Migrazione e religione

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Migrazione e religione
Migrazione e religione: la prospettiva dei giovani della seconda generazione
Di Luisa Deponti
"Penso che più si diventa grandi, meno si è religiosi. A me, in ogni caso, è successo così. I miei
genitori mi hanno raccontato della mia religione e mi hanno mostrato delle immagini. Era come
una stanza nella mia testa, nella quale c'erano tante cose. Con il tempo ho cominciato a riflettere di
più per conto mio e mi sono chiesto: perché è così? Non può essere vero. Quella stanza allora è
diventata sempre più vuota" (Danoshan, 16 anni). "Tra gli albanesi ci sono più giovani che vanno
in chiesa che non tra gli svizzeri. Da loro ho visto solo anziani, nessun giovane svizzero. Se c'erano
dei giovani erano degli stranieri. La maggior parte di noi dice: 'Sì, certo, io vado in chiesa'. Non ci
vergogniamo della fede" (Valmir e Mimoza, 14 anni). "In Svizzera abbiamo una comunità bosniaca
e la religione ti integra in questo gruppo qui. È molto utile e positivo. Mi aiuta a non dimenticare il
mio paese di origine. Sono cresciuta qui in Svizzera e non so assolutamente cosa significhi vivere in
Bosnia" (Zaïda, 17 anni).
Queste ed altre testimonianze di ragazzi figli di migranti sono state raccolte nell'indagine:
"Migrazione e religione: prospettive di bambini e giovani in Svizzera", sotto la guida del prof.
Christian Giordano dell'Università di Fribourg. Si tratta di uno dei 28 progetti compresi nel
Programma nazionale di ricerca "Comunità religiose, Stato e società" (PNR 58), incentrato sul
panorama religioso della Svizzera. Diverse di queste indagini erano dedicate alla religiosità dei
giovani figli dei migranti, i cosiddetti secondos e secondas, come oggi vengono spesso definiti.
La ricerca diretta dal Prof. Giordano si è svolta in due ambienti quotidiani dei ragazzi: in alcune
classi a scuola e presso le famiglie. Nel primo caso sono stati considerati tutti gli alunni
indipendentemente dalla nazionalità, mentre, per quanto riguarda le famiglie, sono state intervistate
quelle provenienti dall'Asia meridionale (India, Pakistan e Sri Lanka) e dai paesi dell'Europa sudorientale (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Croazia, Macedonia e Serbia). Tra questi due
gruppi di immigrati si riscontra una grande varietà dal punto di vista dell'appartenenza religiosa, con
la presenza di cattolici, ortodossi, protestanti, musulmani e indù. Inoltre, vi sono anche famiglie che
non danno alla religione un'importanza centrale nella scala dei propri valori.
Commentando i risultati della loro ricerca, gli autori rimandano al contesto secolarizzato in cui i
ragazzi figli di immigrati si trovano a crescere. In Svizzera, come in altri paesi d'Europa, la
mentalità più diffusa vede nelle religioni un "modello superato", per cui per essere "moderni"
sembra necessario allentare il legame con una religione tradizionale. Il credo religioso è relegato
alla sfera privata e personale e raramente viene tematizzato al di fuori dell'ambito famigliare. I
ragazzi, dunque, che provengono da famiglie e da paesi in cui la religione ha una certa importanza
nella vita pubblica e personale, si trovano di fronte a delle sfide particolari nella costruzione della
loro identità e dell'appartenenza alla società locale. La religione appartiene al bagaglio culturale
ricevuto in famiglia. Come è possibile essere nel proprio ambiente quotidiano – a scuola, tra gli
amici – contemporaneamente "religiosi" e "moderni"? Come non rinnegare del tutto quello che si è
ricevuto dai genitori e, al tempo stesso, essere giovani e "cool", sentirsi accettati e appartenenti?
Questa problematica appare più evidente tra i ragazzi musulmani, in quanto l'immagine dell'islam
veicolata dai mass media è al momento attuale particolarmente negativa, anche a causa di eventi
terroristici o conflitti internazionali. Benché tra i musulmani siano presenti correnti e stili di vita
molti diversi, prevale nell'immaginario collettivo l'idea di un islam retrogrado, pieno di obblighi e di
proibizioni. Tuttavia, anche i bambini e i giovani cattolici provenienti dall'Asia o dai Balcani, pur
aderendo ad una confessione maggioritaria in Svizzera, avvertono chiaramente che nel loro
ambiente la pratica religiosa è considerata fuori moda. I ragazzi sono così sottoposti alla forte
pressione di dover giustificare certi aspetti della propria religione di fronte ai coetanei e agli adulti e
ad inventare strategie per poter essere riconosciuti come appartenenti alla società svizzera.
Diverse sono le strategie adottate dai ragazzi. Continuare a praticare la propria religione risulta più
facile all'interno della rispettiva comunità etnico-religiosa, in cui non c'è bisogno di dare spiegazioni
o di giustificare determinati comportamenti. A scuola e nel tempo libero i vari aspetti dell'identità
personale ("straniero", "cristiano", "musulmano", "tamil", "albanese", "naturalizzato", "indù")
vengono sottolineati o messi in secondo piano in base soprattutto al desiderio di sentirsi pienamente
accettati dall'ambiente. Con il passaggio all'adolescenza, come avviene d'altra parte anche per i
giovani locali, il confronto con la tradizione religiosa ricevuta in famiglia diventa più personale.
Dalla ricerca non risulta frequente una rottura netta con la religione/cultura dei genitori, ma una
rielaborazione individuale, con esiti differenti. Come emerge anche da un altro studio del PNR 58
(J. Dahinden, K. Duemmler, J. Moret) in generale la religione non occupa un posto preponderante
nella vita quotidiana dei giovani della seconda generazione: scuola, lavoro, famiglia, amicizie…
hanno un'importanza maggiore. Tuttavia essa acquista rilevanza nei momenti di difficoltà e di
fronte a domande relative al senso della vita. La religiosità si distacca però dalle istituzioni ufficiali
(chiesa, moschea, tempio) e mette in discussione pratiche e norme prescritte da altri. In parte si
distanzia anche dalla cultura dei genitori. Se per questi ultimi vivere la propria fede in emigrazione
significa spesso mantenere anche le tradizioni religiose-culturali del paese di origine, nei figli la
religione acquista una maggiore autonomia rispetto a tali elementi. Le radici della fede, che
continuano ad essere alimentate dalla famiglia, devono poter attecchire nel nuovo ambiente
culturale, in un terreno piuttosto "resistente" alle religioni. Le strategie di adattamento sono
molteplici e in alcuni casi si riscontra un certo interesse per l'approfondimento dei contenuti
fondamentali della propria fede, per poter reagire ad un contesto di vita in cui coesistono
secolarizzazione e pluralismo religioso, che mettono in discussione valori e principi tradizionali.
Importante è notare che tali processi di cambiamento nella religiosità delle seconde generazioni si
riscontrano, se pur con tempi e modalità diverse, in tutte le comunità religiose presenti in Svizzera.
Questi risultati interessano, per tanto, anche la chiesa cattolica, dato che al suo interno cresce il
numero dei giovani e adulti di origine immigrata, della seconda e terza generazione.