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Giuseppe Veneziano
ISBN 88-89817-11-9
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Giuseppe
Ve n e z i a n o
o n a i z e n eV e p p e s u i G
Giuseppe Veneziano
“Pregiudizio Universale”
a cura di Luca Beatrice
17 aprile - 18 maggio 2008
TESTO CRITICO
Luca Beatrice
PROGETTO
E REALIZZAZIONE MOSTRA
Angela Galiandro
Attilio Fermo
FOTOGRAFIE
New Line - Milano
TRADUZIONI
Simon Turner
RINGRAZIAMENTI
Piero Baldacchino
Asia Petra Chiantia
Vanni Cuoghi
Renzo Leoni
Andrea G. Pinketts
Ivan Quaroni
Giorgio Silvestrini
www.angelartgallery.it
Via Fiori Chiari, 12
20121 MILANO - ITALY
Tel. +39 02 36562022
Fax +39 02 36562260
Tutti i diritti riservati.
© 2008 Angel Art Gallery - Milano
© 2008 Giuseppe Veneziano per le opere / For his works
© 2008 Luca Beatrice per il testo / For his text
ISBN 88-89817-11-9
Volume Realizzato in n° 600 copie
in occasione della Mostra Personale
“Pregiudizio Universale”
Milano - 17 aprile - 18 maggio 2008
www.grafocom.it - Palazzago (BG)
“Qualsiasi significato attribuito a un’opera,
al di là della prima inintaccabile identificazione
della quale l’artista è depositario, è arbitrario,
ed un’opera significa o non significa,
esattamente quello che vedete”
Andrea Pazienza
Fotografia di Daniela Cavallo
Tanto di cappello.
di Luca Beatrice
Joseph Beuys portava sempre il cappello di feltro a tesa larga. Gli serviva non solo per coprire
la calvizie ma per riparare il capo divenuto assai fragile dopo l’incidente aereo del 1943. Pilota
di bombardieri in picchiata, precipitò in Crimea
durante un’azione di guerra. Certamente sarebbe morto se non lo avesse trovato, sepolto nella
neve, una tribù di tartari che lo salvò proteggendolo col grasso e avvolgendolo in coperte di
feltro. Forse per un rito scaramantico, o più probabilmente perché col tempo aveva assunto un
significato simbolico, Beuys quel cappello non lo
tolse più. Finì per identificare, pars pro toto, l’artista sciamano, capace di trasformare in opera
qualsiasi cosa toccasse, di infondere vita a oggetti inerti, di dialogare con la natura e catturarne il mistero.
Fin dalle prime performance e happening, in
cui era evidente l’approccio rituale, Beuys si
presentava vestito sempre allo stesso modo:
cappello, scarponi pesanti, gilet sopra la camicia, vecchi pantaloni.
Anche Giuseppe Veneziano non lascia mai il suo
cappello, incurante della buona creanza che vorrebbe fatto divieto ai maschi di mantenere la testa
coperta nei luoghi chiusi. Unico vezzo che il Veneziano si concede, sola eccezione “artistica” di
persona educata e rispettosa, nel solco della ben
nota tradizione siciliana. Alcuni anni fa frequentava le mie lezioni all’Accademia di Brera. Si sedeva
verso il fondo, indistinguibile dagli altri, non discostando di molto il suo abbigliamento da quello di
un qualsiasi studente (jeans, felpa, Allstar…) non
fosse altro per il cappellino verde militare, sempre il
solito, sempre calato sui grandi occhiali quadrati.
Poco più avanti, ho saputo che quel ragazzo –più
grande dei suoi compagni di corso- nutriva ragionevoli ambizioni artistiche. Forse seguiva le mie
lezioni (non credo abbia mai sostenuto l’esame)
perché venivo considerato tra i pochi interessati
alla pittura figurativa, di stampo pop, non immune
dal cattivo gusto, senza troppe preoccupazioni se
ci potesse stare, o meno, dentro il contenitore delle avanguardie presunte.
Qualche tempo dopo l’attentato al WTC dell’11
settembre Veneziano presentò nel cortile dell’Accademia un grande ritratto di Osama Bin Laden,
il sanguinario assassino responsabile del massacro a New York, il peggior delitto contro l’umanità e contro la città che amo di più al mondo.
La scelta di Veneziano dunque mi irritò molto: la
ritenni un bislacco tentativo di far parlare di sé
uniformandosi al ruolo scandalistico dei massmedia, agli effettacci da tg nazionalpopolare,
tutte cose che con l’arte non dovrebbero avere
a che fare. Ancor peggio, dal mio punto di vista,
Veneziano fece nella mostra personale, installata
a inizio 2006, presso la galleria di Luciano Inga-Pin
a Milano, la testa decapitata di Oriana Fallaci, la
grande scrittrice e giornalista che chi, ragionevolmente, la pensa come me, ritiene baluardo di
strenua difesa dei valori occidentali, della nostra
cultura, della civiltà contro la barbarie. All’epoca
ancora tenevo una rubrica di posta su “Flash Art”
e, sollecitato da un lettore in merito alla provocazione di Veneziano, ne stigmatizzai il comportamento altrettanto duramente. Insomma, il mio
rapporto con l’artista siciliano, ormai naturalizza-
to milanese, non nasceva nel migliore dei modi.
Molto critico nei suoi confronti, allo stesso tempo
mi incuriosiva stimolandomi reazioni controverse,
fatto in sé piuttosto raro e quindi da tenere in debita considerazione.
Quando Beuys scomparve nel 1986, Veneziano non immaginava che un giorno sarebbe
diventato anche lui un artista. Viveva a Riesi, provincia di Caltanissetta, chilometri luce
lontano dall’impero. In quanto a Beuys ancora non riesce a pronunciarlo correttamente,
quasi fosse troppo semplice per un nome così
importante risolverlo semplicemente in “bois”.
E’ del grande tedesco La rivoluzione siamo noi:
ovvero, solo nel nostro comportamento e nella
comprensione c’è evoluzione. Un artista che si
esprime per slogan e ritualità, così sicuro di sé, così
al centro, oggi forse non potrebbe più esistere. Nel
2000, infatti, Maurizio Cattelan produce la “sua”
versione della celebre opera di Beuys: un autoritratto appeso sulla gruccia, vestito di feltro, evidente parodia del ruolo dell’artista nell’era contemporanea, poi acquistato dal Guggenheim
Museum a palate di dollaroni. Se Beuys sosteneva che ogni uomo, in fondo, era un artista, Cattelan insinua il dubbio che artista non lo fosse
neppure lui. Beuys era uno sciamano, Cattelan
un “trickster”, un buffone. In mezzo è passato il
destino dell’arte.
Tenetelo in mente questo episodio. Perché qui
comincia il vizio di appendere, impiccare, quasi
fosse una mania suicida, evocativa del cadavere di Roberto Calvi penzolante a Londra dal
Blackfiar Bridge, simbolo degli insolvibili misteri
d’Italia, e anche di una delle ultime, drammatiche, opere dell’enigmatico Gino De Dominicis.
E’ molto raro che un artista contemporaneo finisca in prima pagina di un quotidiano. Perché
ciò accada deve esserci lo “scoop”, qualcosa
che dia scandalo, che scateni pareri opposti,
proprio come un controverso fatto di cronaca.
Può mica bastare un bel paesaggio, un ritratto,
una natura morta! Specializzato in questo tipo
di comunicazione, Maurizio Cattelan realizzò
uno dei suoi interventi più famosi e controversi
nel 2004 a Milano, impiccando tre bambinetti al
secolare albero di piazza XXIV maggio. Tra i molti
visitatori accorsi c’era il nostro Giuseppe Veneziano, cui venne presto l’idea di “impiccare” i suoi
quadri dedicati ad altrettanti personaggi, tra cui
lo stesso Cattelan e l’amico scrittore Andrea Pinketts, che bazzicava da quelle parti da quando
avevano spostato la sede del mitico Le Trottoir
dal vecchio locale di corso Garibaldi. Dell’operazione (cialtronesca? furbastra? genialoide?)
sull’ondata dell’happening cattellaniano –made
Fondazione Trussardi- se ne accorsero in molti, e
Veneziano finì anche lui sui giornali e, soprattutto,
ottenne la copertina di “Flash Art” (mi immagino
Giancarlo Politi a sostenere la sua scelta contro
tutta la redazione), che gli artisti italiani, se non
sono il Maurizio, la Vanessa o il Francesco, non li
caga neanche di striscio.
A questo punto comincia a venirmi il dubbio che
Giuseppe Veneziano fino ad allora non l’avessi
capito tanto bene.
O forse lo avevo preso dal lato sbagliato. Pensandoci bene, non è colpa sua se l’arte oggi
considera Cattelan un
eroe e Beuys un cimelio storico, se la cronaca la spunta sempre
sulla politica, se le terze
pagine dei giornali raccontano di Paris Hilton,
se la storia del ‘900 è
diventata una macchietta post-ideologica
con i dittatori nel ruolo
di capocomici.
Il mondo fa schifo: che
può farci un povero pittore se non registrarne
le assurdità, le anomalie, le storture e premere
il dito nella piaga? Cosa c’entra lui se il grado
di scolarizzazione è penoso, se il lessico è ridotto ai minimi termini, se per farsi capire dagli altri
bisogna usare un linguaggio banale, scialbo,
frontale?
Eppure di una conseguenza dobbiamo essere
grati a quest’ultima tranche temporale: anche
l’arte è entrata nel processo di democratizzazione della cultura. Un tempo l’empireo era riservato
solo ai pochi fortunati in possesso di un pedigrée
inattaccabile. Al pittore autodidatta del Sud Italia
restavano scarse speranze. Uno come Veneziano dimostra la possibilità del riscatto del basso,
della provincia, dell’abusivismo edilizio. All’epoca
di Beuys nessuno avrebbe considerato degno di
nota il buon Giuseppe e i suoi colori zuccherosi,
la flatness, il non-stile da copista. Bisogna essere
Mio fratello è figlio unico
cm 100x200, acrilico su tela
grati a Cattelan se uno come Veneziano è diventato un uomo di successo.
L’arte di Veneziano, oltre la mera apparenza, è
politica.
E’ Beuys riveduto e corretto nell’epoca della stupidità brevettata. E’ l’assalto alla diligenza degli
outsider che forse non sono ancora pronti ad
abbattere il sistema, ma tirare qualche calcio nel
culo, quello sì: è maturo.
Rivedo il mio giudizio. Onore a Don Giuseppe.
Tanto di cappello all’arte di Veneziano. Anzi, giù il
cappello davanti a Veneziano.
Opere
Il segreto di Hitler
cm 120x80, acrilico su tela
La penultima cena
cm 95x160, acrilico su tela
Made in heaven
diametro 120 cm , acrilico su tela
Il ragno delle grazie
cm 120x120, acrilico su tela
Il battesimo di Paris Hilton
cm 170x120, acrilico su tela
Non ci resta che piangere
cm 110x110, acrilico su tela
200 Euro
cm 100x220, acrilico su tela
Milano città europea
cm 100x100, acrilico su tela
Icone
cm 150x150, acrilico su tela
Hat’s Off.
Luca Beatrice
Joseph Beuys used to wear a broad-brimmed
felt hat. He used it not so much to cover his baldness as to protect his head, which had become
very fragile as a result of an air crash in 1943. As
a dive-bomber pilot he crashed in Crimea during
combat. He would certainly have died, buried by
the snow, if he had not been found by a tribe
of Tartars, who saved him by protecting him with
grease and wrapping his wounds with felt. Possibly to ward off ill luck, or more probably because
over time it had acquired a symbolic meaning,
Beuys never took that hat off again. It ended up
by synecdochically identifying the witch-doctor
artist, who transformed everything he touched
into a work of art, transfusing life into inert objects,
and conversing with nature to capture its mysteries. Right from his first performances and happenings, in which his ritual approach was quite
manifest, Beuys always appeared dressed in the
same way: with hat, heavy shoes, a waistcoat
over his shirt, and old trousers.
Heedless of the concept of etiquette that requires
men not to cover their heads indoors, Giuseppe Veneziano too is never without his hat. This is
the only quirk that Veneziano permits himself –
it is the only “artistic” exception of a most polite
and respectful person who has all the finesse of
Sicilian tradition. Some years ago he used to attend my lessons at Accademia di Brera. He would
sit towards the back, indistinguishable from the
others, and he would dress in a way similar to any
other student (jeans, sweatshirt, Allstars...) had it
not been for the military-green cap – always the
same, and always pulled down over his large
square glasses. Some time later I found out that
this kid – who was older than his course mates
– harboured reasonable artistic ambitions. Possibly he listened to my lessons, though I believe he
never took the exam, because he was considered one of the few students interested in figurative painting in a pop style, not immune to bad
taste and not too worried about whether or not it
could be included in the world of the supposed
avant-gardes.
A while after the 9/11 attack on the WTC, in the
courtyard of the academy Veneziano presented
a large portrait of Osama Bin Laden, the bloodthirsty assassin responsible for the New York
massacre, the worst crime against humanity and
against the city I love more than any other in the
world. Veneziano’s decision thus profoundly irritated me: I viewed it as a clumsy attempt to attract
attention to himself by conforming to the muckraking stance of the mass media, and to the base
effects of national-popular television news programmes. All things that art should have nothing
to do with. Even worse, from my point of view, was
what Veneziano did for the solo exhibition which
was put on early in 2006 at Luciano Inga-Pin’s
gallery in Milan. The decapitated head of Oriana
Fallaci, the great writer and journalist who is considered, by those who quite reasonably see things
the way I do, as a resolute champion of Western
values, and of our culture and civilisation, against
barbarianism. In those days I used to have a mail
column in Flash Art and, responding to a reader
about Veneziano’s provocation, I stigmatised his
behaviour in equally harsh terms. In other words,
my relationship with the Sicilian artist, who is now
a naturalised Milanese citizen, did not start out in
the best of ways. Though highly critical of him, I
was also curious about him and he aroused conflicting reactions within me – something that does
not happen often, and which should therefore
be kept in due consideration.
When Beuys passed away in 1986, Veneziano never imagined that one day he too would become an artist. He was living in Riesi, in the province
of Caltanissetta in Sicily, light years away from the
empire. As for Beuys, he still can’t pronounce the
name properly, almost as though it were too simple to say “boyce” for such an important personality. The Revolution is Us comes from the great
German: in other words, there is evolution only in
our behaviour and understanding. These days,
an artist who expresses himself through slogans
and rituals, so self-assured and so centre-stage,
could quite possibly no longer exist. And in 2000,
Maurizio Cattelan produced “his” version of Beuys’s famous work: a self portrait on a clothes hanger, dressed in felt – clearly a parody of the artist’s role in the contemporary age – which was
then bought by the Guggenheim Museum for
buckets of dollars. While Beuys maintained that
everyone is basically an artist, Cattelan insinuates
the doubt that not even he was an artist. Beuys
was a witch doctor, Cattelan a trickster and jester.
Between the two, the destiny of art has passed.
Bear this episode in mind. Because this is the origin of the vice of suspending – hanging – almost
as though it were some sort of suicidal mania, recalling the body of Roberto Calvi dangling from
Blackfriars Bridge in London, a symbol of the unsolvable mysteries of Italy, and also one of the
last, dramatic works by the enigmatic Gino De
Dominicis. Contemporary artists very rarely end
up on the front pages of the newspapers. For this
to happen, there needs to be some scoop, some
scandal that sparks off conflicting opinions, just
like some controversial news report. A pretty landscape, a portrait, or a still life would hardly be
enough! An expert in this sort of communication,
Maurizio Cattelan carried out one of his most famous and controversial operations in 2004, when
he hanged three little children from a centuriesold tree in Piazza XXIV Maggio in Milan. And our
Giuseppe Veneziano was one of the many people who flocked to the scene. He soon had the
idea of “hanging” his paintings of a number of
personalities, including Cattelan himself and his
writer friend Andrea Pinketts, who used to frequent the area after he moved the premises of
the legendary Le Trottoir from where it had been
in Corso Garibaldi. Many people became aware of the operation (was it prankish? cunning?
resourceful?) in the wake of the Cattelan – Fondazione Trussardi happening, and Veneziano too
ended up in the newspapers and, especially, he
made it onto the cover of Flash Art (though I imagine Giancarlo Politi had to defend his decision
against his entire editorial staff), which normally
couldn’t care the slightest shit about Italian artists
unless they happen to be Maurizio, Vanessa or
Francesco.
At this point, I started wondering if I hadn’t misunderstood Giuseppe Veneziano up to that point.
Or possibly I’d been looking at him from the wrong
perspective. Thinking back, it is not his fault if the
art world today considers Cattelan a hero and
Beuys a historical relic, if current affairs always get
the better of politics, if the centre spreads of newspapers are full of Paris Hilton, if the history of the
twentieth century has become a post-ideological
parody with dictators acting as theatre directors.
The world is disgusting: what can a poor painter
do other than record its absurdities, quirks, and
deformations, and rub salt into the wound? What
has he got to do with it if the level of education
is so pitiable, if vocabulary is reduced to the bare
minimum, if he has to use a blunt, nondescript,
head-on language to be understood by others?
And yet there is one consequence that we must
be grateful for in recent times: art too has become part of the process of democratising culture.
There was a time when the empyrean was the
reserve only of the lucky few whose pedigree was
irreproachable. There was little hope for a self-taught painter from the South of Italy. Someone like
Veneziano shows it is possible to break free from
the lowest levels, from the provinces and their building speculation. In the days of Beuys, no one
would have considered good old Giuseppe to
have been even worthy of note, with his sugarysweet colours, his flatness, and his copier-like nonstyle. We need to be grateful to Cattelan if someone like Veneziano is now a man of success.
Beyond its mere appearance, Veneziano’s art is
politics. It is Beuys revisited and corrected in an
age of patent stupidity. It is an attack on the stagecoach by outsiders who may not yet be ready
to smash down the system – but give it a few kicks
in the butt, that they can. It is ready.
I’ve reappraised my opinion. All honour to Don
Giuseppe. Hats off to the art of Veneziano. Or rather, hats off to Veneziano.
Il declino del ragno
cm 100x75, acrilico su tela
Disegni
Biografia
Fotografia di Daniela Cavallo
Giuseppe Veneziano
Nato a Mazzarino (CL) 22/02/1971. Vive e Lavora a Milano.
Laureato in Architettura a Palermo nel 1996.
Dal 2000 al 2002 è stato Direttore Didattico e Docente di Storia
dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti “G. de Chirico” Riesi (CL).
Mostre personali
Mostre colletive
2008 “Pregiudizio Universale”, a cura di L. Beatrice - Angel Art Gallery
- Milano
2008 “Overview”, a cura di Ivan Quaroni - Ass. Arsprima Valmadrera (LC)
2007 “La Rivoluzione d’Agosto”, a cura di Ivan Quaroni - Galleria
Studio D’Arte Fioretti - Bergamo
“Self Portrait”, a cura di Ivan Quaroni - KGallery - Legnano (MI)
2007 “La nuova figurazione italiana. To be continued…”, a cura di
Chiara Canali - Fabbrica Borroni (MI)
“Il treno dell’arte. da Tiziano alla Street Art: 500 anni di arte italiana”,
a cura di Vittorio Sgarbi, Luca Beatrice, Chiara Canali, Duccio
Trombadori - Stazione termini - Roma
“A ferro e Fuoco. Lo straordinario quotidiano della cucina”, a cura di
AA.VV. - Triennale di Milano.
“La vita attiva, continuità di senso”, a cura di Antonio Picariello Castello Medievale di Macchiagodena - Isernia (BN);
“Radical She II”, a cura Andrea Bartoli - Castello di Favara - Favara (AG)
“Impronte Digitale”, a cura di Cecilia Antolini - Palazzo Comunale di
Gangi - Gangi (PA)
“Lo stato dell’arte” - Galleria Obraz - Milano
“60 Opere di arte contemporanea per Adisco”, a cura di Ivan
Quaroni - Sotheby’s - Milano
2006 “American Beauty”, a cura di Chiara Canali e Ivan Quaroni Galleria Luciano Inga Pin - Milano
2004 “In-visi”, a cura di Andrea G. Pinketts - Le Trottoir - Milano
2002 “G8”, a cura di Franco Spena - Art Factory - Milano
1995 “Segnali di Fumo”, a cura di Francesco Carbone e Aurelio
Pes - Opera Universitaria - Palermo
1991 “Ritratti, disegni e acquarelli di Giuseppe Veneziano” - Opera
Universitaria - Palermo
2006 “Lost in a Supermarket”, a cura di Ivan Quaroni - Galleria
Studio d’Arte Fioretti - Bergamo
“K to your heart”, a Cura di Ivan Quaroni - Galleria Kgallery Legnano
“Crisis - Il declino del supereroe”, a Cura di Ivan Quaroni - Galleria
San Salvatore - Modena
“15 volte 1 volto”, a Cura di Chiara Canali - Galleria Spazioinmostra
- Milano
“Allarmi 2 - Il cambio della Guardia”, a cura di Ivan Quaroni, Norma
Mangione, Cecilia Antolini, Alessandro Trabucco - Caserma De
Cristoforis - Como
“Bodynobody” - Galleria Luciano Inga Pin - Milano
“60 Opere di arte contemporanea per Adisco” - Sotheby’s - Milano
“Sorsi di Pace - nell’Arte Contemporanea”, a Cura di Ivan Quaroni Gemme (NO)
“Collettiva giovani artisti” - Galleria Angel Art Gallery - Milano
2005 “Radical She”, a cura di Helga Marsala - Gosh Arte
Contemporanea - Riesi (CL)
“Creative Turbulences 2” - Fondazione per l’Arte Bartoli-Felter - Cagliari
“Libertando”, a cura di Franco Spena - Palazzo del Carmine Caltanissetta
“Lo sguardo altrove”, a cura di Federico Bianchi e Luciano Inga Pin Galleria Luciano Inga Pin - Milano
2004 “Frame - Sequenze d’arte” - Vimercate (MI)
“Omaggio a Gaber” - Galleria Bianca Maria Rizzi - Milano
“Il Sacro” - Galleria San fedele - Milano
2003 “Ritorno a Itaca” - Galleria San fedele - Milano
2002 “Religion” - FARM - Mazzarino (CL)
“Auto-ritratto” - Galleria San Fedele - Milano
“1° Mostra Indipendente” - Accademia di Brera - Milano
Il vizio dell’agnello
cm 160x100, acrilico su tela
2000 “Expo Cartoon” - Roma
Finito di stampare nel mese di aprile 2008 presso GRAFO Comunicazione - Palazzago - BG
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico
o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore.
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Giuseppe Veneziano
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Giuseppe
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