Storia in
memoria di Antonio di Pietro,
Vita e Pensiero, Pubblicazioni
della Università cattolica, Milano 1977, pp. 124-159;
—I, 3: Lo storico della letteratura, in C. Cantù nella vita italiana dell’Ottocento, Mazzotta, Milano 1985, pp. 183-194;
—II, l: in De Sanctis e il realismo, Atti del Convegno, Giannini Editore, Napoli 1978, pp.
217-247;
—II, 2: in «Testo» n. 5 (lu.dic. 1983), pp. 3-4;
—II, 3: in Cultura e società in
Italia nell’età umbertina, Vita
e Pensiero, Pubblicazioni della
Università cattolica, Milano
1981, pp. 207-239;
—III, l: L’opera critica di B.
Croce: i fondamenti teorici, in
«Otto/Novecento», n. 2 (mar.apr. 1977), pp. 42-90;
—IlI, 2: in Studi sull’Ariosto,
Vita e Pensiero, Pubblicazioni
della Università cattolica, Milano 1877, pp. 13-38;
—IlI, 3: in Cultura e società in
Italia nel primo Novecento,
Atti del Convegno 1981, ibid.
1984, pp. 455-481;
—IV, l: in Lezioni di Storia della
critica, corso universitario (pro
manuscripto);
—IV, 2: in «Testo», II, l (gen.giu. 1981), pp. 156-160;
—IV, 3, in «Aevum», a. XL
(1966), fasc. I-Il, pp. 189-193;
—IV, 4, in «Testo», n. 4 (gen.giu. 1983), pp. 127-129.
narratario
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la consegna alle poste italiane
autorizzazione
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34/95 - 28.1.1995
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segue dall’alto
te, non serve ad altro che a confermare ed arricchire la conoscenza di tali strutture e del potere che rappresentano.
Ora, definizioni di questo genere i marxisti non hanno mai
esitato a formularle e a sbandierarle finché il loro sociologismo
poté presentarsi come una prospettiva nuova, almeno per l’Italia, capace di ridare interesse e vitalità a studi che erano rimasti
troppo a lungo bloccati negli astratti schemi dell’epigonismo
crociano (poesia e non poesia, poesia e struttura, liricità e cosmicità, ecc.). Ma poi, da un lato lo stesso sociologismo è venuto inaridendosi in formule generiche e ripetitive (e non parliamo
delle sue applicazioni manualistiche dove, si tratti di Dante o di
Montale, di Boccaccio o di Goldoni, il salmo finisce sempre nel
solito gloria dell’immancabile rispecchiamento della borghesia);
dall’altro, l’invasione straniera di nuove teorie e di nuovi, sofisticatissimi metodi di analisi testuale variamente ispirati alla neolinguistica, allo strutturalismo, alla psicoanalisi, alla simbolica,
ha fatto nascere il dubbio che le cose siano più complesse, cioè
che la letteratura possa sì anche essere considerata come documento della società ma che in se stessa sia qualche cosa d’altro
e, come tale, significhi anche qualche cosa d’altro. Talché coloro che, come l’Asor Rosa, non possono o non vogliono rinunciare al solito discorso, non trovano di meglio che dare il nome
di letteratura a tutte le circostanze storico–geografiche, socio–
ambientali e politico–economiche, nonché a tutti i dati e i fatti
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direttore responsabile Fabio Trazza
che ne costituiscono i contenuti e le forme, evitando tuttavia
accuratamente di dire che cosa sia ciò che tutte queste cose
giustifica e tiene insieme, e coonestando d’altra parte la reticenza con un argomentare che, se posso dirlo, mi fa venire in mente
don Abbondio quando, tentando di dissuadere il cardinale dalla pretesa di chiarire il ruolo del curato nella faccenda del mancato matrimonio, parla di «una confusione tale, da non poter,
neppure al giorno d’oggi, vederci chiaro», facendo «rispettosamente intendere che sarebbe indiscrezione il volerne sapere
di più».
Non vorrei si pensasse che profitto dell’occasione per parlar troppo male di questa recentissima iniziativa editoriale che, a
parte l’impianto ideologico, del resto prevedibile, aduna già in
questo primo volume contributi specialistici di indubbia rilevanza e per il pregio intrinseco e per il prestigio di alcuni dei
redattori, anche se, per un lato, si tratta di contributi esorbitanti
e per l’altro insufficienti relativamente a un discorso di letteratura.
Mi premeva invece chiarire con questo esempio che porsi
quella domanda, nonché utile, è indispensabile, anche se poi la
si elude, proprio quando, come oggi avviene, circa il concetto
di letteratura c’è una «confusione tale» che non si fa più distinzione tra letteratura creativa e letteratura critica, Carolina Invernizio viene messa sullo stesso piano di Dante Alighieri, e nell’elenco degli scrittori italiani moderni «che veramente conta-
no» si esclude il Manzoni, come fa appunto l’Asor Rosa, senza
preoccuparsi, non foss’altro che per rispetto dell’opinione pubblica, di spiegare il perché.
Allora nasce il problema di distinguere non già tra ciò che è
soggettivo e ciò che dovrebbe essere assolutamente obiettivo
e inconfutabile, bensì tra chi trovando nella confusione e nella
indistinzione delle funzioni e dei valori il proprio interesse personale o quello della propria consorteria accademica o della
propria parte politica, teorizza donabbondiescamente l’impossibilità di vederci chiaro; e chi, volendo comunque vederci chiaro, fa proprio il metodo della scienza, cioè assume motivatamente una plausibile ipotesi di risposta, e si industria di provare se,
per avventura, nell’ambito di quella ipotesi, cioè con quella definizione di letteratura non sia possibile spiegare molti più fatti
letterari di quelli che si sono finora spiegati con altre definizioni,
senza arrivare all’assurdo di dare il nome di letteratura «omnibus rebus et quibusdam aliis». La differenza tra soggettivismo
e obiettività sta tutta qui: l’obiettività non è, in letteratura come
in scienza, che una soggettività che si impone sulle altre entro
uno spazio più o meno vasto e per un tempo più o meno lungo,
perché più ragionevole e più ragionata e provata; e chi ha paura
dei ragionamenti o, come dicevano i contraddittori del De Sanctis, della metafisica applicata alla letteratura, o è perché non li
sa fare, o perché non ha interesse che la gente si abitui a ragionare, senza escludere che sia per tutte e due le ragioni insieme.