Programma - Società del Quartetto
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Programma - Società del Quartetto
Sala Verdi del Conservatorio Martedì 14 marzo 2006, ore 20.30 S TA G I O N E 2 0 0 5 • 2 0 0 6 Katia Labèque pianoforte Viktoria Mullova violino Gautier Capuçon violoncello 14 Consiglieri di turno Sig.ra Letizia Torrani Gonzales Avv. Antonio Magnocavallo Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il sostegno di Con il sostegno di FONDAZIONE CARIPLO Si ringrazia per il ciclo “Musica da Camera” Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite. Katia Labèque pianoforte Viktoria Mullova violino Gautier Capuçon violoncello Maurice Ravel (Ciboure, Pirenei 1875 - Parigi 1937) Trio in la Intervallo Franz Schubert (Lichtenthal, Vienna 1797 - Vienna 1828) Trio n. 2 in mi bemolle maggiore op. 100 D 929 Maurice Ravel Trio in la Modéré Pantoum (Assez vif) Passacaille (Très large) Final (Animé) L’unico trio di Ravel si può leggere come una sintesi efficace dell’intero sistema di riferimenti artistici del suo autore. Fu scritto fra inizi di aprile e fine agosto del 1914 a Saint-Jean-de-Luz, non lontana dalla nativa Ciboure, dunque nella regione dei Pirenei vicini alla costa atlantica, che è come dire nel pieno della nazione basca in territorio francese. Insomma era a casa sua, in un rifugio raccolto e isolato, lontano dalla mondanità cosmopolita di Parigi, nella quale peraltro si muoveva benissimo. Vicino ai quarant’anni, viveva un felice periodo creativo, confortato dai successi internazionali di lavori pianistici come Jeux d’eau (1901), Miroirs (1905), Gaspard de la nuit (1908), Ma mère l’Oye (1908) e deciso ad allargare le sue esperienze alla musica per altri strumenti, da camera, per orchestra. Certamente si trovava, in piena consapevolezza, in una fase di transizione. Appunto il trio diventa la perfetta testimonianza della conclusione della stagione impressionista di Ravel, giovanile e sopravvalutata. Riporta in primo piano la base vera del linguaggio di Ravel: il rimpianto per il passato barocco e classico, per le forme pulite e lineari, insomma per la grande tradizione francese che comprende stabili infatuazioni per il popolaresco iberico e per l’esotismo orientale. Si osservi il primo movimento del Trio. L’analisi può rivelare una classica costruzione in forma sonata, con esposizione e sviluppo e ripresa e coda. Però viene più spontaneo leggerlo come un languido e un poco indolente fantasticare attorno a un tema delizioso, che ha chiare origini popolaresche, basche. La melodia sarebbe banale se il ritmo non avesse geniale flessuosità. C’è un secondo tema, che però non si percepisce tanto come melodia quanto come diverso ambito armonico, anticipatore delle politonalità degli anni Venti. Non ci sono veri e propri contrasti, ma solo transizioni e sovrapposizioni appena accennate di brevi momenti onirici e fiabeschi, che convergono verso la stupenda coda che tutto riassume per chiudere e sciogliere. La componente esotica è esplicita nel secondo tempo, che trasferisce in musica il pantun (o, alla francese, pantoum) un genere poetico di carattere popolare, diffuso in Malesia. È fatto di quartine, i cui primi due versi trattano un argomento del tutto diverso (almeno all’apparenza) da quello trattato dagli altri due. Quello schema bizzarro fu introdotto in Europa dal poeta tedesco Adalbert von Chamisso, nel primo Ottocento. Più tardi entusiasmò i francesi Verlaine e Baudelaire. In musica lo sperimentò per primo Debussy, con la lirica per canto e pianoforte Harmonie du soir su testo pantunista di Baudelaire. Ravel propose il suo contributo venticinque anni dopo, appunto nel secondo tempo del Trio. Ne seguì con coerenza il dettato formale: due idee distinte sono esposte separatamente e intrecciate con gran maestria, mentre l’ascolto intuisce l’origine comune e la conseguente necessità di associazione. Dopo tutto, però, anche la tradizionale e occidentale definizione di “Scherzo” può andar bene per questo rapido movimento che nella sua nervosa alternanza di punti e segmenti (precubisti) mostra come sia ormai superata l’epoca delle macchie sonore (impressioniste). Che l’impressionismo stia passando si sente bene nel terzo tempo. Il titolo è chiaro, Passacaille, cioè forma barocca, seppure di origine messicana, dunque esotica. Per undici volte viene riproposto il basso fondamentale di otto battute, con regolare sovrapposizione di variazioni, a loro volta ridotte a stupefacente essenzialità di timbri e intervalli per dare melodie struggenti oppure classicamente composte. Facile leggervi una garbata anticipazione delle nostalgie settecentesche dell’ormai prossimo Le Tombeau de Couperin per pianoforte (1917). Con il finale, Ravel rientra nell’alveo della grande tradizione strumentale da camera francese, di fine Ottocento e di primo Novecento. Vi si sente il passato prossimo dell’impressionismo e dell’ultimo romanticismo; ci sono Debussy e Fauré, Franck e Saint-Saëns; e mancano del tutto quei grandi romantici tedeschi che nel genere del trio con pianoforte sembravano gli unici in grado di dire qualcosa. Così Ravel è riuscito nel suo intento - dichiarato - di scrivere un trio del tutto nuovo e il più possibile “francese”. La prima esecuzione ebbe luogo il 28 gennaio 1915 alla Salle Gaveau di Parigi, fra l’altro con Alfredo Casella al pianoforte. Il successo fu immediato, ma non diede luogo all’atteso flusso di nuovi lavori nel medesimo stile. Anzi, in un certo senso coincise col brusco arresto della creatività di un Ravel letteralmente sconvolto dallo scoppio della prima guerra mondiale. Al punto di fare di tutto per arruolarsi come volontario ed essere mandato al fronte. Cosa che gli riuscì solo in parte, perché si rivelò subito inadeguata la sua costituzione fisica minuta e fragile, complicata dall’età non più giovane. Fu infatti subito congedato e per un paio d’anni non scrisse nulla. Solo nel 1917 riuscì a completare Le Tombeau de Couperin, certificando quella svolta neoclassica che peraltro stava scritta nei suoi cromosomi. Franz Schubert Trio n. 2 in mi bemolle maggiore op. 100 D 929 Allegro Andante con moto Scherzo (Allegro moderato) e Trio Allegro moderato Il Trio in mi bemolle maggiore op. 100 fu uno dei pochi lavori strumentali di Schubert ad avere successo immediato. Suscitò entusiasmo alla prima esecuzione nella sala del Musikverein di Vienna il 26 dicembre 1827; affidata a interpreti prestigiosi, oltre che amici: Bocklet al pianoforte, Schuppanzigh al violino e Lincke al violoncello. Subito pubblicato (Probst, Lipsia 1828), si diffuse rapidamente in Germania, in Francia, in Inghilterra, e poi in tutto il mondo. Minor fortuna, almeno all’inizio, aveva avuto il quasi gemello Trio in si bemolle maggiore op. 99, scritto forse nell’estate del 1827 e che solo dopo la tardiva pubblicazione (Vienna 1836) riuscì a inserirsi stabilmente nel repertorio concertistico, stimato dalla critica forse ancor più dell’altro. Comunque, a favore dei due grandi trii di Schubert, giocò un celebre scritto di Robert Schumann che, oltre ad esaltarli entrambi, così li distinse: «mentre il trio in mi bemolle è attivo, virile, drammatico, quello in si bemolle è passivo, femminile, lirico...». L’opinione è difficile da contestare e ha il merito di sintetizzare i caratteri dei due lavori senza pretendere di instaurare gerarchie artistiche. Come nel caso dell’op. 99 e in generale di tutti i lavori strumentali dell’ultima stagione creativa di Schubert, il Trio op. 100 ha una struttura formale amplissima oltre che assai libera. Un’analisi di tipo accademico avrebbe buon gioco nel rilevare squilibri e dispersioni rispetto ai modelli classici. È chiaro però che i criteri di valutazione della costruzione schubertiana devono essere diversi, perché l’unità dell’insieme si realizza con altri mezzi musicali, per esempio facendo derivare da poche cellule fondamentali tutto l’ampio materiale melodico, ritmico e armonico dei quattro movimenti. Quanto poi la cosa sia stata preordinata consapevolmente da Schubert e quanto invece sia da considerare frutto della solita miracolosa continuità dell’ispirazione è difficile dire. Certo è che in ognuno dei quattro movimenti del Trio op. 100 sentiamo il ricorrere di temi e ritmi, che a volte sono ben individuabili, ma che più spesso sono lampi della memoria che nessuno riesce a definire e classificare. Il gioco delle note ribattute che caratterizza l’intero lavoro appare per la prima volta con la voce del pianoforte nel celebre tema dell’“Allegro” iniziale, esposto subito dopo un primo nucleo tematico quasi beethoveniano. Completa l’esposizione un nuovo motivo, dolcissimo. Su questi tre temi si sviluppa un lungo gioco di modulazioni inaspettate, di variazioni melodiche. Non mancano echi di altre composizioni schubertiane, come l’arabescato disegno del pianoforte che accompagna spesso il terzo tema e che ricorda tanto l’Improvviso per pianoforte op. 90 n. 4. Il primo movimento si conclude in “pianissimo”, con un richiamo del tema principale ridotto alla sua essenza: sei note ribattute. L’“Andante con moto” si apre con una lunga melodia del violoncello accompagnata da massicci accordi del pianoforte. Secondo una lunga tradizione (non verificabile però) Schubert avrebbe utilizzato un motivo di origine popolare svedese, cantato dal tenore (svedese) Isaac Albert Berg, suo buon amico. La melodia potrebbe anche essere stata rielaborata o addirittura interamente riscritta da Schubert. In ogni caso la sua valorizzazione nell’“Andante con moto” raggiunge un livello artistico assoluto, paragonabile agli analoghi momenti di lavori come la Wanderer Fantasie per pianoforte e il quartetto “La morte e la fanciulla”. Con una serie di affascinanti metamorfosi, si passa progressivamente dal disteso lirismo iniziale a una romantica sezione centrale, sostenuta dall’ossessivo ribattere degli accordi del pianoforte. Placatosi l’episodio, l’“Andante” termina con una breve coda: i temi fondamentali del movimento sono riproposti in una dimensione schiettamente schubertiana, fra l’estatico e l’allucinato. Nello “Scherzo”, Schubert ricorre all’antica tecnica del canone per inquadrare echi di danze popolaresche e di numerose altre sue composizioni. Il “Trio” centrale non è lirico, ma perentorio, anzi ha l’aggressività dei timidi. Vi si riconosce facilmente la ripresa del tema per note ribattute incontrato all’inizio del primo movimento. Per note ribattute è anche il motivo che nel finale “Allegro moderato” coordina un materiale melodico ricchissimo, ancora una volta ricavato dai movimenti precedenti (la doppia citazione letterale della “melodia svedese” non può sfuggire). Si tratta di una specie di movimento-riassunto, esempio fra i primissimi di una tendenza che avrebbe caratterizzato molta musica dell’Ottocento romantico, da Liszt a Franck, fino a Bruckner e Mahler. Enzo Beacco Katia Labèque pianoforte Katia Labèque è nata in Costa Basca francese, vicino al confine con la Spagna. Ha ricevuto le prime lezioni di pianoforte dalla madre, italiana, all’età di tre anni. In seguito ha frequentato il Conservatorio di Parigi, meritando il “Premier Prix”. Nota per l’ampiezza del suo repertorio - da Bach, Mozart e Schubert a Stravinskij, Gershwin e Bernstein, fino ai compositori d’avanguardia del Novecento - Katia Labèque ha suonato con le più grandi orchestre: Berliner e Wiener Philharmoniker, London Symphony e London Philharmonia, Concertgebouw di Amsterdam, Staatskapelle di Dresda, Gewandhaus di Lipsia, Filarmonica della Scala, Philadelphia Orchestra, Boston, Chicago e Cleveland Symphony, Los Angeles e New York Philharmonic. In duo con la sorella Marielle collabora stabilmente con direttori quali Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Myung-Whun Chung, Sir Colin Davis, Charles Dutoit, Jesus Lopez-Cobos, Zubin Mehta, Seiji Ozawa, Antonio Pappano, Esa Pekka Salonen, Sir Simon Rattle, Giuseppe Sinopoli, Leonard Slatkin, Michael Tilson Thomas ed è frequente ospite di festival rinomati: Mozartwochen a Salisburgo, Tanglewood, “Proms” e City of London, Lucerna, Maggio Musicale Fiorentino, Prinsengrachtconcert di Amsterdam, Ravinia, Rheingau, Ruhr, Schleswig-Holstein, Berlino, Blossom, Edimburgo, Schubertiade Schwarzenberg, Great Woods, Hollywood Bowl, Mostly Mozart a New York. Dal 2001 suona in duo con Viktoria Mullova ospite delle maggiori sale da concerto di tutto il mondo. Katia Labèque coltiva un particolare interesse per la musica jazz. Importanti sono stati gli incontri con François Jeanneau e la Big Band “Pandemonium” e con John McLaughlin con il quale si è esibita in tournée in tutto il mondo e ha realizzato numerose incisioni discografiche. Ha collaborato inoltre con Miles Davis. Con Marielle, Michel Camilo, Chick Corea, Joey de Francesco, Herbie Hancock e Gonzalo Rubalcaba ha realizzato il CD “Little Girl Blue”. Nel 2001 ha fondato un nuovo gruppo con Dave Maric alle tastiere e Marque Gilmore alle percussioni con il quale nel 2004 ha eseguito in prima mondiale con l’Orchestra Filarmonica di Montpellier Spellbound di Dave Maric su commissione di Radio France eseguito anche al Théâtre du Châtelet di Parigi. Fra le numerose incisioni con Marielle ricordiamo il Concerto per due pianoforti di Luciano Berio con la Filarmonica della Scala dirette dallo stesso compositore. È stata ospite della nostra Società in duo con la sorella nel 1992, 1995, 2001 e con Viktoria Mullova nel 2002. Viktoria Mullova violino Viktoria Mullova è nata nel 1959 a Mosca dove ha studiato alla Scuola Centrale di Musica e in seguito al Conservatorio. Nel 1980 si è imposta all’attenzione internazionale vincendo il primo premio al Concorso Sibelius di Helsinki. Nel 1982 ha vinto la Medaglia d’oro al Concorso Čajkovskij. La sua brillante carriera l’ha portata ad esibirsi con le più grandi orchestre (Berliner Philharmoniker, Chamber Orchestra of Europe, Wiener Symphoniker, Bayerisches Rundfunkorchester, London Philharmonia, Boston Symphony, Los Angeles Philharmonic, San Francisco Symphony, Deutsche Kammerphilharmonie, Academy of St. Martin-in-the-Fields) ed i maggiori direttori (Claudio Abbado, Seiji Ozawa, Sir John Eliot Gardiner, Wolfgang Sawallisch, Sir Neville Marriner, Charles Dutoit, Frans Brüggen, Daniel Harding). È inoltre ospite dei maggiori festival e delle più rinomate sale da concerto in Europa, negli Stati Uniti e in Estremo Oriente. Nel 2000 è stata protagonista per la prima volta in qualità di solista e direttore di una serie di concerti dedicati a Mozart con l’orchestra The Age of Enlightenment. Nella stagione 2000-01 ha realizzato una tournée intitolata Through the Looking Glass con brani di Miles Davis, Duke Ellington, Youssou N’Dour, Alanis Morissette e dei Beatles arrangiati per lei da Matthew Barley. Collabora stabilmente con Katia Labèque, Piotr Anderszewski e il clavicembalista Ottavio Dantone. Con Il Giardino Armonico e Giovanni Antonimi ha realizzato un CD dedicato ai concerti di Vivaldi. La registrazione dei concerti di Čajkovskij e Sibelius con la Boston Symphony e Seiji Ozawa, suo debutto in campo discografico, ha ottenuto il “Grand Prix du Disque”. Le sue incisioni hanno inoltre meritato il “Premio Edison”, due volte il “Diapason d’Or” (anche in trio con André Previn e Heinrich Schiff), il “Deutscher Schallplattenkritikpreis” per la registrazione a Tokyo del Concerto di Brahms con Claudio Abbado e i Berliner Philharmoniker, l’“Echo Klassik Award” e la nomination al “Grammy” per le Sonate e Partite di Bach. Particolarmente attenta alla ricerca delle molteplici potenzialità del violino (suona lo Stradivari “Julius Falk” del 1723), Viktoria Mullova ha fondato nel 1994 il “Mullova Chamber Ensemble” con il quale si dedica con pari entusiasmo alla musica antica e a quella contemporanea. È stata ospite della nostra Società nel 1990, 1996, con il Mullova Ensemble nel 1999 e con Katia Labèque nel 2002. Gautier Capuçon violoncello Nominato “Nouveau Talent de l’Année” alle Victoires de la Musique 2001, Gautier Capuçon è nato nel 1981 a Chambéry e ha iniziato lo studio del violoncello a 5 anni e del pianoforte a 7. Nel 1996 è stato ammesso al Conservatorio di Parigi dove nel 1997 ha vinto il primo premio. Ha proseguito gli studi al Conservatoire National Supérieur de Musique di Parigi dove, nel 2000, si è aggiudicato all’unanimità il primo premio nella classe di violoncello e musica da camera. Ha poi frequentato le master class di Heinrich Schiff a Vienna. Nel 1998 ha vinto il primo premio dell’Accademia internazionale di musica “Maurice Ravel” di Saint-Jean-de-Luz, il secondo premio al concorso internazionale di violoncello di Christchurch in Nuova Zelanda e il primo premio al concorso internazionale “André Navarra” a Tolosa. Questi premi gli hanno aperto le porte delle sale da concerto di Germania, Inghilterra, Austria e Francia. Parallelamente, Gautier Capuçon ha collaborato con formazioni orchestrali e direttori quali l’ECYO (European Community Youth Orchestra) e Bernard Haitink, Gustav Mahler Jugendorchester e Kent Nagano, WDR di Colonia e Semyon Bychkov, Bayerischer Rundfunk, Houston Symphony, Orchestre Philharmonique de Radio France, Daniele Gatti, Pierre Boulez, Seiji Ozawa e Claudio Abbado. Nel 2001 è stato in tournée con la Chamber Orchestra of Europe e Myung-Whun Chung e nel novembre 2002 ha debuttato con l’Orchestre de Paris e Christoph Eschenbach. Appassionato camerista collabora con Marta Argerich, Daniel Barenboim, Yuri Bashmet, Gérard Caussé, Hélène Grimaud, Frank Braley, Myung-Whun Chung, Michel Dalberto, Paul Gulda, Stephen Kovacevich, Paul Meyer, Vadim Repin, Jean-Yves Thibaudet, Lilya Zilberstein, Nikolaj Znaider, i Quartetti Castagneri e Ysaÿe e con il fratello, il violinista Renaud Capuçon, ospite di festival quali Divonne, Mentone, Sceaux, St. Denis, Strasburgo, Berlino (su invito di Claudio Abbado), Davos, Gerusalemme, Lockenhaus, Verbier, Festival Marta Argerich a Lugano, Festival Musicale della Costa Basca (con l’Orchestre National Bordeaux Aquitaine e Hans Graf) e Folles Journées de Nantes. Con la Mahler Chamber Orchestra e Daniel Harding ha registrato i concerti di Haydn (Diapason d’Or e Choc du Monde de la Musique). L’attività di Gautier Capuçon è sostenuta dalla Fondation d’Enterprise Natexis Banques Populaires. Nel 2001 ha meritato la borsa di studio “Lavoisier” del Ministero degli Esteri francese e nel 2004 il contributo della Fondazione Borletti-Buitoni. Suona un violoncello costruito da Matteo Goffriller nel 1701. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimi concerti: martedì 21marzo 2006, ore 18 e 20.30 Sala Verdi del Conservatorio mercoledì 22 e giovedì 23 marzo 2006, ore 18 e 20.30 Sala Puccini del Conservatorio 7 Quartetti d’archi dalla Musik-Akademie di Basilea Beethoven - Esecuzione integrale dei 16 quartetti per archi Sui tempi e i modi degli appuntamenti beethoveniani della prossima settimana viene dedicato molto spazio sul nostro “Giornale del Quartetto” e non è il caso di ripetersi in questa sede. Merita comunque di essere ribadita l’importanza di una serie di sei concerti che in tre giorni consecutivi ci presenteranno l’integrale dei quartetti di Beethoven affidati a otto giovani formazioni tutte cresciute alla scuola di Walter Levin, il primo violino del mitico Quartetto LaSalle. È un’occasione da non perdere, perché consente di partecipare a quello straordinario momento in cui la grande tradizione interpretativa di un caposaldo della musica di tutti i tempi passa da un generazione all’altra, senza rotture e con tanto rinnovamento. Il volantino con il programma dettagliato delle tre serate è in distribuzione nell’atrio e pubblicato sul nostro sito internet www.quartettomilano.it. Programma (Discografia minima) L. van Beethoven 16 Quartetti per archi (Quartetto Italiano, Philips 454 062-2) 28 marzo 2006, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Mitsuko Uchida pianoforte Mozart, Boulez, Beethoven 11 aprile 2006, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Jonathan Biss pianoforte Janáček, Schumann, Spratlan, Beethoven Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02.795.393 - fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]