Nuove guerre, guerre interstatali, guerra globale

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Nuove guerre, guerre interstatali, guerra globale
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SPUNTI DI RIFLESSIONE
Nuove guerre, guerre
interstatali, guerra globale
Il nuovo (dis)ordine internazionale dopo la fine della guerra fredda1
Dino Barra
In questo articolo parliamo della natura dei conflitti verificatisi negli ultimi quindici anni, quelli che
vanno dalla disgregazione dell’Urss (1991), evento che sancisce, forse più della caduta del Muro di
Berlino, la fine effettiva della guerra fredda (anticipata di qualche mese dallo scioglimento del Patto di
Varsavia), fino all’intervento armato degli Usa
contro l’Iraq di Saddam Hussein (2003).
Sono anni ricchi di eventi internazionali che, per
quanto vicini, non sono tuttavia riducibili a mera cronaca. Essi configurano una tendenza, un processo di
trasformazione rispetto al quadro precedente della
guerra fredda, sulle cui caratteristiche il dibattito tra
gli studiosi è aperto. Vale forse la pena di coinvolgere
gli studenti in una riflessione, per offrire loro – per
afferrare con loro – chiavi e strumenti di lettura di
questo lato del nostro presente: in modo aperto, problematico, provvisorio, esattamente come il dibattito in corso.
Un percorso che assumesse a suo oggetto di interesse il tema dei conflitti dopo la guerra fredda dovrebbe perseguire, a nostro parere, competenze
cognitive e competenze sociali: far acquisire agli
studenti chiavi di lettura degli eventi internazionali più recenti, ma anche sperimentare con gli studenti stessi possibilità di partecipazione alle vicende
di quello spazio pubblico e condiviso che è il mondo,
contribuendo a creare una percezione della storia
come costruzione collettiva, come insieme di eventi
e processi al cui svolgimento contribuiscono le scelte
e le azioni di ogni individuo.
Vi è consapevolezza da parte di chi scrive che queste finalità non si possano costruire solamente attraverso la proposizione di contenuti e apparati concettuali. Diventa cruciale l’approccio didattico –
educativo, e da questo punto di vista la scelta più idonea ci appare quella della didattica laboratoriale da
un lato – didattica della ricerca, dell’interrogazione,
del dubbio, in grado di rendere consapevoli gli studenti della complessità dei problemi; della didattica
della partecipazione dall’altro lato, capace di prevedere occasioni di spendibilità pubblica delle compeStrumentiCres ● Febbraio 2006
tenze/conoscenze acquisite.
In questo articolo, tuttavia, rinunciamo a parlare
di opzioni metodologiche. Non discutiamo nemmeno le obiezioni possibili alla proposta di un percorso
su eventi così recenti (la eccessiva attualità dei fatti, i
vincoli contenutistico – temporali del programma,
ecc.) limitandoci a ribadire semplicemente la sua
fattibilità e utilità formativa. Proponiamo, invece,
concetti chiave e modelli di interpretazione
dei conflitti degli ultimi quindici anni a nostro giudizio didatticamente utilizzabili, presi
a prestito dalla ormai abbondante letteratura sull’argomento.
Le “nuove guerre”
Per denominare e distinguere la specificità dei conflitti del dopo guerra fredda, alcuni analisti propongono il concetto di “nuove guerre”.
Le “nuove guerre” sono quelle che si sottraggono
al modello clausewitziano: guerra come prosecuzione della politica di potenza dello Stato con altri mezzi, come espressione di un calcolo razionale dello Stato impegnato a perseguire i suoi interessi, come attività monopolizzata dallo Stato.
Le “nuove guerre” “non sono più appannaggio
esclusivo o prevalente degli attori statuali …e non
vengono più combattute tra eserciti regolari, ma tra
di essi e le milizie originate dai popoli, o direttamente
tra questi ultimi”. Non sono, in genere, conflitti tra
stati fatti allo scopo di estendere la propria potenza,
ma “conflitti interni, variamente configurabili come
guerre civili, guerre tribali, etniche o religiose, o
guerre economiche scatenate da bande criminali per
il controllo di risorse disputate (Coralluzzo, 2003).
Herfried Münkler, professore di scienza della politica alla Humboldt-Universität di Berlino, suggerisce che la costellazione nella quale si inscrivono le
nuove guerre, espressione della crisi dello Stato-nazione, presenta molti paralleli con le guerre che hanno accompagnato il processo di formazione della
statualità europea. In particolare, il parallelo è con la
guerra dei Trent’Anni. Non solo perché nella guerra combattuta tra il 1618 e il 1648 la violenza fu scatenata anche nei confronti della popolazione civile,
ma soprattutto per la ragione che in essa il processo
di statalizzazione non era ancora compiuto, cosicché
gli attori del conflitto non erano solo gli Stati, ma
anche entità statali e private. Così come avviene in
3
molte delle più recenti guerre.
Due condizioni sarebbero all’origine di questo tipo
di conflitti:
a
la crisi di sovranità dello Stato – nazione, cioè a dire l’indebolimento degli apparati statuali,
sempre più incapaci di mantenere il controllo del territorio e il monopolio sulla forza armata; processo,
questo, a cui non è estraneo quel complesso di fenomeni che va sotto il nome di globalizzazione.
b
L’abbassamento della soglia di accesso al possesso di armi anche sofisticate, provocato dalla
dispersione di conoscenze, tecnologie, risorse finanziarie; ciò fa sì che possano diventare soggetti dei
conflitti “gruppi privati…, bande criminali, organizzazioni non governative e networks transnazionali
(come Al Qaeda), specializzati nell’uso della violenza e annidati là dove il sistema internazionale sprigiona le più forti tensioni politiche, economiche, sociali, culturali, etniche, religiose e demografiche”
(Coralluzzo, 2003).
Molte delle “nuove guerre”, specie quelle interne,
vengono fatte discendere da alcuni studiosi (Desiderio, 2003; Lellouche, 1992) dalla conclusione
della Guerra Fredda e del suo rigido bipolarismo, che
aveva paralizzato qualsiasi Stato e costretto a mantenere inalterato il suo assetto; fiaccatasi questa forza, sarebbe venuto meno il vincolo che tratteneva Stati
artificiosamente compattati che, di conseguenza,
sono esplosi (v. la ex Iugoslavia). “In breve: all’ordine – che era anche un elemento semplificatore – costituito dal duplice spartiacque ideologico e nucleare del mondo di ieri succede il caos delle nazioni, quel
caos che ormai nessuna forza, nessuno stato pare
riuscire da solo a ricondurre all’ordine ”
(Lellouche).
Mary Kaldor (1999) sottolinea che la motivazione fondamentale alla base di queste guerre interne
non più compresse dall’ordine bipolare è la “politica dell’identità”, sostenuta spesso da gruppi
settoriali animati da obiettivi particolaristici, capaci
di mettere in crisi, con la loro azione violenta, gli stessi
meccanismi di legittimazione degli stati. Sarebbe
questo il caso soprattutto dei conflitti nell’Europa
balcanica, nell’ex Urss, nell’Africa centrale, dove peraltro non sembrano essere assenti ragioni anche di
natura più specificamente economica.
Klare (2001) insiste proprio su questo aspetto, cioè
sul fatto che molti conflitti discendono dallo scopo di
accedere in modo privilegiato a risorse giudicate
strategiche (dal petrolio all’acqua al legname pregiato ai diamanti).
Vicino a questa posizione ci sembra essere anche il
gruppo di studiosi che fa capo alla rivista “Le monde
diplomatique”. All’obiettivo di controllare le risorse economiche chiave andrebbero ricondotte alcune
delle guerre civili e tra stati di questi ultimi anni: Sierra Leone, ex Zaire, Israele - Paesi arabi.
Mary Kaldor sottolinea i diversi modi in cui le nuove
guerre vengono combattute rispetto al passato. Ad
agire sono molto spesso gruppi paramilitari, eserciti
irregolari, signori della guerra che adottano, più che
la tattica dello scontro frontale, le strategie della
guerriglia, puntando al controllo del territorio e
della popolazione anche attraverso metodi terroristici
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come le deportazioni, le uccisioni di massa, ecc. In
queste guerre, l’economia viene devastata, lo stato
perde la sua legittimazione, si ha lo scontro tra bande. Il monopolio statale della violenza viene eroso
da un processo di privatizzazione della guerra, dalla guerra reciproca tra gruppi particolaristici.
La crisi della centralità dello Stato nelle forme contemporanee di conflittualità determina il progressivo venir meno delle distinzioni tradizionali tra
guerre civili e guerre tra stati, e tra la guerra stessa e
altre forme di violenza organizzata, quali il terrorismo internazionale. Quest’ultimo viene ormai
percepito come uno dei soggetti che con maggiore
virulenza agisce sulla scena delle relazioni internazionali, come protagonista e come obiettivo di “guerre
del terrore” e “guerre contro il terrore” che si svolgono su scala planetaria. Anche il terrorismo sembra
aver cambiato natura: soprattutto il terrorismo religioso tenderebbe a colpire non più obiettivi limitati
e circoscritti (come il terrorismo di matrice politica), ma ad impiegare una violenza globale e illimitata, dati i suoi scopi generali, ideologici, “metafisici”.
E ad ingaggiare una vera e propria “guerra universale”, come è dimostrato dai drammatici attentati
dell’11 settembre 2001 (Heisbourg, Laqueur).
I conflitti interstatali
Le “nuove guerre” non sono le uniche; ad esse si
intrecciano i conflitti di cui sono protagonisti
gli Stati, con i loro apparati organizzativi e le loro
risorse tecnologiche e finanziarie: conflitti forse più
tradizionali nel senso dei soggetti, ma non delle caratteristiche e delle motivazioni, tanto che anche ad
esse potremmo dare la denominazione di “nuove
guerre”, utile a marcarne la differenza con le guerre
“tradizionali” del periodo precedente l’89.
Anche le guerre interstatali vengono ricondotte alla
particolare situazione creatasi alla fine della guerra
fredda, una situazione di vuoto di potere politico
a livello internazionale, a cui segue il tentativo, da
parte della superpotenza vincitrice, gli Usa, di
riformulare il suo ruolo internazionale in quello di
“guardiano del mondo”. Sarebbe questa la ragione
di alcuni conflitti degli ultimi anni, come l’intervento Nato (in gran parte statunitense) in Kossovo e nella
prima guerra del Golfo.
Qui la chiave di lettura politica si intreccia con
quella economica, che insiste sul nesso tra guerra e
processo di globalizzazione: alcune guerre verrebbero combattute dagli Stati che vogliono acquisire un qualche vantaggio o una collocazione privilegiata nel contesto della competizione economica internazionale. Soprattutto gli Usa si distinguerebbero in questo senso, mediante il ricorso al loro enorme dispositivo militare. Dinucci (2003) spiega ad
esempio lo spostamento di risorse militari effettuato dagli Usa verso l’area asiatica con la necessità che
gli americani hanno di tenere sotto controllo le ampie risorse energetiche del Mar Caspio, seguendo nel
contempo da vicino la situazione della potenza economica emergente cinese.
Una possibile chiave di analisi per questo tipo di
conflitti è quella, ormai famosa, proposta da S.
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Huntington, dello scontro di civiltà, secondo la
quale alle vecchie contrapposizioni ideologiche si sarebbero sostituite le contrapposizioni tra un certo
numero di macroregioni enutesi a delineare sulla base
di elementi di omogeneità culturali (la religione, prima di tutto), guidate da alcuni stati forti destinati a
diventare i principali protagonisti del conflitti del
periodo post- guerra fredda.
Le nuove guerre sopra descritte e il terrorismo globale mostrerebbero come gli Stati non siano più i protagonisti esclusivi delle relazioni internazionali.
Alcuni osservatori (Marcelli) non mancano tuttavia di sottolineare come la privatizzazione della guerra
e la perdita del monopolio della violenza da parte dello
IL MODELLO DI
GUERRA MODERNA
Nato a Westfalia (1848).
Si fonda sul riconoscimento del
pluralismo politico e giuridico degli
stati nazionali, territoriali e sovrani. Questi sono i soggetti riconosciuti dei conflitti.
Si contrappone all’universalismo
politico-spirituale della Chiesa e
dell’Impero.
Abbandona l’idea di “guerra giusta”, o la pretesa di stabilire chi tra
due contendenti sia nel giusto o nel
torto; riconosce che ogni contendente è in grado di sostenere la legittimità della propria guerra.
E’ una guerra spazializzata: si
combatte per la conquista di aree
territoriali.
Si concentra sulla definizione di
regole e di procedure formali per
la disciplina delle condotte belliche
(dichiarazione della guerra,
pattuizione della pace) tenta di intervenire sugli effetti più distruttivi dei conflitti tra gli stati (convenzione di Ginevra, difesa delle vittime di guerra, trattati sul bando di
armi particolari…).
Disegna un sistema pattizio di sicurezza collettiva che, pur non rinunciando all’uso della forza a garanzia dell’ordine internazionale,
mette al bando la guerra, intesa
come ricorso “privato” all’uso delle
armi da parte di un singolo stato
(Società delle Nazioni, Onu).
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Stato siano processi che riguardano le entità statali
più deboli. Mentre per quelle più forti, si conferma e
si rafforza il legame tra guerra e stato (e
globalizzazione): la guerra sembra essere uno degli strumenti in mano agli stati più forti per garantirsi un ruolo di direzione nel sistema mondiale delle
relazioni politico - economiche, un modo per promuovere e plasmare a proprio vantaggio i processi
di transnazionalizzazione che avanzano a livello tecnologico, economico, demografico (S. Sassen).
La conferma più eclatante di questa analisi verrebbe dai conflitti in Iraq, Kossovo, Afghanistan, conflitti caratterizzati da un massiccio dispiegamento di
uomini, armi, tecnologie (i cosiddetti “missili intelli-
IL MODELLO
DI GUERRA GLOBALE
Affermatosi con la guerra del Golfo, la duplice guerra dei Balcani,
la guerra in Afghanistan, la guerra contro l’Iraq. Consiste in quattro
determinazioni concettuali:
1 - E’ condotta all’insegna di una strategia che il suo attore principale – gli USA - orienta verso obiettivi universali come la sicurezza globale e l’ordine mondiale, e non verso la conquista di spazi
territoriali da occupare stabilmente. L’interesse che viene perseguito con la forza delle armi è la stabilità dell’ordine mondiale in un
quadro di accresciuta interdipendenza dei fattori internazionali. Si
tratta di garantire agli Usa e alle altre potenze industriali il libero e
regolare accesso alle fonti energetiche e alle materie prime, la sicurezza dei traffici e la stabilità dei mercati mondiali. Si tratta insomma di garantire lo sviluppo dei processi di globalizzazione economica in un quadro di elevata e crescente asimmetria delle relazioni internazionali (aspetto geopolitico).
2 - E’ combattuta per decidere chi assumerà la funzione di
leadership entro il sistema mondiale delle relazioni internazionali,
chi imporrà le regole sistemiche, chi avrà il potere di modellare i
processi di allocazione delle risorse di ricchezza e di potere, e chi
potrà far prevalere la propria visione del mondo (aspetto sistemico).
3 - E’ una guerra sovrana e illimitata perché sottratta sia al divieto dell’uso privato della forza da parte degli Stati, stabilito dalla
Carta dell’Onu, sia alle norme del diritto bellico sviluppate dall’ordinamento internazionale moderno. E’ una guerra decisa da un’autorità che si ritiene fonte sovrana di un nuovo Nomos della terra in
una situazione – la minaccia del terrorismo globale – do eccezione
globale permanente (aspetto normativo).
4 - E’ combattuta mediante il richiamo a valori universali da parte delle potenze (occidentali) che la promuovono: esse giustificano la guerra in nome non di interessi di parte, ma di un punto di
vista superiore e imparziale e di valori che si ritengono condivisi o
condivisibili dall’umanità intera. E’ la guerra unilaterale delle “forze
del bene” contro le “forze del male”. E’ la “guerra umanitaria” contro i nemici dell’umanità che negano l’universalità di valori come la
libertà, la democrazia, i diritti umani, il mercato.
Questa ideologia giustifica l’abbandono del vecchio principio
vestfaliano della non interferenza negli affari interni degli altri Stati e la proclamazione di un principio opposto: il dovere degli Usa di
intervenire con la forza per porre fine alla violazione di diritti fondamentali all’interno di uno stato. E’ il monoteismo neoimperiale
della “guerra umanitaria” (aspetto assiologico).
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genti”, i proiettili a uranio impoverito, i bombardieri
stealth, invisibili ai radar) che solo Stati sovrani ricchi di risorse finanziarie, tecnologico-industriali e
organizzative (nella fattispecie, gli Usa e i Paesi Nato)
hanno potuto mettere in campo.
La guerra globale
La “guerra globale” è il concetto che alcuni analisti (Zolo, Galli) adottano per indicare le nuove
caratteristiche delle relazioni interstatuali e della
guerra nell’epoca del monopolarismo statunitense.
La “guerra globale”è soprattutto quella condotta
dagli Usa, i principali responsabili e protagonisti delle
tensioni internazionali degli anni post guerra fredda. Essa è un nuovo modello di conflitto (che i fatti
dell’11 settembre 2001 hanno accelerato) che sta
prendendo il posto della guerra moderna, nata a
Westfalia nel 1648 e combattuta sostanzialmente fino
al compimento della guerra fredda.
BIBLIOGRAFIA
Coralluzzo V. , Nuovi nomi per nuove guerre. Capire i
conflitti del XXI secolo, in “Guerre Globali”, A. D’Orsi (a
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cura di), Carocci, Roma, 2003.
Desiderio Alfonso, Atlante geopolitico, Editori Riuniti, Roma, 2003
Dinucci Manlio, Il potere nucleare, Fazi ed., Roma,
2003
Galli Carlo, La guerra globale, Roma – Bari, Laterza,
2002
Heisbourg F., Iperterrorismo. La nuova guerra,
Meltemi, Roma, 2002
Huntington Samuel, Lo scontro delle civiltà, Garzanti,
Milano, 2000
Kaldor Mary, Le nuove guerre, Carocci, Roma, 1999
Klare Michael, La guerra delle materie prime, in Lettera Internazionale n° 69, 2001
Laqueur W., Il nuovo terrorismo, Corbaccio, Milano,
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Lellouche Pierre, Il nuovo mondo. Dall’ordine di Yalta
al disordine delle nazioni (1992) Il Mulino, Bologna, 1994.
Le Monde Diplomatique/Il Manifesto, Atlante, edizioni di Le Monde dip./Il Manifesto, Roma, 2003
Marcelli Fabio, La crisi del diritto internazionale e il
ruolo dell’ONU, in Giano n° 44, 2003
Sassen Saskia, Globalizzati e scontenti. Il destino delle minoranze nel nuovo ordine Mondiale, Milano, Il
Saggiatore, 2002
Zolo Danilo, Globalizzazione, Roma – Bari, Laterza,
2004
Uno strumento per porsi domande
Proponiamo qui di seguito una cronologia ragionata comprendente dodici schede di conflitti verificatisi dalla fine della guerra fredda al 2003, selezionati per la loro emblematicità rispetto allo stato
delle relazioni internazionali venutosi a creare negli ultimi quindici anni. Può essere uno strumento
utile per far partire una ricerca, ponendosi domande circa la natura dei conflitti, le loro cause, i soggetti e i progetti che li hanno alimentati, ecc.2
1991
GUERRA DEL GOLFO
Nel gennaio del 2001 una coalizione militare internazionale sotto il comando statunitense e con l’egida
dell’ONU muove guerra all’Iraq di Saddam Hussein. La
motivazione ufficiale è la liberazione del Kuwait, annesso l’anno prima dall’Iraq con un atto di forza, e il
ripristino della legalità internazionale. Molti osservatori spiegano l’intervento armato con l’interesse delle
potenze occidentali per il controllo dell’area
mediorientale, ricca di petrolio. Alla coalizione internazionale parteciparono anche numerosi paesi arabi.
La guerra durò un mese e fu caratterizzata da massicci
bombardamenti aerei e attacchi via terra. Si concluse
con la disfatta dell’esercito iracheno e il suo ritiro dal
Kuwait. All’Iraq fu imposto un durissimo embargo, che
durò fino al 2003.
1991
GUERRA CIVILE
NELLA EX IUGOSLAVIA
Nel settembre 1991 esplode la guerra tra la Serbia e
la Croazia, due delle sei repubbliche autonome che avevano fino ad allora costituito la repubblica federale iugoslava, nata all’indomani della seconda guerra mondiale, che era stata fino ad allora uno Stato multietnico
assai variegato, tenuto insieme dall’autorità del suo
presidente, Tito, e da un quadro internazionale rigido,
caratterizzato dalla guerra fredda. La morte di Tito prima, poi la fine della guerra fredda, unita all’esplosione
di una grave crisi economica scatenano i conflitti etni-
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co – religiosi. Le repubbliche più ricche – Slovenia e
Croazia – non vogliono accollarsi il peso economico
delle repubbliche più povere. La Serbia, la repubblica
più forte militarmente, punta alla conservazione dell’unità dello stato sotto la sua egemonia. Di fronte alla
dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia e
alla conseguente dissoluzione della Federazione, la
Serbia risponde con l’intervento militare, motivato
anche con la necessità di proteggere la minoranza serba residente in Croazia. Appare in questa fase la brutale pratica della “pulizia etnica”, l’eliminazione anche
fisica da un territorio delle minorananze non appartenenti al gruppo etnico, religioso, linguistico
maggioritario.
Nel marzo del 1992 è coinvolta nella guerra anche la
Bosnia, dichiaratasi a sua volta indipendente, fino ad
allora terra di convivenza tra musulmani, croati, serbi. Segue un bagno di sangue con circa 200.000 morti.
La comunità degli stati europei non riesce a intervenire per evitare una guerra civile nel cuore dell’Europa. Anzi, alcuni atteggiamenti – come il frettoloso riconoscimento dell’indipendenza di Croazia e Slovenia
da parte di Germania e Vaticano – alimentano il conflitto. Gli Usa, prima restii ad ogni intervento politicomilitare, mutano poi atteggiamento intervenendo
militarmente contro i serbi che assediano Sarajevo e
promuovendo, nel 1995, gli accordi di Dayton tra
musulmani, serbi e croati, per por fine alla guerra. La
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Bosnia viene divisa in due entità: Federazione di Bosnia
Erzegovina, croato – musulmana, e Repubblica serba
di Bosnia.
1992 GUERRA CIVILE IN ALGERIA
All’inizio degli anni ’90 il diffuso disagio economico
– derivante dal fallimento dei progetti di
modernizzazione – favorisce la crisi dei gruppi dirigenti
di matrice laica e militare e il rafforzamento dei gruppi
islamisti radicali. Nel gennaio del 1992, le prime elezioni libere vedono la vittoria di un partito integralista
islamico. L’esercito annulla le elezioni, scatenando la
reazione degli integralisti e la repressione dell’esercito: è l’inizio di una sanguinosa guerra civile ancora oggi
non del tutto conclusa, che ha fatto finora più di
duecentomila morti.
1994
GUERRA IN CECENIA
la dissoluzione dell’URSS provoca lo scatenamento
di guerre a sfondo etnico in molte regioni del vecchio
impero sovietico. Particolarmente cruente quelle che
scoppiano nella regione del Caucaso: tra azeri e armeni,
in Georgia, in Cecenia.
La rivolta della Cecenia esplode nell’autunno del
1991. L’ex generale dell’Armata Rossa Giokhar Dudayev
proclama l’indipendenza di quella che è una repubblica autonoma interna alla Federazione russa, simile a
una regione italiana a statuto speciale. Una decisione
che Mosca - dopo aver offerto invano uno status di autonomia - tenterà di cancellare nel 1994 con l’invio dei
carri armati. La prima fase della guerra si conclude nel
settembre del 1996 con la firma di una tregua che però
non soddisfa i ceceni, il cui obiettivo era la piena indipendenza da Mosca. Nell’estate del 1999 gli scontri però
riprendono con maggiore virulenza accompagnati da
sanguinosi attentati a Mosca. Dopo mesi di combattimenti la bandiera russa nel febbraio 2000 torna a sventolare sulla capitale Grozny, ridotta ad un cumulo di
macerie. La guerra però continua, e fa migliaia di morti
ogni anno, sia fra i ribelli che fra i militari russi. ComStrumentiCres ● Febbraio 2006
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plessivamente, dal 1994 i morti in Cecenia sono stati
circa 100.000 (stando alle stime più pessimistiche), i
profughi più di 200 mila. Nella regione, intanto, le forze
islamiche allargano la loro influenza. Gruppi wahabiti
infatti hanno conquistato alcune aree e imposto la legge islamica.
Le ragioni possibili dell’intervento russo in Cecenia
possono essere le seguenti: - ragioni elettorali (la popolazione russa chiede provvedimenti decisi dopo gli
attentati); - ragioni geostrategiche: evitare la perdita
del Daghestan, forse punto di passaggio obbligato dei
gasdotti dal Mar Caspio verso la Russia (la Cecenia sta
fra la Russia e il Daghestan), riaffermare il controllo
russo sulla regione caucasica giacché la secessione delle
repubbliche di quest’area taglierebbe fuori la Russia
dalle vie di esportazione del petrolio del Caspio; - ragioni politiche: assestare un duro colpo al
fondamentalismo islamico armato che ormai estende
la sua influenza dal Tagikistan al Kirgizistan. Salvo formali reazioni verbali, la Comunità internazionale sta a
guardare, intimorita dall’importanza economica e militare della Russia.
1994 GUERRA CIVILE IN RUANDA
Tra il 1994 e il 1996 il piccolo stato del Ruanda, uno
dei più poveri del continente africano, diventa teatro
di una sanguinosa guerra tra le due etnie dei tutsi e
degli hutu che provoca la morte di centinaia di migliaia di persone e che dà luogo a un gigantesco flusso di
profughi verso i paesi vicini. La posta in palio è il controllo delle leve del potere e il regolamento di conti tra
le due etnie in contrasto da tempo. Viene criticato l’atteggiamento dell’ONU, o meglio, delle potenze che
determinano la politica dell’ONU, Usa in testa: contingenti di caschi blu assistono inerti al massacro senza ricevere l’ordine di intervenire.
1996
GUERRA NELLA REPUBBLICA
DEMOCRATICA DEL CONGO
Con la caduta di Mobutu e la salita al potere di Kabila
(1996), la Repubblica democratica del Congo ha vissuto una lunghissima guerra civile scatenata da gruppi
ribelli sostenuti dagli Stati vicini, soprattutto Uganda
e Ruanda. Intere zone del paese sono passate sotto il
controllo dei ribelli e il “dialogo intercongolese” organizzato in Sudafrica non ha finora portato a risultati
significativi. Lo stallo politico permanente, il persistere di interventi militari di paesi stranieri, la
frammentazione crescente del territorio sono dovuti
principalmente alle bramosie per le ricchezze minerarie del paese, che sono in realtà la posta in palio di questa guerra: lo Zimbabwe finanzia il suo impegno militare con contratti sul legname e i diamanti, mentre nelle
province dell’est il boom del coltan sostiene l’impegno
bellico ruandese e gli ugandesi si arricchiscono con l’oro
e i diamanti, oltre che con l’abbattimento della foresta
tropicale, tramite vari signori della guerra. Una guerra
complessa che è stata definita la prima “Guerra Mondiale Africana”.
1996 IL CONFLITTO DEL KOSOVO
A partire dal 1996 si avvia in Kosovo, provincia serba a maggioranza albanese, una guerriglia
indipendentista contro il governo di Milosevic, che
aveva privato quel territorio della sua precedente autonomia. Alla guerriglia segue una feroce repressione
dell’esercito serbo, diretta anche contro la popolazione civile albanese, che raggiunge il culmine nel 1998.
Unione Europea e ONU, divise ognuna al loro interno,
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si mostrano incapaci a intervenire. Immediato, invece, l’intervento militare degli Usa e della Nato, motivato con le ragioni di una guerra “umanitaria” a favore
della popolazione albanese. Tra marzo e giugno 1999
Kosovo e Serbia sono furiosamente bombardati, finché i serbi ritirano le loro truppe dal Kosovo, rimasto
da allora sotto il controllo delle forze Nato in attesa di
una decisione definitiva circa il suo status.
1999
IL CONFLITTO TRA INDIA
E PAKISTAN PER IL CONTROLLO
DEL KASHMIR
Da anni gruppi islamisti secessionisti operano nella
regione indiana del Kashmir, a forte presenza
musulmana. Sostenuti militarmente dal confinante
Pakistan, fanno ricorso ad attentati terroristici, a cui
fa regolarmente seguito la repressione delle forze armate indiane. I morti sono ormai migliaia. Nel 1999,
un anno dopo i test nucleari effettuati da entrambi i
paesi, la guerra di Kargil, alla frontiera tra il Kashmir
indiano e quello pakistano, ha sottolineato una volta
di più il rischio nucleare. Nel primo semestre 2002 si è
rischiata una nuova guerra. Sotto pressione statunitense, il Pakistan ha poi annunciato la sua decisione di
non sostenere più il terrorismo islamico in Kashmir.
Rimane tuttavia aperta la richiesta di una soluzione
politica del conflitto.
2000 LA SECONDA INTIFADA E
L’INTENSIFICAZIONE DEL
CONFLITTOISRAELO-PALESTINESE
Nel settembre del 2000 scoppia la seconda Intifada
(“rivolta” in arabo), dopo la provocatoria visita di
Sharon, capo della destra israeliana e futuro capo del
governo, sulla spianata delle Moschee, luogo sacro dei
musulmani palestinesi. La nuova rivolta palestinese
vanifica l’accordo del 1993 per la nascita di uno stato
palestinese a fianco di quello israeliano già esistente.
L’Intifada vuole l’indipendenza dei territori palestinesi
occupati da Israele trent’anni prima. Al suo interno le
posizioni fondamentaliste rifiutano di riconoscere l’esistenza di uno Stato ebraico in Palestina: esse praticano la strategia degli attentati suicidi, seminando la
morte tra i civili israeliani. La repressione israeliana è
durissima. A fine 2002, il bilancio è di 2000 morti
palestinesi e di 672 vittime israeliane. I militari israeliani occupano le città, distruggono le infrastrutture,
favoriscono nuovi insediamenti di coloni. Il governo
israeliano procede alla costruzione di un muro che
implica l’annessione di nuove terre, le cui popolazioni
saranno trasferite. Gli organismi internazionali non
riescono a fermare la spirale di occupazione, attentati,
repressione. Gli Usa, da sempre schierati con Israele,
appaiono agli occhi dell’intero mondo arabo i difensori dell’arrogante politica coloniale del governo Sharon.
11 SETTEMBRE 2001
ATTACCO TERRORISTICO ALLE
TORRI GEMELLE DI NEW YORK
L’11 settembre del 2001 quattro aerei di linea vengono dirottati simultaneamente e lanciati contro una serie di obiettivi statunitensi: le Twin Towers di New
York, il Pentagono, la Casa Bianca (verso cui era probabilmente diretto il quarto aereo caduto in
Pennsylvania). Gli attentati provocano circa tremila
morti. Essi vengono attribuiti alla rete terroristica globale Al Qaeda, di matrice integralista islamica, diretta
dallo sceicco saudita Osama Bin Laden che si pone lo
scopo esplicito di ridimensionare la presenza degli “infedeli” (gli occidentali e, specificamente, gli Usa) nei
luoghi santi dell’Islam, in Arabia Saudita e, più in ge-
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nerale, nel mondo arabo. Per perseguire questo scopo, adotta una strategia terroristica globale di cui l’11
settembre costituisce l’atto più grave e distruttivo.
L’atto terroristico viene interpretato da alcuni come
la conferma della tesi sullo “scontro di civiltà” o sulla
“nuova anarchia internazionale”, da altri come l’inizio
di una strisciante terza guerra mondiale, da combattersi nelle forme della “guerra asimmetrica” e della
“guerra senza limiti” e con le nuove armi di distruzione di massa ormai a disposizione, secondo l’intelligence
statunitense, di svariati gruppi terroristici operanti a
livello globale.
Da allora si è modificato profondamente l’atteggiamento e le dottrine strategiche degli Usa, con rilevanti
conseguenze sul sistema delle relazioni internazionali
nel suo complesso. Il suo effetto più immediato è l’accentuarsi dell’unilateralismo Usa, che non esita a scatenare “guerre preventive” giustificate in nome della
“guerra al terrore” e della difesa degli interessi e della
sicurezza nazionale.
OTTOBRE 2001
INTERVENTO USA IN AFGHANISTAN
Il primo esempio del nuovo corso statunitense è l’intervento militare degli Usa in Afghanistan contro il regime integralista dei talebani, accusati di ospitare e
sostenere capi e basi logistiche dell’organizzazione
terroristica Al Qaeda. L’intervento statunitense riceve
l’appoggio della comunità internazionale e si conclude con l’abbattimento del regime talebano, ma senza
che i capi di Al Qaeda vengano catturati. Conclusa la
guerra, si avvia nel Paese una transizione verso nuovi
equilibri politici molto incerta, contrastata da ripetuti
attentati terroristici ai danni del contingente multinazionale ancora installato nel Paese.
2003
INTERVENTO USA IN IRAQ
E CADUTA DEL REGIME
DI SADDAM HUSSEIN
Nel marzo 2003 gli Usa attaccano l’Iraq di Saddam
Hussein, accusato di possedere armi di distruzione di
massa e di essere colluso con le forze del terrorismo
internazionale, in funzione anti statunitense. La Gran
Bretagna sostiene gli USA, mentre contro si schiera
gran parte della comunità internazionale (la Francia,
la Germania e gran parte dell’Europa, la Russia), che
non ritiene fondate le accuse. L’Onu non fornisce il suo
appoggio all’iniziativa militare Usa che, in base al principio della guerra preventiva, decidono di intervenire
in modo unilaterale. Nel giro di poche settimane, il
regime di Saddam viene travolto. Come per
l’Afghanistan, anche per l’Iraq, sottoposto ad un’amministrazione anglo - statunitense, la guerra ha messo
fine a un regime tirannico, dando però avvio a una transizione politica incerta e drammatica, caratterizzata
dalla presenza di una forte guerriglia, da ripetuti e sanguinosi attentati terroristici, dal rischio reale di una
guerra civile capace di disgregare l’unità territoriale
del paese.
1 Il presente contributo è parte di un lavoro più ampio
su “Le relazioni internazionali dalla fine della guerra fredda ad oggi (1991-2003): l’affermazione dell’“impero americano””, lavoro che si può trovare sul
sito dell’associazione IRIS (www. storieinrete.org oppure
http://digilander.iol.it/scoba/storia/index.html ), curato
dagli insegnanti – ricercatori Elisabetta Assorbi, Dino Barra, Maurizio Gusso, Daniela Invernizzi, Sandra Morini,
Mariangela Peghetti, Nicola Scognamiglio.
2 Riferimenti bibliografici: Atlante di Le Monde
Diplomatique, 2003; Alfonso Desiderio, Atlante
geopolitico, Editori Riuniti, 2003
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ESPERIENZE EDUCATIVE
Migranti siamo noi
Parole, canti, immagini di italiani oltre frontiera
Barbara Pincardini,
Giovanna Stanganello*
Il progetto Intercultura dell’Itsos Marie Curie di
Cernusco sul Naviglio ha proposto ai ragazzi del biennio un viaggio all’incontrario: dai viaggi dei migranti di oggi, sulle bagnarole che solcano il Mediterraneo, ai viaggi degli Italiani che dall’ottocento in poi ,
per molti decenni, andarono a cercare ricchezze sognate in America, in Australia, in Germania, nel nord
Italia. Andata e ritorno, in realtà per molti viaggio di
solo andata. Il ritorno c’è nei sogni, in un futuro che
non arriva mai come quello che era stato sognato.
Facciamo un po’ di soldi e poi torniamo. Poi non si
torna. I figli crescono i nipoti arrivano e si rimane
sospesi, così, né qui né là.
E sono stati proprio i ragazzi che più temono gli
immigrati a essere stupiti di ritrovarsi a propria volta figli di migranti. E’ proprio passando dal proprio
vissuto che si comprende, che ci si apre all’altro, riconoscendo imprevedibilmente stati d’animo e desideri di fuga dalla povertà avvilente, di vita e, perché
no, di avventura, di scoperta.
Il nostro percorso ha utilizzato molteplici fonti
(narrativa, poesia, film, canzone) ed ha avuto
come epilogo la raccolta diretta di testimonianze da
parte degli studenti. Nel prossimo numero della rivista pubblicheremo le interviste che hanno fatto ai
propri genitori e nonni.
L’immagine iniziale del percorso, che si intitola
“Migranti siamo noi”, prende il via dal film di Gianni
Amelio Lamerica. L’America, questa volta è l’Italia, dove approdano, alla fine degli anni novanta, gli
albanesi dopo lo sgretolamento dei paesi dell’Est europeo. Il percorso potrebbe anche iniziare con l’ultimo film di Giordana, Quando sei nato non puoi
più nasconderti che consente allo spettatore di
salire sopra uno dei tanti barconi carichi di migranti
che non hanno più niente da perdere. Lo sguardo è
quello di un ricco bambino bresciano che, in vacanza
sulla meravigliosa barca a vela del papà, cade in acqua, di notte; tutti dormono, nessuno si accorge di
quanto è accaduto. Mare buio, Mediterraneo spaventoso. Il bambino si salva proprio grazie a uno di quei
barconi e così saliamo a bordo, con lui. E con lui arriveremo a Lampedusa, poi a Milano, a Brescia. Una
storia di formazione per il bambino, che non sarà più
quello di prima, ma anche per i giovani spettatori che
StrumentiCres ● Febbraio 2006
sicuramente dopo la visione di questo film avranno
con i migranti un rapporto diverso. Un film che riesce a scalfire cliché, consuetudini, che apre a nuove
prospettive e insegna a porsi domande.
Numerosi sono, in realtà, i film su migranti vecchi
e nuovi. Solo per citarne due che si muovono dalla
prospettiva degli italiani all’estero, ricordiamo
Rocco e I suoi fratelli di Luchino Visconti, e
Big Night di Stanley Tucci. Il primo segue il viaggio da sud a nord degli italiani negli anni del boom
economico e il mutamento convulso di quegli anni,
con il disorientamento del passaggio di un’epoca dall’Italia contadina del dopoguerra alla società dei
consumi del successivo decennio. Il film di Tucci racconta l’emigrazione in America, negli stessi anni, di
un piccolo nucleo familiare costituito da due fratelli
cuochi che, stralunati e sradicati, cercano di trapiantare la loro tradizione di gusto in un paese dove l’esperienza del cibo è già fortemente standardizzata: il
contrasto tra due mondi è focalizzato nella poesia di
sapori perduti: il timballo1 dei due fratelli abruzzesi
è un atto “resistenziale”: bisogna metterci “tutte le
cose cchiù bbon de lu monn2 ”.
La prima coppia di film vede un movimento in entrata nelle coste italiane, gli altri due seguono la migrazione degli italiani all’estero, lavorano entrambi
sul difficile incontro con l’altro, incrociando la diffidenza verso il diverso che sconfina nel razzismo – in
questo caso l’emblematica vicenda di Sacco e
Vanzetti, nelle diverse trasposizioni cinematografica o nei canti popolari, sono un esempio da esplorare con i codici diversi del racconto per immagini o
in musica. Tuttavia, tenendo presente la fascia d’età
cui è indirizzata la proposta, il film di Giordana è
quello che per linguaggio e per attualità è più prossimo alla recezione degli adolescenti delle nostre scuole. Il percorso narrativo, quello dei canti e quello delle interviste sono le altre tappe del nostro lavoro. Li
sintetizziamo in rapida successione, riportando di
seguito alcune interviste e brevi analisi di canti.
Il percorso narrativo è molto articolato e prima
di arrivare alle interviste dei ragazzi ci si imbarca.
Prima di tutto leggiamo, da “Appunti di viaggio”
(Edisco Editrice 2003) un testo di De Amicis, a dire
il vero non molto conosciuto , tratto dalla raccolta di
racconti “Sull’oceano”. Il racconto è ambientato a
Genova, una sera del 1871. Il Galileo sta imbarcando
emigranti e miseria, verso Montevideo tra nostalgie
e sogni. Un De Amicis notevole, osservatore acuto ed
emozionato.
9
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Molto simile al Galileo di De Amicis è la nave sulla
quale si imbarca Dino Campana. In La notte della cometa, Sebastiano Vassalli, ripercorrendo
con documenti, lettere, testimonianze, la vita del poeta, dedica due capitoli al viaggio che il giovane intraprende nel 1907 verso l’Argentina, e anche questa
volta si parla di piroscafi affollati di poveri, sognatori, avventurieri, nostalgie, speranze, come si può leggere nella stessa poesia Viaggio a Montevideo
I racconti possono essere letti insieme a Il lungo
viaggio di Sciascia tratto da “Il mare color del
vino”, dove contadini siciliani, ingannati da personaggi molto simili agli scaltri scafisti di oggi, dopo
aver venduto tutto quello che avevano da vendere,
per pagarsi la nave, e dopo undici giorni di viaggio
immaginando l’America, si ritrovano sbarcati di nuovo in Sicilia..
Molto interessanti si rivelano anche i racconti di
un figlio di emigranti abruzzesi John Fante, che
nasce in Colorado nel 1909, dove sono ambientato,
tra i muratori immigrati, i racconto della raccolta
Dago Red: il primo che abbiamo letto è Odissea di
un wop, nomignolo con cui venivano chiamati gli
italiani da quelle parti, intraducibile, parente di vù
cumprà o marocchino. Il secondo racconto, Muratore nella neve, vede le piccole ossessioni del padre disoccupato, dispotico e tenero, attraverso la lente
dell’ironia dei figli, emigranti di seconda generazione.
Per quanto riguarda i canti dell’emigrazione,
essi sono stati già ampiamente oggetto di indagine
da parte di studiosi autorevoli: l’attenzione di
Pasolini, Fortini, Roversi, Savona e Straniero, sono
esempio in tal senso. Tra gli ultimi apporti il saggio
di Emilio Franzina,3 . Nel campo della didattica sono
invece episodiche le proposte didattiche che entrano
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nei documenti non solo trattandoli come fonte storica, ma anche come elementi riconoscibili nella specifica struttura di testo e melodia nati in concrete situazioni della vita associata. Abbiamo sviluppato pertanto l’analisi ritmico-testuale di alcuni canti ed una
trattazione sintetica di altri, cercando di calibrare il
metodo con le esigenze dei gruppi di studenti che vi
hanno lavorato. I materiali sono divisi tra canti della
tradizione popolare e canzoni d’autore sul tema delle migrazioni, che avvicinano ad una sensibilità contemporanea, attraverso mutati stilemi espressivi, il
patrimonio della nostra memoria storica.
Non è difficile ricostruire un pezzo della nostra storia se solo qualcuno di noi, nato al sud o da genitori
immigrati, segue la corrispondenza tra i parenti che
sono partiti nei diversi decenni del novecento. Dai
più lontani continenti (Australia, America settentrionale e meridionale), ai paesi europei di più rapida
industrializzazione, fino al nostro nord Italia in cui
le migrazioni interne hanno raccolto negli anni milioni di lavoratori e di famiglie che hanno mantenuto stretto il legame con i paesi d’origine o lo hanno
affievolito nel corso del tempo. Le vicende dei familiari, attraverso le testimonianze dei genitori, dei nonni, ricostruisce nella microstoria di lettere che varcano l’Oceano o confini più prossimi, la grande storia. Altre fonti di conoscenza in tal senso sono i canti
popolari di cui abbiamo analizzato i testi selezionati
e raccolti in un’audiocassetta, insieme a composizioni
più recenti di cantautori che hanno rivisitato il tema
della partenza, la fatica degli addii e delle radici
divelte alla ricerca di un futuro meno duro. Questo
lavoro ci aiuta a leggere il presente, lente rovesciata
di nuove partenze: quelle di cittadini del mondo che
abbandonano a loro volta le pesanti situazioni di esistenza cui sono sottoposti. Partenze e arrivi sono accomunati da un filo rosso: uomini donne e bambini
StrumentiCres ● Febbraio 2006
alla ricerca di una possibilità.
Giovanna Marini e Francesco De Gregori hanno
raccolto, nell’album uscito per la Caravan, canti popolari della tradizione italiana attingendo anche al
patrimonio che l’Istituto De Martino e il Circolo
Gianni Bosio hanno consentito di conservare ed
archiviare in un prezioso lavoro di ricerca della musica popolare che risulterebbe altrimenti “disperso e
dimenticato”. […] Appartenenti al filone dei canti
della migrazione e della lontananza; i canti popolari,
insieme a testi poetici di autori noti, mostrano come
non sia solo la voce della tradizione lirica colta a comporre il quadro delle partenze e dei naufragi di non
ritorno, ma sono le ballate popolari con la specificità
dei loro contenuti e delle forme espressive che vi corrispondono, a mostrare una fotografia di momenti
diversi della storia.
Tra i testi analizzati riportiamo qui un tema che si
presenta drammaticamente attuale: quello del naufragio. Il tragico naufragio della Nave Sirio,
quello del Titanic, accanto al non meglio definito
affondamento del bastimento della notissima Mamma mia dammi cento lire assumono un valore
emblematico di un futuro finito tra i flutti. Abbiamo
analizzato i due canti popolari e la versione attuale
del Titanic di De Gregori.
Il tragico naufragio della Nave Sirio è una
ballata riprodotta nello stile dei cantastorie della pianura padana, il ritmo prolungato della voce narrante
alterna le note canore al parlato, come se si riportasse la notizia del naufragio ad un pubblico vivo. Il ruolo del narratore è a metà tra quella del cantastorie e
quella del giornalista che fotografa un quadro drammatico, corredato dall’immagine un po’ straniata del
vescovo. Immaginiamo l’antica relazione orale tra il
cantastorie e il pubblico popolare quasi sempre non
alfabetizzato, che ascoltava i resoconti narrati. Le
prime due strofe raccontano un esodo di dimensioni
bibliche a cui corrisponde un canto epico; la terza e
quarta strofa sono la cronaca del disastro in cui emergono la disperazione dei naufraghi, la forza del mare,
gli abbracci annegati. Tutto è essiccato in un’essenzialità senza ritorno, dove il lessico stringato, le forme dialettali sono rafforzate dalla sintassi popolare.
La forma epico-narrativa del popolo migrante cerca
nel contempo espressioni aluliche come
nell’iterazione di quel “varcare /varcare i confini” e
nell’inversione del: “cantar si sentivano”. Un canto
del non ritorno sancito nell’immagine finale del vescovo benedicente.
In Mamma mia dammi cento lire il naufragio, paventato dalla madre, avviene ineluttabile nonostante la ricompensa promessa affinché la figlia
abbandoni il suo progetto di cambiamento. L’epilogo tragico viene stemperato dalla popolare melodia.
L’abbigliamento di un fuochista è una moderna trasposizione della vicenda del Titanic, dato
come inaffondabile meraviglia tecnologica e simbolo
di fiducia nella modernità. Siamo nell’aprile del 1912
durante il viaggio inaugurale. A bordo, oltre alla ricca borghesia dell’epoca, passeggeri di seconda e terza classe, molti emigranti e, ultimi fra gli ultimi, coloro che si pagavano il passaggio lavorando. La storia del Titanic colpì fortemente l’immaginario colletStrumentiCres ● Febbraio 2006
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tivo: la rivisitazione cinematografica ha ricostruito,
attraverso storie personali, i drammi di chi non
riemerse dalle acque di una notte gelata. De Gregori
racconta una storia minore e affondata nelle caldaie
sotto al livello del mare: il figlio parte in quella nera
nera nave che hanno dichiarato inaffondabile, senza assicurare scialuppe sufficienti al salvataggio Il
principio su cui si riempiranno le scialuppe stesse saranno dettate dal panico, dal genere di appartenenza: bambini, donne, uomini…ma il criterio gerarchico di classe avrà un peso significativo. Quale speranza di salvarsi per chi sta alimentando le caldaie per
pagarsi il viaggio verso quell’America della speranza
e del miraggio? La canzone presenta una costruzione […] e una linea melodica non cronologicamente
narrativa, spuria rispetto alla regolare divisione in
strofe della ballata dei cantastorie o dei canti di lavoro. Il dialogo a distanza tra madre e figlio è un
contrappunto alternato. I particolari del ragazzo e del
suo abbigliamento sono dilatati, come ad imprimersi in una memoria definitiva; gli occhi guardano e la
pena si accresce. La distanza annebbierà la presenza
viva e confonderà i tratti individuali con quella di
estranei americani; rispetto ad essi la donna nutre
una diffidenza profonda che si concentra nell’incomprensione linguistica dell’inglese come estrema distanza. Il giovane chiude il dialogo parlando proprio
di una lingua che non sa, figlio minore di un paese a
tasso altissimo di analfabetismo che non sa pronunciare l’italiano, “non conosce la geografia” e non sa
difendersi nei suoi diritti. Il ritmo lieve che fa pensare alle musiche suonate per dilettare i passeggeri è
caratterizzato per antitesi con la vicenda e con lo stato d’animo dei personaggi. Il presagio nero della madre è esorcizzato dal ritmo stesso in una sorta di
straniamento.
La meta dell’America – del nord e del sud - è ricorrente (Merica Merica, Italia bella mostrati
gentile a titolo esemplificativo per i canti popolari,
la già citata L’abbigliamento di un fuochista,
Amerigo per la canzone d’autore). In Partono gli
emigranti, invece, la destinazione è più vicina ma
non meno lacerante: si avverte l’accoglienza ostile e
sospettosa attorno ai lavoratori che passano il confine “sotto lo sguardo della polizia”. Ancora un’Europa traumatizzante nell’esperienza della miniera si
ripropone in Marcinelle dove numerosi lavoratori
furono travolti nel crollo sotterraneo. Tantissimi erano del sud Italia. Un incidente sul lavoro viene raccontato anche in Pablo, da un altrove non così ben
definito. La linea melodica e le parole del testo mutano radicalmente rispetto al genere popolare e corale finora trattato. Si evidenzia in Pablo il linguaggio di De Gregori: il personaggio è caratterizzato per
tratti solo allusivi; persa la linearità narrativa, emergono i particolari espressivi, i dettagli in movimento: il treno, lo spago sulla valigia… Così pure nell’abbigliamento di un fuochista gli zoom dilatano gli
oggetti (i soldi chiusi dentro la cintura …)..
L’emigrazione, però, non ha come destinazione solo
luoghi lontani, ma anche il nostro territorio nazionale: la canzone di Luigi Tenco attesta proprio questo itinerario. Con Ciao amore ciao entriamo nei
testi dei cantautori, su una linea melodica meno
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cadenzata e corale, con movenze malinconiche o con
i ritmi della ballata, o nell’eleganza compositiva dei
testi di Fossati…
Lo smarrimento profondo per un cambiamento
repentino negli anni del “boom economico” rendono
traumatico il trapianto dai luoghi noti delle cittadine
di provincia, dai cortili, ai grandi spazi urbani, dove
“in un mondo di luci” si ha l’impressione di “sentirsi
nessuno”. Con pochi emblematici versi il cantautore
genovese definisce lo sradicamento e il mutamento
dei modi di vivere che anche la letteratura registrerà
con inquietudine nei temi dell’omologazione della
società dei consumi e in quello che Pasolini definirà
il mutamento “antropologica degli italiani. “Saltare
cent’anni in un giorno solo […] Dire addio al cortile,
andarsene sognando: Il sogno però si spezza nello
smarrimento metropolitano: “dai carri nei campi agli
uccelli nel cielo” e la sensazione acuta è quella della
perdita di un baricentro.
La prospettiva si rovescia nei testi di Ivano Fossati
che canta Mio fratello che guarda il mondo,
mentre il mondo non lo guarda. In Pane e coraggio la somiglianza con i personaggi italiani che abbiamo incontrato nelle altre canzoni è tale che ci chiediamo se a partire siamo ancora noi o gli altri.
Un cenno all’ultima produzione di un cantante,
Davide Van De Sfros, che con ironia ma anche con
partecipazione ci parla del viaggio in uscita e lo fa,
ricollegandosi quasi circolarmente al nostro percorso, con l’adozione del dialetto; l’elemento ci riporta
ai canti popolari da cui eravamo partiti.
Così termina questo breve viaggio musicale.
Bibliografia sui canti
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F. Fabbri, Il suono in cui viviamo, Feltrinelli, Milano, 1996
E. Berselli, Canzoni, Il Mulino, Bologna, 1999.
R. Barthes, L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino, 1985
F. De André, Come un’anomalia. Tutte le canzoni,
Einaudi, Torino, 1999
B.Pianta, Vendere le parole. Marginali e mondo
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G.F. Rosoli, Il canto degli emigranti
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R. Petrilli, Canti d’amore delle genti d’Abruzzo, in
“Rivista abruzzese di Scienze, Lettere e Arti, annate
1907-1911, L’Aquila
E. Renna, S. Scarpa, Carmina Cilenti. Il canto popolare cilentano nella tradizione orale: una proposta etno-musicale, opuscolo con musicassetta, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli,
1995.
1 Piatto tipico abruzzese, estremamente elaborato e complesso nella preparazione; ne esistono diverse versioni a
seconda della zona di preparazione.
2 Tutte le cose più buone del mondo.
3 Le canzoni dell’emigrazione, in AA:VV:, Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli, Roma, 2001, vol. II: Partenze.
StrumentiCres ● Febbraio 2006
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Un racconto d’insieme
L’autobiografia come strumento di partecipazione
A cura dell’Associazione
Interculturale
Oltre il Mediterraneo
e di Daniela Invernizzi
Ci presentiamo
Siamo un gruppo accomunato dal fatto di vivere e/o
operare in Valpolcevera, un’area della periferia ex industriale genovese oggetto in questi ultimi anni di una
tumultuosa trasformazione con pesanti riflessi sulla
qualità del vivere. Da zona operaia, la V.P. è stata portata a divenire un grande mercato, uno spazio in cui i
centri commerciali rappresentano i pochi luoghi di “incontro”. Nel 2004, il gruppo nasce da un corso di formazione rivolto a insegnanti ma aperto a educatori e
alla cittadinanza sui temi dell’ascolto come mezzo di
trasformazione della convivenza: nei seminari condotti da Daniela Invernizzi si sono sperimentate in prima
persona alcune metodologie “partecipative”1 con lo scopo di dar vita ad un “Centro di documentazione e iniziativa sui temi dell’educazione alla pace e alla
mondialità” operante tra scuole e territorio della V.P.
…oggi ho passato proprio un bel pomeriggio. Con
venticinque donne, di varia età, che vogliono aprire
un centro,nella nostra vallata. L’incontro di oggi serviva per stabilirne le caratteristiche, le finalità che ciascuno aveva in testa, se si può lavorare tra persone
che non si conoscono. Non le solite facce. E tra i luoghi
della memoria, la pace, la mondialità, l’accoglienza,
l’informazione alternativa, la banca etica, la formazione di coscienze critiche si coagulavano idee di resistenza. Idee già esistenti, prima, dentro ognuna di
noi…(Laura).
Nel 2005, i soci fondatori dell’associazione
interculturale “Oltre il Mediterraneo” danno vita al
primo percorso formativo del “Centro”, denominandolo
”Gruppo di lettura partecipato su pace e guerra” ancora con la guida di D. Invernizzi. In questo ambito, il
metodo autobiografico è stato sperimentato come strumento di auto/formazione e attorno alla proposta si è
aggregato un gruppo con una composizione fortemente eterogenea rispetto a: età anagrafica, interessi
e lavoro, genere e nazionalità ma con alcune comunanze importanti: un legame significativo con
la V.P, l’interesse per i temi e le metodologie
proposte. Le ricadute ipotizzate? L’acquisizione di
competenze trasformative dei comportamenti, (capacità di gestione dei conflitti dal personale al sociale),
trasferibili nel “Centro”, nelle scuole e/o in gruppi
giovanili e oltre, sul nostro territorio.
Le attività di formazione sono state finanziate dal
Comune di Genova e dal CRES Mani Tese.
Il nostro percorso
Tra febbraio e dicembre 2005 vengono realizzati 6
incontri nel quartiere di Bolzaneto, negli spazi aperti
di un centro ricreativo partecipato per adolescenti, nato
StrumentiCres ● Febbraio 2006
su impulso della Legge Turco 285/97. La scansione
concordata degli incontri è di un sabato ogni cinque,
per l’intera giornata.
In ogni incontro la conduttrice dà uno o più stimoli
e propone momenti di approfondimento e di riflessione.
Nel primo incontro, la condivisione nel gruppo di
testi, canzoni, poesie e oggetti significativi della
propria storia personale in relazione ad una riflessione, sviluppata individualmente in previsione dell’incontro, sui temi della guerra, della pace e della gestione dei conflitti. Ciascuno ha donato liberamente qualcosa di sé…
L’ultimo giorno
i fili di una canzone antica
che parlava di nuvole e di vento
lo strinsero alla gola.
Il mostro cominciò a piangere e a tremare
gemendo piano
fuggì per sempre
oltre le colline. (Marina O)
In seguito, in sottogruppi si è cercata una definizione di autobiografia, potendo utilizzare alcune parole
chiave proposte dalla conduttrice. Le definizioni emerse vengono confrontate nell’intergruppo intendendole come “convenzioni temporanee”. L’autobiografia
è…un viaggio di esplorazione legata ai sé ed a una
rilettura creativa della propria storia. Serve a…alla
riscoperta e alla ridefinizione di sé e degli eventi. E’
utile a…all’incontro …verso un orizzonte di pace. Il
finale (“verso un orizzonte di pace”) è condiviso solo
da una parte del gruppo. A questo punto la conduttrice
fornisce suggerimenti sulle modalità della scrittura
autobiografica, invita a prendere familiarità con questa particolare scrittura, libera e creativa, e suggerisce
di inviarle testi su “La mia storia di pace e guerra” con riflessioni su aspetti di vita quotidiana, conflitti dentro di sé o interpersonali o nel sociale. Dalle
produzioni del gruppo prenderà avvio l’incontro successivo.
Ecco alcuni “prodotti” significativi di marzo: …Ho
ripensato al “mostro allontanato” e al mostro
“rielaborato” del primo incontro e ho pensato a un
mostro mio. Ne ho trovato uno gigante che ha attraversato la mia vita: il potere.…Il potere è un meccanismo che va tenuto d’occhio, anche quando espresso
dalla “parte giusta”…se non ascolta quel che proviene
da luoghi esterni ad esso degenera e opprime, soprattutto chi è debole, lontano dalle stanze dei bottoni. La
crisi della politica poi e lo spostamento di poteri forti
in luoghi non controllati e non controllabili, mi lascia
intravedere mostri ancora peggiori…(Luciana).
Si è parlato di bambini come portatori di istanze e
diritti legittimi; nel mentre mi tornavano alla mente
i giorni di supplenza che feci tempo fa in una scuola.
…Ad un certo punto (una insegnante) disse: “State zitti, respirate solo col naso, così non c’è pericolo che
parliate!” Un bimbo pensava di poter giocare in silenzio facendo l’aeroplanino con temperino e matita.
Ad un tratto l’insegnante si alzò con rabbia dalla sua
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“postazione” (la cattedra), si pose davanti al banco e
scaraventò per terra tutto quello che c’era sul tavolino, dicendo: “Ora te lo raccogli”. (Graziella).
E sull’ input: “Ricordi, sensazioni, emozioni di
pace e di guerra, di conflitti aperti o risolti, di
eventi accaduti nel privato o nel sociale e dei
loro eventuali intrecci.”: ...E’ la storia della mia
vita: per ora molta guerra e poca pace. Il pensiero è
una vastità di immagini e domande alle quali rispondere. Possiamo controllare le sensazioni che proviamo aiutandoci evitando di rimanere soli e cercando
di non fare azioni negative anche se ci vengono spontanee; possiamo pensare di più a come fa la natura:
la pioggia cade quando deve cadere, il sole splende
quando deve splendere; così in armonia con il tempo
che scorre sono le nostre giornate che trascorrono nei
nostri sentimenti. (Massimo).
A giugno, il gruppo viene invitato a produzione scritta
individuale attorno a parole chiave emerse
ripetutamente negli incontri precedenti: Costituzione, Resistenze, Diritti.
…Allora bisogna Resistere, ma resistere a che cosa?
A tutto ciò che ci rende omologati, spenti, manipolabili,
consumisti, violenti, soli…La Resistenza diventa un
metodo applicabile da tutte le persone che si sentono
schiacciate. Vorrei che la mia storia, molto piccola,
potesse incrociare le storie degli altri (Loredana). Daniela si sofferma su alcune caratteristiche positive del
gruppo:”…In questo gruppo, composto in grande prevalenza da donne di età anche molto diverse, ci sono
alcune condizioni significative a partire dalle quali
possiamo esplorare un nuovo modello di lavoro, che
sconfina continuamente tra il personale e il politico;
lo scambio di idee, sensazioni, emozioni tra generazioni, la voglia di narrarsi e ascoltare sono risorse
preziose e rare”.
A settembre, Daniela ci tira le orecchie: “Scrivere su
se stessi, accettare di leggere la propria scrittura fa
parte del metodo autobiografico e non si può “aggirare” con lo scambio orale. La scrittura costituisce uno
spazio e un tempo che ciascuno regala a se stesso, un
luogo per far rivivere la memoria in un contesto libero e accettato come significativo da chi partecipa”. Da
questo incontro, la scrittura diventa un passaggio “obbligato” una scelta meditata per chi partecipa.
Il tema, per riprendere i contatti e ricreare l’atmosfera dopo la pausa estiva, è “il tappeto volante2 ”.
Lo sviluppiamo in fasi successive (metodo ricorrente
nei vari incontri).
Prima fase
- Immagina di essere su un tappeto volante e di dare
uno sguardo di insieme alla tua estate.
Che cosa vedi/senti…. il tappeto corre veloce…. Scrivi di getto alcune brevi e sintetiche osservazioni.
Seconda fase
- Prova ad approfondire il testo o un particolare
tema/aspetto pensando a:
quali immagini, quali ricordi, quali persone, quali
luoghi, quali oggetti, quali episodi nel privato e nel sociale con eventuali intrecci, quali eventi “hanno lasciato il segno” in positivo e/o in negativo.
Terza fase
- Rileggi il tuo racconto
Quarta fase
- Condividi la tua narrazione con gli altri membri del
gruppo.
- E ascolta le altre narrazioni
…L’estate è forse il momento che aspetto per ritrovare un tempo per me, per riflettere, per ascoltare e
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recuperare il tempo perduto; il riposo , la calma che
uno pensa di aver meritato dopo un anno di corsa
per arrivare da tutte le parti, per risolvere tutti i problemi. Ma anche l’estate è una stagione come le altre,
forse con i ritmi un po’ rallentati, con le giornate più
lunghe ma con le bombe sempre pronte ad esplodere
sia in famiglia sia sulla metropolitana…
La rabbia e la paura incontrollata di un bambino
o la rabbia di un kamikaze che si fa esplodere o di un
soldato americano. La rabbia e la paura che gli altri
possano essere più forti, migliori di noi, possano
annientarci…(Sandra)
La conduttrice ripropone alcune condizioni indispensabili che diventano, gradualmente più vissute e
interiorizzate dai partecipanti nell’evolversi dell’esperienza: la qualità dell’ascolto (disponibilità reciproca, sospensione del giudizio, attenzione
di ciascuno per ogni reazione suscitata dentro di sé dalla narrazione altrui, scoperta di
qualcosa di sé nella narrazione altrui, domande per capire, per conoscere) e il carattere “sociale” delle conversazioni che si sviluppano
attorno
alle
narrazioni
condivise
(decentramento del proprio punto di vista,
uno spazio per sé/noi, il gruppo che diventa
risorsa, la gestione delle emozioni, il rispetto
dei silenzi).
Tema successivo(in ottobre) “Essere persona nel
mondo”.
Suggestioni date dalla conduttrice.
“La memoria è il fondamento di ogni identità, individuale e collettiva, che si basa sulla libera conoscenza
di noi stessi, anche delle proprie contraddizioni e carenze, e non sulla rimozione che crea paura e aggressività. Custode e testimone il ricordo è pura garanzia
di libertà (…), ha l’autentico valore e significato di esprimere la presa di coscienza di una intera comunità nazionale e statale”.3
“…..con la consapevolezza che tutto ciò che un sinStrumentiCres ● Febbraio 2006
golo può fare per il progresso dell’Umanità è come una
goccia d’acqua nell’oceano, ma con la convinzione che
è proprio l’agire in questa direzione che dà un senso a
ciascuno di noi” 4
Lettera ai bambini
“E’ difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo
mostrare la rosa al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi”5
..sono qui perché ho voglia di confrontarmi,perché
sto cercando una strada per uscire dall’isolamento
culturale e personale ,a cui è così facile lasciarsi andare in QUESTO MONDO. (Alessandra ).
…divisa a metà, mi sento una frattura vivente...più
che persona nel mondo mi sento “figlia spezzata” del
mondo (Maddalena).
Mi capita di parlare con gruppi di ragazzi di quel
che succede nel mondo: poco ne sanno ma sono assetati di sapere (Monica).
…Per un anno sono stata “vedova bianca”:mi son
fatta forza, ho bussato a mille porte per risolvere la
mia situazione. Adesso quando incontro persone di
altri paesi vorrei fare qualcosa ma so dare soltanto la
mia solidarietà, e qualche contributo. E’ difficile fare
le cose difficili…da qualunque parte stai! (Maria)
...Può sembrare strano ma io la percezione di essere un abitante del pianeta terra ce l’ho spesso sugli
autobus, quando siamo tutti stipati l’uno contro l’altro, con le nostre puzze varie,i colori e le fogge dei nostri abiti diversi. (Marina G.)
A novembre, divisi in sottogruppi, i partecipanti cominciano la scrittura collettiva di un testo(questo testo) che ripercorra le tappe fondamentali del percorso
realizzato e condiviso e rifletta sulle condizioni di
trasferibilità del metodo nelle scuole e sul territorio. Questa attività di rielaborazione e sintesi ha permesso al gruppo non solo di riflettere sul cammino comune ma anche di cominciare a pensare a un futuro
comune.
Scuole
Una parte consistente del gruppo è costituita da donne che lavorano nella scuola. Dall’autobiografia è
emerso soprattutto un sentimento che le accomuna: il
sentimento del disagio che pervade da qualche anno
il mondo della scuola: …La scuola, con i suoi impegni
fagocitanti, è talmente invasiva da penetrare persino
nel mio vissuto onirico sotto forma di incubo incarnato nella Dirigente Scolastica (Matilde, insegnante di
Scuola Primaria). Ancora pochi anni fa, osserva Federica (Scuola d’Infanzia), si lavorava con maggior partecipazione e condivisione sia all’interno dello staff,
sia tra adulti in genere. Anche fra noi e i genitori c’erano relazioni interpersonali che riflettevano una prospettiva comune. La responsabilità personale aveva più importanza e l’insegnante poteva assumere iniziative, aprirsi alla sperimentazione, adottare strategie innovative. Oggi, con l’introduzione di regole rigide e deresponsabilizzanti, nella pretesa finalità di salvaguardare gli alunni, si limita di fatto la possibilità
di ascolto, sia verso gli alunni che verso gli insegnanti: c’è, in definitiva, meno libertà. In effetti, non è solo
la scuola, ma il mondo tutto in cui viviamo che, ogni
giorno di più, ci priva di libertà: …sono le notizie di
tutti i giorni, piccole, scivolate inosservate, nelle quali
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si sente, si percepisce la libertà sbriciolata, la democrazia calpestata, l’intelligenza insultata, il rispetto
dimenticato. Nemmeno la consapevolezza politica
sembra più essere uno scudo sufficiente: Ho 37 anni
(Lalla - Scuola Primaria) e gli eventi degli ultimi anni
mi hanno portato ad estraniarmi, a non curarmi di
quanto succede intorno a me. Non è stato sempre così.
…C’è stato un momento in cui veramente mi sentivo
nelle mani la possibilità di trasformare il mondo …
Mi sono però scontrata con la difficoltà di mettere in
pratica le teorie e quella che forse era mania di
onnipotenza si è ridimensionata gradualmente fino a
diventare disincanto. Ho abbandonato la politica, gli
ideali e le grandi lotte…Però è anche accaduto che ho
cominciato a fare un lavoro, quello di insegnante, nel
quale ho capito di poter dare qualcosa non solo sul
piano cognitivo, ma soprattutto sul piano umano
…penso che la cosa migliore per essere persone in
questo mondo sia imparare a rispettare gli altri e, per
quanto possibile in un mondo così individualista, io
provo a farlo…. Purtroppo ben presto Lalla si è accorta che anche nella scuola la teoria è una cosa, la pratica
un’altra. In teoria, stando al testo della Riforma
Moratti, il bambino dovrebbe essere al centro dell’azione educativa, come è giusto che sia. In realtà, per effetto della parcellizzazione dell’ orario e dell’organizzazione didattica introdotte nella scuola primaria dalla stessa riforma, l’insegnante ha meno tempo da dedicare ai bambini, al loro ascolto.
Così, in un contesto generale che spinge gli adulti a
vivere con tempi sempre più incalzanti, ai bambini viene meno anche a scuola ciò di cui hanno più bisogno:
essere ascoltati. Ed essi lo denunciano con chiarezza
già in terza elementare - afferma Matilde - sono consapevoli che si tratta di un diritto non rispettato. I genitori non hanno tempo né per ascoltare i loro figli, né
per incontrarsi fra genitori e con gli insegnanti. Spesso ne scaturisce una contrapposizione che la Riforma,
in qualche modo, sembra fomentare, rischiando di fare
dei genitori, e specialmente dei loro rappresentanti
negli organi collegiali, i controllori della realizzazione
del “successo” dei bambini piuttosto che porli in un
atteggiamento di disponibilità e collaborazione con gli
educatori dei loro figli. Occorre superare questa
impostazione, - dice Matilde - recuperando non appena possibile spazio e tempo per i bambini, ma anche per i genitori, facilitandone l’incontro ed il dialogo, mirando a ricostruire legami preziosi per la scuola. Inoltre, … bisogna ritrovare il modo della
condivisione, anche fra colleghe- dice Maria, docente di scuola primaria, sulla soglia della pensione.- Adesso che siamo 7 maestre su 4 classi la condivisione, che
sarebbe indispensabile, è diventata più difficile: la
burocrazia ha invaso gli spazi del buon senso, lo spazio vitale viene a mancare.
Non va meglio nella scuola secondaria. “E’ vero: è
cresciuto l’isolamento. Anche nella scuola media, con
l’istituzione dei laboratori pomeridiani facoltativi, ci
si trova a lavorare da soli con un numero crescente di
alunni di classi diverse, dei quali non si sa quasi nulla, che si vedono per poche ore alla settimana, per i
quali manca il confronto con i docenti che li hanno in
classe al mattino, a meno che non lo si vada a cercare
per propria iniziativa. Si restringono i tempi della
qualità: per sopperire alle carenze occorrono troppe
energie individuali che finiscono col disperdersi. Il risultato generale è di crescente dequalificazione
(Gianna, insegnante di scuola Secondaria Inferiore).
Il metodo autobiografico a queste insegnanti serve per
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imparare ad aprirsi verso l’esterno, accrescere la loro
consapevolezza ed avere più forza nel rapporto con gli
altri. Mentre si scrive, si ascolta se stessi. Mentre si legge agli altri, si esercita il diritto all’ascolto. La narrazione che vi si pratica è autentica, rispettosa, piena di
dignità, densa di valore comunicativo, ben distante da
tutte quelle pseudo-narrazioni che propinano i vari
reality e talk -show televisivi e dalle varie “mode” falsamente autobiografiche
Territorio
Il gruppo inizialmente ha sottolineato pari dignità
di professionalità simili: operatori sociali, educatori,
insegnanti, riconoscendo pertanto la validità del metodo autobiografico usato in un contesto fortemente
connotato dal punto di vista educativo e sociale. Successivamente però il gruppo ha ampliato i propri orizzonti, privilegiando spazi di relazione e mappe mentali per cogliere un denominatore comune: il riconoscimento del territorio come “luogo” di appartenenza per
nascita, per lavoro o per voglia di sperimentare nuovi
modi di far circolare idee e cultura.
L’esperienza fin qui vissuta ci suggerisce alcune riflessioni: le premesse dell’approccio autobiografico,
fondate sulla sospensione del giudizio che ha permesso ai componenti del gruppo di esprimere anche momenti emotivamente forti, è in aperto conflitto con le
modalità comunicative dominanti. Oggi viviamo attraverso i media un apparente denudamento delle
persone, un’esposizione di sé che comprende anche i
fatti più intimi, ma che in realtà è un’enorme finzione,
in cui quello che si espone non è la realtà intima, ma
un suo simulacro. Colpisce la pochezza nella vita quotidiana della trasmissione tra le persone di pensieri
limpidi e di emozioni. Il gruppo ha vissuto alcune giornate particolari in cui tutti sapevamo di poter portare liberamente qualcosa di personale vissuto scoprendo persone nuove e conoscendo meglio altre. Nel gruppo, con i suoi riti conviviali, si è creata un’atmosfera
quasi sospesa, la sensazione un po’ di essere in una
bolla trasparente e fluttuante. Trasparente come la
possibilità di esprimere parti di noi che si volevano
condividere e fluttuante perché, grazie al racconto di
altri, abbiamo provato la sensazione di cogliere particolari mai visti o forse particolari visti attraverso
occhi diversi dai propri. Quindi il contrario del mettersi a nudo senza il rispetto di sé e degli altri. Molte
di noi pensano che in questa esperienza ci sia stata
anche una componente “terapeutica”. Forse c’è stata
solo nel fatto che ogni cosa che ci fa star bene ci “cura”.
Tuttavia può servire riflettere sul perché, al di là di
ogni impegno connesso ad un percorso di aggiornamento professionale, ci trovassimo lì, magari tralasciando ogni altro impegno e magari prendendosi
cura del gruppo portando una torta, un thermos di
caffè. (Nora)
Il gruppo ha valorizzato molto l’aspetto della relazione interculturale e dell’ascolto attivo, praticando
l’arte di ascoltare, partendo da uno spazio individuale,
soggettivo, per arrivare poi ad uno spazio più partecipato e collettivo. Abbiamo accettato di sperimentare
attraverso la conduzione di Daniela il passaggio dall’essere “Io” all’essere “Noi” attraverso la
contestualizzazione di processi formativi e culturali,
all’interno dei quali i partecipanti si sentissero stimolati a sviluppare insieme apprendimenti collettivi,
saperi condivisi, legami sociali segnati dalla reciprocità. Il gruppo, che ha fatto questo percorso, ha in larga
parte un forte legame con la Valpolcevera, molte persone hanno o hanno avuto esperienze “politiche” in
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questo territorio. Alcune persone del gruppo hanno un
difficile rapporto oggi con la politica, anche con i “luoghi” della politica che per tradizione dovrebbero essere spazi di conoscenza, confronto, comunicazione,
scambio. Oggi ci sentiamo un po’ smarrite, prigioniere di una politica che spesso sembra lontana dalla pratica della democrazia, incapace spesso di un ascolto
attento e attivo e di praticare il principio della partecipazione diretta delle persone nelle scelte politiche.
Detto questo ci chiediamo se sia pensabile che un gruppo di persone possa, attraverso la pratica dell’autobiografia, sperimentata individualmente e in gruppo, collocarsi in ambito sociale più ampio, più aperto, ricostruire la storia di questa nostra valle restituendo oggi
le emozioni, le speranze che ci suscita, visto che qui
siamo, alcuni ci siamo nati, altri siamo arrivati per caso
e per scelta. Quali sono i nodi sul territorio che ci coinvolgono più profondamente come persone e come
gruppo? Quale il contesto all’interno del quale collocare la prosecuzione del nostro lavoro? Uno dei nodi
che più ci appartiene, forse lo abbiamo individuato:
come vivono in Valpolcevera gli adolescenti oggi e quali
strade possiamo intraprendere per un loro reale
protagonismo. Il nostro lavoro continua con l’approfondimento di questa tematica.
Bibliografia
a cura di Daniela Invernizzi
D.Fabbri D., Formenti L., Carte d’identità, Franco
Angeli, Milano 1991
Kaniza S., Che ne pensi?, la Nuova Italia, Firenze,
1993
Ricoeur P., Tempo e racconto, Jaca Book, 1993
Demetrio D., Raccontarsi L’autobiografia come
cura di sé, Cortina, Milano, 1996
Hillman J., Il codice dell’anima, Adelphi, Milano
1996
Demetrio D., Il gioco della vita, kit autobiografico,
Guerrini associati, Milano, 1997
Formenti L., Gamelli I., Quella volta che ho imparato, Cortina, Milano 1998
AA.VV. L’educatore auto(bio)grafico, Unicopli, Milano 1999
Oddi Baglioni L., Scrivere la propria vita, SEAM,
Roma 2000
Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo,
Laterza, Bari, 2002
Gamelli I., Bibliografie ragionate Auto(bio)grafia,
ed. Unicopli, scienze umane, Milano, 2004
Savater F., Autobiografia di una ragione appassionata, Laterza, Bari 2005
1 L’idea di fondo:sperimentare la nascita di un nuovo
soggetto come processo partecipato che si sviluppa in
progress, condividendo le fasi più significative a partire
dall’individuazione delle problematiche del territorio, e
degli obiettivi prioritari conseguenti.
2 Daniela Invernizzi ha tratto questa attività con modifiche da R.Dynes, Scrittura creativa in gruppo, Erikson,
1996.
3 Claudio Magris, “La memoria senza ossessione”, in
Corriere della Sera, 10.02.05.
4 dal testamento spirituale di Eistein, e altri premi
Nobel
5 Gianni Rodari, Parole per giudicare”, 1979.
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dossier
dossier
Letteratura della migrazione
scrittori migranti - narrativa nascente
letteratura italofona... on line
L
etteratura della migrazione, scrittori migranti, narrativa nascente,
letteratura italofona, etichette diverse che si riferiscono allo stesso
fenomeno: opere (testi) letterarie scritte da immigrati arrivati in Italia
da tutti gli angoli del mondo, per motivazioni diverse, che a un certo
punto
hanno adottato
la lingua
Dante perabbiamo
esprimersi.
el dossier
pubblicato
nel n.di28/2001
tentato di metSappiamo
tutti
che
negli
ultimi
quindici
anni
il nostrodell’area
paese è linguidiventere a fuoco alcuni temi legati alle problematiche
tato luogo di transito oppure meta di sempre crescenti flussi migratori.
stico-letteraria
e, inper
particolare,
una didattica
Dopo essere stato
quasi un a
secolo
un paeseinterculturale
di emigranti, della
negli
letteratura.
ultimi decenni l’Italia si è trovata a confrontarsi con il fenomeno inverLasiricerca
si di
è fronte
poi spostata
sudiipotesi
percorsi
didattici
sul
so,
è trovata
a migliaia
personediche
hanno scelto
proprio
questodello
postosconfinamento,
come casa, rifugio,
scommessa.
tema
dell’attraversamento.
I percorsi, sugContrariamente
ad altri paesi
europei,
in Italia queste
scrittugeriti
in questo dossier,
nascono
con l’intento
di farnuove
riflettere
gli
re
non
hanno
ricevuto
l’attenzione
che
avrebbero
meritato.
studenti sulle stratificazioni della nostra cultura, a partireSpesso
dallo
l’interesse nei confronti degli scrittori “altri” è stato più di tipo antropospazio
mediterraneo,
pernon
capire
chi siamo,
rintracciare
le nostre
logico, sociologico
(quando
folkloristico)
piuttosto
che strettamenradici
meticce,
e
proseguire
il
cammino
lungo
le
orme
di chi ha
te letterario. Scarsa attenzione da parte delle grandi case editrici,
da
attraversato
i confini,
est a da
ovest,
nord
a esud.
parte della stampa
e deida
media,
partedadei
critici
dell’accademia,
salvo
alcuneproposti
lodevoli eccezioni.
I percorsi
sono preceduti da un intervento di Armando
In
compenso
sono
venute
a crearsi
alcune riviste
che, in tra
modii
Gnisci, docente di Letteratura
comparata,
che on
fa line
da ponte
diversi,
si
occupano
di
questa
nuova
fase
della
letteratura
italiana
e di
due dossier, evidenziando come la letteratura comparata sia una
letteratura più in generale.
disciplina,
via, un
metodo
che pone
i suoiinpartecipanti
in una
Abbiamo una
pensato
di dar
loro voce
e spazio
questo Dossier
per
rete
di
reciprocità
paritaria.
Le
letture
selezionate
nei
percorsi
offrire agli insegnanti interessati l’opportunità non solo di conoscerle,
didattici
olanomateriali
gli studenti
colloquiare
ma anchestimFirenze
di poter attingere
per il aloro
lavoro. con tutti i
N
mondi.
a cura di Anna Di Sapio e Donatella Calati
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dossier
Nuove voci della letteratura italiana
Anna Di Sapio
Due viaggi caratterizzano le due
grandi storie – i due grandi racconti –
che sono all’origine della nostra cultura: il viaggio di Ulisse nella cultura greca, quello di Abramo in quella ebraica.
Due miti, due percorsi di un’unica metafora: il viaggio come metafora della vita umana, sempre e
dovunque. Nascita e morte, incontri e scontri, avventure, andate e
ritorni. (…). Filippo Gentiloni1
“La terra gira e non esiste né
nord, né sud e noi sospesi nel nulla. Tutti siamo migranti ed esuli
sulla terra e dobbiamo insegnare a
tutti ad essere migranti, esuli e
stranieri nello spazio e nel tempo
sulle orme di Ulisse e di Abramo,
se vogliamo costruire una Europa
giusta, pacifica, senza muri, prospera e tollerante . (…) Gezim
Hajdari2
L’immigrazione nel nostro paese, ultimo tra quelli europei ad essere interessato da questo fenomeno, è in atto
già da diversi anni eppure nel nostro
immaginario collettivo la figura dell’immigrato è percepita ancora come portatrice di bisogni e di problemi, (a causa di politiche ostili all’accoglienza e
anche di una cattiva informazione che
reitera immagini e cliché stereotipati
che creano pregiudizi e ostilità) invece di essere riconosciuta come una risorsa, come portatrice di cultura. Non
si migra solo per necessità economica
o per motivi politici, si emigra anche
per necessità di lavoro, per desiderio
di cambiamento, e tra coloro che si
spostano ci sono anche artisti. Il fenomeno migratorio ha comportato l’arrivo nel nostro paese di scrittori provenienti da tutti i mondi che hanno
adottato la lingua italiana come lingua
di espressione letteraria.
Altri paesi europei hanno conosciuto importanti flussi migratori ben prima dell’Italia. In Francia e Gran
Bretagna, ad esempio, a partire dalla
fine del colonialismo vi è stato un arrivo massiccio di immigrati provenienti
dalla ex-colonie di Caraibi, Africa, Asia.
Questi immigrati conoscono già la lingua e la cultura del paese di arrivo
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(retaggio del colonialismo) e sono
quindi in grado di comunicare con gli
abitanti del paese e con altri immigrati, ma spesso hanno un rapporto ambiguo, contraddittorio, un rapporto di
odio-amore con la lingua coloniale.
La storia coloniale italiana è stata
breve e limitata territorialmente per
cui in Italia non c’è la predominanza
di un gruppo etnico su altri (come per
i maghrebini in Francia, gli indiani o i
pakistani in Gran Bretagna), gli immigrati arrivano da ogni angolo del pianeta, tutte le culture sono rappresentate; da quelle mediorientali a quelle
dell’Africa subsahariana, da quelle
asiatiche a quelle dei paesi dell’est
europeo. I migranti che approdano in
Italia al loro arrivo non sono in possesso della lingua italiana, la imparano direttamente qui, e diventa anche
lingua franca per poter comunicare non
solo con gli italiani ma anche con altri
immigrati.
Diverso è quindi il rapporto che gli
immigrati in Italia hanno con la lingua
d’adozione perché, a parte coloro (pochi) che provengono da ex colonie italiane, la lingua italiana viene scelta, si
presenta come “neutra” rispetto all’inglese, francese, portoghese, lingue dei
colonizzatori.
“
Intorno agli anni Novanta nasce in
Italia (paese che per circa un secolo è
stato connotato da una forte emigrazione) una letteratura intorno a questa nuova realtà rappresentata dal fenomeno dell’immigrazione. Una letteratura prodotta in Italia da non italiani. Questo fenomeno è stato designato con una serie di etichette: letteratura della migrazione, narrativa nascente, letteratura italofona, letteratura postcoloniale, letteratura emergente, letteratura interculturale, letteratura di ibridazione, minore, periferica, nessuna delle quali riesce a dar
conto della complessità del reale. Etichette generiche all’interno delle quali vengono inclusi scrittori molto diversi
tra loro, la maggioranza dei quali hanno in comune il fatto di aver scelto la
lingua italiana come lingua di espressione letteraria. Non tutti però riescono ad abbandonare la lingua madre,
questa è sempre una decisione sofferta
perché vuol dire un taglio con il proprio passato, la propria storia personale, il proprio paese, alcuni continuano ad usare la lingua madre come lingua di espressione letteraria.
Sono arrivati in Italia per i motivi più
disparati, si va da Gezim Haidari, esule politico, grande poeta albanese, che
ha vinto il “Premio Montale”, al siriano
Yousef Wakkas 3 che lascia il proprio
paese perché non “voleva vivere una
sola volta”; dal giovane congolese
Jadelin Mabiala Gangbo, che vive in
Italia fin dalla primissima infanzia, che
ha sempre parlato l’italiano, lingua in
cui ha compiuto tutti gli studi, al brasiliano Julio Cesar Monteiro già docente
in università nordamericane, tra i
fondatori del movimento ambientalista
in Brasile, e ora docente all’università
di Pisa, che al suo attivo ha pubblicazioni sia in portoghese che in italiano;
dalla slovacca Jarmila Ockayova giunta giovanissima in Italia dove si è laureata, alla brasiliana Christiana de
Caldas Brito e alla statunitense Alice
Oxman arrivate in Italia per matrimonio. E si potrebbe continuare. Alcuni
hanno iniziato a scrivere e pubblicare
nel loro paese d’origine, altri hanno
scoperta la vocazione letteraria in seguito all’esperienza migratoria.
La prima fase di questa letteratura
è stata caratterizzata da temi spesso
connessi all’autobiografia, alla difficoltà
dell’integrazione. Nel giro di una quindicina di anni la situazione è molto
cambiata, oggi si può parlare di letteratura tout court nel senso che gli scrittori affrontano temi molto vari, storie
ambientate in Italia ma anche in altri
paesi (non necessariamente quello di
provenienza dell’autore), c’è un’attenzione alla storia e alle vicende italiane, insomma questa letteratura testimonia l’incontro tra le varie culture
presenti sul nostro territorio e la cultura italiana. Gli scrittori stranieri sono
ormai giunti a una maturazione significativa tanto sul piano dell’autonomia
linguistica che sul piano dei contenuti
e della forma e sfidano le nostre categorie, mettendo in discussione un elemento canonico dell’estetica occidentale come quello dell’autonomia dell’arte. Gli scrittori provenienti dall’AmeStrumentiCres
StrumentiCres●● Marzo 2006
In pochi anni intorno a questo fenomeno è fiorito un vero e proprio movimento con le sue analisi, diatribe, contraddizioni. Un movimento che non ha
grande visibilità e lavora un po’
carsicamente, ma scrittori e poeti migranti stanno riconfigurando la struttura piuttosto monolitica della nostra
letteratura nazionale con un apporto
straordinario di temi, sentimenti, suoni. Sarebbe auspicabile, a questo punto, un confronto, una collaborazione,
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rica Latina, dall’Africa, dall’Asia provengono da una tradizione in cui lo scrittore è soprattutto una sorta di coscienza della società, sente di avere un ruolo
sociale.
Eppure questi scrittori stentano ancora a raggiungere il grande pubblico.
Superficiale l’interesse dimostrato dai
media e dalle grandi case editrici nonché dai critici e dal sistema letterario
ufficiale, mentre questi fenomeni risultano più indagati all’estero. Si arriva così al paradosso che nelle università straniere, europee e nordamericane, questi autori vengano studiati
come rappresentanti della letteratura
italiana contemporanea quando in patria i loro scritti sono affrontati spesso
solo da un punto di vista sociologico.
Molti di questi scrittori sono pubblicati
da piccole case editrici che incontrano
difficoltà di distribuzione e non hanno
molta visibilità nelle librerie, vengono
invitati a parlare in convegni o serate
dedicati a questa letteratura ma rimangono pur sempre momenti isolati che
non coinvolgono il grande pubblico.
Non si può negare che piccoli passi
avanti siano stati compiuti e che, nonostante le difficoltà, questa letteratura riesca a ritagliarsi alcuni spazi, ma
la strada resta ancora in salita. per
scalfire il disinteresse generale che
l’editoria e i media nutrono nei confronti di una letteratura ritenuta di
seconda categoria. D’altronde la grande editoria è interessata a fare cultura
o solo a vendere?
In chi si occupa di questa letteratura si è fatta strada la consapevolezza
non solo della crescente qualità delle
opere (che in pochi anni hanno superato la dimensione dell’autobiografia
romanzata per divenire vera e propria
narrativa di invenzione), ma la consapevolezza della produzione di opere in
sintonia e all’altezza delle profonde trasformazioni della società contemporanea, facendo di questo paese un nuovo microcosmo della diversità culturale. “L’Italia di oggi può contare sui
libri e sulle riflessioni di questi nuovi
italiani arrivati da lontano, con le loro
storie, la loro determinazione, il loro
talento fabulatorio”. 4
dossier
un’interazione fra scrittori migranti e
scrittori autoctoni, una collaborazione
artistica aperta alla contaminazione e
all’eterogeneità, per un arricchimento
e riconoscimento reciproco. Un’occasione, per dirla con Mia Lecomte, “per
‘sprovincializzare’ la letteratura italiana e rivitalizzarne la lingua,
riscoprendola attraverso la voce dell’altro, per liberarla da stereotipi,
barocchismi e sperimentalismi posticci, (…) perché il problema non è più
quello di definire questa letteratura,
ma di ridefinire la letteratura italiana
in modo che possa accoglierla. In
modo che, per esempio, all’interno
della poesia, un Hajdari, uno Stanisic,
possano convivere con un Magrelli, o
un Cucchi. (…) questi due universi non
possono più viaggiare separatamente.
Non solo per il rischio di ghettizzazione
(…) ma per non impoverire entrambi
gli universi letterari.5
Internet si rivela un formidabile mezzo per la promozione di questa letteratura quasi totalmente ignorato dai
mass-media, da qui l’idea di presentare in un Dossier riviste on-line come
El Ghibli, Kuma, Sagarana . Al di là
delle loro diversità e specificità che ben
emergono nelle pagine seguenti, ci
sembra che queste tre riviste vadano
Sono uomo di frontiera
ferito nella ferita
innamorato del Nulla
e dell’origine del freddo
sono uomo che vive
di poche cose
condannato alle frontiere
dalle frontiere
i miei occhi: sguardi incrociati
fra quelli che giungono
ed altri che partono
dentro di me sono
un po’ nessuno
e un po’ tutti
ubriaco di mondi
proprio nella direzione cui si accennava prima, quella cioè di far dialogare
le culture, di far interagire gli scrittori
migranti e quelli autoctoni e tutto questo non potrà che dare frutti positivi
non solo per la letteratura ma per la
cultura italiana più in generale.
A queste tre riviste abbiamo pensato di aggiungere il sito di Eks&tra
(un’associazione interculturale che nel
1995 ha avuto l’idea di creare un premio letterario per gli scrittori migranti
per farli conoscere al pubblico italiano
e per favorire l’integrazione fra espressioni e tradizioni diverse) perché offre
un considerevole archivio di racconti
e poesie, tutti scaricabili; e un intervento di Raffaele Taddeo dell’Associazione “La Tenda” tra i primi a promuovere in incontri pubblici gli scrittori
migranti.
“Attraverso la nostra letteratura dice il poeta Gezim Hajdari - noi cerchiamo di avvicinare sponde diverse,
popoli diversi, culture diverse, combattendo il nazionalismo sciovinista
moderno che spesso diventa patetico,
violento e pericoloso”. 6 Ed è proprio
con alcuni versi di Hajdari che vogliamo concludere questa introduzione augurando ai nostri lettori “buona navigazione”!
Ogni giorno cerco una nuova patria
In cui muoio e rinasco
Una patria senza mappe né bandiere
Celebrata dai tuoi occhi profondi
Che mi inseguono per tutto il tempo
nel viaggio verso cieli fragili
In tutte le terre io dormo innamorato
In tutte le dimore mi sveglio bambino
La mia chiave può aprire ogni confine
E le porte di ogni prigione nera
Ritorni e partenze eterne il mio essere
Da fuoco a fuoco da acqua a acqua
L’inno delle mie patrie il canto
del merlo
Che io canto in ogni stagione
di luna calante
Sorta dalla tua fronte di buio e di stelle
Con la volontà eterna del sole.
G‘zim Hajdari, Stigmate/Vrag‘. Poesie, Besa editrice, Nardò 2002
1 Filippo Gentiloni, Il viaggio fra mito e religione: Abramo contro Ulisse, in “. A.V., Il
viaggio, a cura di G. Gasparini, EL, Roma, 2000”
2 Gezim Hajdari, La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana in www.eksetra.net
3 v. “Strumenti” n. 38,pp. 40-42
4 1° Seminario degli scrittori migranti in www.sagarana.net
5 2° Convegno Nazionale “Culture della migrazione, scrittori, poeti, e artisti migranti”
Ferrara, 10,11,12 aprile 2003
6 Gezim Hajdari, La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana in www.eksetra.net
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dossier
Una tenda per
una narrativa nascente
RaffaeleTaddeo*
Il Centro Culturale Multietnico La
Tenda, nacque all’inizio degli anni ’90
come associazione che vedeva nella
immigrazione degli stranieri un fenomeno insolito e totalmente nuovo, che
avrebbe portato cambiamenti notevoli
nelle abitudini degli italiani con reali
pericoli di imbarbarimento e di rimozione di ogni valore di accoglienza ed
ospitalità.
Verso la metà degli anni ’90 ci si rese
conto che il “culturale” presente nel
nome del Centro La Tenda non poteva
vertere solo sui corsi di italiano che
avevamo incominciato ad organizzare, né tanto meno sulle serate di
intrattenimento culinario o musicale.
Bisognava trovare uno specifico che
ponesse al centro dell’attività dell’associazione un confronto, un dialogo,
una conoscenza degli stranieri a partire dalla produzione di qualcosa che
fosse attinente all’attività culturale, anche se ci si rendeva conto che si giocava su fatti che non erano connessi a
bisogni essenziali, come lavoro, casa,
che allora, come ancora adesso, erano di fondamentale importanza. E tuttavia bisognava guardare lo straniero
non solo come oggetto del nostro desiderio di azione caritatevole o filantropica, ma come l’altro che aveva le
nostre stesse esigenze, i nostri stessi
bisogni, aspirasse a fruire e produrre
arte e bellezza, proprio come noi.
Fummo colpiti proprio dal fatto che
incominciavano ad apparire scritti, a
quattro mani, ma alcuni già autonomi
sul piano linguistico, di stranieri di recente immigrazione.
Sorse subito spontanea l’idea di far
conoscere agli italiani non tanto gli
scritti, che avrebbero potuto comprare facilmente da qualsiasi libreria,
quanto gli autori e quindi facilitare un
incontro di conoscenza fra italiani e
stranieri a partire da uno strumento
culturale.
20
“
L’iniziativa riscosse un successo
insperato. Ricordo la prima sera di programmazione. Avevamo previsto una
sala con capienza di 100 persone. Ne
arrivarono oltre 150 in una zona periferica e in una biblioteca ai margini
Nord della città di Milano.
Quando iniziammo non era ancora
stato lanciato il concorso Eks&Tra e
avvertimmo di essere in una vera fase
pionieristica.
Tentammo però di caratterizzare la
nostra iniziativa attraverso una modalità operativa che rispettasse il più possibile la persona-scrittore straniera e
lasciasse poco spazio e adito a conoscenza folklorica che avrebbe prodotto solo un accendere l’interesse degli
italiani, un cogliere l’esotico degli stranieri e un dare spazio alla nascita di
pregiudizi. Se non avessimo dato
un’impronta particolare agli incontri si
sarebbe
fatta
un’operazione
diseducativa e tutt’altro che culturale.
Affiancammo da subito all’autore un
critico letterario (cioè uno studioso che
avesse dimestichezza con il genere del
romanzo e sapesse rilevarne caratteristiche e significati). Lo studioso Remo
Cacciatori si rese disponibile all’approccio che volevamo dare al nostro lavoro. Oltre al critico affiancammo poi un
lettore che avrebbe letto alcune pagine fra le più significative degli scritti
che si presentavano al pubblico. L’attore-regista Giancarlo Monticelli ci aiutò in questa prima fase.
Anche la denominazione da assegnare all’iniziativa ci impegnò non poco e
dopo diverse riflessioni ci sembrò che
il termine “Narrativa Nascente”, una
allitterazione che poteva essere di richiamo, esprimeva anche la vera novità del fenomeno letterario che si ave-
va davanti.
La presenza del critico letterario aveva la funzione di organizzare gli incontri proprio a partire dal letterario e non
dal folklorico. Eravamo spietati sotto
questo punto di vista perché quando il
pubblico presente tentava di scivolare
su curiosità del paese d’origine dell’autore, delle usanze e costumi, il moderatore riportava inflessibilmente il dibattito su piani letterari e sul valore di
quello che gli autori avevano prodotto
e scritto.
Ricordo la meraviglia e la gratitudine degli scrittori che arrivavano e che
assistevano finalmente a un dibattito
sulla loro opera. Essi avevano scritto
non per far conoscere quello che si
mangiava o quale fosse la condizione
della donna al loro paese (temi forti di
alimentazione di pregiudizi ), ma perché pensavano di incominciare a fare
opera letteraria.
Avvertivano che avevamo nei loro
confronti un rispetto e che non si strumentalizzava loro per l’arena della curiosità degli autoctoni.
Diamo qualche numero. Abbiamo, in
oltre 10 anni, nei primi sei anni quasi
a scadenza mensile, poi sempre più
raramente, organizzato oltre 60 incontri presentando narrativa edita ed inedita, testi di poesie editi ed inediti,
qualche saggio.
La Narrativa Nascente è diventata
Letteratura Nascente, forse perdendo
come denominazione il suo fascino,
perché accanto alla narrativa si scoprì
che vi era anche una poesia prodotta
dagli stranieri.
Calcolando una media di presenze
di 60 persone per incontro nei dieci
anni di sviluppo dell’iniziativa si può
dire che abbiamo avuto oltre 3500 presenze con un forte significato culturale. Il numero di 60 presenze ad incontro è un numero sottostimato perchè
nei primi anni la media è stata sempre superiore alle centinaia e solo negli ultimi incontri si è attestata sulla
quarantina.
Il pubblico presente non è sempre
stato solo di affezionati, ma è cambiato con una certa frequenza, con continui ritorni.
Inoltre ha sempre dimostrato una
maturità elevata rispondendo positivamente agli stimoli culturali che la forStrumentiCres
StrumentiCres●● Marzo 2006
StrumentiCres ● Marzo 2006
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mula proponeva senza incorrere in facili e semplici curiosità.
Gli argomenti di discussione
vertevano molto spesso sulla lingua,
sulla possibilità che una produzione
narrativa o poetica in una lingua non
materna potesse avere reale valore letterario.
Ciò che Kundera va sottolineando nel
suo ultimo saggio (Il sipario) sul fatto
che l’opera d’arte del romanzo è quasi
completamente sganciata dal riferimento nazionale o dalla lingua materna, era argomento dibattuto con passione nelle serate della Narrativa Nascente.
Gli incontri che abbiamo fatto con
così alta frequenza ci hanno fatto capire quali erano e sono i pericoli sottesi
da parte di un cittadino del paese ospitante, cioè di un italiano, nell’avvicinarsi ad uno straniero. Egli incomincia ad aggirarlo. Si dice curioso della
sua cultura d’origine e in questo modo,
vuole conoscere perché è qua in Italia, ed intanto non entra mai in contatto reale con lui. Sì, questo straniero può anche produrre qualcosa di culturale, ma è ininfluente – pensa l’autoctono - prima di tutto perché la sua
produzione non sarà mai una produzione artistica, di elevata qualità (tanto non conosce a fondo la lingua e non
conoscendo la lingua non è possibile
alcun prodotto di alta qualità); poi attraverso la curiosa conoscenza della
cultura d’origine si rafforza nell’idea
(da cui si salvano a malapena solo
poche persone) della enorme distanza di civiltà fra gli usi e costumi del
proprio paese e quello d’origine dello
straniero.
L’autoctono vede lo straniero in maniera statica, con una fissità culturale
e non riesce nemmeno a comprendere che questi in Italia non ha più la
cultura del suo paese d’origine, né ha
quella del paese ospitante. E’ in una
posizione di continuo cambiamento e
la produzione letteraria da lui fatta è
testimonianza del tentativo di porsi in
contatto con la società ospitante da
una parte e dall’altra di poter controllare continuamente il proprio cambiamento.
Lo straniero cioè è in una situazione
di estrema mobilità intellettuale non
tanto e non solamente subita, ma
spesso voluta e ricercata. Solo i più
avvertiti fra gli autoctoni, in un atteggiamento di dialogo, comprendono
l’importanza di rimettersi in gioco e
capiscono che la vita è un continuo
viaggio di ricerca culturale e di verità,
e spesso solo l’incontro autentico con
uno straniero dà la possibilità di intraprenderlo. Se questo è vero, allora, per
poter stabilire un cammino di reale
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dialogo è necessario capire quanto sta
avvenendo negli stranieri presenti o
che tendono a stabilizzarsi in Italia e
questo è possibile in maniera privilegiata con la conoscenza dei loro prodotti culturali, perché essi ci dicono in
maniera riflessa, ma certa e più reale,
quale sia il cambiamento in corso.
Gli incontri che abbiamo fatto ci hanno fatto capire quanto fosse difficile
porsi nell’atteggiamento di un reale
confronto pari, consci cioè che la cultura dell’altro fosse della stessa qualità, se non superiore alla cultura nostra.
Ricordo un convegno di qualche anno
fa a Genova promosso dall’Associazione “Mediterraneo” che si proponeva di
metter a confronto scrittori italiani e
scrittori dei paesi che si affacciano sul
Mediterraneo (marocchini, algerini,
tunisini, israeliani ecc.). Ad un certo
punto si sentirono offesi e si ribellarono quando da parte di uno scrittore
italiano si chiese quale fosse la loro
idea sulla donna e sulla condizione
della donna araba, come se questo
potesse essere di pregiudizio rispetto
alla loro opera di letterati. Essi chiesero a viva voce che fossero considerati e giudicati non per il grado di contestazione o di consapevolezza dei problemi sociali nei loro paesi quanto per
la loro produzione letteraria.
Negli ultimi anni la formula adoperata da La Tenda per diffondere la letteratura della migrazione, almeno nell’area milanese si sta consolidando. Il
Centro La Tenda sta collaborando anche con altre associazioni, CRIC, ARCI,
che stanno riproponendo in altre zone,
altri comuni della cerchia milanese,
l’esperienza accumulata.
Certo un lungo cammino è stato percorso dal lontano 1991 quando venne
fuori il primo testo a quattro mani di
Pap Kouma e Oreste Pivetta, cammino che ha visto dapprima una lenta
emancipazione per la conquista dell’autonomia linguistica.
Ma pure significativo è stato l’affrancamento rispetto alle tematiche. Gli
scrittori stranieri, ad un certo punto
non hanno più parlato solo della loro
esperienza, del loro vissuto di immigrati o di migrati, ma hanno incominciato a creare delle vere fiction, hanno incominciato a creare delle storie
emancipandosi anche rispetto ai contenuti, e incominciando a proporre
schemi formali innovativi.
E’ ormai possibile vedere nella produzione letteraria degli scrittori stranieri una evoluzione tematica e formale che ne fa una letteratura vivace,
creativa e che inciderà significativamente sulla letteratura italiana quando questa incomincerà ad accorgersi
della sua esistenza, come ha già incominciato ad accorgersi.
Lo scrittore Pap Kouma, autore del
primo scritto a quattro mani, ha voluto affermare la sua emancipazione linguistica e la sua totale autonomia culturale pubblicando di recente il suo secondo romanzo “Nonno Dio e gli spiriti danzanti”.
Si sta assistendo al fenomeno della
emergenza di scrittori nati in Italia con
genitori stranieri o arrivati in Italia
quando erano piccolissimi, fatto per cui
sentono di appartenere totalmente alla
cultura italiana.
Sarà opportuno chiamarli ancora appartenenti alla Letteratura Nascente o
alla “letteratura della migrazione”,
come ormai è chiamata generalmente
la produzione letteraria di questi stranieri che scrivono in italiano? E’ un problema aperto e dibattuto.
Stanno emergendo anche scrittrici
di origine straniera; anzi se si dovesse
fare una statistica, forse si noterebbe
che fra gli appartenenti a questa nuova letteratura la percentuale delle scrittrici rispetto agli scrittori sempre di
origine straniera è maggiore che non
fra scrittrici e scrittori italiani.
Questa la dice lunga di una femminilità poco emancipata fuori dal mondo occidentale.
L’esperienza, la correttezza dei rapporti de La Tenda con il mondo degli
scrittori stranieri ha permesso che nel
momento in cui alcuni di loro hanno
deciso di dar vita a una rivista (elghibli), ci si rivolgesse a La Tenda come
associazione di tutela formale e come
interlocutore privilegiato.
21
El Ghibli
Rivista
trimestrale
di letteratura
della
migrazione
a cura della Redazione
El-Ghibli
Nata nel giugno 2003, “El-Ghibli”
www.el-ghibli.provincia.bologna.it, la rivista del vento (prende
infatti il nome da un vento che soffia
dal deserto del Sahara) è la prima la
cui redazione è composta in maggio-
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dossier
ranza da scrittori migranti.
“El Ghibli è un vento che soffia dal
deserto, caldo e secco. E’ il vento dei
nomadi, del viaggio e della migranza,
il vento che accompagna e asciuga la
parola errante. La parola impalpabile
e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.
È la parola della scrittura che attraversa quella di altre scritture, vi si deposita e la riveste della polvere del proprio viaggio all’insegna dell’uomo e del
suo incessante cammino nell’esistenza.” (dal nostro Manifesto)
Un progetto letterario che, muovendo dalla migranza, riconsideri consapevolmente la parola scritta dell’uomo che viaggia, diffondendo le parole
di scrittori in ‘transito’, che difficilmente
trovano spazio nel panorama editoriale
italiano. El Ghibli vuole essere uno
spazio virtuale aperto all’incontro: spazio linguistico ibrido-creolo per la parola contaminata e condivisa
L’idea della rivista è nata e legata al
fenomeno migratorio e alla sua produzione letteraria.
L’Italia negli ultimi dieci - quindici
anni si vede costretta a confrontarsi
con un fenomeno migratorio al quale
era ed è del tutto impreparata. Da terra
di emigranti, è diventata per via della
sua posizione e struttura geografica,
luogo di transito e d’approdo.
L’Italia svegliandosi dal suo torpore
etnocentrico, si scopre ora paese a crescente fisionomia multiculturale e
multietnica.
In quell’incontro-scontro di culture
in una civiltà che stenta a declinarsi al
plurale, è interessante assistere alla
nascita di una nuova espressione:
quella di una letteratura scritta in italiano da parte di noi immigrati.
Il fenomeno della letteratura migrante, diasporica, postcoloniale o
transnazionale è ben noto da anni e
profondamente radicato e affermato
nelle aree linguistiche dominanti e in
particolare in quelle francese ed inglese.
La peculiarità della produzione editoriale migrante in Italia è di non essere legata al tema del colonialismo
in quanto la lingua e la cultura del paese ospitante non sono per la maggioranza degli scrittori una eredità del
colonialismo. Gli autori, sono argentini,
brasiliani, uruguayani, peruviani e
dominicani, cos“ come albanesi, polacchi, sloveni, rumeni e bosniaci,
iraniani, egiziani e siriani, algerini,
tunisini, somali, eritrei, etiopici,
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senegalesi, congolesi, togolesi,
camerunesi e ivoriani,ecc..
Qui la lingua italiana è una scelta,
anche se il suo uso è dettato da un
imperativo di comunicazione, e si presenta come “neutra” rispetto all’inglese, il francese, lo spagnolo o il portoghese che sono state lingue dei colonizzatori. Da un punto di vista
tematico, l’esperienza della migrazione è naturalmente l’argomento privilegiato delle prime balbuzie di questa
nuova letteratura.
Da letteratura autobiografica, nostalgica e “testimoniale”, essa sta evolvendosi ormai in “solista” verso la creatività in uno spazio d’identità
trasversa a cavallo di più culture, più
lingue e linguaggi in una sintesi di
molteplicità identitaria. Il suo linguaggio ibrido, la sua verve talvolta dissacrante e trasgressiva arricchirà la lingua italiana rivisitata, rielaborata,
rifecondata e contaminata, perché distillata in significati diversi tramite vissute sensibilità venute d’altrove.
Nonostante questa maturazione significativa sia per l’autonomia linguistica- che ci può far annoverare a pieno titolo fra gli scrittori tout court - sia
per le innovazioni sul piano dei contenuti e della forma, questa letteratura
è ancora marginalizzata.
Ora come ora la letteratura della migrazione in Italia attrae solo l’antropologia culturale, la sociologia e la pedagogia interculturale. L’attenzione riservataci dal mondo della cultura, dell’editoria e della stampa è minima e,
nonostante questa produzione letteraria possa ritenersi in espansione,
sono ancora pochi gli italiani che hanno letto le nostre opere.
Per uscire dal “nascondiglio”, dalla
semi-clandestinità e manifestarsi, abbiamo deciso di utilizzare anche gli
strumenti tecnologici più innovativi. Da
qui nasce l’idea della rivista on-line “El
Ghibli”.
Nel suo genere, è la prima rivista
telematica italiana. Non esistono altre
riviste di questo tipo gestite da scrittori stranieri che scrivono in italiano.
Nasce nel 2003, inizialmente con
l’appoggio della Provincia di Bologna
(editore), dell’Associazione La Tenda
(proprietaria), della Provincia di
Ferrara e d’un finanziamento della Regione Emilia Romagna.
L’idea della rivista è nata dal desiderio di un gruppo di scrittori stranieri
di creare non soltanto un ulteriore spazio per la pubblicazione letteraria degli ormai tanti scrittori di migrazione
che vivono in Italia, ma anche di costruire un rapporto (vedi la rubrica
stanza degli ospiti) con gli scrittori italiani non di migrazione, con lo scopo
dossier
di sostenere, tramite questo genere di
letteratura, centrata sulla migrazione,
sull’identità multipla e la diversità, la
reciproca conoscenza fra vecchi e nuovi cittadini favorendo la creolizzazione
culturale.
Avendo come struttura portante
l’idea dell’ incontro , la rivista ha
un’impostazione centrata sul tema del
viaggio inteso in senso lato, come movimento che crea trasformazione dentro di sé, come movimento che incontra l’altro, come conoscenza del nuovo e del diverso dentro e fuori di sé,
ma anche come viaggio in senso proprio e in primo luogo il viaggio della
migrazione.
Il comitato editoriale è composto da
scrittori che hanno già avuto riconoscimenti vari: Mia Lecomte, Candelaria
Romero, Raffaele Taddeo, Gabriella
Ghermandi, Ubax Cristina Ali Fara,
Kossi Komla-Ebri, Pap Khouma, Sonia
Trincanato.
Direttore responsabile: Pap Khouma.
Webmaster: Alberto Maurizio con la
consulenza di Andrea Gianduglia
El Ghibli ha una cadenza trimestrale
(dicembre-marzo-giugno-settembre) e
si struttura in quattro sezioni principali arricchita dal 2005 da una sezione Internazionale avviata col contributo della Provincia di Milano, la cui
presentazione si è avvalsa di un
testimonial d’eccezione: il Premio
Nobel Dario Fo.
1) Racconti e poesie - per gli scrittori migranti in Italia che usano l’italiano come lingua d’espressione letteraria;
2) La stanza degli ospiti - pubblica
le opere di scrittori stanziali di ogni nazionalità, nella loro lingua di origine,
con la traduzione in italiano a fianco;
3) Parole dal mondo - dedicata agli
scrittori migranti in altre parti del mondo;
4) Generazione che sale - ospita gli
scritti di bambini e ragazzi, italiani e
migranti delle scuole (elementari, medie inferiori e superiori) sui temi della
rivista;
5) Interviste.
6) Supplemento: Approfondimenti e
analisi storiche della produzione di autori stranieri residenti in Italia
7) Sezione internazionale presenta
testi scelti pubblicati in arabo, inglese, francese e spagnolo.
La creazione di questa sezione con
implementazione delle traduzioni è
scaturita dal fatto che la nostra vuole
essere una rivista internazionale con
possibilità di scambio a doppio senso
e inoltre gli stessi scrittori “in altre lingue” lamentavano di non poter leggere nulla di “nostro”, perciò abbiamo
pensato di iniziare a tradurre testi scritti in italiano verso altre lingue. Questo
ha dato piena realizzazione al progetto come era stato pensato in origine,
un progetto che abbia come punto
centrale la comunicazione e il dialogo
con la realtà italiana, ma anche con le
altre realtà “multietniche” europee.
Va segnalata inoltre la presenza di:
- Recensioni
- Archivio: numeri precedenti della
rivista
- Notizie: con informazioni utili agli
operatori del settore (concorsi, articoli,
manifestazioni che coinvolgano scrittori, artisti e/o cittadini migranti),
- Links a siti web consigliati
La composizione di ogni numero parte dai testi (max 1800 caratteri; circa
60 battute per 30 righe in formato txt
o compatibile con Microsoft Word
(.doc) versione 97) che ci giungono in
segreteria editoriale ([email protected]) e vengono valutati da tutti
i membri del comitato con una votazione da 0 a 5 su ogni testo con eventuale commento. Le opere che superano la media di 3 vengono classificati
come pubblicabili (gli autori ne vengono informati) e si parte con la composizione collegiale del numero tenendo conto delle valutazioni, dell’equilibrio fra le varie sezioni, fra poesie e
racconti, autori già pubblicati e nuovi.
Gli scritti che superano la media e non
scelti per il prossimo numero vengono archiviati per i numeri successivi.
Il gruppo “Editing” esegue una prima
verifica grammaticale ed ortografica
dei testi che vengono poi affidati al
gruppo “Trattamento dei testi” con
successivo inserimento sul sito virtuale
a cui segue una seconda verifica di
lettura da parte del gruppo “Editing”.
Gli autori vengono invitati a controllare dal sito virtuale la corretta trascrizione dei loro testi. Solo dopo la loro
approvazione il numero è lanciato online.
Fondamentale la concezione tecnica
del nostro sito non solo per il lavoro di
gruppo a distanza.
Per il sito di “El-Ghibli” sono state
fatte scelte di stile che, unitamente a
scelte tecniche, ne fanno un sito particolarmente rispondente alle specifiche di accessibilità. La scelta stilistica
è quella di rendere la navigazione il
più possibile leggera e di unire le caratteristiche di un sito web (ipertesto/
navigabilità) a quelle di una rivista
cartacea.
La tecnologia adottata è basata sugli standard del “W3C” relativi a
XHTML, con caratteristiche “tableless”
e CSS. In questo modo il contenuto è
23
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
dossier
completamente separato dalle specitato, possano continuare a svolgere
“evocamondi” un festival di narratori
fiche di rappresentazione e questo
e letteratura orale.
gratuitamente un lavoro cos“ impegnapermette a browser non standard
Nei progetti per il futuro
tivo.
(p.es, browser vocali per non vedenti,
1) La creazione di una nuova sezioAttualmente abbiamo anche alcuni
browser di solo testo adatti alla navine “tradizione ed innovazione”, una seproblemi con il nostro server (che ci
gazione con hardware “povero”) di legzione che abbia dei brevi filmati su narera stato donato da un rivenditore di
gere le pagine in modo strutturalmente
razioni orali e interviste a scrittori e
Pc) che sta dando segni di cedimento.
corretto.
artisti
Nonostante tutto ciò il desiderio di
La completa separazione rende po2) una ulteriore innovazione del sito
andare avanti di tutti noi è molto fortenzialmente semplice la creazione di
per poter dare la possibilità, a chi non
te, anche rinforzato dai continui ricouna rivista “cartacea” che potrebbe esha facile accesso ad internet, di salvanoscimenti che ci arrivano, solo per
sere realizzata, per esempio, “onre ogni numero della rivista su un cd
fare alcuni esempi: ci giungono rego123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
demand”.
larmente richieste di consu123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
L’altra scelta fondamen- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 lenza, contatti o di materiale
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
tale, almeno da un punto 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
da parte di studenti per le
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
di vista “politico” è stata 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
loro tesi di laurea; alcuni
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
quella di adottare software 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
rappresentanti della rivista
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
rigorosamente “libero” 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
sono stati invitati a Vienna
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
(www. gnu.org). Si è rite- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
a presentare il lavoro di El
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
nuto particolarmente im- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 Ghibli; una delle emittente
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
portante investire su que- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
radiofoniche nazionali del123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
sto aspetto in quanto esso 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
l’Australia, ci ha fatto una
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
è aderente alla filosofia 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
lunga intervista telefonica
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
della rivista, che attraver- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
per presentare il nostro la123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
so il “viaggio” vuole favori- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 voro in una delle trasmis123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
re il libero incontro.
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 sioni in italiano per migran123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
Un software libero per- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 ti e appassionati e nel mese
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
mette il libero scambio del- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 di ottobre 2005 siamo stati
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
le idee, libere da vincoli. Lo 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 invitati a Lugano nel qua123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
sviluppo
stesso
del 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 dro della manifestazione
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
software libero è inoltre un 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 “Trasguardi” ad illustrare il
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
esempio “funzionante” di 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 nostro sito.
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
sviluppo, in antitesi con le 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
Di sicuro El-Ghibli andrà
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
regole dominanti. Si tratta 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
avanti finché ci giungerà del
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 materiale da pubblicare e
infatti di uno sviluppo 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
collaborativo
in 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 mezzi economici per realiz123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
contrapposizione allo svi- 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 zarlo. Per la parte economi123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234 ca confidiamo sempre nelle
luppo competitivo al quale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234
siamo abituati. E per sua
istituzioni che finora ci han(come fosse un semplice file) per
natura lo sviluppo collaborativo non ha
no sostenuti e speriamo in contributi
l’eventuale stampa. Questo preparefrontiere e ogni giorno un’infinità di
da parte di sponsor privati.
rebbe anche l’eventuale futura stambyte viaggia attraverso la rete unenInvitiamo gli artigiani della parola pa su carta per una edizione cartacea
do persone agli angoli opposti del piamigranti e non- ad inviarci i loro testi.
magari come inserto ad una rivista
neta.
La rubrica “Generazione che sale” riculturale o letteraria nazionale.
Nel 2005 i contatti al sito sono stati
veste per noi una importanza partico3) qualche viaggio di incontro in alpiù di 135.000. con una media di 400
lare, e quindi riteniamo indispensabicune città europee dove esistono alvisite al giorno da ogni parte del monle ed auspicabile il sostegno e la collacune associazioni di scrittori migranti
do (Paesi europei, Nord America, Rusborazione di insegnanti sensibili al
con le quali siamo in contatto
sia, Malaysia, India, Australia,
tema della interculturalità, sia attratelematico, per approfondire la reciMexico…)
verso la pubblicizzazione della rivista
proca conoscenza e creare una rete
Giunto al suo decimo numero, con
nelle scuola che attraverso eventuali
per futuri progetti.
un lavoro faticoso basato in gran parprogetti comuni di percorsi
4) cercare di creare (con il supporto
te sul volontariato (solo con l’avvio
interculturali
di realtà del mondo della scuola con
della sezione internazionale i tradutDal nostro Manifesto: “Generazione
cui collaboriamo) una redazione di “ratori vengono remunerati), il progetto
che sale” vuole essere una sintesi di
gazzi” per la sezione “generazione che
si sta espandendo in maniera sempre
tutte le altre sezioni, una scommessa
sale”.
più pervasiva. Il passaparola, unito alla
in un futuro in cui tutto questo sarà
Fino ad oggi la rivista ha vissuto prericerca della qualità nei testi seleziofinalmente ovvio: l’importanza
valentemente grazie al contributo granati e pubblicati in una elegante veste
sovranazionale della nostra necessità
tuito dei componenti del comitato edigrafica, ne hanno fatto un prodotto che
di comunicazione orale e scritta, l’ortoriale, delle persone che lavorano per
raccoglie consensi ad ampio raggio.
dinaria transumanza del nostro destila segreteria, degli studiosi che ci manOltre ad incontri di presentazione delno di artefici di parole, la sacralità delle
dano le loro riflessioni, dei giornalisti
la rivista in varie città italiane e giorparole sempre più contaminate e bache hanno fatto interviste, di coloro
nate di “accompagnamento” alla costarde che ci sopravviveranno, di quelche manualmente fanno i trattamenti
noscenza e valorizzazione delle diffele “reliquie - come le definisce lo scritper poter pubblicare ogni volta la rivirenze attraverso la scrittura nelle scuotore ungherese Deszo Kosztolànyi sta sul web. Ma non pensiamo che, sole, in luglio 2004 e 2005 la rivista ha
santificate dalla sofferenza e sfiguraprattutto le persone esterne al comiorganizzato
nel
bolognese
te dalla passione”.
24
StrumentiCres
StrumentiCres●● Marzo 2006
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dossier
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Kumà
Creolizzare
l’Europa
Barbara Ronca*
Introduzione
Le società europee si avviano a trasformarsi in società multiculturali.
Il fenomeno della migrazione, che
ha investito negli ultimi decenni molte
nazioni europee, è in Italia recentissimo, tanto recente da poter essere definito, più correttamente, in fieri. A
differenza quindi di altri paesi europei, che all’arrivo della prima ondata
migratoria hanno assistito prima di noi,
e della cui importanza e portata culturale non sempre si sono accorti per
tempo, noi Italiani abbiamo l’enorme
privilegio di veder compiersi questo fe-
StrumentiCres ● Marzo 2006
nomeno proprio sotto i nostri occhi, e
di parteciparvi.
La Grande Migrazione, ovvero il riversarsi nelle nazioni dell’Occidente
europeo di milioni di persone provenienti dai quattro angoli del globo terrestre (o, per essere più precisi, da
quell’asse migratorio che va dal SudEst al Nord-Ovest del mondo), ha sollevato però alcuni problemi che rimangono ancora aperti: primo fra tutti,
come - e se - sia possibile “passare
dalla situazione della multiculturalità
alla pratica dell’interculturalità, cioè ad
una società aperta e davvero
paritaria”1 , in cui l’integrazione non
venga inquinata dal vecchio “vizio”
europeo dell’assimilazione.
L’importanza
della letteratura
In questo passaggio, difficile e insieme necessario, fondamentale è il
ruolo rivestito dalla letteratura: “primo e più forte veicolo della Voce dei
1 Franca Sinopoli, “Letteratura e Migrazione in Italia. La banca dati online
BASILI sugli scrittori immigrati e sulle
loro opere in lingua italiana”, in Atti del
Convegno Italiano e italiani nel mondo.
Italiani all’estero e stranieri in Italia.
Identità linguistiche e culturali, Perugia
13-15 dicembre 2001, Roma, Bulzoni,
2004, volume 2, p. 213
popoli”, secondo una definizione
Gnisci, essa ci permette di conoscere
voci altrimenti inascoltate, e soprattutto è in grado di introdurre nel nostro panorama culturale, in cui tutto
viene fagocitato e digerito per essere
restituito come rassicurante banalità,
una dirompente carica innovativa.
Gli scrittori migranti (definizione più
corretta e meno ghettizzante di quella, più diffusa, che li vuole “scrittori
immigrati”), sono i portavoce di questo cambiamento culturale, i veri detonatori d’innovazione delle nostre
purissime e immobili lingue, culture e
letterature nazionali.
Scuola e
interculturalità
È interessante osservare, in questo
senso, che l’unica realtà in cui una reale integrazione sta avendo luogo è
quella scolastica – almeno in Italia;
essa rappresenta quindi il luogo ideale nel quale può avvenire l’incontro
fertile tra diverse culture.
Proprio per il pubblico delle scuole,
ma non solo, è stata pensata la prima
antologia ragionata delle letterature
migranti provenienti da tutte le parti
del mondo, scritte in italiano. Il Nuovo Planetario italiano. Guida alla letteratura della migrazione, a cura di Armando Gnisci, sarà strutturato come
25
un vero e proprio planetario letterario
mondiale, volto a ridefinire ed ampliare
i confini della mappa letteraria italiana attraverso il contributo, non più trascurabile, degli scrittori migranti. (Il
Nuovo Planetario italiano verrà pubblicato a settembre dalle edizioni Città aperta.)
La banca dati BASILI
L’importanza del fenomeno
migratorio e della produzione letteraria ad esso collegata è stata colta, fin
dal suo primo presentarsi, dal
professor Armando Gnisci, docente di
Letterature comparate all’Università la
Sapienza di Roma, grazie al quale, nel
1997, è nata, con un primo finanziamento del CNR, poi riconfermato su
un progetto di ricerca presentato nel
2000 dalla dottoressa Franca Sinopoli,
finanziato anch’esso dal CNR, la banca dati on line BASILI. È ad oggi la
prima ed unica banca dati degli scrittori “immigrati” in Italia che scrivono
e pubblicano in lingua italiana e degli
studi dedicati alle loro opere (tesi di
laurea comprese).
Attraverso i dati raccolti in questi
anni è stato possibile osservare il complesso quadro della letteratura della
migrazione in Italia definendo con precisione i generi letterari nei quali si
sono cimentati gli scrittori (poesie, in
raccolte o come singoli testi; romanzi,
lunghi e brevi; racconti, in antologie
collettive o di un singolo autore; e
ancora pamphlet politici, testi autobiografici, fiabe, articoli di cultura…); gettare uno sguardo ai continenti di provenienza degli autori/autrici.
(Da notare e sottolineare la
compresenza quasi paritaria a livello
numerico di scrittori e scrittrici).
È stato possibile considerare come,
nella fase “sorgiva” – la definizione è
di Franca Sinopoli - della letteratura
della migrazione si siano intrecciate
due figure: quella dello scrittore già
formato che emigra in Italia, e quella
di chi nasce come scrittore dopo l’arrivo nel nostro paese, proprio a partire dall’esperienza migratoria; si è potuto infine constatare come tutti i testi testimonino dell’incontro delle varie culture della migrazione: non solo
quindi della cultura del migrante con
quella del paese d’accoglienza: ma
anche delle varie culture migranti tra
loro2 .
Tecnicamente, il sito della banca dati
BASILI (http://www.disp.let.uniroma1
.it/basili2001) è accessibile e di facile
2 Riguardo la banca dati BASILI, vedi:
Franca Sinopoli, op. cit.
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dossier
utilizzo.
Dalla home page, è possibile prima
di tutto scegliere il primo fattore di ricerca:
- Scrittori (e opere letterarie)
- Critici (e opere di critica)
- Tesi
Dopodichè è possibile inserire, nella
griglia ottenuta, i dati di cui si è a disposizione riguardo l’opera o l’autore
da cercare.
È possibile effettuare la ricerca sia
riempiendo tutti i campi, se si hanno
le informazioni necessarie (ad esempio Nome, Cognome, Continente di
provenienza, Nazione, Lingua madre,
Lingua coloniale per gli scrittori), o
inserendo solo i dati di cui si è a conoscenza (esempio: Nazione: Senegal,
lasciando tutti i rimanenti campi vuoti); la ricerca all’interno della banca
dati richiede in entrambi i casi solo
pochi secondi, e permette di ottenere
tutte le informazioni rintracciabili sull’autore o sull’opera, date e luoghi di
pubblicazione compresi.
È evidente quindi l’importanza di
questo strumento, e come esso non
sia solo, come a prima vista potrebbe
forse sembrare, un punto d’osservazione privilegiato e distaccato; prova
ne sia che, nel 2001, alla banca dati si
è affiancata una rivista, anch’essa
ospitata nel sito dell’Università la Sapienza di Roma, dedicata alle varie
forme di cultura prodotte dalla migrazione e dalla creolizzazione dell’Europa.
Kúmá
Perché “Kúmá. Creolizzare l’Europa.”
Kúmá è un termine della lingua
bambara, dell’Africa occidentale, che
significa “parola”.
La rivista che porta questo nome nasce dalla precisa volontà del suo fondatore e dei suoi collaboratori di presentare narrazioni e saggi, poesie e
ricerche di tutti i mondi, affinché la
parola originaria, filtrata attraverso
l’esperienza della migrazione e della
creolizzazione, diventi parola dell’incontro.
Di un incontro nel senso letterale del
termine, “possibilmente felice” e spregiudicato; attraverso il quale stabilire
reti di relazioni, progettare un cammino da compiere insieme, dare ascolto a chi non ha voce e dargli voce, e,
soprattutto, combattere il rifiuto di chi
non accoglie perché non vuole farlo.
Non a caso questo semestrale, unico nel panorama italiano (è la prima
rivista accademica di arte e letteratura creola) presenta esplicitamente, fin
dal sottotitolo, il suo intento:
Creolizzare l’Europa, in tutti i modi
dell’interculturalità.
Facendo suo il senso di quella
“creolizzazione planetaria” di cui parla Edouard Glissant, cioè il fenomeno
dell’incrociarsi e del meticciarsi di lingue, popoli, culture, con in più il valore dell’imprevisto, Kúmá vuole essere
uno strumento attraverso cui, dando
voce alle opere degli scrittori migranti
e di chi con loro ha intrapreso un cammino di interculturalità non degradante, “inquinare” e rinnovare la nostra
tradizione culturale e letteraria.
È in questo senso che la letteratura
della migrazione può essere riconosciuta come avanguardia di quella letteratura dei mondi che rappresenta
una nuova poetica, rivoluzionaria e
sperimentale.
Gli scrittori migranti ci “impensieriscono”: elaborando una produzione
letteraria nella nostra lingua, essi fanno un passo verso di noi, e ci invitano
a riflettere, a metterci in discussione,
ad accogliere un punto di vista nuovo
attraverso cui ri-guardare noi stessi e
la nostra società. Ci invitano ad accogliere l’imprevedibile e il diverso, a
considerarlo – finalmente – una ricchezza; a diventare consapevoli che
proprio nella pluralità, nel colloquio,
nell’esperienza dell’ospitalità, sono
rintracciabili i semi identitari del nuovo intellettuale Europeo.
Da un punto di vista tecnico, il sito
di Kúmá, che è attualmente accessibile all’indirizzo http://www.disp.let.
uniroma1.it/kuma/kuma.html pur essendo in fase di ristrutturazione e miglioramento, è organizzato in modo da
poter essere considerato un archivio
ragionato in costante aggiornamento.
Senza nulla togliere all’agilità del sito
stesso, l’utente che consulta la home
page può, scegliendo tra le varie sezioni proposte, accedere all’intero archivio della sezione in questione, dal
primo al decimo numero.
La struttura del sito prevede inoltre
due menù principali grazie ai quali impostare la propria ricerca:
- uno, SEZIONI, permette di accedere agli archivi di: Narrativa;
Teatro/Cinema; Musica; Poesia;Critica
Poetica;
all’interno dei quali cercare testi inediti di poesia o narrativa, brevi saggi
critici, interviste.
- il secondo, RUBRICHE, comprende
invece le seguenti voci:Novità Editoriali; Decolonizziamoci; Intercultura;
Iniziative; Strumenti; I link.
E permette di essere costantemente aggiornati sulle nuove pubblicazioni, i siti, le iniziative culturali e anche
le opportunità di formazione e di ocStrumentiCres●●Ottobre
Marzo 2006
StrumentiCres
2002
La redazione,
i collaboratori
La redazione di Kúmá è composta,
fin dal suo primo formarsi, da collaboratori, allievi e amici del suo fondatore Armando Gnisci.
C’è una particolarità che riguarda la
redazione di Kúmá, che apparve evidente fin dalla sua nascita: essa è composta, per la maggior parte, da studenti — o ex-studenti — del professor
Gnisci. (Si tratta delle caporedattrici
Flavia Caporuscio e Rossella Rafele, e
poi Pierangela Di Lucchio, Marta
Pongetti, Aurora Portesio, Barbara
Ronca, Gianluca Iaconis, Annamaria
Pompili e Valentina Fanfarillo.)
La maggior parte ha quindi (quasi)
meno di trent’anni; sono persone che
si sono appassionate, nel corso dei loro
studi, alle tematiche della letteratura
della migrazione, degli studi post-coloniali, intesi nella direzione in cui il
professore li ha affrontati in questi
anni.
Ne sia prova che molti di loro hanno
collaborato con altre riviste specialistiche, hanno pubblicato saggi o articoli di cultura, hanno – a volte, assieme a dei coetanei – fondato essi stessi periodici o siti che si occupano di
queste tematiche.
Oltre a loro, fanno parte della redazione docenti, scrittori, saggisti (dovremmo piuttosto dire scrittrici e
saggiste, visto che si tratta di tre donne): Mia Lecomte, poetessa, già collaboratrice di Sagarana e El Ghibli, che
da anni svolge attività critica nell’ambito della comparatistica; Maria Cristina Mauceri, dell’Università di Sydney,
che, pur occupandosi già di scrittori
migranti, di recente si è dedicata soprattutto alle voci femminili della migrazione in Italia; infine, Grazia Negro, dell’Università di Salisburgo.
Oltre ad avvalersi della collaborazione continuativa di alcuni tra i migliori
scrittori italiani della migrazione, Kúmá
ha accolto negli anni anche interventi
occasionali, poesie, interviste, riflessioni, di molti autori che comunque le
riconoscono un ruolo centrale nel discorso della letteratura migrante in
Italia. Da Julio Monteiro Martins a
Jarmila Ockayova, da Christiana de
Caldas Brito a Gezim Hajdari, chiunque sia intervenuto sulle nostre pagine l’ha fatto con la convinzione di condividere un intento, di costruire insieme uno strumento critico e “politico”
Marzo 2006
StrumentiCres ● Ottobre
2002
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cupazione (dai master universitari ai
corsi promossi dalle istituzioni pubbliche).
dossier
Tre domande sul futuro, con le
risposte di Armando Gnisci
In cosa può essere individuata la specificità di Kúmá, soprattutto a
confronto con le altre riviste cui abbiamo fatto riferimento poche righe
fa?
Direi in un progetto politico-culturale più largo ed impegnativo: quello
della creolizzazione e della decolonizzazione europea, come compiti della cultura mutua che si va formando in Europa.
Il fatto di essere una pubblicazione accademica ha influenzato in qualche modo l’esistenza e il lavoro della rivista? Soprattutto: la letteratura
della migrazione in Italia, a fronte del dispendio di energie di chi lavora
per Kúmá e BASILI, che pure sono, come abbiamo accennato, entrambi
ospitati all’interno del sito di Italianistica della Sapienza, ha guadagnato
qualche spazio all’interno dell’Università o è ancora ignorata dall’accademia e dai critici?
Il cammino è lungo e in salita, ma cresce avanti a sé e sa che il futuro
è suo.
Infine, una riflessione che nasce proprio dal confronto con le altre realtà citate: El Ghibli ha un’intera sezione dedicata alla pubblicazioni di
opere scritte da bambini e ragazzi; cos“ pure il concorso Eksetra, e la
redazione di Kúmá è giovanissima. Parlare di letteratura della migrazione sembrerebbe, comunque, scommettere sul futuro. Ma quale futuro,
secondo lei?
La mia risposta è scontata. Il futuro della creolizzazione e della
decolonizzazione degli europei “coloni dentro”, come diceva Sartre. Dove
portano queste pratiche? Alla possibilità di “incontri felici”.
comune ma soprattutto necessario.
Infine, molta importanza riveste nel
nostro lavoro il rapporto con altre pubblicazioni a noi affini per intenti e
obbiettivi (penso in particolare alle riviste on line Sagarana , di Julio
Monteiro Martins, El Ghibli, diretta da
Pap Khouma, e il quadrimestrale
cartaceo Rivista Paginazero, di Mauro
Daltin, pubblicato a Trieste), con le
quali da anni Kúmá ha l’opportunità di
dibattere e confrontarsi; il che ha permesso di creare nuove reti di dialogo
e amicizia che portiamo avanti con entusiasmo e interesse, e che ci aiutano
a crescere.
Infine
Pensare insieme, lavorare insieme:
questa è la vera sfida che attende l’Europa nel millennio appena iniziato, una
sfida che si accetta solo, come sostiene Armando Gnisci, cominciando a ribellarsi.
Ma ribellarsi a chi, a cosa? All’indifferenza e al rifiuto, forse, che
l’euroccidente ricco e seduto riserva a
chi recide legami, abbandona affetti,
cambia pelle, lingua e vita per avventurarsi verso l’altrove, come dice Ron
Kubati.
Se la migrazione è la condizione primordiale della nostra specie, ne ha cioè
determinato un progresso in termini
evolutivi, avventurarsi verso altri luoghi e altre vite significa sapere, e insegnare a chi è disposto ad ascoltarci,
che oltre i nostri confini, siano essi geografici o mentali, c’è il futuro.
Quella di Kúmá/BASILI non è quindi
un’esperienza puramente accademica:
si potrebbe definire, piuttosto, un’avventura.
Nel senso – questo s“, accademico,
perché etimologico – del termine: avventura, ci ricorda ancora Gnisci 3 ,
“viene dal nostro latino ad ventura:
“andare incontro alle cose che ci vengono incontro dal futuro.”
Andare, tutti insieme, finalmente liberi dalle distinzioni tra noi e loro, incontro al nostro futuro: è quello che
cerchiamo di fare attraverso il lavoro
di Kúmá.
3 Armando Gnisci, “Lettere migranti” in Creolizzare l’Europa. Letteratura
e migrazione, Meltemi, Roma 2003, p.
176
27
La rivista Sagarana
Julio Monteiro Martins*
Il progetto della Sagarana – scuola
e rivista – si evolve a partire dalla fine
degli anni ’70, quando tenevo negli
U.S.A. il mio primo corso di scrittura,
e ho scoperto nei progressi della scrittura degli allievi, ma anche nella mia,
il potere incomparabile dell’esempio,
dell’emulazione. Oltre ai concetti teorici indispensabili di narratologia, legati alla creazione del personaggio o
all’utilizzo dei punti di vista narrativi,
e agli esercizi proposti ed eseguiti, c’è
questa terza gamba del tavolino,
l’esposizione diretta dell’allievo alla
letteratura di più alta qualità, allo stile
trasparente e coinvolgente, all’efficacia del testo ben costruito, all’emozione e alla bellezza insomma. La rivista
on-line è nata per soddisfare questa
esigenza.
Ho creato la rivista Sagarana –
consultabile all’indirizzo www.sagarana.net – per affiancarla alla scuola
come una sorta di grande vetrina, in
continua crescita e rinnovamento. È il
luogo dove è presentato, in una
concertazione di autori dei più svariati
generi, culture, epoche e stili, quello
che ritengo il livello di eccellenza nel
pensare e nel raccontare il nostro tempo. E così i nostri allievi, ma anche i
lettori che scrivono, avranno una sorta di stella del Nord che guiderà il loro
sviluppo nella direzione che considero
più giusta.
Le scelte sono fatte da me, e anche
certe traduzioni e certe ricerche di materiale inedito di qualità in ambito internazionale, attraverso rapporti di
amicizia costruiti lungo una vita. Ma
la rivista può contare anche su una validissima equipe di collaboratori e di
traduttori, oltre ai miei allievi dell’università di Pisa, con i quali svolgo durante tutto l’anno dei lavori di traduzione letteraria che poi sono in parte
riprodotti nella rivista. È uno sforzo
collettivo di una cinquantina di persone, tutti volontari e amanti della migliore letteratura. Ma alla fine, non c’è
dubbio che il risultato riflette una mia
idea personale, maturata negli anni,
di quali siano le modalità di scrittura
da emulare, che devono servire da
parametro d’eccellenza, quelle che
28
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dossier
garantiscono, in aggiunta, il piacere
della lettura, un piacere che scaturisce allo stesso tempo dal riconoscimento e dalla scoperta.
Ma la rivista, si capisce, è un progetto in continua evoluzione. Per
esempio, la sessione dedicata alle opere dei nuovi scrittori italiani, Vento
nuovo, cresce sempre di più e diventa
una specie di rivista nella rivista. Lo
stesso si può dire della sezione
Ibridazioni, dove si presentano e si
discutono questioni legate alla letteratura “migrante” e del Sud del mondo, e abbiamo anche la traduzione in
italiano della rivista tedesca di avanguardia Gegner (l’Avversario), con
un’esistenza autonoma.
“
La sessione Vento nuovo è senz’altro
di grande importanza, perché chiude
il cerchio e lo completa: prima l’allievo legge, impara, si perfeziona, si allena, e alla fine, raggiunto un certo
livello, comincia a pubblicare nella
stessa Sagarana, per un pubblico numeroso e interessato, che oggi la segue con una media di 300 visite al giorno. È già un bel punto di partenza per
un futuro scrittore, no? E questa sessione è aperta a chiunque voglia inviarci testi inediti, i quali, al contrario
di quel che accade abitualmente, vengono tutti letti con attenzione, e i loro
autori ricevono un parere e una risposta sull’eventuale pubblicazione.
Sulla mia esperienza brasiliana negli anni successivi al mio ritorno dagli
U.S.A. ho scritto un testo, Uova di cigno, uova di tartaruga, che è presente sul sito della Sagarana, nella sezione Il Direttore. Quanto all’esperienza
in Italia, quando ci sono arrivato, nel
1995, ho trovato un panorama desolante riguardo alla scrittura creativa,
un insieme di ignoranza, derisione e
diffidenza. Sembrava che l’ambiente
letterario italiano fosse fermo agli anni
quaranta, con una forte, incredibile
eredità dei vecchi miti romantici lega-
ti alla scrittura e alla creatività in generale. Anche scrittori di prestigio usavano insistentemente sulla stampa
espressioni come “dono”, “ispirazione”,
“scintilla”, “privilegio”, “genio”, “presenza delle muse”, ecc. Sembravano i
discorsi di certi opuscoli autocelebrativi
della prima metà dell’ottocento, ancor
prima dei primi esperimenti di creative
writing di William James e di
E.M.Forster. E questi erano gli argomenti pubblicati dalle pagine culturali
dei grandi periodici italiani, che allora
ignoravano proposte più moderne.
Credo che il primo vero “sfidante” di
questo insieme anacronistico di pregiudizi è stato Pietro Pedace, che poi
è diventato mio amico, fino alla sua
morte a soli 37 anni. Pedace, che aveva studiato negli USA e conosceva
come nessun altro italiano di allora gli
esperimenti e la tradizione dei laboratori di scrittura in quel paese, ha iniziato una vera e propria campagna attraverso la stampa per dissipare l’ignoranza e spiegare il potenziale di questa attività. A quel tempo non trovava
eco da nessuna parte. Ma il seme era
stato lanciato. Oltre ai suoi articoli,
Pedace ha aiutato a creare a Roma la
scuola di scrittura Omero, e ha collaborato con me nella creazione dell’evento Scrivere oltre le mura, nel
1997, che ha preparato il terreno per
l’avvento della scuola Sagarana.
Pedace è stato un pioniere, uno spirito coraggioso e moderno, che oggi
merita il nostro riconoscimento.
Più tardi, a partire dalla fine degli
anni ’90, la situazione si è lentamente
sbloccata, si è formata una costellazione di corsi e di scuole di scrittura in
Italia, di qualità molto svariata, dall’ottimo al pessimo, e sono nati anche
importanti siti e pubblicazioni cartacee
dedicate all’argomento. Ci troviamo
oggi nel mezzo di un intenso processo
di sviluppo che sono sicuro porterà alla
letteratura italiana dei prossimi anni
un’inedita crescita e una sorprendente qualità e varietà. E Pedace deve
essere ritenuto uno dei responsabili di
questo sviluppo positivo. Dopo la sua
morte, nel discorso inaugurale di Scrivere oltre le mura che ho dedicato a
lui, ho riportato una citazione di Isaiah
Berlin, sul suo ruolo nella nuova letteratura italiana: “la volpe sa molte cose,
ma il riccio ne sa una grande”. Pietro
Pedace, il mio primo amico in questo
paese, ne sapeva una grande.
Tornando alla rivista, la Sagarana
on-line offre una stimolante miscela
di saggistica (sia letteraria sia di attualità), narrativa e poesia, proponendo testi inediti in Italia o già editi ma
ormai introvabili. Gli accostamenti
sono intriganti, ad esempio il numero
StrumentiCres
StrumentiCres●● Marzo 2006
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dossier
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9, che accosta tra l’altro la narrativa
di Musil, Sontag, Mishima, e saggi di
Morin, Chomsky, Buzzati, la poesia di
Saramago e di Dario Bellezza e persino autori “nuovi” e insoliti in questa
veste come Tom Waits.
Questi pezzi vengono scelti da me,
ma suggerimenti interessanti mi arrivano in continuazione. La scelta finale
è il risultato di una scrematura di un
universo di possibilità almeno cinque
volte più ampio. Gli accostamenti a
volte possono sembrare insoliti, ovvero
“eclettici” - una parola a mio parere
molto positiva, ma che in certi ambienti
della critica italiana più conservatrice
ha preso una connotazione stranamente negativa.
Ma alla fine tutto questo rispecchia
la mia visione della letteratura come
un unico, vasto e complesso “sistema”,
nel quale etica ed estetica, saggi e
poesia, forma e contenuto, tradizione
e sperimentazione, ragione e passione, sono strettamente collegati e
indissociabili. È l’insieme di questi elementi, appartenenti a territori diversi
dello scrivere, orchestrati all’interno di
una pubblicazione (o della linea editoriale di una casa editrice), che concentrano la forza per creare la sinergia
necessaria all’emergere di un movimento letterario, un movimento magari in grado di rinnovare il panorama
preesistente, il cui modello presenta
StrumentiCres ● Marzo 2006
ormai chiari segni di esaurimento e di
impotenza nel sedurre l’universo dei
nuovi (ma anche degli antichi) lettori.
C’è urgente bisogno in Italia di
ricomporre le priorità, di ripensare il
“canone” letterario, e di dare o restituire il prestigio a coloro che davvero
meritano, e non solo ai cosiddetti “divi
televisivi”, o a quelli che i media decidono di incensare, spesso motivati
dagli interessi economici delle case
editrici meglio inserite nel mercato. Se
questa distorsione va avanti per lungo tempo, senza una coraggiosa correzione di rotta, tutta la vita letteraria, comprese la lettura e la creazione, si atrofizza e declina. Questo spacciare ottone per oro è una delle malattie della modernità che ha più severamente colpito il nostro campo di
attività. L’ambiente letterario è inquinato da una montagna di prodotti simili ma diversi dalla vera letteratura.
Bisogna trovare gli antidoti e applicare le terapie giuste. La Sagarana nel
suo piccolo è stata creata anche a tal
scopo: per contribuire a correggere
queste distorsioni create dal mercato.
Tornando alla questione degli
accostamenti insoliti nella rivista.
Come nel campo della bio-diversità,
cos“ intensa e abbondante nel mio
paese di origine, il Brasile, la presenza di un albero è misteriosamente indispensabile alla salute e alla soprav-
vivenza degli alberi contigui di specie
diversa, così anche in letteratura, la
presenza di un genere letterario accostato ad altri generi diversi, o di testi
di una generazione accostati a quelli
di un’altra, produce una salutare
simbiosi, un effetto di potenziamento
generale, un rialzo della qualità di ciascuno di essi. Per questo i movimenti
artistici nella storia della cultura non
sorgono mai limitati ad un unico genere, ad un unico campo, bens“ abbracciano tutto l’universo creativo, è
l’”ethos” e la visione-del-mondo collettiva a cambiare, e in tal modo cambia tutto il resto e si produce la nuova
sinergia a cui si faceva riferimento. In
Italia siamo oggi agli inizi di una svolta epocale di questo tipo, alla quale
mi sento fortunato di poter partecipare.
Ho scelto di creare una rivista esclusivamente on-line, ma in verità la questione è sempre meno di scelta tra una
rivista cartacea o on-line. La scelta all’atto pratico fra poco secondo me non
ci sarà più. È già praticamente impossibile realizzare una rivista di carta,
una rivista culturale di qualità, che sia
in grado di sormontare le difficoltà derivanti dai costi di produzione, dalla
distribuzione inesistente o ristretta a
una mezza dozzina di librerie in tutto
il paese, dalla nuova abitudine dei lettori di consumare arte e cultura attra-
29
verso la rete. La comunicazione via
Internet, oltre ad essere gratis, democratica e istantanea, arriva dappertutto, in un cantone della Svizzera e a
Lampedusa nello stesso momento, e
permette inoltre l’intervento e la partecipazione diretta del lettore. Non ci
sono più dubbi che il futuro nell’ambito culturale – e forse già il presente
stesso – si basa su questa forma più
aperta di comunicazione. È vero che
c’è ancora un “rispetto” più grande per
le pubblicazioni in forma cartacea, ma
si capirà presto che si tratta soltanto
di una semplice questione di forma, e
ciò che davvero importa nel caso concreto è la qualità del contenuto. Il fatto è che un testo brutto non migliora
perché è stampato su carta, né un
capolavoro cessa di esserlo per aver
esordito on-line.
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dossier
C’è sempre il problema della lettura
sullo schermo, che dopo un certo periodo di tempo diventa scomoda. Ma
proprio per rimediare a questo inconveniente ho aggiunto ad ogni titolo dei
testi presenti sulla rivista una breve
traccia, due righe scelte dal testo, in
modo che il lettore, dopo averlo saggiato, possa decidere se stamparlo per
leggerlo più comodamente. E così anche il lettore ha parte attiva nelle scelte
della rivista, si fa una sua “rivista personale” a partire dalla rivista più ampia.
Ogni nuova edizione della rivista
Sagarana è letta in tutto il mondo. Lo
so dall’analisi delle informazioni sui
server da dove provengono le visite,
ma anche dai messaggi che mi arrivano tutti i giorni. Studiosi di letteratura
italiana, soprattutto dagli USA, dall’Au-
stralia e dall’Argentina, ci seguono con
interesse, e ci sono numerosi lettori
che spesso si collegano alla Sagarana
dalla Svizzera, dall’Albania, dalla Macedonia, dal Brasile, dall’Inghilterra,
dalla Serbia, dal Giappone, dalla Francia, dalla Spagna e dall’Arabia Saudita,
i paesi stranieri con più presenze. Solo
Internet è in grado di offrire una tale
ampiezza di comunicazione. E tutto
questo senza alcuna perdita di informazione.
Ho calcolato che ogni numero della
rivista Sagarana, se fosse stampato su
carta, avrebbe più di 250 pagine (senza contare l’archivio di tutti i numeri
precedenti, che sono sempre accessibili), una pubblicazione di notevole
consistenza, che conta oggi 1100 visite in media al giorno, ossia più di 10
mila contatti giornalieri.
Il sito www.eksetra.net
Strumento di studio per le scuole: alcune riflessioni
Corrado Giamboni
e Roberta Sangiorgi
Premio Eks&Tra: dodici edizioni, oltre 600 autori migranti, più di 1800
tra racconti e poesie. Sono cifre che
testimoniano la realtà della letteratura della migrazione attraverso la “memoria” raccolta dall’associazione
Eks&Tra, consolidata dall’appoggio
organizzativo e solidale dell’assessorato immigrazione Comune di
Mantova, grazie a cui sarà possibile a
tutti fruire dell’archivio delle parole
migranti
nel
sito
internet
www.eksetra.net.
Nel ’95, quando si è svolta la prima
edizione del premio Eks&Tra, la letteratura della migrazione era agli esordi. Agli inizi degli Anni ’90 erano stati
pubblicati i primi libri autobiografici
sulla vita dei migranti scritti a quattro
mani, con l’aiuto cioè di un giornalista
che trasferiva in lingua italiana le esperienze degli immigrati. Si potrebbe in-
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dividuare proprio nel ’95 l’anno di svolta, perché gli scrittori migranti cominciano a scrivere indipendentemente da
rapporti di collaborazione con esperti
linguistici. A questo sviluppo ha contribuito anche il concorso Eks&Tra.
“
Dal 1995 ad oggi sono trascorsi 12
anni che, tradotti in cifre, significano
500 autori e più di 1800 testi letterari
presentati, di cui, dopo le necessarie
selezioni, più di 200 testi occupano
oggi le pagine delle dieci antologie
pubblicate: un centinaio di poesie e
quasi altrettanti racconti. A cui si aggiungono una raccolta di poesie (“Versi
randagi” di Milton Fernandez, Gedit
editore) pubblicata grazie al finanziamento del Dipartimento di Italianistica
dell’Università di Bologna e una raccolta di racconti (“Il maestro di tango
e altri racconti” di Miguel Angel Garcia)
pubblicata da Eks&Tra edizioni. Gli
autori, un buon centinaio fra poeti e
prosatori, provengono da una quarantina di paesi diversi che si potrebbero
distribuire in quattro blocchi: l’Africa
occupa il primo posto con una quindicina di paesi diversi, fra cui emergono
soprattutto l’Algeria, il Marocco, la Tunisia, il Senegal e il Togo; poi vengono, ognuna con una decina di paesi
rappresentati, l’America Latina con
l’Argentina, il Brasile, e il Messico, l’Asia
con la Siria e l’India e l’Europa dell’Est
con l’Albania, la Romania1 .
“Poiché l’insieme dei testi pubblicati
è disponibile anche tramite internet,
sul sito di Eks&Tra, l’associazione può
vantare giustamente di aver realizzato il primo archivio in Italia della memoria della letteratura della migrazione, disponibile on line.2 ”
1 Serge Vanvolsem, Dieci anni fra Eks
e Tra. Nuove vie per la lingua e la letteratura italiana, Atti IV Forum internazionale sulla letteratura della migrazione
(Mantova 3/4/04 in pubblicazione)
2 S. Vanvolsem ibidem. L’indirizzo è
www.eksetra.net A Roma, nel Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza”, esiste anche
una banca dati sugli scrittori immigrati
in lingua italiana, che ha repertoriato fra
i 100 e i 150 nomi, ma essa non contiene i testi stessi, solo i riferimenti
bibliografici.
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Nel sito www.eksetra.net è possibile scaricare le poesie ed i racconti per
motivi di studio (ovviamente non per
motivi commerciali) proprio perché
vogliamo che le parole dei migranti
giungano a più persone possibili. Inoltre sono presenti i dibattiti più attuali
sulla letteratura della migrazione inseriti nella sezione Forum, dove è possibile leggere le relazioni di accademici italiani e stranieri e di scrittori migranti.
Caratteristica comune alla gran parte
delle opere inviate al concorso Eks&Tra
è stata la scelta di scrivere in lingua
italiana, nonostante nel bando di partecipazione fosse anche specificata la
possibilità di poter scrivere nella lingua del paese d’origine.
Perché questa scelta? Molti scrittori
hanno risposto che vivono la lingua italiana come lingua dell’ospitalità. Non
una lingua imposta da un regime coloniale, ma una lingua scelta per comunicare ed ancora di più per esprimere emozioni.
La letteratura di migrazione nelle
scuole costituisce una proposta relativamente nuova alla quale gli insegnanti sembrano aderire timidamente ma
in misura crescente.
C’è da premettere che la letteratura
di migrazione, per quanto riguarda
l’approccio al testo non si differenzia
StrumentiCres ● Marzo 2006
in nulla dalla letteratura “ufficiale”, poiché i testi giungono al lettore in italiano, dunque già filtrati attraverso il suo
sistema linguistico e già pronti per essere fruiti, analizzati, studiati, vivisezionati, a seconda dell’insegnante e del
metodo. Questa particolarità, di una
letteratura che si designa italofona così
come ne esiste già una francofona e
una anglofona, costituisce la condizione necessaria e sufficiente per svolgere un lavoro sicuro sul testo.
Di ostacoli linguistici non ve ne sono
dunque, mentre sicuramente maneggiando questa letteratura ci si può
imbattere in interessanti novità, per
chi fosse disposto a cercarle, di carattere inedito nel panorama culturale italiano.
Prima di tutto perché la letteratura
italiana non ha mai avuto una così vasta produzione italofona, da parte di
scrittori non-italiani nè di madrelingua
italiana, non potendo l’Italia vantare
un passato coloniale importante - se
vanto ci può essere - che abbia lasciato semi linguistici in giro per il mondo.
Per questo motivo la lingua italiana si
presenta spesso per lo straniero che
la usa, come lingua “neutra”, se non
addirittura lingua amica, laddove le lingue forti del colonialismo non sono mai
neutre, connotandosi automaticamente come “codici imperiali” con i quali
bisogna fare i conti. La riflessione è di
Tahar Lamri, uno degli “scrittori di
Eks&Tra”.
Ma vediamo quali sono i caratteri di
questa produzione letteraria.
La possibilità di un punto di vista
nuovo, innanzitutto. Spiegato con il
nostro linguaggio. Si tratta di un grande regalo: la possibilità del confronto
con sensibilità nuove, con altri approcci
culturali, ci viene offerta senza che noi
dobbiamo muoverci verso di esse.
Questi scrittori poi ci raccontano dal
loro punto di vista e con altre priorità,
e il “rivederci” con occhi diversi può
essere molto utile. Certo, questo richiede una certa disponibilità a mettersi in discussione: operazione impegnativa e dall’esito incerto, anche se
lo straniero che scrive in italiano ha
già fatto lui il primo passo verso di noi.
Se noi lo accogliamo, lo ascoltiamo,
non potremmo dare un esempio che
possa stimolare i paesi più chiusi e
refrattari al confronto a comportarsi
allo stesso modo? Non potrebbero essere, gli scrittori migranti, dei ponti
culturali per avvicinare il nostro mondo e i suoi valori al loro mondo e ai
valori delle loro culture originarie? E’
un’ipotesi.
Poi, una diversa carica innovativa e
creativa applicata al nostro vocabolario e al nostro modo di esprimerci e di
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pensare se è vero che esiste un collegamento fra parola e pensiero. Perché certe invenzioni non sono possibili se non a chi viene da un mondo linguisticamente diverso, e porta il suo
bagaglio di affetti e tradizioni, di sapere, i suoi suoni e le sue musiche.
Diversamente, per chi sperimenta solo
“da casa sua” sono possibili altri esiti.
Poi, incontri umani, oltre al testo.
Con persone di cultura, dove la cultura passa dal sangue e dalla carne piuttosto che dalla sola carta. Raramente
ci si limita alla disputa accademica o
stilistica, le priorità sono sicuramente
altre per questa scrittura, chi viene a
ricordarcelo ha pagato talvolta un
prezzo alto. Non sempre è necessariamente un migrante, d’accordo, a
presentarci una scrittura con questi
caratteri, ma spesso oggi capita che
lo sia. Un migrante laureato magari,
che sa le lingue e che fa un lavoro da
ultimo degli italiani. Oppure, tanto per
rompere
il
controstereotipo
dell’“extracomunitario buono”, un migrante che si trova in carcere perché
ha spacciato e rubato e per questo
motivo non può; mai venire a ritirare i
premi che vince, come il siriano Yousef
Wakkas, una persona che attraverso
l’esercizio non facile della scrittura in
una lingua non sua ha trovato un modo
per sopravvivere al carcere e per iniziare un viaggio dentro a se stesso che
lo ha portato a capire il male commesso.
Yousef Wakkas tiene una corrispondenza con la terza classe dell’Istituto
d’Arte “Giulio Romano” di Mantova. Gli
stereotipi... I migranti sono o buoni o
cattivi, di solito sono portatori di grane e sporchi, e comunque è meglio che
se ne stiano a casa loro. Il discorso
sugli immigrati non conosce mezze
misure. La conoscenza serve, per
approssimazioni, a cambiare uno
stereotipo in uno meno parziale del
precedente, e quindi a riconsiderare
le facili generalizzazioni.
La letteratura dei migranti è
senz’altro un’occasione di conoscenza
reciproca. Sono discorsi difficili da fare,
oggi che siamo in guerra e che le cose
sono state rese più difficili, se mai ce
ne fosse stato bisogno. Ma è proprio
per questo che occasioni di questo tipo
rappresentano uno spiraglio d’aria da
non soffocare. E da portare nelle scuole.
Ostiglia, Buscoldo, Guidizzolo, Porto
mantovano, Mantova: nel mantovano
abbiamo iniziato da qui un lavoro grazie ad una rete di insegnanti motivati
che, come si dice, “ci credono” e che
sono diventati i nostri referenti per un
lavoro continuativo, per una presenza
viva, anche se forse non così eviden-
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dossier
te, non così “massmediaticamente” visibile sul territorio. Magari i frutti si
vedranno più avanti; con i giovani talvolta è così. Un grazie a questi insegnanti che lavorano già da alcuni anni
con noi, e a coloro che sembrano affacciarsi ora all’argomento. Un grazie
anche a Monica Perugini, assessore all’Immigrazione del Comune di
Mantova, che continua a “crederci”.
Per informazioni: Associazione
Eks&Tra, associazione di promozione
sociale senza fine di lucro, via
Zenerigolo 17, 40017 San Giovanni in
Persiceto (Bo),
tel. e fax. 051.6810350
mail [email protected]
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Bibliografia
del Concorso Eks&Tra
- Voci dell’Arcobaleno, AA. VV., Fara
editore (I premio Eks&Tra)
- Mosaici d’inchiostro, AA. VV. Fara
editore (II premio Eks&Tra)
- Memorie in valigia, AA. VV., Fara
editore (III premio Eks&Tra)
- Destini sospesi di volti in cammino,
AA. VV., Fara editore (IV premio
Eks&Tra)
- Parole oltre i confini, AA. VV., Fara
editore (V premio Eks&Tra)
- Anime in viaggio, AA. VV., Adn
Kronos Libri (VI premio Eks&Tra)
- Il doppio sguardo, AA. VV., Adn
Kronos Libri (VII premio Eks&Tra)
- Pace in parole migranti, AA. VV.,
Besa editore (VIII premio Eks&Tra)
- Impronte, AA. VV., Besa editore
(IX premio Eks&Tra)
- La seconda pelle, AA. VV., Eks&Tra
editore (X premio Eks&Tra)
- Il maestro di tango e altri Racconti,
Miguel Angel Garcia, Eks&Tra
edizioni (XI premio Eks&Tra)
- Fogli sbarrati, Yousef Wakkas,
Eks&Tra edizioni
- Migranti, AA. VV., (Atti del III
Forum sulla letteratura della migrazione Mantova 2003) Eks&Tra
edizioni
- Bellezza Remota, Amoà Fatuiva,
(Poesie) Eks&Tra edizioni
- Desejo, Rosana Crispim Da Costa,
(Poesie) Eks&Tra edizioni
I libri possono essere ordinati
dal sito www.eksetra.net oppure
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StrumentiCres
StrumentiCres●● Marzo 2006
TESTI DI SUPPORTO
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RUBRICHE
dossier
L’interpretazione della storia
La narrazione del passato e la sua attualizzazione nel presente
G. Dal Fiume “Un’altra storia è possibile” Bollati Boringhieri, Torino, 2005
P. Linebaugh, M Rediker “I ribelli dell’Atlantico” Feltrinelli, Milano, 2004
M. Davis “Olocausti tardovittoriani” Feltrinelli, Milano, 2002
a cura di Michele Crudo
G. Dal Fiume, docente di Storia comparata e intercultura presso l’Università di Bologna, già dal titolo dichiara l’intenzione comunicativa contenuta nel
suo libro: decostruire e ricostruire i fatti
storici, utilizzando le informazioni occultate o deformate dalla corrente
storiografica che tende a narrare gli
eventi inquadrandoli nello schema
interpretativo dello scontro fra civiltà.
Richiamandosi alla lezione di L. Febvre,
che in “Problemi del metodo storico”
aveva precisato che ricordare il passato è un’operazione intellettuale mirante a legittimare il presente, egli sostiene che la narrazione del passato è una
forma di appropriazione ideologica utilizzata nell’attualità per accreditare una
surrettizia appartenenza identitaria e
un’arbitraria rappresentazione sia dei
fenomeni economici sia dei processi
sociali. E’ ciò che si è verificato a partire dal 1996, anno della pubblicazione
del libro di S. P. Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, con il quale l’autore, docente
presso la Harvard University e direttore del J. T. Olin Institute for Strategic
Studies, si è affermato come il teorico
della inconciliabile separatezza delle
civiltà, della irrimediabile incomunicabilità fra la cultura orientale e quella
occidentale, nonché dell’incolmabile
abisso che dividerebbe il mondo arabomusulmano da quello cristiano.
Coerente con la sua tesi, dopo aver
attribuito all’Occidente peculiarità quali
“il cristianesimo, il pluralismo, l’individualismo e lo Stato di diritto”, che
hanno creato le condizioni per “inventare la modernità, espandersi in tutto il
mondo e suscitare l’invidia di altre soStrumentiCres ● Marzo 2006
cietà”, egli riconosce ai leader occidentali la “responsabilità di preservare,
proteggere e rinnovare le qualità peculiari della civiltà occidentale”. Di conseguenza, “essendo il più potente tra i
paesi occidentali, questa responsabilità ricade in grandissima parte sugli Stati
Uniti d’America” (1). Assegnata agli
USA una missione, lo studioso statunitense ne configura gli obiettivi, tra cui,
oltre “all’allineamento dei Paesi latinoamericani all’Occidente” e al “rallentamento della politica di avvicinamento
del Giappone alla Cina”, spicca la finalità strategica di “mantenere la superiorità militare e tecnologica occidentale
sulle altre civiltà” (2).
Il pensiero di Huntigton, formulato
con i dovuti distinguo e una mole di dati
apparentemente asettici, è stato nella
sua essenzialità assunto come nucleo
concettuale dai neoconservatori che,
dopo l’attentato alle Twin Towers di
New York, avevano bisogno di una giu(1) S. P. Huntington “Lo scontro delle
civiltà e il nuovo ordine mondiale” Garzanti,
Milano, 2002 (pag. 464)
(2) Ibidem (pag. 465)
stificazione teorica per sferrare l’offensiva bellica contro l’Afghanistan e l’Iraq.
Una sintesi esemplificativa delle idee
neoconservatrici è racchiusa nel discorso tenuto da Berlusconi nel settembre
del 2001 durante la sua visita ufficiale
in Germania. Le sue parti salienti, riportate da Dal Fiume a pagina 78, danno l’idea della funzione palesemente
propagandistica di una visione spregiudicatamente distorta della storia. Nel
suo pronunciamento davanti alla stampa internazionale Berlusconi dichiarò
infatti che “noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra
civilizzazione, un sistema che ha garantito benessere, rispetto dei diritti umani e, a differenza di quanto accade nei
Paesi islamici, rispetto per i diritti religiosi e politici. L’Occidente continuerà
a conquistare consenso anche se ciò significherà uno scontro con un’altra civiltà, l’islam, rigorosamente radicata
negli stessi costumi di 1400 anni fa”.
Una visione così banalmente semplicistica, espressa con enfasi accusatoria
da Oriana Fallaci nell’articolo pubblicato sul Corriere della sera del 29/9/
01, rispecchia un pregiudizio diffuso
che, avvalorato con preoccupante frequenza dai mezzi di comunicazione di
massa, tende a identificare un sentimento e una pratica religiosa di un miliardo e duecento milioni di persone
nella
versione
tragicamente
assolutizzante di alcuni gruppi terroristici. Si ignora dunque volutamente la
presenza di forme di pensiero e di istituzioni organizzate in quasi sessanta
Stati e governi, che testimoniano la
molteplicità di apporti dipendenti da
variegate specificità locali. L’islam è un
contenitore talmente vasto e composito
da comprendere al suo interno la
modernizzazione perseguita dai turchi
e la statica ortodossia dei sauditi, la secolare resistenza delle donne berbere ad
acquisire l’uso del velo e l’integrale copertura del corpo da parte delle afghane
anche dopo la cacciata dei talebani.
Basterebbe inoltre visitare la Siria, uno
dei Paesi inseriti da Bush nella lista degli “Stati canaglia”, per rendersi conto
dell’unilateralismo eurocentrico e constatare quanto sia tuttora persistente il
tollerante pluralismo praticato dai
musulmani nel corso di oltre un millennio. In quella terra, incrocio di etnie,
lingue e religioni, convivono cristiani,
musulmani e una piccola parte della
comunità ebraica che ha continuato a
vivere a Damasco dopo lo scoppio del
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la prima rivoluzione industriale. Lo studio è compiuto su documenti poco conosciuti, in quanto scarsamente esplorati dalla storiografia ufficiale, dai quali affiora la pervicace determinazione
dei mercanti europei nel perseguire il
massimo profitto a scapito degli strati
più poveri della popolazione. A farne le
spese furono in particolare gli irlandesi, sottomessi con feroce violenza fin
dall’occupazione dell’esercito di
Cromwell.
Si trattava di nullatenenti, ubriacati
nelle cantine e trasportati a loro insaputa sulle navi in partenza per il Nuovo
mondo; di galeotti ai quali veniva prospettato un futuro radioso in colonie
dove nel XVII secolo oltre la metà dei
nuovi arrivati moriva a causa di malattie sconosciute; di poveri contadini
espropriati, con la forzata recinzione
delle terre, degli appezzamenti
demaniali una volta concessi dalla comunità del villaggio. Il conseguimento
dei propri interessi ad ogni costo non
fermò i mercanti neanche di fronte all’indegno sfruttamento degli orfani: la
prima delibera per l’imbarco dei bambini senza genitori fu approvata dal
Consiglio comunale di Londra nella
primavera del 1619. Una seconda spedizione di circa 1500 bambini in
Virginia fu organizzata nel 1627. Nel
1653, del trasferimento coatto nel New
England facevano parte 400 bambini
irlandesi. Si calcola che nel XVII secolo, con il sequestro di bambini e adulti,
i mercanti spedirono verso le coste americane non meno di 200.000 lavoratori.
Tutte queste operazioni furono concretamente sostenute dallo Stato britannico. La Royal Navy, che raggruppava gli imprenditori più importanti,
nel XVIII secolo diventò infatti il maggiore datore di lavoro dell’Inghilterra,
il suo massimo consumatore di materiali e la sua principale impresa industriale. Essa prosperò incessantemente e, per fronteggiare l’agguerrita concorrenza della marina spagnola, olandese e francese, si avvalse del sostegno
della flotta reale, passata da 50 navi e
9.500 marinai del 1633 a 173 navi e
45.000 marinai del 1688. Per imporre
il proprio dominio nell’Oceano Atlantico gli inglesi non esitarono a reprimere qualsiasi tentativo di ribellione finalizzato all’instaurazione di un modo di
vivere comunitario ispirato ai principi
di uguaglianza e giustizia sociale. A essere perseguitati furono gli utopisti,
levellers e diggers (zappatori) della rivoluzione antimonarchica della metà
del XVII secolo; gli schiavi africani deportati nelle piantagioni americane; gli
operai e gli artigiani delle città portuali
delle nuove colonie. Non furono risparmiati dall’intervento repressivo gli equipaggi delle navi corsare, che un tempo
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conflitto fra israeliani e palestinesi.
Inoltre ad Aleppo, seconda città siriana, circa il 40% della popolazione è
composto da cristiani, soprattutto
armeni, che si suddividono in cattolici,
ortodossi e ciò che resta dei discendenti del cristianesimo nestoriano.
Ma tutto questo, e molto altro ancora, è colpevolmente taciuto, perché incrinerebbe la monolitica concezione
condivisa in Occidente di un mondo
musulmano retrogrado, cocciutamente attaccato alla tradizione,
impermeabilmente chiuso alle innovazioni. Per contrasto, emerge di conseguenza la superiorità dei Paesi occidentali la cui opinione pubblica, convinta
dell’immutabilità dell’islam, ignora
l’apporto determinante dato dall’Oriente all’Europa nei cruciali secoli che prepararono l’avvento della modernità. Dal
Fiume, nella parte centrale del suo libro, ripercorre le tappe fondamentali
attraverso cui un continuo flusso di
merci, tecniche e conoscenze furono
trasferite dall’Oriente all’Europa mediterranea
grazie
all’opera
intermediatrice degli arabi. Il travaso fu
massiccio e a senso unico da un mondo
che contava città commercialmente ricche, tecnologicamente avanzate, culturalmente caratterizzate dalla confluenza di tre civiltà: la bizantina, l’indiana e
la cinese.
Nel XIII secolo Cordoba, in
Andalusia, aveva una biblioteca che
conteneva 400.000 volumi (fatti bruciare da Isabella e Ferdinando di Castiglia nel 1494), mentre la biblioteca del
Vaticano, capitale della cristianità, ne
possedeva soltanto 988. A Cordoba visse il filosofo Averroè (Ibn Rushd), che,
con il medico Avicenna (Ibn Sina) di
Bukhara e il matematico al Biruni di
Islamabad, fu tra gli studiosi che contribuirono ad alimentare il potenziale
intellettuale della cristianità. La loro
influenza è riscontrabile nelle opere filosofiche di Tommaso d’Aquino e nella
Divina Commedia di Dante, nonché
nell’aritmetica di Fibonacci e nella geometria di Luca Pacioli.
La riscrittura delle relazioni fra
Oriente e Occidente, seppure solamente tratteggiata, impegna l’autore per circa cento pagine, nelle quali egli dimostra che un’altra storia, autentica e non
viziata da preconcetti, è realmente possibile. La dimostrazione che la storia va
rivisitata, attraverso una pluralistica
interpretazione delle epoche, dei contesti e dei soggetti, è fornita dal libro di
Linebaugh, professore presso l’Università dell’Ohio, e Rediker, professore a
Pittsburgh, “I ribelli dell’Atlantico”
dove viene delineato il percorso compiuto dalle potenze europee nella formazione di quel vasto impero che consentì successivamente alla borghesia
del Vecchio continente di decollare con
erano serviti alla regina Elisabetta I per
saccheggiare le navi spagnole dirette da
Cuba a Siviglia. Gli ultimi pirati, colpevoli di essersi sganciati dalla spietata
logica della “ragion di Stato” e rei di
praticare la equa distribuzione dei beni
sottratti alle ricche navi commerciali,
furono impiccati nelle piazze di Londra
nei primi decenni del XVIII secolo.
Idealmente
legato
alla
reinterpretazione degli eventi storici è
il lavoro di M. Davis, uno dei più famosi studiosi di teoria delle aree urbane,
che nel suo libro “Olocausti
tardovittoriani” si riallaccia, quasi a
prolungarne cronologicamente il discorso, all’analisi dei fattori che causarono la vittoriosa espansione dell’impero britannico. L’attenzione dell’autore
si sposta però in Oriente, dove gli inglesi attuarono una sistematica politica di spoliazione che impoverì inesorabilmente l’India e la Cina. Infatti, nel
1850 i due grandi Paesi asiatici producevano l’equivalente del 65% del Prodotto Interno Lordo mondiale, mentre
nel 1900 si ridusse al 38%.
Come fu possibile che due entità statali ben organizzate, economicamente
floride e culturalmente solide
regredissero fino a perdere l’indipendenza nazionale? La risposta di Davis è
interessante perché, oltre alla supremazia tecnologica che favorì la
penetrazione delle potenze europee,
uno dei fattori viene individuato nelle
oscillazioni meteorologiche che portarono siccità, carestia e denutrizione
nelle aree già flagellate dallo sfruttamento coloniale. Il fenomeno si
ripropose in due ondate: la prima si
verificò tra il 1876-79 e la seconda tra il
1896-1902. Gli effetti furono devastanti perché il peggioramento delle condizioni di vita degli indiani permise agli
inglesi di utilizzarli come manodopera
a basso costo nelle colonie africane e del
Sud-Est-asiatico. Negli anni della prima crisi, solo da Madras partirono circa 480.000 persone per Ceylon,
Mauritius, Guyana e il Natal. Altre decine di milioni morirono, fiaccando la
resistenza all’imperialismo britannico.
I decessi erano principalmente dovuti
alla scarsità produttiva delle campagne,
ma il prezzo del grano, mantenuto cinicamente alto dall’amministrazione
britannica, ampliò sicuramente le proporzioni del disastro.
Il coinvolgimento degli inglesi nell’indebolimento del potere statale cinese fu
più subdolo, perché l’introduzione dell’oppio indiano in Cina sottrasse le risorse necessarie alla manutenzione delle dighe e dei canali d’irrigazione in
concomitanza delle calamità naturali.
Già nel 1850 l’importazione di oppio
prosciugò il 15% della liquidità cinese e
il 13% dei depositi di argento. Quando
la popolazione cinese, spinta dall’orgoStrumentiCres ● Marzo 2006
riportati da Dal Fiume, esperto conoscitore del mercato mondiale in quanto presidente del Consorzio Ctm per il
commercio equo e solidale, sono illuminanti. E’ sufficiente tener presente
che tra il 1980 e il 2000 il prezzo delle
banane è sceso del 4,5%, quello del tè
del 7,5%, l’olio di arachide del 30,9%,
l’olio di cocco del 44,3%, il cotone del
47,6%, il cacao del 71%. Per di più i sussidi concessi dagli organismi dell’ONU
non
bastano
per
bilanciare
un’asimmetria che è resa strutturalmente endemica da secoli di scambio
ineguale. Nel 2001, per esempio, il Mali
ha ricevuto 37 milioni di dollari dagli
aiuti internazionali, ma nello stesso
anno ne ha persi 43 per la diminuzione
del prezzo del cotone.
Questa insostenibile situazione, irresponsabilmente perpetrata dall’Organizzazione del commercio mondiale
(WTO), non prolunga solo l’abissale
divario tra i Paesi ricchi del Nord del
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glio nazionalista del governo imperiale, reagì era ormai troppo tardi: l’esercito britannico teneva saldamente in
mano il porto strategico di Hong Kong
e le altre potenze europee avevano installato le proprie rappresentanze commerciali a Shanghai, tenuta sotto il tiro
delle cannoniere.
Davis conclude la sua dettagliata ricerca sostenendo che le monoculture,
soprattutto del cotone e dell’indaco destinato alle fabbriche di Manchester, la
massima transizione di droga nella storia mondiale (87.000 casse solo nel
1879), la pauperizzazione di estese aree
geografiche causata dalla coltivazione
di oppio al posto di piante alimentari,
insieme alle avversità atmosferiche condannarono l’India e la Cina alla
sudditanza e assicurarono a Londra la
prosperità per l’intera durata dell’epoca vittoriana.
Le conseguenze di quello squilibrio
persistono fino ai nostri giorni e i dati
L’antenna e il baobab
I dannati del villaggio globale.
a cura di Elisabetta Assorbi
L’introduzione al testo, che nei saggi
è sempre valido strumento esplicativo,
questa volta dà al lettore la vera idea del
titolo: sul pianeta i dannati abitano nel
Sud, che da noi è osservato come in un
acquario: “immobile, come sospeso in
una condizione sempre uguale, sempre
comunque diversa dalla nostra; boccheggiante ma muto, senza possibilità
di comunicare con l’esterno” (pag. VII).
Se l’ONU nel Rapporto 2003 sullo
sviluppo umano avvertiva che alla fine
del secolo scorso ben 21 Paesi han registrato una diminuzione complessiva di
sviluppo, la denuncia va fatta contro
l’incoerenza delle politiche nazionali, che riducendo di fatto gli introiti
della cooperazione, liberalizzano sì il
commercio, ma sempre a scapito dei
Paesi più svantaggiati. E, nella definizione di identità e differenza, sono proprio i media a creare la distorta visione
corrente dell’opinione pubblica sul concetto di civiltà, nel Nord come nel Sud.
Partendo dallo squilibrio tra fonti d’informazione e accesso agli
strumenti della comunicazione,
l’Autore analizza anzitutto il ruolo della cooperazione e gli effetti sulla logica
degli aiuti internazionali, scaturiti dai
problemi di comunicazione.
Il primo capitolo, infatti, si occupa del
StrumentiCres ● Marzo 2006
di Massimo Ghirelli
Editrice SEI, 2005
rapporto ineguale tra Paesi, dal punto
di vista dell’influenza e del possesso dei
mezzi di comunicazione e lo fa
egregiamente, mostrando l’impossibilità di parlare di pluralismo delle fonti
d’informazione, che sono esclusivamente in mano dei Paesi Industrializzati. Inoltre la tabella del drammatico
stato dell’istruzione nei Paesi a basso e
medio reddito, rende il quadro ancor
più evidente, chiarendo anche perché
il medium più diffuso al mondo sia
proprio la radio. L’A. spiega anche la
storia della Commissione MacBride per
lo studio dei problemi della comunicazione, istituita nel 1976, che sbandierava l’importanza dell’uguaglianza dei
diritti nel nuovo (allora) ordine mondiale, mostrando proprio come il pro-
mondo e quelli poveri del Sud, ma
supporta ideologicamente la convinzione dell’insanabile frattura tra un Primo
mondo fideisticamente proiettato verso il futuro e un Terzo mondo zavorrato
da pretese piaghe culturali. Come dice
infatti Dal Fiume a pagina 60, “… la
globalizzazione in atto non è soltanto
un irresistibile meccanismo economico e politico che tende a porre in relazione le differenze e le pluralità (per poi
ridurle a una), ma è anche un potente
apparato teorico e concettuale che opera (in modo complesso e non sempre
omogeneo) come un poderoso sistema
educativo di massa”.
Perciò ben vengano libri come quelli
appena recensiti, perché aprono uno
squarcio nella cortina propagandistica
di un’autocentrata concezione del mondo, offrendoci orizzonti storiografici
meno asfittici e chiavi di lettura meno
subordinate al narcisismo della cultura occidentale.
blema sia il controllo dell’informazione.
Il paragrafo su “aiuti e cultura della
cooperazione” osserva che i fondi dei
Paesi industrializzati per l’informazione, ammontano a non più dello 0,4%,
comprese le infrastrutture telefoniche:
infatti, seppur l’Occidente sia convinto
che lo sviluppo democratico non può
prescindere dalla partecipazione, spesso nel caso dello sviluppo “degli altri”
questo principio non vale…
Proprio i documenti ufficiali – il Rapporto MacBride del 1980, la Convenzione di Lomè del 1979, la legge italiana n.
49 sulla cooperazione - e perfino l’UNESCO raccomandano l’indipendenza e il
pluralismo dei media come componente essenziale dello sviluppo democratico, ma essi restano frequentemente solo principi disattesi.
I progetti internazionali di cooperazione prevedono normalmente un “appoggio informativo”, ma in fase esecutiva l’informazione non è più un interesse per gli interlocutori, né per i donatori, che desiderano evitare critiche
soprattutto sulla vera natura degli aiuti, né per i governi del Sud, che vogliono evitare ogni tipo di sorpresa e mantenere controllabile la situazione.
Un po’ diversa sembra invece l’azione delle Organizzazioni Non Governative, perché hanno un approccio migliore alla comunicazione, dato che tendono a valorizzare le esperienze dei mezzi
di comunicazione tradizionali, nonostante questi dimostrino ancora grandi
difficoltà e metodi approssimativi. L’A.
afferma che la situazione non ha scampo quando riguarda il pregiudizio che
l’europeo nutre nei confronti dell’immagine del Sud del mondo (capi-
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tolo 3): “il rapporto ineguale nelle fonti, nella gestione, nella circolazione delle informazioni, si traduce come nelle
mappe delle tradizionali proiezioni geografiche, in una falsificazione dell’immagine” (pag. 23). Ciò avviene attraverso un meccanismo che presenta il
riduzionismo della realtà dei Paesi
africani, asiatici, latinoamericani; una
personalizzazione delle notizie,
cioè il riferimento solo a figure di spicco, che riducono la notizia a
sensazionalismo o, peggio, a
catastrofismo, che non approfondisce cause e responsabilità degli avvenimenti, che sono presentati superficialmente, sempre attraverso la lente deformata dell’emergenza.
L’immagine proposta più frequentemente dai media occidentali sul Sud è
perciò la guerra: rivolte, tribali e non,
golpe, rivoluzioni sono in primo piano;
inoltre si “usa” l’argomento fame perché fa spettacolo, ma ingenera anche
nel pubblico il senso dell’impotenza,
con il conseguente meccanismo della
rimozione, dando luogo ad immagini di
un sud che non può far altro che chiedere.
Molto interessante è l’analisi del linguaggio, sviluppata per dimostrare le
caratteristiche del Sud preconfezionate
dai media. Ne risulta un’immagine positiva solo se suscita curiosità o gusto
folkloristico.
Il terreno privilegiato di questo “terzo mondo – spettacolo” è senz’altro
quello pubblicitario, laddove il nostro
etnocentrismo non è mai messo in discussione: è come se i Paesi industrializzati volessero una rassicurazione sulla propria identità e, mantenendo una
certa immagine del resto del mondo, si
potessero lasciare le cose come stanno,
con la scusa che “la miseria è naturale”!!
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D’altra parte, in Italia (capitolo quarto) le informazioni diffuse ad esempio
sull’Africa sono rimaste al tempo del
colonialismo: non abbiamo mezzi per
verificarle, se non gli stessi mezzi di
comunicazione che, ormai tutti lo sappiamo ma siamo pronti ad ignorarlo
quando si tratta di fatti non “nostri”,
forniscono distorsioni, falsità,
riduzionismi.
La seconda parte del lavoro prende
in considerazione esempi concreti di
informazione/ comunicazione nei Paesi del Sud, ma anche il fenomeno dell’immagine del sud riproposta al sud,
attraverso i loro stessi mezzi di comunicazione, ma offerta (quindi acquistata) dai Paesi industrializzati, con la solita ottica deformata: “è così che, per
l’ennesima contraddizione, strumenti
di conoscenza e consapevolezza si trasformano in fattori di autostereotipizzazione…” (pag. 45)
Nel capitolo dedicato allo scontro tra
modelli culturali, l’A. mette in evidenza soprattutto la frequente sordità fra
culture, che consiste nell’aperta volontà di ignorare le differenze e fa l’esempio delle due guerre irachene: in queste occasioni, il Paese islamico, proprio
in modo strumentale e speculare alla
crociata occidentale, ha accentuato le
proprie caratteristiche e i motivi economico-politici si sono intrecciati alle
incomprensioni delle mentalità, dei valori, dei significati…
Tornando all’informazione: essa è
davvero oggetto di attrazione e di repressione al tempo stesso: il fascino irresistibile del benessere economico suscita interesse sempre crescente nel Sud
e l’emancipazione è vissuta come
adeguamento al modello occidentale
fornito da pubblicità, films, soap
operas.
Dall’altra parte, però, l’opposizione ai
Paesi occidentali ha portato molti popoli a riscoprire il valore della propria
differenza.
Ghirelli propone a questo punto un
ampio ventaglio di esempi dei media dei
Paesi a basso sviluppo, analizzando
come sono usati nei vari continenti: è
una miniera di dati interessanti, che
spazia dall’Asia all’Oceania, dal mondo
Latino americano, a quello arabo e africano.
La terza parte, invece, si occupa della
comunicazione nel mondo
multiculturale e mette in rilievo gli
aspetti dell’identità migrante, attraverso concetti forse noti, ma qui rivisitati;
la parete, cioè il muro dell’incomunicabilità; il confine, concetto che
si è rinnovato con la globalizzazione; lo
specchio, che riflettendo la nostra stessa identità, la confronta.
Anche in Italia l’immigrazione ha
avuto diverse fasi e, dal punto di vista
dei media, è passata da una fase di
latenza, in cui non è stata quasi avvertita, a una richiesta di regolarizzazione
nel 1990 con la cosiddetta legge Martelli, fino alla fase della sindrome dell’invasione, a partire dal ’91 con l’arrivo massiccio dall’Albania, fatto divenuto immediatamente mediatico. Oggi, la
presenza dell’immigrato nell’informazione appare proprio terribilmente parziale: i giornalisti se ne occupano “
etnicizzando” le notizie, o caratterizzando in senso religioso eventi e persone,
per potervi applicare la categoria
dell’integralismo (pag. 96 ).
Al contrario, i media organizzati
dagli immigrati, presentati come
tentativi di organizzare periodici delle
varie comunità, sono a livello europeo
una realtà vivace, che ha dato luogo ad
un “Manifesto Europeo dei Media
Multiculturali”: presentato nel 2004,
intende valorizzare questa ricchezza
come servizio pubblico fondamentale
per le comunità, capace secondo l’Autore di realizzare veramente politiche
d’integrazione (pag. 103).
L’ultima parte, dedicata a comunicazione e globalizzazione, elenca il triste
bilancio dei giornalisti uccisi nel mondo, a partire dal 1992, per realizzare
bene il loro lavoro ed affermare la libertà di stampa in regimi dittatoriali, durante guerre e nonostante le censure
politiche.
Se, “dopotutto è la comunicazione
che ha creato la globalizzazione, e se i
mass media fanno il gioco del pensiero unico”, l’A. si chiede come si faccia a
proporre una comunicazione efficace,
nel contesto della globalizzazione, e
conclude dicendo che l’informazione
deve dare conto senza semplificazioni
proprio della complessità, per “non rassegnarsi ad uno scontro di civiltà, ma
costruire le condizioni per un incontro” (pag. 127).
StrumentiCres ● Marzo 2006
Identità, Diversità, Pluralità
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La città multiculturale.
di Khaled Fouad Allam, Marco Martiniello, Aluisi Tosolini
2004, EMI, Bologna
a cura di Laura Morini
La presenza di cittadini immigrati, in
crescita accelerata in Italia negli ultimi
anni, rende via via più evidente la dimensione plurale delle nostre città; alla
migrazione verso i grandi centri urbani, che sono spesso meta anche di immigrati “irregolari”, la cui presenza è
percepita da molti come pericolo sociale
e come segno di incapacità istituzionale nel controllo del territorio, si accompagna un più vasto fenomeno di
radicamento dei migranti in piccoli e
medi centri in cui il fenomeno
migratorio è ormai iscritto in una dimensione di normalità.
Attraverso l’incontro quotidiano con
lo “straniero” nel luogo di lavoro, nell’ambito familiare, negli spazi collettivi, anche chi vive in piccoli paesi o nelle città di provincia sperimenta la
globalizzazione come scenario economica e spazio-temporale in cui ri-collocare il proprio vissuto, ricontestualizzare esperienze e conoscenze, ripensare progetti individuali e collettivi volti a vivere bene nello spazio
che da sempre conosce e gli è familiare.
I tempi sono dunque maturi perché,
anche in Italia, il tema della società plurale e dell’interculturalità esca
dall’astrattezza e il dibattito si addensi
intorno alla questione dei diritti di cittadinanza e delle pratiche sociali.
Nel momento in cui la legalità viene
talvolta impugnata come una clava per
imporre un ordine “ad excludendum”,
non è solo l’appello alla solidarietà che
può temperarne il rigore, è indispensabile la riflessione sul concetto di cittadinanza come sintesi di diritti, virtù civili e pratiche di convivenza.
In questa direzione offre un interessante contributo il saggio “La città
multiculturale” che raccoglie gli interventi di Khaled Fouad Allam, Marco
Martiniello e Aluisi Tosolinj, svolti in
occasione di Free International Airport,
iniziativa voluta dai Comuni di
Cremona, Modena e Reggio Emilia “per
farsi guardare da occhi altri” allo scopo di “conoscere meglio e più consapevolmente sé stessi, le proprie pratiche,
i percorsi attuati e le ipotesi di fondo
che li animano”.
Il saggio prende avvio dalla constaStrumentiCres ● Marzo 2006
tazione che la città è divenuta strutturalmente multiculturale ma “le mappe
di cui disponiamo segnalano la presenza del mutamento e non la sua direzione [...] occorre dunque ripartire dalla
città e dalla cittadinanza per cercare
di trovare il bandolo dell’intricata matassa che si dipana nel gioco globalelocale…”1
A. Tosolini, in un denso capitolo dedicato a “Lo spazio della cittadinanza”
precisa come questa si sia definita nel
tempo in relazione a tre spazi diversi:
la polis, lo stato, il mondo. Non si tratta di differenze di scala, ma di differenze qualitative nelle relazioni reciproche
tra cittadini che tali diversi contesti
comportano.
Se nella polis nasce l’antico concetto
di cittadino, declinato solo al maschile
e legato al diritto di nascita, nello stato
moderno l’uomo (ancora solo lui) diventa cittadino per contratto. “Contratto hobbsianamente basato sul primato del diritto di ognuno e sul rispetto
del diritto altrui, patto garantito dalla
legge e sanzionato dalla forza.”2
La terza figura di cittadinanza si profila nella dimensione cosmopolita dell’essere cittadini del mondo, posizione
utopica fino a pochi anni fa, che si presenta oggi come un’urgente necessità,
avvertita in ambito sociologico e politico (ricordiamo l’educazione alla citta1
dinanza planetaria promossa da Edgard
Morin) ma non ancora compiutamente
definita in termini giuridici.
Nel processo di crisi dello Stato Nazione,
determinato
dalla
globalizzazione, il vecchio concetto di
cittadinanza (civile, politica, sociale) è
messo radicalmente in discussione; nella società fluida, nel capitalismo
cognitivo sostiene Rifkin: “inclusione e
accesso sono gli indici più importanti
della libertà dell’individuo”.
Inclusione e accesso, dunque, per vagliare la realtà in cui operiamo e farne
emergere le contraddizioni: oltre l’80%
della popolazione mondiale è esclusa
dai diritti dell’accesso; le differenti culture con difficoltà resistono
all’omologazione del capitalismo
postmoderno.
Tosolini individua una sfida con cui
misurarsi nella dimensione “glocale”:
“come conciliare, all’interno di ogni città e società, le esigenze democratiche
tradizionalmente legate (?) allo stato
nazionale e le diversità culturali e
identitarie che abitano le nostre città?”3
In sintesi: è possibile una cittadinanza multiculturale?
Dopo aver descritto 5 diversi modelli
di interazione applicati da Canada, Stati
Uniti e vari paesi europei che prima di
noi si sono misurati su questo terreno,
Tosolini analizza il modello italiano, per
come emerge dalla riflessione della
Commissione ministeriale per le politiche sull’immigrazione guidata da Giovanni Zincone. Il concetto chiave è costituito dall’idea di “integrazione ragionevole” definita come “integrità della
persona e buona vita; interazione positiva, pacifica convivenza”(cfr. legge
40 / 1998).Risulta evidente come tale
concetto di integrazione sia del tutto
disatteso nella pratica e sostanzialmente mutato con l’introduzione della legge Bossi Fini (N°189 /30 luglio 2002).
Lo studioso ne deduce che “la società
italiana pare vivere un moto pendolare tra diverse posizioni ... si continua
a parlare di immigrazione in termini
emergenziali, quasi si trattasse di una
novità imprevista e straordinaria..”4.
Le buone pratiche tuttavia esistono,
a livello locale: Modena e Reggio Emilia
costituiscono esempi positivi; le rispettive amministrazioni comunali sono
interessate, proprio per questo, ad analizzare le iniziative intraprese anche alla
luce di un dibattito teorico che ne indirizzi lo sviluppo futuro.
Per rifondare il patto di cittadinanza
occorre ripartire dai principi chiave
della democrazia occidentale sintetizzati nel motto “libertà uguaglianza
fraternità”; U.Galimberti osserva come
“delle tre parole inaugurate dalla Rivoluzione francese, le prime due han4 Ibidem p. 29
37
5 U.Galimberti,Politica senza identità, in
La Repubblica, 10/04/01
6. J. Habermas, Morale diritto, politica,
Einaudi, p. 22
38
progetti nelle scuole imperniati su
alfabetizzazione e socializzazione degli
studenti stranieri e formazione degli
immigrati adulti.Sono stati promossi
progetti culturali: rassegne cinematografiche, concerti, rappresentazioni teatrali. Ma, seguendo il filone che qui ci interessa, si pone oggi come prioritaria la
redazione di una Carta di cittadinanza
degli immigrati, come documento fondante delle politiche di integrazione.
Nel Comune di Reggio Emilia, oltre
alle iniziative volte alla tutela dei diritti
individuali sul lavoro, alle pratiche per
migliorare l’accesso ai servizi ospedalieri
e scolastici, si è inaugurato nel 2002 il
Centro per lo sviluppo delle relazioni
interculturali Mondoinsieme, spazio
aperto a tutti i cittadini, laboratorio sociale per promuovere aggregazione, inclusione, comprensione del pluralismo
culturale anche da parte degli immigrati.
In questo contesto si è mossa anche La
Gazzetta di Reggio, creando una pagina
dedicata al mondo della migrazione, realizzata da un gruppo di ragazze immigrate della II generazione.
L’impegno del Comune di R.E. è oggi
quello di mettere in rete i diversi servizi,
collocando le iniziative connesse all’immigrazione in un ventaglio coordinato di
azioni politiche volte ad armonizzare e
contemperare ecologicamente lo sviluppo della società nel suo territorio. E’ questo l’aspetto che “l’osservatore esterno”
Khaled Fouad Allam chiamato a pronunciarsi sulla realtà locale, invita a poten○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
no avuto successo perché, essendo
compatibili con la natura quantitativa
della democrazia, hanno generato rispettivamente la liberaldemocrazia e
la socialdemocrazia, mentre si è trascurata la fraternità. La ragione occidentale e la politica che la esprime faticano a riconoscere le differenze
qualitative, quindi le identità specifiche, le appartenenze, a cui invece risponde la nozione di fraternità che garantisce il riconoscimento della comunità e, attraverso la comunità, dell’individuo che alla comunità appartiene...
Ma il futuro è in quest’incontro dove il
diritto di appartenenza (fratellanza)
possa conciliarsi con i diritti di uguaglianza e di libertà”.5
Come fare? strade diverse sono indicate dai comunitaristi (Taylor) e da chi,
come Habermas, pone l’accento sul “diritto positivo quale strumento valido a
conciliare diritti universali e principi
particolari delle identità: solo i diritti
di partecipazione fondano per davvero la posizione giuridica riflessiva del
cittadino, cioè quella posizione che è
capace di avere effetti retroattivi su sé
stessa...”. 6
Dunque la “nuova cittadinanza” deve
attingere alle radici dell’universalismo
senza dimenticare la solidarietà, principio che richiama ad una “fraternità”
più ampia (e forse più debole) di quella
condivisa nella comunità di appartenenza, ma sola garanzia di inclusione
sociale.
Le cronache di ogni giorno attestano
come soprattutto i giovani che si trovano ai margini, che si sentono privi di
prospettive sviluppano culture
identitarie talvolta autodistruttive, basate sulla contrapposizione alla società
che li esclude.Tutto si gioca molto concretamente nelle vie, nelle piazze, nei
quartieri delle città.
Bauman evidenzia in questo scenario
lo spazio dell’agorà come luogo della
politica, capace di ridefinire la libertà
individuale a partire dall’impegno collettivo e dalla socialità.
Ritorniamo dunque alle nostre città,
a quelle poleis postmoderne che devono trovare immaginazione politica ed
“empatia cosmopolitica” per indirizzare opzioni e scelte quotidiane.
A Modena l’Amministrazione comunale ha avviato una serie di iniziative
in sinergia con le associazioni di
volontariato; si è istituita la Consulta
stranieri (1993), dal 1996 è insediata la
Consulta comunale per gli stranieri residenti, organo consultivo del Consiglio
e della Giunta comunale.
Nel contempo si sono moltiplicati i
ziare, per evitare la frammentazione sia
degli enti preposti che del mondo associativo. Ciò che conta è trasformare
l’interculturalità in un metodo trasversale a tutte le competenze.Non creare
servizi separati per gli stranieri, ma realizzare un equilibrio, che a Reggio e
Modena appare già ben delineato, fra
associazioni ed enti locali, intrecciando ad esempio “pianificazione urbana
e pianificazione sociale”.
Nel processo di cambiamento della
città sono in atto movimenti di contaminazione culturale e, nel contempo,
prendono corpo delle resistenze, ciò che
deve essere evitato è l’incomunicabilità
fra comunità che si sfiorano, ma non si
conoscono. A questo scopo le proposte
di K. F. Allam investono significativamente le politiche culturali e il mondo
della scuola.
La scuola è il primo “laboratorio della cittadinanza”, aspetto questo ben
noto agli insegnanti che sono quotidianamente chiamati a misurarsi con i problemi dell’integrazione, a ridefinire programmi e metodologie, ad ampliare la
comunicazione fra scuola ed extrascuola coinvolgendo studenti e famiglie.
Molte altre sono le idee, i progetti proposti nel volume, tutti stimolanti per chi
desideri abbinare un approfondimento
teorico sul tema della cittadinanza
multiculturale all’esame di progetti sociali che si articolano sul territorio indicando possibili percorsi per realizzare una effettiva “convivenza civile” nelle nostre città.
NARRATIVA
Nonno Dio... e gli spiriti
danzanti
di Pap Khouma - Baldini, Castoldi, Dalai Ed. 2005
a cura di Elisabetta Assorbi
L’autore, alla sua seconda prova di
scrittore, dopo l’esordio di “Io, venditore di elefanti” , scritto con Oreste
Pivetta, continua la vena autobiografica, seppur mitigata nel personaggio di
un giovane che torna nel natìo paese
africano, dopo una lunga assenza dovuta alla sua emigrazione in Europa.
Come spesso capita, (già lo scrisse in
poesia anche Ungaretti), chi torna dopo
lo sradicamento, non si ritrova più: così
accade al protagonista, giovane inferStrumentiCres ● Marzo 2006
gliero e dell’africano misterioso, che
quando ritorna dall’Europa lo fa perché,
intrattenendo loschi affari con i bianchi, deve trarne vantaggi in patria.
Inoltre: l’accusa tremenda, ma falsa,
che rimbalza sul giovane dall’Italia e che
gli farà passare molto tempo in prigione; i riti della tradizione oggi rinnovati,
a cui egli non sa più credere, ma che
attirano una giovane coppia di bianchi,
la cui storia s’incrocia con quella del
protagonista.
Sullo sfondo dapprima, poi sempre
più evidente nello svolgersi del racconto, la guerriglia dei ribelli libanesi fa la
sua parte, tra legionari francesi e truppe regolari.
E, inaspettatamente, sorge la rivolta
femminile, coalizione di donne troppo
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miere in ferie, che nell’Africa saheliana
aveva lasciato la madre, vera mater
familias, la moglie quasi dimenticata (e
tradita in Italia ), il figlio mai conosciuto e perciò subito ostile, gli antichi amici
e tutta la memoria della vita precedente, descritta con l’abilità del griot attento all’eredità spirituale degli antenati,
ora al ritorno, però, non più frequentata, forse non più capita.
E poi, ecco raccontate le marachelle
infantili, le passioni amorose giovanili
narrate attraverso la rivisitazione dei
luoghi; la presenza quasi palpabile degli spiriti e quella dei loro mediatori terreni, veri o falsi; la caratterizzazione
degli abitanti del villaggio e le storie
intrecciate del fratello del protagonista
finito in prigione, dell’amico ex guerri-
Vogliamo vivere qui tutt’e due
Capire il problema Palestina-Israele.
a cura di Dunia Martinoli
Due ragazze, nate entrambe a
Gerusalemme nel 1984, ma una
palestinese e l’altra israeliana, hanno
l’occasione di partecipare nell’estate del
2000 a un viaggio in Svizzera organizzato da “Peace Child Israel”, con l’obiettivo di favorire i rapporti e la conoscenza fra i giovani appartenenti ai due popoli, coinvolti in una così aspra guerra
che si protrae da troppo tempo.
All’inizio i contatti fra i due gruppi di
studenti sono difficili, poiché non si
conoscono e soprattutto molti ragazzi
ebrei non conoscono niente delle usanze e dei divieti religiosi (es.: bere alcolici) per i ragazzi palestinesi e anche per
questo nascono problemi.
Amal e Odelia cominciano a parlarsi,
a conoscersi, a trovarsi simpatiche e si
instaura un primo contatto, ma poi, tornate a casa, dopo pochissimo tempo
(settembre 2000) scoppia la seconda
Intifada e i contatti si interrompono.
Qualche tempo dopo una giornalista
tedesca le rimette in contatto ed entrambe sono felici di poter riprendere
la reciproca conoscenza.
Molte cose le separano, non solo l’appartenenza a due popoli in lotta per la
stessa terra, ma anche tradizioni culturali differenti. Ad esempio a Odelia
sembra assurdo che una ragazza si sposi
a 18 anni, ma Amal le spiega i motivi di
tali scelte, normali per le ragazze
palestinesi : Odelia appartiene invece a
una cultura assimilabile a quella dei giovani europei e quindi lontanissima dalla
StrumentiCres ● Marzo 2006
Ed. TEA, 2003
cultura tradizionale palestinese.
Per altro Amal non riesce a immaginare la sua amica che a 18-19 anni si
arruolerà nell’esercito israeliano, che
per lei rappresenta il nemico.
Svariati e molto interessanti sono gli
argomenti di cui le due ragazze
diciottenni discutono, della loro storia
personale e familiare, del perché sia
importante per entrambe continuare a
vivere in quel paese martoriato, di come
vedano in modo diverso la storia del
proprio paese, ma anche di come si trovino spesso d’accordo nel deplorare certi atteggiamenti e certe situazioni
insostenibili.
Alla fine entrambe notano che il fatto di aver continuato a scriversi e a comunicare allo scopo di scrivere questo
libro le abbia portate a riflettere sulle
proprie ragioni, ma anche a comprendere, almeno in parte, quelle dell’altra.
Ritengo che sia un testo adatto ad un
stanche dell’immobilità, forti ed orgogliose, ma facilmente manovrabili dal
potere politico, tra fantomatici generali e colonnelli… Meccanismi
imprescrutabili mettono in funzione la
nascita di un nuovo Paese, fantasioso,
ma forse non molto diverso da uno reale.
Tutto è narrato in una prosa semplice ma efficace, tra dialoghi essenziali e
osservazioni taglienti. Un “che” di misterioso permea la narrazione, dalle
invocazioni a nonno Dio che si moltiplicano, agli accenni ai traffici d’armi e
di rifiuti tossici, fino alla situazione
surreale in cui si troverà il giovane OgDawuda: forse è proprio questa dimensione “strana”, straniera ma realistica,
che rende piacevole la lettura.
utilizzo nell’ambito della didattica per
la sua freschezza e spontaneità, ma nello stesso tempo per la maggiore chiarezza che può essere fatta riguardo alla
comprensione delle motivazioni che
hanno portato al crearsi di una situazione così complessa in questo angolo
di mondo.
Odelia :”Credo che l’unica cosa da
fare sia accettare che esisteranno sempre versioni diverse della stessa storia.
E che esistono due popoli che devono
imparare ad andare d’accordo. Altrimenti non ci resta altro che ammazzarci a vicenda, e questa non può essere una soluzione.”(pag.159)
Amal: ”In Svizzera diverse persone
mi hanno chiesto da dove venivo.
Quando rispondevo ‘dalla Palestina’
non mi capivano e allora dovevo correggermi e dire ‘da Israele’. La cosa mi
ha ferito, perché io non sono israeliana. Un giorno vorrei poter mostrare il
mio passaporto palestinese a una frontiera e rispondere semplicemente a chi
mi chiede da dove vengo :’Dalla Palestina’.”
Ci sono state anche in Italia numerose iniziative che avevano l’obbiettivo di
far meglio conoscere e quindi avvicinare giovani palestinesi e israeliani per
arrivare, anche tramite queste esperienze, ad una possibile pace.
A Roma ad es. nel 2004 è stato organizzato dall’Ufficio per la Pace a
Gerusalemme del Comune di Roma, un
incontro di due gruppi di adolescenti (8
israeliani e 8 palestinesi), con la partecipazione dei sindaci di Raanana (città
israeliana), di Qalqilia (città
palestinese) e di Roma stessa.
L’obiettivo di tale incontro era la realizzazione di un cartone animato sul
tema della pace.
Nell’arco di una settimana nasce
l’idea del cartone, che verrà poi elaborato da operatori italiani ed è stato in
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spettive bandiere e li fa volare sulla sua
groppa. Quando vedono scene di guerra o di violenza, il cammello lancia uno
“sputo magico” sul carro armato, sull’aereo che lancia missili, sul terrorista
che sta per farsi saltare ecc. e tutto si
trasforma in azioni di pace.
CINEMA E TEATRO
Private
a cura di Dunia Martinoli
“Private”, film uscito nelle sale italiane nel gennaio 2005, ora reperibile in
videocassetta, è diretto da Saverio
Costanzo (regista italiano), girato in
Calabria (per evitare le insormontabili
difficoltà che si sarebbero incontrate a
girare nei luoghi dove realmente è ambientato il racconto e cioè i Territori
Palestinesi Occupati da Israele), ma gli
attori che lo interpretano sono
palestinesi e israeliani, le lingue utilizzate nella versione originale sono l’arabo, l’inglese e l’ebraico, la scena è sempre e soltanto quella di una casa isolata, abitata da una famiglia palestinese.
Il film narra una vicenda, come realmente ne sono successe in Palestina, di
occupazione, requisizione di una casa
palestinese da parte dei soldati israeliani per utilizzarla come posto d’osservazione.
La requisizione avviene di notte, moltissime scene in questo film sono girate al buio, con singoli, violenti,
espressionistici sprazzi di luce, una luce
quasi “caravaggesca” ad illuminare un
viso, un’arma, un oggetto.
Da questo momento in poi la casa
sarà così suddivisa:
-zona A: il salone a piano-terra dove
si dovrà svolgere la vita diurna dei componenti della famiglia (genitori e 5 figli), che alla sera dovranno trasferirsi
nella “stanza-prigione” da cui non si
può uscire neanche per andare in bagno;
-zona B: dove potranno andare solo
col permesso dei soldati;
-zona C: di sopra, riservata ai soldati,
dove è tassativamente vietato salire.
E già queste denominazioni ci ricordano le frammentazioni del territorio
palestinese,con tutte le assurde regole
che lo governano.
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seguito trasmesso da RAI 3, alcuni mesi
fa.
Il protagonista, il supereroe, è un
cammello volante che si chiama POP
(Pace of peace). Il cammello fa amicizia con due bambini, uno israeliano e
uno palestinese, vestiti con le loro ri-
Regia di Saverio Costanzo
Questo film ci lancia un messaggio di
non violenza, ma anche di resistenza
dura, paziente, appassionata: vediamo
il contrasto tra la madre e alcuni dei figli che hanno paura dei soldati e vorrebbero lasciare la casa e la posizione
del padre e della figlia maggiore che
assolutamente non vogliono abbandonarla dando partita vinta all’arroganza
dei soldati.
Dice il padre: “Se oggi cerchi di scappare, sarai costretto a farlo per sempre; non voglio che i nostri figli pensino che abbiamo paura” …..”Non voglio
essere un rifugiato, essere un rifugiato vuol dire ‘non essere’ “…. e ancora:
“Restare qua significa combattere, non
si combatte solo con le armi e la forza.
I codardi sono quelli che capiscono solo
la lingua della forza”.
Al di là del messaggio lanciato da tale
cartone e dell’obiettivo raggiunto di conoscenza reciproca dei ragazzi, il prodotto stesso, elaborato da “Castelli Animati”, è risultato estremamente piacevole e ha vinto il premio “Cinema e cultura del dialogo” a Venezia nel 2004.
E quando uno dei figli dice al padre:
”Se ci ributtano giù un’altra volta la
serra, glie la faccio pagare!” il padre
risponde: ”Se la ributtano giù la ricostruiremo e se la buttano giù di nuovo
la ricostruiremo un’altra volta, finche
non si stancheranno”. E questo la dice
lunga sull’ostinazione, sulla resistenza
tenace dei palestinesi, che hanno deciso di non lasciare la loro terra, le loro
case, i loro ulivi.
E poi vediamo i soldati israeliani: il
responsabile, il più duro, impegnato a
far rispettare la disciplina; gli altri soldati, giovani, ragazzi che vorrebbero
guardare la partita alla TV, suonare il
flauto, avere una vita normale e probabilmente si chiedono perché debbano
portare avanti una guerra così assurda.
Alla fine arriva l’ordine di lasciare la
casa per trasferirsi in un altro posto:
andranno ad occupare un’altra casa,
così come altri soldati dovranno eseguire l’ordine di distruggere altre case, sradicare altri ulivi, mettere altri chekpoint.
Ma il protagonista del film ci ha ricordato che i palestinesi vinceranno se
saranno più caparbi degli israeliani, se
continueranno a ricostruire ciò che loro
distruggono, a ripiantare gli ulivi, a rimanere attaccati alla loro terra.
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StrumentiCres ● Marzo 2006
Ovvero raccontare favole ai ragazzi
Candelaria Romero
La primissima replica di fronte ad un
pubblico di ragazzi la ricordo come un
incubo.
In realtà fu la prima lezione che mi
diedero, i ragazzi, la prima occasione
per confrontarmi con loro. Fu così che
dopo aver interrotto a metà lo spettacolo e dopo essermi barricata in bagno
a piangere, che iniziai a lavorare su
Hijos seguendo ciò che i ragazzi mi avevano fatto notare, ovvero, imparare a
raccontare favole ai ragazzi.
Ricordo la confusione durante lo
spettacolo quella mattina; carte di caramelle che volavano attraversando il
grande auditorium di un ITC nella provincia milanese.
Squillavano telefonini, musichette di
videogiochi e messaggi SMS s’incrociavano con le mie parole.
Sembrava che nessuno mi ascoltasse, proprio come nei peggiori degli incubi. Poi, all’improvviso una forza, un
sussulto di rabbia dentro di me, un impeto di orgoglio mi fece alzare dalla sedia dove recitavo. Mi avvicinai al
proscenio.
Silenzio.
Duecento ragazzi mi guardavano all’improvviso in silenzio. Vidi per la prima volta i loro sguardo. Una ragazza
seduta in prima fila abbassandosi nella
sedia disse: “Oh, merda”. Tutti sapevano che avevo interrotto lo spettacolo.
Con voce decisa ma tranquilla iniziai a
parlare loro. Ricordo di aver detto qualcosa come la verità del carcere, dei viaggi, dell’esilio, delle torture che cercavo
di raccontare a loro. Dicevo che tutto
ciò ci era davvero capitato. A me, alla
mia famiglia. A molte persone.
Che era molto difficile raccontare
questo, ma lo si faceva perché c’era bisogno di far sapere a tutti ciò che era
successo. Perché succedeva ancora. Ricordo che mi scusai e me ne andai.
A piangere, appunto.
Alcune studentesse arrivarono poi
per scusarsi. Una professoressa mi salutò. Un mio amico che era venuto da
Bergamo per vedere lo spettacolo era
sconvolto. Io, scappata dal palco chiamai subito il mio compagno e tra singhiozzi raccontai la mia tragedia.
Smontammo tutto e ce ne andammo.
Io e il tecnico.
Durante il viaggio di ritorno il tecnico (Alex) mi disse; “Pensaci a quello che
è successo oggi nell’auditorium. Ti sarà
utile per rivedere lo spettacolo”.
StrumentiCres ● Marzo 2006
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Hijos (figli) un viaggio dentro il viaggio
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Lui, il tecnico, aveva sempre ribadito
che non si doveva raccontare le favole e
nemmeno recitare con l’enfasi di chi
racconta favole in modo tradizionale. Si
doveva raccontare come se si avesse davanti dei bambini piccoli. Bisognava essere diretti, puliti. Sinceri.
Iniziò per me un nuovo capitolo.
Nel teatro cerco da allora la pulizia e
la trasparenza che quella mattina, ora-
Candelaria Romero è nata nel
1973 in Argentina. E’ fuggita dal
suo paese nel 1976 a causa della
dittatura e ha ricevuto asilo politico in Svezia, dove ha studiato e
iniziato la sua formazione teatrale. Dal 1992 risiede e lavora a
Bergamo. Dal 1995, collabora con
la Cooperativa Sociale Amandla,
Bottega del Commercio Equo e
Solidale, e con altre associazioni
promuovendo nella scuola dell’obbligo incontri sull’intercultura, sulla cooperazione internazionale e
sui diritti umani. Con Amnesty
International sta portando in giro
per l’Italia lo spettacolo Hijos sui
diritti umani. Fa parte del comitato editoriale di el Ghibli.
Per richiedere informazioni sullo spettacolo scrivere a:
[email protected] o telefonare
allo 035-571648.
mai lontana, riuscii ad ottenere, nel
panico, nell’urgenza, nell’emergenza.
Ebbi successivamente molte occasioni per provare lo spettacolo davanti a
diversi tipi di platee; classi elementari
(Treno delle Culture – Bergamo), classi medie (Sacchi di Sabbia – Pisa), licei
(Bologna), studenti universitari (Facoltà di Architettura di Genova) e tante
altre realtà scolastiche e non, nella
bergamasca, terra di residenza, ed in
altre regioni dell’Italia.
Sono passati sei anni dalla fatidica
mattina all’ITC milanese. La favola è
sempre la stessa, quella di una famiglia
di rifugiati in giro per il mondo. La storia che porto è dedicata a tutti i rifugiati, ai viaggiatori forzati. Il testo è scritto come una favola, con metafore, senza dare nome né posizione geografica
ai posti e alle persone.
“Hijos” racconta infine un fenomeno
universale e purtroppo sempre attuale.
Per questo va sempre raccontata, a
tutti ed ovunque.
Finito lo spettacolo le domande del
pubblico giovane sono molte, spesso
preconfezionate, essendo prima state
scritte in aula e preparate assieme ai
professori. Sono domande socio-politiche, sulla dittatura, sulla tortura, sui
rifugiati. Ma le domande più commoventi sono sempre quelle del pubblico
di cittadini non italiani. Ragazze e ragazzi stranieri che si rivedono nella storia appena ascoltata e chiedono a me
come me la sono cavata. A fare cosa? A
sopravvivere come straniera in un mondo straniero. A sentirsi soli nel mondo
della scuola. A imparare le lingue nuove. A inserirsi. A non dimenticare la
propria lingua, la propria storia. A essere lontani dai cari, dalla terra nativa.
Come è stato a farcela? Come hai fatto
tu? Dimmelo tu che io non ci sto riuscendo.
Il loro sguardo mi ricorda il mio di
allora. I nostri, di noi ragazzi, allora.
Stranieri.
In quel momento, quei ragazzi, parlano della loro fatica, del loro dolore e
della loro rabbia di essere stranieri, di
sentirsi stranieri. Parlano di fronte a
tutti.
Lo spettacolo piace sempre. Il silenzio è assoluto. L’applauso sentito.
Io ringrazio.
Ringrazio loro, i giovani. Quelli che a
questa storia appartengono e che si sentono meno soli dopo averla sentita. Insieme condividiamo la sofferenza e ci
sentiamo meno soli.
Ringrazio anche quelli per i quali questa realtà è lontana, li ringrazio per
averla ascoltata.
Ringrazio i giovani per essere sempre
presenti, a modo loro.
Per esserci con i loro sguardi critici
verso la vita e verso il mondo. Sempre.
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Gabriella Ghermandi
Ho iniziato la mia attività di scrittrice nel 1999, ma è stato successivamente, nel corso del tempo, che ho sentito
la necessità di recuperare l’arte
dell’oralità tanto cara al mio continente, l’Africa, e diventare anche narratrice..
La spinta al recupero dell’oralità è
sorta da una esigenza che ha radice nel
mio retroscena culturale etiope, dove si
è abituati a vivere e condividere tutto
con la comunità.
La riflessione che mi ha condotto alla
narrazione è, se vogliamo, alquanto
banale, la forma scritta è una forma di
espressione per una fruizione individualistica: l’autore scrive, chiuso nella
sua stanza, il lettore legge, chiuso nella
sua stanza. Ognuno mette la propria
immaginazione e interpreta lo scritto a
modo suo. Nella oralità si ha una
fruizione collettivistica. Il narratore e gli
ascoltatori creano un unico cuore che
pulsa suonando, ogni volta, una musica diversa. Ognuno coglie del racconto
ciò che vuole, anche qui, ma una particolare emozione li coinvolge e li lega e
li unisce facendoli pulsare all’unisono.
Oltre a questo bisogno di ritornare
alla forma collettiva e orale del racconto un altro fatto mi ha spinto a recuperare tale forma tradizionale: capita
spesso a noi scrittori di essere invitati
ad incontri. A volte incontri su temi particolarmente importanti, altre volte
semplicemente per un incontro con i
lettori. In questo secondo caso ho avuto spesso la sensazione, estremamente
personale, di “citarmi adosso” per usare una espressione di Woody Allen. Parlare di se stessi, diventare quasi un personaggio di se stessi.
Per una persona come me, nata e cresciuta in un paese dove i Re, i Ras, i vari
Deggiac avevano dei cantori che cantavano le loro lodi, perché non c’era atto
più basso del lodare se stessi, dove gli
eremiti, quando consigliano i loro figli
spirituali, danno come primo insegnamento quello di non parlare troppo di
se, tali incontri erano pungenti come
una selva di ortiche.
La somma delle due riflessioni, delle
due spinte, mi ha portato ad affiancare
al lavoro scritto quello orale, rispondendo il tal modo alla mia duplice appartenenza: all’occidente e all’Africa.
Nel mio paese di provenienza, l’Etiopia, esiste una antica tradizione di for-
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Dal racconto in forma scritta
al racconto orale
ma scritta, per lo più usata per gli antichi testi sacri, e ciò la contraddistingue
da molti altri paesi africani, ma al fianco della forma scritta esiste una altrettanto antica forma orale, che come un
filo rosso la lega al resto del continente.
Sia nella letteratura scritta che orale
la metafora ha una estrema importanza.
Esistono anche dei trattati sull’antica forma poetica metaforica chiamata
“Qene – sem inna work” e cioè “Qene –
cera e oro” alludendo con ciò allo stampo “significato esterno e grezzo” di cera
nel quale si cola l’oro il “significato prezioso dalla forma sottile”.
Oltre ai Qene, ci sono “teret inna
messale” “Storie ed esempi” e cioè
aneddoti allusivi che si usano per l’educazione dei bambini e dei ragazzi e varie altre forme orali.
Ababa Tesfaye Salo, un vecchio narratore che da sempre conduce un programma di storie per bambini alla tv
etiope, durante una intervista mi disse
“Io sono cresciuto con le storie allusive.
Sono state il fondamento della mia
educazione. Quando combinavo qualche guaio mia madre mi mandava da
mio nonno che mi faceva sedere al suo
fianco e mi raccontava una storia. Se
io perseveravo nell’errore, mio nonno
riprovava per qualche volta a raccontarmi la stessa storia e poi chiamava
mia madre e le diceva – dulla chenne
teret, si adg i gheboal – aggiungi il bastone alla storia, quando cresce capirà – e così è sempre stato, le storie che
non comprendevo fino in fondo le ho
poi comprese da adulto.”
Con questo intento, di comunicare
attraverso la metafora e le allusioni, ho
scritto i due racconti che attualmente
porto in giro come performances: “All’ombra dei rami sfacciati carichi di fiori rosso vermiglio” e “Un canto per
Mamma Heaven”.
“All’ombra dei rami sfacciati carichi
di fiori rosso vermiglio” nasce da una
constatazione fatta al mio arrivo in Italia, negli anni 80, quando notavo con
incredulità come qui la vita fosse ritenuta “programmabile” (cioè scelta della scuola, conseguente lavoro, famiglia,
casa, e via dritti sul binario stabilito fino
alla pensione) e a parte la “organizzazione” del proprio futuro e l’impegno in
ciò non fosse necessario prendere alcuna posizione verso l’esterno cioè la società civile etc…, si lasciava fare agli “al-
tri”, ai partiti che ci rappresentavano e
ai governanti che erano stati votati e ai
quali si delegava tutto. A parte “piccole
sacche” della società, alcune associazioni e forme ancora sul sorgere di
volontariato, notavo come la maggior
parte degli italiani conducesse la vita
come se essa fosse in corso parallelo rispetto alla “Storia” con la quale non si
intersecava minimamente, sia con quella nazionale e soprattutto con quella
internazionale.
Per me che venivo da un mondo dove
all’improvviso ogni volta c’era un golpe
e poi un cambio dei golpisti e ancora
modifiche che ribaltavano qualsiasi
“programmazione personale” tale
modo di affrontare la vita senza tenere
conto dei possibili mutamenti storici
era quasi da incoscienti e ancora di più
lo era il fatto di lasciare agli altri la responsabilità della direzione e organizzazione della società senza ritenere indispensabile prendere una posizione e
impegnarsi nella costruzione della stessa, a parte apporre la crocetta sulla
scheda elettorale.
Da qui l’epigrafe di apertura del racconto
“Siamo storie
di storia nella storia.
Angoli o centri
di trama e ordito
del tessuto del mondo.
Nicchie ricavate
in intrecci di eventi.
Noi siamo nella storia,
noi siamo la storia.”
Certo, le cose non sono più come allora. Dopo l’11 settembre 2001 la storia
ha bussato alle porte di tutti e ha costretto gli Italiani a riversare le acque
tranquille della propria vita in un più
ampio fiume “mondiale”, ma ancora la
maggior parte degli italiani si fa condurre... e da qui il quadro di apertura e di
chiusura del racconto, che narrano della
tv etiope prima e dopo il golpe. Tali
quadri, usando la forma della metafora
particolarmente cara alla tradizione
culturale etiope, vogliono indurre alla
riflessione sull’attuale situazione italiana, allo svuotamento culturale dei media, specie la tv, e al perché di tale
svuotamento... .
La parte centrale del racconto, è una
storia dalle sfumature femminili che
racconta con voluta ironia, umorismo
e leggerezza di una bambina in uno
spaccato di vita segnato dai cambiamenti politici in Etiopia, dal suo rapporto con la sua famiglia e dal desiderio di scoperta tipico della sua età.
Questa parte centrale è un omaggio
alla vita che riesce a scorrere anche nelle
situazioni più tremende portando inaspettate gioie e sorrisi.
StrumentiCres ● Marzo 2006
“Un canto per Mamma Heaven” nasce prevalentemente per denunciare
l’assurda guerra che si disputa tra Etiopia ed Eritrea, denunciare la difficoltà
che molti Habescià (così si chiama nella lingua Tigrigna e Amarigna, l’una lingua ufficiale dell’Etiopia e l’altra
dell’Eritrea, il popolo etiope e eritreo)
vivono nel doversi schierare da una parte o dall’altra pur provenendo da famiglie miste.
Un Canto per Mamma Heaven vuole essere l’urlo di una madre che nella
metafora rappresenta l’anima del popolo e della terra su cui esso vive, una
madre che decide di andarsene per non
dover più soffrire. Oltre a ciò il racconto vuole essere sottolineare la situazione di doppia assenza che molti migranti vivono: non più accettati nella loro
terra, perché ormai fuori dal cerchio, e
non considerati come persone, con tutti i “naturali diritti” che ne dovrebbero
conseguire, nei paesi in cui approdano.
A differenza del racconto scritto, nella performance lo spettacolo inizia con
una parte legata alla storia del
colonialismo italiano, alla legge sul
madamismo, legge che serviva per
mantenere la purezza della razza italiana, che divise la mia famiglia e causò
dolore a quattro successive generazioni.
Gabriella Ghermandi, italoetiope, è nata ad Addis Abeba nel 1965,
e si è trasferita in Italia nel 1979. Da
parecchi anni vive a Bologna, città originaria del padre. Nel 1999 ha vinto il
1° Premio del concorso per scrittori
migranti dell’associazione Eks&Tra,
scrive e interpreta spettacoli di narrazione. Fa parte del comitato editoriale
di el Ghibli.
StrumentiCres ● Marzo 2006
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NOVITÀ CRESCENDO
Uno, nessuno, centomila
ir/responsabili
Itinerari didattici progettati e realizzati sull’Educazione alla cittadinanza.
EMI, Collana Crescendo
a cura di Gianluca Bocchinfuso
Per l’Editrice Emi è appena uscito il
Quaderno didattico Uno, nessuno,
centomila ir/responsabili, una raccolta di itinerari didattici sull’Educazione
alla cittadinanza, curato da Michele
Crudo, docente di Storia e geografia
presso l’Istituto sperimentale “Rinascita-Livi” di Milano e formatore del Cres.
Crudo si propone di dimostrare come
l’Educazione alla cittadinanza, anche e
soprattutto in rapporto ai controversi
modelli sociali che la nostra società propina, può diventare realmente una pratica didattica quotidiana. Per fare questo, l’autore, in tre articolati capitoli
(L’Educazione alla cittadinanza tra
modelli sociali e urgenza formativa;
L’Educazione alla cittadinanza dalle
dichiarazioni d’intenti a un’articolata
pratica didattica; L’Educazione alla
cittadinanza
come
nucleo
programmatico
dell’esperienza
formativa), riflettendo sull’insieme costituito da società, scuola, famiglia,
spiega che un’attenta programmazione
didattica - che contempli l’educazione
alla cittadinanza, allo sviluppo, alla
mondialità, ai diritti e alla pace - determina un nuovo processo di apprendimento. Tale cammino didattico
ridisegna profondamente anche il ruolo dello studente e quello dell’insegnante.
I modelli di pratica didattica su questi temi, Crudo li ricava dalla sua esperienza personale all’Istituto sperimentale “Rinascita”: un riferimento che ritorna sempre, anche in relazione al
nuovo Progetto di sperimentazione che
lega la scuola milanese con la “Don
Milani” di Genova e la “Pestalozzi” di
Firenze. Infatti, nel presentare i progetti
realizzati con le proprie classi, l’autore
sottolinea il fatto che negli ultimi decenni si sono susseguite indicazioni
programmatiche e circolari ministeriali
sull’Educazione civica, stradale, ambientale, molte delle quali svincolate
dalla realtà scolastica, perchè non tengono in adeguato conto il “come” tenere le lezioni, il “come” programmarle, i
criteri di valutazione. La parte centrale
del Quaderno delinea, sempre con riferimenti professionali personali, alcune esplorazioni didattiche svolte negli
ultimi cinque anni insieme ad altri colleghi, con diverse classi di terza media:
“la loro descrizione, tappa per tappa
delle componenti essenziali, ne dimostra la fattibilità e proietta una loro
eventuale trasferibilità in contesti in
cui operano insegnanti che credono
nella funzione educativa della scuola”
(pag. 36). Il primo percorso didattico
ha riguardato il Rapporto tra l’uomo e
la scienza, il secondo Il piccolo grande
mondo dei lillipuziani, il terzo Davide
e Golia. Di tutti i percorsi è fornito l’intero Progetto e le modalità di lavoro che
hanno coinvolto il gruppo classe. Al
centro di queste metodologie, l’uso del
film, ritenuto strumento didattico validissimo, a detta dell’autore, ancora non
pienamente esplorato. Crudo, nelle riflessioni, sottolinea che tali lavori - oltre a stimolare nei ragazzi punti di vista da “cittadini del mondo” e non più
da semplici “cittadini italiani” - permettono risultati positivi e partecipazione
concreta, anche per quei ragazzi sprovvisti di abilità cognitive, che hanno la
possibilità di riflettere personalmente
e collegialmente su filoni tematici altrimenti sconosciuti.
Facciamo un passo indietro. Il primo
capitolo dimostra come i modelli sociali
più diffusi determinano comportamenti
specifici dei ragazzi in classe, sui quali
l’insegnante deve intervenire, nel modo
migliore possibile e pedagogicamente
corretto. Non è una questione semplice: l’insegnante, quotidianamente, si
scontra con i miti che si reggono sui
falsi idoli e su fenomeni che lasciano il
segno e cambiano intere generazione.
Un complesso di modelli sociali che
produce anche il linguaggio veloce e
superfiale tipico dei giovani: quel “linguaggio da sms” che non permette un
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sapere critico e che corrisponde esattamente alla falsa società, figlia della televisione e inserita in una realtà da palcoscenico vuota e inconcludente.
Con questa realtà dell’immagine la
scuola deve confrontarsi. L’insegnante
non può tacere: deve aiutare lo studente a fare i conti con un mondo sempre
cangiante, che non produce momenti di
riflessioni duraturi. L’insegnante può deve - costruire piani formativi che permettano allo studente di capire l’universo degli adulti e di mediare tra gli opposti, per arrivare ad un proprio punto
di vista sul mondo e sulle cose, in un’ottica di mondialità. Un processo difficilissimo, anche perché dalle notizie che
quotidianamente appaiono su giornali
e televisioni viene fuori una realtà sempre più lontana da un senso civico condiviso. Nello stesso tempo, Crudo sottolinea che le risposte degli insegnanti
non possono essere vincolate all’orizzonte volontaristico “circondato da diffidenze” , ma devono derivare da
“un’unica strada possibile, che consiste nello stanziare le risorse economiche e fornire i mezzi materiali perché i
docenti possano ritrovare lo slancio
ideale e lo spirito innovatore per abbinare alla trasmissione delle conoscenze: la trattazione sia di temi di attualità sia di problemi con implicazioni
valoriali che abbracciano le scelte individuali e collettive dei protagonisti
del nostro tempo; l’acquisizione di concetti la cui scomposizione e comprensione investe, oltre alla costruzione del
pensiero, la formazione di una morale
non angustamente particolaristica”
(pag. 18).
Su queste basi, le istituzioni scolastiche devono programmare e lavorare per
garantire la piena comprensione del
mondo, in un’ottica che inglobi la dimensione micro della sfera individuale
con quella macro delle identità collettive, che si lega ai problemi della
globalizzazione. L’insegnante non deve
avere il timore di fare riflettere gli studenti sulle dinamiche che caratterizzano il mondo oggi: guerre, fame, problemi ambientali, politiche sui diritti. Non
deve pensare che esistano argomenti
“preclusi all’intelligenza dei ragazzi”
(pag. 28): la scuola è una palestra di vita
in cui lo studente deve essere abituato
a riflettere, a parlare, a confrontarsi con
gli altri; “la scuola non si può trincerare dietro il pretesto che la scuola deve
restare un ambiente neutrale “dove
non si fa politica”, politica intesa nella
sua accezione etimologica di “interesse e impegno civile per il benessere della città-stato”, permea ogni manifestazione della nostra vita di membri della
collettività” (pag. 28). Con tale approccio didattico, gli studenti acquistano
consapevolezza delle loro idee; riflettono, oltre l’immediatezza, su ciò che ve-
dono e sentono; sono capaci di mettersi in discussione e di richiamare l’attenzione dell’adulto con le loro proposte.
Pratiche di apprendimento quotidiano
che, come abbiamo detto sopra, diventano anche progetti da sperimentare, in
un’ottica interculturale che supera, con
i fatti, le parole d’ordine spesso vincolate nello spazio e nel tempo di uno slogan.
Un nuovo rapporto insegnamentoapprendimento, a fronte di temi educativi interculturali passa inevitabilmente - nella riflessione di Crudo - da
una riorganizzazione delle risorse. Il
suo riferimento pratico è quello a lui più
vicino: la scuola media sperimentale
“Rinascita”. La cornice generale tiene
conto “dell’elaborazione di un patrimonio pedagogico-didattico che dopo le
Riforme Berlinguer-De Mauro e
Moratti potesse essere condiviso e praticato dal Collegio dei docenti” (pag.
74); della programmazione curriculare
di storia e geografia e delle ore
interdisciplinari, anche con l’introduzione stabile dello strumento filmico;
delle riflessioni personali dell’autore
legate specificamente alle trasformazioni determinate dalla “Riforma Moratti”.
Pilastro del ragionamento di Crudo è
il fatto che la scuola non può esaurire
le energie didattiche solo nella preparazione delle lezioni e nella trasmissione delle conoscenze, ma deve spostare
il fuoco sull’acquisizione e l’applicazione, misurabile e certificabile, delle com-
petenze con una maggiore attenzione ai
concetti comunicativi - “la rilevazione
preliminare, la motivazione all’esplorazione, la negoziazione iniziale e in
itinere, la sperimentazione e la scoperta, la messa a punto del prodotto finale, la preparazione della comunicazione sull’esperienza formativa, la riflessione svolta sul percorso formativo”
(pag. 79) - che si fondano sulla Didattica per progetti. Inoltre, la scuola deve
sapere coniugare la dimensione
cognitiva (cioè, i saperi) con la dimensione socio-affettiva (cioè, gli atteggiamenti e i comportamenti), in un quadro di riferimento contenente i concetti/valori di Educazione alla cittadinanza, “intesa come aggregato delle finalità educative da raggiungere in vista
della spendibilità sociale degli allievi”
(pag. 86).
In quest’ottica sta, ferma e documentata, la condanna della Riforma
Moratti, che manifesta esplicitamente
una svolta aziendalistica della scuola,
con un disordine educativo strettamente legato alla società contorta in cui viviamo.
Filo conduttore del ragionamento
complessivo di Crudo è il ruolo dell’insegnamene e il suo rapporto con gli studenti: un ruolo difficile ma ancora valido, soprattutto in una società che mangia se stessa e in una scuola riformata
che diventa sempre più elitaria, ignorando pratiche di educazione alla cittadinanza e di interculturalità.
StrumentiCres ● Marzo 2006
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AIUTARE L’INTEGRAZIONE FEMMINILE
Mani Tese al fianco delle donne indiane della provincia di Cremona
Il contesto
Nella provincia di Cremona la comunità indiana è la più numerosa, mentre
è solo al tredicesimo posto sull’intero
territorio nazionale. Gli indiani di
Cremona in gran parte lavorano in
modo stabile nelle stalle o nei campi.
Prevalentemente impiegati come
mungitori, addetti alla cura di maiali e
polli o dediti ad attività agricole, vivono con le famiglie nelle cascine, costretti
a turni di lavoro che li vedono impegnati per buona parte della giornata e della
notte. Ciò ha una pesante ricaduta anche sulle donne, che vivono isolate nelle cascine con poche opportunità di incontrare altra gente e di apprendere la
lingua e la cultura italiana.
Nella realtà italiana alla donna indiana è vietato qualsiasi tipo di autonomia
finanziaria, ella è costretta in a dipendere in ogni azione dal marito. Non le è
consentito seguire l’educazione dei figli proprio perché non conosce, nonostante i molti anni di permanenza, la
lingua italiana. Non ha amicizie ed in
questo contesto diventa difficile ogni
forma di integrazione nel tessuto sociale.
Le donne indiane
parlano
Mani Tese, che è presente in zona con
il Gruppo di Persico Domino, si è attivata per conoscere meglio la comunità
femminile indiana attraverso una indagine conoscitiva che ha coinvolto con
interviste 183 famiglie di otto comuni.
Le donne indiane, superando le barriere culturali e il proprio carattere schivo, pian piano si sono aperte, rivelando inquietanti scenari di isolamento e
solitudine, e di difficoltà ad impadronirsi dei meccanismi per accedere ai
servizi sociali. Hanno accennato, a volte con vergogna e in modo non esplicito ai problemi di abuso di super alcolici
che esistono tra gli uomini e hanno una
ricaduta nefasta su donne e bambini.
Hanno parlato di violenze fisiche e le
hanno denunciate alle autorità competenti dimostrando di non essere più disposte a subire questi tipi di abusi e a
nasconderli nell’ambito familiare.
Nella quasi totalità delle interviste
emerge anche la difficoltà di capire il
nostro sistema scolastico, che ha poco
a vedere con quello indiano, modellato
sul sistema inglese. Molte mamme hanStrumentiCres ● Marzo 2006
Progetto n. 2040
Località
Località: Quistro, comune di Persico Dosimo (Cremona)
Importo
Importo: 33.000 Euro
Responsabile
Responsabile: Ester Olivieri e Gruppo Mani Tese di Persico Dosimo
Conto Corrente Postale n°
291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9 – 20146 Milano
Bonifico Bancario c/c n° 40 c/o
Banca Popolare Etica, filiale di Padova, ABI 05018, CAB 12100, CIN
X.
no difficoltà a dialogare con gli insegnanti mentre i bambini lamentano
emarginazione da parte di alcuni insegnanti, ma più spesso da parte dei loro
stessi compagni di scuola.
Nascono ulteriori problemi con le figlie adolescenti che, dopo esser cresciute in Italia, si trovano combattute tra
due modelli culturali e non accettano
di tornare in India per sposare il giovane scelto per loro dai genitori o dai parenti rimasti là.
Il progetto Shanti
A sostegno delle donne indiane è nato
il progetto di Mani Tese “Shanti”, che
in sanscrito significa pace, con i seguenti obbiettivi:
- toglierle dall’isolamento attraverso
corsi di alfabetizzazione,
-
iniziare attività di aggregazione per
stimolare e facilitare il dialogo,
- facilitare l’integrazione culturale
con attività da svolgere in collaborazione con enti locali, parrocchie e
associazioni del territorio.
Benvenuti a tutti nella casa della pace,
che è stata inaugurata in ottobre nella
ex canonica di Quistro, concessa in
comodato gratuito dalla Curia di
Cremona. I lavori di ristrutturazione,
resi possibili grazie anche dal consistente contributo della Fondazione comunitaria della Provincia di Cremona e del
Comune di Pescarolo, sono stati molto
impegnativi; fino ad ora hanno interessato la copertura, l’impianto di
smaltimento acque reflue e il piano terreno ma andranno estesi al primo piano.
Ma molto altro resta ancora da fare.
Innanzi tutto occorrerà, con la collaborazione della Provincia, dei comuni
interessati e delle parrocchie:
- avviare corsi di alfabetizzazione per
gli adulti;
- facilitare l’integrazine culturale con
scambi ed incontri;
- informare sui serviziofferti dalle istituzioni;
- prevenire, attraverso ncontri e formazione, la violenza su donne e
bambini;
- avviare piccole attività di reddito
(cucito, artigianato, ecc.) per garantire un minimo di autonomia alle
donne;
- iniziare corsi di sostegno scolastico
per i bambini.
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LE NOSTRE
PUBBLICAZIONI
COLLANA CRESCENDO - EMI
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1. Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura –
Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg
256 - euro 12,00
Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa
caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento
di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per
l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di
percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il
testo.
2. All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi
Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00
I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia
e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di
viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli
stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono
approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti
della seconda parte, completata da un apparato didattico per
un’educazione interculturale.
3. Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00
Nel 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva
all’unanimità la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC). Ê un testo innovativo rispetto ai precedenti documenti internazionali: cambia l’approccio
globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e
muta la considerazione del minore. Il testo è un manuale teorico-pratico che, descrivendo lo scenario culturale generale,
propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e
suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione
dei diritti delle giovani generazioni.
COLLANA CRESCENDO- Ed. Lavoro
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L’INTERA COLLANA al prezzo complessivo di 55 euro
Il volume fuori collana NOCI DI COLA, VINO DI PALMA. Letteratura dell’Africa sub-sahariana a 15 euro
(18 euro con il quaderno “Letterature d’Africa - percorsi di lettura”)
Nei prezzi sono incluse le spese di spedizione
1) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini pagg.158 - euro 6,20
Strumento metodologico per chi intende affrontare il tema
delle migrazioni in chiave interculturale: elementi di conoscenza sul tema e suggerimenti per l’impostazione di percorsi
disciplinari, esperienze didattiche.
2) Percorsi interculturali e modelli di riferimento Michele Crudo - pagg.53 - euro 5,16
Un esempio di modello storiografico e un modello
tassonomico, base per strutturare i programmi di storia e geografia secondo un’ottica di educazione interculturale.
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3) Educare al cambiamento a cura di M. Santerini, P.
Scarduelli, P. Inghilleri, D. Demetrio, G. Favaro, M. Crudo pagg. 76 - euro 5,16
Viene affrontato il problema della funzione della scuola dal
punto di vista della rielaborazione culturale e pedagogica della
nozione di cambiamento e della valorizzazione della diversità.
4) Mediterraneo: il mare della complessità a cura di L.
Alberti, G. Carlini, A. Brusa, M. Gusso, C. Grazioli, D. Barra,
M. Bocca, M. Crudo, M. Peghetti - pagg. 114 - euro 6,20
Il quaderno propone una lettura trasversale delle
problematiche dell’area del Mediterraneo ed è completato da
un’analisi comparativa di 8 carte geostoriche e due percorsi
didattici.
5) La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio Michele Crudo - pagg. 73 - euro 5,16
Due unità didattiche sulle dinamiche che regolano i rapporti interpersonali e le relazioni tra comunità culturalmente
diverse partendo da parole chiave come stereotipo, pregiudizio, etnocentrismo, xenofobia.
6) Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - pagg. 158 - euro
7,75
Percorsi di lettura che si muovono alla scoperta dei modi
diversi di essere della figura dello straniero tra reale e immaginario, tra mondo classico e attualità.
7) Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal,
R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi pagg. 87 - euro
6,20
I percorsi di lettura suggeriti si rivolgono tanto agli alunni
quanto ai docenti per sottolineare l’importanza di far conoscere e valorizzare la narrativa dell’Africa Subsahariana.
8) Penelope è partita Michele Crudo - pagg. 92 - euro
6,71
Il Quaderno propone, attraverso riflessioni teoriche e un
percorso didattico, di affrontare il tema del rapporto uomo/
donna, aspetto generalmente trascurato di relazione con l’altro.
9) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde,
IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano - pagg.
220 - euro 12,91
Il volume, frutto della collaborazione interistituzionale tra
scuola e extrascuola, offre elementi di conoscenza, suggerimenti metodologici e esperienze didattiche utili a costruire
atteggiamenti capaci di cogliere e utilizzare la ricchezza culturale di una società multietnica.
10) La gatta di maggio Rabia Abdessemed, apparato didattico a cura del Cres - pagg. 214 - euro 12,91
I racconti della scrittrice algerina Rabia Abdessemed ci offrono uno spaccato dei complessi problemi sociali, di identità, di democrazia politica del Paese e sono il punto di partenza per una riflessione interdisciplinare e per la realizzazione
di percorsi di educazione ai diritti.
11) La sfida della complessità Marina Medi - pagg.114 euro 8
Un’ampia indagine sull’educazione allo sviluppo nella scuola
italiana, prendendo in esame le indicazioni ministeriali, i libri
di testo e la pratica didattica degli insegnanti.
Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa
subsahariana a cura di L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio,
C. Martinenghi - pagg. 484 - euro 23,24
La letteratura come strumento di conoscenza e di incontro
tra culture diverse per superare una visione stereotipata dell’Africa e arrivare a percepirne tutta la complessità. Una Panoramica delle letterature africane (a partire dalla tradizione
orale) e una serie di schede su autori e romanzi tradotti in
italiano, suddivise per aree linguistiche e per paese.
StrumentiCres ● Marzo 2006
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TESTI SCOLASTICI
Fame e squilibri internazionali.
Introduzione alle problematiche dei rapporti Nord/Sud
Wilma Beretta Podini - pagg.160. euro 7,40 (edizione completamente rivista e aggiornata)
Il testo, a carattere interdisciplinare, favorisce un primo approccio alle problematiche sulla fame nel mondo, alle sue conseguenze e alle principali cause che la determinano. Corredato da
carte tematiche, grafici e dati statistici, il testo si chiude con un
glossario e una sezione di esercizi.
Foreste tropicali. Quale futuro? D. Calati Boccazzi - pagg.
166. euro 7,15
Elementi oggettivi di conoscenza della foresta tropicale per affrontare il complesso problema della deforestazione attraverso
l’analisi di fattori ecologici, economici, sociali, politici e proposte
di lavoro interdisciplinare.
Brasile. La terra degli altri D. Calati Boccazzi - pagg. 112+32.
euro 9,00
Il testo, corredato da note metodologiche ed esercizi, individua
nella terra il nodo cruciale per affrontare gli squilibri e le contraddizioni della situazione socio-economica brasiliana.
Rifiuti ieri Risorse domani Pietro Danise, Consolato Danise pagg. 110. euro 7,95
Dalla fotografia della situazione dei consumi, dei rifiuti e dei sistemi di smaltimento agli spunti di lavoro didattico utili per passare da un modello di sviluppo insostenibile a uno sostenibile.
VIDEO E CD ROM
Un pianeta in movimento nuova edizione - euro 10 (gratuito per le scuole su richiesta scritta)
Il cdrom, articolato in otto sezioni tematiche, si struttura attorno
all’idea di un viaggio nella realtà migratoria, che consenta di
contrastare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi attraverso l’analisi della dimensione spaziale e temporale di questo fenomeno.
Nongtaaba In motorino tra i progetti di Mani Tese in
MATERIALI SUL LAVORO INFANTILE
Burkina Faso - VHS 22' Mani Tese - euro 10
Il video presenta lo stretto legame tra processo di sviluppo e
salvaguardia dell’ambiente, il ruolo della donna in questo processo e la filosofia di Mani Tese sulla cooperazione con i paesi del
Sud del mondo, partendo dalla situazione concreta di alcuni villaggi nella fascia saheliana del BurkinaFaso.
JATARI Alternative di sviluppo nelle popolazioni indigene
in Ecuador – VHS 30’ Mani Tese – euro 10
Il video ripercorre il lavoro ventennale di Mani Tese in Ecuador
per consolidare processi di sviluppo nelle zone rurali del paese e
mostra l’autonomia raggiunta dalle organizzazioni contadine e i
miglioramenti ottenuti nelle condizioni di vita della popolazione
grazie al lavoro collettivo.
Tembè e Coloni La nostra casa è l’Amazzonia ‘ VHS 30’ Mani
Tese euro 10
Gli indigeni Tembè e i coloni arrivati negli anni 70 cercano di
vivere in armonia con la foresta amazzonica nel Nordest del Parà
in Brasile. In questo contesto Mani Tese sostiene da una decina
d’anni l’azione dell’Associazione Lamparina per un nuovo modello di sviluppo agro-ecologico fondato sull’uso di nuove tecnologie, la diversificazione dei prodotti, la protezione del suolo, l’uso
appropriato delle risorse naturali, il lavoro con i giovani per indurli a non abbandonare le terre.
RIVISTA
Strumenticres
LAVORARE PER PROGETTI
LAVORARE SUI PROGETTI
1 “Burkina Faso e Benin” - euro 8 (gratuito per le scuole su
richiesta scritta)
Un ipertesto per conoscere il contesto, focalizzare il concetto di
sviluppo, analizzare l’attività di Mani Tese nella regione utilizzando la metodologia della “didattica per progetti”.
2 “Brasile” - euro 8 (gratuito
per le scuole su richiesta scritta)
Un ipertesto per conoscere la
vivacità culturale di questo Paese Emergente, comprendere le
cause delle sue stridenti contraddizioni, condividere l’impegno dei gruppi più attivi e di
Mani Tese al loro fianco per un
futuro più giusto.
MATERIALI SUL LAVORO MINORILE
YATRA – In marcia per i diritti dei bambini Kit didattico
Mani Tese-CRES – euro 5
Il kit è articolato in 5 fascicoli (Bambini e bambine lavoratori
raccontano, Il lavoro minorile sulla stampa, Bambine e bambini al lavoro in Italia, Globalizzazione e lavoro minorile, Cambiare è possibile) autonomi ma ricchi di rimandi incrociati. Ciascun fascicolo contiene materiali di lavoro e suggerimenti didattici. Il kit è arricchito da una bibliografia ragionata, dal dossier Dallo sfruttamento all’istruzione e dalla rassegna
stampa La violazione dei
diritti dei bambini.
Dallo sfruttamento
all’istruzione Dossier
Mani Tese-CRES euro 2,50
Il dossier descrive in modo aggiornato e approfondito i problemi legati allo sfruttamento
del lavoro minorile e l’impegno
di Mani Tese per i diritti dell’infanzia.
YATRA Dallo sfruttamento
all’istruzione VHS 30’
Mani Tese euro 8
Il nuovo video contro lo
sfruttamento del lavoro
minorile presenta la drammatica situazione dei bambini in Benin, Brasile, India e
Romania ma anche alcune
proposte concrete per contrastare il fenomeno: i progetti di
sviluppo di Mani Tese e la
Global March.
Mostra fotografica in 8 pannelli
70 x 100 – euro 5
Un numero e 3 - abbonamento annuale (3 numeri) e 8
Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara
7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo della
pubblicazione che si desidera. Aggiungere e 3 per spese postali.
Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo.
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