Caratterizzazione del sistema per la misura di Tempo di Volo dell
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Caratterizzazione del sistema per la misura di Tempo di Volo dell
Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Scienze MM. FF. NN. Corso di Laurea in Fisica Caratterizzazione del sistema per la misura di Tempo di Volo dell’esperimento PAMELA con uso di fasci di ioni. Tesi di Laurea Relatori: Prof.Giancarlo Barbarino Dott.Giuseppe Osteria Anno Accademico 2005/2006 Candidata: Carbone Rita matr. 60/938 Indice Introduzione 1 1 I Raggi Cosmici 1.1 Un Po’ di Storia... . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Introduzione alla Fisica dei Raggi Cosmici . . . . . 1.2.1 Componente Adronica - Interazioni Forti. . 1.2.2 Radiazione Secondaria . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Processi Elettromagnetici . . . . . . . . . . 1.2.4 Dipendenze Angolari . . . . . . . . . . . . . 1.2.5 Componente Muonica . . . . . . . . . . . . 1.2.6 Componente Elettronica . . . . . . . . . . . 1.3 Componente Nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Radiazione Primaria e Campi Magnetici . . . . . . 1.4.1 Le Fasce di Van Allen . . . . . . . . . . . . 1.4.2 Particelle di Albedo . . . . . . . . . . . . . 1.4.3 Effetti Est-Ovest, Latitudine e Longitudine 1.4.4 Modulazioni Solari . . . . . . . . . . . . . . 1.5 L’Antimateria nello Spazio . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 Antiprotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Positroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.3 La ricerca di Antinuclei . . . . . . . . . . . 2 L’Esperimento PAMELA 2.1 Il Programma WiZard e il Progetto RIM . 2.2 La Missione . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Obiettivi Scientifici . . . . . . . . . . . . . 2.4 I sottorivelatori di PAMELA . . . . . . . 2.5 I modelli di PAMELA . . . . . . . . . . . 2.5.1 Il modello meccanico e di massa . 2.5.2 Il modello termico . . . . . . . . . 2.5.3 Il modello tecnologico . . . . . . . 2.5.4 Il modello di volo . . . . . . . . . . I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 4 7 7 9 11 13 17 18 19 22 22 23 24 24 26 27 27 27 . . . . . . . . . 31 31 32 33 37 38 38 39 39 40 INDICE 2.6 II Descrizione dell’elettronica centrale e della sione dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1 L’unità di controllo centrale . . . . . 2.6.2 Il sistema di trasferimento dati . . . 3 Il ToF 3.1 Il ToF di PAMELA. . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Gli Scopi. . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.2 Geometria e Struttura Meccanica . . 3.1.3 I Componenti del ToF di PAMELA 3.2 L’elettronica del ToF di PAMELA . . . . . 3.2.1 La scheda di Front-End . . . . . . . 3.3 L’identificazione delle particelle . . . . . . . 3.3.1 Misura della velocità . . . . . . . . . 3.3.2 Misura della massa . . . . . . . . . . 3.3.3 Misura della carica . . . . . . . . . . 4 Il Test sul Fascio 4.1 Operazioni preliminari . . . . . . . . . . . 4.2 Apparato sperimentale . . . . . . . . . . . 4.2.1 Il tracker ADAMO . . . . . . . . . 4.3 Caratteristiche del fascio . . . . . . . . . . 4.4 Simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Calibrazioni delle schede di Front-End . . 4.5.1 Calibrazione della sezione di tempo 4.5.2 Calibrazione della sezione di carica 4.5.3 Stima dell’effetto di Time Walk . . . . . . . . . . . fase di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . trasmis. . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 41 43 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 44 44 44 45 50 50 55 55 58 59 . . . . . . . . . 61 61 63 64 65 66 69 69 71 73 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Analisi dati 76 5.1 Calcolo delle costanti di calibrazione e della risoluzione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 5.2 Misure di risoluzione in carica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 5.3 Congruità della risposta dei contatori . . . . . . . . . . . . . . 85 5.4 Correzioni per posizione e risoluzione temporale con tracciamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Conclusioni 98 A Il Software SRIM 99 A.1 Il Programma di Simulazione TRIM . . . . . . . . . . . . . . 99 B Il Software di PAMELA. 100 Bibliografia 102 INDICE III Elenco delle figure 111 Elenco delle tabelle 113 Introduzione L’esperimento PAMELA (a Payload for Antimatter-Matter Exploration and Light nuclei Astrophysics), ultima fase del programma aerospaziale internazionale WiZard, ha come scopo lo studio dei raggi cosmici, con particolare attenzione alla ricerca dell’antimateria in essi presente. L’apparato di rivelazione è installato a bordo del satellite russo Resurs-DK1, il cui lancio è stato effettuato il 15 Giugno 2006 e che si trova ora ad orbitare a circa 600 km di altezza dalla superficie terrestre. Il telescopio è stato realizzato da una collaborazione internazionale di cui fanno parte membri del dipartimento di fisica dell’Università degli Studi di Napoli e della locale sezione INFN; tra i vari rivelatori che lo compongono, il sistema per la misura del tempo di volo (ToF), progettato e realizzato proprio dal gruppo di Napoli, gioca un ruolo particolarmente importante in quanto, oltre ad assolvere i propri compiti sperimentali, fornisce il segnale di trigger all’intero apparato. Questo lavoro di tesi si inserisce in un momento di transizione particolarmente delicato per lo sviluppo dell’esperimento: PAMELA è infatti in acquisizione pressoché continua dall’11 Luglio del 2006. Con l’arrivo dei primi dati di volo diventa quindi pressante l’esigenza di concludere la fase di studio di calibrazioni, risoluzioni e accettanze dell’hardware, ma anche di valutare validità e completezza del software, maturare una buona confidenza con gli strumenti propri dell’analisi dati e, soprattutto, approntare un apparato maneggevole e versatile che riproduca le caratteristiche basilari di quello su satellite ma sul quale si possa operare facilmente con operazioni di verifica che possano servire per un confronto costruttivo con le informazioni che quotidianamente ci arrivano dallo spazio. E’nata cosı̀ l’idea di realizzare, con componenti provenienti dal modello tecnologico di PAMELA e quindi identici in tutti i dettagli a quelli dell’esperimento in orbita, un piccolo apparato che replicasse il sistema per la misura di tempo di volo. Una volta assemblato, tale apparato è stato caratterizzato mediante esposizione a fasci di ioni accelerati presso i laboratori GSI di Darmstaadt. Tra gli obiettivi scientifici di PAMELA ha un ruolo primario la misura di flussi di nuclei (e, si spera, antinuclei!) con Z≤6 nei raggi cosmici. Il test su fascio ha dunque lo scopo di rivelare la risposta dell’apparato all’interazione con queste tipologie di nuclei, evidenziando le capacità della strumentazione di discriminare oggetti di diverso Z ma anche eventuali non linearità o com1 INDICE 2 portamenti inattesi sia del rivelatore che dell’elettronica. Inoltre le misure effettuate forniscono importanti verifiche sperimentali alle stime di quantità quali costanti di calibrazione, risoluzioni nelle misure di tempo, velocità e carica, soglie di saturazione etc., finora calcolate solo in via teorica o per mezzo di simulazioni Monte Carlo. Nella stesura di questa tesi ho cercato di seguire lo stesso ordine logico e cronologico che ha caratterizzato le varie fasi di preparazione e sviluppo del lavoro sperimentale. Nel primo capitolo ho quindi fornito uno sguardo d’insieme sulla fisica dei raggi cosmici, soffermandomi in particolare su quegli aspetti che costituiscono anche la fisica di PAMELA (composizione della radiazione, spettri, fasce di Van Allen, modulazioni solari ecc.). Il secondo capitolo è dedicato all’esperimento PAMELA nel suo complesso: componenti, caratteristiche, obiettivi scientifici. Nel terzo capitolo viene invece descritto in dettaglio il sistema per la misura del tempo di volo: mi sono soffermata prima sulla componentistica dei rivelatori e dell’elettronica per poi introdurre i meccanismi fenomenologici e analitici che permettono l’identificazione delle particelle. Il fulcro di questa tesi è sicuramente il test su fascio, di cui operazioni preliminari e modalità di svolgimento sono riportate nel capitolo 4 mentre l’analisi dati e i suoi risultati sono descritti nel capitolo 5. Capitolo 1 I Raggi Cosmici Figura 1.1: Simulazione di Radiazione Cosmica che Investe la Terra e Creazione di Sciami (fonte:NASA). 3 CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.1 4 Un Po’ di Storia... La storia della fisica dei raggi cosmici iniziò intorno al 1900, quando Wilson e Rutherford [1] osservarono scariche in elettroscopi anche posti in completa oscurità e ben lontani da sorgenti di radioattività naturale. Nel 1910 Wulf trovò che il grado di ionizzazione dell’atmosfera passava da 6x106 ioni/m3 , a terra, a 3.5·106 ioni/m3 , in cima alla Torre Eiffel (330 m); all’epoca la radiazione ionizzante più penetrante conosciuta erano i raggi γ, il cui coefficiente di assorbimento in aria era noto: se la ionizzazione rilevata fosse stata dovuta a raggi γ originatisi sulla superficie della Terra, la quantità di ioni avrebbe dovuto dimezzarsi già a 80 m d’altezza ed essere trascurabile in cima alla Torre Eiffel. La vera rivoluzione nello studio dei raggi cosmici si ebbe tra il 1912 e il 1914 quando Hess e Kolhörster [2] raggiunsero, mediante palloni aerostatici, quota 5 km e 9 km, rispettivamente, misurando la ionizzazione dell’atmosfera ad altitudini crescenti; essi trovarono la prima evidenza imprescindibile che la sorgente della radiazione ionizzante fosse collocata al di fuori dell’atmo-sfera terrestre: la ionizzazione media cresceva rispetto a quella misurata a livello del mare al di sopra di 1.5 km di altezza. Oggi si sa che anche a livello del mare vi è una ionizzazione residua, pari a circa 1.4·106 coppie ioniche/m3 , dovuta a radiazione extraterrestre [4]. Fu quindi una semplice, anche se errata, estrapolazione assumere che i raggi cosmici, come li chiamò Millikan nel 1925 [8], fossero raggi γ con un potere di penetrazione molto maggiore di quello osservato per la radioattività naturale [7]. Nel 1929 Skobeltsyn costruı̀ una camera a nebbia per studiare le proprietà dei raggi β emessi durante i decadimenti radioattivi: osservando le tracce, ne notò alcune fortemente deflesse che sembravano tracce di elettroni con energie superiori ai 15 MeV. Egli identificò tali particelle come elettroni secondari prodotti dalla radiazione “ultra-γ”di Hess. L’interpretazione non era corretta ma le osservazioni di Skobeltsyn costituirono le prime immagini di tracce di raggi cosmici. Il 1929 vide anche l’invenzione del detector GeigerMuller che permise la rivelazione individuale dei raggi cosmici: questo tipo di contatore ha infatti un tempo di risposta molto breve, di modo che, non solo è possibile identificare gli eventi individualmente, ma anche determinare i tempi relativi ai loro arrivi con buona precisione; il problema ad esso correlato è però un’elevata sensibilità a radioattività contaminante. Negli stessi anni Bothe e Kolhörster realizzarono un esperimento chiave per la fisica dei raggi cosmici e introdussero nel processo il concetto fondamentale di contare le coincidenze per eliminare eventi di fondo; Bothe e Kolhörster registrarono gli eventi su di un film e riuscirono a misurare coincidenze entro 0.01 s [3]. Lo scopo dell’esperimento era determinare se la radiazione cosmica consistesse di raggi γ ad alta energia o di particelle cariche. Usando due contatori, posizionati l’uno sull’altro, trovarono che la scarica simultanea di entrambi i rivelatori veniva registrata con grande frequenza, anche quando tra i due veniva posto un forte assorbitore: ciò significava che particelle cariche con CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 5 abbastanza potere penetrante da passare attraverso entrambi erano molto comuni. La tecnica delle coincidenze è ora uno standard. L’esperimento di Bothe e Kolhörster affermò per la prima volta con vigore che la radiazione cosmica fosse formata da particelle cariche; essi rilevarono inoltre che tali particelle dovessero essere molto energetiche, visto il percorso che riuscivano a compiere nella materia: l’energia associata fu stimata tra 109 e 1010 eV. Dagli anni ’30 ai primi anni ’50 la radiazione cosmica fu usata come sorgente naturale di particelle ad alta energia, sufficiente a penetrare i nuclei, al fine di scoprire nuove particelle. Nel 1930, Millikan e Anderson usarono un campo magnetico dieci volte più intenso di quello usato da Skobeltsyn per studiare le tracce delle particelle nella camera a nebbia; Anderson osservò tracce curve identiche a quelle degli elettroni ma corrispondenti a particelle con carica positiva [5, 6]. La scoperta fu confermata da Blackett e Occhialini nel 1933 con una nuova tecnica che prevedeva l’utilizzo del trigger: gli eventi rivelati dalla camera a nebbia venivano selezionati e registrati solo quando si verificava la coincidenza di due contatori Geiger-Muller posizionati sopra e sotto la camera. In molte occasioni gli sciami osservati contenevano un ugual numero di elettroni positivi e negativi: era stato scoperto il “positrone”, previsto dalla teoria di Dirac [17]. Anderson notò inoltre tracce che sembravano associabili a particelle positive e negative più penetranti: queste particelle venivano collimate meno di elettroni e positroni dai campi magnetici e mostravano solo piccole evidenze di interazione col gas della camera. Nel 1936, Anderson e Neddermeyer annunciarono la scoperta di particelle con massa intermedia tra quelle dell’elettrone e del protone: i muoni, chiamati inizialmente “mesotroni”perché erroneamente identificati con le particelle portatrici della forza forte teorizzate da Yukawa. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, Rochester e Butler riportarono la scoperta di alcuni casi di tracce di particelle a forma di “V”corrispondenti, apparentemente, a nessuna particella entrante. I due fisici suggerirono, correttamente, che le “V”risultassero dal decadimento spontaneo di una particella sconosciuta, la cui massa poteve essere stimata dai prodotti del decadimento. Per ottenere flussi più intensi di radiazione cosmica gli esperimenti furono ripetuti a sempre maggiori altitudini; furono trovati moltri altri esempi di “V”e questa classe di particelle divenne nota come “strange”. Vennero via via scoperte particelle strane sia neutre che cariche, quali i kaoni (K + ,K − ,K 0 ) e le particelle lambda (Λ). Nel frattempo Powell, in collaborazione con la Ilford Company, realizzò speciali emulsioni fotografiche “nucleari”sufficientemente sensibili da registrare le tracce di tutte le particelle scoperte fino ad allora; lo stesso Powell e i suoi collaboratori si specializzarono nella produzione di strati sottilissimi di emulsioni da poter sovrapporre in maniera compatta e soprattutto, dopo l’uso, separare nuovamente e analizzare singolarmente: si potevano ottenere cosı̀ immagini tridimensionali dell’interazione avvenuta al suo interno. L’introduzione di questa nuova tecnologia fruttò, nel 1947, la scoperta del pione (π): le emulsioni mostrarono chiaramente la produzione, CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 6 nell’interazione di raggi cosmici, di p+ e p− , che decadevano, entro pochi decimi di mm, in muoni, i quali decadevano ancora in elettroni (o positroni) e neutrini correlati (invisibili). Negli anni successivi grazie allo studio dei raggi cosmici furono scoperti ancora due tipi di particelle: la Ξ e la Σ, quest’ultima scoperta nel 1953 da un gruppo di fisici italiani. Dal 1953 in poi, grazie allo sviluppo tecnologico, lo studio delle alte energie ha legato il suo futuro ai grandi acceleratori piuttosto che ai raggi cosmici, la cui fisica ha mantenuto e aumentato, invece, il proprio rilievo in ambito astrofisico [9]. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.2 7 Introduzione alla Fisica dei Raggi Cosmici Quando la radiazione cosmica primaria attraversa l’atmosfera terrestre, le particelle che la compongono, principalmente protoni, particelle α e alcuni nuclei più pesanti, interagiscono con elettroni e nuclei degli atomi e delle molecole costituenti l’aria; di conseguenza la composizione della radiazione cambia durante la propagazione e tutte le particelle perdono energia mediante processi adronici e/o elettromagnetici. Gli adroni incidenti subiscono interazioni forti con i nuclei atmosferici (in primis ossigeno e azoto) che danno origine, per energie superiori ad alcuni GeV, a “sciami”(“showers”) di particelle risultanti dalla creazione, negli urti, di mesoni e altre particelle secondarie. Le particelle primarie più energetiche, o in caso di nuclei primari pesanti i loro frammenti, continuano a propagarsi nell’atmosfera continuando ad interagire, producendo ulteriori particelle energetiche lungo le loro traiettorie e cosı̀ via. Le particelle più abbondanti emergenti dalle collisioni adroniche energetiche sono i pioni ma vengono anche prodotti kaoni, iperoni, particelle charmate e coppie nucleone-antinucleone. Eventi di questo tipo molto energetici danno origine ai cosiddetti “Extensive Air Showers”(che nel seguito chiameremo, per brevità, EAS), all’interno dei quali si possono distinguere tre componenti fondamentali (vedi figura 1.2): la componente adronica, che costituisce il nucleo della cascata, la componente fotoelettronica, che aumenta rapidamente nei processi elettromagnetici a cascata iniziati tipicamente dal decadimento dei pioni neutri, e la componente muonica, che ha origine principalmente dal decadimento dei pioni carichi ma anche di kaoni e particelle con charme; a queste si aggiunge una componente neutrinica non rilevabile al di sopra del livello del suolo a causa della piccola sezione d’urto neutrinica e della presenza del rumore di fondo. Esaminiamo un po’ più in dettaglio i processi schematizzati, le cause e le conseguenze. 1.2.1 Componente Adronica - Interazioni Forti. Introduciamo il concetto, estremamente utile nella fisica dei raggi cosmici, di cammino libero medio di interazione, λi [g/cm2 ] , che contiene informazioni sul comportamento della particella relativamente al mezzo attraversato ed è legato alla sezione d’urto dell’interazione considerata σi dalla relazione: λi = A 1 NA σi (1.1) dove A è il numero di massa del nucleo bersaglio e NA è il numero di Avogadro (6,02 · 1023 ). I protoni primari energetici subiscono in media 12 interazioni nell’attraversare, lungo una traiettoria verticale, l’atmosfera fino al livello del mare; a ciò corrisponde λi ≈ 80 g/cm2 . E’ quindi possibile, CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 8 Figura 1.2: Schema di Creazione di uno Sciame peraltro frequentemente, la creazione di una cascata adronica che genera un EAS. I nuclei bersaglio, invece, fortemente eccitati dalle collisioni energetiche, emettono particelle α e nucleoni di energia ≤ 15 MeV. La maggior parte dei nuclei pesanti presenti nella radiazione primaria viene invece frammentata nella prima interazione, che avviene ad altezze molto maggiori rispetto alle prime interazioni protoniche a causa dell’elevata sezione d’urto e del corrispondente, piccolo, λi ; il numero medio di interazioni possibili (anche > 50) ci fa inoltre capire come sia praticamente impossibile che un nucleo pesante raggiunga il livello del mare. Per una stima rapida delle quantità fondamentali legate alle interazioni è bene ricordare un po’ di numeri e relazioni elementari: la sezione d’urto nucleone - nucleo è legata approssimativamente alla sezione d’urto nucleone - nucleone dalla relazione σn,A (E) =σn,n (E)A2/3 (1.2) CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 9 in cui σn,n varia lentamente tra circa 40 mb per E = 10 GeV e circa 80 mb per E = 107 GeV; per lo scattering π - nucleo, invece , σπ,A =σπ,n A3/4 (1.3) e σπ,n ∼ 26 mb. Tutte le considerazioni fatte finora si basano sull’idea che le interazioni trattate siano di tipo puramente elastico; non è cosı̀, però, per le interazioni adroniche alle quali è necessario associare una nuova quantità: l’inelasticità k. Un adrone di energia iniziale E0 , subendo n interazioni con inelasticità media < k >, avrà alla fine un’energia, in media, E = E0 (1− < k >)n = E0 < η >n (1.4) dove η = (1 − k) è una quantità compresa tra 0 e 1 detta elasticità. Gli urti causati da nucleoni e antinucleoni sono caratterizzati da un alto grado di elasticità, infatti tali particelle riescono a mantenere, in media, dopo un urto, il 50% circa della loro energia iniziale; ciò significa che un nucleone primario che raggiunge il livello del mare ha ridotto la sua energia di un fattore (E/E0 ) = (0, 5)12 ∼ = 2, 5 · 10−4 . Questo stesso effetto è osservabile, ma ovviamente meno pronunciato, per gli altri adroni e mesoni, le cui interazioni sono maggiormente anelastiche. Per energie inferiori a ∼ 100 GeV bisogna inoltre considerare l’annichilazione (fenomeno ovviamente anelastico) di antinucleoni. 1.2.2 Radiazione Secondaria Le interazioni forti di alta energia e processi elettromagnetici quali la creazione di coppie provocano la produzione di particelle secondarie. I pioni carichi, cosı̀ come i meno abbondanti kaoni, iperoni e coppie nucleone-antinucleone, vengono creati nell’interazione tra radiazione primaria e atmosfera e continuano poi a propagarsi contribuendo al flusso adronico nell’atmosfera stessa. Tali particelle, a questo punto, sono soggette a decadimento ma possono anche essere sufficientemente energetiche da innescare ulteriori interazioni adroniche con conseguente produzione di una cascata secondaria. La competizione tra i fenomeni di interazione e decadimento dipende da energia e vita media della particella ma anche dalla densità del mezzo in cui si sta propagando; per una particella fissata che si propaga in atmosfera, le rispettive probabilità dei due processi sono quindi funzione di altitudine e angolo di zenit, oltre che dell’energia. A causa della loro minuscola vita media (τ ∼ 10−16 s) i π0 decadono per lo più istantaneamente in due fotoni contribuendo all’accrescimento dei canali elettromagnetici. Il momento delle particelle secondarie (intendendo con questo termine sia quelle prodotte dalle interazioni CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 10 della radiazione primaria sia quelle generate dalle successive interazioni di queste ultime) può essere calcolato a partire da considerazioni su scattering adrone-adrone ad alta energia. Ad energie cinetiche superiori a pochi GeV, infatti, lo spettro dei pioni (ma anche kaoni ecc.) secondari ha una forma molto simile a quella dello spettro dei protoni primari, jp (E)=Ap E −γp , per cui può essere espresso da jπ (E)=Aπ E −γπ con γπ ∼ γp . I pioni carichi hanno una vita media a riposo di 2,6 · 10−8 s, una lunghezza d’interazione λi ∼ 120 g/cm2 in aria e decadono attraverso i processi π + → µ+ +νµ e π − → µ− +ν µ , arricchendo le componenti muonica e neutrinica dello sciame. I suddetti muoni, nonostante siano caratterizzati da una vita media di 2.2 · 10−6 s, riescono nella maggior parte dei casi a sopravvivere fino al livello del mare grazie alla dilatazione relativistica del tempo che agisce sulla vita media del µ e del π secondo la relazione τ (E) = τ0 E = γτ0 m0 c2 (1.5) dove τ0 e m0 sono vita media e massa a riposo della particella e γ è il fattore di Lorentz. La piccola componente muonica che decade produce elettroni e neutrini secondo i processi: µ+ → e+ + ν µ + νe e µ− → e− + ν e + νµ . I pioni neutri danno origine, mediante il decadimento π 0 → γγ, ad un ciclo elettromagnetico di bremsstrahlung e creazione di coppie e+ e− che si itera finchè il fotone emesso ha un’energia superiore a 1.02 MeV. In definitiva, risulta evidente che una radiazione primaria molto energetica può generare milioni di sciami secondari che allargano sempre di più la cascata deviando lateralmente dalla direzione dell’asse centrale a causa del momento traverso acquisito nei processi di scattering. Poiché la maggior parte delle particelle secondarie derivanti da interazioni adroniche sono instabili, per calcolarne il flusso e lo spettro energetico bisogna tener conto anche delle probabilità di decadimento. La distanza che una particella instabile riesce a percorrere durante la sua vita media τ è: l = vτ ∼ = βcγτ0 [cm]; il rate di decadimento per unità di cammino percorso può quindi essere definito come: 1 1 = l γβcτ0 (cm−1 ). (1.6) Di conseguenza il cammino libero medio per un decadimento spontaneo in un mezzo di densità ρ [g/cm3 ] si esprime come λd = γβcτ0 ρ [g/cm2 ] e il numero di particelle, dN, di una popolazione, N1 , che decadono all’interno di un elemento di spessore dX [g/cm2 ] è dato da: dN = N1 dX λd (1.7) quindi il numero di particelle rimanenti dopo aver attraversato uno spessore X g/cm2 è : R − N2 = N1 e dX λd (1.8) CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 11 mentre il numero dei decadimenti è, ovviamente, N 0 = N1 - N2 . Possiamo quindi calcolare la probabilità di decadimento di una generica particella come: R m0 dX N0 m0 X − ρτ0 p ∼ =1−e W = ; (1.9) = N2 ρτ0 p quando però la particella incide ad un angolo θ 6=0 rispetto allo zenit l’espressione della probabilità diventa m0 X sec θ . W ∼ = ρτ0 p (1.10) Vediamo come la probabilità di decadimento incide sullo spettro muonico: fissata l’altezza nell’atmosfera, lo spettro differenziale dell’energia dei muoni è dato da jµ (E)=Aπ Wπ (E+∆E)−γµ (1 − Wµ ) , con Aπ costante di normalizzazione, ∆E energia persa per ionizzazione, Wπ probabilità di decadimento pionica e Wµ probabilità di decadimento muonica. Ad energie molto basse tutti i mesoni decadono in muoni; ad alte energie, invece, possono anche interagire con i nuclei costituenti l’aria (perdendo energia). In un mezzo a densità costante la competizione tra i due fenomeni favorisce l’interazione al crescere dell’energia poiché la dilatazione temporale riduce la probabilità di decadimento; questo andamento è ulteriormente amplificato al crescere della densità del mezzo. 1.2.3 Processi Elettromagnetici Tutte le particelle cariche sono soggette a varie interazioni elettromagnetiche che comportano perdita di energia; il peso relativo dei diversi processi è funzione di energia e massa del proiettile ma anche della natura della targhetta. La perdita di energia per ionizzazione e eccitazione atomica ha un andamento logaritmico con l’energia stessa, come si evince dalla formula di Bethe-Bloch [10]: − dE Z 2me c2 γ 2 β 2 δ = 4πNA re2 me c2 z 2 [ln( ) − β2 − ] 2 dx Aβ I 2 (1.11) valida per una particella moderatamente relativistica con carica ze in un mezzo di numero atomico Z e numero di massa A; nella formula compaiono i seguenti fattori: • me , massa a riposo dell’elettrone, • re , raggio classico dell’elettrone, • NA , numero di Avogadro, • 4πNA re2 me c2 = 0, 3071 MeV cm2 /g, CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 12 • I , costante di ionizzazione, data approssimativamente da 16·Z 0,9 eV per Z >1, • dx , spessore attraversato, in g/cm2 , • δ , fattore di densità, che per una particella molto energetica vale ∼2lnγ +costante. Figura 1.3: Energia specifica persa per ionizzazione da diverse specie nucleari in poliviniltoluene calcolata in base all’Eq. 1.11 trascurando l’effetto di densità. La parte marcata delle linee è il range atteso per le misure di energia di PAMELA [11] In figura 1.3 è riportato l’andamento dell’energia specifica persa per ionizzazione da protoni, particelle α e nuclei di carbonio in poliviniltoluene (il poliviniltoluene, come vedremo, è il materiale di cui sono fatti gli scintillatori del contatore di tempo di volo) nell’intorno del minimo della funzione espressa dalla 1.11. Una particella singolarmente carica che si trovi al minimo di questa curva è chiamata particella al minimo di ionizzazione, o MIP (acronimo di Minimum Ionizing Particle). Si può vedere che una MIP corrisponde a circa 2 MeV cm2 /g. Una MIP viene normalmente usata come unità di misura per l’energia; sempre dalla 1.11 si evince quindi che l’energia rilasciata da un nucleo di C al minimo di ionizzazione è z 2 · M IP . CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 13 Ad energie molto elevate le particelle cariche perdono energia anche per bremsstrahlung (bs), produzione di coppie (pp) e interazioni nucleari (ni) tramite processi fotonucleari; l’espressione dello stopping power diventa quindi: dE = aion (E) + b(E)E[eV g −1 cm2 ] (1.12) dx dove aion (E) è dato dalla Bethe-Bloch e b(E) = bbs (E) + bpp (E) + bni (E) (1.13) L’energia alla quale i termini di ionizzazione e bremsstrahlung si equivalgono è detta “energia critica”Ec . Per gli elettroni Ec ∼ = 800 (M eV )[4] Z + 1.2 (1.14) dove Z è il numero atomico del mezzo in cui l’elettrone si sta propagando; in particolare, in aria a temperatura e pressione standard (cioé 20o C e 1 atm) Ec vale ∼84,2 MeV per gli elettroni e ∼3,6 TeV per i muoni [4]. I processi radiativi sono fondamentali nella trattazione di muoni di alta energia che si propagano in mezzi densi, come avviene in esperimenti condotti sotto terra, sott’acqua o sotto ghiaccio, mentre possono essere trascurati quando si considerino particelle più pesanti dei protoni. Un’altra quantità utile quando abbiamo a che fare con elettroni e fotoni ad alta energia che attraversano la materia è la lunghezza di radiazione x0 , in g/cm2 o cm; un’unità di radiazione è la distanza media attraverso la quale un elettrone perde 1/e della sua energia iniziale per bremsstrahlung. La tabella delle lunghezze di radiazione per diversi mezzi è stata compilata nel 1974 da Tsai utilizzando la formula [4] 716, 4A 2 x0 = (1.15) 287 [g/cm ] Z(Z + 1) ln( √ ) Z di cui esiste però un’approssimazione più semplice e immediata per la propagazione in aria, dovuta a Cocconi (1961): xair = 292 T 1 (m) 273 P (1.16) (per ottenere xair in g/cm2 basta moltiplicare per 36.66) dove P è la pressione atmosferica, in atm, e T la temperatura assoluta, in K. 1.2.4 Dipendenze Angolari Al fine di ricavare una stima dei valori attesi di flusso e distribuzione angolare della radiazione cosmica rivelata introduciamo alcune quantità osservabili. Si definisce intensità direzionale Ii (θ, φ), di una particella di un dato tipo,i, CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 14 il numero di particelle, dNi , incidenti su un elemento di superficie dA per unità di tempo, dt, da un elemento di angolo solido, dΩ: Ii (θ, ϕ) = dNi (cm−2 s−1 sr−1 ) dAdtdΩ (1.17) bisogna precisare che Ii è funzione anche dell’energia e, a basse energie, del tempo. Possiamo quindi definire il flusso J1,i (flusso integrale) dello stesso tipo di particelle per unità di superficie (orizzontale) e di tempo come Z J1 = I(θ, φ) cos θdΩ[cm−2 s−1 ] (1.18) ∩ T dove rappresenta l’emisfero superiore, rispetto alla direzione di vista, a dA (θ ≤ π/2). Tutti gli esperimenti condotti finora hanno evidenziato che la dipendenza azimutale è piccola per tutte le componenti (eccezion fatta per l’effetto EstOvest che discuteremo in seguito), mentre è estremamente importante la dipendenza dall’angolo di zenit che si esprime come Ii (θ) = Ii (0) cosni (θ) (1.19) dove Ii (0) è l’intensità verticale della componente i-esima e ni è una funzione dell’energia e della profondità atmosferica, il cui valor medio misurato è 2.0±0.5 per la componente elettronica e 1.85±0.10 per la componente muonica (da qui si ricava la cosiddetta “legge del cos2 (θ)”). L’attenuazione della componente adronica nell’atmosfera è caratterizzata dalla lunghezza di attenuazione Λ [g/cm2 ]; a causa della produzione di particelle secondarie, la lunghezza di attenuazione è più grande del cammino libero medio di interazione. Per il flusso totale della radiazione cosmica Λ '120 g/cm2 . Il flusso adronico dipende quindi dall’altitudine secondo la legge: X2 −X1 I(0, X2 ) = I(0, X1 ) · e− Λ (1.20) dove X2 e X1 , con X2 ≥ X1 , sono profondità, in g/cm2 , in atmosfera. Data una profondità verticale in atmosfera, la quantità di materia attraversata da una particella incidente lungo una traiettoria inclinata sottesa ad un angolo θ ≤ 60◦ rispetto allo zenit (per cui è trascurabile la curvatura della superfice terrestre) è Xs = X · secθ (denominata “slantdepth”). Per ragioni pratiche e storiche la radiazione cosmica è stata originariamente divisa in due componenti: la componente “dura”e quella “molle”. Tale classificazione si basava sulla capacità delle particelle di pentrare o meno 15 cm di piombo(X = 167g/cm2 ). La componente molle, completamente assorbita, è composta principalmente da elettroni e muoni di bassa energia, mentre la componente dura, ad alto potere penetrativo, si compone di muoni e adroni altamente energetici. Quale delle componenti predomini dipende dall’altitudine; al livello del mare la componente dura è composta CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 15 quasi esclusivamente da muoni. Lo spettro differenziale dell’energia, j(E), è, per definizione, il numero di particelle dN (E) per unità di superficie dA, di tempo dt, di angolo solido dΩ, e di energia dE: j(E) dN (E) [cm−2 s−1 sr−1 GeV −1 ]. dAdΩdtdE (1.21) Lo spettro di una particella può essere però espresso anche in funzione del momento, j(p), e della rigidità, j(P ), dove con “rigidità”si intende la quantità pc P = (GV ) (1.22) Ze rapporto tra l’energia cinetica (in GeV) e la carica elettrica della particella in esame. La comodità di utilizzare la rigidità come variabile risiede nel fatto che particelle con uguale P seguano percorsi identici all’interno di un campo magnetico. Gli spettri possono essere rappresentati da leggi di potenza: • spettro integrale J(≥E)=CE −γ • spettro differenziale j(E)=CγE −(γ+1) con C costante e (γ +1) ∼ 2.7 per E che va da 100 GeV al punto denominato “ginocchio”, che si trova tra 106 e 107 GeV, e dalla “caviglia”in poi, cioè 109 − 1010 GeV in su, mentre (γ +1) ∼ 3.1 tra ginocchio e caviglia (come evidenziato in figura 1.4). CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI Figura 1.4: Spettro differenziale dei raggi cosmici. 16 CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.2.5 17 Componente Muonica I muoni sono la terza componente più abbondante, dopo fotoni e neutrini, della radiazione secondaria a livello del mare e rappresentano circa il 99% della componente “dura”; la loro grande importanza sta nel fatto che la maggior parte delle informazioni sulla radiazione primaria (in particolare su spettro e composizione) e sulle interazioni atmosferiche derivano proprio dallo studio sperimentale che li riguarda. A tal scopo una rilevante quantità fisica è soprattutto l’intensità verticale muonica che, per momenti pµ ≤5 GeV/c è funzione della latitudine geomagnetica e dell’attività solare. Lo spettro muonico in funzione del momento è stato misurato ripetutamente, specie con l’utilizzo di spettrometri magnetici: nei primi esperimenti il limite superiore per la misura di pµ era dell’ordine dipochi GeV/c mentre oggi è possibile raggiungere misure di ∼20 TeV/c. Per quanto riguarda le regioni spettrali di più alta energia, i dati sono stati ottenuti da misure sotterranee di range, “muon bursts”e camere ad emulsione fotografica per raggi X; eventi di cosı̀ alta energia sono però estremamente rari per cui si sono rese necessarie installazioni sperimentali molto grandi. La misura di riferimento dello spettro dei muoni verticali è stata ottenuta con “spark chambers”nell’ampio range 0.2 ≤ p ≤ 1000 GeV/c. I muoni di più alta energia sono stati invece rivelati con spettrometi magnetici, in direzioni prossime all’orizzontale: il motivo discende dal fatto che i pioni più energetici, emergenti dalla prima generazione di interazioni del “primario”, che entrano nell’atmosfera tangenzialmente viaggiano più a lungo in un mezzo a bassa densità rispetto a quelli che si propagano verticalmente; di conseguenza, per un pione ad una data energia, la probabilità di decadimento, in competizione con l’interazione, è maggiore in direzione orizzontale, il che arricchisce il flusso muonico (questi argomenti non si applicano ai muoni prodotti a partire da particelle con charme, che, come vedremo, creano una componente il cui flusso è indipendente dall’angolo di zenit). Alle basse energie l’intensità muonica risente della asimmetria est-ovest, dovuta alla predominanza di cariche positive nella radiazione primaria che influenza le probabilità di assorbimento e decadimento delle particelle instabili. Alle alte energie, invece, lo spettro muonico è modificato da un altro effetto legato alla particella genitrice: i muoni possono essere infatti generati da decadimenti sia pionici che kaonici. In entrambi i casi comunque, anche se in maniera diversa, la competizione tra interazione e decadimento si risolve sempre più a favore del decadimento all’aumentare dell’angolo di zenit; complessivamente si osserva, di conseguenza, un arricchimento della componente muonica all’aumentare dell’angolo di incidenza rispetto allo zenit della radiazione primaria, nonchè dell’energia. In particolare, la differenza tra i contributi dei due canali, kaonico e pionico, è principalmente dovuta alle differenze di massa e vita media. I rispettivi spettri di produzione hanno però la stessa forma. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 18 Esiste una piccola componente muonica “diretta”, indipendente dall’angolo di zenit dovuta al decadimento delle particelle charmate; a causa della brevissima vita media di tali particelle, infatti, i decadimenti avvengono istantaneamente dopo la produzione. I muoni diretti riflettono il carattere isotropo della radiazione primaria; il loro contributo è ovviamente piccolo, paragonato all’insieme dei muoni diversamente originatisi, ma si manifesta e diventa rilevante ad energie superiori ad 1 TeV e ad ampi angoli di zenit (dove cioè ci sono pochi muoni di altra origine). Per la rivelazione di questa componente sono preferibili installazioni sperimentali sotterranee. Complessivamente, come già accennato, la dipendenza dall’angolo di zenit dell’intensità muonica per θ ≤ 75◦ è descritta dall’espressione, ottenuta sperimentalmente: I(θ) = I(0)cosn (θ), (1.23) dove n = n(p) vale mediamente 1.85 ± 0.10 µ+ e µ− non sono prodotti N + simmetricamente: il rapporto di carica, Kµ = Nµ− , sempre maggiore di 1, µ dipende, oltre che dall’angolo di zenit, dalla latitudine geomagnetica e dalla direzione azimutale (gli effetti maggiori si manifestano alle basse energie). In prossimità del suolo si registra inoltre un flusso di muoni diretti verso l’alto, dovuto al backscattering di muono nel suolo stesso. Questo flusso va considerato come fondo negli esperimenti che coinvolgono neutrini perché possono essere erroneamente interpretati come prodotti di interazioni di neutrini che avvengono nella roccia terrestre. 1.2.6 Componente Elettronica La componente molle della radiazione cosmica secondaria, composta principalmente da elettroni, positroni e fotoni, ha un flusso a livello del mare pari a circa il 35-40% della componente muonica. Le modalità con cui questa componente viene generata sono già state descritte nel paragrafo sui processi ellettromagnetici. Il rapporto di carica di positroni e elettroni è stato determinato fino ad energie di 6 GeV con l’uso combinato di calorimetri e spettrografi magnetici; i risultati sperimentali mostrano che tale rapporto si mantiene sempre al di sotto dell’unità, come ci si aspetta, a causa di processi, come l’effetto Compton, che generano solo elettroni. Per quanto riguarda la dipendenza angolare, l’intensità I(θ) = Iv cosn (θ) ha un andamento del tipo cos2 (θ) per θ ≤ 60◦ in un ampio range di energia. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.3 19 Componente Nucleare Circa l’11% della radiazione cosmica è composta da nuclei con Z≥2 [20]; le abbondanze relative degli elementi con 1≤Z≤28, calcolate in base ai risultati sperimentali più recenti e accreditati, sono riportate sul grafico in figura 1.6. Sullo stesso grafico si può osservare il confronto con le abbondanze relative degli stessi elementi all’interno del Sistema Solare: la cosa più ovvia da aspettarsi sarebbe una coincidenza dei profili, ma ciò non avviene per gli elementi di numero atomico immediatamente inferiore al Carbonio e al Ferro; proviamo ad interpretare questi dati. I nuclei maggiormente presenti nella nella radiazione sono quelli coinvolti nei cicli di produzione di energia all’interno delle stelle (H, He, C, N, O) e il Ferro, prodotto nell’ultimo stadio dell’evoluzione dei corpi celesti; sulle abbondanze di questi elementi non ci sono sostanziali differenze tra dentro e fuori il Sistema Solare. Ben diverso è invece il rapporto tra le due misure per, ad esempio, Litio, Berillio e Boro: la loro abbondanza nei raggi cosmici è più grande di 4-5 ordini di grandezza rispetto alla loro presenza nel Sistema Solare. Ciò si spiega ipotizzando per questi nuclei una produzione per spallazione [18], cioè frammentazione di un nucleo pesante in due nuclei di Z più basso, dovuta all’interazione del nucleo stesso con il mezzo stellare; tenendo in considerazione la densità del mezzo interstellare, la probabilità di interazione e le probabilità di frammentazione si può dedurre che fenomeni di questo tipo non possono essere osservati su scala più piccola di quella galattica. In questa ottica si inserisce uno degli obiettivi scientifici di PAMELA: misurare con buona precisione il rapporto dei flussi di Boro e Carbonio al di fuori dell’atmosfera. Ammettendo infatti che il Carbonio sia di origine primaria mentre il Boro sia prodotto per spallazione proprio a partire dal Carbonio, misurare l’abbondanza di Boro relativa al Carbonio vuol dire stimare la quantità di materia attraversata dalla radiazione; queste stime sarebbero molto importanti nell’ambito della determinazione dei meccanismi di propagazione e accelerazione della radiazione cosmica. In figura 1.6 si può anche osservare il caratteristico andamento paridispari, conseguenza del fatto che, in natura, la formazione di nuclei con un numero pari di protoni (Z) e neutroni (N ) è favorita dalla presenza del termine di “pairing”, δ(A), nell’espressione semiempirica dell’energia di legame: E(A, Z) = −b0 A + b1 A2/3 + b2 Z(Z − 1) (N − Z)2 + δ(A) + b 3 A A1/3 (1.24) dove A = Z + N e le bi sono costanti stimate teoricamente e ricavate sperimentalmente. In questa equazione, composta anche, nell’ordine, da un termine principale, uno di superficie, uno coulombiano e uno di simmetria, il termine di pairing può assumere valori diversi: è nullo per A dispari, negativo (δ(A) = −b4 /A1/2 ) per N e Z pari e positivo (δ(A) = +b4 /A1/2 ) per CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 20 Figura 1.5: Risultati sperimentali attuali nella misura del rapporto B/C al limite dell’atmosfera a confronto con il range atteso per le misure di PAMELA. La linea sovrapposta ai punti sperimentali rappresenta un calcolo teorico svolto da Molnar e Simon [12] nell’ambito di uno studio di un modello di diffusione dei raggi cosmici da parte dell’alone galattico senza riaccelerazione. N e Z dispari. I nuclei più stabili sono quelli con energia minima, cioè quelli con Z e N entrambi pari. A causa del rapido assorbimento esponenziale di nuclei energetici nell’atmosfera terrestre, il flusso di nuclei primari che riesce a sopravvivere fino al livello del mare senza subire collisioni è decisamente infinitesimale anche per i nuclei più leggeri come l’elio; anche i nuclei secondari prodotti dalla frammentazione dei primari pesanti, hanno scarsissima probabilità di sopravvivenza. Di conseguenza per ottenere una misura del flusso nucleare a grandi profondità atmosferiche ci sarebbe la necessità di rivelatori molto grandi che permettessero quindi ampie statistiche. Esiste però una stima del flusso di nuclei con 5≤Z≤28, integrato su tutti gli angoli rispetto allo zenit, al livello del mare ottenuto per estrapolazione da Price e collaboratori CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 21 Figura 1.6: Abbondanze relative (misurate a 1 AU) degli elementi con Z≤28 nei raggi cosmici rispetto alle quantità medie del Sistema Solare. I valori sono relativi ad un’abbondanza di Carbonio pari a 100 [13]. nel 1980 in base a misurazioni fatte in alta atmosfera [19]. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.4 22 Radiazione Primaria e Campi Magnetici La radiazione cosmica primaria è influenzata, nell’avvicinarsi alla Terra, dai campi magnetici galattici, interplanetari, magnetosferici e geomagnetici. Il campo magnetico interplanetario (IMF) ha un valore costante di 5 nT (∼ 50 µG)[4] in corrispondenza dell’orbita terrestre; il campo magnetosferico, risultante della somma di campi locali che si generano nello spazio delimitato dalla magnetopausa, è estremamente variabile, mentre il campo geomagnetico, generato da sorgenti interne alla Terra, è soggetto a variazioni secolari. In complesso, sulla superficie terrestre è riscontrabile un campo magnetico di intensità tra 30 e 60 µT a seconda della posizione geografica. Sono inoltre riscontrabili variazioni temporali dell’ordine del %. Anche la componente carica della radiazione secondaria subisce l’effetto del campo geomagnetico. Il flusso radiativo è inoltre modulato dall’attività solare: esso manifesta infatti effetti ciclici della durata di 11 anni (corrispondenti al ciclo di passaggio dal massimo al minimo di attività solare) e 22 anni (legati all’inversione del dipolo magnetico solare che avviene ad ogni massimo di attività). Tale modulazione decresce però all’aumentare dell’energia e diventa trascurabile per particelle con rigidità superiore a 10 GV. 1.4.1 Le Fasce di Van Allen Nel 1958 un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Iowa, guidati da James A. Van Allen, scoprı̀, esaminando i dati registrati dai contatori GeigerMuller a bordo dei satelliti statunitensi Explorer I e III, un’estesa fascia di radiazione attorno alla Terra, composta da particelle “intrappolate”dal campo magnetico terrestre, in accordo con quanto previsto dalla teoria di Carl Störmer [2]. In un lavoro del 1913, l’astrofisico svedese aveva infatti postulato l’esistenza di particelle intrappolate tra le linee di forza del campo dipolare geomagnetico con traiettorie limitate, complesse e difficilmente predicibili ma schematizzabili in caso di momento iniziale della particella suficientemente piccolo. Si deve invece ad Alfvén (1942) lo studio secondo cui ogni particella carica in un campo magnetico dipolare percorre una circonferenza il cui centro, guiding center, oscilla in latitudine tra due mirror points lungo una guiding line che ha la forma di una linea di forza in lenta rotazione attorno all’asse del dipolo (da est a ovest se ha carica positiva e viceversa nel caso di carica negativa). Poichè il centro guida oscilla lungo la linea guida, passando cosı̀ attraverso zone caratterizzate da diverse intensità del campo, il raggio dlla circonferenza descritta dalla particella cambia gradualmente in modo da lasciare invariato il flusso magnetico concatenato. I risultati dell’ispezione della sonda Pioneer-3, pervenuti alla fine del 1958 stesso, non solo confermarono l’esistenza delle particelle intrappolate ma fornirono anche prova dell’esistenza di ben due fasce di radiazione (vedi figura 1.7): CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 23 • la fascia di radiazione interna, che si estende fino a 2.5 raggi terrestri e contiene protoni di energie dell’ordine di qualche decina di MeV e elettroni non relativistici, • la fascia di radiazione esterna, con un’estensione di circa 3 raggi terrestri, contenente elettroni e protoni di energie in feriori a 1 MeV. Figura 1.7: Rappresentazione schematica delle fasce di radiazione e del moto delle particelle intrappolate. 1.4.2 Particelle di Albedo In alta atmosfera (a circa 40 km dalla crosta terrestre) alcune particelle della radiazione cosmica secondaria prodotta possono invertire il proprio moto lungo le linee di forza del campo magnetico e rimbalzare nello spazio: nel caso in cui l’angolo d’impatto permetta loro un solo rimbalzo parliamo di particelle d’albedo, quando invece i rimbalzi si ripetono più volte abbiamo a che fare con particelle quasi-intrappolate. Il flusso di entrambe le tipologie risulta pressochè costante su un ampio intervallo di energie. Oltre che per il fatto di essere generate molto più vicino al suolo, le particelle d’albedo si distinguono da quelle delle fasce di radiazione in quanto caratterizzate da energie ben più elevate (superiori al GeV) e, quindi, tempi di volo più brevi. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.4.3 24 Effetti Est-Ovest, Latitudine e Longitudine Flussi e spettri dei raggi cosmici fino ad energie dell’ordine di ∼100 GeV presentano asimmetrie rispetto alle direzioni di provenienza Est e Ovest a causa del campo geomagnetico e dell’eccesso di carica positiva della radiazione primaria. Tale effetto (effetto East-West) si fa sentire maggiormente in alta atmosfera poichè la dipendenza dall’angolo di zenit, che si esprime con la legge del cos2 θ quando la radiazione penetra profondamente l’atmosfera, smussa decisamente l’asimmetria a livello del mare. La forma dipolare del campo geomagnetico provoca inoltre un effetto azimutale. A causa del cutoff geomagnetico (cioè la presenza di un valore di soglia della rigidità al di sotto del quale le particelle non riescono a penetrare l’atmosfera) la distribuzione in energia manifesta, fino a 15 GeV, una dipendenza dalla latitudine (effetto latitudine). Esiste anche un effetto longitudine dovuto al fatto che l’asse del dipolo geomagnetico è collocato in maniera asimmetrica rispetto all’asse di rotazione terrestre. Si riscontrano, inoltre, anomalie magnetiche locali, la più famosa e importante delle quali è l’anomalia dell’Atlantico Meridionale. Sopra il Sud America, fino a circa 200 km oltre le coste brasiliane, si estende la parte più vicina alla Terra (distanza inferiore ai 500 km) della fascia interna di Van Allen: ciò comporta un bombardamento locale di circa 3000 protoni, di energie superiori al GeV, per centimetro quadro per secondo. Ovviamente ciò può causare seri disturbi alle strumentazioni elettroniche a bordo di satelliti o altri velivoli spaziali che si trovino ad attraversare l’area interessata. 1.4.4 Modulazioni Solari L’interazione tra la radiazione cosmica e il Sole produce, sullo spettro della radiazione cosmica stessa, perturbazioni puntuali e cicliche; l’esempio più importante per la prima categoria di effetti è rappresentato dai decrementi di Forbush mentre le principali modulazioni hanno periodi di 27 giorni, 11 anni e 22 anni. Il monitoraggio continuo dei raggi cosmici ha permesso di osservare in molte occasioni decrescite improvvise dell’intensità della radiazione su scala mondiale; tali decrementi avvengono in poche ore e possono raggiungere anche il 20% dell’intensità media, mentre il ripristino delle condizioni iniziali impiega generalmente alcuni giorni, talvolta anche settimane. Tali eventi, generalmente associati alle cosiddette “tempeste geomagnetiche”, prendono il nome di “decrementi di Forbush”e sono associabili ad effetti di vento solare. Quando in una regione attiva del Sole si verifica un flare o un’eiezione di massa dalla corona, la nuvola di plasma emesso e il campo magnetico associato possono superare la velocità del plasma circostante e creare un’onda d’urto: si crea cosı̀ una sorta di “bottiglia”magnetica attorno all Terra che CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 25 scherma la componente di più bassa energia della radiazione cosmica (come rappresentato in figura 1.8). Figura 1.8: Schema della Magnetosfera Terrestre Investita dal Vento Solare. Per quanto riguarda le modulazioni periodiche o quasi-periodiche, l’effetto più debole è osservabile su un periodo di 27 giorni, corrispondente al periodo di rotazione del Sole, ed è riconducibile ad attività esplosive superficiali ricorrenti. Modulazioni più importanti del flusso si osservano invece su tempi lunghi. Considerando un intero ciclo solare di Schwabe, della durata di 11 anni, si scopre, ad esempio, che il flusso osservabile sulla Terra è anticorrelato all’attività solare: nei periodi di Sole quieto l’intensita della radiazione è maggiore mentre si abbassa (di ∼ 15% per l’intensità neutronica, ∼ 4.5% per quella muonica, ecc.) nei periodi di Sole perturbato. Le variazioni sugli 11 anni sono dovute al cambiamento delle condizioni magnetiche nell’eliosfera. L’inversione di polarità del campo magnetico eliosferico, che avviene al massimo di attività con un ciclo di 22 anni (ciclo di Hale), produce inoltre un ’alternanza di picchi di flusso più e meno pronunciati. Tutti questi cambiamenti nel flusso di particelle cariche che raggiunge la Terra sono estremamente importanti nel quadro di relazione tra il Sole e il nostro pianeta,influendo fortemente nella descrizione, ad esempio, di tempeste magnetiche, aurore boreali, disturbi delle comunicazioni radio e cosı̀ via. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.5 26 L’Antimateria nello Spazio Come già accennato, fu proprio attraverso lo studio dei raggi cosmici che si ottenne la conferma sperimentale all’esistenza del positrone (Anderson 1933, [6]), particella avente le stesse caratteristiche dell’elettrone ma con carica elettrica opposta, prevista da Dirac alcuni anni prima [17]. Nel 1955 fu poi osservato per la prima volta l’antiprotone [21, 22] e lo studio dell’antimateria fu deputato ai grandi acceleratori. La teoria di Dirac, per quanto sperimentalmente confermata, si pone in forte contrasto con le osservazioni cosmologiche attuali: alla base della speculazione c’è infatti un principio di simmetria secondo cui le antiparticelle obbediscono alle stesse leggi fisiche cui sono soggette le loro corrispondenti. Allora, sorge spontaneo chiedersi, come mai attorno a noi osserviamo quasi solo materia ordinaria? Per rispondere a questo interrogativo sono sorte negli anni molte correnti di pensiero, raggruppabili in due grossi blocchi ([23]): • modelli asimmetrici, secondo cui qualche meccanismo di rottura della simmetria è avvenuto nei primi stadi di formazione dell’universo provocando una globale asimmetria evoluzionistica; • modelli simmetrici, per i quali l’asimmetria osservata è solo locale. Le ipotesi basilari per un Universo asimmetrico sono state formulate da Sakharov nel 1967 [24] e prevedono: • squilibrio termodinamico; • violazione di CP (non conservazione simultanea delle simmetrie di parità e coniugazione di carica); • violazione di B (non conservazione del numero barionico). La prima condizione è confermata dall’osservazione dell’espansione dell’universo, la violazione di CP è stata osservata in un canale di decadimento di K 0 e K 0 ,la non conservazione di B, pur se prevista dalla Teoria della Grande Unificazione, non è mai stata sperimentalmente verificata. I modelli simmetrici si basano anch’essi sull’ipotesi della violazione di CP ma con una diversa formulazione [25]: la rottura della simmetria sarebbe avvenuta durante il raffreddamento dell’universo permettendo l’esistenza di una serie di stati finali equiprobabili che, pur violando singolarmente la simmetria stessa, la conservano globalmente. Esisterebbero cosı̀ diversi domini non connessi fra loro con diverse abbondanze di materia e antimateria. La ricerca di antimateria nella radiazione cosmica primaria diventa a questo punto uno strumento fondamentale per un’eventuale conferma o rigetto dei modelli sopra descritti [26, 27]. Se supponiamo, infatti, l’esistenza di galassie di antimateria dobbiamo anche aspettarci di ritrovare parte di tale antimateria nei raggi cosmici. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 1.5.1 27 Antiprotoni Dal 1955, anno della scoperta dell’antiprotone in esperimenti con acceleratori, anche gli studi sui raggi cosmici si concentrarono sulla ricerca di antiparticelle nella radiazione stessa; solo nel 1979 furono però evidenziati antiprotoni dagli esperimenti su pallone di Robert Golden [21] e Edward Bogomolov [22]. Le prime misure di flusso, compiute negli anni ottanta, rivelarono un considerevole eccesso rispetto alle previsioni teoriche di una pura componente secondaria di antiprotoni, sia ad alte che basse energie (si faccia riferimento anche alle figure 1.9 e 1.10); ciò ispirò numerose speculazioni teoriche sulle possibili sorgenti primarie di antimateria nello spazio, quali ad esempio domini extragalattici o buchi neri primordiali evaporati. A questi scenari si è aggiunta negli ultimi anni, con l’avvento delle teorie delle supersimmetrie, l’ipotesi dell’annichilazione di WIMPs [10]: secondo queste speculazioni la materia oscura dell’Universo sarebbe giustificabile postulando l’esistenza della particella supersimmetrica più leggera (denominata neutralino), la cui annichilazione produrrebbe coppie di protoni e antiprotoni. Misure di flusso di antiprotoni realizzate con buona precisione, come quelle che PAMELA conta di eseguire, potrebbero essere di grosso aiuto nella conferma di queste ipotesi perchè offrirebbero una buona base di confronto per le distribuzioni previste dalle varie modellizzazioni teoriche. 1.5.2 Positroni Nel caso dei positroni un’eventuale componente primaria risulterebbe difficilmente distinguibile mediante misure di flusso in quanto tali particelle vengono prodotte in grande abbondanza nell’interazione col mezzo interstellare e sono sottoposte a considerevoli perdite di energia per emissione di radiazione bremmstrahlung, di sincrotrone o Compton inverso. I dati finora registrati sono infatti relativi solo ad un piccolo intervallo di energia e sono affetti da incertezze molto ampie (vedi figura 1.11). 1.5.3 La ricerca di Antinuclei La ricerca di antinuclei nello spazio è l’unico metodo diretto di verifica dei modelli di simmetria dell’universo: non sono infatti noti meccanismi di produzione secondaria di tale componente. In particolare, rivelare antinuclei con Z≥3 sarebbe un segno inequivocabile dell’esistenza di stelle di antimateria perché per essi non è ipotizzabile neanche una produzione in seguito alla nucleosintesi primordiale che potrebbe invece spiegare la presenza di antielio. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 28 Figura 1.9: Dati sperimentali relativi al rapporto di flusso tra antiprotoni e protoni a confronto con le previsioni teoriche (linea spezzata) relative alla sola produzione secondaria. CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 29 Figura 1.10: Confronto fra stime teoriche e dati sperimentali recenti relativi al flusso di antiprotoni nei raggi cosmici: le linee continua e tratteggiata indicano le previsioni teoriche per produzione puramente secondaria di p mentre la linea punteggiata riporta i calcoli relativi esclusivamente a produzione primaria. Sono inoltre riportati, in rosso, i risultati attesi dalle osservazioni di PAMELA nel caso di produzione puramente secondaria (quadri) e contaminazione di componente primaria (cerchi). CAPITOLO 1. I RAGGI COSMICI 30 Figura 1.11: Dati sperimentali relativi al rapporto tra positroni ed elettroni a confronto con le quantità previste in caso di produzione esclusivamente secondaria: la linea continua e quella a tratti rappresentano le previsioni dei due modelli di produzione secondaria più accreditati; i punti rossi indicano invece i rapporti di flusso previsti per PAMELA. Notiamo che le previsioni di PAMELA si discostano molto dalle altre nelle zone di più alta energia, dove tengono conto della componente di flusso teorizzata per le annichilazioni di WIMPS (riportata sul grafico mediante la curva puntinata in basso a destra). Capitolo 2 L’Esperimento PAMELA 2.1 Il Programma WiZard e il Progetto RIM La collaborazione WiZard nasce dalle ceneri di un esperimento per lo studio dei raggi cosmici e la ricerca di antimateria spaziale previsto dalla NASA alla fine degli anni ’80 che non andò in porto a causa della mancata realizzazione della stazione spaziale Freedom. Il gruppo di ricerca ha perseguito dal 1989 in poi gli scopi scientifici prefissati, prima tramite l’utilizzo di numerosi palloni aerostatici, contribuendo notevolmente alla conoscenza dello spettro di antiprotoni e positroni, poi, con la nascita, nel 1993, del progetto RIM (Russian Italian Mission), mediante esperimenti su satellite. Lo scopo della missione russo-italiana è permettere ad apparati di rivelazione sempre più complessi ed innovativi, progettati e realizzati da gruppi di alcune sezioni dell’INFN, di essere ospitati su satelliti e stazioni spaziali di costruzione russa. La prima fase del programma, RIM 0.1/0.2, ha visto la realizzazione, sulla stazione orbitante russa MIR, degli esperimenti SilEye 01 [14] e 02 [15]; tali impianti consistevano di tracciatori al silicio installati su speciali caschi, studiati per dare una spiegazione ai lampi di luce che gli astronauti vedono quando si trovano in orbita in zone non illuminate dal Sole correlando tali flash con il passaggio di particelle. Con il progetto RIM-1 è stato invece costruito il telescopio NINA [16], impiantato sul satellite meteorologico Resurs-Arktika 4, lanciato nel 1998. Il rivelatore era costituito principalmente, ancora una volta, da un tracciatore al silicio capace di interagire con protoni e nuclei di energie comprese tra 10 MeV/nucleone e 200 MeV/nucleone; l’esperimento ha contribuito alla definizione dei flussi di incidenza delle particelle sulla sommità dell’atmosfera, stime necessarie per tutte le missioni spaziali successive. L’ultima fase, almeno per ora, del programma, denominata RIM-2, è incentrata proprio sull’esperimento PAMELA. 31 CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 2.2 32 La Missione PAMELA (a Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-nuclei Astrophysics) è frutto di una collaborazione internazionale coordinata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, con la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana e il contributo delle agenzie spaziali tedesche, svedesi e russe. Installato sul satellite meteorologico di costruzione russa Resurs-DK1, lanciato il 15 Giugno 2006, dalla base di Bajkonur in Kazakhstan, per essere posizionato su un’orbita ellittica quasi polare tra 300 e 600 chilometri d’altezza, l’apparato registrerà e trasmetterà dati per almeno tre anni, allo scopo di investigare l’affascinante “mistero”dell’antimateria di origine spaziale e della materia oscura studiando la radiazione cosmica. In particolare PAMELA misurerà il flusso, l’energia e le caratteristiche dei raggi cosmici di origine galattica, interplanetaria e solare con una precisione e una statistica mai ottenute prima, consentendo notevoli progressi in questo importante e giovane settore dell’astrofisica. Figura 2.1: Fotografia del lancio del missile Soyuz, vettore del satellite Resurs-DK1 che ospita PAMELA. Lo strumento pesa quasi cinquecento chili, ha le dimensioni di un paral- CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 33 lelepipedo alto 1.3 m con 75x75 cm di base ed è composto essenzialmente da un grande magnete corredato da un notevole numero di rivelatori (vedi figura 2.2) che permettono di riconoscere le particelle, tracciarne la traiettoria e misurarne l’energia. Completano l’apparato sofisticati dispositivi elettronici per la lettura dei rivelatori, la gestione dell’apparato e il collegamento con i sistemi di comunicazione del satellite. Si noti che il consumo complessivo atteso di potenza è di soli 350 W. Figura 2.2: PAMELA e i suoi sottorivelatori. PAMELA è uno degli elementi del programma dell’ASI dedicato alle alte energie che, oltre all’importante ruolo nell’astronomia X e gamma con la partecipazione alle missioni SWIFT e GLAST della NASA e il satellite nazionale AGILE, prevede importanti contributi alla realizzazione dell’Anti Matter Spectometer (AMS) per lo studio dei raggi cosmici dalla Stazione Spaziale e altri progetti di nuova generazione. La maggior parte di questi programmi è frutto dell’intensa collaborazione tra ASI e INFN che permette all’Italia di essere all’avanguardia nel settore dell’astrofisica delle alte energie. 2.3 Obiettivi Scientifici Per i tre anni previsti di permanenza in volo del satellite, PAMELA si comporterà come una sorta di osservatorio spaziale, investigando molti punti di interesse della ricerca scientifica contemporanea, quali: CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA Figura 2.3: Schema telescopico dei componenti di PAMELA. 34 CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 35 • composizione e dinamica dei raggi cosmici galattici (GCR); • esistenza di antimateria cosmica primaria, con particolare attenzione ad antiprotoni e nuclei di antielio, e determinazione di un nuovo limite superiore per i rapporti di flusso antimateria/materia (si faccia riferimento alla figura 2.4 per avere un’idea delle innovative potenzialità dello strumento in questo ambito); • ricerca ed identificazione di materia oscura; • studio dell’attività solare nell’intorno del minimo del 23o ciclo (previsto per la metà del 2007) e approfondimento della conoscenza delle modulazioni solari sullo spettro della radiazione cosmica e sulla fisica interplanetaria (produzione di particelle energetiche, onde d’urto di vento solare ecc.); • evoluzione della fisica magnetosferica; • determinazione delle linee di campo locali del vento solare mediante misure di flusso degli elettroni gioviani; • studio di particelle d’albedo, intrappolate e quasi-intrappolate. Per il raggiungimento di tali scopi il campo d’ispezione dell’apparato copre complessivamente le seguenti tipologie di particelle rivelate: • Positroni, da energie di 50 MeV fino a circa 270 GeV; • Antiprotoni, da 80 MeV a 190 GeV; • Elettroni, da 50 MeV a 2 TeV; • Protoni, da 80 MeV a 700 GeV; • Nuclei, con Z≤6 e energie inferiori ai 200 GeV/n; • Antinuclei, con limite superiore di rapporto di flusso He/He ≈ 108 . Ovviamente un range d’ispezione cosı̀ vasto impone l’utilizzo di tecnologie diversificate perfettamente integrate tra loro. Un altro elemento fondamentale per la qualità dell’esperimento e dei suoi risultati è sicuramente l’orbita percorsa dal satellite. La quota scelta (tra 350 e 600 km di altezza dal suolo) consente un’elevata vita balistica del satellite, permettendo un periodo di raccolta dati non inferiore a tre anni. L’alta frequenza di sorvolo dei poli consente invece di massimizzare il flusso dei raggi cosmici rivelati, in particolar modo quello della componente di bassa energia. Inoltre il satellite è rivolto verso la Terra mentre l’apparato di PAMELA punta verso lo spazio; si riesce cosı̀ a minimizzare l’influenza sull’osservazione della Terra e degli sciami prodotti dai raggi cosmici che incidono quasi orizzontalmente sull’atmosfera. CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 36 Figura 2.4: Potenzialità di PAMELA nella determinazione dei rapporti di flusso antimateria/materia a raffronto con i limiti superiori posti da missioni precedenti. CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 37 Figura 2.5: Schema dell’orbita ellittica quasi-polare di PAMELA. L’inclinazione è di 70◦ , la quota varia tra 350 e 600 km. 2.4 I sottorivelatori di PAMELA Ben sei sottorivelatori principali compongono la struttura telescopica di PAMELA (per la disposizione di tali sottorivelatori nella struttura telescopica si faccia riferimento alle figure 2.2 e 2.3): • uno spettrometro magnetico costituito da un sistema tracciante al silicio immerso in campo magnetico; permette di ricostruire la curvatura della traccia lasciata da una particella che lo attraversi e quindi di risalire al segno della carica e alla rigidità della particella stessa. • un contatore di tempo di volo (Time of Flight sistem, o ToF ), con il quale calcolare la velocità delle particelle in attraversamento, generare il segnale di trigger per l’intera acquisizione e riconoscere le particelle d’albedo. • un sistema di anticoincidenza atto a selezionare e rigettare dall’acquisizione gli eventi relativi a particelle che hanno interagito con la struttura di supporto del telescopio o che non rientrano nell’accettanza geometrica dello stesso. • un calorimetro elettromagnetico “ad immagine”capace di misurare l’energia delle particelle che interagiscono con il suo volume CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 38 ricostruendo la forma dell’interazione. Tale tecnologia permette di distinguere sciami elettromagnetici da sciami adronici e di riconoscere annichilazioni di antiprotoni dalla caratteristica forma a stella di tali eventi a basse energie. • un contatore a scintillatori (denominato S4) con una funzione di controllo sul calorimetro, del quale misura il grado di contenimento registrando le particelle che da esso fuoriescono. • un rivelatore di neutroni che facilita l’identificazione di particelle di alta energia responsabili di eventi adronici non contenuti nel calorimetro. Tutti i sottorivelatori sono alloggiati negli spazi delimitati da tre elementi di supporto: un piano di base, un piano superiore e quattro perni sporgenti. Gli strumenti sono circondati da un sistema di regolazione termica composto da radiatori, flange e condutture idrauliche che formano un ciclo di raffreddamento. Il sistema è completato da quattro scatole elettroniche, poste ai quattro lati, contenenti il sistema CPU centrale, il modulo di protezione di input (IPM), il crate VME e un convertitore AC/DC. L’intero apparato cosı̀ costituito è installato, come carico pagante a bordo del satellite Resurs-DK1 [30] in un container posto esternamente ad esso e guidato da un braccio meccanico che ne consente lo spostamento. Durante la fase di lancio, il collocamento in orbita e le correzioni di rotta, l’alloggiamento è stato posto in “posizione di riposo”per ridurre l’effetto delle vibrazioni; durante la percorrenza dell’orbita, invece, la posizione è tale da massimizzare l’accettanza geometrica dei rivelatori e ottimizzare cosı̀ la fase di acquisizione. 2.5 I modelli di PAMELA La realizzazione di un apparato sperimentale da impiantare su satellite si articola in quattro fasi fondamentali che coincidono con la messa a punto di altrettanti modelli costruttivi. Implementando tali modelli è possibile testare, verificare e ottimizzare alcuni degli aspetti più delicati della costruzione, installazione e funzionamento dell’attrezzatura. Descriviamo quindi le quattro fasi di modellizzazione di PAMELA che hanno preceduto l’integrazione sul satellite Resurs-DK1. 2.5.1 Il modello meccanico e di massa Il primo passo da compiere per l’integrazione dell’apparato sperimentale sul satellite ospite è la realizzazione del modello meccanico e di massa, il quale replica esattamente tutte le quote della struttura meccanica (ingombri, supporti, punti di aggancio) nonché la distribuzione delle masse del telescopio. CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 39 Lo scopo principale di questo modello è verificare la perfetta compatibilità meccanica di PAMELA con l’alloggiamento ad essa assegnato; vengono inoltre svolte su di esso prove vibrazionali per verificare la resistenza e stabilità della struttura rispetto alle forti sollecitazioni meccaniche caratteristiche, ad esempio, della fase di lancio. In questo senso risulta importantissimo lo studio e la ricerca delle cosiddette risonanze meccaniche, cioé di quelle particolari frequenze di vibrazione che conducono un componente meccanico comunque robusto al limite della soglia di rottura, provocando danni irreparabili a tutto l’esperimento. Evitare che esistano frequenze per le quali i componenti risultino fragili è un lavoro ingegneristico molto complesso che necessita la qualifica di ogni singolo componente. Questa fase dell’integrazione di PAMELA è stata completata nei primi mesi del 2002. 2.5.2 Il modello termico Nello spazio esiste una fortissima escursione termica nel passaggio da zone direttamente illuminate dal Sole a zone d’ombra. Per ridurre le difficoltà dovute a questo fenomeno, il telescopio è stato alloggiato, a bordo del satellite, in un guscio pressurizzato capace di mantenere la temperatura interna compresa tra 0 e 40 gradi centigradi. Ciò nonostante è stato necessario realizzare anche un modello termico del sistema per studiare e ottimizzare la dissipazione del calore prodotto dai componenti elettronici dell’apparato. In condizioni di microgravità, infatti, non è possibile la creazione di moti convettivi, quindi la dissipazione termica può avvenire solo per irraggiamento o per deriva termica. Per risolvere questi inconvenienti è stato realizzato un sistema di raffreddamento a liquido capace di dissipare calore da tutti quei dispositivi che, con l’eccessivo aumento di temperatura, verrebbero seriamente danneggiati. Per valutare l’efficienza di queste soluzioni è stato costruito il modello termico capace di riprodurre fedelmente i comportamenti termici di tutti i costituenti di PAMELA. In pratica sono stati riprodotti sia i componenti che generano calore, per mezzo di resistenze elettriche opportunamente dimensionate in potenza, sia i dispositivi che consentono di dissiparlo. Il modello, inserito nel suo container, è stato quindi posto in una speciale camera in grado di simulare le condizioni che sarebbero poi state incontrate nello spazio. A questo punto è stato effettuato il monitoraggio delle temperature massime raggiunte dal modello di telescopio. 2.5.3 Il modello tecnologico L’ultima fase di modellizzazione precedente la costruzione del telescopio effettivamente integrato sul satellite è stata la realizzazione del modello tecnologico, dedicato alla verifica delle compatibilità software (protocolli di comunicazione e altro) e hardware (cavi, connettori e altro) tra PAMELA e il satellite RESURS. Tra i due dispositivi vi è infatti un numero elevatissi- CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 40 mo di connessioni che permettono, ad esempio, al telescopio di trarre l’alimentazione dal satellite oppure di sfruttarne il sistema di telemetria per le comunicazioni con il centro di comando a terra. E’importante sottolineare che questo modello è l’unico ad aver potuto differire nella forma e nella struttura da quello finale. 2.5.4 Il modello di volo Il modello di volo è quello che è stato effettivamente integrato su satellite e lanciato in orbita. Su di esso sono state compiute le ultime verifiche strutturali e di comunicazione; in particolare sono state svolte su quest’ultimo modello prove di vibrazione a bassa intensità per verificare che non vi fossero stati errori in fase di assemblaggio che potessero causare la presenza di risonanze meccaniche impreviste. Il telescopio è stato quindi consegnato, nella sua versione definitiva e corredato da documentazione che ne garantisse la non pericolosità per il resto della strumentazione del satellite ospite (indipendente dal corretto funzionamento), all’istituto TsKB-Progress di Samara (Russia) che si è occupato dell’assemblaggio del satellite e del trasferimento alla base di lancio di Baikonur. 2.6 Descrizione dell’elettronica centrale e della fase di trasmissione dei dati Lo studio e la realizzazione di un sistema elettronico di controllo e acquisizione di un esperimento su satellite sono tematiche estremamente complesse a causa del grande numero di variabili di cui bisogna tener conto per le condizioni ambientali proibitive. Un sistema di acquisizione dati (spesso abbreviato in DAQ) come quello realizzato per PAMELA deve avere, tanto per cominciare, un consumo di potenza limitato: la corrente elettrica necessaria per il funzionamento degli strumenti, infatti, è generata da pannelli solari ed ha quindi intensità proporzionale alla superficie dei pannelli stessi; più corrente utilizzata significa pannelli solari più grandi e quindi più pesanti, il che incide molto sul costo della missione (che si ricorda essere un carico pagante). Inoltre la corrente assorbita dai dispositivi è anche proporzionale al riscaldamento degli stessi e la realizzazione di un sistema di raffreddamento adeguato in condizioni di microgravità comporta enormi difficoltà. Ovviamente anche la realizzazione di una struttura di comunicazione tra satellite e Terra (downstream) e viceversa (upstream) è fortemente influenzata dalle condizioni ambientali. Basti pensare che lo scambio di informazioni può avvenire solamente quattro volte al giorno, quando il satellite si trova sulla perpendicolare rispetto alla base di telemetria di terra situata a Mosca, per la durata di circa cento secondi ogni volta. Ciò comporta anche la necessità di conservare all’interno della memoria del satellite una grossa quantità CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 41 di dati, nel caso in cui condizioni meteorologiche non ottimali impedissero vari downstream consecutivi. 2.6.1 L’unità di controllo centrale Il sistema centrale di controllo e acquisizione dell’esperimento PAMELA è composto da tre elementi fondamentali: • l’unità di controllo e memorizzazione dati PSCU (acronimo di PAMELA Storage and Control Unit), • un sistema di comunicazione intermedio I-DAQ (abbreviazione di Intermediate Data AcQuisition.), • un sistema di trigger che genera il segnale di avvio acquisizione. Il sistema PSCU controlla i sottosistemi elettronici di servizio per l’acquisizione dei dati da parte dei vari sottorivelatori, si interfaccia con il sistema di telemetria e gestisce la raccolta e la trasmissione del flusso di dati. La scheda (prodotta e certificata dall’azienda, leader nel settore, Laben) è essenzialmente costituita da una CPU altamente resistente alle radiazioni, una memoria di massa a stato solido avente una capacità di memorizzazione di 2 GigaByte ed una memoria EPROM FLASH che contiene un programma che permette il funzionamento dell’elettronica contenuta nel processore. Tale sistema è ovviamente di importanza vitale per l’esperimento; poichè dopo il lancio sarebbe impossibile intervenire da terra su di esso o sui suoi componenti, si è scelto di impiantare sul modello di volo due PSCU identiche che possano essere selezionate e abilitate all’occorrenza via software. Tale ridondanza hardware è stata applicata per motivi di sicurezza a tutti i componenti elettronici fondamentali. La scheda I-DAQ garantisce la comunicazione tra la sezione di front-end di ogni sottosistema e la PSCU. Essa consiste in una sezione di smistamento dati, costituita da un multiplexer e un demultiplexer, un DSP(Digital Signal Processor ), che compie le operazioni sui dati, e due banchi di memoria. I due blocchi di memoria servono sia per la memorizzazione temporanea dei dati e dei programmi da inviare alla PSCU ed ai sottosistemi, sia all’immagazzinamento del software necessario al funzionamento del DSP. La scheda è connessa ai vari front-end mediante collegamenti seriali basati su bus LVDS (Low Voltage Differential Signaling). Tale protocollo è particolarmente indicato per uso spaziale poichè assicura basso consumo, basso rumore ed elevata velocità di trasmissione. La scheda di trigger prende il controllo delle operazioni nella fase di acquisizione dati, discriminando gli eventi acquisibili da quelli che non risultano interessanti. Tale riconoscimento viene effettuato confrontando i segnali provenienti dai vari rivelatori con lo schema di trigger selezionato da CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 42 terra. Quando il confronto fornisce esito positivo viene propagato un segnale, il trigger appunto, verso tutti i sottosistemi che provvedono all’elaborazione dei dati relativi all’identificazione della particella che è transitata nel telescopio. Per fare ciò la scheda di trigger controlla i segnali provenienti da tutti i fotomoltiplicatori del sistema ToF e li analizza mediante funzioni logiche preimpostate. Come vedremo bene in seguito, i 48 fotomoltiplicatori del ToF sono raggruppati in tre piani (S1, S2 e S3), ciascuno costituito da due strati (S11, S12, S21 ecc.); indicando con il simbolo sij l’OR logico tra i segnali provenienti da tutti i PMTs dello strato Sij, le funzioni logiche preimpostate per la generazione del segnale di trigger sono: • (s11 AND s12 ) AND (s21 AND s22 ) AND (s31 AND s32 ) • (s11 OR s12 ) AND (s21 OR s22 ) AND (s31 OR s32 ) • (s21 AND s22 ) AND (s31 AND s32 ) • (s21 OR s22 ) AND (s31 OR s32 ) • s12 AND (s21 AND s22 ) • (s11 AND s12 ) AND (s31 AND s32 ) (opzionale) Ognuna di queste funzioni seleziona un tipo di evento giudicato “utile”: • la prima funzione seleziona passaggi di particelle che hanno prodotto segnale su ogni strato di ogni piano (condizione ottimale); • la seconda seleziona attraversamenti rivelati almeno da uno strato per piano; • la terza e la quarta selezionano gli eventi che sono stati rivelati dal secondo e terzo piano, rispettivamente con entrambi o almeno uno degli strati; • la quinta ci fa registrare gli eventi che hanno prodotto segnale sul secondo strato del primo piano e su entrambi gli strati del secondo piano. Quando avviene una coincidenza di segnali generati solo nel primo e terzo piano, essi non andrebbero registrati perché hanno un’alta probabilità di essere conseguenza di eventi indipendenti fra loro; l’ultima funzione logica, che seleziona proprio eventi di questo tipo, è stata però programmata per necessità di ridondanza: nel malaugurato caso in cui si dovesse riscontrare un malfunzionamento del piano S2 diventerebbe la funzione di trigger principale. Ci si potrebbe inoltre chiedere come mai vengono selezionati eventi rivelati anche da un solo strato del secondo piano più un solo strato del terzo mentre non viene utilizzata una funzione analoga per il primo e secondo CAPITOLO 2. L’ESPERIMENTO PAMELA 43 piano; ciò, come vedremo meglio nei prossimi capitoli, dipende dalla geometria del sistema per la misura del tempo di volo e dal fatto che il segnale di trigger è valido per tutto l’apparato: la funzione (s11 OR s12 ) AND (s21 OR s22 ) selezionerebbe anche particelle in moto lungo direzioni che formino angoli molto grandi con la verticale di osservazione e che quindi e non potrebbero aver attraversato anche altri componenti del telescopio. Oltre al compito primario di selettore di eventi, il dispositivo descritto assolve ad una serie di funzioni di servizio, quali fornire dati in merito al rate del trigger, alla misura del “tempo vivo”e “tempo morto”ed al conteggio dei segnali provenienti dai fotomoltiplicatori. 2.6.2 Il sistema di trasferimento dati Come già accennato, il satellite RESURS-DK1, e quindi anche l’apparecchiatura scientifica a bordo, può inviare e ricevere dati solo per quattro volte al giorno, cioè quando passa sulla perpendicolare rispetto alla stazione di telemetria del Research Center of Earth Operative Monitoring (NTsOMZ) di Mosca. Il primo interlocutore di PAMELA è quindi un’antenna parabolica dal diametro di 7 m (denominata appunto PK-7) con un potenziale di ricezione di 300 Mbps [29]; considerando che ogni sessione di trasmissione dura all’incirca 100 s, PAMELA può inviare fino a 15 GB di dati al giorno. Il protocollo di trasmissione è un protocollo standard per le comunicazioni aerospaziali, con utilizzo di doppia frequenza (una per ricevere euna per trasmettere), banda passante molto stretta e modulazione digitale DSPK. NTsOMZ acquisisce, registra, processa, archivia, cataloga e distribuisce le informazioni ricevute. In questa fase i dati vengono inoltre ripuliti dal rumore di trasmissione ed associati ad informazioni telemetriche riguardanti l’orbita. I dati, resi a questo punto accessibili da NTsOMZ, possono essere trasferiti, mediante la rete della ricerca europea TEN-34, al CNAF di Bologna, il Centro Nazionale dell’INFN per la ricerca e lo sviluppo nel campo delle discipline informatiche applicate agli esperimenti di fisica nucleare e delle alte energie. I gruppi delle varie sezioni INFN impegnate nell’esperimento possono cosı̀ accedere ai dati e processarli con un software creato appositamente per PAMELA. Un’ulteriore copia dei dati di PAMELA viene invece conservata dall’istituto MEPhI (Moscow Engineering Physic Institute) di Mosca. PAMELA è stata accesa il 21 Giugno 2006 alle ore 10 di Mosca; dopo 504 secondi dall’accensione sono partite le procedure di inizializzazione ed acquisizione e, al passaggio successivo sulla base telemetrica, un primo file di 2 GB è stato scaricato con successo. Lo strumento è in acquisizione pressochè continua dall’11 Luglio. Capitolo 3 Il ToF La misura del tempo di volo (abbreviato in ToF dall’inglese “Time of Flight”) è un efficace sistema per l’identificazione di particelle di impulso1 inferiore a circa 2 GeV/c. Dalla misura del tempo di percorrenza di una distanza fissata (l) si risale infatti facilmente alla velocità e alla massa della particella, calcolata come s p c2 t2 m= (3.1) ( 2 − 1). c l A questo punto la particella è univocamente determinata se all’informazione relativa alla massa si associa una misura della carica ze. 3.1 3.1.1 Il ToF di PAMELA. Gli Scopi. Il sistema di misura del tempo di volo dell’esperimento PAMELA nasce per soddisfare le seguenti esigenze: • misurare il tempo di volo delle particelle che attraversano i piani che lo compongono, • determinare il valore assoluto della carica delle particelle incidenti, • supportare lo spettrometro magnetico nella fase di tracciamento, • fornire un segnale di trigger veloce per i DAQ dell’intero sistema. 3.1.2 Geometria e Struttura Meccanica Il sistema per la misura del tempo di volo di PAMELA è composto da tre piani (denominati S1, S2 e S3), a distanza relativa fissata (le distanze interplanari stabilite per il modello di volo sono riportate nella tabella in 3.2), di 1 Nel testo ci si riferirà spesso all’impulso della particella utilizzando l’inglesismo momento; le due denominazioni sono però da considerarsi perfettamente equivalenti. 44 CAPITOLO 3. IL TOF 45 Figura 3.1: Disegno isometrico della disposizione dei tre piani S1, S2 e S3 a formare il ToF di PAMELA. scintillatori plastici Bicron BC-404 terminati da fotomoltiplicatori (PMT) Hamamatsu R5900; ogni piano è a sua volta costituito da due strati (S11, S12, S21 ecc.) di scintillatori disposti lungo due assi ortogonali del piano stesso. Ciascuno dei piani è caratterizzato da una differente superficie sensibile ed ha una precisa collocazione nella sequenza di rivelatori costituenti il telescopio (per la disposizione relativa dei piani si faccia riferimento alla figura 3.1, per le principali caratteristiche geometriche del sistema si consideri invece la tabella 3.1). 3.1.3 I Componenti del ToF di PAMELA Gli scintillatori Gli scintillatori utilizzati per il contatore di tempo di volo di PAMELA sono scintillatori plastici; il materiale che ne costituisce il corpo sensibile è un poliviniltoluene (C10 H11 ) caratterizzato da una densità di 1.032 g/cc e da un indice di rifrazione di 1.58. Gli scintillatori plastici consistono di una soluzione solida di molecole organiche scintillanti all’interno di una sostanza polimerizzata, con funzione di CAPITOLO 3. IL TOF Piano Num. di strip S11 S12 S21 S22 S31 S32 8 6 2 2 3 3 46 Dim. delle strip (mm x mm) 330 x 51 408 x 55 180 x 75 150 x 90 150 x 70 180 x 50 Spessore (mm) 7 7 5 5 7 7 Area sensibile (mm2 ) 357 385 375 450 420 350 Tabella 3.1: Tabella riassuntiva delle principali caratteristiche geometriche dei contatori a scintillazione del ToF di PAMELA. S1-S2 S2-S3 S1-S3 Distanza tra i piani (mm) 295 488 783 Tabella 3.2: Distanze tra i piani di contatori nel modello di volo del ToF di PAMELA. Figura 3.2: Spettro di emissione caratteristico di uno scintillatore Bicron BC-404 [32]. CAPITOLO 3. IL TOF 47 solvente, e sono caratterizzati da un massimo di emissione per scintillazione nell’intorno di 400 nm di lunghezza d’onda (come si può osservare anche in figura 3.2). La scelta di scintillatori plastici risulta ovvia se si considera che questa tipologia è dotata di tutte le caratteristiche indispensabili per l’esperimento: leggerezza, resistenza e ottime proprietà temporali (in particolare tempi di decadimento dell’ordine del nanosecondo che ne permettono l’utilizzo per misure veloci). Di contro, per questi scintillatori l’autoassorbimento della radiazione scintillante non è trascurabile per cui la lunghezza di attenuazione (λ, già definita nel capitolo 1) diventa una grandezza di cui è indispensabile tener conto. Figura 3.3: In figura si possono osservare, da sinistra, un’estremità dello scintillatore, la guida ottica, il fotomoltiplicatore e la scheda di connessione all’elettronica. Entrambe le estremità di ogni stecca di scintillatore sono incollate, mediante un cemento ottico Bicron BC-600, ad una guida ottica adiabatica in Plexiglass trasparente all’ultravioletto (vedi anche l’immagine in figura 3.3; il collante utilizzato ha un indice di rifrazione pari a 1.56 e assicura un fattore di trasmissione superiore al 95% per lunghezze d’onda superiori ai 400 nm. Ogni guida d’onda è poi accoppiata meccanicamente ad un fotomoltiplicatore mediante un pad ottico, modello Bicron BC-634A, che ha un indice di rifrazione di 1.41 e raggiunge un fattore di trasmissione superiore al 90% per lunghezze d’onda superiori a 400 nm. Sia gli scintillatori che le guide ottiche sono avvolti in fogli di Mylar spessi 25 µm [33] che ne assicura l’isolamento ottico. I fotomoltiplicatori Gli scintillatori che compongono i piani del ToF di PAMELA sono terminati da una coppia di fotomoltiplicatori Hamamatsu R5900 con fotocatodo a materiale bialcalino [34]. Piccole dimensioni (la sezione misura soli 30x30 mm2 , si veda anche l’immagine in figura 3.4), leggerezza (pesa solo 25.5 g) e bassi consumi rendono CAPITOLO 3. IL TOF 48 Figura 3.4: Un fotomoltiplicatore Hamamatsu R5900; l’immagine ne evidenzia le piccole dimensioni. Figura 3.5: Disegno schematico e fotografia dell’assemblaggio del fotomoltiplicatore. CAPITOLO 3. IL TOF 49 questi PMTs particolarmente indicati per esperimenti nello spazio. Al foto- Figura 3.6: Risposta spettrale tipica di un fotomoltiplicatore Hamamatsu R5900 [34]. catodo bialcalino si deve una risposta spettrale (graficata in figura 3.6) che ben si raccorda allo spettro di emissione della maggior parte dei fotomoltiplicatori; la finestra in borosilicato, spessa 1.3 mm, trasmette luce da lunghezze d’onda di circa 300 µm fino all’infrarosso. All’interno del fotomoltiplicatore vi sono poi 10 strati di dinodi in configurazione “metal channel”(mostrata in figura 3.7). Poichè il comportamento dei fototubi è influenzato dalla presenza di campi magnetici(che producono deflessioni, con conseguente perdita di guadagno, degli elettroni), e in considerazione del fatto che il nucleo di PAMELA è costituito da un magnete permanente, i PMTs sono avvolti in un foglio di µ-metal spesso 1 mm. CAPITOLO 3. IL TOF 50 Figura 3.7: Configurazione “metal channel”dei dinodi. 3.2 L’elettronica del ToF di PAMELA La prima parte dell’elettronica collegata al ToF di PAMELA consta di sei schede di front-end, ognuna delle quali riceve i segnali provenienti da 8 PMTs; tali segnali vengono convertiti in formato digitale e registrati in modo da poter essere trasferiti alla scheda di DSP (Digital Signal Processing) all’arrivo del segnale di trigger che convalida l’evento. A questo punto i dati (dai quali, come vedremo, è possibile ricavare informazioni di tempo e di carica), vengono ulteriormente trasferiti alla scheda I-DAQ che garantisce la comunicazione tra la sezione di front-end di ogni sottosistema e la PSCU; per il modello di terra del ToF, la I-DAQ, oltre a rappresentare l’interfaccia tra le schede di Front-End, DSP e Trigger, pone queste ultime in comunicazione con il pc (lo schema completo di trasmissione è rappresentato in figura 3.8), tramite la scheda della National Instruments PCI-DIO-96. Le schede DSP e Trigger comunicano con la scheda I-DAQ mediante protocollo seriale data-stobe, mentre la scheda PCI-DIO-96 prevede uno scambio di dati in modalità parallela. 3.2.1 La scheda di Front-End Ognuna delle sei schede di Front-End (di cui uno schema a blocchi è riportato in fig. 3.9) riceve, come segnale analogico di ingresso, l’impulso di output di otto fotomoltiplicatori. La sezione analogica della scheda provvede quindi a duplicare il segnale di modo che possa essere “trattato”separatamente da due diverse “linee”di Front-End che chiameremo, in base alla misura che ricavano, sezione di tempo e sezione di carica. La sezione di tempo utilizza, per ogni linea anodica, un comparatore a doppia soglia atto a discriminare e formare il segnale (la necessità di un discriminatore a doppia soglia nasce CAPITOLO 3. IL TOF 51 Figura 3.8: Schema a blocchi dell’elettronica del ToF di PAMELA (in particolare del modello di terra) e della sequenza di trasmissione delle informazioni. Figura 3.9: Schema a blocchi dell’elettronica di Front-End del ToF di PAMELA: la linea rossa rappresenta la linea di propagazione del segnale. CAPITOLO 3. IL TOF 52 dall’esigenza di minimizzare l’effetto di Time Walk, di cui parleremo in seguito); il segnale formato viene “tradotto”in logica LVDS e ulteriormente duplicato per essere inviato contemporaneamente al trigger e ad un convertitore tempo-ampiezza-tempo (TAT) a doppia rampa con un fattore di espansione, per l’intervallo di tempo da misurare, di circa 200. La linea per la misura della carica è invece basata su un convertitore di carica (CT) con controllo di gate: un amplificatore di carica raccoglie la corrente anodica e restituisce un impulso la cui ampiezza è proporzionale alla carica d’ingresso; un opportuno circuito va quindi a caricare, con il segnale ricavato, un condensatore fino al valore di picco della forma d’onda d’ingresso, per poi farlo scaricare linearmente. L’ultimo stadio dei due convertitori (TAT e CT) è un ulteriore discriminatore che produce un segnale digitale di ampiezza pari al tempo di scarica del condensatore. Entrambe le grandezze d’interesse vengono quindi convertite in misure di tempo per cui nella sezione digitale troviamo solamente due TDC, implementati su logica programmabile FPGA, uno adibito a ricevere e digitalizzare l’informazione di carica, l’altro quella di tempo; ciò semplifica l’architettura e minimizza i consumi. Figura 3.10: Diagrammi temporali per la misura di tempo con il sistema di espansione a doppia rampa dei TDC. CAPITOLO 3. IL TOF 53 Vediamo meglio come si generano ed evolvono i segnali, e quindi le misure, coinvolti. In figura 3.10 è riportato un insieme di diagrammi temporali che descrivono come lavora la sezione di tempo della scheda di Front-End; da essi si evince che quando un segnale proveniente da un PMT supera la soglia del discriminatore si genera un segnale (START) che fa iniziare la fase di carica di una capacità (segnale RAMP). Contemporaneamente al segnale START viene generato anche un segnale che viene inviato alla scheda di trigger (segnale TO TRIGGER CARD, non riportato in figura); se tale segnale si trova a realizzare, insieme a quelli provenienti da altri fotomoltiplicatori, una delle funzioni logiche descritte nel paragrafo 2.6.1 entro un tempo prefissato, la scheda di Front-End riceve il segnale di trigger che interrompe la fase di carica del condensatore (per questo motivo si dice che il TDC lavora in modalità COMMON STOP). Inizia quindi la fase di scarica, che avviene con un tempo caratteristico più lento. I TDC misurano quindi il tempo che la capacità impiega per scaricarsi (TDC GATE) come multiplo del periodo di CLOCK; questa misura risulta direttamente proporzionale al tempo trascorso tra l’arrivo del segnale del PMT e la generazione del segnale di trigger. Se invece il segnale di trigger non viene generato, l’evento è reputato non valido e le capacità sono scaricate rapidamente in modo da ripristinare le condizioni iniziali (AUTO RESET). In figura 3.11 sono invece riportati i diagrammi temporali del sistema di conversione carica-tempo della sezione di carica della scheda di Front-End. Come già accennato, la corrente anodica entra in un amplificatore di carica che produce una tensione d’uscita proporzionale alla corrente totale. Questo segnale (indicato in figura 3.11 come amplifier output) si scarica rapidamente in maniera esponenziale, quindi l’uscita dell’amplificatore è collegata ad un circuito denominato “pulsestretcher”, in cui un transistor J-FET carica rapidamente un condensatore al valore di picco della forma d’onda d’ingresso. Il condensatore viene quindi fatto scaricare linearmente utilizzando una piccola sorgente di corrente costante. Anche in questo caso, quindi, la misura che ci interessa diventa una misura del tempo di scarica di una capacità ed è per questo motivo che la digitalizzazione di tutte le informazioni in gioco avviene per mezzo di un solo TDC, con grande risparmio di potenza e spazio. I TDC operano conversioni digitali a 12 bit garantendo una dinamica di 4096 passi di conteggio. Ad ogni componente viene fornito un segnale di clock a 100 MHz, che consente di avere una risoluzione temporale nominale di 10 ns sul bit meno significativo (LSB). La dinamica temporale del componente è dunque pari a 212 x10ns = 40960ns. L’espansore analogico a doppia rampa asimmetrica realizza un fattore di espansione α ≈200, dunque si ha una risoluzione nominale effettiva che corrisponde ad un LSB di: LSB = 10ns ∼ = 50ps. α (3.2) CAPITOLO 3. IL TOF Figura 3.11: Diagrammi temporali per la conversione carica-tempo. 54 CAPITOLO 3. IL TOF 3.3 3.3.1 55 L’identificazione delle particelle Misura della velocità Consideriamo uno scintillatore generico di un piano del sistema per la misura del tempo di volo di PAMELA terminato, mediante guide ottiche, da due fotomoltiplicatori (che chiameremo PMT1 e PMT2) collegati, per l’acquisizione di misure di tempo e carica, ad un TDC e un ADC (l’apparato è rappresentato in figura 3.12): tale apparato costituisce quello che chiameremo contatore a scintillazione. Quando una particella attraversa lo scintillatore, Figura 3.12: Configurazione schematica di un singolo scintillatore del ToF durante operazioni di misura di tempo e carica. a distanze x e L-x dalle sue estremità, rilascia, all’interno dello scintillatore stesso, una parte della sua energia che, in base alle proprietà del materiale, viene convertita in radiazione luminosa. La radiazione viene raccolta dal fotomoltiplicatore, amplificata e convertita in un impulso elettrico. Al TDC arrivano dunque, negli istanti t1 e t2 , due segnali provenienti, rispettivamente, da PMT1 e PMT2 (si vedano i diagrammi temporali riportati in figura 3.13); t1 e t2 sono misurati dal TDC e sono esprimibili in funzione dell’istante t0 , in cui è fisicamente avvenuto l’evento, mediante le relazioni t1 = t0 + x vef f + c1 t2 = t0 + L−x + c2 vef f (3.3) CAPITOLO 3. IL TOF 56 dove vef f è la velocità della luce nello scintillatore mentre c1 e c2 sono delle opportune costanti che tengono conto dei tempi di attraversamento del segnale nelle guide ottiche, del ritardo generato dalle linee di trasmissione e della risposta del fotomoltiplicatore. Figura 3.13: Diagrammi temporali dei segnali PMT1, PMT2 e TRIGGER in ingresso al TDC; con t0 viene indicato l’istante reale di attraversamento della particella. Utilizzando le relazioni appena definite possiamo semplicemente ricavare che vef f (t1 − t2 ) t1 + t2 + cost x= + cost (3.4) 2 2 quindi le risposte dei due PMTs determinano univocamente le due grandezze che ci interessano. Per ottenere una misura di tempo di volo è necessario utilizzare almeno due piani di contatori a scintillazione posti ad una distanza fissa d. Si consideri, ad esempio, la configurazione rappresentata in figura 3.14; in questo caso, chiamando ti l’istante di arrivo del segnale proveniente dal PMT iesimo e indicando con D la distanza percorsa dalla particella tra i due traguardi (pari a dcosθ in caso di traiettoria rettilinea con angolo di zenit θ non nullo), avremo t0 = t1 = c1 + t3 = c3 + x3 vef f x1 vef f + t2 = c2 + D cβ t4 = c4 + x2 vef f x4 vef f + D cβ Possiamo quindi definire una nuova variabile Ttof = t3 + t4 t1 + t2 − 2 2 (3.5) tale che TToF 1 x3 + x4 x1 + x2 2D = c3 + c4 − c1 − c2 + − + 2 vef f vef f cβ ! (3.6) CAPITOLO 3. IL TOF 57 Figura 3.14: Schema delle grandezze da considerare per la determinazione del tempo di volo nella semplificazione di due soli piani del ToF di PAMELA. CAPITOLO 3. IL TOF 58 o più semplicemente 1 Ttof = K1 + K2 . β (3.7) La costante K1 dipende dalla lunghezza dei cavi su cui viaggia il segnale tra fotomoltiplicatore e TDC e dalla lunghezza degli scintillatori. Il valore di K2 viene invece espresso dalla relazione: K2 = 3.3.2 D . c (3.8) Misura della massa La massa di una particella non può essere misurata direttamente dai rivelatori che compongono PAMELA ma può essere ricavata da misure indipendenti di due variabili cinetiche legate tra loro da una relazione che tenga conto anche della massa. La relazione più semplice da utilizzare è quella che lega il momento p (misurato dallo spettrometro magnetico)della particella alla sua velocità v p = γmv = γmβc (3.9) da cui si ottiene, per la massa: p p m= = cβγ c p 1 − β2 p = β c s 1 − 1; β2 (3.10) sostituendo, nel caso più semplice, β= v l = c tc (3.11) con l distanza percorsa tra i traguardi del sistema di tempo di volo (che è diversa dalla distanza fissa tra i traguardi se la traiettoria non è rettilinea e ortogonale agli scintillatori) e t tempo di percorrenza di tale distanza, si ottiene la relazione 3.1. Dall’equazione 3.1 si ottiene, applicando la propagazione degli errori, che la formula per la risoluzione nelle misure di massa di PAMELA: σm m 2 = σp p 2 + γ2 σl σt + l t 2 (3.12) Si noti che alla risoluzione espressa dalla 3.12 contribuiscono la risoluzione σp σl p dello spettrometro nella misura del momento, la risoluzione l del sistema σt di tracciamento nella misura di l e la risoluzione t del ToF nella misura di t. CAPITOLO 3. IL TOF 59 Figura 3.15: Grafico dell’energia persa per ionizzazione in funzione del β della particella ottenuto con le misure del ToF di ISOMAX [37]. 3.3.3 Misura della carica PAMELA effettua la misura della carica ze di una particella che la attraversi valutandone separatamente il segno, mediante lo spettrometro magnetico, e il valore assoluto; quest’ultima misura viene eseguita da vari sottorivelatori tra cui il sistema per la misura del tempo di volo. Mediante il ToF si può ottenere il valore assoluto della carica di una particella che attraversi il rivelatore misurando l’energia persa dalla particella per ionizzazione, dE/dx, all’interno del volume sensibile del rivelatore. Si ricordi che il valore di tale energia persa è dato dalla formula di Bethe-Block 1.11; da essa si evince che, fissato il valore di β, la perdita specifica di energia cresce come z 2 (in prima approssimazione la piccola dipendenza dalla massa della particella incidente può essere trascurata). Riportando quindi su grafico i valori di dE/dx in funzione di β si può osservare che i punti si distribuiscono in bande, ognuna delle quali è riconducibile ad un preciso valore di z. In figura 3.15 è riportato il grafico in questione come ottenuto in base alle misure dell’esperimento ISOMAX, anch’esso dotato di un sistema di tempo di volo per la misura di β: la discriminazione in carica delle specie nucleari fino all’Ossigeno è lampante. Ovviamente la possibilità di identificare nuclei di alto z è limitata dal CAPITOLO 3. IL TOF 60 range dinamico finito dello strumento per la misura della carica cioé, nel nostro caso, il numero di bit del TDC. Capitolo 4 Il Test sul Fascio 4.1 Operazioni preliminari La parte principale del mio lavoro di tesi è incentrata sulla caratterizzazione della replica di terra, o meglio di alcuni sottoinsiemi di tale replica, del modello di volo del ToF di PAMELA descritto nel capitolo precedente. A tale scopo è stato approntato un apparato minimale che è stato esposto per una settimana a fasci di ioni accelerati, presso i laboratori GSI di Darmstaadt (Germania). Il mio contributo è stato, in un primo tempo, quello di realizzare la configurazione sperimentale minima composta da tre scintillatori, uno della tipologia S1, uno S2 e uno S3, terminati a entrambe le estremità da fotomoltiplicatori gemelli di quelli di volo (vedi figura 4.1); ne è stato svolto il cablaggio, completato e testato l’isolamento ottico del sistema rispetto all’esposizione a luce naturale e artificiale diretta. Ciò fatto si è proceduto a misurare l’andamento delle frequenze di output dei PMT al variare della tensione di alimentazione (un esempio è riportato in figura 4.2) al fine di stabilire un valore ottimale dell’alimentazione stessa e sostituire, ove necessario, quei fototubi che non rispettassero le caratteristiche richieste. Tutte le procedure descritte sono state eseguite anche per una configurazione replica di sicurezza. Va sottolineato che tutti i componenti usati fanno parte del modello ingegneristico del satellite, quindi,oltre ad essere perfettamente identici per proprietà e produzione a quelli di volo, hanno subito anche tutti i test meccanici della fase preliminare della realizzazione del satellite stesso. Ciò rende le misure svolte su di essi uno strumento fondamentale e affidabile per la fase di analisi dei dati che riceveremo dallo spazio. L’attraversamento dell’apparato da parte di ioni pesanti, e dei loro prodotti di frammentazione, è infatti tra gli eventi che ci si aspetta di registrare durante la fase di volo; verifiche di linearità della risposta della strumentazione a tali collisioni non sono state però svolte in precedenza. Per decidere quali tipologie di nuclei (e in quale range di energia) andassero scelte, tra quelle disponibili, per bersagliare il rivelatore, e stabilire 61 CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 62 Figura 4.1: Schema della replica di terra del ToF di PAMELA nella configurazione minima assemblata. Nel disegno sono riportati anche i codici identificativi dei fotomoltiplicatori utilizzati. Figura 4.2: Esempio di grafico della frequenza di output di uno dei fotomoltiplicatori selezionati al variare della tensione di alimentazione; il punto di lavoro è stato scelto, per ogni PMT, tra i 780 V e gli 820 V, in modo da mantenere costante il guadagno per tutti i fotomoltiplicatori. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 63 quali materiali potessero essere utilizzati come centri diffusori da anteporre all’apparato, sono state eseguite simulazioni delle collisioni attese utilizzando il programma di simulazione TRIM, contenuto nel pacchetto software SRIM [38]. Bisogna specificare che anche l’elettronica utilizzata per l’acquisizione durante il test beam è perfettamente identica a quella di volo; anche per questo aspetto l’esperienza è stata quindi un importante momento di verifica. La linearità del dato finale è infatti conseguenza della contemporanea linearità della risposta di scintillatori, fotomoltiplicatori e elettronica di acquisizione e le cause di eventuali deviazioni dal comportamento atteso vanno ricercate lungo tutta la filiera di produzione dell’informazione acquisita. 4.2 Apparato sperimentale Figura 4.3: Schema del setup sperimentale esposto al fascio di ioni. La versione definitiva dell’apparato sperimentale presentata ai laboratori GSI è rappresentata schematicamente in figura 4.3: i contatori a scintillazione S1, S2 e S3 (completi di PMT) precedentemente descritti sono stati posizionati ortogonalmente alla direzione del fascio collimato in modo che il punto d’impatto cadesse al centro della superficie sensibile degli scintillatori; sono state fissate meccanicamente le seguenti distanze relative: • distanza tra S1 e S3 = 80 cm, • distanza tra S1 e S2 = 67 cm, • distanza tra S2 e S3 = 13 cm. Completa l’apparato una scheda di Front-End (in particolare sono stati utilizzati solo i primi sei degli otto canali disponibili della scheda, uno per ogni fotomoltiplicatore), anch’essa perfettamente identica a quelle del modello di volo. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 4.2.1 64 Il tracker ADAMO Tra S1 ed S2 è stato posizionato il sistema tracciante, o tracker, del rivelatore ADAMO, realizzato dal gruppo WiZard-INFN di Firenze. ADAMO [39] è un piccolo spettrometro magnetico pensato per misure di precisione dello spettro della componente carica dei raggi cosmici a livello del suolo; durante la realizzazione di PAMELA è stato utilizzato frequentamente per test su fascio e i risultati ottenuti hanno fatto da punto di partenza per lo sviluppo dei sottosistemi che costituiscono lo spettrometro magnetico dell’apparato su satellite. Figura 4.4: Fotografia di due ladder di ADAMO; in quello più in alto si possono osservare i due sensori al silicio che sono invece coperti, in quello in basso, dallo strato di mylar che ne assicura l’isolamento ottico in fase di presa dati [40]. Il sistema tracciante di ADAMO è costituito da un array di cinque rivelatori a microstrisce di silicio, analoghi a quelli realizzati per PAMELA, posti all’interno della cavità di un magnete [40]. L’unità di rivelazione di base è un ladder (riportato in fig. 4.4), cioè una struttura realizzata con due sensori di silicio, delle dimensioni di (53.3 x 70.0)mm2 x 300 µm, e un circuito ibrido, cioè un supporto ceramico su cui è alloggiata l’elettronica di frontend. Il funzionamento dei rivelatori a microstrisce di silicio è basato sulle proprietà della giunzione p-n contropolarizzata. Un’opportuna differenza di potenziale di contropolarizzazione applicata alla giunzione tra due semiconduttori di tipo p e di tipo n produce, nella zona circostante la giunzione, una regione svuotata dai portatori di carica maggioritari. In questa regione CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 65 è presente un campo elettrico in grado di rimuovere un’eventuale carica in eccesso comunque depositata: questo effetto consente di rivelare i rilasci di energia dovuti a particelle ionizzanti, il cui passaggio all’interno della regione di svuotamento produce un certo numero di coppie elettrone-lacuna; il campo elettrico rimuove la carica prodotta guidando elettroni e lacune, rispettivamente, verso il lato ohmico e lato giunzione, producendo un segnale sui rispettivi elettrodi. Un’opportuna segmentazione delle impiantazioni di droganti permette inoltre di individuare il punto dove la carica viene raccolta, cioè dove è stata depositata l’energia della particella. I sensori utilizzati per ADAMO, prodotti da Hamamatsu Photonics, sono realizzati su “bulk ”di silicio di tipo n e sono segmentati in microstrips su entrambe le facce. Sul lato giunzione sono impiantate, ortogonalmente allo spigolo di 53.3 mm, 2048 miscrostrisce di tipo p+ con passo di impiantazione di 25 µm e passo di read out di 50 µm (cioè solo una striscia ogni due viene letta dall’elettronica di front-end). Sul lato giunzione, invece, sono impiantate, perpendicolarmente alle precedenti, 1024 microstrip di tipo n+ con passo di 67 µm, intervallate da strisce p+ , dette strisce di blocco, la cui funzione è evitare che si creino canali di bassa impedenza che provocherebbero la distribuzione della carica su molte strisce. Le strip sui due lati del piano sono dunque ortogonali tra loro: ciò consente la “doppia vista”, cioè la possibilità di avere per ogni piano un’informazione spaziale con due coordinate. I cinque piani sono allineati lungo un supporto di materiale amagnetico che non influisca col campo generato dal magnete permanente nella cui cavità è alloggiato l’apparato; tale supporto è una sorta di scatola di alluminio con finestre, in corrispondenza delle superfici sensibili dei ladder (per non interferire con le misure), ricoperte da un foglio di mylar (per garantire l’isolamento ottico, vedi anche figura 4.4). I blocchi magnetici sono disposti usualmente attorno al sistema in modo da garantire un campo medio di 0.4 T all’interno del volume tracciante. Nella configurazione sperimentale approntata per il test su fascio non erano però presenti i magneti. 4.3 Caratteristiche del fascio I fasci di ioni accelerati selezionati per il testing delle apparecchiature descritte sono stati i seguenti: • nuclei di 12 C con energia cinetica di 200 MeV/nucleone (cui corrisponde β ≈ 0.57); • nuclei di 12 C • nuclei di 50 Cr da 1200 MeV/nucleone (β ≈ 0.9); da 500 MeV/nucleone (β ≈ 0.76). In tutti i casi il fascio era impulsato: le particelle arrivavano in pacchetti di quattro secondi ognuno, intervallati di tre secondi. La scelta delle tipologie CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 66 di ioni da utilizzare è stata fatta in considerazione prima di tutto dei limiti intrinseci dell’elettronica (ad esempio imponendo che la carica depositata al passaggio dei frammenti non eccedesse i limiti di saturazione dell’ADC) e, in seconda istanza, sulla base di previsioni ottenute mediante simulazioni che verranno descritte nei prossimi paragrafi. Durante le misure giornaliere l’intensità del fascio era ottimale per le nostre misure in quanto risultava fissata a circa 500 pps/cm2 ; in notturna invece il flusso di particelle incidenti raggiungeva intensità per noi elevatissime, fino a 109 pps/cm2 , per cui si è reso necessario porre la strumentazione a valle di un centro diffusore e ad un angolo di 45o rispetto alla direzione del fascio; il centro diffusore era rappresentato da alcune provette sottoposte ad esposizione cosı̀ intensa per un esperimento di biofisica contemporaneo al nostro. L’interposizione di opportune targhette tra il fascio e la strumentazione è stata utilizzata anche durante operazioni di misura diurne per aumentare la statistica di frammentazione dei nuclei proiettili, di modo che i segnali relativi al passaggio dei prodotti di frammentazione si evidenziassero maggiormente e non rischiassero di essere completamente coperti da quelli legati all’attraversamento degli ioni indisturbati. Oltre alle misure ad esposizione diretta, sono quindi stati raccolti dati anche con le seguenti targhette poste a monte del sistema: • 1.5 cm di Alluminio; • 1.3 cm di Polietilene; • 5 cm di Polietilene; • 3.5 cm di PMMA 1 . 4.4 Simulazioni In previsione del test beam da svolgersi presso i laboratori del GSI di Darmstadt (Germania) a partire dal 16 Febbraio 2006, ho eseguito delle simulazioni, con il programma SRIM (descritto in appendice A), della risposta dell’apparato all’attraversamento dei fasci di ioni disponibili, ai fini di stabilire quali fosse preferibile utilizzare o escludere e di preventivare l’eventuale incidenza sulle misure dei materiali utilizzati per il cablaggio e l’isolamento ottico. I fasci utilizzati come proiettili nella simulazione, e le rispettive energie, sono stati i seguenti: 1 • ioni 58 N i da 200 MeV per nucleone; • ioni 58 N i da 800 MeV per nucleone; un particolare tipo di plexiglass comunemente usato nell’impiantistica sperimentale CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO • ioni 12 C da 200 MeV per nucleone; • ioni 12 C da 800 MeV per nucleone; • ioni 12 C da 1.2 GeV per nucleone; • ioni 50 Cr 67 da 500 MeV per nucleone. Per quanto riguarda la targhetta, poiché il software prevede una configurazione massima di sette strati consecutivi di materiale, ho impostato il calcolo, per tutti gli ioni, utilizzando il seguente bersaglio (che schematizza l’apparato di rivelazione ideale, con tutti i componenti perfettamente sovrapposti e in assenza di strati isolanti): • uno strato di poliviniltoluene da 7 mm di spessore (lo scintillatore S1); • cinque strati di silicio da 300 µm ciascuno (i piani di tracciamento); • uno strato di poliviniltoluene da 5 mm (lo scintillatore S2); • uno strato di poliviniltoluene da 7 mm (lo scintillatore S3). Successivamente ho provveduto ad inserire, per step successivi, strati isolanti e gap d’aria secondo il seguente schema: • prima e dopo ogni scintillatore ho posto uno strato di mylar spesso 25 µm, uno strato di alluminio da 10 µm e uno strato di nastro isolante nero da 10 µm; • tutti i piani di rivelazione sono stati intervallati da gap d’aria di 10 cm. Dalla simulazione cosı̀ impostata si evince complessivamente che: • il fascio di ioni Nichel da 200 MeV per nucleone si arresta completamente all’interno del terzo scintillatore, nel quale il grafico dell’energia persa per ionizzazione presenta un picco di Bragg con valore di punta di 3 MeV/µm (vedi anche figura 4.5); • la presenza di strati d’aria di qualsiasi spessore non incide assolutamente sui risultati del calcolo; • l’inserimento degli strati isolanti produce effetti apprezzabili nel caso del fascio di Ni da 200 MeV (precessione e abbassamento del picco, slargamento del fascio etc., si veda anche la figura 4.5), provoca variazioni dell’ordine del per mille nella perdita di energia e nella dispersione angolare del fascio di ioni Carbonio da 200 MeV mentre non ha influenza sui risultati relativi agli altri fasci. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 68 Figura 4.5: Simulazione dell’energia rilasciata dal fascio di ioni 58 N i da 200 MeV/n all’interno dell’apparato sperimentale in funzione della profondità della targhetta: i due grafici diferiscono in quanto quello a sinistra si riferisce al calcolo senza strati isolanti, che sono invece presenti nel grafico più a destra. Si noti il picco di Bragg all’interno del quarto strato, corrispondente ad S3: per apprezzare meglio precessione e abbassamento di tale picco, sul grafico più a destra sono riportate delle linee colorate che marcano i valori di riferimento del grafico a sinistra. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 4.5 69 Calibrazioni delle schede di Front-End Tutte le schede di Front-End realizzate per PAMELA sono state testate e calibrate prima di essere integrate nei rispettivi modelli (di volo o tecnologico). La calibrazione consiste nel far acquisire alla scheda segnali che siano compatibili con quelli che ci si attende all’uscita del rivelatore ma che abbiano caratteristiche (ampiezza, intensità, ecc.) note e valutare la risposta della strumentazione. Cosı̀ facendo si possono riconoscere le zone di linearità, capire i tagli da imporre ai dati veri per evitare misure falsate da piedistalli e saturazioni e calcolare i parametri di conversione da utilizzare per ricavare, dal numero di conteggi misurato, le misure nelle unità proprie della grandezza che si sta considerando. Tutti i dati relativi ad operazioni di calibrazione svolte nel corso degli anni [41, 42], conservati nell’archivio informatico e cartaceo del laboratorio della locale sezione INFN-Wizard, sono stati da me analizzati al fine di ricavare quei parametri che mi sarebbero stati necessari in fase di analisi dei dati del test su fascio nonché gli analoghi da utilizzare per l’analisi dei dati di volo. 4.5.1 Calibrazione della sezione di tempo L’andamento del numero Nc dei conteggi effettuati dai TDC della scheda di Front-End rispetto al ritardo temporale ∆t tra il segnale di un canale di PMT e il segnale di TRIGGER è atteso, per un determinato intervallo di valori di ∆t, lineare secondo la relazione: Nc = A0 + A1 ∆t (4.1) dove l’inverso di A1 è il parametro che ci permette di convertire le misure di tempo ottenute da unità di conteggio a unità di tempo. Per la verifica sperimentale [41] della relazione 4.1 sono stati simulati i segnali di TRIGGER e PMT utilizzando il generatore di segnali Agilent 81130A [43] con il quale è stato possibile impostare il ritardo ∆t tra 10 ns e 110 ns, a passi di 50 ps, con una precisione di 15 ps + 0.1% di ∆t. Riportando i dati2 su grafico si osserva immediatamente che: • per ∆t ≤ 20 ns il sistema non riesce a compiere la misura e restituisce il valore di fondo scala3 ; • per ∆t ≥ 95 ns il TDC va in saturazione. 2 i valori utilizzati di Nc sono già valori medi ottenuti da distribuzioni su misure ripetute ad uguale ∆t; lo stesso discorso varrà per tutti i dati utilizzati in questo paragrafo. 3 i valori di ∆t per i quali si verifica questa situazione vengono usualmente denominati piedistallo del TDC. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 70 Figura 4.6: Esempio delle regressioni lineari effettuate a partire dai dati di calibrazione della sezione di tempo delle schede di Front-End; in particolare, i grafici in figura si riferiscono ai primi quattro canali di una delle schede del modello di volo, il cui nome simbolico è “sk6 ”. Si noti che in questo grafico non è riportata la zona di saturazione. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 71 A questo punto si è proceduto interpolando i dati all’interno della zona di linearità con una retta; un esempio dei grafici ottenuti è riportato in figura 4.6. In base alle regressioni lineari sono stati ricavati i parametri di conversione 1/A1 che sono risultati compatibili, entro gli errori, per tutte le schede. Si è potuto cosı̀ ricavare, come media pesata dei valori medi ottenuti per ogni scheda, il seguente parametro di conversione: CT DC = 50.91 ± 0.12ps/ch (4.2) Inoltre il parametro A1 moltiplicato per il periodo di clock del TDC, pari a 10 ns, fornisce una stima del fattore di espansione α della sezione analogica di tempo, introdotto nel paragrafo 3.2.1, di 198±1, contro un valore teorico di 200. 4.5.2 Calibrazione della sezione di carica Le operazioni di calibrazione della sezione di carica delle schede di Front-End sono perfettamente analoghe a quelle descritte per la sezione di tempo [42], con l’unica differenza che stavolta l’impulsatore genera segnali di ampiezza variabile tra 150 mV e 5 V con passi di 100 mV che simulino i segnali provenienti dai fotomoltiplicatori. La relazione da determinare è quindi: Nc = B0 + B1 · VP M T (4.3) Per prima cosa le misure di tensione VP M T sono state convertite in misure di carica QP M T mediante la relazione QP M T = VP M T · δt R (4.4) dove R = 50 Ω è l’impedenza del generatore e δt = 20 ns è la durata del segnale impostata. Tale conversione è stata effettuata perché la grandezza fisica a cui si vuole risalire a partire dal numero di conteggi, nelle misure con segnali non simulati, è la carica rilasciata, dalle particelle in transito, all’interno degli scintillatori, ovviamente amplificata dai fotomoltiplicatori. I dati sono stati quindi riportati su grafico (si veda, ad esempio, quanto riportato in figura 4.7; da ciò si è potuto evincere che: • per valori di carica compresi tra 20 e 800 pC l’andamento del numero di conteggi è lineare entro gli errori con una pendenza di ≈1.42 ch/pC; • nell’intorno di 900 pC di carica iniettata l’elettronica comincia a saturare: si riscontra quindi un “ginocchio”della curva; • per valori di carica superiori a 950 pC la risposta dello strumento continua ad essere lineare entro gli errori, stavolta con una pendenza di ≈ 0.21ch/pC. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 72 Figura 4.7: Esempio di grafico dell’andamento del numero di conteggi effettuati dal TDC al variare della carica iniettata dal generatore di segnali; per rendere maggiormente evidente il ginocchio e il cambiamento di pendenza della curva è stata sovrapposta al grafico solo la regressione lineare relativa al range di linearità a valori di carica più bassi. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 73 Anche stavolta sono stati confrontati i parametri ricavati dalle regressioni lineari per tutti i canali di ogni scheda: verificato che fossero compatibili entro gli errori, si è proceduto a ricavare i seguenti parametri di conversione da unità di conteggio a unità di carica: • per Nc ≤ 1150 CADC = 0.704 ± 0.002pC/ch (4.5) CADC = 4.74 ± 0.07pC/ch (4.6) • per Nc ≥ 1250 4.5.3 Stima dell’effetto di Time Walk La presenza di un valore di soglia prefissato per il discriminatore, posto all’ingresso della scheda di Front-End, genera una dipendenza del tempo misurato dall’intensità del segnale dovuta al tempo di salita finito dell’impulso. Segnali generati contemporaneamente ma con diverse ampiezze attraversano la soglia del discriminatore a tempi diversi (vedi figura 4.8); la differenza temporale tra i due attraversamenti sarà maggiore quanto più alta è la soglia. Questo effetto, detto di Time Walk, può causare un peggioramento significativo della risoluzione nelle misure di tempo, soprattutto in caso di segnali non molto intensi, per i quali la sottostima diventa percentualmente più significativa. Attraverso i dati di calibrazione si può ottenere anche una stima quantitativa dell’effetto di Time Walk e soprattutto dei parametri da utilizzare per un’eventuale correzione Tempo-Ampiezza da apportare ai dati provenienti da misure reali in fase di analisi. A tale scopo, in fase di calibrazione della sezione di carica, ad ogni misura di conteggi in funzione della carica è stata associata anche una misura del ∆t definito nella sezione sulla calibrazione di tempo, che però stavolta veniva mantenuto costante. In figura 4.9 è riportato un esempio dei grafici di ∆t in funzione della carica iniettata, e quindi dell’intensità del segnale: è evidente la deviazione, soprattutto a bassi valori di carica, dall’andamento costante. I punti sperimentali sono stati quindi interpolati con una funzione del tipo: p1 1 ∆t = p0 + p + (4.7) (Q) Q spesso utilizzata negli esperimenti di fisica particellare la cui elettronica di acquisizione preveda l’utilizzo di discriminatori a soglia (si veda, ad esempio, [44]). I valori medi ricavati dei parametri, validi per tutte le schede, sono stati: p0 = 1295 ± 4ch/pC (4.8) p1 = −900 ± 100ch/pC (4.9) p2 = 2900 ± 700ns/pC (4.10) CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 74 Figura 4.8: Esempio di Time Walk: i due segnali, generati contemporaneamente ma con ampiezze, e quindi tempi di salita, diverse, attraversano la soglia in momenti diversi; si noti che la differenza è maggiore quanto più alta è la soglia. CAPITOLO 4. IL TEST SUL FASCIO 75 Figura 4.9: Esempio di grafico dell’andamento delle misure di ∆t, imposto costante, in funzione della carica iniettata; la deviazione dall’andamento atteso è causata dall’effetto di Time Walk. Capitolo 5 Analisi dati L’output di ogni scheda di Front-End si presenta, per ogni singola operazione di misura, come un’unica parola binaria contenente informazioni di carica, tempo e temperatura. Un software specifico creato appositamente per PAMELA (si veda, a tal proposito, l’appendice B) provvede quindi a decodificare il dato traducendo la parola in un array di parole da 32 bit e assegnando ad ognuna di esse un nome simbolico che permetta di riconoscere e richiamare agevolmente, nelle fasi successive dell’analisi, i conteggi effettuati, per ogni canale (e quindi per ogni fotomoltiplicatore), dal TDC della sezione di tempo, quelli effettuati dal TDC della sezione di carica (che d’ora in avanti chiameremo ADC)e la temperatura di entrambi i TDC della scheda registrata durante l’operazione di misura. I dati raccolti durante il test su fascio sono stati utilizzati in questa forma. Fatte queste necessarie premesse, possiamo descrivere la trattazione vera e propria dei dati raccolti e i risultati ottenuti. 5.1 Calcolo delle costanti di calibrazione e della risoluzione temporale Nel paragrafo 3.3.1 sono state introdotte le costanti di calibrazione K1 e K2 ; il calcolo di tali costanti è una caratterizzazione indispensabile da eseguire per poter poi eseguire la trattazione delle misure di velocità. Ricordiamo che il valore di K2 è espresso dalla relazione K2 = D ∼ d cos θ = c c (5.1) dove la nomenclatura è la stessa utilizzata nel paragrafo 3.3.1 (e in figura 3.14) e l’angolo θ è quello che la direzione della traiettoria della particella, supposta rettilinea, forma con l’asse z del sistema (si ricordi che il sistema di riferimento interno convenzionalmente utilizzato per il ToF è quello riportato 76 CAPITOLO 5. ANALISI DATI 77 in figura 3.1), cioè con la direzione del fascio incidente nel caso del test su fascio o con la linea di zenit nel caso delle misure eseguite su satellite. Nel caso del test su fascio l’ipotesi di traiettoria rettilinea è valida perché il sistema non è immerso in un campo magnetico che possa far curvare le traiettorie delle particelle incidenti; la collimazione del fascio permette inoltre di trascurare la dipendenza da θ, per cui si ottiene che K2 dipende solo dalla distanza relativa tra i piani S1, S2 e S3: K2SiSj = dSiSj . c (5.2) I valori di K2 calcolati in base a questa relazione sono riportati in tabella 5.1 insieme alle distanze tra i piani di riferimento. Piani di riferimento S1-S2 S2-S3 S1-S3 Distanza (cm) 67 13 80 K2 (s) 2.23 · 10−9 0.43 · 10−9 2.67 · 10−9 Tabella 5.1: Valori calcolati della costante di calibrazione K2 in base alla relazione 5.2. A questo punto l’idea alla base del calcolo di K1 è quella di invertire la relazione 3.7 per oggetti di beta noto. Per fare ciò sono stati utilizzati i dati relativi all’esposizione frontale diretta del sistema ai tre fasci di ioni disponibili. In queste condizioni si riscontra infatti un tasso di frammentazione molto basso e quindi un’elevata statistica di ioni che, interagendo poco col sistema, hanno mantenuto la loro energia cinetica e quindi la loro velocità. Come prima operazione è stato selezionato il campione di ioni non frammentati in base alla distibuzione del segnale ADC. La carica rilasciata all’interno di ogni scintillatore dai nuclei in transito è infatti proporzionale alla media dei conteggi effettuati dai due fotomoltiplicatori: riempiendo un istogramma con queste misure si evidenzia il picco degli ioni non frammentati, accompagnato da piccoli addensamenti, comunque poco popolati, a valori di carica più bassi, riconducibili al transito dei pochi frammenti. Come si può vedere dall’esempio in figura 5.1, le distribuzioni ottenute ben si adattano ad una distribuzione gaussiana. Per riempire gli istogrammi relativi alle distribuzioni di K1 , come quelli riportati in figura 5.2, sono stati quindi selezionati solo quegli eventi i cui valori di ADC ricadessero entro una σ dal picco della distribuzione su ogni piano. Ancora una volta è stato eseguito un fit gaussiano delle distribuzioni ottenute da cui sono stati ricavati i valori di K1 riportati in tabella 5.2. Come possiamo vedere dalla tabella 5.2 ma soprattutto dalla figura 5.3 c’è buona compatibilità tra i valori delle costanti relative agli stessi piani di riferimento; in particolare possiamo definire, come media pesata di quelli CAPITOLO 5. ANALISI DATI 78 Figura 5.1: Esempio di distribuzione dei conteggi ADC (e quindi della carica) sui tre scintillatori, relativa ad un campione di dati raccolti durante l’esposizione frontale, senza targhetta interposta, al fascio di 12 C con energia cinetica di 200 MeV/n. Si può notare distintamente il picco riconducibile al transito di nuclei di Carbonio non frammentati, al quale ben si adatta una gaussiana. CAPITOLO 5. ANALISI DATI Ioni 12 C Energia cinetica (MeV/n) 1200 12 C 200 50 Cr 500 Piani di riferimento S1-S2 S2-S3 S1-S3 S1-S2 S2-S3 S1-S3 S1-S2 S2-S3 S1-S3 79 K1 (s) -5.6 · 10−10 -1.37 · 10−9 -1.91 · 10−9 -4.5 · 10−10 -1.33 · 10−10 -1.77 · 10−9 -1.7 · 10−10 -1.61 · 10−9 -1.78 · 10−9 σK1 (s) 0.7 · 10−10 0.05 · 10−9 0.07 · 10−9 0.6 · 10−10 0.05 · 10−9 0.07 · 10−9 0.6 · 10−10 0.06 · 10−9 0.07 · 10−9 Tabella 5.2: Valori della costante di calibrazione K1 calcolati in base alla relazione 3.7 per ioni di β noto. Figura 5.2: Istogrammi dei valori di K1 ricavati, per ogni piano, invertendo la relazione 3.7 su campioni di β noto; in particolare, il grafico in figura si riferisce al campione di 12 C da 1200 MeV/n non frammentato, avente β ∼0.90. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 80 ottenuti, un valore unico di riferimento per K1 relativa ai piani S1-S3: K1S1S3 = (−1.82 ± 0.07) · 10−9 s (5.3) Figura 5.3: Andamento della costante di calibrazione K1 al variare di β; si noti principalmente la compatibilità, entro gli errori, dei valori ottenuti, rimarcata anche dal valore, compatibile con zero, della pendenza della regressione lineare. A questo punto, con i valori ottenuti di K1 e K2 , è stato possibile utilizzare l’equazione 3.7 per calcolare, per gli stessi campioni di dati utilizzati per il calcolo delle costanti, le distribuzioni di β, di cui un esempio è riportato in figura 5.4. In tabella 5.3 sono riportati i valori medi ottenuti per β, insieme con la rispettiva σ, a confronto con i valori attesi. Nella stessa tabella sono riportati anche i valori di risoluzione temporale ∆t corrispondenti alle varie misure di β, ottenuti applicando la propagazione degli errori all’equazione 3.7: d · σβ (5.4) ∆t = cβ 2 CAPITOLO 5. ANALISI DATI 81 Figura 5.4: Distribuzione in β del Carbonio da 1200 MeV/n non frammentato. Ioni 12 C Energia cinetica (MeV/n) 1200 12 C 200 50 Cr 500 Piani di riferimento S1-S2 S1-S3 S1-S2 S1-S3 S1-S2 S1-S3 β atteso 0.899 0.568 0.759 β medio misurato 0.90 0.902 0.568 0.570 0.760 0.760 σβ 0.02 0.019 0.009 0.007 0.016 0.015 ∆t (ps) 67 62 61 62 63 68 Tabella 5.3: Valori di β misurati come media della distribuzione gaussiana a confronto con i valori attesi; nell’ultima colonna sono inoltre riportati i valori di risoluzione temporale corrispondenti. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 5.2 82 Misure di risoluzione in carica Per stimare la capacità del sistema di discriminare nuclei di diverso Z e valutare la risoluzione nelle misure di carica è stata svolta, utilizzando i metodi descritti nel paragrafo 3.3.3, un’analisi dei dati relativi all’esposizione al fascio con targhetta a monte del sistema stesso. Si ricorda che l’interposizione di targhette tra fascio e sistema serve proprio ad aumentare la frammentazione dei nuclei e quindi la statistica di ioni di basso Z. Figura 5.5: Grafico dei conteggi ADC in funzione di β per i frammenti del Carbonio da 1200 MeV/n; le bande più densamente popolate seguono l’andamento della Bethe-Block al minimo di ionizzazione per i diversi valori di Z. Si noti che, per meglio evidenziare la famiglia di curve relative ai prodotti di frammentazione, i dati relativi al Carbonio non frammentato sono stati tagliati: ne sopravvive solo un piccolo residuo nella parte alta del grafico. Per prima cosa sono stati trattati i dati relativi al fascio di 12 C da 1200 MeV/n. In base ai grafici dei valori di ADC (che, si ricordi, è proporzionale alla carica rilasciata e, soprattutto, al dE/dx), dati dalla media dei conteggi effettuati ai due lati di ogni scintillatore, in funzione di β, di cui un esempio è riportato in figura 5.5, si può osservare che tutti i frammenti prodotti hanno β sufficientemente alti da trovarsi nella parte costante, al minimo di ionizzazione, della Bethe-Block. Ne segue che la distribuzione in carica corretta (in unità di canali ADC) è data proprio dalla proiezione di tale CAPITOLO 5. ANALISI DATI 83 grafico sull’asse della carica. Figura 5.6: Distribuzioni dei conteggi ADC sui tre scintillatori relative all’esposizione al fascio di Carbonio da 1200 MeV/n con targhette frapposte per aumentare la frammentazione; i picchi delle distribuzioni sono interpolati con gaussiane. In figura 5.6 sono riportate le distribuzioni ottenute, nelle quali si possono facilmente riconoscere i picchi relativi al Carbonio e ai frammenti riconoscibili come Boro, Litio e Elio; non è invece distinguibile un picco riconducibile al transito di Berillio. A questo punto si può ricostruire la discriminazione in Z del ToF associando al numero atomico dell’elemento riconosciuto il valor medio della gaussiana che meglio interpola il picco della distribuzione di carica. Si ottengono cosı̀ i grafici in figura 5.7 in cui è ben evidente la diretta proporzionalità tra i conteggi ADC effettuati, quindi l’energia rilasciata negli scintillatori, e lo Z 2 della particella in transito, prevista dalla Bethe-Block (eq. 1.11). I valori di carica misurati (in canali ADC) per ogni Z in ogni scintillatore sono riportati in tabella 5.4 insieme alla risoluzione associata. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 84 Figura 5.7: Linearità dei conteggi ADC effettuati dai contatori a scintillazione rispetto al quadrato del numero atomico Z. CAPITOLO 5. ANALISI DATI Scintillatore Z S1 2 (He) 3 (Li) 5 (B) 6 (C) 2 (He) 3 (Li) 5 (B) 6 (C) 2 (He) 3 (Li) 5 (B) 6 (C) S2 S3 Carica rilasciata Q (ADC ch) 123 230 669 909 128 251 731 991 253 526 1348 1754 85 σQ (ADC ch) 34 55 51 40 41 51 53 47 66 98 66 64 Risoluzione % 27 24 8 4 32 20 7 5 26 19 5 4 Tabella 5.4: Valori di carica misurati come media della distribuzione gaussiana associati al numero atomico della particella in transito nel ToF; nell’ultima colonna sono riportati i valori di risoluzione in carica corrispondenti. 5.3 Congruità della risposta dei contatori Un utile strumento per valutare la coerenza delle risposte dei tre contatori a scintillazione può essere seguire l’evoluzione della frammentazione. Selezionando, infatti, solo campioni riconducibili, entro una o due sigma, ad un preciso valore di Z su S1 e osservando l’evoluzione di questo campione su S2 e S3 si può, oltre ad avere una stima grossolana dei rapporti di frammentazione, verificare la validità delle corrispondenze imposte. Consideriamo le distribuzioni riportate nelle figure 5.8 e 5.9. La prima cosa da osservare è che non ci sono discordanze significative tra i tre piani riguardo il valore massimo di Z imposto: ad esempio, nessuno ione riconosciuto come Boro in S1 viene poi identificato come Carbonio su uno degli altri scintillatori; questo ci dice che non c’è componente significativa di eventi di pile-up, cioè di sovrapposizione di segnali dovuti a più particelle che attraversino lo scintillatore contemporaneamente 1 . Una piccola ambiguità è però presente nel caso dell’Elio (si vedano le distribuzioni in basso della 1 Si ricordi che i TDC utilizzati per l’acquisizione lavorano in modalità common-stop, cioè attendono il segnale di trigger per scaricare i condensatori in cui è raccolto il segnale. Può quindi avvenire che durante questa attesa al TDC arrivi un altro segnale relativo ad un altro evento che produca un supplemento di carica del condensatore; in questi casi si parla di fenomeno di pile-up. Nel caso specifico, il passaggio contemporaneo, entro i tempi di attesa del trigger, di un nucleo di Boro e, ad esempio, uno di Elio potrebbe far interpretare il segnale totale come dovuto al transito di un Carbonio. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 86 Figura 5.8: Evoluzione dei frammenti di Carbonio e Boro: le due distribuzioni in alto si riferiscono all’evoluzione, su S2 e S3, di campioni riconosciuti come Carbonio entro due sigma su S1; le distribuzioni in basso seguono invece l’evoluzione del campione di Boro. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 87 Figura 5.9: Evoluzione dei frammenti di Litio e Elio: le distribuzioni in alto riportano la frammentazione su S2 e S3 del campione identificato come Litio entro due sigma su S1; quelle in basso si riferiscono invece al campione di Elio. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 88 figura 5.9): nelle code delle distribuzioni relative all’evoluzione di quello che è identificato come Elio in S1 si possono notare degli addensamenti a valori di carica che ricadrebbero già nella zona riconducibile al Litio. Questa anomalia è però dovuta, più che a fenomeni di pile-up, ad effetti della dipendenza del segnale dalla posizione del punto d’impatto lungo lo scintillatore che, per questi frammenti più lenti e con direzioni più angolate, diventa non trascurabile; di questo effetto ci occuperemo meglio nel prossimo paragrafo. Un commento a parte lo meritano i protoni. Il guadagno dei fotomoltiplicatori, fissato mediante la scelta della tensione di alimentazione, è stato impostato a valori non troppo elevati2 , in modo da permettere la rivelazione dei nuclei relativistici di Carbonio. Ciò comporta, però, che il segnale dovuto ai protoni risulti sotto soglia: nelle distribuzioni dei conteggi ADC di S1 e S2, infatti, non vediamo nessun evento al di sotto del picco dell’Elio. Nelle distribuzioni relative a S3 compare però un piccolo addensamento intorno a 90 canali (ben visibile nelle distribuzioni a destra in figura 5.9), quindi al di sotto dei valori di carica riconducibili all’Elio. La presenza di questo picco è dovuta al fatto che lo scintillatore S3 è più corto degli altri 3 quindi il segnale giunge ai fotomoltiplicatori meno attenuato: è quindi possibile che una parte dei segnali dovuti al transito di protoni faccia scattare la soglia dei discriminatori e vanga acquisita. La lunghezza di S3 è anche responsabile del fatto che tutti i picchi delle distribuzioni di carica su tale contatore siano traslati a valori di ADC più elevati rispetto alle stesse distribuzioni misurate dagli altri due contatori. Contatore S1 S2 S3 ADC medio atteso per Be (ch) 422 458 849 Tabella 5.5: Valor medio atteso del numero di conteggi ADC associabile al transito di Berillio (Z=4) nei diversi contatori a scintillazione, calcolato in base alle regressioni lineari rappresentate dal grafico in figura 5.7. Resta da motivare l’assenza, anche nelle distribuzioni dei soli frammenti, di un picco inequivocabilmente riconducibile al Berillio (Z=4). I valori medi attesi di ADC per questo elemento, calcolati in base alle regressioni lineari dei conteggi in funzione di Z2 (riportate in figura 5.7), sono riassunti in tabella 5.5. Nell’intorno di questi valori non si riesce però a distinguere, come succede per gli altri elementi, un picco o comunque un andamento 2 sono state in realtà impostate le tensioni di alimentazione dei PMT, la cui relazione con il guadagno dei fotomoltiplicatori stessi è stata descritta nel paragrafo 4.1.1, in modo tale che tutti i fotomoltiplicatori avessero un guadagno nominale di 3.9 ·106 . 3 180 mm contro i 408 mm di S1 e i 330 mm di S2, come riportato in tabella 3.1 CAPITOLO 5. ANALISI DATI 89 assimilabile ad una gaussiana più o meno larga. I processi di frammentazione nucleare tra i cui prodotti vi sia Berillio hanno infatti una probabilità molto più bassa di avere luogo rispetto alla produzione degli altri nuclei con Z≤6 [45][46] quindi la statistica raccolta risulta insufficiente e la zona interessata risulta uniformemente poco popolata. 5.4 Correzioni per posizione e risoluzione temporale con tracciamento Abbiamo calcolato, come descritto nel paragrafo 5.1, la risoluzione con cui sono state effettuate le misure di tempo di volo, cioè dell’intervallo di tempo tra gli istanti in cui avvengono gli impatti della particella in transito con gli scintillatori di riferimanto. Calcoleremo adesso, invece, la risoluzione con cui vengono determinati proprio gli istanti dell’impatto. Per fare ciò è necessario utilizzare le relazioni che intercorrono tra il tempo misurato e la posizione del punto d’impatto, confrontata con la proiezione della traccia ricostruita dal tracker ADAMO. Figura 5.10: Andamento del ∆t/2 misurato dal ToF, proporzionale alla posizione del punto d’impatto sullo scintillatore, in funzione della posizione dello stesso punto d’impatto ricostruita dal tracker; il grafico riportato si riferisce al fascio di ioni 50Cr da 500 MeV/n. Nel paragrafo 3.3.1 abbiamo ricavato, con l’equazione 3.4, che la po- CAPITOLO 5. ANALISI DATI 90 sizione del punto d’impatto sullo scintillatore è data da vef f · ∆t vef f (t1 − t2 ) = (5.5) 2 2 dove vef f è la velocità della luce all’interno dello scintillatore mentre t1 e t2 sono gli istanti in cui i segnali, generati nell’impatto, giungono ai fotomoltiplicatori ai due lati dello scintillatore; ricordiamo che il TDC misura proprio t1 e t2 rispetto al trigger, da cui si ricava la misura dell’istante t0 in cui avviene l’attraversamento come t1 + t2 t0 = . (5.6) 2 E’ proprio sulla misura di t0 che vogliamo ricavare la risoluzione sfruttando il fatto che la risoluzione su t1 + t2 è uguale alla risoluzione su t1 − t2 . A tale scopo consideriamo i dati provenienti dal sistema tracciante4 ADAMO, descritto nel paragrafo 4.2.1. Dai dati di ADAMO è possibile ricavare (tramite gli strumenti del software di PAMELA descritti in appendice B) le coordinate x e y del punto di impatto su ognuno dei rivelatori al silicio sui quali il transito di una particella ha generato segnale. Avendo a disposizione i punti di impatto si può ricostruire la traccia, imponendo degli opportuni tagli di qualità5 , con una risoluzione spaziale dell’ordine di qualche µm. E’ quindi possibile proiettare la traccia ottenuta sugli scintillatori del ToF. La coordinata xSj cosı̀ ricostruita avrà un’indeterminazione decisamente trascurabile rispetto a quella misurata dal solo ToF, che è verosimilmente dell’ordine dei millimetri6 . Sono stati quindi eseguiti grafici dell’andamento di ∆t/2 in funzione della coordinata ottenuta per proiezione, dei quali vi è un esempio in figura 5.10. Eseguendo le regressioni lineari di tali grafici per tutti i dati disponibili si è riscontrato che c’è un’ottima uniformità dei parametri per tutte le misure effettuate con sistema ad esposizione frontale. Dalla pendenza p1 della retta ottenuta si ricava il valore della vef f , utilizzando il fattore di conversione CT DC =51 ps/ch ottenuto dalle relazioni di calibrazione delle schede di Front-End, come: xSj = vef f = 1 CT DC · p1 = (1.2943±0.0004)·108 m/s = 12.943±0.004cm/ns (5.7) compatibile con il valore medio misurato nei laboratori dell’Università di Napoli per gli scintillatori del modello di volo [11] vef f = 12.877 ± 0.003cm/ns. 4 (5.8) ovviamente i dati provenienti da ToF e Tracker sono sincronizzati tagli operati principalmente sul χ2 , per escludere, ad esempio tracce ricostruite a partire da punti relativi a transiti di particelle diverse 6 nell’ipotesi (che poi verificheremo) di una risoluzione di 1 canale sulle misure di ∆t/2 e utilizzando per vef f il valore di 1.2877·108 m/s, misurato nei laboratori dell’Università di Napoli per gli scintillatori del modello di volo [11] otterremmo una risoluzione in posizione di 7 mm. 5 CAPITOLO 5. ANALISI DATI 91 La risoluzione temporale del singolo scintillatore è invece data dalla σ della distribuzione dei residui R= ∆t − p0 − p1 xproj 2 (5.9) dove xproj è la coordinata sullo scintillatore data dalla proiezione della traccia del tracker. Le distribuzione dei residui per i tre scintillatori relative a tutti i dati raccolti durante l’esposizione frontale sono riportate in figura 5.11, mentre i valori di risoluzione temporale, δt, ricavati sono riportati in tabella 5.6. Figura 5.11: Distribuzione dei residui definita dall’equazione 5.9 calcolata con tutti i dati relativi all’esposizione frontale al fascio del sistema; la σ della distribuzione rappresenta la risoluzione temporale (in ch) del singolo scintillatore. Contatore S1 S2 S3 δt (ps) 47.6 ± 0.3 44.8 ± 0.3 45.6 ± 0.3 Tabella 5.6: Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione frontale del sistema ad ogni tipo di fascio, con e senza targhetta interposta, calcolate in base alla distribuzione dei residui 5.9. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 92 In base alle risoluzioni temporali di singolo scintillatore appena calcolate si possono ricavare anche le risoluzioni nelle misure di tempo di volo tra due dei piani di riferimento come ∆tij = q (δti )2 + (δtj )2 (5.10) I valori ottenuti, riassunti in tabella 5.7, sono compatibili con quelli calcolati in base alla 3.7 e riportati in tabella 5.2. Piani di riferimento S1 - S2 S2 - S3 S1 - S3 ∆t (ps) 65.4 ± 0.4 63.9 ± 0.4 65.9 ± 0.4 Tabella 5.7: Risoluzione delle misure di tempo di volo calcolate dalle risoluzioni di singolo scintillatore in base all’equazione 5.10; si confrontino questi valori, validi per ogni tipologia di ione, con quelli riportati in tabella 5.2, calcolati in base alle distribuzioni di β. A questo punto possiamo valutare anche la risoluzione nelle misure della coordinata del punto d’impatto xT oF (definita dalla relazione 5.13: ∆xT oF (Sj) = vef f · δtj = 6mm (5.11) E’ quindi confermata l’ipotesi, fatta all’inizio del paragrafo, che l’indeterminazione sulle misure di posizione del sistema tracciante è trascurabile rispetto a quella sulle misure di posizione eseguite dal ToF. Contatore S1 S2 S3 δt (ps) 147 ± 1 134.7 ± 0.8 137.7 ± 0.7 Tabella 5.8: Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione del sistema posto a 45 gradi rispetto alla direzione del fascio, calcolate in base alla distribuzione dei residui 5.9. Per quanto riguarda i dati relativi alle misure compiute in notturna con l’apparato posto a 45 gradi rispetto alla direzione del fascio, le risoluzioni temporali calcolate con i metodi appena descritti sono risultate decisamente peggiori. I valori ottenuti sono riportati in tabella 5.8. Questa discrepanza cosı̀ marcata, viene parzialmente spiegata, e risolta, tenendo conto dell’effetto di Time Walk, descritto nel paragrafo 4.5.3. Riportando su grafico, CAPITOLO 5. ANALISI DATI 93 Figura 5.12: Andamento dei residui in funzione della carica: è evidente l’effetto di Time Walk. I dati sono stati interpolati con la funzione 4.7. I parametri calcolati sono stati utilizzati per la correzione Tempo-Ampiezza. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 94 infatti, i residui in funzione dell’intensità del segnale si riscontra un andamento perfettamente analogo a quelli descritti nel paragrafo 4.5.3, come si può vedere comparando le figure 5.12 e 4.9. Anche in questo caso i dati sono stati interpolati con la funzione 4.7; in base ai parametri calcolati si è potuta operare la correzione Tempo-Ampiezza delle misure di tempo tij ricavate ad ogni lato (i) di ogni contatore (j): p1 p2 tij = T DCij − p0 + p + ADCij ADCij ! (5.12) dove T DCij e ADCij rappresentano il numero di conteggi effettuati da TDC e ADC per il segnale d’uscita del fotomoltiplicatore i dello scintillatore Sj . Le misure cosı̀ ottenute sono in ch, per ottenere le misure in unità di tempo bisogna ancora una volta moltiplicare per il fattore di conversione CT DC . Questa correzione comporta un miglioramento della risoluzione nelle misure di tempo eseguite a 45 gradi del 15-20%, come si può vedere confrontando i valori riportati in tabella 5.9 con quelli in tabella 5.8. Contatore S1 S2 S3 δt (ps) 117.1 ± 0.9 114.7 ± 0.6 109.0 ± 0.6 Tabella 5.9: Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione del sistema posto a 45 gradi rispetto alla direzione del fascio, con la correzione Tempo-Ampiezza; si confrontino tali valori con quelli riportati in tabella 5.8, ricavati senza effettuare la suddetta correzione. Per quanto riguarda le misure di tempo relative all’esposizione frontale al fascio, la correzione Tempo-Ampiezza ha effetti sulla risoluzione temporale inferiori all’1%. Va inoltre sottolineato che i parametri calcolati a partire dall’interpolazione dei residui sono compatibili, opportunamente riscalati per essere ricondotti nelle stesse unità di misura, con quelli calcolati a partire dalle misure di calibrazione. Un’altra informazione che si può trarre a partire dalle misure di posizione del punto d’impatto è la stima dell’attenuazione luminosa degli scintillatori. Come già accennato in precedenza, un “difetto”degli scintillatori plastici è quello di avere piccole lunghezze di attenuazione (che indicheremo nel seguito con λatt ); un effetto di questa caratteristica è già stato evidenziato nel paragrafo precedente, quando si è spiegato come mai su S3 si sia potuta riscontrare anche una piccola componente di protoni. La conseguenza più importante è però sicuramente rendere il segnale dipendente dalla posizione CAPITOLO 5. ANALISI DATI 95 Figura 5.13: Distribuzione dei punti d’impatto degli ioni lungo gli scintillatori durante l’esposizione frontale al fascio di nuclei di 12C da 1200 MeV/n. L’origine dell’asse x è posta nel centro degli scintillatori; si può quindi notare che i tre contatori non erano centrati rispetto alla direzione del fascio. CAPITOLO 5. ANALISI DATI 96 del punto d’impatto lungo lo scintillatore. Si osservino i grafici a destra in figura 5.14: in essi sono rappresentati gli andamenti del numero di conteggi effettuati dall’ADC per le varie famiglie di frammenti in funzione del ∆t/2, in ch, che, come abbiamo detto, è proporzionale alla posizione del punto d’impatto lungo lo scintillatore; i grafici si riferiscono allo scintillatore S3, sul quale il fascio arriva meno collimato (come si può vedere anche dall’allargamento della distribuzione dei punti d’impatto lungo gli scintillatori riportata in figura 5.13, per aver già interagito con S1, S2 e ADAMO, quindi la dipendenza dalla posizione è più evidente. L’andamento dell’intensità del segnale If registrato all’estremità dello scintillatore in funzione dell’intensità del segnale generato Ii e della distanza ∆x dell’estremità dal punto d’impatto è regolato da una legge del tipo [47, 48]: − λ∆x If = Ii · e (5.13) att Per alcune tipologie di scintillatori plastici questo tipo di funzione non interpola bene gli andamenti perché la lunghezza di attenuazione non è propriamente una costante caratteristica del mezzo; per alcuni materiali scintillanti, infatti, la riflettività diventa non trascurabile rispetto all’autoassorbimento [49]: in questi casi λatt è più grande per i segnali più intensi e più piccola per quelli meno intensi. Questo è proprio il nostro caso. La correzione dei dati è stata quindi svolta imponendo: ∆x 1 corr ADCij = ADCij · e λatt (5.14) per ADCij ≤800ch e ∆x 2 corr ADCij = ADCij · e λatt (5.15) negli altri casi. I parametri numerici sono stati calcolati eseguendo regressioni esponenziali dei dati negli intervalli considerati. Con questa correzione i segnali sono stati resi indipendenti dalla posizione del punto d’impatto, come si può notare dalla figura 5.14; ciò ha avuto influenza anche sulle distribuzioni in carica. Come si può vedere dalle distribuzioni in figura 5.13, infatti, gli scintillatori non erano perfettamente centrati rispetto alla direzione del fascio: considerare come carica rilasciata la media delle delle misure operate alle due estremità non bastava quindi a compensare bene l’attenuazione. I valori medi delle distribuzioni di ADC corrette associate ai diversi nuclei, e le rispettive risoluzioni, sono riportati in tabella 5.10; il risultato più significativo si ha nella separazione tra He e Li, che aumenta da 1.21σ a 1.54σ. CAPITOLO 5. ANALISI DATI Scintillatore Z S3 2 (He) 3 (Li) 5 (B) 6 (C) Carica rilasciata Q (ADC ch) 269 556 1374 1794 97 σQ (ADC ch) 77 108 65 66 Risoluzione % 28 19 4.6 3.7 Tabella 5.10: Valori di carica misurati come media della distribuzione gaussiana associati al numero atomico della particella in transito nel ToF; nell’ultima colonna sono riportati i valori di risoluzione in carica corrispondenti. Questi valori, che tengono conto della correzione dell’attenuazione, vanno confrontati con quelli in tabella 5.4 Figura 5.14: Grafici dell’andamento del segnale d’uscita dei fotomoltiplicatori di S3 in funzione della posizione del punto d’impatto lungo lo scintillatore; nei grafici di destra, senza correzione, è evidente la dipendenza del segnale dalla posizione, nei grafici a sinistra il segnale è stato reso indipendente dalla posizione stessa correggendo i dati per l’attenuazione luminosa. Conclusioni Scopo principale di questo lavoro di tesi era valutare la capacità del sistema rivelatore-elettronica di ottenere misure di tempo e discriminazioni in carica con risoluzioni paragonabili a quelle attese in base ai parametri di progettazione; in tutti i casi questa compatibilità si è verificata. Per le risoluzioni temporali i valori ricavati sono risultati anche migliori di quelli attesi. Le misure di carica effettuate seguono l’andamento lineare in Z 2 previsto dalla Bethe-Bloch e le risoluzioni in carica migliorano all’aumentare di Z mantenendo circa costante la risoluzione per singolo nucleone. La correzione degli effetti di Time Walk e attenuazione luminosa ha dato risultati soddisfacenti. Si può quindi affermare che il sistema è stato opportunamente caratterizzato nella configurazione utilizzata, cioè con i valori di guadagno dei fotomoltiplicatori e di soglia dei discriminatori che verranno utilizzati anche dall’esperimento in orbita per l’identificazione di nuclei all’interno della radiazione cosmica. Per concludere in maniera esaustiva il lavoro di caratterizzazione della replica di terra del ToF potrebbe risultare utile esporre il sistema, nelle altre configurazioni di soglia e guadagno selezionabili, a fasci di protoni, per valutare le prestazioni anche in relazione a questo tipo di particelle in transito. Il futuro dell’esperimento PAMELA, comunque, è essenzialmente legato ai dati che cominciano ad arrivare dallo spazio e alle informazioni che da essi sarà possibile trarre. 98 Appendice A Il Software SRIM SRIM [38](acronimo di “the Stopping and Range of Ions in Matter ”) è un insieme di programmi atti a misurare lo stopping power e il range di ioni, di energia compresa tra 10 eV e 2 GeV/amu, in materia trattando quantomeccanicamente le singole collisioni tra gli ioni “proiettile”e gli atomi costituenti la targhetta. Tra i suddetti elementi, durante l’attraversamento, avvengono complesse interazioni coulombiane schermate, comprendenti anche interazioni di scambio e correlazione tra shell elettroniche che si sovrappongono [46], che vengono investigate, analizzate e descritte dal software tenendo conto delle strutture elettronica collettiva e di legame interatomico del bersaglio. Lo stato di carica dello ione viene descritto in base al concetto di carica efficace, dipendente dalla velocità e schermata a lungo range a causa del “mare di elettroni”. A.1 Il Programma di Simulazione TRIM Nel pacchetto SRIM è compreso il programma di simulazione TRIM (TRansport of Ions in Matter ) che sviluppa un calcolo Monte-Carlo, basato su algoritmi statistici, del comportamento di ioni nel passaggio attraverso materia, fornendo calcoli dettagliati dell’ energia trasferita durante ogni collisione con atomi della targhetta. Il software permette di considerare sistemi discretamente complessi, con targhette, stratificate e multifasiche, di composti diversi, e di ottenere distribuzioni tridimensionali di ionizzazione, produzione di fononi, creazione di cascate ecc.. TRIM è stato usato al fine di ottenere previsioni sulla risposta della strumentazione ai test beam. 99 Appendice B Il Software di PAMELA. Per la gestione e l’analisi dei dati trasmessi da PAMELA è stato appositamente creato dalla collaborazione un software in linguaggio C++ che utilizza le classi di ROOT [50]. Tale software è diviso in vari programmi che svolgono operazioni consequenziali ben definite [51]. I dati forniti da NTsOMZ (le cui caratteristiche sono descritte nel paragrafo 2.6.2) vengono inizialmente processati dal programma RawReader che spacchetta il contenuto del downlink 1 e separa le informazioni relative ai singoli download2 . Dopo ciò le informazioni vengono processate dal programma Yoda [52], che riconosce, all’interno di ogni download, tutti i dati relativi ad ogni singolo evento identificato da un segnale di trigger, e li suddivide per i diversi sottorivelatori da cui sono stati prodotti, creando cosı̀ gli item (oggetti del codice) di livello 0 di PAMELA (ad esempio l’oggetto tofevent, che richiama tutto l’array derivato dalla lettura della memoria delle schede di Front-End del ToF all’arrivo di un preciso segnale di trigger). A questo punto i dati vengono duplicati; una delle copie viene sottoposta ad una prima analisi sommaria mediante il programma Quick Look, la cui funzione è, come dice anche il nome, fornire rapidi strumenti di controllo del funzionamento dell’apparecchiatura in tempi quanto più brevi possibile. L’altra copia continua invece l’iter procedurale passando al vaglio dello YodaCleaner, che raggruppa tutte le informazioni con lo stesso identificativo e elimina eventuali ripetizioni. A questo punto può intervenire lo YodaProfiler che crea gli item di livello 1 di PAMELA, cioè gli oggetti di codice che richiamano solo la parte dell’informazione (che, ricordiamo, è fondamentalmente una sequenza binaria) relativa ad ogni determinata misura di una precisa entità fisica (ad esempio, all’interno dell’array di dati richiamato dal già citato oggetto tofevent, gli oggetti ADC, T DC, e temp richiamano solo le righe e colonne in cui sono espresse le misure, rispettivamente, di carica, tempo e temperatura). Lo Y odaP rof iler svolge anche la funzione di riempire, con gli item di livello 0 1 2 trasferimento dei dati da satellite a base trasferimento dei dati dalla PSCU di PAMELA a quella del satellite 100 APPENDICE B. IL SOFTWARE DI PAMELA. 101 e 1, il DataBase. L’ultima parte del software di PAMELA è il programma DarthVader, che processa calibrazioni e correzioni dei dati per ottenere gli item di livello 2, cioè quelli che verranno poi utilizzati per l’analisi vera e propria. 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La parte marcata delle linee è il range atteso per le misure di energia di PAMELA [11] . . . . 1.4 Spettro differenziale dei raggi cosmici. . . . . . . . . . . . . . 1.5 Risultati sperimentali attuali nella misura del rapporto B/C al limite dell’atmosfera a confronto con il range atteso per le misure di PAMELA. La linea sovrapposta ai punti sperimentali rappresenta un calcolo teorico svolto da Molnar e Simon [12] nell’ambito di uno studio di un modello di diffusione dei raggi cosmici da parte dell’alone galattico senza riaccelerazione. 1.6 Abbondanze relative (misurate a 1 AU) degli elementi con Z≤28 nei raggi cosmici rispetto alle quantità medie del Sistema Solare. I valori sono relativi ad un’abbondanza di Carbonio pari a 100 [13]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7 Rappresentazione schematica delle fasce di radiazione e del moto delle particelle intrappolate. . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8 Schema della Magnetosfera Terrestre Investita dal Vento Solare. 1.9 Dati sperimentali relativi al rapporto di flusso tra antiprotoni e protoni a confronto con le previsioni teoriche (linea spezzata) relative alla sola produzione secondaria. . . . . . . . 1.10 Confronto fra stime teoriche e dati sperimentali recenti relativi al flusso di antiprotoni nei raggi cosmici: le linee continua e tratteggiata indicano le previsioni teoriche per produzione puramente secondaria di p mentre la linea punteggiata riporta i calcoli relativi esclusivamente a produzione primaria. Sono inoltre riportati, in rosso, i risultati attesi dalle osservazioni di PAMELA nel caso di produzione puramente secondaria (quadri) e contaminazione di componente primaria (cerchi). . 107 3 8 12 16 20 21 23 25 28 29 ELENCO DELLE FIGURE 1.11 Dati sperimentali relativi al rapporto tra positroni ed elettroni a confronto con le quantità previste in caso di produzione esclusivamente secondaria: la linea continua e quella a tratti rappresentano le previsioni dei due modelli di produzione secondaria più accreditati; i punti rossi indicano invece i rapporti di flusso previsti per PAMELA. Notiamo che le previsioni di PAMELA si discostano molto dalle altre nelle zone di più alta energia, dove tengono conto della componente di flusso teorizzata per le annichilazioni di WIMPS (riportata sul grafico mediante la curva puntinata in basso a destra). . . 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Fotografia del lancio del missile Soyuz, vettore del satellite Resurs-DK1 che ospita PAMELA. . . . . . . . . . . . . . . . PAMELA e i suoi sottorivelatori. . . . . . . . . . . . . . . . . Schema telescopico dei componenti di PAMELA. . . . . . . . Potenzialità di PAMELA nella determinazione dei rapporti di flusso antimateria/materia a raffronto con i limiti superiori posti da missioni precedenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Schema dell’orbita ellittica quasi-polare di PAMELA. L’inclinazione è di 70◦ , la quota varia tra 350 e 600 km. . . . . . . . Disegno isometrico della disposizione dei tre piani S1, S2 e S3 a formare il ToF di PAMELA. . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Spettro di emissione caratteristico di uno scintillatore Bicron BC-404 [32]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 In figura si possono osservare, da sinistra, un’estremità dello scintillatore, la guida ottica, il fotomoltiplicatore e la scheda di connessione all’elettronica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Un fotomoltiplicatore Hamamatsu R5900; l’immagine ne evidenzia le piccole dimensioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Disegno schematico e fotografia dell’assemblaggio del fotomoltiplicatore. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Risposta spettrale tipica di un fotomoltiplicatore Hamamatsu R5900 [34]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 Configurazione “metal channel”dei dinodi. . . . . . . . . . . . 3.8 Schema a blocchi dell’elettronica del ToF di PAMELA (in particolare del modello di terra) e della sequenza di trasmissione delle informazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.9 Schema a blocchi dell’elettronica di Front-End del ToF di PAMELA: la linea rossa rappresenta la linea di propagazione del segnale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.10 Diagrammi temporali per la misura di tempo con il sistema di espansione a doppia rampa dei TDC. . . . . . . . . . . . . 3.11 Diagrammi temporali per la conversione carica-tempo. . . . . 108 30 32 33 34 36 37 3.1 45 46 47 48 48 49 50 51 51 52 54 ELENCO DELLE FIGURE 3.12 Configurazione schematica di un singolo scintillatore del ToF durante operazioni di misura di tempo e carica. . . . . . . . . 3.13 Diagrammi temporali dei segnali PMT1, PMT2 e TRIGGER in ingresso al TDC; con t0 viene indicato l’istante reale di attraversamento della particella. . . . . . . . . . . . . . . . . 3.14 Schema delle grandezze da considerare per la determinazione del tempo di volo nella semplificazione di due soli piani del ToF di PAMELA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.15 Grafico dell’energia persa per ionizzazione in funzione del β della particella ottenuto con le misure del ToF di ISOMAX [37]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 Schema della replica di terra del ToF di PAMELA nella configurazione minima assemblata. Nel disegno sono riportati anche i codici identificativi dei fotomoltiplicatori utilizzati. . . Esempio di grafico della frequenza di output di uno dei fotomoltiplicatori selezionati al variare della tensione di alimentazione; il punto di lavoro è stato scelto, per ogni PMT, tra i 780 V e gli 820 V, in modo da mantenere costante il guadagno per tutti i fotomoltiplicatori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Schema del setup sperimentale esposto al fascio di ioni. . . . Fotografia di due ladder di ADAMO; in quello più in alto si possono osservare i due sensori al silicio che sono invece coperti, in quello in basso, dallo strato di mylar che ne assicura l’isolamento ottico in fase di presa dati [40]. . . . . . . . . . . Simulazione dell’energia rilasciata dal fascio di ioni 58 N i da 200 MeV/n all’interno dell’apparato sperimentale in funzione della profondità della targhetta: i due grafici diferiscono in quanto quello a sinistra si riferisce al calcolo senza strati isolanti, che sono invece presenti nel grafico più a destra. Si noti il picco di Bragg all’interno del quarto strato, corrispondente ad S3: per apprezzare meglio precessione e abbassamento di tale picco, sul grafico più a destra sono riportate delle linee colorate che marcano i valori di riferimento del grafico a sinistra. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esempio delle regressioni lineari effettuate a partire dai dati di calibrazione della sezione di tempo delle schede di FrontEnd; in particolare, i grafici in figura si riferiscono ai primi quattro canali di una delle schede del modello di volo, il cui nome simbolico è “sk6 ”. Si noti che in questo grafico non è riportata la zona di saturazione. . . . . . . . . . . . . . . . . 109 55 56 57 59 62 62 63 64 68 70 ELENCO DELLE FIGURE 4.7 4.8 4.9 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 Esempio di grafico dell’andamento del numero di conteggi effettuati dal TDC al variare della carica iniettata dal generatore di segnali; per rendere maggiormente evidente il ginocchio e il cambiamento di pendenza della curva è stata sovrapposta al grafico solo la regressione lineare relativa al range di linearità a valori di carica più bassi. . . . . . . . . . . . . . . Esempio di Time Walk: i due segnali, generati contemporaneamente ma con ampiezze, e quindi tempi di salita, diverse, attraversano la soglia in momenti diversi; si noti che la differenza è maggiore quanto più alta è la soglia. . . . . . . . Esempio di grafico dell’andamento delle misure di ∆t, imposto costante, in funzione della carica iniettata; la deviazione dall’andamento atteso è causata dall’effetto di Time Walk. . . Esempio di distribuzione dei conteggi ADC (e quindi della carica) sui tre scintillatori, relativa ad un campione di dati raccolti durante l’esposizione frontale, senza targhetta interposta, al fascio di 12 C con energia cinetica di 200 MeV/n. Si può notare distintamente il picco riconducibile al transito di nuclei di Carbonio non frammentati, al quale ben si adatta una gaussiana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Istogrammi dei valori di K1 ricavati, per ogni piano, invertendo la relazione 3.7 su campioni di β noto; in particolare, il grafico in figura si riferisce al campione di 12 C da 1200 MeV/n non frammentato, avente β ∼0.90. . . . . . . . . . . . . . . . Andamento della costante di calibrazione K1 al variare di β; si noti principalmente la compatibilità, entro gli errori, dei valori ottenuti, rimarcata anche dal valore, compatibile con zero, della pendenza della regressione lineare. . . . . . . . . . Distribuzione in β del Carbonio da 1200 MeV/n non frammentato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Grafico dei conteggi ADC in funzione di β per i frammenti del Carbonio da 1200 MeV/n; le bande più densamente popolate seguono l’andamento della Bethe-Block al minimo di ionizzazione per i diversi valori di Z. Si noti che, per meglio evidenziare la famiglia di curve relative ai prodotti di frammentazione, i dati relativi al Carbonio non frammentato sono stati tagliati: ne sopravvive solo un piccolo residuo nella parte alta del grafico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distribuzioni dei conteggi ADC sui tre scintillatori relative all’esposizione al fascio di Carbonio da 1200 MeV/n con targhette frapposte per aumentare la frammentazione; i picchi delle distribuzioni sono interpolati con gaussiane. . . . . . . . . . . 110 72 74 75 78 79 80 81 82 83 ELENCO DELLE FIGURE 5.7 5.8 5.9 5.10 5.11 5.12 5.13 5.14 Linearità dei conteggi ADC effettuati dai contatori a scintillazione rispetto al quadrato del numero atomico Z. . . . . . . Evoluzione dei frammenti di Carbonio e Boro: le due distribuzioni in alto si riferiscono all’evoluzione, su S2 e S3, di campioni riconosciuti come Carbonio entro due sigma su S1; le distribuzioni in basso seguono invece l’evoluzione del campione di Boro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Evoluzione dei frammenti di Litio e Elio: le distribuzioni in alto riportano la frammentazione su S2 e S3 del campione identificato come Litio entro due sigma su S1; quelle in basso si riferiscono invece al campione di Elio. . . . . . . . . . . . . Andamento del ∆t/2 misurato dal ToF, proporzionale alla posizione del punto d’impatto sullo scintillatore, in funzione della posizione dello stesso punto d’impatto ricostruita dal tracker; il grafico riportato si riferisce al fascio di ioni 50Cr da 500 MeV/n. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distribuzione dei residui definita dall’equazione 5.9 calcolata con tutti i dati relativi all’esposizione frontale al fascio del sistema; la σ della distribuzione rappresenta la risoluzione temporale (in ch) del singolo scintillatore. . . . . . . . . . . . Andamento dei residui in funzione della carica: è evidente l’effetto di Time Walk. I dati sono stati interpolati con la funzione 4.7. I parametri calcolati sono stati utilizzati per la correzione Tempo-Ampiezza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Distribuzione dei punti d’impatto degli ioni lungo gli scintillatori durante l’esposizione frontale al fascio di nuclei di 12C da 1200 MeV/n. L’origine dell’asse x è posta nel centro degli scintillatori; si può quindi notare che i tre contatori non erano centrati rispetto alla direzione del fascio. . . . . . . . . . . . . Grafici dell’andamento del segnale d’uscita dei fotomoltiplicatori di S3 in funzione della posizione del punto d’impatto lungo lo scintillatore; nei grafici di destra, senza correzione, è evidente la dipendenza del segnale dalla posizione, nei grafici a sinistra il segnale è stato reso indipendente dalla posizione stessa correggendo i dati per l’attenuazione luminosa. . . . . . 111 84 86 87 89 91 93 95 97 Elenco delle tabelle 3.1 3.2 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 Tabella riassuntiva delle principali caratteristiche geometriche dei contatori a scintillazione del ToF di PAMELA. . . . . . . Distanze tra i piani di contatori nel modello di volo del ToF di PAMELA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 46 Valori calcolati della costante di calibrazione K2 in base alla relazione 5.2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Valori della costante di calibrazione K1 calcolati in base alla relazione 3.7 per ioni di β noto. . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 Valori di β misurati come media della distribuzione gaussiana a confronto con i valori attesi; nell’ultima colonna sono inoltre riportati i valori di risoluzione temporale corrispondenti. . . . 81 Valori di carica misurati come media della distribuzione gaussiana associati al numero atomico della particella in transito nel ToF; nell’ultima colonna sono riportati i valori di risoluzione in carica corrispondenti. . . . . . . . . . . . . . . . 85 Valor medio atteso del numero di conteggi ADC associabile al transito di Berillio (Z=4) nei diversi contatori a scintillazione, calcolato in base alle regressioni lineari rappresentate dal grafico in figura 5.7. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione frontale del sistema ad ogni tipo di fascio, con e senza targhetta interposta, calcolate in base alla distribuzione dei residui 5.9. . . . . . . . . . . . . . 91 Risoluzione delle misure di tempo di volo calcolate dalle risoluzioni di singolo scintillatore in base all’equazione 5.10; si confrontino questi valori, validi per ogni tipologia di ione, con quelli riportati in tabella 5.2, calcolati in base alle distribuzioni di β. 92 Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione del sistema posto a 45 gradi rispetto alla direzione del fascio, calcolate in base alla distribuzione dei residui 5.9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 112 ELENCO DELLE TABELLE 5.9 113 Risoluzioni nelle misure di tempo dei singoli contatori a scintillazione relative all’esposizione del sistema posto a 45 gradi rispetto alla direzione del fascio, con la correzione TempoAmpiezza; si confrontino tali valori con quelli riportati in tabella 5.8, ricavati senza effettuare la suddetta correzione. . 94 5.10 Valori di carica misurati come media della distribuzione gaussiana associati al numero atomico della particella in transito nel ToF; nell’ultima colonna sono riportati i valori di risoluzione in carica corrispondenti. Questi valori, che tengono conto della correzione dell’attenuazione, vanno confrontati con quelli in tabella 5.4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97