Il cannocchiale e il microscopio: il rito fra - CISADU
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Il cannocchiale e il microscopio: il rito fra - CISADU
1 Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Teorie e pratiche dell'antropologia - a.a. 2002/2003 Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali l'11/6/2003 <http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html> Vincenzo Cannada Bartoli il cannocchiale e il microscopio: il rito fra etnografia e modellizzazione1 (pubblicato in Religioni e società, XVIII, n. 2, 37-62) 1. il cannocchiale Stavo ‘facendo ricerca’. Ero a Monteflavio, in Sabina, vicino Roma. Dovevo osservare la festa di S. Martino. Era il novembre del 1992. Lavoravo per conto della IX Comunità Montana del Lazio a una ricerca sulle “tradizioni popolari” presenti nel proprio comprensorio. Era la prima volta che osservavo una festa in qualità di antropologo, ed ero emozionato pensando di stare per assistere a uno di quei rituali di ‘comunione’ della collettività, stretta intorno ai suoi simboli, nel ciclico rinnovarsi di tempo e spazio. Avevo la macchina fotografica puntata verso la Chiesa, da dove doveva uscire la statua del santo. Ero andato così, un po’ alla cieca per quella prima volta. A un certo punto ho visto che dalle persone sulla piazza si staccava un gruppo di uomini in giacca e cravatta che andava verso una casa. Dopo un poco, riuscirono dalla casa tenendo dei ceri in mano, e sulla soglia si affacciarono due bambini con due statuine: una raffigurava un cavaliere, l’altra un vescovo. Quelle due statuine, diverse fra loro, erano il ‘santo’. I signori in giacca e cravatta accesero i ceri, si misero su due file e si diressero verso la chiesa. In testa alle due file, i due bambini con le statuine. Ho conservato quello stranimento iniziale quella sorpresa di vedere uno svolgimento inaspettato davanti a sé durante gli anni di ricerca su “il ‘santo’ in casa” quando questo ormai era l’argomento della mia tesi di dottorato di ricerca (Cannada Bartoli 1997) e non più un aspetto di una ricerca più generale e quando ormai avevo in mente a priori lo svolgimento delle sequenze di azioni non l’ho voluto risolvere cercare di darne risposte definite e definitive. Forse lo serbo – e servo – ancora adesso. Siccome il comprensorio della IX Comunità Montana comprendeva altri paesi, iniziai a domandare se anche là si tenesse in casa la ‘statuina’ e cominciai a pensare a una comparazione. La mia bibliografia di riferimento era orientata verso la dimensione dell’interazione, Goffman in primis, e alla sua eredità su fronti diversi: qualche anno prima, 1 Ringrazio Fabio Dei per avermi proposto di scrivere questo articolo e per avermi invitato a un seminario presso il Dipartimento di studi glottoantropologici dell’Università di Roma per un’esposizione della seconda parte dello scritto. Ringrazio Laura Sterponi per una ‘data-session’ e Alessandra Fasulo per alcuni consigli. 2 avevo scoperto, nella biblioteca dell’Istituto Italo Africano di Roma, un libro che sarebbe stato molto importante per me – e non solo per la ricerca – The social practice of symbolization, di Ivo Strecker (1988), che affrontava lo studio di un rito africano secondo una prospettiva interazionista, fortemente indebitata alla politeness theory di Brown e Levinson (1978), alla pragmatica griceana (Grice 1993), ma anche alla decostruzione sperberiana delle concezioni correnti del simbolismo in antropologia (Sperber 1981) e, come si può evincere dal titolo, dalla prospettiva della pratica di Bourdieu (1980). Negli altri paesi avevo visto altre feste con la ‘statuina’: in particolare, mi aveva colpito la festa di Montorio – a quattro chilometri da Monteflavio – per S. Barbara: mi avevano detto che era una festa ‘privata’ e non riuscivo a capire come ci potesse essere una festa patronale ‘privata’. Lì il ‘festarolo’ – si chiama così chi tiene in casa la statuina del santo – invitava a pranzo, il giorno della festa, le bambine del paese. Il giorno della vigilia, avveniva lo “scambio”: il ‘vecchio’ festarolo – quello che aveva finito il proprio anno con la statuina in casa – riceveva a casa, il pomeriggio prima dei Vespri, il gruppo del festarolo ‘nuovo’ – quello che avrebbe preso la statuina per l’anno successivo – poi insieme andavano in chiesa portando la statuina; alla fine della messa, andavano a casa del nuovo festarolo, dove la statuina sarebbe rimasta per l’anno successivo. Mi aveva colpito che questi tragitti, da casa alla chiesa, fossero compiuti quasi soltanto dai gruppi dei due festaroli – bambine, mogli, parenti, magari vicini o amici, ma insomma poche persone – e che non ci fosse la processione con la statua grande della santa neanche il giorno della festa; e mi aveva colpito anche il fatto che fosse il festarolo a pagare tutto – rinfresco, pranzo, fuochi d’artificio, offerte alla chiesa, gioiellino alla statuina della santa – di tasca propria, per una spesa che si aggirava, ormai dieci anni fa, sui cinque-sei milioni. Quello che mi cominciava a interessare era un’analisi dell’uso nei diversi paesi – o, per meglio dire, della diversità dell’uso nei differenti paesi, e anche al loro interno: non tutti i santi di un paese avevano le stesse modalità di festeggiamento (ad esempio, sempre a Montorio Romano, per S. Antonio abate si faceva una colletta e c’erano più festaroli insieme). Questo mi dava anche la possibilità di guardare alla relazione fra contesto e comportamento e quindi di utilizzare il mio interesse per le prospettive incentrate sull’interazione. In particolare, avevo continuato ad andare in giro per paesi, incontrando le differenti modalità con cui si teneva e si ‘passava’ la statuina del ‘santo’2 e avevo iniziato a pensare a queste differenti modalità in termini di variazioni di un uso, analogamente a quanto avviene per la 2 Ad esempio, a S. Angelo Romano, erano gli adulti, e non i bambini a portare la statuina in processione; i festaroli, se non c’erano candidati, venivano scelti dal prete due settimane prima della festa, dicendo i loro nomi dal pulpito; il prete stesso ‘gestiva’ il passaggio in chiesa, veniva a ‘prendere’ e a portare la statuina a casa dei vecchi e nuovi festaroli; a ‘Belpaese’, a fianco alla bambina che portava S. Barbara, altre due ragazze, più grandi, portavano due ceri, ed erano vestite uguali; in alcuni paesi, il ‘passaggio’ della statuina avveniva in chiesa, in altri erano i ‘vecchi’ festaroli a portarla direttamente a casa dei ‘nuovi’; in tutti gli altri paesi, il passaggio avveniva il giorno della festa, a Montorio invece il giorno della vigilia; a Monteflavio, la statuina – anzi le statuine, visto che erano due – giravano all’interno delle quattro confraternite (S. Antonio abate, S. Antonio di Padova, S. Croce e S. Martino), ognuna con le proprie immagini, ed erano estratti da due a quattro festaroli alla volta, a seconda del tipo di regole che si era data la confraternita, e così via. 3 tradizionale classificazione delle narrazioni orali; cercavo di scorgere quale potesse essere un aspetto comune ai diversi contesti, che permettesse di definire un ceppo unico – un idealtipo, se si vuole – rispetto al quale misurare gli scarti: prospettiva che mi sembrava aprire la possibilità a una sistematizzazione che cercavo di intravedere e di cui intuivo la possibilità. Cominciai a pensare che forse, dietro la girandola di differenti condizioni e regole, una caratteristica comune potesse essere rappresentata dal fatto che ci fosse un oggetto che circolava all’interno di un ambito (pre)determinato, e che per la circolazione di questo oggetto si stabilissero dei turni. Era una caratteristica che sembrava particolarmente evidente per quanto riguarda le confraternite: lì, per ottenere nuovamente il ‘santo’, bisognava aspettare che si fosse esaurito il ‘bussolo’, ovvero che tutti gli iscritti l’avessero avuto almeno una volta: ma, a ben guardare – o a ben immaginare – era qualcosa che forse si poteva ritenere estensibile anche a quelle situazioni in cui il ‘santo’ veniva assegnato su prenotazione (in genere presso il parroco, come a Montorio e a ‘Belpaese’) o anche a quei casi in cui veniva assegnato ex pulpito dal prete (come a S. Angelo Romano’): in fin dei conti, in quest’ultimo caso, era il prete che stabiliva i turni, mentre in un altro caso erano i dadi. Un altro aspetto che mi aveva colpito, fin da quella prima festa a Monteflavio, era che, se ben mi ricordo, il santo fosse stato portato, dopo la processione e la messa, al nuovo festarolo – anzi al primo estratto dei due nuovi festaroli – dove c’era stato un piccolo rinfresco; mentre, il pomeriggio, la statuina era stata portata a casa del secondo festarolo, dove c’era stato un altro rinfresco. In ogni caso, questo aspetto era evidente in modo macroscopico a Montorio Romano, dove, per S. Antonio abate, il giorno della festa, il ‘santo’ veniva portato a fare il giro dei nuovi festaroli e di quelli che l’avrebbero preso l’anno successivo: e, ogni volta, c’erano fuochi d’artificio e rinfresco a ogni fermata nelle case dei diversi festaroli. I turni, insomma, non riguardavano soltanto l’assegnazione del ‘santo’, ma anche i suoi spostamenti nel corso della festa, rispecchiando l’ordine di designazione – salvo il fatto che, specialmente a Montorio, se veniva di strada un festarolo che era estratto dopo, per accorciare la cosa si passava prima da lui, con un aggiustamento pratico. C’era, insomma, una correlazione fra il sistema di designazione, gli spostamenti cerimoniali del ‘santo’ e le varie ‘prestazioni’ offerte – o ‘erogate’ – in occasione dell’entrata e dell’uscita del ‘santo’ dalle case, cioè della ‘visita’ del ‘santo’. la modellizzazione Gira e rigira, avevo trovato il criterio guida proprio in questa correlazione. Questo mi permetteva di ‘risolvere’ anche quei casi in cui l’oggetto non era una statuina (ad esempio, un quadro per la festa della Madonna dell’Addolorata a ‘Belpaese’, una reliquia per la festa di S. Ulpia a Pozzaglia), svincolandomi, cioè, dalla dipendenza verso la concretezza dell’oggetto, ma, soprattutto, mi permetteva di confrontarmi con altri casi presenti nella letteratura sulle feste, in cui avevo trovato casi simili: ad esempio, in un articolo su La Ricerca Folklorica di Mariano Fresta (1983), veniva descritta una festa in Sicilia, in cui ogni anno c’era un 4 “governatore” della festa, che, quando subentrava, riceveva dal suo predecessore dei vassoi d’argento; oppure, pensavo a tutti quei casi di avvicendamento nel ‘comando’ della festa, descritti da Pola Faletti di Villafaletto (1939-42); ancora, per certi versi, i casi descritti da Clara Gallini in Feste lunghe di Sardegna (1971) mi sembravano avere in comune sia il ruolo e l’uso della statuina del santo, sia la pratica di avvicendarsi nella gestione della festa da parte dei diversi priori; alcuni dei quali, è vero, avevano raggiunto un grado di stabilità nella loro carica, ma questo aspetto di stabilizzazione era qualcosa che avevo incontrato anche nelle zone di cui mi occupavo, e anzi rappresenta(va) uno dei punti di maggiore ricerca, spesso oggetto di una doppia presentazione contraddittoria o antagonista: da parte di chi si sentiva ormai obbligato a fare la festa e a sostenerne le spese e le incombenze, e da parte di chi muoveva accuse di monopolizzazione del santo. Ma, soprattutto, l’aver astratto la caratteristica di correlazione tra modalità di circolazione mi permetteva di guardare a quello che era il corpus più esteso di letteratura su feste di questo tipo, o su questo tipo di feste: a tutti gli studi, cioè, sulla mayordomia condotti nell’America centrale e in quella meridionale3. In questi casi, infatti, era stato studiato estesamente il cargosystem (cargo, cioè “incarico”, ma anche nel senso di “avere in carico”, di “peso”), cioè il fatto che l’organizzazione delle feste corrispondesse alla ‘sponsorizzazione’ individuale da parte di qualcuno, che, adempiendo a questo incarico, spesso votivo, “ascendeva”, secondo le descrizioni etnografiche, nella scala del prestigio locale, potendo, alla fine del cursus honorum, essere in grado di ricoprire anche gli incarichi più alti in seno alla comunità. Naturalmente, c’erano – e ci sono – differenze macroscopiche di situazione, se si vuole di “contesto”, di storia, di religiosità e di ogni altro fattore di ordine socio-economico-culturalepolitico ecc. fra paesi a meno di cinquanta chilometri da Roma e centri appartenenti all’America Latina: ma, del resto, le differenze erano già presenti all’interno delle diverse situazioni esaminate dagli etnografi, senza aver impedito di parlare di un “cargo-system” per contesti ugualmente differenti e lontani fra loro, come centri appartenenti alle Ande o al Messico. In ogni caso, senza entrare ulteriormente nel dettaglio di una possibile comparazione, quello che mi sembra(va) divertente era che ci fosse una comunanza di problemi inerenti il sistema e le sue proprietà4 : ad esempio, era evidente che, perché ci fosse circolazione dell’oggetto in questione fosse necessario che il numero delle persone che costituivano di volta in volta gli estratti (k) dovesse essere di numero pari o inferiore al numero dei partecipanti complessivi (n), ma non di numero inferiore: 3 La letteratura sull’argomento è copiosissima: cito soltanto qualche studio di più facile reperibilità: Brandes 1988, Chance, Taylor 1985; Monaghan 1990, Vogt 1976. Tra le maggiori riviste, in particolare American Ethnologist pubblica spesso articoli sull’argomento. 4 Ad esempio, nella differenza di contesto, il problema del rapporto, in condizioni di ridotta circolazione della festa, fra (supposta) monopolizzazione e (supposta) obbligatorietà ormai controvoglia del festeggiamento, che avevo scorto fra i festaroli, si ritrova nei cargueros di Brandes (1988). 5 1) k≤ n; e che nel caso in cui il numero fosse pari, il sistema selezionava ogni volta la/le stessa/e persona/e, e, quindi veniva meno, di fatto, la circolazione, dando luogo a un monopolio che, alla lunga, e specialmente se si trattava di una sola persona estratta, poteva far venir meno il festeggiamento; e che il tempo necessario a completare il ciclo (z) delle estrazioni è costituito dal rapporto fra il numero complessivo dei partecipanti (n) e il numero degli estratti (k): 2) z=n/k; e che l’incremento o la diminuzione del valore numerico incideva sull’onere economico dell’incarico e sui tempi dell’ammortamento delle spese, potendo quindi essere utilizzato per una ‘politica’ di ribasso o di rialzo del costo dell’incarico5. Questo tipo di problemi – inerenti, cioè il rapporto fra partecipanti al sistema e l’onere da (sop)portare per la festa – si trova(va)no sia nel Lazio che nell’America Latina – e, azzarderei, probabilmente anche in altri contesti in cui viga la sponsorizzazione degli eventi – e porta(va)no, nella diversità di contesti sociali e nella differenza di motivazioni addette dagli studiosi, a cicli di innalzamento e di ribasso dell’uso, per cui, a fasi di crescita progressiva dell’importo da sostenere per la sponsorizzazione della festa, facevano seguito, una volta giunti a un livello in cui l’elevato costo restringeva progressivamente la circolazione, fasi di abbandono dell’uso e quindi una sua ripresa: almeno, per il Lazio, seguendo le indicazioni di Andreina De Clementi per Sacrofano (1989). Naturalmente, sarebbe riduttivo imputare soltanto a questo tipo di fattori la vitalità o la crisi dell’uso, sul quale potevano influire altri tipi di ragioni – ad esempio, per la zona che studiavo, sembrerebbe che una flessione a partire dalla fine degli anni Sessanta fosse dovuta alla diffusione di ideologie post-sessantottesche. Anche la correlazione fra modalità di designazione e ordine cerimoniale degli spostamenti si ritrova(va) nelle descrizioni etnografiche provenienti dall’America Latina, dove si parlava di primo, secondo, terzo ecc. carguero, e di come si effettuasse fra loro, nella cerimonia di passaggio della festa, visite in ordine di rango, correlate a loro volta a offerte di cibo e, soprattutto, di bevande, con stati di ebbrezza progressivi. Avevo pensato di rendere conto degli spostamenti della statuina in un modo che rendesse conto della relazione fra l’ordine di designazione, l’ordine di visita e gli scambi di offerte: in un primo tempo, avevo pensato a una raffigurazione ‘tradizionale’, in termini, cioè, di una sorta di cartina, ma non mi avevano soddisfatto l’introduzione di notazioni specifiche e il fatto che l’economia della rappresentazione fosse carente rispetto al discorso rappresentato. 5 Volendo perseguire l’aspetto formalizzante del modello – o della descrizione – si potrebbe anche provare a trovare, per le diverse situazioni, i “valori-soglia” di questo rapporto a partire dai quali si giunge a un restringimento o a un allargamento della base di partecipazione: naturalmente, il limite di questi calcoli è nella stessa prospettiva di pensare di poter ridurre a calcolo tutto il versante connesso alla pratica sociale dell’uso, o, se si preferisce, di realizzare un calcolo a partire dall’esclusione di questa dimensione. 6 Cominciai quindi a percorrere l’altra strada, quella aperta dal sistema di notazione concepito attorno al numero degli estratti e al numero dei partecipanti. In sostanza, si aveva a che fare, generalmente, con due serie di estratti: quelli in carica, che lasciavano, e quelli che subentravano, e fra queste due serie si svolgeva la cerimonia, il ‘rito di passaggio’. Potevo quindi concepire il passaggio come una relazione fra serie di turnanti (‘a’ e ‘b’), pensabili, come individui, famiglie o altro: relazione che includeva la modalità di designazione al suo interno – nel senso che parlare di serie di turnanti equivale ad avere già assunto l’effettuazione di una designazione – e che scomponevo, a sua volta, in tre relazioni: spostamento, passaggio di turno, offerta di una prestazione (alimentare, di fuochi d’artificio, o altro). (S): lo spostamento di uno o di entrambi gli elementi; (T): l’effettuazione del passaggio del turno6 fra i due elementi; (O): l’offerta di una prestazione (alimentare, di fuochi, o altro) fra i due elementi. La prima relazione, quindi, quella di spostamento, differisce dalle altre due, perché non ha a che fare con una relazione fra, ma può essere anche una relazione di. Questo vuol dire che la prima relazione può assumere più vettori delle altre due (‘a’ va da ‘b’, oppure ‘b’ va da ‘a’, oppure ‘a’ e ‘b’ vanno da un’altra parte); mentre, per quanto riguarda il passaggio del turno, esso può avvenire solo in un senso alla volta7; per quanto riguarda, infine, l’offerta, sarebbero possibili anche due direzioni di offerta allo stesso momento, come nello scambio di doni. In questa prospettiva, “il ‘santo’ in casa” poteva essere concepito come la correlazione fra queste relazioni, il loro succedersi: in genere l’inizio della cerimonia di passaggio era dato da uno spostamento dei nuovi festaroli, che si recavano a casa dei vecchi festaroli; a questo seguiva, in genere, l’offerta di qualcosa da parte dei vecchi festaroli ai loro ospiti. Quindi, in genere ci si recava insieme in chiesa, si effettuava il passaggio di turno, si andava a casa dei festaroli nuovi, dove questa volta toccava a loro offrire, e quindi, alla fine, i vecchi festaroli tornavano alla loro casa, con il che ognuno era tornato alla situazione di partenza – la propria casa – ed era avvenuta la consegna, cioè c’era stato il passaggio di turno. I punti di maggiore variazione erano costituiti dal numero dei turnanti in azione: nel caso di un sistema di designazione attraverso prenotazione, erano in ballo in genere soltanto le due serie di designati; nel caso di una confraternita, invece, generalmente era tutta la confraternita a muoversi, cioè non solo i nuovi designati, ma l’intero insieme dei partecipanti; un altro punto di variazione era il luogo del passaggio, che poteva essere la chiesa – con regia o meno del parroco – oppure direttamente la casa dei nuovi festaroli. 6 In questa prospettiva di modellizzazione, il passaggio del turno poteva essere costituito effettivamente dal passaggio di una statuina o di un qualsiasi altro oggetto, oppure semplicemente dal passaggio della responsabilità della festa, con una generalità in grado di ricomprendere diverse situazioni etnografiche. 7 Naturalmente, una volta che si sia definito il turno come qualcosa di non condivisibile contemporaneamente da più individui. 7 Ho provato a descrivere queste relazioni attraverso la notazione proposta (i punti e virgola fungono da separatori temporali): 3) S<b,a>; O<a,b>; T<a,b>; S<(b,a)b>; O<b,a>; S<a,a>8 3) indica che la serie di turnanti ‘b’ (i nuovi festaroli) si reca da ‘a’ (i vecchie festaroli); segue l’offerta da parte di ‘a’ nei confronti di ‘b’; il passaggio del turno da ‘a’ verso ‘b’; lo spostamento di ‘a’ e ‘b’ a casa di ‘b’; l’offerta di ‘b’ verso ‘a’; il ritorno di ‘a’. All’inizio e alla fine della sequenza ci sono relazioni di spostamento, che segnano l’avvio e la fine del ‘gioco’. La prima relazione di offerta ha un vettore inverso alla relazione di spostamento che la precede e uguale alla relazione di passaggio di turno che la segue; la seconda offerta è il converso della prima, quindi va nello stesso senso della prima relazione di spostamento e in senso inverso alla relazione di passaggio di turno. La cosa è più semplice di quanto possa sembrare, se si considera che il primo spostamento conduce a casa di ‘a’ e il secondo a casa di ‘b’, così che il vettore dell’offerta –o dell’ospitalità – è inverso al vettore dello spostamento: insomma se si va a casa mia offro io, se andiamo a casa tua offri tu. A questo punto, è possibile costituire altre sequenze di relazioni o fissare delle limitazioni al ‘gioco’, delle regole alla sintassi, tali che il ‘sistema’ sia in grado di processare e correggere, in base ai criteri che gli vengono dati, le sequenze giudicate scorrette: così, ad esempio, si può stabilire che non siano ammesse sequenze di spostamento a vettore inverso degli stessi partecipanti senza che intervenga una relazione di offerta o di spostamento: in questo senso, possono essere ulteriormente distinte le due classi di relazioni (Spostamento da una parte, Offerta e Turno dall’altra): si può anche nominarle come R1 e R2 e definire il santo in casa come una sequenza 4) R1; R2; R1. A questo punto, introducendo una sequenza come 5) R1; R1; R2; R1 il sistema la giudica errata e può adottare due processi alternativi di correzione: o inserisce una R2 dopo R1 o elimina R1. L’inserimento di una prestazione o di una trasmissione di turno (R2) corrisponde a un aumento della ritualità o a una situazione di ricchezza, tale che vengono 8 I problemi di notazione sono molti, e accenno soltanto ad uno: ‘a’ e ‘b’, evidentemente, non indicano soltanto i gruppi, ma anche i luoghi in cui si recano i gruppi. Piuttosto che inserire altri simboli per distinguere fra luoghi e gruppi, ho preferito affidare alla sintassi la specificazione, intendendo che l’elemento in seconda posizione indica anche il luogo del gruppo dove ci si reca: così, S<a,b> indica che è il gruppo ‘a’ che si reca dal gruppo ‘b’, e viceversa; ugualmente, S<(a,b)> indica che entrambi i gruppi si recano da ‘b’. Ugualmente, non ho considerato la variabile chiesa, in cui in genere ci si reca per il passaggio di turno, quantomeno per i giorni della festa, mentre non ci si reca in chiesa quando il passaggio avviene all’interno del gruppo di più festaroli che condividono il possesso temporaneo della statuina durante l’anno. Ringrazio la mia amica Teresa Numerico per alcuni suggerimenti in merito. 8 moltiplicate le offerte; mentre la situazione di eliminazione degli spostamenti è evidentemente una soluzione più austera. In questo senso, l’apparente insensibilità al contesto del modello sembra poter fornire la possibilità di reinserire la valenza della situazione e la ‘decisionalità’ insita nel tipo di scelta adottata: il che porta a scorgere l’aspetto decisionale e, quindi, una valenza politica del tipo di organizzazione. In sintesi, siamo di fronte a un modello di alternanza fra ‘giocatori’ i quali, a loro volta, costituiscono sequenze alternate di azioni: poi, per il contesto, e per l’interazione, bisogna ‘sporcarsi le mani’ – o i modelli – con l’etnografia. Come a ‘Belpaese’, per S. Antonio abate, nove anni fa, quando mi trovai a far parte di una ‘piccola commedia goffmaniana’. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 2. il microscopio il ‘santo’ in macchina una piccola commedia goffmaniana Autori, personaggi, interpreti S. Antonio abate santo eremita dei primi secoli cristiani, impersonato dalla statuina di S. Antonio abate, detta ‘il santo’, argentata e pesante, secondo quanto dicono gli altri personaggi, cinque chili e ottocento; durante lo spettacolo staziona silente nell’altare a forma di stella in casa di Francesco, il ‘festarolo’, ovvero colui che l’ha tenuta in casa un anno. Verrà portata in processione poche ore dopo, quindi tornerà al suo posto; la sera stessa, verrà portata nuovamente in chiesa, ma dopo cambierà casa, andando dai ‘nuovi’ festaroli, Roberto e sua moglie Francesca, i quali la terranno un altro anno, per darla poi ad altri festaroli l’anno successivo, e così via. Oggi è la sua festa. Francesco ‘vecchio’ festarolo di S. Antonio abate, padrone di casa, cinquantenne e più, proprietario di una macelleria a ‘Belpaese’ Iaio figlio di Francesco, è colui che porterà in processione la statuina di S. Antonio abate, quindici anni circa, studente Arianna ‘padrona’ di casa, e quindi ‘festarola’, sorella di Francesco, (e zia di Iaio), circa cinquantenne, casalinga Fabietto marito di Arianna (cognato di Francesco, zio di Iaio) presidente della banda di ‘Belpaese’, porterà in processione uno dei due ceri a fianco della statuina, cinquantenne e più, impiegato 9 Luigi marito della persona che ha allestito l’altare, Lina (cugina di Arianna e Francesco), porterà in processione uno dei due ceri a fianco della statuina, circa quarantenne, autista. Pierluca figlio di Arianna e Fabietto (nipote di Francesco, cugino di Iaio) già musicista nella banda di ‘Belpaese’, ventenne e più, studente. Roberto ‘nuovo’ festarolo di S. Antonio abate, cinquantenne e più Francesca sua moglie, ‘nuova’ festarola, circa cinquantenne, casalinga Laura con Roberto e Francesca, quarantenne e più, casalinga videocamera videocomare scena ‘Belpaese’, nell’area della Sabina, a circa 50 km. da Roma e circa 30 km. da Rieti, il giorno della festa di S. Antonio abate, domenica 16 gennaio 1994, verso le dieci e mezzo di mattina. casa di Francesco. PIOVE. legenda il simbolo di {testo fra parentesi graffa} indica [testo preceduto da parentesi quadra ((testo fra due parentesi)) xxx […] = () (2 sec.), (0,8), ecc. TESTO MAIUSCOLO °testo fra due tondini° ? ! , . testo sottolineato : • scena prima glossa di chi scrive parlato in sovrapposizione parlato di dubbia trascrizione parlato non compreso parlato non trascritto interruzione allacciamento senza pausa fra due parlanti pausa breve senza indicazioni di durata pausa con indicazione di durata parlato con volume più alto parlato con volume più basso tono interrogativo tono esclamativo tono ascendente tono discendente enfasi allungamento vocalico (di durata proporzionale al numero dei puntini) evidenziazione della riga per l’analisi 10 Roberto, sua moglie, Laura, Francesco, Pierluca, Iaio, nella sala della casa di Roberto. Sulla parete antistante la porta un altare a forma di stella in cui si trova la statua di S. Antonio abate. Sul tavolo della sala è imbandito un rinfresco e i presenti, chi più chi meno, ne stanno usufruendo. {si approssimano le voci di chi sta entrando in casa. Roberto si gira verso l’entrata} Francesco {fuori campo} mo’ siete entrati forza= {ridendo} Roberto =buongiorno ch’ha’ fatto A[nna? Arianna [buongio[rno {entrano Arianna e Pierluca. Arianna bacia i presenti, Pierluca gira dietro di loro, passa vicino al divano armeggiando con la sciarpa} Francesca [come mai co’ u fiato’? Roberto come mai tieni u fiato’? {si baciano Arianna e Roberto} Arianna xxx ((senti)) {ansimando} Laura COM’È TIENI U FIATO’ A’? Arianna [((ho fatto ‘no sforzu)) {si baciano Arianna e Laura} Francesca [xxx? Arianna [eh? xxx Laura NO NO EMU FATTU9 {rivolta verso Francesco} Arianna che S. Antonio m’ha dato una forza Dio bono che= {si baciano Francesca ed Arianna} Francesca =embeh certo Arianna che n’ho fa[tto? Francesco [che che che stai a di’? Laura LA XXX GIÀ EMU FATTO= Arianna =senti mo’ cominciate a- a- a- Luci’ i biscotti- {invitandoli a prendere il rinfresco} Laura EMMO FATTU. ( ) EMMO FATTU °nu’°= {muovendo la mano sinistra} Arianna =SENTI MO’ È STATO UN CASINO PERCHÉ PREPARA’ DI SOTTO POI PORTARE IN SALA MUSICA= Francesca =eh eh eh SE BAGNENO LA DIVISA NO? primo accenno alla pioggia • Francesca COME’È SE BAGNÉNNO ‘A DIVISA NO? Arianna {gesto di aprire le mani e scuotere la testa} • Francesca se bàgneno ‘e cose= • Roberto =allora ‘n processio’ ‘n ce ve’= • Francesca =ma n’insisti eh si’ calabrese {ridendo} • Arianna eh? • Roberto perché ‘n processio’‘n ce vie’ ? • Francesca [(( calabrese • Arianna [{quando insiste quando insiste} mica ce se combatte tanto facile all’a incolla::’ ‘a robba così ha’ visto tu? Francesca E:::H 9 NO NO ABBIAMO FATTO 11 Arianna xxx Francesca CASINU LUCI’ EH () • Francesco embeh mo’ è allargato un po’ ma allora pioviccicava sa’ Arianna eh perché pure se so’ allarmati troppo co’ Silvana no, Francesca [e scì Arianna [iss’ ha fatt’il capello10 {si porta verso Francesca, allargando il fazzoletto per soffiarsi il naso} Francesca {ride} • Roberto [va be’ ma ( ) scusa • Pierluca [VA BE’ PERÒ N’È GIUSTO • Roberto {passando dietro Arianna e portandosi vicino a Francesco} scu- scusa eh {mano sinistra a tulipano11 mossa avanti e indietro} ( ) {in coincidenza con la pausa mano sinistra sospesa nel punto più alto della corsa} allora mo’ se piove quando scappemo12 dalla chiesa, ( ) allora se fe- issi13 se fermano alla chiesa {muovendo il braccio destro con l’indice puntato verso la propria sinistra e ruotando il proprio corpo verso sinistra} e noi facemo la processione che vor di’ {riportando l’indice verso destra e ruotando il proprio corpo verso destra rivolgendosi verso le donne che erano alle sue spalle}?= • Pierluca={avanzando lievemente} va be’ però n’è giusto che se fracicano14 porelli eh::= • Roberto =°eh porelli eh°= ‘u santu dentr’a macchina nun va be’ il veto di Roberto Arianna =allora {ha detto} al monumento15 mo’ ce mettemo sopra ‘e machine {tirando il fiatone} (0,7) Francesco embeh a S. Antonio glie facemo fa’ pure ‘na scarrozzata Arianna [embeh Francesca [ah co- e fino al monumento co’ ‘a machina? Arianna [co’ ‘a machina eh Francesco [beh non ((ci vengo io)) • Francesca beh va be’ noi venimmo a pedi [se non piove °questo° {muove la spalla destra e fa una smorfia} • Roberto [no a pedi A::: ‘u santu dentru alla machina nun va be’ eh? • (2 sec.) • Laura eh che fa paurisce? {ride} • Roberto no e- e- io sempre c((om))’ho inteso de di’, {piegandosi velocemente sulle ginocchia e portando verso di sé le mani con le palme alzate in avanti; poi nella fase 10 iss’= lei o questa; ha fatt’il capello = è andata dal parrucchiere «Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito-interrogativa tanto in uso presso gli Apuli». Gadda (1999 (1957): 45). Mi piace ringraziare Cecilia Emiliozzi per la segnalazione della citazione: che aprirebbe il problema della maggiore efficacia descrittiva fra un approccio letterario e uno ‘scientifico’. 12 usciamo 13 loro 14 fradiciano 15 A causa della pioggia, la banda non era venuta sotto casa del festarolo, ma aspettava i festaroli al monumento ai caduti, distante quasi un chilometro dall’abitazione di Francesco. 11 12 • • • • • alta del gesto chiude fra loro le punte di indice e pollice e tende le altre dita} che ‘u santu dentr’a macchina, ( ) {inizio movimento in orizzontale delle mani} nun va be’ {fine movimento orizzontale}. mo’ {Laura} [sì vabbe’ mo’ Iaio ((ho)) capito {passando attraverso la sala} Roberto non è che:: {Pierluca esce dalla sala passando davanti a Roberto} Roberto mo’ non lo so io ho inteso de di’ poi {sorridendo e girandosi} eh ‘A BANDIERA! – che ora è? – già le pile non funzionano dal veto di Roberto all’arrivo di Fabietto e Luigi Arianna eh ‘A BANDIERA! {spostandosi verso la porta della sala; poi si ferma} ecco16 tocca caccia’ amore che la piji tu che lu monellu17 non è venuto dunque che ora è? {guardando l’orologio tenendo sollevato l’avambraccio sinistro – si trova adesso alla sinistra di Roberto, che si è spostato – anche Francesca e Laura si sono spostate e avvicinate al fondo della sala} Pierluca {guardando l’orologio tenendo sollevato l’avambraccio sinistro} ce manca ce man[ca Roberto {guardando l’orologio tenendo sollevato l’avambraccio sinistro} [so’ le nove e mezzo le dieci e mezzo Arianna le dieci e mezzo ce vo’ mezz’ora a pedi a i::::’ Roberto e pure co- convene scappa’ sa’ {girandosi e scuotendo la testa verso Pierluca, continuando a scuotere la testa dopo aver finito di parlare} Pierluca [va be’ ‘n ce sta né papà18 Laura [E SE SE XXX DENTR’A MACHINA? Roberto {si gira velocemente verso Laura} Pierluca né papà e né Luigi ce sta (0,8) Arianna ma Luigi mo’ ‘ddo’ è ito? Pierluca e sta su sta Arianna ma io allora chi c’xxx Roberto magari xxx {indicando la donna o le donne alla propria destra, scherzando; sua moglie avanza al suo fianco} Arianna già le pile non funzionano si so’ si so’ dannate a [montalle e remontalle le pile scariche erano montate {girandosi verso il divano dove sono i ceri con le pile; si girano anche Roberto, Francesca e Laura, tutti orientati verso il divano; Francesco avanza e Pierluca esce dalla sala, per rientrare subito dopo} Pierluca {esce dalla stanza} Francesco [{avvicinandosi al divano} se::: se consumano co’ du’ minuti ma viva la faccia delle candele almeno le appicciavi Roberto {annuendo e spostandosi verso Francesco, poi fermandosi e rigirandosi verso il divano} le appicciavi e le smorzavi19 Pierluca {rientra in stanza} Francesca {spostandosi con Laura verso il divano} ma perché so’ nove le candele? Arianna no EH::: perché chille che faceste voi erano troppo grosse allora 16 qui bambino 18 Felicetto 19 le accendevi e le spegnevi 17 13 […] {Arianna si gira ed esce dalla sala} {fuori dalla sala} Pierluca gli telefoniamo a papa’? Francesco vedi un po’ se no Francesca xxx li portavano l’ommini maturi prima poi certo poi portavano i mone:lli, li portavano i monelli quelli pesavano […] Si parla del peso della statuina. Francesco dice che l’hanno pesata ieri sera e che pesa cinque chili e ottocento; Laura si avvicina all’altare e prende la tavoletta che serve a portare la statuina; si parla della tavoletta, di chi l’ha fatta e di chi l’ha prestata a Ernesta (la madre di Lina). Francesco dice che a Iaio la statuina gli sbatteva al mento. Si parla di come portare la statuina. […] piove? arriva Fabietto e viene accolto con richieste di informazioni meteorologiche Pierluca eccolo Roberto ecco xxx Fabietto Francesca: uno arriva eh Roberto: ‘u presidente arrriva mo’ {sorridendo verso Francesca e Laura, togliendosi gli occhiali e girandosi verso la porta} Francesca: UNO ARRIVA VA’ • Pierluca: {sulla soglia al padre} piove? • Fabietto: eh non piove? ( ) {pulendosi le scarpe sullo zerbino} mannaggia ar core {entra nella sala} (2,5 sec.) Roberto: ciao Fabietto: buongiorno si[gnori • Francesca: [PIOVE FELICE’? • Fabietto: eh no casca l’acqua {entra nella sala, dà la mano a Roberto e forse, fuori campo, a Laura) • (7,5 sec.) [Arianna {fuori campo}allora ecco • Francesco: senti ‘n po’ l’ombrelle pe’ voi ‘e tenete? • Fabietto: e io n’ombrella grossa ce ‘o tengu una de quelle • Francesco: eh una tocca a pijalla perché una co’ la mano la potete regge l’ombrella io se copro Iaio • (Arianna sec.) • Fabietto: e: io:: • Arianna se(nti) • Fabietto posso coprillo pure io a Iaio tenendo xxx l’ombrello grosso Arianna: allora ecco rencartemo così scusete eh {va al tavolo a reincartare i dolci} Francesca: [FAI FAI Laura [FAI FAI Roberto: [fai fai Arianna ‘n te preoccupa’ Arianna [xxx ‘n ce revenemo 14 Roberto [‘n te preoccupa’ che [xxx Francesco: [‘n ce revenemo? ce revenemo appena finita ‘a messa Fabietto: ((la prima cosa)) o a processione o no ecco tocca revenicce Laura: e ‘u santo ce l’ha da reporta’ Francesca: {ridendo} oh poi se volete veni’ direttamente su da noi {allargando le braccia} ce mettemo tutti assieme Laura: embeh Francesca: noi du’ maccaroni l’emmo fatti {risate} Arianna: noi mancu du’ maccaroni avemo fatti [xxx Francesca: e poi sapessi {avvicinandosi a Arianna:} Laura [xxx ‘NA COSA Francesca e poi poi sapessi co’ che l’emo fatti Arianna: cui turdi no? Francesca: ah ha’ capito {ritornando alla propria posizione} {risate } Arianna: invece noi emo fatto i cannelloni co’ xxx arrostu perché dico io non gliela faccio a [falle Fabietto: [no e tanto poi alle tre e mezza se [rista Arianna: [più poi alle tre e mezza dovemo sta ecco ce potemo mette ‘n capo::: de:: ‘n se po’ allora ecco voi ‘vete fatto piove arriva Luigi Roberto {si volta verso l’ingresso della sala e della casa} • Luigi: volevi fa’ piove {entrando nella casa e nella sala} • {risatine} • Roberto: voi ‘vete fatto piove {ridacchia} Arianna: {uscendo dalla stanza} MO’ L’OMBRELLA CH’ERA ‘NFILATA ECCO? Luigi: esso l’ho messa ecco Arianna: addov’ella? Roberto [xxxx Francesco: l’ho messa loco ‘n cima ecco {uscendo dalla sala} • Fabietto: ma poi maddima’ pioveva poi a ‘n certo momento s’è rischiarato e invece niente Luigi {passa dall’altra parte a fianco a Fabietto} Roberto beh si vede che è finita:: prima xxx Fabietto e invece gniente a::: ‘ddo’ vai co’ sta corsa? Fabietto contesta a sua moglie e a suo figlio l’eccessiva fretta Arianna: all’a su che se no:: • Fabietto: su che? ‘ddo’ vai co’ sta corsa? (1 sec.) pe’ mettese in macchina arriva’ dal monumento a qua so’ ci- du’ minuti () • Francesco: ma- ma mo’ repiove mo’? • Fabietto: eh no casca [l’acqua • Luigi: [eh pioviccica Laura: eh invece la bandiera xxx? Fabietto: la bandiera ‘n se porta 15 (0,5) Pierluca: come non la porti va be’ ma su Luigi: già ce sta Patrizio Fabietto: e beh ‘a prendesse Patrizio Arianna: E SE S’ENFONNA ‘A BANDIERA? Laura: e se l’asciugano Fabietto: mo ‘a smontemo ‘a smontemo e- e poi la remontemo Pierluca: la metti dentro a ‘a macchina che smo::nti Luigi: pure de fori [xxx] Fabietto: embeh la porti::: giù col coso (1 sec.) Iaio {arriva tra Fabietto e Arianna, col fiatone} Laura: ecco Iaio= • Francesca: =che è pronto va’ • Pierluca: dai ‘nnamo via su= • Arianna: =e aspetta s’ha da mette i guanti [((’sto monellu {aprendo le mani e avanzando verso l’altare con le palme aperte} Luigi {si gira verso l’altare e prende i guanti di Iaio} • Fabietto: [NO:: ma è inutile ddo’ vai co’ sta corsa Pierluca? • Arianna {fermandosi, toccandosi l’occhio destro con la mano destra} • Luigi: basta ‘n quarto pe’ parti’ da ‘u monumento:: che ce metti? {prendendo i guanti in mano} Iaio {portandosi vicino a Luigi Fabietto: se ci vediamo lì {alza la manica e guarda l’orologio} Luigi [xxx vo’ piove’ che ce metti [a arriva’ lì {armeggiando con i guanti in modo da aprirli} • Fabietto: comunque pe’ anda’ al monumento du’ minuti {fa con le dita il gesto di “due”} rimangono che ce vo’? {riaggiustandosi la manica sinistra} • Luigi {a Iaio, infilandogli i guanti} ficca °qua° (1 sec.) coso Roberto ha detto che n’ ‘ce se po’mette ne’ ‘a machina Francesco svela a Fabietto e Luigi il veto di Roberto • Francesco: coso Roberto ha detto che n’ ‘ce se po’ mette ne’ ‘a machina Fabietto: perché? Francesca {ride} Laura {ride} • Roberto [io ho detto • Arianna: [S. Antonio • Roberto [che nella macchina veramente, • Arianna [>MO’ C’HA MESSO IL PALLINO CHE ‘N CE SE PO’ METTE N’ ‘A MACHINA • E NOI N’ CE’ ‘O METTEMO< • Fabietto: >‘N CE’ ‘O METTEMO E ALLORA IEMMO VIA CHE TE DEVO DI’< • Roberto: NO NO ‘O EH {avanzandosi} MICA CH’HA’ DA DA’ [RETTA A ME EH IO VE ‘O DETTO COM’HO INTESO • Arianna: [NO NO NO NO GNIENTE! A PEDI! perché [{girandosi verso la Francesca; e l’Laura e gesticolando con gesti netti} xxx FORZA! Francesca [E SE CE BAGNEMO CE RASCIUGHEMO SU Iaio: NO OH TUTTI SEMO ITI A PEDI MO’ [xxx 16 Fabietto: [e allora ‘ndiamo a pedi dai! [vabbe’ io pensavo che Arianna [XXX FORZA! Laura {uscendo dalla sala}andiamo Roberto: tutto come ho sentito de di’ che ‘u santu dentro a:::[:: ‘a machina nun va be’ Arianna [DIFATTI XXX CASA! Francesco: ALLORA ALLORA::: quanno se- quann’ ‘e fioccava? +che pe’ S. Antonio o ‘a neve o fanga [xxx Arianna: [OH! E ALLORA E INFATTI S’È FATTA PURE FESTA IN PIAZZA [CO’ TUTTA ‘A NEVE ‘E COSE questa è tradizione i presenti attestano alla videocamera che si tratta di vera tradizione • Pierluca questa è tradizione eh {verso la videocamera} filma filma Arianna: {verso la videocamera} SÌ TRADIZIONE VERAMENTE O PIOVE O NEVICA SE DEVE PORTA’ ‘L SANTO! THE END e allora sia ‘nnamo finisce la piccola commedia e i presenti si incamminano Fabietto e allora sia ‘nnamo Arianna ecco {Luigi prende la statuina, Roberto la bandiera e tutti escono} Una piccola commedia goffmaniana nella Sabina. Possibile grazie alla videocomare – inizialmente un errore di battitura per videocamera, ma poi l’errore mi ha convinto: è proprio una videocomare – che anni dopo, grazie alla sua propensione per il pettegolezzo, ancora ricorda questo piccolo rischio di crisi o questo rischio di piccola crisi. Piccola mica tanto piccola, poi. In genere, la pioggia impedisce gli spettacoli, qui li mette in scena: effettivamente, il rischio era proprio che la pioggia “impedisse lo spettacolo” o che si dovesse fare “sotto il tendone”, cioè in macchina. Così, perlomeno, si erano messi d’accordo fra loro Arianna, Francesco, Luigi, insomma il gruppo dei ‘vecchi’ festaroli, senza troppe preoccupazioni (Francesco: “embeh a S. Antonio glie facemo fa’ pure ‘na scarrozzata”). Ma è in agguato l’ortodossia di Roberto: “no a pedi A::: ‘u santu dentru alla machina nun va be’ ”, l’integralismo che si sovrappone al ‘riformismo’, alla politica dei ‘piccoli passi’ di sua moglie: “beh va be’ noi venimmo a pedi”. E tutto è da rifare. Almeno: non necessariamente, quantomeno in teoria si poteva andare anche in due modalità diverse in paese, chi a piedi e chi in macchina: e questo, evidentemente, è un primo punto di riflessione: di fatto, le modalità attraverso cui si arriva a una ‘soluzione’ della crisi, del conflitto sembrano dare per scontato che non si possa uscire di casa in due modi e in due gruppi diversi, separandosi fra vecchi e nuovi festaroli, come aveva proposto Francesca. Naturalmente, è lecito nutrire dubbi sul fatto che fosse una proposta effettiva e non soltanto un sottile modo di ‘sabotaggio’ della decisione che (le) era stata appena comunicata, quella cioè di portare il ‘santo’ in macchina. Di fatto, probabilmente una soluzione di separazione fra i due gruppi sarebbe equivalsa a una tanto più tacita quanto più esplicita 17 azione di ‘rottura’ nei confronti del vecchio gruppo e, automaticamente, come una ‘denuncia’ della loro ‘pigrizia’ o del loro minore impegno: sai le chiacchiere, in paese! Del resto, l’ipotesi di separazione è subito affossata dall’intervento di Roberto, il quale, certo, ‘entra’ bruscamente, sfruttando proprio il turno di parola precedente della moglie, nel senso di aggancio a quello che ella aveva detto e di un ingresso in sovrapposizione che diventa interruzione: passando, insomma attraverso la ‘breccia’ appena aperta e lanciando una ‘granata’ cui seguono due secondi di attonita pausa (la pausa più lunga, fino a quel momento). Un’osservazione critica, quella di Roberto, in qualche modo in linea e in sviluppo con la sua critica precedente all’esigenza della banda – di non bagnarsi – espressa a Francesco, contra l’opposizione di Pierluca: “issi se fermano alla chiesa e noi facemo la processione che vor di’? ”. Anche in questo caso, con un certo lavorio necessario per guadagnarsi il turno di parola (to get the floor), che si esplica sia nel tentativo ripetuto di ingresso sul piano della conversazione, sia con lo spostamento fisico con cui si porta, passando dietro Arianna, vicino a Francesco. Entrata brusca, quindi quella di Roberto, tanto più in quanto ospite in casa d’altri. Un’entrata che forse si avvantaggia della situazione interna al ‘fronte’ dei ‘vecchi’ festaroli: mancano Fabietto e Luigi; forse, chi veramente potrebbe avere qualcosa di contrario e sostenibile da dire è Arianna – due volte in coma, sofferente di cuore (“come mai co’ u’ fiato’ A’?”; “che S. Antonio m’ha dato una forza Dio bono che / che n’ho fatto?”). Di fatto, il gruppo “vecchi-festaroli” non risponde subito, se non si vuole considerare una risposta implicita, un ri-posizionamento il chiedere l’ora di Arianna, che avvia un processo di (ri)calcolo del tempo necessario per arrivare al monumento a piedi, e che vede Roberto approfittare di quello che sembra (rac)cogliere come un implicito assenso alla sua intransigenza per mettere in campo la “proposta indecente” di muoversi subito (“convene scappa’ sa’ ”), boicottata però senza appello da Pierluca, il quale in questo caso sorvola giustamente sulle difficoltà del rispetto e dell’età: troppo evidente il rischio di offesa degli assenti (Fabietto e Luigi) e la necessaria incongruenza anche con l’ipotesi di fondo, di ciò che si ‘deve’ fare: se non si può portare il santo in macchina, sicuramente non si può andare in processione senza le persone che portano i ceri. Probabilmente Arianna ha già deciso, e forse anche Pierluca, quando dice se telefonare a papà (“gli telefoniamo a papa’?”). Forse, molto probabilmente, si sono parlati fuori dalla sala, al riparo dall’occhio-orecchio della videocomare, e hanno pensato di dover dare adito all’ortodossia; oppure la richiesta di telefonare può essere un ipotesi di informazione sull’insubordinazione. Mentre le comodità hanno contagiato velocemente Laura, che rilancia sull’andare in macchina, forse al momento sbagliato, fatto sta che il suo turno è in sovrapposizione con Pierluca, ma non viene né reiterato da lei, né recepito da altri: Roberto no di certo, che si volta appena verso di lei, ma neanche Pierluca, in quel momento trionfante rispetto alla fretta di Roberto, impossibilitata ad avere corso (“né papà né Luigi”). Coscienza sporca? Evitamento del conflitto aperto rispetto all’ospite? Nessuno si oppone frontalmente alla critica di Roberto, a parte la battuta di Laura (“che fa paurisce? ”) che, in 18 qualche modo, oltre a una presa di distanza, può essere vista anche come un ricucimento fra parola e silenzio che offre, tra l’altro, la possibilità a Roberto di spiegare le sue ragioni; nessuno obietta nel merito, e al suo intervento fa seguito la pausa fino ad allora più lunga di tutta la registrazione, altrimenti contrassegnata da continue sovrapposizioni e ‘allacciamenti’: due secondi, tanti quando ci sono sei persone che fino allora si sono parlate l’una sull’altra. Chi prende il tizzone che scotta, chi si prende la briga di parlare dopo la replica di Roberto? Arianna si ricorda – guarda caso – della bandiera, e del fatto che bisogna prenderla, perché c’è un “monellu” che non è venuto. In qualche modo, passando al grave registro degli analisti, si possono dare almeno due possibilità: una è quella di considerare quello che segue come la formazione di una lunghissima sequenza incassata, una coppia ‘non adiacente’ (Goffman 1981) che trova il suo compimento soltanto dopo il ritorno di Fabietto e Luigi, in quel “perché?” di risposta di Fabietto, quando l’obiezione di Roberto gli viene replicata (o riportata, che naturalmente non è lo stesso) da Francesco, il quale decide evidentemente che non si può più tergiversare sullo scioglimento della tensione, sul potenziale conflitto che si potrebbe delineare tra Fabietto e il ‘clan’ dei ‘vecchi’ per tutte le reprimende di Fabietto sulla fretta; e Francesco affaccia, un po’ timidamente, il “coso Roberto ha detto che n’ ‘ce se po’mette ne’ ‘a machina”: “coso Roberto” non è evidentemente troppo gentile, quantomeno in teoria, eppure sembra non stonare: di fatto, Francesco riprende l’attenuazione di Roberto della propria responsabilità, della diminuzione del proprio nome – “evviva S. Antonio!” si grida quando viene estratto il proprio nome come festaroli in segno di accettazione della nomina; “evviva S. Antonio!” quando il prete, dal pulpito, ringrazia i festaroli per quello che hanno fatto per la festa; né certo si va al ‘rinfresco’, ma a ‘far visita’ al santo – e “coso” allora forse non è qualcosa di maleducato, ma qualcosa che va in direzione di una nuova condizione cui si è avuto accesso in absentia di chi parla (Fabietto) e non si rende conto che, se tutti mostrano fretta di uscire, se Arianna mette i guanti a Iaio – e ci riesce a mettere i guanti, coadiuvata proprio da Luigi che continua a dire che non c’è fretta, se Pierluca fa per andare, se Arianna dice di andare – qualche ragione ci sarà: c’è, insomma, una situazione pregressa che lui non conosce. Tutto sommato, insomma, la cosa poteva anche andare liscia, senza bisogno di nuove spiegazioni e infatti guarda caso appena Fabietto mette piede dentro casa neanche gli chiedono come sta, ma piuttosto se piove; e glielo ripetono, anche i suoi, proprio dopo che lui ha stigmatizzato la fretta inutile di andare: perché certo, se non piovesse…il problema sarebbe risolto. Dopo la ‘bomba’ di Roberto, insomma, si presta attenzione alla pioggia, oggetto di diversi turni. Anche prima, naturalmente, si è parlato della pioggia, ma serviva a sparlare di qualcuna che era andata dal parrucchiere e che teneva un po’ troppo al capello (ho fondati motivi per ritenere che si trattasse della ex-moglie di Francesco); dopo l’exploit di Roberto parlare di pioggia ha anche la valenza di ricordare, fino alla risoluzione, il ‘casino’ interazionale in cui ci si trova, con Roberto-talibano che non ne vuol sapere di macchine e altre diavolerie occidentali e il fronte dei nuovi festaroli che rischia di spaccarsi quando torneranno Fabietto e Luigi, rimasti evidentemente alle vecchie condizioni già pattuite della 19 “scarrozzata” di S. Antonio. Rischio, quindi, di passare per ‘traditori’ di un’impostazione condivisa, di cambiare il gioco mentre uno si è alzato dal tavolo, qualcosa di non simpatico. In questo senso, l’altra possibilità interpretativa, quella di un tacito assenso da parte di Arianna & Co. al qui presente Roberto, attuata attraverso una manovra diversiva (bandieraora-candele e, soprattutto, con il “che ora è?” che avvia il calcolo del tempo necessario per muoversi a piedi) mostra il punto debole nell’idea-rischio di sminuire, di fronte a ‘terzi’, quanto stabilito in precedenza con il marito e con Luigi (il quale, giova ricordare, è il marito della persona che ha preparato l’altare, facendo, evidentemente, un favore): il rischio di frattura è quindi interno anche alla coppia, e avrebbe potuto dare adito a un risentimento che, proprio perché interno alla coppia, avrebbe potuto essere espresso in pubblico più agevolmente di una sconfessione della linea Robertesca: in termini meno bizantini, Fabietto poteva incazzarsi. E poteva farlo con Arianna (la moglie), o con Pierluca (il figlio), senza per questo dover passare per scortese rispetto a Roberto. Possibiilità meno facilmente attuabile, naturalmente, nei confronti di Francesco (il cognato) che, guarda caso, è il primo a parlare, subito rinforzato dalla sorella: la quale, se vogliamo, in questo senso parla da sorella, da moglie, da madre, da padrona di casa, da un sacco di cose, insomma: è la persona più al centro delle relazioni. E fa un capolavoro: “ci ha messo il pallino”, non necessariamente, quindi, qualcosa che effettivamente non va, ergo una sconfessione della inopinata decisione precedente, ma un tarlo, un qualcosa che impedisce di fare qualcos’altro anche se eventualmente giusto. Ora, mi sembra difficile, da un punto di vista cognitivo, sostenere che gli attori sociali in frazioni di secondo facciano – facciamo – questo tipo di ragionamenti e calcoli: piuttosto, vien da pensare al rifuto della teoria dell’inferenza griceana (Grice 1993) propugnato da Sperber e Wilson (1986) o a una ‘ragion pratica’ o a una ‘pratica della ragione’ incorporata, nel senso in cui l’ha mostrato Dieu-Bourdieu (1980). E vien da pensare, allora, che questo tipo di interazioni (e di analisi) appartengano in pieno – e in piano, altro errore di battitura accolto – al dominio della pratica delle relazioni o alle relazioni della pratica, per proseguire nel groviglio dei chiasmi, da cui invece vorrebbero essere espunte per reato di lesa contestualizzazione della storicità dei rapporti pregressi, come asserito in Risposte (Bourdieu 1992). Storicità, invece, del comportamento di Roberto, e del suo alter ego, della di lui moglie Francesca, quando il loro balletto costituisce il ‘gioco – e il giogo – linguistico’ da praticare per i prossimi minuti: nella rispettiva differenza di exis corporale che così ben si accorda con quella di gender (Bourdieu 1990). Detto questo, torniamo al conflitto, potenzialmente non da ridere, per il ‘piccolo golpe’ che si è attuato, in assenza di Fabietto e Luigi, da parte di Roberto & Co., cioè da parte di ospiti: che sono ospiti non solo in casa, ma anche in una cerimonia: la parte che seguirà di processione è un corteo che si avvia in chiesa, ma in cui i nuovi festaroli non hanno alcun ruolo ufficiale: il passaggio di consegne avverrà la sera, dopo la messa delle sei. La loro è una ‘visita al santo’, probabilmente, in qualche modo ‘dovuta’ come compartecipazione alla festa 20 e alle modalità di festeggiamento dei loro immediati predecessori, ma non c’è un ruolo per loro – anche se magari poteva essere offensivo il non visitare, e questo pure è un ruolo. Ed ecco perché, a fianco di Francesco, ‘scende in campo’ – ahinoi abusata metafora – subito Arianna, in sovrapposizione con Roberto: gli ha messo il pallino in testa che il santo in macchina non va bene, “e noi non ce lo mettemo”, come dire “marito mio attento, sto tagliando la testa al toro: sto usando il plurale”, plurale che evidentemente si riferisce non tanto – e non solo – alla coppia coniugale ma all’ensemble del gruppo ‘vecchi festaroli’: Roberto ci ha fatto cambiare idea, ci ha messo il pallino e noi abbiamo dovuto cambiare schieramento: ubi major…. Mettere il pallino, la pulce nell’orecchio: qualcosa non va bene nel nostro atteggiamento. C’è una possibile incompatibilità fra la devozione e il santo. Non è Roberto che non vuole, è Roberto che ha detto che non si può: slittamento, come chiunque vede, di tutta importanza. E Roberto, dal canto suo, sminuisce sé stesso (“non è che…perlomeno così ho inteso”) per farsi ‘portavoce’ – se no, che piccola commedia goffmaniana sarebbe?: portavoce, macchina fonica, autore, ecc.: v. Le forme del parlare (Goffman 1987). ‘Sminuisce’ sé stesso? Per lui, con lui, in lui, parla il Coro, coloro che non sono qui: è il ricorso all’impersonale, al deontico. Non è un fatto di gusto personale, ergo non disputandum est. “Perlomeno così ho inteso de di’ ”. Più che un avvertimento: non è, signori, una terra incognita, è una questione che so già dibattuta, su cui la giurisprudenza si è già espressa, c’è qualche precedente da citare: vogliamo cavillare sull’esatta citazione in quel frangente non disponibile? Meno che mai, asserire che è tutto inventato? Difficile rendere per scritto la videocomare, ma le notazioni di postura corporale, per quanto sgraziate, rendono il Roberto “che s’è ritto: dalla cintola in su” l’è tutto un gesticolare netto in casa d’altri a rinforzo di posizioni opposte a quelle di chi ospita, condotta alquanto inusuale. Il che, fra l’altro, rinforza il carattere – e la caratura – dell’intervento, mosso evidentemente da esigenze Superiori se si trasgredisce così le bon ton. Gesticolare netto e retto: le mani che, prima messe in avanti in coincidenza del “com’ho inteso de di’” – non si dice forse “mettere le mani avanti”? – come a sviare la responsabilità autoriale di quanto sta per seguire, prendono l’andamento della sentenza netta enunciata e completata con il “nun va be’” finale: non ho responsabilità per la sentenza di condanna netta che ho inteso dire a riguardo. Che fareste, continuereste nel rischio di empietà, in un qualcosa che si nutre di intenti devozionali? Purtroppo non ho informazioni su Laura, era chiaro che era appartenente al gruppo di Roberto (“è lei che dice “emmo fattu” ad Arianna quando li invita a profittare del rinfresco) e in genere in queste occasioni si portano sorelle, comari, parenti. Il suo impertinente ma anche scherzoso-attenuatorio “che fa, paurisce?” fa da ponte e comunque, recepisce, almeno apparentemente, l’empia proposta a quattroruote che poi rilancia anche dopo. Ma, in ogni caso, attenua la potenziale offesa, il ‘face-threatening act’ (Brown e Levinson 1987; Strecker 1988) very hard di Roberto, cui permette una replica in un turno che, dopo la micidiale presa 21 di posizione (“no a pedi:”), inizia con un “no” che evidentemente non è da intendere come risposta semantica, ma piuttosto come una classica “marca del discorso” (Stame 1994) seguito da tre e- e- e-, insomma con una certa difficoltà a proseguire sulla linea precedente, fino all’aureo soccorso dell’impersonale, magister dei contesti pubblici e politici (Duranti 1994). Ma poi è proprio vero che a rispondere è soltanto Arianna con il cambio-pista della bandiera? Il primo ad aprire il balletto di risposta-spostamento è proprio il piccolo Iaio, che tutto sommato è quello che la vede lunga: “capito”, quasi fosse l’Azzeccagarbugli al cospetto di chi si è tagliato inutilmente il ciuffo. “Capito”, non si sa cosa, non si sa neanche se si riferisca al conflitto, ma suona bene. E mentre parla prende, attraversa la sala ed esce. Il secondo, ad uscire, è Pierluca. La videocomare ne mostra una smorfia fissa sul fisso, quasi un sorriso tirato, difficilmente decifrabile – del resto, perché la spietatezza analitica dovrebbe spingersi a de-cifrare un sorriso? Da lì in poi, è tutto un balletto di spostamenti: Arianna resipiscente della bandiera accenna un’uscita dalla sala, poi si ferma, Francesca e Laura si portano vicino al divano quando Arianna lancia il terzo salvagente delle pile dei ceri (il secondo era quello dell’ora, con tre persone ferme con l’avambraccio sinistro levato a guardare l’ora, quasi fosse una questione di secondi e non una sintonizzazione del comportamento, in cui ognuno riprende il gesto e le parole dell’altro. Ma è un salvagente che rischia di bucarsi ed affondare quasi subito perché rilancia forse troppo presto il tizzone che ancora scotta, e Roberto ‘toppa’ in pieno con l’indicazione di uscire, senza aspettare “né papà né Luigi”. A tutto c’è un limite, e certo non si può anteporre il santo a piedi al non aspettare papà e Luigi. E infatti non replica subito, anzi prova a buttarla in scherzo ma qui purtroppo la videocomare, un po’ sorda come si conviene alle vecchie pettegole, non ce la fa a riferire cosa ha detto. Si vede solo Roberto che accenna scherzosamente verso Laura, forse riprendendo in chiave di scherzo il di lei tentativo di farsi dare un passaggio dal santo in macchina). Salvagente perché di fatto previene e impedisce un ipotetico spaccamento di due fronti, dopo il potenziale conflitto Roberto / Pierluca “convene-scappa’ / né papà né Luigi”. Poi uscirà Arianna, quando ormai si parla delle candele e la ‘pacificazione’ è avviata. In sala resta Francesco, come padrone di casa – qualità vicaria, evidentemente, rispetto agli ospiti, in grado di passare da Arianna a Francesco a Pierluca, ma non all’infinito – a parlare della tavoletta per portare il santo. E Pierluca chiede se sia il caso di chiamare “papà”. Poi uscirà anche Francesco, richiamato da Arianna che cerca l’ “ombrella”. Niente di strano, sia chiaro, o di eccezionale, nel fatto che, in una situazione di preparativi, i padroni di casa-festaroli entrano ed escano, cerchino per casa ombrelli, ecc. Ma è sicuro che, dopo il sasso lanciato da Roberto, parecchie mani si nascondono e c’è un continuo spostamento di posizioni, anche interne alla sala, che, guarda caso, porta a una compattazione del gruppo dei nuovi festaroli ospiti: Francesca e Laura si avvicinano, Laura dice qualcosa all’orecchio di Francesca – non si fa – Francesco si avvicina anche lui al divano e anche lui lancia un salvagente anzi addirittura una zattera con il suo “viva la faccia delle candele almeno le appicciavi” – hanno una faccia le candele? – che guarda caso ‘guarda indietro’, verso qualcosa che tutto sommato può essere 22 considerato nella stessa direzione di rifiuto della tecnologia in cui va l’incompatibilità “santo / macchina”. Salvagente-zattera che viene ripreso e rilanciato da Roberto (“le appicciavi e le smorzavi”); e che fa seguito sempre al tema lanciato da Arianna, sulle pile che non vanno. Anche Francesca parla delle candele del passato, del fatto che le portassero gli uomini e che erano “de figura”, come cosa passata – mentre Fabietto e Luigi, evidentemente, le portano ancora. E poi, si parla della tavoletta e del peso della statuina. C’ero anch’io il giorno prima quando l’hanno pesata, e c’era soprattutto anche la videocomare, ma non posso aprire un’altra finestra. Insomma, anche questo della tavoletta e del peso della statuina è un argomento mica male che poi insomma siamo sempre là, candele, tavoletta, statuina stiamo sempre a parlare del santo e dei suoi accessori ma almeno non della pioggia e non si litiga anzi. Fin quando arriva Fabietto, e poi Luigi e allora non si può più cincischiare. Arianna inizia a reincartare – “fai Arianna fai”, tanto sono sempre operazioni che permettono di avvantaggiarsi, magari si va a piedi davvero “fai Arianna fai” tanto è qualcosa che va fatto. “Scusete” mica che non voglio più darvi da mangiare, è che magari andiamo in ogni caso tocca reincartare “fai Arianna fai”. Tanto “ecco tocca revenicce” beh io non l’ho capita cioè non ho capito che vuol dire, sembra una di quelle cose che si sanno e quindi che motivo c’era di dirlo, è chiaro che dopo la messa si tornava, e forse è soltanto un pour parler di Fabietto, ancora ignaro del veto. E ci si aggancia, però, Francesca, che prende e invita scherzosamente a mangiare i maccaroni coi “turdi”. Arianna invece dice che non ha fatto niente e mica è tanto vero, ci sono stato anche io a pranzo quella volta, quando cadde la nonna Ernesta e batté la testa e grazie a S. Antonio non si fa niente e dopo un quarto d’ora riprende a mangiare i cannelloni come se nient fuss. Insomma dice che non valeva la pena di fare qualcosa se poi alle tre e mezza bisogna stare là cioè dovevano distribuire le pagnottelle in piazza: era un extra che avevano preparato stante che erano macellai Francesco e anche il cugino Sirio e stante anche il fatto che abitano sulla piazza alle tre e mezzo hanno organizzato una distribuzione di pagnottelle con la porchetta ma questo è un altro discorso fatto sta che Arianna ce lo mette come dire – ma qui sono maligno – noi rinunciamo a mangiare per bene perché abbiamo pensato per gli altri. Insomma e poi c’è poco da dire dopo l’entrata difensiva di Francesco ed Arianna il gioco è chiuso subito, Fabietto forse non tanto felice in quel momento dice solo che “iemmo via che te devo di’” e lì chiaramente Roberto una volta visto che la sua linea è passata senza colpo ferire perché non ha dovuto riaprire bocca ma ci hanno pensato Francesco ed Arianna, gran signori. Ma del resto che doveva fare Roberto? L’unica cosa plausibile e possibile era che la sua linea fosse stata interiorizzata dal gruppo dei ‘vecchi’ festaroli, altrimenti beh sarebbe stato troppo dover risostenere una duplice battaglia non solo contra Fabietto e Luigi ma anche contro gli altri non convinti, insomma se loro erano d’accordo spettava a loro dirlo a Fabietto e Luigi: certo aspettano un po’ prima di parlare, prima vedono se fila tutto liscio, se per caso si può provare ad accellarelare i tempi, zitti zitti ma Fabietto riprende tutti per la fretta e allora tocca intervenire. Insomma sarebbe stato bello pesante se avesse dovuto riparlare Roberto, per 23 lui e per gli altri, in particolare per chi già aveva sentito la sua opinione. E appunto Roberto una volta che la linea è passata naturalmente mette un altro po’ di mani avanti e non è lui, è come ha sentito dire e via con tutto il repertorio se non fosse che stavolta scattano i collegamenti che amalgamano il diktat con la ‘tradizione’: e Arianna parte con “NO NO A PEDI, con tanto di gesti netti e girandosi verso le donne; Iaio si aggancia “no oh tutti semo iti a pedi mo’” e a Fabietto non resta che una frase monca “e ‘ndiamo a pedi io pensavo che”, interrotto da Roberto che riafferma la sua litania cui rincara prima Arianna con un “infatti” che sanziona tutto e poi Francesco con la sua incertezza espressiva, con quella rincorsa dell’ allora::: allungato e la ripetizione del “quanno quanno” fino alla parziale citazione “fioccava pe’ S. Antonio o ‘a neve o fanga” che poi sarebbe “S. Antonio co’ la barba bianca o neve o fanga” come dire che non è strano che intorno al 17 gennaio il tempo non sia dei migliori, e dopo la giurisprudenza teoretica arrivano le citazioni esatte delle sentenze: Arianna (“oh allora e infatti s’è fatta pure festa in piazza [co’ tutta ‘a neve ‘e cose”). Insomma, certo che il problema c’è anche per la grande espansione negli ultimi anni di ‘Belpaese’ nella campagna, ‘Belpaese’ una volta ristretta nel borgo o poco più. E, visto che c’è la videocomare con tanto di videocompare, ce se ne ricorda e arrivano le prime osservazioni rivolte esplicitamente alla macchina da presa e il richiamo – poteva mancare? – alla tradizione di Pierluca “questa è tradizione eh filma poi {rivolto verso la videocomare}” e di Arianna “sì tradizione veramente o piove o nevica se deve porta’ ‘l santo” che aprono la strada a “la messa è finita”: “e allora sia ‘nnamo”. 3. il cannocchiale e il microscopio Ho costruito e affiancato due modi diversi di guardare a uno stesso ‘oggetto’, a uno stesso ‘terreno’ – è veramente una stessa cosa, quella guardata da occhi diversi? È lo stesso ‘terreno’, quello da cui trae spunto il modello e quello a cui si riferisce l’analisi dell’interazione? La modellizzazione, soltanto accennata, evidenzia le caratteristiche ‘sistemiche’ dell’organizzazione, proponendo una scrittura delle ‘regole’ che ne vengono desunte, ma non è in grado di scorgere il come dell’azione. L’analisi dell’interazione, invece, non può dare conto del ‘sistema’, ma mostra ‘nel vivo’ come queste ‘regole’ vengono seguite agite e praticate20, se non la loro ‘creazione’ o, se si vuole, il dubbio sulla loro stessa esistenza in un caso di crisi della procedura come quello riportato – ritengo peraltro possibile cogliere una processualità inerente al ‘farsi’ della socia(bi)lità e al possibile ‘scarto’ dalla ‘norma’21 anche in altri contesti, a seconda di quanto si possa o voglia avvicinare lo sguardo. Due approcci diversi, in apparenza forse giudicabili soltanto complementari, se non divergenti o addirittura inconciliabili. Fra il cannocchiale della modellizzazione e il 20 Posso soltanto rinviare ai diversi articoli sul rapporto fra definizione delle ‘regole’ e pratica sociale, fra Wittgenstein e Bourdieu, nel testo edito da Richard Shusterman (1999): Shusterman (1999a), Bouveresse (1999) e, in particolare, Charles Taylor (1999). 21 Questo mi sembra, fra l’altro, una possibile lettura della concezione di “ruse” di Michel de Certeau (1980). 24 microscopio dell’interazione, insomma, più un’alternativa che una convergenza, come sembra normale per strumentazioni diverse. Tuttavia, un primo tratto comune è il linguaggio ‘tecnico’: le procedure di descrizione che costituiscono una ‘presa di distanza’ in grado di ‘filtrare’ l’esperienza sottraendola al linguaggio comune e costituendola quindi in ‘secondo grado’. A ben guardare, poi, un’altra caratteristica comune è l’organizzazione a turni: colta nel modello come (pre)condizione comune alle diverse forme rituali, e insita nell’interazione come principio guida dell’organizzazione della conversazione, secondo la pionieristica intuizione di Sacks, Schegloff, Jefferson (1974), alla base dell’analisi conversazionale. In questo senso, entrambe le ‘descrizioni’ hanno a che fare con una stessa modalità di auto-nomia, nel senso etimologico del termine, di costruzione normativa da parte di una comunità. Una modalità, questa dell’alternanza – antecedente logico della reciprocità – alla base del vivere-in-società, nella sua implicita – e talvolta esplicita – retorica egalitaria (Torre 1995) affermata negli statuti delle confraternite così come nelle pratiche di assegnazione, distribuzione e circolazione di un bene: costitutiva della dimensione politica e, quindi, paradossalmente difficile da cogliere e da isolare in quanto principio organizzatore, proprio per la sua pervasività e apparente neutralità: rispetto a questo, non sembra allora strano che il filo comune tra il ‘micro’ dell’interazione e il ‘macro’ del modello si costituisca lungo la ‘diversità’ del linguaggio necessaria all’analisi per collocarsi ‘fuori’ da procedure fondanti la quotidianità e alla base anche dell’ ‘educazione’, così spesso incentrata sul rispetto dei turni (“aspetta il tuo turno”, “prima ai grandi”), nei confronti di quelli che sono spesso i protagonisti del ‘santo in casa’, i bambini. In questa direzione, allora, pensare quanto precede nei termini di una riproduzione, situata al cuore della pratica sociale, di modalità di conferma dell’invalso, della orté dòxa, equivale al previo riconoscimento del potere come modalità immanente di (inter)relazione e non come un re cui “si debba ancora tagliare la testa” - come diceva Foucault (1978) ne La volontà di sapere – inscritto nel linguaggio corporale e nel lavorio conversazionale attraverso cui si mediano le opzioni, a monte della scelta di una morfologia organizzativa – sia essa, nuovamente, riferita a turni e prenotazioni o a dinamiche di conversazione, non tanto nella particolarità storica e individuale della scelta stessa, quanto, nuovamente, nelle modalità negoziali attraverso cui essa viene proposta, sostenuta e accettata: nell’idea stessa – e nella pratica, in primo luogo – che to get the floor nella conversazione equivalga all’avveramento di un ordine e non, nuovamente, a una scelta di auto-nomia ormai storicamente tacita(ta) nelle sue ragioni costitutive, nel ‘giogo linguistico’ della “rilevanza condizionale” che crea e da cui deriva; equivale a scorgere un riflesso del potere nella capacità di mobilitare un mondo 25 ‘morale’22 in agguato e nel suo apparente opposto, di prendersene gioco ‘scarrozzando’ i ‘santi’. Insomma, politica in scelte morfologiche apparentemente neutrali di alternanza nella ripartizione di un bene e in retoriche quotidiane attraverso cui si compongono rischi di frattura, non dissimili, in un ordine diverso di agibilità, dal rito cui si riferiscono: il filo comune della retorica lega il comportamento, gestuale, di spostamento fisico e verbale dei protagonisti alle regole del ‘giogo’ e agli orizzonti egalitari tracciati dai modelli descrittivi dell’analista: alla fine, il cannocchiale del modello e il microscopio dell’interazione fissano lo stesso oggetto, le forme assunte storicamente dal materiale che li costituisce. riferimenti bibliografici BOURDIEU Pierre 1980 Le sens pratique Paris: Editions de Minuit BOURDIEU Pierre 1992 [1992] Risposte. Per un’antropologia riflessiva Torino: Bollati Boringhieri BOURDIEU Pierre. 1990: «La domination masculine» in Actes de la recherche en sciences sociales: 4-36. 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