The Architectural Review 1980/1989
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The Architectural Review 1980/1989
The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1980 R. Matthew, Johnson-Marshall, University of Bath, Bath, UK B. Myers & R. L. Wilkin, Citadel theatre, Edmonton, Canada, 1978 tratto dal numero di gennaio tratto dal numero di maggio O. Arup & Partners, Arts Faculty Extension, Universuty of Bristol, UK R. Schulr & U. Schuler-Witte, International Congress Centre, Berlino, Germania, 1970/79 tratto dal numero di gennaio tratto dal numero digiugno H. Hertzberger, Music Centre, Utrecht, Olanda A. Erickson Architects, Law Courts and Provincial GoverQDPHQW2I¿FHV, Vancouver, Canada, 1973 tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di giugno J. G. de Paredes, Manuel De Falla Centre, Granada, Spagna E. Asmussen, Study Centre, Jarna, Svezia, 1968 tratto dal numero di marzo tratto dal numero di luglio N. Westwood, New Buildings for London University, Bloomsbury, UK H. Larsen’s Tegnestue, University of Trondheim, Norvegia, 1971 tratto dal numero di marzo tratto dal numero di settembre D. Lausdun & Partners, Planetarium, Stuttgart, Germania, 1977 M. Giurgola Thorp, Parlament of Australia, Canberra, Australia, 1988 tratto dal numero di marzo tratto dal numero di dicembre W. Beck-Erlang, Cultural Centre, Juba, Sudan, P. Portoghesi, Moschea e Islamic Cultrure Centre, Roma, Italia, 1975 tratto dal numero di aprile tratto dal numero di dicembre L. Kahn, Parlamento, Dacca, Bangladesh, 1962/83 Taniguchi & Takamiya Associates, Art Museum, Kakegawa, Giappone, 1978 tratto dal numero di maggio tratto dal numero di dicembre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1981 W. Kessler, Science Centre, Detroit, Michigan, USA R. Erskine, Student Centre, University of Stoclholm, Sweden tratto dal numero di maggio tratto dal numero di ottobre A. von Branca, Art gallery, Munich, Germania, 1966 tratto dal numero di giugno J. P. Kleihues, Museum Complex, Solingen, near Dusseldorf, Germania tratto dal numero di luglio Maki & Associates, Museum, Kyushu, Giappone, tratto dal numero di luglio R. Meier & Partners, Museum, Frankfurt, Germania tratto dal numero di luglio G. Kidd & Coia, Robinson college, Cambridge, UK, tratto dal numero di agosto Kallamann, Mc Kinnell & Wood, American accademy of Arts and Sciences, Cambridge, tratto dal numero di ottobre Chamberlin Powell & Bon, Barbican arts centre, London, UK, 1981 tratto dal numero di ottobre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1982 J. Stirling, School of Architecture, Rice university, Houston, Taxas, USA Faulkner/Brown, Civic Centre, Chester-le-street, Co Durham tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di agosto W. Kessler, Recreation Centre, Michigan, USA, 1976 H. K. Partridge & Amis, Community Centre, Deptford, London, UK tratto dal numero di marzo tratto dal numero di settembre K. Schattner, University Library Eichstatt, Germania Farrell Partnership, Gallery St. James’ , London, UK tratto dal numero di marzo tratto dal numero di settembre Behisch & Partner, Study Centre, Stuttgart-Birkach, Germania M. Graves, Public Services Building, Portlenad, Oregon, USA tratto dal numero di aprile tratto dal numero di novembre K. Humpert, Leisure Centre, Badenweiler, Germania H. Hollein, Museum Monchengladbach, Germania tratto dal numero di aprile tratto dal numero di dicembre R. Meier & Partners, Seminary, Hartford, Connecticut, USA tratto dal numero di maggio Helin & Siitonen, Conference and Training Centre, Teisko, Finlandia tratto dal numero di maggio Frii & Moltke, Conference Centre, Princeston, New Jesey, USA tratto dal numero di agosto a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1983 H. Kjaerholm, Museum, Holstebro, Danimarca E. Cullinan, M. Beedle, A. Scìhort, Rebuioding of the C urch of St. Mary, Barnes, London, UK tratto dal numero di gennaio tratto dal numero di settembre J. Nuovel, Institute of Arab World, Paris, France tratto dal numero di febbraio J. Stilring, Neue Stadtgallerie, Stockholm, Sweden tratto dal numero di marzo Bawa, Parlament Building, Sri Lanka tratto dal numero di maggio M. Botta, Culture Centre, Chambery, Francia tratto dal numero di maggio F. Gehry, Amphitheatre Louisiana World Expo, New Orleans, USA tratto dal numero di giugno Foster Associated, Renault Centre, Swindon, Wilts, USA tratto dal numero di luglio E. Cullinan, A. Peake, M. Beedle, A. Short, Training and Conference Centre, High Wycombe, Bucks, UK tratto dal numero di settembre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1984 R. Meier, High Museum, Atlanta, Georgia, USA H. Obata & Kassabaum, Ridgway Centre, St Louis, Missouri, USA tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di luglio B. Gasson Architects, Burrell Museum, Glasgow, UK Deaf Persons’Cultural Centre and Housing, Friedrichstrasse, Berlin, Germania tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di W. Kucker & W. Golling, Museum Aachen, Germania J. Stirling, M. Wilford & Associates, Neue Staatsgarlerie, Stuttgart, Germania tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di dicembre P. Wilson, Museum of Modern Art, Frankfurt, Germania tratto dal numero di febbraio G. Murcutt, Museum and TouriVW2I¿FH, Kempsey, New south Wales, Australia tratto dal numero di febbraio J. Stirling, M. Wilford & Associates, Performing Arts Centre, Cornell university Ithica, New York State, USA tratto dal numero di aprile R. Howard Wood Levin Partnership, Derngate Centre, Northamton, UK tratto dal numero di aprile McCormac Jamieson & Prichard, Faculty of Arts, Bristol University, UK tratto dal numero di maggio a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1985 A. van Eyck, New Amsterdam School, Amsterdam, Olanda R. Moneo, Museum Merida, Spagna tratto dal numero di gennaio tratto dal numero di novembre M. Bhigas & Mackay, Library Conversions, Catalogna, Spagna R. Meier, Crafts Museum, Frankfurt, Germania tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di novembre Property Services Agency Project Architects, National Gallery of Modern Art, Edinburgh, UK Colquhoun & Miller, Art Gallery Extension, Whitechapel, London, UK tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di novembre Esherick, Homsey, Dodge & Davis, Aquarium and Museum, Montery, California, USA L. Nield, High School near Canberra, Australia tratto dal numero di marzo tratto dal numero di dicembre N. Foster, Mediatheque, Nimes, Francia tratto dal numero di maggio H. Scharoun, Musical Research Institute and Museum, Berlin, Germania tratto dal numero di giugno E. Cullian Architects, Training and Conference Centre, High Wycombe, Bucks, UK tratto dal numero di luglio Martin, Richards, Calouste Gulbenkian Cultural Centre, Lisbona, Portogallo tratto dal numero di settembre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1986 C. de Portzamparc, Musical City, la Villette, Parigi, Francia tratto dal numero di marzo G. Bawa, University of Ruhunu, Matara, Sri Lanka tratto dal numero di novembre A. Fainsilber, La Villette, Parigi, Francia tratto dal numero di dicembre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1987 Architetti vari, AR Heuga Docklands Museum Competition, Docklands, London, UK J. Nouvel, Arab Cultural Centre, Paris, Francia tratto dal numero di febbraio tratto dal numero di ottobre R. Piano, Art Museum Houston, Texas, USA Bach & Mora, Cultural Centre, Madrid, Spagna tratto dal numero di marzo tratto dal numero di ottobre R. Piano, Civic and Cultural Centre, Rehabilitation of Basilica, Vicenza, Italia tratto dal numero di marzo J. Stirling, M. Wilford & Associates, Science Centre, Berlino,Germania tratto dal numero di aprile B. Johns, Advanced Technology Centre, Edmonton, Alberta, Canada tratto dal numero di maggio C. St. John Wilson & Partners, School Library Chelmsford, Essex, UK tratto dal numero di giugno Stein, Doshi & Bhalla, Gandhi Institute of Labour Studies Ahmedabad, India tratto dal numero di settembre Busmann & Haberer, Concert Hall and Museum, Cologne, Germania tratto dal numero di ottobre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1988 E. Cullinan, R. Gooden, S. Bhavan, Music School Harrow, Middlesex, UK tratto dal numero di febbraio H. Scharoun, Chamber Music Hall, Berlino, Germania tratto dal numero di marzo Arup Associates, Imperial War Museum, Lambeth, London, UK tratto dal numero di aprile G. Canali, Museum Pilotta, Parma, Italia tratto dal numero di aprile OMA, Dance Theatre The Hague, Olanda tratto dal numero di settembre K. Kurokawa, Art museum Nagoya, Giappone tratto dal numero di settembre Edmond & Corrigan, Community Centre, Canberra, Australia tratto dal numero di ottobre a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini The Architectural Review: elenco progetti gennaio/dicembre 1989 N. Torp, Airline Headquarters, Stoccolma, Svezia tratto dal numero di marzo Alvar Aalto, Opera Hause, Essen, Germania, tratto dal numero di giugno J. Andrews International, Convention Centre, Sydney, Australia tratto dal numero di giugno a cura di Michele Marchetti, Giulia Perini Josè Garcia De Paredes, Manuel de Falla Centre, Granada, Spagana, 1962 Nel 1962, il consilio cittadino di Granada comprò l’edificio vicino al quale Manuel de Falla visse dal 1921 al 1939 per trasformarlo in un museo dedicato al compositore. Questa casa però era troppo piccola per ospitare tutto il materiale, fu quindi deciso di costruire un centro e una sala concerti nelle vicinanze che, al tempo stesso, avrebbero ospitato archivi, spazi espositivi, una libreria e sale conferenza. L’area della casa di de Falla e del centro resta isolata rispetto al tipico giro turistico di Granada, circa a metà del fianco della collina che ospita l’Alhambra, dove per arrivarvi si passa attraverso i giardini “Metamoros” dove si può udire solo il suono delle fontane. Il complesso si divide in tre parti: l’esitente abitazione di de Falla, un centro studi e un auditorium. Il centro è progettato sia per la musica che per le conferenze: l’auditorium è equipaggiato sia per rappresentazioni temporanee che per produzioni teatrali. nella Philarmonie di Berlino, nell’Opera House di Sidney e nel Concertgebouw di Amsterdam. 1. 2. Aerofotogrammetrico dell’Alhambra 3. Planimetria 4. Sezione Longitudinale 5. Vista esterna 6. Vista interna del palco con i musicisti 7. Particolare del foyer con i pilastri 8. Sezione trasversale 9. Vista del complesso da lontano a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Josè Garcia De Paredes, Manuel de Falla Centre, Granada, Spagna, 1962 Vista la eccezionalità del sito (nessun edificio pubblico è stato costruito in quest’area dal palazzo di Carlo V nel 1527) la prima volontà dell’architetto è stata quella di fondere il centro con il paesaggio. L’edificio è lungo e basso con un profilo a diverse altezze che di poco si alzano rispetto all’altezza degli alberi. Una consistente parte della costruzione infatti è interrata. I muri sono ricoperti con mattoni colorati chiari, il tetto con tegole chiare, entrambi danno l’impressione di essere consumati dal tempo. Per questo progetto non è stato rimosso alcun albero e i muri di mattoni saranno presto ricoperti da rampicanti. L’auditorium può essere diviso in due parti diseguali. Una passeggiata pubblica, che inizia dal pPaseo de los Martires sovrastante, passa sopra la scena fino ad una terrazza poligonale e piana che da una vista panoramica della Vega e della Sierra Nevada. Il teatro conta 1311 posti a sedere e si divide in due hall da 897 e 414 sedute. Questa soluzione che si sviluppa dietro l’orchestra è già stata usata da Scharoun 1.2.3.4. Piante 5. Vista del teatro 6. Vista del teatro, affaccio sul parco bibliografia The Architectural Review, numero di marzo 1980 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Klaus Humper, Leisure Centre, Badenweiler, Germania, 1962-67 All’interno della tradizione architettonica tedesca, con caratteristiche provenienti dal lavoro organico ed espressionista di Rudolf Steiner, Hugo Haring e Hans Scharoun, c’è un edificio eccezionale. Prende l’umanesimo trovato nel lavoro contemporaneo di di Gutbrod e Bemisch portandolo ad un livello più poetico di quanto loro non siano mai arrivati. Questo edificio è la Kurhaus di Badenweiler, progettato da Klaus Humper tra il 1662 e 1967. Nonostante la sua età è un edificio che pochi al di fuori della Germania sembrano conoscere, e questo è un peccato, per la sua forma o per la sua apparente mancanza di forma, non ha catturato l’attenzione di alcuni architetti, l’esperienza di stare dentro o camminare intorno è senza alcun dubbio esaltante. Costruito sulla pendenza più bassa della collina di un castello, ai margini di una piccola città termale nel sud della Germania, è un edificio notevolmente gioioso. Le funzioni (caffè, ristorante, grande sala concerti, spazio esterno per la banda e terrazzamenti) sono assemblati in una pianta dalle forme libere che si dispone attorno ad un atrio su più livelli. I volumi sono determinati sia dalle esigenze di progetto che dalla morfologia del terreno. I percorsi si snodano tutt’intorno all’edificio in un piacevole susseguirsi di vie. L’atrio centrale di tre piani d’altezza, si innalza sulla collina. La copertura è una lanterna ricurva di vetro che proietta ombre e luci dentro al cuore dell’edificio. La forma della pianta si mostra come un incontro tra il lavoro di Aalto e di Scharoun con le terrazze che ricordano dormienti memorie della Schminke House, Lobau 1933. Ma nonostante riferimenti ed origini siano facilmente riconoscibili, le innovazioni di Humper hanno prodotto uno straordinario edificio del tutto originale. La modellazione di forme e figure è così personale che non si può fare riferimento a qualche opera del passato o concetto precostituito. Di tutti gli edifici organici tedeschi questo è quello che più si avvicina all’espressione di Hugo Haring “gli interni/ i significati/ le sensazioni... oppure alle parole di Kahn:” il sole non ha mai conosciuto la sua grandezza finchè non colpì il lato di un edificio”. 1. Assonometria 2. Vista esterna dell’atrio 3. Viste interne teatro 4. Pianta livello inferiore 5. 6. Viste fotografiche 7. 8. Piante livelli superiori bibliografia The Architectural Review, numero di aprile 1982 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Paolo Portoghesi e altri, Moschea di Roma, Roma, Italia, 1975 1. Pianta; bibliografia 2. Aerofotogrammetrico; 3. Foto del plastico; The Architectural Review, 4. Sezione della moschea; numero di dicembre 1980 5. La moschea ; 6. Disegno dei pilastri; 7. Fotografia dei pilastri; 8. Vista interna alla moschea; 9. Vista interna alla moschea; Tra i quattro finalisti di una concorso architettonico del 1975 per la Moschea e il centro culturale islamico a Roma, vinseun’architetto islamico Mosauwi e secondi arrivarono Paolo Portoghesi con Vittorio Gigliotti. Il progetto vincente fu giudicato il più appropriato, ma gli assessori rimasero impressionati dagli interni di Portoghesi, quindi chiesero una collaborazione frai i tre progettisti. Su un’area ai piedi del monte Antenne, una piccola collina coperta di pini sopra il Tiber, gli elemnti principali sono disposti a T, uno schema tradizionale sia per l’architettura sacra islamica che per quella romana. Il lato più corto della T è rivolto verso la Mecca ed è costituito dalla Moschea e dalla corte aperta destinata alla preghiera davanti ad essa, nella quale i due assi si incrociano. Tutti il basamento racciude il centro culturale, sopra di esso dei porticati racchiudono la corte di preghiera e si estendono come quattro braccia formando un’H. Tra queste braccia ed intorno alla Moschea sorgono i giardini con rigogliosa vegetazione, fontane e vasche che creano un’ordine sereno che simboleggia il paradiso. Attraverso la Moschea e le arcate vi è una foresta di colonne in calcestruzzo rinforzato, ognuna delle quali ha sezione composta da quattro colonne a base quadrata che in cima si aprono come mani in preghiera, dove sono strette da un’anello. Nella struttura, colpiscono il mix tra pensiero moderno della struttura e linee curve onnipresenti (la grande sala di preghiera richiama indubbiamente una foresta - o un’oasi, con le sue colonne a tre steli), l’uso della luce per creare un clima meditativo, e l’utilizzo di materiali che generano colori tipicamente romani, come il travertino e il cotto rosato. L’apparato decorativo, assai discreto nell’ampiezza dello spazio che lo contiene, è costituito da ceramiche invetriate di colori delicati. Il tema coranico ripetuto è Allah è luce. a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Norman Westwater, Centro Culturale, Juba, Sudan, 1975 Juba è una città del Sudan, capitale regionale del Sudan meridionale e capitale dello Stato sudanese dell’Equatoria centrale. Nel 2005 la popolazione di Juba era di 163.442 abitanti. Era una città focale per il commercio nell’est dell’Africa prima della guerra civile iniziata negli anni 70. é una città con una storia difficile come la maggior parte dei territori africani. 1. Inquadramento territoriale del Sudan 2. Inquadramento territoriale di Juba nel Sudan 3. Aerofotogrammetrico della città 4. Pianta del centro 5. Vista fotografica 6. Vista fotografica bibliografia Disposto su di una collina a Juba, capitale di una regione del Sudan, si presenta come un largo, lungo e basso tetto, al di sotto del quale si trovano un anfiteatro per mille persone, con un palco di terra battuta, e una serie di spazi secondari racciusi da muri autoportanti. Il tetto permette di proteggere le strutture dal sole, lasciando che l’aria possa penetrare. Vi si trovano aule per la musica e per le arti, uffici amministrativi e un rostorante-bar disposto attorno ad un giardino e ad un’area pavimentata. Vi su trova inoltre una biblioteca, un’aula proiezioni e due piani dove si trovano i camerini che sono disposti in maniera tale da formare sia la scena del teatro che uno schermo per il cinema. Questa semplice ma generosa struttura è un centro culturale donato da Adnan Kashoggi, direttore del gruppo di finanziatori Triad. L’architetto inglese Norman Westwater incontrò il problema di trovare una soluzione che fosse in armonia con la cultura locale e ovviasse alle dificoltà edilizie e di reperimento di materiali. La tradizionale danza tribale e la musica si svolgono all’aperto: predisporre un teatro chiuso e con un sistema sofisticato di illuminaziione sarebbe stato in contrasto con la cultura locale e impossibile da costruire e mantenere. Il maggiore elemento strutturale è un portale d’acciaio, incorniciato da un tetto isolante prodotto in USA, trasportato a Monbasa in nave e poi tramite trasporto via terra, attraverso Kenya e Uganda. Tutto ciò ha richiesto solamente l’assemblaggio in loco dei blocchi di fondazione, e la natura del luogo ha richesto per la cstruzione della platea del teatro il minimo spostamento di terra. Il tetto è bianco nella parte superiore, con travi nere e fogli di plastica neri sottostanti. I muri bassi sono bianchi e costruiti in canniccio tradizionale e aperti con moderne porte e finestre d’acciaio. Questi muri sono illuminati di notte da tubi fluorescenti. The Architectural Review, numero di marzo 1980 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Scharoun, Kultur Forum, Berlino, Germania, 1972 Dei suoi ultimi edifici, Hans Scharoun vide completata solo la Filrmonica. La Filarmonica fu la prima di quegli edifici che dovevano formare il Culture Forum, costruito su un’area devastata vicino al muro. Sarebbe dovuto diventare punto focale della Berlino riunita. La grande sala da concerti infatti non era pensata da Scharoun come elemento isolato, venne invece accompagnata da numerose piante e planimetrie che non sono stati resi pubblici prima. L’aggiunta di un Istituto per la Ricerca Musicale e il Museo degli Strumenti Musicali suggerita nel 1968 fu accettata da Scharoun e pianificata prima del 1972, anno della sua morte. L’edificio fu eseguito dal suo partner, Edgar Wisniewski. La Filarmonica oltre a questi edifici doveva essere inserita in un contesto più ampio in cui c’erano anche la Sala per la Musica da Camera. La Filarmonica era il primo pezzo della ricostruzione. Era impossibile allora trovare delle imprese finanziatrici che costruissero negozi, ristoranti... nell’area vicino a Kemperplatz, e fu provvidenziale che la Prussian Cultural Heritage Foundation suggerì di incorporare l’Istituto di Ricerca Musicale e il Museo degli Strumenti Musicali alla Filarmonica. Scharoun inoltre si occupò della parte est del sito anche se l’intenzione originaria era quella di dare un aspetto più unitario all’assetto planimetrico. La Filarmonica provvede a dare un naturale fuoco per tutto il complesso che è stato pianificato per includere non solo l’Istituo e il Museo ma anche la Sala della Musica da Camera del xxxx e L’Archivio della Musica Tedesca e L’Audio Visual Centre. 1. Vista esterna della Philarmonie 2. Vista esterna della Sala della Musica da Camera 3. Planimetria generale 4.5. Viste interne della Philarmonie 6. Prospetto dell’istituto di Ricerca 7.8. Viste dell’Istituto di Ricerca della Musica 9. Sezione dell’Istituto di Ricerca della Musica a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Scharoun, Kultur Forum, Berlino, Germania, 1972 L’obiettivo fu quello di un interazione creativa in modo da determinare gli assetti internazionali della musica, anche solo per l’importanza della Filarmonica. L’Istituto di Ricerca della Musica è particolarmente importante per le ricerche accademiche che possono dare nuovo impeto alla musica, gli esperimenti nel laboratorio di elettronica musicale all’interno dell’istituto dovrebbero dare risalto alle performance del centro. La continuità del museo con il foyer della Filarmonie invita gli spettatori dei concerti alle visite. Gli strumenti della moderna orchestra sinfonica possono essere paragonati con i suoi predecessori e faranno ricordare ai visitatori i cambiamenti nel loro suono. A parte la funzione educativa il museo è progettato per mostrare gli strumenti nel loro contesto artistico, sociale e storico. Questa organizzazione programmatica riflette l’impegno di Scharoun con la vitale domanda di cambiare struttura nello spazio e nel tempo , sempre suo punto di partenza nel concepire un edificio o uno spazio urbano. L’obiettivo non era quello di dividere lo spazio in piccole e specializzate aule per le esibizioni ma lasciarlo continuo con un lungo e dominante volume centrale. La lunghezza e la centralità possono sembrare due concetti contraddittori soprattutto perchè lo spazio è stretto. L’assetto dell’istituto è ortogonale e simboleggia la forza della ragione, a parte la libreria e un gruppo di spazi annessi alla sala di lettura, le altre stanze dell’istituto affacciano tutte sul cortile interno della Filarmonica. 1. 2. 3. Viste interne dell’Istituto di Ricerca della Musica e del Museo degli Sturmenti Musicali 4. 5. 6. Piante dell’Istituto di Ricerca della Musica e del Museo degli Sturmenti Musicali bibliografia The Architectural Review, numero di giugno 1985 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Chamberlin, Powell e Bon, Barbican Centre, Londra, UK, 1981 Londra propone molti istituti artisticoculturali, divenuti nel tempo centri d’avanguardia della società britannica; tra questi troviamo il più grande centro multi-artistico di tutta Europa: il Barbican Centre. Uno dei più importanti quotidiani al mondo, The Guardian, definisce il centro come “un luogo dove c’è sempre qualcosa di ricco e strano che accade” e tutto questo accade nel cuore e nel centro della città, a portata di tutti. Nasce nel 1982, nel celebre complesso architettonico conosciuto con il nome di Barbican House Estate (situato nella zona della City di Londra), progettato negli anni sessanta dagli architetti Chamberlin, Powell e Bon. La sua struttura si concentra nella Barbican Hall, una sala concerti di quasi 2000 posti e residenza stabile delle celebri orchestre londinesi London Symphony Orchestra e BBC Symphony Orchestra, nel Teatro Barbican con 1166 posti, nell’Auditorium ‘The Pit’ di 200 posti, nella Galleria d’Arte Barbican, sede di importanti eventi espositivi, nel Cinema Barbican che comprende tre sale, per un totale di circa 700 posti. Non finisce qui, al Barbican luoghi d’arte informale diventano, all’occasione, luoghi adatti ad ospitare piccole performance artistiche. Completano l’intrattenimento i diversi bar, ristoranti, una terrazza all’aperto (Lakeside Terrace), due spazi fiera, sette sale congressi, alcune librerie e un conservatorio, conosciuto come il Roof-Top tropical conservatory. Il Barbican House Estate, elencato nel 2001 tra gli edifici di Grade II listed building, nasce come un edificio complesso, caratterizzato da un’intricata struttura architettonica: 1.2.3. Viste interne teatro 4. Sezione 5. Piante a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini James Stirling, Neue Staatsgalerie, Stoccarda, Germania, 1984 Museo a forte connotazione urbana costruito per dare una più appropriata collocazione alla sezione moderna e contemporanea (dalle avanguardie storiche degli inizi del Novecento alle opere degli artisti concettuali americani) delle collezioni municipali. Viene realizzato in adiacenza al nucleo originario del museo, un edificio ottocentesco in stile neoclassico, a cui è collegato mediante un ponte. Una delle sollecitazioni esterne di cui gli architetti devono tener conto è data dalla pendenza del lotto, risolta realizzando un sistema di rampe che conducono dal piano della strada al livello della terrazza dove si trova il foyer d’ingresso. Questa organizzazione del versante collinare per piani inclinati ricorda il sistema ipotattico di Praenestre, dove una serie di rampe conduce al Tempio della Fortuna Primigenia. In questo caso il percorso porta alla Rotonda, a cui si riconosce la stessa centralità assegnata all’edificio sacro. Ma la differenza fra l’impianto romano e questo stirlinghiano sta nel fatto che malgrado l’impianto planimetrico abbia una struttura simmetrica, in alzato ogni centralità è perduta a causa di una composizione complessa e frammentaria dei vari volumi che costituiscono l’insieme. Inoltre, a negare ogni assialità concorre la collocazione fuori centro della hall di ingresso, ospitata in un corpo vetrato dall’andamento sinuoso. La caratteristica dominante di questo museo è la sua dimensione urbana. Quest’ultima non si manifesta solo nella riproposizione a scala architettonica della complessità tipica dello scenario metropolitano. 1.2.3. Viste interne teatro 4. Sezione 5. Piante a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini James Stirling, Neue Staatsgalerie, Stoccarda, Germania, 1984 Osservando la planimetria si può notare che il centro ideale del complesso museale, la Rotonda ipetrale, non si configura come il cuore sacrale dell’itinerario espositivo, ma piuttosto come il nucleo centrale da cui si irradiano tutti i volumi verso le zone perimetrali, come se fossero soggetti a una forza centrifuga che sembra voler suggerire il dissolvimento dei confini museali nello spazio della città. Pertanto la Rotonda, nella tradizione tipologica ottocentesca considerata il centro nevralgico dell’itinerario espositivo, qui sembra ribaltarsi in un’assenza piuttosto che in una presenza. Con questo “svuotamento” la sacralità dell’opera d’arte invece che essere celebrata nel museo viene proiettata nella città. Unitamente alla Rotonda, altri ambiti esterni al museo subiscono una connotazione tale da far sì che la socialità sia esterna allo spazio museale e non preservata al suo interno. Percorsi sinuosi, volumi stravaganti, coloratissimi dettagli pop, sono tutti “ammiccamenti” collocati all’esterno per attrarre una vivace vita sociale, che popola e anima questo luogo anche senza accedervi al suo interno. Rispetto al carattere ludico e chiassoso degli ambienti esterni, l’interno appare ordinato, quasi ortodosso per il modo in cui qui si trova riproposta, immodificata, la tradizionale tipologia a galleria. 1.2.3. Viste interne teatro 4. Sezione 5. Piante bibliografia The Architectural Review, numero di marzo 1983 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Chamberlin, Powell e Bon, Barbican Centre, Londra, UK, 1981 numerose entrate d’accesso, lunghi corridoi multi-livello di difficile orientamento, imponente uso del cemento; nel complesso, una struttura tipica dell’architettura brutalista britannica. Nel corso degli anni, in particolare negli anni novanta, il centro subì diverse miglioramenti ‘cosmetici’ mentre recentemente, negli anni 2005-2006, vennero introdotte alcune migliorie atte a donare una maggiore praticità alla struttura intera, soprattutto in relazione all’accesso della circolazione pedonale. Come la leggendaria fenice, anche il Barbican risorse dalle ceneri, in questo caso causate dai bombardamenti avvenuti nella Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra prese corpo una sorta di rinnovamento artistico e l’idea di creare un centro adatto alla esigenze artistiche dell’epoca. Il Barbican Centre ospita le mostre d’arte più in voga di tutta Europa, dai capolavori fotografici di Sebastião Salgado al Museo Marziano dell’Arte Terrestre, dalla musica soul africana ai concerti di musica classica della London Symphony Orchestra, a musical che celebrano la nascita della musica reggae. Non si dimentichi inoltre delle sale cinematografiche, sempre pronte ad accogliere i numerosi film di circolazione internazionale, dai film d’autore del cinema francese, italiano o asiatico, ai grossi film del cinema hollywoodiano o bollywoodiano. In poche parole, il Barbican rappresenta la storia di Londra nel suo complesso, dall’antico difficile cammino urbanistico e sociale, al sacrificio e alla rigenerazione; il continuo risorgere della città, dei suoi quartieri e della sua popolazione nella storia. 1. Piante 2.3.4. Viste interno bibliografia The Architectural Review, numero di ottobre 1981 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Hans Hollein, Städtisches Museum Abteiberg , 1977-82 Lo Städtisches Museum Abteiberg di Mönchengladbach è il museo di arte moderna e contemporanea della città di Mönchengladbach, realizzato tra il 1977 e il 1982. Prende il nome dall’Abteiberg, la collina su cui sorge l’antica abbazia benedettina, oggi duomo. Il museo è situato sul fianco della collina, nei pressi della chiesa. Architettura espositiva che propone la dispersione della soglia museale nello spazio della città. Progettato dall’architetto austriaco Hans Hollein e vincitore del famoso “Pritzker Award” nel 1985, l’Abteiberg Museum di Mönchengladbach oltre ad offrire spazi espositivi e attività di servizio funzionali alla vita di un museo, delinea nuove aree urbane, una piazza e un crocevia che vanno ad arricchire il sistema dei percorsi e degli spazi di sosta della città. Il contesto in cui Hollein è chiamato ad intervenire risulta ricco di suggestioni che affiorano tutte nel progetto. Si tratta del ripido fianco di un colle su cui campeggiano un’abbazia benedettina trecentesca, un monastero settecentesco e più in alto una cattedrale gotica. L’idea progettuale è quella di sviluppare il complesso museale attraverso una serie di elementi formalmente e funzionalmente distinti, disseminati su quote differenti del terreno. L’organizzazione volumetrica presenta pertanto una tripartizione: sulla parte alta della collina l’architettura svetta come forma turrita, nella parte mediana digrada in elementi più bassi che si immergono nella collina fino ad assumere la dimensione ipogea di architettura sottrattiva e infine, nella parte più bassa, gli elementi costruiti si dissolvono completamente nella natura. 1.Viste esterno 2. Pianta 3.4.5.6.7. Viste esterno a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Hans Hollein, Städtisches Museum Abteiberg , Mönchengladbach, 1982 Nel rispetto di questa logica di dissolvimento spaziale sottesa al progetto, Hollein studia un sistema di accessi molto versatile che consente la percorribilità totale del complesso e ripropone la stessa tortuosità dei tracciati medievali tipici della città, nella finalità di incoraggiare la fruizione dell’area da parte di un pubblico allargato, che non è tenuto ad accedere alle sale espositive, ma può anche sostare nella piazza o nell’antico giardino, o semplicemente percorrere questa promenade architectural come fosse un attraversamento urbano. Assecondando tale intento il nuovo museo arricchisce il sistema di percorsi pedonali del vicino centro storico, generando un gioco di contaminazioni in cui se da un lato il museo si insinua nella città, dall’altro la città entra con le sue dinamiche a far parte del museo. La medesima varietà secondo la quale si articolano i volumi esterni si ritrova internamente, dove ogni ambito è caratterizzato in maniera specifica, al punto che ciascuna delle sale espositive viene trasformata in un avvenimento irripetibile. Lo spazio museale è plasmato come fosse esso stesso un’opera d’arte, secondo un ideale di Gesamtkunstwerk, ovvero di artisticità totale che lascia immaginare come l’esperienza artistica condotta in questo genere di musei così autoreferenziali riesca benissimo a prescindere dall’esistenza di una collezione d’arte. La collezione che ospita è molto vasta. Spazia dall’espressionismo tedesco all’arte contemporanea internazionale. 1.Viste esterno 2. Sezione e prospetto 3. Planivolumetria 4.5.6. Viste esterno bibliografia The Architectural Review, numero di dicembre 1982 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Jean Nouvel, Istituto del Mondo Arabo, Parigi, 1980-1987 Nel dicembre del 1987 apre le porte a Parigi l’Institut du Monde Arabe, situato nel cuore della Parigi storica, nel V arrondissement, progettato da Jean Nouvel, Pierre Soria, Gilbert Lezénés e Architecture Studio, vincitori del concorso bandito dal Comune di Parigi nel 1981 a cui parteciparono sette gruppi di architetti francesi. La sfida di Nouvel era duplice: contenere una grande complessità di elementi in una forma semplice e unire in una sintesi la cultura araba e quella cultura occidentale. La costruzione di questo edificio, giustamente iscritto nella politica delle grandi opere voluta da François Mitterrand, è stata decisa sotto il settennato di Valéry Giscard d’Estaing nel 1973, con l’intenzione di migliorare le relazioni diplomatiche tra la Francia e i Paesi arabi. L’edificio dell’Institut è costituito sostanzialmente di due grossi corpi uno rettangolare che affaccia su una grande piazza e uno fortemente appuntito con un profilo rettilineo e uno curvo verso la Senna. In realtà l’IMA non è solo un’istituto di cultura araba: è un luogo dove si incontrano i parigini, è un museo e una biblioteca, è un incredibile belvedere ma è anche un caffè dove conversare e rilassarsi, è un luogo di studio e di confronto tra le due culture più rappresentate a Parigi, quella occidentale e quella islamica. Il sito in cui sorge l’edificio è molto ricco di suggestioni: siamo nel cuore della città, sul lungosenna di fronte al pont de Sully, che unisce la riva sinistra all’île St-Louis. La pianta dell’IMA è quindi legata al contesto: si tratta di una realizzazione molto urbana che tiene conto dello sviluppo della zona che la ospita. 1. 2. 3. Inquadramento territoriale 4. Assonometria planimetrica 5. Assonometria dell’Istituto 6. 7. 8. 9. Piante 10. Pianta del piano terra 10. 11. Sezioni a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini Jean Nouvel, Istituto del Mondo Arabo, Parigi, 1980-1987 1. Vista fotografica 2. Vista del modello 3. 4. Foto della facciata sud dell’Istituto 5. 6. Foto del particolare del meccanismo della facciata chiuso e 7. Foto della facciata sud dell’Istituto Dalla terrazza superiore si ha una splendida vista sulla città: a Nord la Parigi medievale e Haussmaniana, (la facciata Nord, completamente vetrata, riflette la cattedrale di Notre Dame sull’île de la cité ), ad Est c’è la Parigi del XX° secolo con l’imponente Université de Jussieu, caratteristica architettura anni ’50-’60 in cemento e metallo con un fronte su pilastri di oltre 400 metri verso la Senna. La forte relazione con il luogo è uno dei punti di partenza del lavoro di Nouvel - “ciò che mi interessa è la pertinenza di una risposta rispetto ad un contesto specifico” ha affermato il celebre architetto – che non ama gli architetti che adottano soluzioni formali sempre uguali in ogni luogo di progetto. Ma un buon progetto per Jean Nouvel nasce non solo da un’attenta analisi del luogo ma anche dall’uso di nuovi materiali e tecnologie. L’edificio di Jean Nouvel, interamente in metallo e vetro, ha la sua forza proprio nella coerenza data dal rigore geometrico e dall’armonia dei materiali utilizzati. Qui utilizza un dispositivo dichiaratamente “high tech” nel trattare il fronte verso la piazza: le finestre infatti sono pensate come diaframmi mobili di una macchina fotografica. La luce filtra nell’edificio in quantità inversamente proporzionale alla sua intensità, grazie a speciali dispositivi che reagiscono al calore, modificando di fatto l’immagine del prospetto esterno durante tutto l’arco della giornata. Questo gli permette di rendere omaggio alla cultura araba realizzando una facciata che nella trama astratta e geometrica richiama in qualche modo gli “arabeschi” e ottenendo un suggestivo spazio interno in cui la luce non è diffusa né concentrata in poche aperture ma entra negli ambienti attraverso piccoli e numerosi fasci luminosi che conferiscono un carattere quasi sacrale allo spazio. Il museo e disposto su 3 piani e propone ai visitatori il mondo arabo prima dell’Egira al 7° piano, il mondo arabo-islamico al 5° piano mentre propone l’espansione dell’Islàm -India, Iran, Turchiaal 4° piano. Le esposizioni temporanee presentano al grande pubblico il patrimonio dei Paesi arabi, dalla preistoria ai nostri giorni. una grande esposizione è inaugurata ogni anno in autunno e delle esposizioni tematiche (arte contemporanea, attualità, fotografia...) costellano l’anno culturale. l’obiettivo della direzione è far conoscere la cultura e la civiltà araba dal lato delle loro realizzazioni artistiche. bibliografia The Architectural Review, numero di febbraio 1983 a cura di Michele Marchetti e Giulia Perini