Il Giornale del Piemonte

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Il Giornale del Piemonte
GP118312
GP118312
DOMENICA 2 DICEMBRE 2012
Anno XIV - Numero 286
Editore: Polo Grafico S.p.A.
Allegato a Il Giornale non vendibile separatamente
INDESIDERATI
I NO TAV RESPINTI ALLA FRONTIERA
Pugno duro della Francia contro i militanti diretti a Lione per partecipare a una serie di incontri propedeutici
al vertice Monti-Hollande. Tre le persone riaccompagnate in Italia dalla polizia: avevano tutti precedenti penali
Indesiderati sul territorio
transalpino. Niente gita a Lione per i No Tav con prece-
denti penali. Il governo francese ha deciso di bloccare le
frontiere in vista del vertice
Monti - Hollande di domani,
impedendo l’ingresso a tutti
quei militanti che si siano
sporcati la fedina penale o
siano stati denunciati durante precedenti manifestazioni.
Questione di sicurezza e ordine pubblico, fanno sapere
dall’Eliseo. E ieri a farne le
REGIONALI 2010
LIBERTÀ DI STAMPA
Firme false nel centrosinistra
IL CASO SALLUSTI
È UN DISONORE
PER LA POLITICA
a pagina 5
spese sono stati tre attivisti
No Tav partiti con un pullman dalla Valsusa. Il bus è
stato bloccato in mattinata al
confine dalle forze di polizia
d’oltralpe, che hanno poi accompagnato alcuni passeggeri in commissariato. Al termine dei controlli, a tre militanti è stato impedito di proseguire il viaggio e più tardi
sono stati riaccompagnati
dalla polizia in Italia. Tra questi, anche l’autista.
Emma Basile a pagina 3
di Fulvio Basteris
CUNEO
Il «caso Sallusti» ci coinvolge, anzitutto perché in quanto direttore del Giornale è anche nostro direttore editoriale. Ma la vicenda
va oltre il caso singolo, umano e non solo, e il recente affossamento
della legge che doveva cambiare le regole della diffamazione e del
mancato controllo (per un direttore riguarda fino all’ultima parola dell’ultima delle varie edizioni locali, se la sua testata ne ha, anche quando è in ferie o ammalato), testimonia se ancora ce ne
fosse bisogno dell’incapacità della nostra classe politica di darsi regole moderne. Resta in vigore l’attuale legislazione che penalizza
la carta stampata, e assai meno il web dove si leggono cose anche
farneticanti, e che affonda le sue radici nel fascismo. Non un bell’esempio per una repubblica che si vuole, retoricamente, nata
anche dalla resistenza.
Il ministro Profumo
illustre ospite
alla Fondazione Crc
Basteris a pagina 11
NOVARA
Comune e posteggi
La tariffa aumenta,
l’incasso si riduce
VECCHIO PIEMONTE
Manghera a pagina 10
IL LIBERALE FASSINO:
FARE LA PROPRIA
PARTE, QUI E ORA
di Aldo A. Mola
Dopo il maltempo torna il sereno. È quanto accade in natura. Nella
storia, invece, se sanno e se vogliono, i popoli in più ci mettono del loro. Non si rassegnano alla meccanica alternanza degli eventi. Nel
1925-’28, ormai prossimo alla morte, ci rifletteva Giovanni Giolitti.
Sconfitto in Parlamento, costretto alle dimissioni persino da presidente del Consiglio provinciale di Cuneo (alla sua età non gli andava di cantare «Giovinezza»…), isolato a Cavour lo statista leggeva le cronache di
millecinquecento anni di invasioni e dominazioni straniere e constatava che, malgrado tutto, la popolazione italica si riprese, risorse, aggiornando via via la regola di Benedetto da Norcia «ora et labora», in silenzio operoso, senza bisogno di quotidiane prediche di noiosi «priori». Quando riemerse dagli anni dell’ideologia totalitaria, nel 1943-’45
l’Italia fece leva su liberali veri, da Benedetto Croce a Marcello Soleri,
Leone Cattani, sino a Manlio Brosio, Bruno Villabruna, Emanuele Artom… Chi monarchico, chi repubblicano, qualcuno federalista, tutti
europeisti perché i liberali italiani lo erano dal Settecento, un secolo prima dell’Internazionale di Marx e duecento anni avanti la Terza Internazionale di Lenin, erede dell’imperialismo zarista anziché del mite
socialismo umanitario. Aristocratico nelle idee e popolare nelle adesioni, come la monarchia (che saldò istituzioni e popoli d’Italia, fusi
nella nazione), il liberalismo postbellico contò su giovani come Vittorio Badini Confalonieri e Giuseppe Fassino (Busca, 13 ottobre 1924 - 27
novembre 2012), sodale di Giuliano Pellegrini, a sua volta congiunto di
Luigi Einaudi. Il Paese contava una miriade di cittadelle liberali, bersaglio della Democrazia cristiana, ancora profondamente clericale, arcaica, anti-occidentale, diffidente nei confronti degli inglesi (anglicani), degli americani (che neppure avevano un’ambasciata nella Città
del Vaticano ma solo un incaricato d’affari), e della Francia (gallicana,
napoleonica, «barbetta»). Iscritto al Partito liberale italiano dal 1945,
suo segretario provinciale per quindici anni, finanziatore del settimanale «Il Subalpino», palestra di giovanissimi talenti (Elio Ambrogio,
Claudio Massa…), consigliere comunale a Busca, consigliere regionale dal 1970 al 1975 e vicepresidente del Consiglio regionale, senatore dal
1979 al 1993, Fassino dovette farsi carico di innumerevoli uffici (...)
segue a pagina 9
PALAZZO DELLA GIUNTA Continuano le battaglie legali intorno alle regionali del 2010
CINEMA
«Shell» vince il 30esimo Torino Film Festival
È «Shell» di Scott Graham il film vincitore della
30esima edizione del Torino Film Festival. A decretarlo è stata la giuria presieduta da Paolo Sorrentino e composta da Karl Baumgartner, Franco
Piersanti, Constantin Popescu e Joana Preiss, che
ha assegnato il suo pemio speciale ex aequo a
«Noi non siamo come James Bond» di Mario Balsamo e «Pavilion» di Tim Sutton. Il premio per la
miglior attrice, assegnato in collaborazione con
«Max», è andato quest’anno ad Aylin Tezel, per il
film «Am himmel der tag / breaking horizons» di
Pola Beck. Miglior attore è Huntun Batu, per il film
«Tabun mahabuda / The first aggregate» di Emyr
ap Richard, Darhad Erdenibulag. La Giuria di Internazionale.Doc ha invece premiato come miglior film «A última vez que vi macau» di João Rui
Guerra da Mata e João Pedro Rodrigues. Premio
speciale a «Leviathan» di Lucien Castaing-Taylor
e Véréna Paravel. Per la sezione Italiana.Doc, il
premio al miglior documentario è andato invece
a «I don’t speak very good, I dance better», di Maged El Mahedy, premio speciale a «Fatti corsarI»
di Stefano Petti e Alberto Testone, menzione speciale a «La seconda natura» di Marcello Sannino.
BIELLA
Artigianato, ko
sia la produzione
che l’occupazione
a pagina 14
ASTI
In manette il trio
dei furti in casa
Trovati 300mila euro
a pagina 15
SPENDING REVIEW
Traforo del Bianco: tagli
per tre milioni alla sicurezza
La spending review si abbatte sulla sicurezza. A farne le spese il
servizio antincendio al traforo del Monte Bianco: il nuovo bando
di appalto per il triennio a venire destina tre milioni di euro in meno, cifra che il sindacato giudica «inaccettabile». L’importo a base
d’asta è stato ridotto dai 15 milioni del 2009 ai 12 milioni attuali.
«Il traforo del Monte Bianco - spiega Franco Giancarlo, segretario
nazionale della Confsal vigili del fuoco - è gestito da una società,
il gruppo europeo di interesse economico Tmb di proprietà di Autostrade per l’Italia. Dalla riapertura del Traforo del Monte Bianco dopo il drammatico incendio del 1999 che causò 39 vittime, è
stato istituito un servizio permanente di sicurezza antincendio
che vede impiegati oltre 70 operatori specializzati presenti 24 ore
su 24, 365 giorni all’anno. Immemori di quanto accaduto, si assiste attoniti, a una venale manovra di spending review (...)
segue a pagina 3
il Giornale del Piemonte
TORINO
Domenica 2 dicembre 2012
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CONFAPI PIEMONTE
«Adesso è il momento
di fare il salva indotto»
Costamagna: «Non solo grande industria
per produrre benefici richiesti dalle Pmi»
ALESSANDRO ZORGNIOTTI
Ieri salva-Fiat, oggi salva-Ilva. «Mai sono stati adottati,
negli ultimi vent’anni, ossia
da quando la crisi ha iniziato a diventare globale fino a
culminare nella recessione
odierna, degli effettivi provvedimenti salva-Indotto lamenta Antonio Livio Costamagna, presidente regionale di Confapi Piemonte».
Questo sebbene l’indotto
sia la più grande industria
diffusa del Paese, quella in
cui negli anni anche più recenti si sono concentrati,
malgrado le penalità dal
punto di vista fiscale e finanziario per le imprese
medio-piccole, gli investimenti più innovativi nel
campo della sicurezza e della salubrità, temi tornati di
enorme attualità in un momento nel quale la scelta
secca sembra fra salute e lavoro senza speranza di coesistenza tra i due fattori». La
convinzione del legislatore
era legata al fatto che ogni
provvedimento assunto per
la grande industria, per la
grande
committenza,
avrebbe finito con il beneficiare in modo quasi automatico l’indotto, «che pertanto - rincara il massimo
rappresentante della piccola e media industria piemontese - è sempre stato
considerato alla stregua di
una miriade di imprese
frammentate da colpire con
misure fiscali e burocratiche sempre più invasive, se
non addirittura con azioni
punitive tese a scorgere in
questa realtà diffusa una
sacca di evasione a prescindere». La realtà ha dimostrato una evoluzione ben
diversa. Con i fenomeni della delocalizzazione produttiva, è in pratica venuto meno ogni automatismo fra
grande impresa e indotto,
«mentre la legislazione di
sostegno e incentivazione
non si è adeguata di conseguenza. Vicende come quella storicamente nota della
Fiat e quella fattasi adesso
eclatante dell’Ilva dimostrano che, con gli strumenti legislativi attuali, il doveroso
salvataggio dei livelli occupazionali nelle industrie di
dimensioni maggiori ignora
o addirittura penalizza gli
andamenti produttivi e lavorativi delle realtà imprenditoriali diffuse che orbitano nelle stesse filiere. Si tratta di Pmi che, in molti casi,
hanno dimostrato come salute e lavoro, responsabilità
GI
TO
R
E
OG
AP
ambientale e sociale e sviluppo possano coesistere in
un quadro di continuità e
talvolta anche di crescita dei
progetti di investimento.
Per questo motivo non può
non amareggiare il fatto che
sia proprio un Governo di
tipo «tecnico» a protrarre gli
errori della vecchia politica
industriale, e a non prende-
PRESIDENTE Antonio Livio Costamagna
re atto della necessità di
rafforzare e irrobustire l’indotto nell’interesse proprio
di quella continuità produttiva e occupazionale sempre più ”riserva indiana”
nelle dinamiche della grande industria dove, soprattutto nei segmenti della manifattura pesante, si è pensato più a massimizzare l’utilizzo degli impianti preesistenti che a innovare». Conclusione: «Siamo arrivati
all’assurdo per cui salvare
un posto di lavoro nella
grande industria brucia risorse con cui se ne potrebbero creare due nell’indotto. Serve quindi con urgenza un piano salva-Indotto,
la vera ”grande” industria
italiana, per salvaguardare
tutte le componenti settoriali e dimensionali del nostro sistema produttivo».
VECCHIO PIEMONTE
Il liberale Giuseppe Fassino: fare la propria parte, qui e ora
dalla prima pagina
(...) e missioni, in una fase d’emergenza.
Nel 1979 al Senato il Pli contò due soli seggi: il suo e quello di Giovanni Malagodi. Alla Camera aveva appena nove deputati
contro i trentanove del 1963. Erano però
giovani pugnaci. Con Raffaele Costa, Valerio Zanone, Salvatore Valitutti e altri Fassino fu tra quanti mostrarono che senza il
pilastro liberale l’Italia sarebbe stata povera cosa. Aveva appreso grammatica, logica
e filosofia politica accompagnando nei comizi Modesto Soleri. Sottosegretario alla
Pubblica istruzione nei governi Cossiga e
Fanfani e alla Difesa con Craxi, Fassino
varò la riforma della scuola elementare:
lingua straniera, musica, disegno, educazione fisica: formazione della Persona, prima che del «cittadino» (un’astrazione che
spesso è costrizione). All’epoca nessuno
immaginava che di lì a poco in Italia si sarebbe scatenata la gara a chi è più liberale,
anzi a chi è più liberista. Le cose invero
stanno molto diversamente, come insegnano gli autori del «Dizionario del liberalismo italiano» (Ed. Rubbettino) coordinato da storici e politologi quali Dino Cofrancesco, Luigi Compagna, Fabio Grassi
Orsini, Francesco Forte, Roberto Pertici.
Gentiluomo, umanista, probo, «vir bonus,
dicendi peritus», monarchico e membro
della Consulta dei senatori del regno, Fassino sapeva di essere una sorta di ghiaccio
vagante nell’Artico. Come Giolitti (che tra
gli amici fedelissimi ebbe il napoletano
Pietro Rosano e il calabrese Antonio Cefaly), anch’egli ebbe amici dal Mezzogiorno (che altro è Gerardo Marotta se non un
liberale irriducibile?) alla Sardegna di Cocco Ortu, dalla Liguria di Alfredo Biondi alla Romagna di Patuelli, editore di «Libro
CON SCONTI
Aperto», e in altri lembi d’Italia, all’insegna del liberalismo autentico, insegnato
da Giovanni Cassandro: «tot capita tot sententiae», ognuno è padrone del proprio
pensiero ma generosamente antepone
l’interesse generale a quello personale. Il
liberalismo - lo affermò Giolitti e lo ribadì
Croce - è prepolitica. Non ha bisogno di
una forma-partito. È Luce. Perciò tanti sacrestani han cercato di spegnerlo con lo
smoccolatoio delle ideologie e delle inquisizioni. Ma la fiammella si rianima come
lo Spirito che, recita il Vangelo di Giovanni, «soffia dove vuole». Finiscono liquefatti solo i ghiacci artificiali. Gli altri, tutt’uno con la rupe sulla quale sorgono o galleggianti nel gelo polare, durano e indicano la via. È la lezione di Giuseppe Fassino:
fare la propria parte, qui e ora. Proprio perché sono tempi difficili.
Aldo A. Mola
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