juliet 164 - Julietartmagazine

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juliet 164 - Julietartmagazine
n. 164 October - November 2013
Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. - 70% - DCB Trieste | P. O. Box 986 34100 Trieste | ISSN 11222050 | EURO 9,00
SOMMARIO
editoriale
Copertina
Roberto Cuoghi “Belinda” 2013, esemplare unico,
polistirolo, sabbia granitica, ferro, cenere, 450x315x400 cm,
"Il Palazzo Enciclopedico" all’Arsenale, ph L. Marucci,
courtesy l’Artista
SPECIALE BIENNALE
42 | Il Palazzo della Biennale ri-strutturato da Gioni / Luciano Marucci
51 | Servizio fotografico / Alessio Curto
FOCUS
52 | Davide Balliano. Ordini nascosti / Stefania Facco
58 | Sparizioni e/o apparizioni. Alessandra Borsetti Venier / Enzo Minarelli
67 | DisobedienceArchive / Ivana Mulatero
69 | Elena Von Hessen. Happy happy / Roberto Vidali
73 | Marie Denis. "Lucy" / Paola Valenti
74 | Viljam Lavrenčič. Preclusione / Alessio Curto
77 | Simryn Gill. Purificazione / Elisabetta Bacci
80 | Davide Bramante. “Compressioni” / S. P. Gorney
INTERVISTA
54 | Forme di Artivismo / Luciano Marucci
56 | Alessandro Possati. “About Straight” / Emanuele Magri
60 | English Breakfast [11]. Marcus Dickey Horley / Matilde Martinetti
62 | Karlsruhe. ZKM / Emanuele Magri
64 | Fabbriche di idee. Chapelle Saint Jacques / Stefania Meazza
70 | Silvia Giambrone / Maria Vinelli
75 | Fondazione Bonotto / Francesca Agostinelli
78 | Paolo Luisi. Art&Space / Gianfranco Paliaga
PRESENTAZIONE
66 | Rayographs / Daniela Giacometti e Luigi Tolotti
79 | Giorgio Battistelli. I linguaggi s'incrociano / Nikla Cingolani
RECENSIONE
68 | Cuneo Vualà. Taccuini di viaggio / Ivana Mulatero
72 | Emanuele Rossini. “Emaki” / Bruna Condoleo
76 | Enrico Lombardi. La verità dell’immagine / Francesco Giulio Farachi
83 | Locating ourselves in Sarah Sze’s Biennale / Leda Cempellin
L’editoriale di questo numero è contenuto nel video che si può scorrere
in “realtà aumentata”, inquadrando l’immagine con qualsiasi smartphone/
tablet usando Layar (scaricabile gratuitamente su get.layar.com). Il video
è anche on line sul sito : julietartmagazine.com
Gli articoli segnati da una “nuvoletta” stilizzata indicano che il servizio, arricchito
di immagini o di video, lo si può trovare anche su Juliet Cloud Magazine, la nuova
“app” scaricabile gratuitamente da itunes.apple.com/it/app/juliet-cloud-magazine/
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FOTORITRATTO
71 | Maurizio Melozzi / Fabio Rinaldi
85 | Nina Colantoni / Luca Carrà
RUBRICA
81 | P. P.* Pietro Gaglianò / Angelo Bianco
82 | Ho del museo III / Angelo Bianco
84 | Micaela Zucconi / Serenella Dorigo
inediti su
julietartmagazine.com
SPRAY
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86 | Recensione mostre / AAVV
89 | Chi è il nemico? / Pino Boresta
95 | El papin: Fisco/Vischio / Giacomino Pixi
62 | JULIET 164
KARLSRUHE
ZKM
words E M A N U E L E M A G R I
Lo ZKM (Zentrum fur Kunst und Medientechnologie Karlsrue) è
un’istituzione culturale unica nel suo genere. È diretto dal professor Peter
Weibel che, oltre a molti altri incarichi, è stato Commissario austriaco
della Biennale di Venezia dal 1993 al 99. Comprende il Museo di Arte
Contemporanea, il Media Museum , l’Istituto Media visivi , l’Istituto per la
Musica e Acustica e l’Istituto per l’Istruzione e l’Economia dei Media. La sua
caratteristica principale è quella di essere incentrato sulle nuove tecnologie
infatti le due mostre in corso in questo momento sono una sulla videoarte in
Asia e l’altra su opere video provenienti dall’est Europa.
Al Media Museum, il primo e unico museo al mondo per l’arte interattiva,
la mostra “Move on Asia. Video Art in Asia 2002 to 2012” è un progetto
in collaborazione con “The Alternative Space LOOP” di Seul e presenta le
ricerche nel campo della videoarte (140 lavori provenienti da Cina, Hong
Kong, India, Indonesia, Giappone, Corea, Pakistan, Filippine, Singapore, Sri
Lanka, Vietnam, Tailandia). Subito, entrando, si è accolti dalla mostra “Du
Zhenjun. Babel World”, una serie di grandi opere in cui l’artista di Shanghai
ci presenta, attraverso l’elaborazione delle immagini digitali, un mondo di
distruzione, di morte, di stenti, che giace alle pendici di costruzioni che si
REPORTAGE
Tzu Nyen Ho "The Cloud of Unknowing“ 2011, still da video, courtesy Tzu Nyen Ho
elevano in maniera abnorme e che sono le contemporanee e futuribili Torri
di Babele. Ottenute attraverso l’accumulazione di edifici storici e grattacieli
contemporanei sono raffigurati già in rovina e sovrastano un’umanità
occupata in macabre sfilate carnevalesche, inondazioni, catastrofi, guerre e
quant’altra calamità.
E ancora, sempre di Du Zhenjun, la mega installazione “Global Fire”: in
un’enorme cupola gonfiabile (12 metri x 8) assistiamo a un incendio di
bandiere di duecento nazioni. Lo spettatore interagisce accendendo con
degli accendini la fiamma virtuale che arriva fino alla sommità della cupola.
Se fatti scattare contemporaneamente si ha un effetto di totale e travolgente
esplosione. I video sono proiettati e si vedono dentro sulle pareti curve ma
anche da fuori praticamente da ogni parte del museo che è su tre piani e
consente visioni in continua trasformazione.
Postazioni di tutti i tipi, dalla più semplice, col monitor, alla video
installazione interattiva “40+4, art is not enough! Not enough!” con le
interviste a quaranta artisti di Shanghai. O a quella di Kiyoshi Furukawa e
Wolfgang Muench “Bubbles” in cui mettendosi tra il proiettore di luce e lo
schermo la nostra ombra interagisce con le bolle proiettate e sullo schermo
e abbiamo così il nostro gioco da bambini. Passando per cubi in cui si entra
attraverso tende, labirintiche pareti, o aperti, in cui domina l’interattività: si
fa funzionare il video di Jeffrey Shaw “The Legible City” pedalando su una
cyclette facendo un fantastico giro virtuale tra pareti di scritte che si possono
attraversare senza problemi, seguendo uno schema che uno controlla su
un display che indica la posizione della bicicletta cosicché si è invogliati a
raggiungere la meta, attraversando l’intero percorso.
Il discorso generale sembrerebbe essere quello dell’attenzione alla visione.
Questo è il motivo dominante mentre i temi possono essere tanti come
quello dell’espansione della città molto sentito in Oriente. Il coreano Yongho
Kim con “Study for The Hay Wain by John Constable” mette in mostra un
quadro di Constable, uno dei suoi famosi paesaggi idillici e romantici, nel
senso che il video ha la sua brava cornice. Noi guardiamo il quadro e siamo
accompagnati da una lente di ingrandimento che si muove sull’opera e dalle
cuffie che ci restituiscono i rumori che provengono da quel punto. Quando
passa sul ruscello sentiamo l’acqua che scorre, quando passa tra le fronde
degli alberi sentiamo gli uccellini, quando passa nel cielo azzurro con qualche
spruzzata di nuvole bianche sentiamo l’aria. Ma poi quando passa sulla
verde campagna, improvvisamente cominciamo a vedere delle macchine che
passano con il loro rombo, l’autostrada e in lontananza si apre uno squarcio
REPORTAGE
JULIET 164 | 63
Tzu Nyen Ho "The Cloud of Unknowing“ 2011, still da video, courtesy Tzu Nyen Ho
su una serie di case e grattacieli. La città che incombe. Dopo aver fatto un
secondo giro quando ripassa in quel punto ormai è tutta metropoli, lo spettro
delle megalopoli orientali che incombe sul paesaggio occidentale. In “The
Visitor” il taiwanese Wang Yahui ci invita a entrare insieme a una nuvoletta
bianca in una casa. La nuvoletta passa nelle varie stanze, cucina, bagno,
anche davanti allo specchio con relativo specchiarsi, in camera da letto, in
sala. Poi, con un po’ di malinconia prende una porta finestra e se ne esce. Ma
a quel punto la vediamo scorrere sopra tetti di lamiere, una strada trafficata e
dirigersi verso un fiume al di là del quale intravediamo la metropoli. Mentre
il giapponese Yu Araki con “Deep Search” ci invita a penetrare con la camera
dentro al corpo, trasformando una endoscopia in un viaggio nel tunnel tra
le viscere. Nell’opera “Kara Oke” Wang Gongxin ci fa entrare in una bocca
che quando si apre lascia intravedere i denti all’interno dei quali compaiono,
come fantasmi, persone che, appunto, si stanno esercitando in uno dei
più diffusi intrattenimenti in Cina. Così come l’artista indiana Shakuntala
Kulkarni che squarcia l’indumento marziale che le copre il petto per farci
vedere sé stessa come arciere. “The role I Would Love to Play, Messiah II”
si rifà ai miti induisti per proporre una nuova immagine della donna. Una
nuvola stavolta di fumo è la protagonista di “The cloud of unknowing” di Tzu
Nyen Ho. Di questo artista di Singapore che lavora con i più svariati mezzi
sono presenti più lavori. In questo la nuvola di fumo è quella che avvolge
un gruppo musicale scatenato, un incubo in una stanza da cui si esce, si
attraversa la facciata del palazzo e ci si ritrova a un’altra finestra da cui sta
uscendo fumo. In quel momento da dietro lo schermo si materializza del
fumo veramente prodotto da una macchina per effetti speciali e che fa parte
dell’installazione. L’indonesiano Reza Afisina con “My Chemical Sisters” ci
mostra l’avvenenza delle immagini che pubblicizzano i prodotti di bellezza
mentre sotto scorrono i nomi delle sostanze chimiche con cui sono prodotti.
Proviene da Hong Kong il video di Chila Howard Cheng “Stiffen Water”
che mette insieme nella stessa fontana citazioni di Bruce Nauman (Self
portrait as a Fountain), Duchamp, Warhol, e il Serrano di “Piss Christ”. Il
lavoro del tailandese Sudsiri Pui-ock si basa su sovrapposizioni di immagini
che comportano l’annullarsi dell’uomo nella natura come in “The tatami
room” in cui l’uomo che si inginocchia e si prostra in preghiera in un campo
diventa esso stesso paglia, o in questo “Farmer” in cui il coltivatore di riso
si perde tra acqua, cielo e nuvole. Mentre la protgonista del video“Made
in Bangladesh” di Thisath Thoradeniya, dello Sri Lanka, è la macchina da
cucire che passa e ripassa sul tessuto da preparare. I fratelli vietnamiti Le
Duc Hai & Ngoc Yhanh, nella performance “A human mirror”, mettono in
scena un rito che si rifà alla tradizione del loro paese in uno spazio rosso
e accompagnati da una musica e da gesti altrettanto rituali con l’uso di
specchi, versandosi addosso liquido, legandosi con delle corde rosse come
i teli che fanno da sfondo. Poi uno ricopre l’altro di fiori, si corica su di
lui, l’altro si rialza e si libera dalle corde e ricopre l’altro con dello scotch
trasparente. La stessa ritualità è presente in “Comunicate with time” in cui
i due si dispongono uno al di qua e l’altro al di là di una tenda trasparente
e poi si cercano, si legano con delle corde, si slegano e così via. Il filippino
Cocoy Lumbao “Index (Elevated train: three Stations)” ci pone nella
situazione in cui siamo stati tutti una volta. Nella posizione di guida di un
treno che ci permette di vedere il percorso dritto sulle rotaie davanti a noi.
In un primo tempo siamo affascinati, ma poco dopo, quando ci accorgiamo
che l’immagine è sempre uguale a sé stessa, abbiamo come un senso di
delusione. Così è la vita tra una stazione e l’altra.
Il lunghissimo e amplissimo palazzo, che fu una fabbrica di munizioni (ah,
se finissero tutti così!) ospita al centro il Media Museum e sui lati da una
parte la “Stadtische Galerie” con importanti opere degli artisti tedeschi più
noti e dall’altra il Museo di Arte Contemporanea in cui, ora, c’è la mostra
intitolata “One sixth of the earth, ecologies of image” che riguarda tematiche
svolte da artisti della fase post sovietica. La prima parte dell’esposizione è
dedicata all’eredità lasciata dalla Rivoluzione di Ottobre mentre la seconda
ha più a che fare coi problemi di genere sessuale e con l’ecologia. Si tratta
sempre di video, secondo la tendenza dello ZKM, anche qui mostrati in varie
soluzioni come per esempio la creazione di nicchie con panchine che hanno
come piano un cuscino di gommapiuma che simula la tipica lastra di granito
che troviamo a volte nei parchi cittadini.Definito “Mecca of media art” il
ZKM sponsorizza, oltre alla ricerca artistica contemporanea, video come
quello che si può ammirare nel “Landesmuseum”, dentro al Castello, nella
sezione di arte antica dedicato al mitico sito archeologico di Catal Huyuk che,
per il piacere degli amanti del genere, riproduce una visita virtuale dentro
al villaggio e al tempio con le teste di toro. Sullo stesso piano, dalla parte
opposta, prima di salire per percorrere la storia della città, c’è una mostra
molto interessante sulla rivoluzione tunisina con una serie di immagini
esaltanti del popolo che combatte per i suoi diritti. In una vediamo la scritta
su un palazzo “Merci le peuple, merci Facebook” che la dice lunga su quello
che noi stessi stiamo vivendo.