L`antica Iscrizione della Regina Nera

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L`antica Iscrizione della Regina Nera
Il Pianto della Damigella
La giovane Regina, china sulle ginocchia, aveva pianto parecchio,
fintanto che la più fidata delle sue dame di compagnia entrò nella
stanza, approfittando della porta lasciata aperta da un immane mostro
bianco, che per ultimo ne era uscito.
Le sue mani le coprivano il volto, nascondendo le lacrime che
lente scendevano tra le dita.
Le due donne, condividendo il pesante dolore, piansero insieme.
Intanto nel castello la tragica situazione era sottolineata dai pianti
delle madri che avevano perso i loro figli.
La ragazza, non appena fu in grado di parlare, per lo meno di non
singhiozzare, le chiese se quel mostro bianco e peloso le avesse fatto
del male e soprattutto che cosa mai avesse voluto da lei.
La Regina, ritrovando le forze, smise di piangere e la sua voce
divenne decisa e sicura.
“È venuto ad aiutarmi” – rispose con una tristezza toccante. – “Il
Destino sta per compiersi, ma nel modo sbagliato e soprattutto non
per mano mia.” – Dal suo tono non si percepiva più che avesse
pianto. – “Quel Maledetto, con le sue bestie infernali, mi ha sottratto
il potente Libro di Macubia.” – Le strinse forte la mano e il suo tono
lasciò intendere che con qualcuno doveva pur sfogarsi, forse anche
vendicarsi. – “Lo hanno preso, lo capisci. Lo hanno preso”.
“Lo hanno preso” – gridò per la terza volta, e non ci fu nemmeno
bisogno che aggiungesse ciò che avrebbe fatto al Maledetto, semmai
lo avesse avuto tra le mani.
Poi proseguì – “Fortunatamente”– per un attimo i suoi occhi
brillarono – “anche i suoi draghi lo hanno perso. Ora il Manoscritto è
stato portato nel centro della Foresta Oscura”. Fece una pausa.
La damigella avrebbe voluto chiederle chi a sua volta aveva
sottratto il Libro ai draghi, e soprattutto perché l’avessero portato
proprio al centro della Foresta Oscura. Aveva anche altre domande
da fare, non ne ebbe il coraggio poiché la sua Regina, ricominciò il
suo delirio.
“I tre Elfi gemelli e i miei cavalieri Nani comunque hanno fallito.
Adesso si trovano nella Foresta Oscura. Non credo che ne usciranno
vivi perché nessuno è riuscito ad attraversarla mai. Hanno fallito!”–
Stranamente sul suo volto spuntò un perfido sorriso. – “Spero che
sopravvivano, perché io stessa toglierò il respiro a ognuno di loro.” –
Si fermò per qualche istante. – “Tutti! Spero che si salvino proprio
tutti perché li voglio ammazzare tutti io, compreso il Cane del
Destino”.
La ragazza, nell’ascoltare quelle parole, diventò ancora più
pallida.
“Non c’è più niente da fare!” - continuò la Regina - “Devo
raggiungere per prima il centro di quella maledettissima foresta e per
far ciò dovrò utilizzare il passaggio dei Cinque Templi”.
La ragazza pietrificò. Il percorso dei cinque templi, ripeté nella
sua mente. Al solo pensiero si sentì male.
“No, mia Regina.” – Un brivido la pervase.
“Devo” – rispose, e, allontanandola, si alzò riordinandosi la veste.
“No, mia Signora, la prego non lo faccia...”
“Taci!” – Qualcosa in lei non la convinse. Con impeto e autorità la
ragazza fu fermata e non parve contenta. – “Mi dispiace doverti dare
questa preoccupazione.” – Il tono della sua voce era diventato
comprensivo. – “E ancor di più mi dispiace averti confessato il mio
volere.”
Una strana luce le brillò negli occhi. Nessuno doveva sapere.
“Mi porti con lei, sono pronta ad aiutarla, e anche a morire.” – La
voce ragazza l’aveva appena tradita.
“Sei gentile, nessuno farebbe tanto per me; conosco il bene che mi
vuoi e il mio cuore e la mia anima lo ricambiano.” – Il suo tono
divenne ancora più affettuoso. – “Se questo è ciò che desideri, ti
permetterò di aiutarmi.” – La serva smise di piangere.
Nello stesso istante lo sguardo tristemente dolce della Regina
incrociò quello tremante della ragazza, facendole provare una piacevole sensazione di torpore.
La Regina le appoggiò mani sul volto a mo’ di carezza, la fissò
negli occhi e con un tono di voce leggermente più alto iniziò a
compiere dei volteggiamenti della testa che sembravano dare un tono
altalenante alle parole che uscivano dalle sue labbra: – “Cosa hai
mangiato oggi? Carne? Carne, vero? Un uccello ucciso con gran
dolore, ora è dentro di te, qualcosa che è morto soffrendo, la morte
che dà la vita...” – La Regina sembrava in trance.
La ragazza urlò sofferente e rabbiosa, stava per morire, lo sentiva.
Noncurante la Regina continuava la litania senza accorgersi che
l’ingenua fanciulla aveva già estratto dalla gonna un piccolo pugnale,
la sua mano tremava, non aveva mai nemmeno lontanamente potuto
immaginare di voler uccidere ma l’odio e la paura della morte sono
in grado di trasformare chiunque in un assassino.
La Regina continuò la sua cantilena ancora per un po’, poi l’urlo
soffocato dello spegnersi del respiro di una donna. Il suo sangue,
colando sul pavimento, finì col macchiare un tappeto pregiato.
Il silenzio assoluto che cadde in quella stanza lasciò echeggiare le
urla e la confusione che regnava nel castello.
La Regina uscì dalla stanza, ben coperta dal mantello della sua
dama che giaceva a terra con il suo stesso pugnale ben piantato nel
cuore: vittima dei poteri persuasivi della Regina, la povera dama si
era autoinfilzata.
Nella gran confusione, frettolosamente uomini e cavalieri si
muovevano per cercare di soccorrere i feriti e per raccogliere le
vittime che quell’essere da solo era riuscito a mietere.
L’orrore causato era indescrivibile, pareva impossibile credere che
tutte le guardie, di qualsiasi stirpe, nani, elfi e addirittura orchi,
fossero state sbaragliate da un solo essere e per di più disarmato.
C’era strazio ovunque, soldati uccisi, pareti sfondate, stanze bruciate
e residui di fuochi che si spegnevano lentamente.
Dappertutto c’erano tracce di sangue e dai segni si notava che
qualcuno era perfino stato spiaccicato sul soffitto del salone
principale che in quel preciso istante la Regina stava attraversando.
Nell’enorme sala le donne di Corte stavano allestendo un ospedale
di emergenza.
La confusione dei movimenti non faceva altro che incrementare i
pensieri della nobil donna. Per un attimo restò immobile, poi riprese
a camminare verso la stanza della vecchia Hobbit, l’unica in grado di
aiutarla a superare il percorso dei Cinque Templi. Per raggiungerla ci
volle la metà del tempo che aveva previsto, d’altronde non era solita
visitare quella zona del castello, e non la vedeva da molto tempo. Era
l’unico essere che nella sua reggia godeva al tempo stesso del suo
rispetto e della sua antipatia.
“Prego, signora Regina, non ti disturbare a bussare, qua la tua
presenza è sempre ben gradita”.
Arrivata davanti la porta, non si era nemmeno posta il pensiero di
bussare, la sua superiorità glielo impediva ma non appena aveva
avvicinato la mano alla maniglia della porta, dall’altro lato la
vecchia, nota per i suoi poteri di veggente, l’aveva invitata a entrare.
Infastidita, una volta entrata, sbatté la porta dietro di sé.
La vecchia Hobbit, dall’aspetto trasandato, sembrava avere sulle
spalle almeno dieci volte la vita media di un essere umano, e la
stanchezza dei suoi occhi confermava questa considerazione.
“Scommetto che sai già perché sono venuta?” – chiese.
“Certo vostra Maestà! E so anche che quando ti avrò rivelato ciò
che vuoi sapere tenterai di uccidermi usando i tuoi poteri”.
“Allora?”.
“Meglio morire prima, senza averti accontentata.” – La Hobbit rise
a squarciagola.
“Dimmi cosa fare per raggiungere quel posto e ti lascerò in vita.”
“Io leggo il pensiero. Nessuno può mentirmi”.
“D’accordo, fallo e basta! In cambio ti darò quello che la tua
generazione ha sempre voluto”.
“Così va meglio”.
La Hobbit si sedette comodamente su una vecchia poltrona; i suoi
movimenti erano lenti e placidi, in netta contrapposizione ai pensieri
e al nervosismo della Regina; che non osava dir nulla, per evitare che
la vecchia ci ripensasse.
“Dunque, vorresti arrivare al centro della Foresta attraverso il
percorso dei Cinque Templi della sofferenza”.
Ci fu una lunga pausa. La donna estrasse delle vecchie carte dal
proprio grembiule e le fece scivolare sul tavolo.
“Eccoti le Carte”.
La Regina le prese, senza darvi né importanza né visionarle.
“Che cosa sono? Che cosa c’è scritto?” – Chiese con arroganza.
“Questi fogli rappresentano il modo con cui potrai superare le
prove che ogni Tempio ti riserverà. Sono prove difficili e richiedono
astuzia, dolore e sacrificio. Una volta superata la prova, una porta
magica si aprirà, attraversandola sarai trasportata nelle vicinanze del
Tempio successivo. Fallire una prova significherà morire”.
Appena ebbe udito ciò, la Regina non esitò a guardare i fogli. Si
strofinò gli occhi e li guardò ancora. Li strofinò ancora più forte.
“È uno scherzo? Sono sfocate.” – Il suo tono era adirato.
La vecchia rise e si prese tempo per rispondere. – “Sono carte
magiche. Solo quando sarai arrivata sul luogo le potrai leggere.”
Si fermò, sempre sorridendo, e aggiunse un’altra lunga pausa.
“Ammesso che ci arrivi! La mappa è in questo ultimo foglio.”
Le diede un altro foglio.
La Regina conservò le carte che già aveva in mano e studiò con
attenzione la mappa. Questa era ben chiara e non era affatto sfocata
ma la sua domanda fu la stessa.
“È uno scherzo?”.
“No, mia Regina, è l’unico tragitto”.
“Non può essere, nessuno può percorrere e superare la Terra
Indietro! Le storie di chi ha provato ad attraversare quella landa
desolata parlano da sé; ho sempre inviato spedizioni e nessuna è mai
riuscita. I soldati che hanno avuto la fortuna di rientrare, sono
ritornati invecchiati di decenni nonostante erano partiti solo qualche
giorno prima”.
“Invece un modo esiste, un solo semplice modo, rischioso, ma pur
sempre fattibile”.
“Dimmelo! Sono pronta a rischiare”.
“Come desidera, vostra Maestà. La maledizione che avvolge la
Terra Indietro è duplice, ed è l’unione di due riti malefici”. – Si
fermò apposta, per dispetto.
“Forza, vecchia, dimmelo.” – Si pentì di questa affermazione, non
appena notò lo sguardo adirato della veggente, che malamente aveva
interpretato l’arroganza di tale interruzione.
“Quel territorio apparentemente è inattraversabile perché chi vi
cammina, calpesta un terreno che invisibilmente ritorna indietro, per
cui più uno cammina e più ritorna indietro, senza accorgersene.
Invece, chi lo attraversa in volo, subisce l’effetto del secondo
incantesimo, che velocemente lo fa invecchiare, fino alla morte”.
“Allora?” – Di nuovo la Regina si pentì di aver aperto bocca.
“Esiste un solo modo per attraversare quel terreno: il volo parziale
delle donnestruzzo”.
Le donnestruzzo? Come odiava quelle creature antipatiche e
sporche. Le facevano schifo e ribrezzo. E pensare che lei aveva perso
interi eserciti per esplorare quella Terra, quando sarebbe bastato
utilizzare quelle fetide creature? Aspettò con ansia che la vecchia le
spiegasse il perché, e per presunzione non lo chiese.
Quella sorrise e lei, digrignando i denti, non cedette, non glielo
chiese. Le stalle reali erano piene di donnestruzzo e lei da bambina,
senza difficoltà, ne aveva cavalcata qualcuna.
Ben posizionò i fogli in tasca, mentre con la mano destra
accarezzava le preziose carte, soddisfatta si girò e fece per andarsene
ma in testa le frullava il pensiero di come quelle bestie avrebbero
potuto aiutarla ad attraversare la Terra Indietro. Fece alcuni passi
nella stanza disordinata, a testa alta.
“C’è un piccolo problema” – continuò la Hobbit con voce seria e
soddisfatta.
Qualcosa in quel tono preoccupò la Regina, e non si sbagliava.
L’euforia nei suoi occhi fu cancellata e fermandosi si rigirò verso la
vecchia. Incrociarono i loro sguardi, uno era più cattivo dell’altro.
La vecchia, intanto, le aveva puntato una piccola, ma sicuramente
letale, balestra già caricata di un dardo rosso.
La Regina sudò all’istante nel vedersela puntata dritta al petto.
La Hobbit sorrise, e uscendo dalla tasca uno straccio bianco, con
delicatezza iniziò a spolverare l’arma.
“Tranquilla mia Regina” – sadicamente sorrise. – “Non è mia
intenzione ucciderti, sono sicura che ti aspetta una fine ben peggiore
perché ormai è da secoli che le donnestruzzo si limitano a piccoli
balzi e a veloci corse, hanno pur sempre l’istinto del volo parziale
dentro di loro, ma non sarà facile farglielo effettuare!”.
“E che centra?”.
“Questo volo è l’unico rimedio, perché consiste in una serie di
lunghi balzi che pertanto poco toccano il terreno rallentando l’effetto
dell’incantesimo di terra e che al tempo stesso non passano intervalli
troppo lunghi in aria per non subire l’effetto dell’incantesimo del
cielo.” – Ci fu l’ennesima pausa.
La Regina uscì dalla stanza sbattendo la porta, così come quando
era entrata e si diresse in direzione di una delle stalle reali, senza mai
togliere la mano dalle carte che la vecchia le aveva dato.
Una volta giunta davanti al portone centrale, abbassò il cappuccio
per mostrare il suo volto e farsi riconoscere dalle guardie. Con tutta
la forza che aveva spinse l’enorme portone di ferro e legno, ed entrò.
Ci volle un po’ di tempo prima che si abituasse alla puzza che
rendeva pesante l’aria in quella stalla.
Lei si aspettava di trovare almeno quattro o cinque tra scudieri e
stallieri, in realtà a bada delle bestie da cavalcatura c’era solo un
vecchio. L’uomo non tardò ad avvicinarsi alla donna e non appena la
riconobbe, si inchinò al suo cospetto.
Senza troppi giri di parole la donna gli chiese di poter scegliere la
donna struzzo più veloce che fosse disponibile; l’uomo stando ben
attento a non voltarle mai le spalle, si diresse verso una zona in cui
ve ne stavano appollaiate tre. Erano davvero brutte, raccapriccianti:
corpo di struzzo dalle zampe fino al collo, e volto di donne.
All’urlo dell’uomo due delle tre, alzandosi iniziarono a muoversi e
a pavoneggiarsi per dimostrare ciascuna la propria presunta
superiorità atletica. La Regina, nel pieno della sua arroganza, restò
colpita dall’irriverenza della terza che non la guardò nemmeno.
“Come osa quell’essere permettersi di non portarmi rispetto? Che
sia decapitata dopo la mia uscita e prima del tramonto”.
“Mi spiace, mia Regina, per il suo mancato rispetto, però, se mi
permette, si tratta della grande Fattrice, è la madre di tutte le
donnestruzzo dell’Impero”.
“Non importa! A maggior ragione deve farlo. Ormai il mio
comando è stato dettato”.
“Sua Maestà la prego, mi ascolti...”
“Non ti permettere di contraddirmi, anzi non pensare nemmeno di
pensare di contraddirmi” – aggiunse secca.
L’uomo capì il rimprovero, pur non intendendo il giro di parole.
“Come vuole, volevo solo dirle che quella è l’unica fattrice che ci
è rimasta, è l’unica capace di riprodursi e generare nuovi esemplari;
uccidendola la razza è destinata a estinguersi”.
“Non importa!”
“Come desidera, sarà fatto da me stesso in persona, non appena
avrò terminato di servirla nella sua scelta.
Va bene, questa donna struzzo è nel pieno della sua gioventù ed è
sicuramente la più veloce che possediamo, l’altra invece è ottima per
lunghe cavalcate, è meno ribelle, e mangia e beve meno. Insieme non
raggiungono nemmeno un decimo dell’età della Fattrice”.
“Non la devi più menzionare” – fu interrotto dalla Regina – “o ti
verrà tagliata la lingua! Ora...” – di colpo si fermò e pensò alle parole
della vecchia Hobbit: da tempo ormai non sono solite usare il volo
parziale.
Esitò un attimo, e un sorriso beffardo le si dipinse sul viso.
“Quante primavere ha la vecchia Fattrice?”
“Con precisione non saprei dirle” – rispose senza esitare. – “Però
si narra che sia qui dai tempi dei tempi, o forse più”.
“E come sarebbe per un viaggio?”
“Oh, da anni nessuno la cavalca più, è troppo strana, e poi non
corre, né vola; cammina con lunghi salti, disubbidisce spesso e si
stanca subito. Addirittura dicono che parli”.
“Va bene, scelgo questa”.
“Mia Regina, ne è proprio sicura?”.
“Certo, mettile una sella e dammela”.
Confuso l’uomo corse a prendere una sella e le redini; quindi entrò
nel recinto, con forza fece alzare la DonnaStruzzo e la preparò.
Tenendola con cura, la consegnò alla Regina, dandole le istruzioni su
come cavalcarla e i comandi cui era abituata; mantenendo le dovute
distanza, con doveroso rispetto, aiutò la Regina a salire in groppa
all’animale.
“Va bene, io vado” – esclamò la Regina.
L’uomo si inchinò.
“Ho un ultimo comando da impartirti. Porta qui uno dei boia di
Corte, non mi interessa quale ma vanne a cercare uno e portamelo
qui nel minor tempo possibile!”.
L’uomo si precipitò e sfortuna volle che proprio davanti alla stalla,
uno dei boia di Corte stesse cercando di acquistare una lepre da un
cacciatore. Lo stalliere prese per mano il grosso uomo e gli spiegò
l’urgenza. I due corsero nella stalla e con movimento sincronizzato si
inchinarono davanti alla Regina. Lei sorrise, perfida e malvagia.
“Tu alzati” – disse rivolgendosi al boia. – “Vedi l’uomo che ho
mandato a cercarti e che ora ti sta accanto? Domani mattina all’alba
voglio che gli venga tagliata la lingua perché ha osato rispondere alle
mie domande anche dopo che gli avevo ordinato di non aprire bocca
su questo animale che ora cavalco. Nel pomeriggio voglio che tu lo
decapiti perché gli avevo dato un compito da compiere, cioè
decapitare la Fattrice, entro il tramonto e ora non lo potrà più fare,
perché la sto portando via con me! Detto questo, mi congedo”.
L’uomo iniziò a piangere, mentre il boia a forza lo trascinò.
La Regina sorrise e alzò la testa, come per complimentarsi della
sua geniale cattiveria.