Maestri della CHITARRA

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Maestri della CHITARRA
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La famiglia Ramírez
Maestri della CHITARRA
testo di MARCO BAZZOTTI
foto ARCHIVIO RAMIREZ
La grande
avventura
dell'antica dinastia
liutaria spagnola.
I protagonisti,
le tecniche
e i segreti
di una leggenda
nata a Madrid
più di cent'anni fa.
Ecco la storia
del loro successo.
B
ella, elegante ed in più spagnola. Un
sogno per l'appassionato e una certezza per
il musicista che si esibisce in pubblico. Grazie
all'elevato standard costruttivo e all'impiego di
tecniche tradizionali è riuscita a conquistare
una quota di mercato da far invidia a molti
marchi industriali. Stiamo parlando della
chitarra Ramirez. Se il cliché chitarra e
Spagna ha fatto la fortuna dello strumento a
sei corde, dando vita a un binomio storico,
paragonabile al mandolino napoletano o al
corno francese, lo è stato ancor di più per la
dinastia dei guitarreros Ramírez, un nome
che da oltre un secolo è nell'empireo delle
firme più prestigiose.
Ramirez ha contribuito con i propri
strumenti ad accrescere il prestigio e
l'universale approvazione della chitarra
classica e a sostenerne l'ingresso nelle
sale da concerto. Suo grande merito
storico è quello di aver saputo costruire al
momento giusto una chitarra di
riferimento per almeno un paio di
generazioni di interpreti. Alla sua scuola
si sono inoltre formati decine di artigiani
che, in seguito, hanno dato vita a
produzioni
autonome.
La
chitarra
Ramirez è stata la più imitata e discussa
del nostro secolo, termine di paragone, di
studio e confronto per costruttori ed
interpreti. Grandi concertisti come Andrés
Segovia, Cristopher Parkening, Oscar
Ghiglia, Kazuhito Yamashita e Maurizio
Colonna ne hanno accresciuto il mito.
L'organizzazione
della
bottega
artigianale Ramirez si rifà alla tradizione
delle antiche corporazioni di arti e
mestieri,
con
la
sua
marcata
differenziazione nelle tre categorie di
'apprendisti', 'specialisti' e 'maestri'. La
dipendenza delle prime categorie dai
maestri della guitarreria Ramirez è
insieme di tipo economico, sociale e
anche morale, con caratteristiche di vero
e proprio vassallaggio. Solo a questi
ultimi è lasciata per tradizione la missione
di insegnare, controllare e correggere,
anche con fermezza, se è necessario.
Una sorta di direttore lavori, il maestro,
che trasmette l'esperienza e promuove la
conoscenza, supervisiona il lavoro e crea
nuovi modelli.
D'altra parte ciascuna tradizione
costruttiva liutaria sviluppa caratteristiche
proprie per offrire risposte alle varie
esigenze musicali e tecnico-esecutive.
Anche la splendida arte di Don Antonio
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Torres Jurado (1817-1892), artefice, con
altri, di quella che agli studiosi è nota
come la "terza rinascita" della chitarra,
sarebbe rimasta un fatto locale e
dilettantesco, se una nuova e più forte
tradizione, appunto quella dei Ramirez,
non si fosse affacciata alla ribalta,
abbracciando terre di almeno tre
continenti
(Europa,
America-latina,
Russia e Giappone).
Il fenomeno Ramirez e in generale
quello della costruzione della chitarra,
sebbene di tradizioni meno nobili dell'arte
liutaria del violino, possono comunque
vantare illustri predecessori, tra cui è
possibile citare lo stesso Antonio
Stradivari e meritano l'attenzione degli
appassionati del settore.
LA SAGA FAMILIARE
La storia della famiglia madrilena
Ramirez ci viene narrata direttamente da
José Pepe III, negli scritti raccolti nel
volume En torno a la guitarra, pubblicato
nel 1993 e divenuto, a due anni dalla
morte del grande liutaio, il suo testamento
spirituale. Si riconosce in José Pepe il più
innovativo costruttore della famiglia.
Nessun altro componente è stato tanto
caparbio nella ricerca ed attivo nel
mostrarne i risultati.
Il capostipite della famiglia è José I
Ramírez, figlio
primogenito di
tal
José
Ramírez
de
Galarreta,
benestante
proprietario
terriero. è il
1870 quando il
piccolo
José
decide
di
compiere il suo
tirocinio
nel
laboratorio di
chitarre
di
Francisco
Gonzalez
(1830-1880).
Passano circa una dozzina di anni prima
che José I riesca a fondare a Madrid la
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sua prima bottega indipendente, ad El
rastro. La sede viene traslocata nel 1890
a Concepción Jeronima 2, la stessa in cui
i suoi discendenti si trovano ancora oggi.
Dei suoi tre fratelli, solo il più giovane
preferisce la sicura carriera di allevatore
di bestiame, mentre Manuel, nato nel
1864 in Alhame de Aragon, lo segue in
un commercio ritenuto già allora in via di
estinzione e di scarse prospettive
economiche: la costruzione delle chitarre.
«Se un costruttore di chitarre non muore
in un ospedale di assistenza sociale, è
perché non ha i mezzi per accedervi»
ripete al figlio José II, nato nel 1885.
Davvero un personaggio irrequieto
Manuel: cambia 3 officine a Madrid,
applicandosi altrettanto bene alla chitarra
classica, per la quale riceve gli elogi di
Francisco Tárrega e, unico caso nella
famiglia
costruisce
anche
violini,
divenendo Liutaio ufficiale del Reale
Conservatorio di Madrid. I riconoscimenti
arrivano puntuali, come la medaglia alla
mostra di Chicago del 1893. Poi, invece
di fondare un laboratorio all'estero con
l'ausilio del fratello, preferisce tentare la
fortuna da solo, aprendo una bottega
concorrente a Madrid, a Cava Baja 24.
Nasce così un tenace antagonismo tra i
due fratelli che li accompagnerà fino alla
fine dei loro giorni, conoscendo momenti
di grande tensione.
L'INCONTRO CON
ANDRES SEGOVIA
Quando José I crea per l'arte flamenca la
chitarra detta tablao, con cassa armonica
ingrandita ma fasce strette per unire la
massima maneggevolezza ad un
maggiore volume di suono, questa
conosce solo pochi anni di gloria finchè
Manuel è capace di perfezionarne la
tecnica sviluppandone un modello nuovo,
poi rimasto in auge tra i flamenchisti
praticamente fino allo scorso decennio.
Nel 1912 Manuel incontra il giovane e
ancora sconosciuto Andrés Segovia e,
fiutando il talento del ragazzo andaluso,
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gli regala la sua migliore chitarra,
costruita originariamente per il celebre
chitarrista cieco Gimenez Manjon. Non
sorprende quindi che proprio questo
strumento sia stato per venticinque anni
al fianco del grande concertista spagnolo.
è la chitarra più famosa, minuziosamente
studiata anche dal geniale liutaio tedesco
Hermann Hauser I, ed infine regalata al
Metropolitan Museum of Art di New York
dagli stessi coniugi Segovia, prima della
scomparsa del maestro.
Tra gli allievi di Manuel si annoverano
Santos Hernandez, Domingo Esteso e
Modesto Borreguero. Quando Manuel
muore nel 1916,
l'amicizia
fraterna dei suoi
specialisti
inducono la
vedova a
continuare a
mantenere il
laboratorio sotto
il nome di Viuda
de Manuel
Ramírez, a patto
che ogni
costruttore
stampasse le proprie iniziali all'angolo del
cartiglio, l'etichetta posta all'interno dello
strumento.
Anche José I ha molti allievi: tra questi
vanno ricordati Enrique Garcia, stabilitosi
definitivamente a Barcellona dove lascia
l'eredità a Francisco Simplicio, seguito poi
dal figlio Miguel. Un altro allievo, Julian
Gomes Ramírez, sebbene senza nessun
legame di parentela con la famiglia, si
stabilisce a Parigi. Antonio Emilio
Pasqual Viudez, educato con José I,
ultimo discendente di una famiglia liutaria
Levantina si stabilirà a Buenos Aires e
Rafael Casana a Cordoba.
José II è il più anziano di quattro fratelli
e l'unico ad essere coinvolto nella
chitarra. Parallelamente al lavoro in
officina, inizia a studiare lo strumento,
facendosi apprezzare in gruppi folcloristici
tradizionali. è in questa veste che a 20
3
anni è invitato a partecipare in un tour in
America latina. Nonostante il padre sia
contrario, si imbarca per un viaggio di
pochi mesi che si trasforma in una
permanenza di oltre 19 anni. Gira per
tutta l'America meridionale, stabilendosi,
infine, a Buenos Aires dove si sposa e nel
1922 ha un figlio: José III. La morte del
padre nel 1923 lo riporta però in patria
dove il richiamo della tradizione familiare
lo induce a riprendere il laboratorio,
all'epoca ben avviato da specialisti come
Manuel Rodriguez. Nel 1926, scoppia la
Guerra civile spagnola, l'attività viene
sospesa.
José
III
(1922-1994)
ha 18 anni
quando inizia
a lavorare da
apprendista
nella bottega
del
padre.
Dopo due anni
è
già
autonomo. è
convinto però
che la chitarra,
trovandosi ad
un punto morto del suo processo
evolutivo, giaccia nell'attesa di subire
grandi cambiamenti. Così i suoi primi
strumenti hanno tutti un progetto
originale, basato su tecniche innovatrici
che a volte spazientiscono il padre che lo
invita alla moderazione. Intanto siamo nel
periodo del dopoguerra e le ristrettezze
economiche si riflettono nell'impossibilità
di ottenere buoni legni. è proprio la
scarsità del buon Cedro dell'America
Centrale (nome scientifico Cedrela
Odoratta) usato tradizionalmente da oltre
300 anni per varie parti della chitarra, a
spingere il giovane José III a cercare
nuovi materiali. Scopre il cosiddetto cedro
rosso (nome scientifico Thuja Plicata):
una gimnosperma (sempreverde) che
però non somiglia ai cedri, bensì all'abete
tedesco. Con tale legno si costruiscono
normalmente pasta di legno per le
cartiere e l'imballaggio, nonchè le matite.
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Adesso è usato tradizionalmente per le
casse di risonanza degli strumenti.
La sua chitarra De Camera nasce dal
problema
del
superamento
delle
cosiddette note lupo o "wolf notes",
caratteristiche di tutti gli strumenti a corde
di
legno.
Queste
note,
presenti
soprattutto nello spettro acuto, hanno una
emissione più debole e soffocata delle
altre. Tanto migliore è lo strumento, tanto
più sono evidenti. La loro origine risiede
nella tessitura irregolare del legno, che
contiene nodi e zone con scarsa
vibrazione.
Tentativi
usati
per
minimizzarne l'entità sono vanificati dalla
"vendetta delle note lupo", cioè dal fatto
che dopo un certo periodo di tempo, per
colpa dello stress vibratorio del legno
"corretto", riappaiono ancora più evidenti
di prima. Un raggio di speranza si apre a
José nello studio del comportamento
delle onde sonore sferiche e del loro
sviluppo. Utilizzando più l'immaginazione
che i calcoli, la sua intuizione lo porta a
realizzare una camera interna al corpo
della chitarra, che cinge il contorno
interiore della cassa e riesce a
minimizzare il problema.
Nel 1937 Andrés Segovia utilizza
ancora una chitarra tedesca di Hermann
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Hauser. Per vederlo suonare con uno dei
suoi strumenti José II dovrà attendere il
1960 e trovare il segreto delle nuove
vernici. Solo a partire dal 1963 Segovia
usa per lunghi periodi la chitarra Ramírez,
alternandola del resto a quella di un altro
liutaio spagnolo di Barcellona, Ignacio
Fleta.
Con José IV arriviamo ai nostri giorni.
Nato a Madrid
nel 1953, la
sua
formazione è
simile a quella
del padre: a 18
anni
è
apprendista
nel laboratorio
di
famiglia
assieme alla
sorella Amalia.
Diventa
specialista nel
1976 e in soli tre anni è in grado di
costruire una chitarra per Segovia che il
Maestro impiega in molti dei suoi concerti
con "completa soddisfazione". Ha 4 figli,
due femmine e due gemelli, ultimi eredi
della dinastia.
LA CHITARRA A 10 CORDE
L'ossessione di arricchire il suono della chitarra porta José III
allo studio della viola d'amore, uno strumento seicentesco
obsoleto, una sorta di viola alto "da braccio" che si suona
sulla spalla con l'archetto, fornita di 7 corde melodiche di
budello e 7 corde simpatiche, accordate di solito all'unisono
con le principali, in ottone o in acciaio, passanti sotto il
cordiere e quindi attraverso il ponticello. Lo strumento aveva
raggiunto l'apogeo nel XVIII secolo, ad opera di campositori
quali il boemo Karl Stamitz, figlio di quel Jan Vaclav creatore
dell'orchestra moderna di Mozart e Beethoven. Ha una sonorità
chiara, argentina, forte ed armoniosa, esattamente quello che José III cercava per le sue
chitarre. L'idea di applicare questo sistema implicò il superamento di varie difficoltà che
José risolve con l'uso di due ponticelli sopra e sotto la tavola, in cui corrono le altre sei
corde simpatiche, attraverso il manico cavo. Ne nacque una chitarra a dodici corde.
Segovia provò il primo prototipo, elogiandone il suono, ma al tempo stesso scovandone
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l'intrinsco difetto: l'impossibilità di controllare la durata dei suoni delle corde interne. Una
soluzione a questo intricato problema, data il noto distacco di Segovia da ciò che
riguardava la tecnica costruttiva del suo strumento, venne ricercata insieme a Narciso
Yepes. Ma prima che fosse realizzata, Yepes chiese a José di porre invece le altre corde
esternamente, con la possibilità di smorzarle con la mano destra. Così ebbe origine la
prima chitarra a dieci corde Ramírez. In un incontro privato, Yepes la cominciò a provare il
nuovo prototipo con molto impaccio. Alla fine commentò solamente: "In che meraviglioso
pasticcio mi sono imbarcato!" Sembra che dopo soli cinque giorni fosse già in grado di
impiegarla in un concerto a Barcellona. La decacorde possiede un notevole incremento di
sonorità rispetto al modello tradizionale, ma per il nostalgico José Pepe è ancora priva
dell'inaccessibile magia della chitarra "simpatica".
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