La Crusca risponde - Casa editrice Le Lettere

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La Crusca risponde - Casa editrice Le Lettere
La Crusca risponde
Dalla carta al web
(1995-2005)
a cura di
Marco Biffi
Raffaella Setti
Prefazione di
Nicoletta Maraschio
Le Lettere
PREFAZIONE
La Crusca molto frequentemente risponde a domande sull’italiano
contemporaneo. Lo fa in diverse occasioni, sui giornali, alla radio o in
televisione, e assai più spesso negli incontri con gli insegnanti, con i
giovani e con le tante persone che vengono a visitare la sua bella sede.
Ma ormai da ventitré anni ha uno strumento specifico per farlo: «La
Crusca per voi», la rivista semestrale, fondata da Giovanni Nencioni e
ora diretta da Francesco Sabatini, destinata al grande pubblico degli
“amatori” della lingua italiana. Inoltre da undici anni l’Accademia svolge
una regolare consulenza linguistica anche attraverso il sito web, grazie
al lavoro di giovani collaboratrici e giovani collaboratori, che sono
impegnati quotidianamente a rispondere a quesiti linguistici di diverso
tipo. Si tratta di un’attività che è venuta notevolmente crescendo nel
tempo e che l’Accademia giudica di particolare rilevanza e significato,
tanto da averle dedicato un nuovo Centro, il Centro di Consulenza sulla
Lingua Italiana Contemporanea, CLIC (diretto da Francesco Sabatini),
che si affianca a quelli esistenti di Filologia italiana, Grammatica italiana e Lessicografia italiana. Le ragioni sono chiare: il dialogo con tanti
interlocutori su aspetti e problemi diversi del “movimento” dell’italiano contemporaneo offre all’Accademia un’occasione straordinaria, da
una parte, di mettere a disposizione di chi ne sente l’esigenza le proprie competenze, dall’altra, di trarre dai quesiti posti importanti stimoli
di riflessione e approfondimento intorno a questioni di grande attualità. Infatti, se si analizza attentamente il flusso e la tipologia delle domande, si può disporre di un eccezionale strumento di monitoraggio
dell’andamento dell’italiano contemporaneo e rendersi così conto di
quali siano i settori maggiormente interessati dal processo evolutivo in
atto e quale ne sia la percezione da parte di chi lo parla e lo scrive ogni
giorno.
Anche per questo motivo l’Accademia ha deciso, dopo l’uscita nel
1995, presso Le Lettere, di una raccolta completa delle risposte dei primi
nove numeri della «Crusca per voi», di chiedere alla stessa casa editri-
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PREFAZIONE
ce di pubblicarne altre due relative ai periodi 1995-2005 e 2006-2015,
entrambe antologiche e comprensive delle risposte via web. Sono molto grata a Nicoletta Pescarolo, direttrice editoriale delle Lettere, che
ha risposto positivamente alla nostra richiesta e sono felice che il primo libro esca ora e il secondo sia già in fase di avanzata preparazione.
Un ringraziamento particolare desidero rivolgere a Raffaella Setti e
Marco Biffi che, dedicandosi in questi anni con grande impegno alla
consulenza su carta e in rete, hanno accettato di curare questo libro,
scegliendo in modo equilibrato e rappresentativo domande e risposte
e illustrando con chiarezza nelle loro introduzioni le caratteristiche e
le finalità complessive della pubblicazione. Francesco Sabatini nel 2002,
nell’assumere la direzione della «Crusca per voi», nel suo corsivo di
apertura ha scritto che «l’uso di ogni lingua si fa di giorno in giorno
più impegnativo, in relazione alle molte esigenze di una società complessa e alla più sofisticata tecnologia delle comunicazioni». Stiamo navigando in un mare aperto, molto bello ma pieno di insidie e di difficoltà, come dimostrano gli ultimi rilevamenti sulla conoscenza e sulla
capacità d’uso effettivo dell’italiano da parte degli italiani. L’Accademia intende offrire con questo libro una bussola di orientamento che
aiuti a eliminare molte paure spesso infondate. La spiegazione di alcune trasformazioni in corso, sulla base della nostra storia linguistica,
risponde all’obiettivo istituzionale che l’Accademia persegue in tutte
le sue attività, di diffondere, entro e fuori i confini nazionali, una maggiore consapevolezza dei valori e delle potenzialità dell’italiano.
Nicoletta Maraschio
Presidente dell’Accademia della Crusca
DALLE PAGINE DELLA «CRUSCA PER VOI»
Le finalità che spinsero nel 1990 Giovanni Nencioni a fondare «La
Crusca per voi», il semestrale dell’Accademia destinato a un pubblico
vasto ed eterogeneo, sono tuttora attuali e rappresentano le linee guida
di tutti coloro che sono oggi impegnati nella sua conduzione, a cominciare da Francesco Sabatini, che ne ha assunto la direzione dal 2002, al
comitato di redazione che lo affianca e ai giovani studiosi e illustri
accademici che vi collaborano.
Quelle finalità furono indicate chiaramente nell’articolo di apertura
del primo numero della rivista nel quale erano contenute anche preziose indicazioni di metodo:
La Crusca non ha più, come quando sorse, una sua propria, unica e granitica, teoria
della lingua; e pensa con tante teste quanti sono gli accademici, i quali, concordando in alcuni princìpi fondamentali, possono discordare in altri. Sono, ad esempio, concordi nel ritenere che la lingua nazionale, sommo bene sociale, vada curata e difesa, non meno che il patrimonio artistico e il paesaggio naturale [...].
Sembra dunque opportuno muovere, nelle risposte, dalla storia dei fenomeni. La
storia è un modo di conoscenza che ci rende più umani e meno intransigenti, perché
mira a dimostrarci che se siamo diventati quello che siamo, lo dobbiamo in parte
a chi ha vissuto prima di noi. Nella lingua ci addita i motivi di crisi, cioè dei
mutamenti in corso, le possibilità di soluzione, l’opportunità di favorire l’una
piuttosto che l’altra. Per le strutture non in crisi ci fa apprezzare le ragioni e i
vantaggi della loro stabilità; e per le esigenze terminologiche della scienza, della
tecnologia, dell’industria ci segnala il modo di produrre nuove parole individuando e rispettando le norme compositive affermatesi nella tradizione.
Un invito a seguire la storia dei singoli fenomeni, a collocarli nel
quadro complesso dell’evoluzione strutturale della lingua così da ricondurre i cambiamenti in atto nell’italiano a un percorso motivato e comprensibile. Quando «La Crusca per voi» fu fondata, non era certo la
prima volta che si approntava uno strumento per dare “regole”, suggerimenti e occasioni di riflessione linguistica, ma era senza dubbio nuova la scelta, per un’istituzione come la Crusca, di pubblicare un periodi-
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RAFFAELLA SETTI
co rivolto «agli insegnanti e agli amatori della lingua». Nel 2002, Francesco Sabatini, successore di Nencioni nella direzione della rivista, ha
significativamente intitolato il suo corsivo di apertura Continuando:
Apparsa in anni in cui la coscienza linguistica della società pareva assopita in un
pigro disinteresse, «La Crusca per voi» ha promosso un risveglio e viene ora a
trovarsi in prima linea nella fase attuale di notevole tumulto sociolinguistico.
Sollecitazioni sempre più forti vengono dall’accresciuto volume degli scambi
linguistici mondiali; s’intrecciano tra un paese e l’altro, specie nell’Unione Europea, i dibattiti sulle sorti delle lingue nazionali di fronte all’anglo-americano;
l’uso di ogni lingua si fa di giorno in giorno più impegnativo, in relazione alle
molte esigenze di una civiltà complessa e alla più sofisticata tecnologia delle
comunicazioni; l’italiano è finalmente penetrato in tutti gli strati della popolazione ed è anche lingua acquisita sul nostro territorio da schiere di alloglotti
immigrati.
Possiamo ora constatare come le linee guida di Nencioni, mantenute
e riaffermate da Sabatini, siano state innovative e decisamente fertili:
nel panorama editoriale e multimediale italiano si sono infatti moltiplicate iniziative simili, con la pubblicazione sempre più frequente di
prontuari grammaticali e raccolte di neologismi e con l’aumento della
presenza in quotidiani, periodici, trasmissioni radiofoniche e televisive
di consulenze linguistiche di “pronto intervento” curate da esperti.
Un’attenzione che si estende dagli studiosi ai molti professionisti della
parola, soprattutto insegnanti, giornalisti, scrittori, cantautori che nel
corso della loro attività hanno attraversato, con toni dalle diverse sfumature, il campo delle “questioni” linguistiche. Ne esce un panorama
naturalmente variegato in cui l’Accademia della Crusca, che si propone come un punto di riferimento, è spesso citata e apprezzata. A questo interesse per le questioni linguistiche, al bisogno di consulenza, alla
sensibilità di un pubblico vasto per i problemi di lingua, l’Accademia
ha cercato di far fronte mantenendo aperto e vivo il dialogo coi lettori
e offrendo sempre nuove possibilità di confronto.
Nel 1995 fu pubblicato il volume La Crusca risponde, che raccoglieva tutti i quesiti e le risposte apparse nei primi nove numeri della rivista; nel 2002 l’apertura del nuovo sito dell’Accademia ha permesso un
allargamento esponenziale dei destinatari del servizio di consulenza
linguistica. A distanza di molti anni, sempre alla luce delle indicazioni
di Nencioni, consolidate dalla direzione di Sabatini e arricchite dall’esperienza della consulenza on-line, l’Accademia intende proseguire il lavoro avviato offrendo questa seconda raccolta di quesiti e risposte tratti dai numeri 10-31 della «Crusca per voi». Rispetto al primo volume
il lettore noterà che sono stati modificati i criteri di scelta dei quesiti e
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delle risposte: l’antologia copre un arco di tempo più lungo e sono stati
selezionati, per ciascun numero della rivista, solo alcuni quesiti, evitando
ripetizioni tematiche e soprattutto cercando di far emergere i problemi
maggiormente sentiti nei diversi periodi, la varietà delle questioni sollevate (che riguardano la grafia, la fonologia, la morfosintassi e il lessico, ma anche l’interpunzione, gli accenti, le etimologie e l’organizzazione del testo) e le curiosità suscitate da eventi d’attualità. Inoltre,
soprattutto negli ultimi anni, le risposte sono state affidate non più solo
ad accademici, ma a molti altri studiosi, fra i quali alcuni collaboratori
dell’Accademia. La loro voce non è omogenea e la raccolta che proponiamo intende proprio evidenziare la molteplicità degli interessi e delle posizioni di fronte alle novità che investono gli usi linguistici contemporanei. «La Crusca per voi» mantiene, nella cadenza semestrale,
la veste originaria, il tono di pacata conversazione, e continua a rappresentare la ricchezza dei punti di vista presenti in Accademia: ogni
autore esprime la sua personale visione su singoli fenomeni, così che
sia sempre favorito il confronto tra atteggiamenti diversi, più o meno
prescrittivi, più o meno rigidi, a seconda delle scuole di pensiero e degli
argomenti di volta in volta affrontati.
Un aspetto interessante che nelle scelte abbiamo cercato di far trasparire riguarda le motivazioni, le occasioni e le aspettative che inducono le persone a inviare un quesito alla nostra “consulenza”. Benché
le domande siano solitamente riformulate in sede redazionale per eliminare riferimenti troppo espliciti a fatti personali (negli ultimi anni si
è optato per l’eliminazione anche della città o del paese d’origine quando
questo risultasse irrilevante per la contestualizzazione del quesito),
restano comunque ben individuabili almeno tre tipi di occasioni che
spingono i lettori a scrivere alla Crusca: la necessità di una consulenza
per motivi professionali, le divergenze di opinioni tra amici o colleghi
in merito a una forma o a un particolare uso linguistico e l’incertezza
di fronte alla diffusione di nuovi usi linguistici sotto la pressione dell’attualità. Si tratta spesso di quesiti intorno a neologismi, ma anche a
costrutti e fenomeni di semplificazione grammaticale (per lo più sentiti
in televisione o letti sui giornali) che producono talvolta indignazione
e toni risentiti nei nostri interlocutori. In ogni caso, sono sempre nettamente percepibili sia il forte attaccamento alla lingua italiana sia l’attenzione costante con cui i lettori avvertono e segnalano cambiamenti
e presunte deviazioni dalla norma.
Luca Serianni – una delle firme più ricorrenti nella rubrica Quesiti
e risposte – in un suo libro si è soffermato a descrivere la tipologia dei
quesiti che arrivano alla nostra redazione e l’immagine di lingua che li
ispira e ha notato che è molto frequente «un atteggiamento iper-razio-
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RAFFAELLA SETTI
nalistico, fondato sull’idea che la lingua sia un monolite nel quale si
possa sempre tracciare il confine giusto-sbagliato sul fondamento di
un’astratta immagine della norma, sottratta alla variabilità degli usi
concreti» (L. Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 48). Questo tipo di atteggiamento è spesso frutto del tradizionale insegnamento scolastico della grammatica che solo negli ultimi decenni si è aperto alle innovazioni della sociolinguistica e della
linguistica testuale e ha ridefinito i confini tra sistema astratto e usi.
Confini che comunque mantengono zone d’ombra e punti di sovrapposizione determinando fenomeni che diventano oggetto ricorrente
delle domande dei nostri lettori.
Scorrendo le molte domande e le relative risposte raccolte in questo
libro, è possibile fare qualche altra considerazione: se in alcuni casi vale
ancora l’impressione che chi si rivolge all’Accademia della Crusca sia
alla ricerca di risposte certe e univoche, non mancano tuttavia richieste di spiegazioni, di ricostruzioni storiche, di riflessioni su fenomeni
generali le quali rivelano un interesse più profondo per l’italiano e per
il suo “movimento” attuale. Talvolta si coglie chiaramente la disponibilità ad accettare che la lingua, realtà multiforme, viva di molte varietà, si adatti a diversi registri e che i fenomeni “anomali” non siano
sempre risolvibili semplicemente etichettandoli come giusti o sbagliati.
In questa prospettiva non è più così netta l’individuazione dell’errore
e diventa presupposto ineliminabile il fatto che anche la norma cambia
nel tempo, così come cambiano abitudini e usi sociali. Se alcuni comportamenti ritenuti inaccettabili qualche decennio o qualche anno fa
adesso ci appaiono del tutto “normali”, così anche negli usi linguistici
ci adattiamo a cambiamenti funzionali alle nuove esigenze comunicative e, in alcuni casi, la norma recepisce e “regolarizza” forme e costrutti
fino a poco tempo fa ritenuti substandard.
La struttura della nostra lingua, fissata e normalizzata nel corso dei
secoli attraverso gli usi scritti, prevalentemente letterari, è stata caratterizzata da una straordinaria stabilità. Solo da quando è diventato
realmente strumento di comunicazione di tutti, usato in tutti i contesti
(dalla massima alla minima formalità), l’italiano ha cominciato a mostrare segni evidenti di trasformazione (che si sono manifestati con
maggiore chiarezza nel parlato) e ad accogliere le innumerevoli possibilità creative e i molti scarti dalla norma. Sono così potuti riemergere
in superficie tratti già presenti anticamente, censurati dai grammatici
dal Cinquecento a oggi, e come tali esclusi dagli usi scritti. Nell’architettura dell’italiano contemporaneo, all’interno di confini che non sono
sempre nettamente individuabili, hanno quindi preso maggiore consistenza varietà diverse e i linguisti per definire la nuova centralità rispetto
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alla lingua della tradizione hanno coniato inedite etichette, quali “neostandard”, “italiano tendenziale”, “italiano dell’uso medio” e “italiano
normale”. Sono così emersi i punti di maggiore incertezza: la generale
tendenza alla semplificazione ha investito sia il sistema verbale (ad
esempio nel rapporto tra presente e futuro o tra indicativo e congiuntivo), sia quello pronominale (con la tendenza a far prevalere la forma
gli per a loro o a estendere, sulla spinta di comportamenti sociali “nuovi”, l’uso dell’allocutivo tu anche in contesti prima sentiti maggiormente
formali in cui era d’obbligo il lei); sulla spinta del parlato avverbi,
congiunzioni e segnali discorsivi hanno assunto nuovi valori che da
taluni vengono percepiti come scorretti (ad esempio l’uso sostantivato
di perché, il perché); attraverso l’ampliarsi degli usi si sono estese le potenzialità semantiche delle parole e, per quel che riguarda i verbi, si
sono talvolta moltiplicate le possibilità di reggenza delle preposizioni
così da destare dubbi e incertezze in molti (leggere nel o sul giornale?).
Si tratta quindi di cercare di individuare, delimitare e illustrare con
quanta più chiarezza possibile quali siano i settori grammaticali che
hanno un funzionamento rigido, in cui le regole sono e restano ben
definite (ad esempio la grafia e i paradigmi verbali), rispetto ad altri
settori in cui il margine di scelta di chi parla o scrive è più ampio: il
luogo linguistico in cui i due ambiti si incontrano e si pongono limiti a
vicenda è la frase, che ha una struttura sintattica di base che può tuttavia essere variamente elaborata e arricchita.
Le risposte pubblicate su «La Crusca per voi» sono in buona parte
il riflesso di questo quadro ed è per questo che possono essere talora
“possibiliste”, talora nette e precise (qual è si scrive senza apostrofo;
soqquadro si continua a scrivere con due qq), senza che sia mai trascurata l’importanza della spiegazione e della storia dei fenomeni.
Tra le molte questioni trattate assumono particolare rilievo quelle che
hanno suscitato veri e propri dibattiti intorno a problemi d’attualità
ancora aperti a soluzioni molteplici. Le richieste, talvolta dai toni indignati, riguardano vari aspetti del vocabolario dell’italiano contemporaneo: dai neologismi ritenuti “brutti” (ma, come ci ha ricordato recentemente Tullio De Mauro, «tutte le parole nascono come neologismi»,
spesso sentiti – in ogni epoca – “stonati” all’interno del repertorio lessicale stabilizzato di una lingua), all’origine di nuove accezioni, fino
all’uso incipiente di alcune locuzioni. Il lettore ritroverà in queste pagine temi di cui, in qualche forma, anche attraverso altri mezzi, avrà
sentito parlare negli ultimi anni: il plurale di euro (la nuova moneta la
cui adozione ha prodotto, per riflesso, anche espressioni come vecchie
lire e vecchio conio); la correttezza di forme femminili per quelle professioni tradizionalmente maschili che si stanno velocemente aprendo
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RAFFAELLA SETTI
alle donne (avvocata, sindaca, ministra, solo per fare alcuni esempi); la
proposta del titolo di dottore iunior e senior per differenziare chi esce
da un corso di laurea triennale e chi prosegue con un corso specialistico. Numerose anche le risposte relative a certe forme e locuzioni regionali o ad altre tipiche del parlato televisivo e giornalistico che si sono
diffuse in tempi rapidissimi nell’italiano comune. Ne sono esempi l’affermarsi di assolutamente e piuttosto che; l’estendersi delle funzioni della
preposizione a a scapito di in e su (al cellulare / sul cellulare); e soprattutto i fenomeni sopra citati di semplificazione morfologica, ai quali si
può aggiungere la proliferazione di sigle e acronimi.
Queste e molte altre sono le questioni che abbiamo scelto e raccolto
in questo volume, col quale ci auguriamo di offrire non solo una mappa utile per orientarsi nel complesso “movimento” linguistico contemporaneo, ma anche un’occasione piacevole per riflettere sulla ricchezza e sulla bellezza dell’italiano, lingua di cultura, di comunicazione e di
lavoro alla quale i nostri lettori dimostrano di essere legati da un “amore” profondo.
Raffaella Setti
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(ottobre 2005)
TRATTAZIONE DELLE VALENZE IN GRAMMATICHE E DIZIONARI DELL’ITALIANO
Viviana Henke, da Düsseldorf (Germania), chiede se nelle descrizioni
grammaticali dell’italiano vengono trattate le valenze e in particolare se
di tale proprietà (dei verbi e di altre classi di parole) si tiene conto nei
nostri dizionari scolastici. Chiede anche bibliografia.
Sono costretto a segnalare che l’unico dizionario dell’italiano che presenti tutti i verbi registrati (più di 10.000) con l’indicazione sistematica
delle loro valenze è quello che porta il mio nome e quello di Vittorio
Coletti (ultima edizione: Il Sabatini Coletti. Dizionario della Lingua
Italiana, Rizzoli-Larousse, 2006, con cd-rom, monovolume, di pp. XIX,
3080). Fin dalla prima edizione (1997), è stata nostra intenzione inserire la trattazione di questa importante proprietà dei verbi. Sulla base
degli sviluppi della teoria di L. Tesnière, il nostro modello prevede le
seguenti classi (do tra parentesi un solo esempio): zerovalenti (piovere), monovalenti (sbadigliare), bivalenti con secondo argomento diretto (pulire), bivalenti con secondo argomento indiretto (giovare), trivalenti (dare), tetravalenti (trasferire). La struttura valenziale di ogni verbo
(secondo le diverse accezioni) è indicata preliminarmente da una formula riassuntiva (ad esempio, per dare: sogg.-v.-arg.-prep.arg.). Per i verbi pronominali non consideriamo valenza il legame con la particella pronominale (lavarsi le mani). Specifichiamo la forma dell’argomento (che
può essere anche una frase) e indichiamo anche, con sottolineatura, il
tipo di reggenza (proprietà, com’è noto, diversa dalla valenza). La nostra
versione del modello è descritta nella presentazione al Dizionario e nel
fascicolo di guida che lo accompagna per gli insegnanti. Di bibliografia utile su tale materia, per l’italiano, ce n’è poca. Indico gli studi di
tre collaboratrici alla nostra opera: Patrizia Cordin e Maria G. Lo Duca,
Classi di verbi, valenze e dizionari. Esplorazioni e proprietà, Unipress,
Padova, 2003; Elisabetta Jeþek, Classi di verbi tra semantica e sintassi,
ETS edizioni, Pisa, 2003. Inoltre, esiste uno studio contrastivo italiano-tedesco: Maria Teresa Bianco, Valenzlexikon Deutsch-Italienisch.
Dizionario della valenza verbale, Julius Groos Verlag, Heidelberg, voll.
I e II, 1996. Un’opera importante per le costruzioni dei verbi italiani è
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quella di P. Blumenthal e G. Rovere, Wörterbuch der italienischen Verben. Konstruktionen, Bedeutungen, Übersetzungen, Klett Verlag, StuttgartDüsseldorf-Leipzig, 1998. Infine: del modello valenziale ho parlato già
nel n. 28 di questo periodico (alle pp. 8-9: Che complemento è?).
Francesco Sabatini
SULLA PAROLA TOSCANA CALLARE
Fabio Giusti domanda da cosa derivi la parola callare usata in Toscana
nel senso di ‘passo, viottolo, piccolo ponticello’. Il nostro lettore precisa:
«Mi è stato detto che il callare era in origine, una volta abbastanza ampia che nei cascinali separava le abitazioni dalle stalle e sotto la quale si
usava riporre temporaneamente i carri soprattutto se carichi di fieno, in
caso di pioggia improvvisa... Io però ho sempre saputo che queste volte
erano chiamate in vernacolo tirasotto».
Per conoscere il significato, o i significati, assunti attualmente dalla
voce callare in Toscana possiamo ricorrere alla consultazione dell’Atlante Lessicale Toscano (in CD-ROM, Roma, Lexis progetti editoriali,
2000) che raccoglie testimonianze vive databili fino al 1985. La parola
risulta ancora piuttosto vitale nell’area nord-occidentale della regione;
in nessuno dei centri in cui compare però è attestato il valore di ‘volta
che nei cascinali separava le abitazioni dalle stalle’: vale invece ‘passaggio tra la strada e il campo (o tra due campi) costituito da un ponticello’
in un’area compatta a nord della provincia di Pisa, con uno sconfinamento nell’attigua provincia livornese. Da collegare a questo valore il significato di ‘margine del campo’ assunto a Vecchiano, sempre nell’area.
Ancora nella stessa area callare vale ‘strada campestre (percorribile
con carri)’ e ‘stradina secondaria’.
Più a nord, a Marlia in area lucchese, la parola indica invece il ‘vicolo’, ma è ormai di uso raro anche per le persone anziane.
Derivato da callare è callareccia, aggettivo (ma anche sostantivo) di
via, strada, attestato nella stessa area ma anche a Monterchi in area
aretina nord orientale, dove si specifica che si riferisce a ‘(strada) ampia che collega tra loro diversi poderi’.
Connessi a callare, sempre dai dati forniti dal corpus dell’Atlante sono
callaia che è la ‘strada tra i campi’ a Mortaiolo (Livorno), a San Giusto
in Piazzanese, provincia di Prato e a Sinalunga (Siena) e calletto che a
Gello, in provincia di Pistoia, indica lo ‘sbarramento nel canale del
mulino che impedisce all’acqua di defluire nei campi’.
Dai vocabolari dialettali consultati callare è attesto col valore di ‘strada
campestre’ in Val di Nievole in area pistoiese sud-occidentale, e di ‘viottola di montagna’ nel versiliese (cfr. G. Cocci, Vocabolario versiliese,
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«LA CRUSCA PER VOI»
Firenze, Barbera, 1956); ma valeva, e vale ancora, più specificamente
‘punto in cui un viottolo o una strada secondaria si stacca dalla via
maestra o da una strada principale’ sia nel lucchese, sia nel pisano (Cfr.
G. Malagoli, Vocabolario pisano, Firenze, Reale Accademia della Crusca, 1939 e G. Guidi, Nuovo dizionario pisano, seconda edizione riveduta e ampliata, Pisa, Centro pisano di cultura vernacola, Editrice Goliardica, 1996).
Si sottolinea quindi l’idea del punto del passaggio, del varco che poi
è il valore ‘valico, passo’ e in particolare ‘quella apertura che si fa nelle
siepi per poter entrare ne’ campi’, attestato da Pietro Fanfani nel suo
Vocabolario dell’uso toscano (Firenze, Barbèra, 1863), dove callare è dato
come sinonimo di callaia, senza però alcuna localizzazione.
Infine il termine è registrato come toponimo in area lunigianese.
Callareccia è attestato per Navacchio vicino Pisa da Malagoli come
‘viottola di campagna’; lo stesso Malagoli ha un valore traslato per la
vicina Barbaricina.
Callare è stato registrato anche come termine di lingua: nella quinta
edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (Firenze, Tipografia Galileiana, 1863-1923) lo troviamo come sinonimo, ma meno
usato, di callaia e quindi coi valori, fra gli altri, di ‘passo angusto, valico; e dicesi per lo più di quello aperto nelle siepi per potere entrare
nei campi’, ‘varco sbocco o apertura qualunque’, ‘sentiero angusto, calle
che serve di passo da un luogo a un altro’. Nella stessa edizione del
Vocabolario si trova anche callareccia, forma diminutiva di callare, con
il valore di ‘interramento che si fa di fosse o fossati’ (la fonte è costituita dalle Leggi di Toscana del sec. XVIII emanate in più tempi edite a
Firenze s.d.). La ragione dell’accoglimento della voce callare è l’uso di
Francesco (da) Buti nel suo commento a Dante (2, 82) del canto IV del
Purgatorio per glossare l’uso di calla: è il caso di notare che Buti nacque a Pisa da famiglia originaria del Castello di Buti in area pisana
settentrionale.
Probabilmente a causa della localizzazione in area ristretta o comunque non fiorentina, la voce non era invece stata accolta nel Nòvo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze (Firenze, Cellini,
1870-1897).
Il Grande Dizionario della Lingua Italiana (fondato da Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002, con aggiornamenti nel 2004) accoglie
callare come sinonimo disusato di callaia: oltre a Buti, è citato l’uso del
Nieri nei Cento racconti popolari lucchesi (Livorno, Giusti, 1906); la voce
è glossata come lucchese e pisana. Come nella V Crusca, trova accoglimento anche callareccia, con lo stesso valore, la stessa fonte e la glossa
“disusato”.
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Già il Lessico Universale Italiano di Lingua, Letteratura, Arti, Scienza
e Tecnica (Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1968-1978) non registra più la voce, né tanto meno il derivato.Callaia invece si mantiene
attestato in lingua dal Vocabolario degli Accademici della Crusca fino ai
dizionari di Zingarelli (Bologna, Zanichelli, 1983) e di Palazzi - Folena
(Torino, Loescher, 1992) e al Vocabolario Treccani (Roma Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1986-1994); mentre il Dizionario di De Felice Duro (Palermo, Palombo, 1985) non lo accoglie; i valori sono sostanzialmente gli stessi attestati per callare. Per ciò che riguarda l’origine
non sembrano esserci dubbi: come per callaia si può rimandare a calle
sostantivo maschile e femminile ‘strada, sentiero’ (av. 1294, B. Latini)
ormai rimasto nell’uso solo per indicare le strade strette di Venezia,
al femminile, o nei testi poetici, al maschile. Calle deriva dal latino
cãlle(m), di etimologia incerta (Cfr. M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario
etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1979-1988).
Oppure, come nel Dizionario Etimologico Italiano di C. Battisti e G.
Alessio (Firenze, Barbera, 1950-1957), sempre s.v. callaia, ci sarà da
considerare l’intermedio latino tardo calla “forma data da glosse per
callis”, che ha il diretto continuatore nell’italiano calla (attestato dal
Vocabolario degli Accademici della Crusca ai vocabolari contemporanei
sulla scorta di Dante) come ‘apertura, passo varco’ e ‘apertura munita
di cataratta, in un corso d’acqua; pescaia’.
Invece dell’esito toscano -aio del latino -arius che troviamo in callaia,
abbiamo il suffisso -are, dal latino -aris, tipico delle formazioni aggettivali spesso di tradizione dotta, ma non solo: per esempio lo troviamo
in filare, casolare, castellare, focolare (cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica
della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-1969).
Dal punto di vista dell’evoluzione semantica non c’è alcun problema: si mantiene, accanto al valore di ‘sentiero’ già del latino callis, quello
attestato da Dante di ‘varco’ e quindi ‘punto di passaggio’, ben documentato anche dalle testimonianze toscane contemporanee che sottolineano spesso il punto di transizione da una strada a un sentiero o dalla
strada al campo. Anche il significato riportato nel quesito, che non ha
trovato alcun riscontro nella documentazione a nostra disposizione,
essendo comunque un punto di passaggio da un ambiente a un altro,
dalla casa alla stalla, è ugualmente riconducibile al concetto di varco.
Proprio questo sottolineare il varco, il passaggio, fa pensare che sia più
probabile la derivazione da calla il cui significato sembra più legato a
questo concetto, piuttosto che da calle.
Un’ultima osservazione sul derivato, con ulteriore suffissazione, callareccia: la massiccia diffusione in Toscana – in particolare nell’area grossetana, ma anche aretina e senese – di carrareccia (accanto a carraia) con
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«LA CRUSCA PER VOI»
lo stesso valore di ‘(strada) campestre’ attestata dall’Atlante Lessicale
Toscano, non consente di escludere la possibilità almeno di un’influenza reciproca delle due formazioni.
Matilde Paoli
USO DI MANGIATO NEL SENSO DI ‘CHE HA GIÀ MANGIATO’
Dalla Spagna Maria Paola Nepi ci scrive: «Ho letto un articolo giornalistico in cui si citava, da un invito a una riunione: si prega di venire già
mangiati. È corretto usare mangiato nel senso di ‘che ha già mangiato’?».
Una ventina d’anni or sono Tullio De Mauro rispose a un quesito
analogo in una rubrica giornalistica (il passo si legge ora nel Grande
Dizionario della Lingua Italiana fondato da Salvatore Battaglia, Torino,
UTET, 1961-2002, vol. XIV, p. 5: «Non trovano cittadinanza nei vocabolari (salvo errore), forse perché d’uso prevalentemente parlato e assai scherzoso, i fratelli di “bevuto”, “cenato”, “pranzato” e perfino il
cannibalesco “mangiato” sempre con valori attivi. Alle loro spalle si
intravede l’ombra augusta della tripletta latina cenatus, pransus e potus, participi passati di ceno, prandeo e poto, con valore attivo». A
qualche anno di distanza, la situazione non è mutata: solo bevuto è
registrato dai dizionari nell’accezione di ‘ubriaco’ (il Battaglia, vol. II,
p. 202, reca esempi novecenteschi di Jahier e Moretti). Qualcosa di più
possiamo mettere insieme in prospettiva storica per cenato, che si legge nel toscanissimo Burchiello («così me ne vo a letto mal cenato», son.
cxcii, v. 8 secondo l’edizione di M. Zaccarello, Torino, Einaudi, 2004)
e più tardi nell’Alfieri («dopo cenati»: cfr. Battaglia, vol. II, p. 959).
Rispondendo allo specifico quesito della lettrice, si può osservare che
mangiato in senso attivo è possibile soltanto nella lingua parlata e in
registro scherzoso; in un invito a una riunione – dunque nell’italiano
scritto e per giunta in un registro formale – non ci aspettiamo certo di
trovare un uso del genere. Oltretutto è anche una questione di buon
senso: se nel cartoncino d’invito non c’è una menzione esplicita (del
genere di «Segue rinfresco», «Buffet» o simili), s’intende che non è
prevista nessuna refezione: che gli intervenuti vogliano venire dopo aver
mangiato oppure a digiuno è affar loro.
Luca Serianni
PRONOMI SOGGETTO DI TERZA PERSONA: EGLI/ELLA E LUI/LEI
Lorenza De Agostini vive a Francoforte e ha notato che agli stranieri
che studiano l’italiano viene insegnato che i pronomi personali di terza
persona singolare con funzione di soggetto sono lui/lei: considerando che
a scuola le era stato sempre prescritto l’uso dei pronomi egli/ella, doman-
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da se sia cambiato qualcosa nella norma dell’italiano o se invece si tratti
di una semplificazione per scopi didattici.
Non è la prima volta che al nostro foglio viene posto il problema dell’alternativa tra egli/ella e lui/lei: si vedano le risposte di Francesco
Sabatini apparse sui numeri 1 (ottobre 1990) e 17 (ottobre 1998) della
«Crusca per voi». Evidentemente si tratta di una questione ancora non
del tutto risolta per la “coscienza linguistica” degli italiani; anche sul
piano scientifico, del resto, la bibliografia sull’argomento continua ad
arricchirsi di contributi, che affrontano la questione sia sul piano storico, sia con riferimento all’uso contemporaneo. La signora De Agostini, che vive all’estero e si occupa in particolare dell’insegnamento dell’italiano a stranieri (tedeschi, nella fattispecie), propone una questione
interessante, che distingue nettamente il suo intervento dai precedenti:
i rapporti di forza tra egli e lui sembrano essersi invertiti; mentre in
passato ci si lamentava del fatto che gli insegnanti di italiano imponessero la coppia egli/ella non considerando l’uso di lui/lei, oggi si deve
piuttosto lamentare il silenzio su egli/ella.
Ora, se in parte è vero che le “regole” grammaticali di una lingua
nel corso del tempo possono cambiare, in questo caso sembra cambiata soprattutto la loro applicazione. La concorrenza come pronome soggetto di terza persona tra egli/ella e lui/lei (questi ultimi riservati originariamente solo al complemento oggetto o dopo preposizione, come
me e te rispetto a io e tu) è infatti plurisecolare: i grammatici, a partire
dal Cinquecento, hanno sempre sostenuto l’illegittimità di lui/lei come
soggetti, ma quest’uso, iniziato a Firenze già nel Trecento, si è, nel corso
dei secoli, progressivamente esteso, tanto che ci sono ormai molti casi
in cui l’uso di egli è divenuto impossibile (o, dovremmo dire tecnicamente, “agrammaticale”): quando il pronome è dopo il verbo (“lo dice
lui” e non *lo dice egli), in frasi ellittiche (“Chi lo dice? Lui” e non
*Egli), in coordinazione con un altro pronome (“io e lui” e non *io ed
egli), ecc. Ma nel parlato anche nella normale posizione preverbale lui
è praticamente l’unica forma usata; altrimenti si usa il verbo senza esprimere il pronome personale (cosa che l’italiano, contrariamente a molte
altre lingue, può fare quasi sempre). Vero è, però, che egli resiste talvolta anche nel parlato in combinazione con stesso e con anche e che,
soprattutto, mostra ancora una certa vitalità nello scritto. Qui, come è
stato da tempo chiarito, egli ha una debole funzione anaforica, di riferimento a una persona nominata nel contesto immediatamente precedente (la presenza del pronome prima del verbo è per lo più legata a
un mutamento di soggetto); lui invece ha una funzione più nettamente
deittica, normale nel parlato e necessaria anche nello scritto quando il
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«LA CRUSCA PER VOI»
soggetto deve essere messo in rilievo. Non mi dilungo sull’origine di
quest’uso, rimandando alle risposte di Sabatini già citate. Lo studioso
individua l’origine di quest’uso nel convergere di due fenomeni: l’esistenza di lui (e lei, loro) come residuo di un’espressione del tema (per
quanto riguarda lui) che assume anche la funzione di soggetto e l’esistenza di un lui postverbale, quindi con valore di rema (è lui) in qualche modo “accusativale” (anche in altre lingue: francese c’est lui, inglese it’s him). A conferma di questa spiegazione ricordo che nel parlato
delle regioni centrali e settentrionali anche le forme oblique me e te
sono usate, la seconda più diffusamente e decisamente fino a Roma
compresa, come tema (spesso seguito da pausa) o come rema al posto
di un soggetto (“me, non ci vado”; “il padrone sono me”; “te, ci vai?”;
“me l’hai detto te”).
Il sistema dei pronomi personali italiani, come si vede già da questo
caso, è assai complesso. Non c’è dubbio che, soprattutto nell’insegnamento agli stranieri, le prime forme da insegnare siano lui/lei, che infatti nelle grammatiche hanno spesso sostituito egli/ella nei paradigmi
verbali (“io canto, tu canti, lui/lei canta”, e non più “egli/ella canta”); però è altrettanto giusto non ignorare egli/ella, che devono essere conosciuti (e all’occorrenza usati) almeno da chi dovrà avere una
consuetudine anche con l’italiano scritto (e non solo quello letterario).
Sarebbe importante, naturalmente, fornire ai discenti anche le necessarie indicazioni sulla diversità dei valori sintattici e testuali e degli ambiti
d’uso delle varie forme, che, come si è accennato, sono ben differenziati.
Paolo D’Achille
USO DEL CONDIZIONALE DOPO ANCHE SE
Cristiana Livignani, da Roma, chiede se nel seguente passo “anche se
in questo caso probabilmente avrebbe la destra occupata, non potrebbe
comunque passare” sia regolare l’uso del condizionale dopo la congiunzione anche se.
Il caso è analogo a quello di benché seguito dal condizionale, già da
me illustrato nel n. 29 di questo periodico (a p. 6). Le congiunzioni
concessive di per sé reggono il congiuntivo, ma quando nella realizzazione testuale del discorso si verificano delle ellissi (cioè si saltano dei
passaggi), finiscono per trovarsi davanti ad altri modi verbali. Si rifletta su questa formulazione, reintegrata del passaggio sottinteso, del brano
che ha fatto sorgere il dubbio: «anche se [è vero che] in questo caso
probabilmente avrebbe la destra occupata...». Nella realizzazione testuale la lingua ci appare, ma solo in superficie, diversa da come è
descritta nel sistema puro (virtuale) e soprattutto le congiunzioni si
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presentano spesso in una posizione nuova: il lettore può consultare
tutte le voci delle congiunzioni nel mio Dizionario (citato nella risposta precedente).
Francesco Sabatini
LA DOPPIA NEGAZIONE IN ITALIANO
Un’insegnante, Angelica Del Vecchio (Caserta), ci scrive: «Un collega
afferma che, anche in italiano, due negazioni affermano. Secondo me si
confonde con il latino; chi ha ragione?»
Ha ragione la nostra lettrice. Il rigoroso sistema delle negazioni proprio del latino non sopravvive in italiano né, in generale, nelle altre
lingue romanze. Il cumulo di avverbi negativi rinforza una frase negativa (“Non voglio in nessun modo vendere l’appartamento»”; è evidente che chi parla vuol tenersi ben stretto quel tale appartamento). Anticamente l’avverbio non poteva anche rafforzare un precedente né,
come in Dino Compagni: «né non voleano la guerra» (cfr. Il Grande
Dizionario della Lingua Italiana fondato da Salvatore Battaglia, Torino,
UTET, 1961-2002 con aggiornamenti nel 2004, vol. XI, p. 282). E non è
raro addirittura l’uso dell’avverbio non pleonastico, che non implica
negazione, un uso impensabile in latino; si pensi a interrogative proprie della conversazione cortese (“Non vuole bere qualcosa?” equivalente a “Vuole bere qualcosa?”: la richiesta è formulata in modo appena più indiretto, e quindi più discretamente) o a certe proposizioni
temporali (“Rimani pure finché non ritorna tuo figlio”).
Luca Serianni
ETIMOLOGIA DELLA PAROLA PUTIFERIO
Emanuela Sala Peup chiede l’etimologia della parola putiferio della
quale è riuscita a ricostruire, attraverso la consultazione di alcuni dizionari, soltanto il legame con vituperio. La richiesta mira ad una risposta
più dettagliata che spieghi l’evoluzione fonetica del termine e la storia
degli usi e dei contesti in cui la parola si è fissata nel suo significato
attuale.
La ricostruzione etimologica, per risultare scientificamente fondata,
deve rispondere a due criteri imprescindibili: deve essere convincente
dal punto di vista fonologico e coerente dal punto di vista semantico.
Molte etimologie restano incerte o continuano a suscitare accesi dibattiti proprio perché i due livelli non arrivano parallelamente ad una piena
chiarificazione che renda conto sia dei cambiamenti fonetici sia degli
slittamenti semantici.
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«LA CRUSCA PER VOI»
Putiferio ‘scenata, gran confusione’ è parola recente, visto che la sua
prima registrazione è di Pietro Fanfani che la inserisce nel suo Voci e
maniere del parlar fiorentino del 1870 (Firenze, Tipografia del Vocabolario diretta da G. Polverini); proprio questa “novità” della parola indurrebbe ad escludere l’origine latina e ad orientarsi invece nella direzione degli usi popolari con influssi dialettali o regionali. In merito
all’etimologia di putiferio sono state avanzate ipotesi diverse: la prima
è quella di Giacomo Devoto che individuava, sul versante fonologico,
una metatesi da vituperio che si andava a sovrapporre ad un incrocio
tra le parole putido e ferie, difficilmente compatibili però dal punto di
vista del significato (tra l’altro putido è parola ricercata che male si
colloca nei contesti informali in cui si è fissato putiferio).
Ipotesi più recenti si trovano nel DELI (Dizionario Etimologico della lingua italiana di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Bologna, Zanichelli,
1979-1988, nel 1999 in edizione aggiornata e corredata da CD-ROM)
e nel GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana, fondato da Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002 con aggiornamenti nel 2004):
l’origine di putiferio sarebbe da ricercare nella sovrapposizione di vituperio con Putifarre nel significato di ‘donna dissoluta o vogliosa’, possibile esito popolare tratto dalla locuzione biblica moglie di Putifarre
(Potifar era il ministro del faraone la cui moglie tentò di sedurre Giuseppe, figlio di Giacobbe, cfr. Genesi 39, 7-20). Si orientano verso questa
interpretazione anche i dizionari più recenti come il Sabatini Coletti
Dizionario della lingua italiana 2004 (Milano, Rizzoli Larousse, 2003) e
lo Zingarelli 2004 (Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2004).
Ottavio Lurati nel suo Dizionario dei modi di dire (Milano, Garzanti,
2001) ripercorre la storia della parola putiferio per spiegare la locuzione fare un putiferio nel significato di ‘provocare una scenata sconveniente’ e, a proposito di quest’ultima ipotesi collegata al nome di Putifarre, ne rileva la scarsa plausibilità dovuta alla conoscenza limitata
dell’episodio biblico soprattutto in ambito popolare. Anche se sono da
considerare la conoscenza popolare del testo biblico che avveniva per
via orale e la curiosità che storie come quella di Putifarre poteva scatenare (dell’episodio resta la rappresentazione che ne ha fatto il pittore
Ludovico Cigoli a cavallo tra Cinque e Seicento nel dipinto intitolato
appunto Giuseppe e la moglie di Putifarre conservato oggi a Roma alla
Galleria Borghese), tuttavia Lurati offre prove convincenti della scarsa
sistematicità della diffusione di forme che potessero trovare il loro
fondamento nell’episodio biblico, citando parole del parlato dialettale,
diffuse in modo disomogeneo in zone diverse dell’Italia settentrionale.
Tra queste la forma più ricorrente è potifa (nelle possibili varianti, a
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seconda delle zone, di putifa, potife, potifar, potifon), ma l’incongruenza che pare insormontabile è quella semantica, dato che comunque la
sfera semantica cui sono riconducibili tutte queste forme è quella di
‘donna stupida, femminuccia, pettegola, smorfiosa, schizzinosa, vile’
(per le forme maschili ‘piagnucolone, lagnoso’), significati, come si vede,
molto lontani da quello che comunemente intendiamo e indichiamo con
putiferio.
La proposta di Lurati è quella del rifacimento, anzi – come afferma
testualmente – di “una appropriazione popolare” dell’espressione fare
un vituperio e a riprova di questa ipotesi sono riportati numerosi esempi di forme dialettali di vituperio (si tratta di una forma presente su tutto
il territorio italiano dal Piemonte alla Sicilia) con accezioni che si allontanano però dal significato dotto, ereditato direttamente dalla forma latina, derivata da vitium ‘difetto, colpa’, di ‘procurare (e constatare) un difetto’ per arrivare a significare ‘pettegolezzo, maldicenza’, ma
anche ‘sudiciume, puzzo e disordine’. La parola avrebbe avuto quindi
anche una tradizione popolare che ne avrebbe modificato non solo la
forma mediante una doppia metatesi reciproca (da vituperio > *pituverio > *pituferio > putiferio), ma anche il significato che così si sarebbe
avvicinato a quello attuale. Diversamente da vituperio che è presente
un po’ in tutta Italia, putiferio porta con sé segnali di stretti legami con
altre espressioni circoscritte in area toscana: in particolare è riconducibile al toscano (soprattutto fiorentino e senese) l’accezione di putiferio
collegata al ‘cattivo odore’, al ‘puzzo’ attestata anche dal Fanfani (Vocabolario dell’uso toscano, Firenze, Barbèra, 1863) nella forma putidero
(s.v. Puzzitèro) definita come ‘composto di cose putride e fetenti’. Nel
fiorentino sono poi presenti le espressioni popolari fare puzzo (forma
registrata nel Dizionario etimologico pratico-dimostrativo del linguaggio
fiorentino di Venturino Camaiti, Firenze, Vallecchi 1934, s.v. puzzo con
la spiegazione ‘dare eccessiva importanza’) o farla puzzolente per significare ‘fare troppe storie’, ‘farla lunga per niente’, ‘lamentarsi eccessivamente’; nel Dizionario del vernacolo fiorentino di Pirro Giacchi (Firenze-Roma, Tipografia Bencini, 1878) le due espressioni fare un putiferio
e fare un puzzo sono trattate come sinonimiche s.v. putiferio e spiegate
con «fare un pettegolezzo, fare una diceria di lamenti o d’ingiurie che
non finisca mai». Ed è proprio su questa accezione in cui si conciliano
il ‘disordine’ e il ‘puzzo’ che vituperio e putiferio trovano un buon
margine di compatibilità tanto da spiegare il passaggio, a partire dalla
Toscana, da una forma all’altra per via popolare.
Raffaella Setti
LA CRUSCA RISPONDE... ANCHE IN RETE
Rileggendo la presentazione di Giovanni Nencioni a La Crusca risponde del 1995, che per la prima volta portò le risposte linguistiche dell’Accademia nelle librerie, colpisce l’aggettivo da lui usato per definire
la consulenza de «La Crusca per voi»: conversante. Come spesso accade negli scritti di Nencioni l’aggettivo è denso di significato, e descrive
in una parola le caratteristiche della consulenza linguistica dell’Accademia, quasi senza farsene accorgere e sottovoce (una consuetudine del
suo stile). Quando nel 2001, dopo una prima esperienza del 1996, l’Accademia progettò il suo nuovo sito web (inaugurato alla fine del settembre 2002), fu evidente che il tono conversante della consulenza linguistica de «La Crusca per voi» poteva trovare nel web un canale di
grande efficacia, che avrebbe inoltre consentito una maggiore diffusione delle risposte.
Sempre nella stessa presentazione Nencioni notava che la periodicità semestrale del foglio non poteva «essere infittita a causa delle modestissime forze» di cui l’Accademia disponeva: il web sembrò anche la
via per un possibile infittimento dell’attività in questo nuovo «campo
aperto dell’azione sociale» (come lo definiva sempre Nencioni), in cui
l’Accademia aveva deciso di muoversi, nonostante le forze purtroppo
rimaste «modestissime».
Su queste considerazioni, e su molte altre emerse in modo più o meno
esplicito in fase di progettazione, si fonda l’idea di inserire una sezione
di consulenza linguistica all’interno del nuovo sito web dell’Accademia,
configurato come un vero e proprio portale della lingua italiana che,
oltre ai materiali di presentazione dell’attività e della storia dell’istituzione, fornisse l’accesso anche a numerosi strumenti linguistici. E in
effetti chi si colleghi all’indirizzo www.accademiadellacrusca.it può
consultare cataloghi bibliografici, notizie sugli eventi legati alla lingua
italiana, banche dati, documenti d’archivio, scaffali digitali di grammatiche e dizionari, fra cui spicca l’edizione elettronica delle cinque edizioni del Vocabolario degli accademici della Crusca; oltre, appunto, a una
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MARCO BIFFI
raccolta di schede linguistiche di risposta a dubbi sull’italiano.
La sezione “Consulenza linguistica” è una stanza di incontro virtuale tra l’Accademia e un pubblico vasto ed eterogeneo. In essa è possibile porre un quesito linguistico, attraverso un modulo elettronico; ma
anche consultare le risposte già date, divise in due grandi gruppi: quello delle “Domande ricorrenti” (in cui si affrontano temi più generali,
su cui le richieste sono in genere anche maggiori di numero), e quello
delle “Risposte ai quesiti” (su argomenti più circoscritti o specifici, che
soddisfano la curiosità o la necessità di un pubblico più limitato). Una
suddivisione resa necessaria dalla frequenza di domande su temi molto
diversi (lo dimostra l’antologia presentata), provenienti da un pubblico composito: “amatori” della lingua, genitori preoccupati, ragazzi delle
scuole medie o superiori (con nostra piacevole sorpresa in numero
sempre maggiore), insegnanti, ricercatori di varie discipline, professionisti, italiani o stranieri residenti all’estero (che hanno quindi difficoltà
a trovare gli strumenti tipici di risposta ai dubbi, come vocabolari o
grammatiche).
L’esperienza ormai pluriennale della consulenza in rete, con il suo
sistema di raccolta dei quesiti e di pubblicazione delle risposte, ha fatto emergere con chiarezza il forte bisogno di “certezze” linguistiche.
Dal momento della sua apertura il sito web dell’Accademia ha contato
circa 7 milioni e mezzo di visite, con oltre 200 milioni di contatti: e, a
dimostrazione di quanto fosse giusta la scelta di istituire un servizio in
rete, le pagine di consulenza sono quelle di gran lunga maggiormente
consultate. I quesiti che hanno raggiunto la redazione dal settembre
2002 al 2011 sono oltre 36.000: una media di quasi 4000 quesiti l’anno
(se si considera che nel 2002 il sito è stato attivo solo due mesi), 11
quesiti al giorno. Ma il loro numero è cresciuto enormemente negli
ultimi anni: 2.353 nel 2006, 2.463 nel 2007, 3.333 nel 2008, 5.415 nel
2009, 7.693 nel 2010, 6.631 nel 2011; e la media giornaliera sfiora ormai da tempo i 30 quesiti.
Come si vede, si tratta di numeri elevati, di per sé significativi; ma
nella storia del sito esistono altre spie di questo “bisogno” di indicazioni linguistiche. Una di queste è il forum di discussione che all’inizio
era stato previsto nella sezione “Consulenza linguistica”. Il forum nasceva, dichiaratamente, come luogo di discussione “sulle” schede di
volta in volta presentate tra le “Domande ricorrenti” e le “Risposte ai
quesiti”; ma fin dal primo giorno di apertura fu trasformato dagli utenti
in uno sportello di pronto soccorso linguistico autogestito: vi si ponevano domande e si attendeva una risposta in tempo reale. All’interno
del forum, come sempre accade nelle comunità virtuali, si formò presto un gruppo ristretto che rispondeva ai vari quesiti: una circostanza
LA CRUSCA RISPONDE... ANCHE IN RETE
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che dopo qualche anno ha determinato la decisione di chiudere quell’esperienza, perché la maggior parte degli utenti, visto che il forum era
inserito all’interno del sito dell’Accademia, credeva erroneamente che
le risposte provenissero dal gruppo di consulenza istituzionale e che
quindi fossero tutte allo stesso modo motivate e autorevoli.
La raccolta informatica dei quesiti (che ormai rappresenta la fonte
principale, nonostante continuino ad arrivare richieste per posta ordinaria o per via telefonica) ha permesso di organizzarli in modo rapido
all’interno di una banca dati, che costituisce il banco di lavoro della
redazione, composta attualmente da Marco Biffi, Simona Cresti, Angela Frati, Vera Gheno, Stefania Iannizzotto, Matilde Paoli, Raffaella
Setti, Cristina Torchia (ma che nei 9 anni di attività del sito ha visto
avvicendarsi anche Marina Bongi, Manuela Cainelli, Mara Marzullo, e
Chiara Mussomeli). Nel modello elettronico di richiesta è previsto che
l’utente indichi la sua città di origine, perché questo consente al linguista di avere indicazioni sull’eventuale origine locale di un dato fenomeno. I quesiti inviati attraverso il web vengono raccolti nella banca
dati e la lista di arrivo consente di selezionarli e assegnarli ai redattori,
o, come avviene in alcuni casi, ad accademici o a linguisti esterni che
abbiano una specifica competenza sull’argomento. Le risposte sono
anch’esse archiviate nella banca dati, affiancate da alcuni marcatori di
classificazione (grafia, morfologia, sintassi, lessico, neoformazioni ecc.)
e da parole chiave. Nel tempo si è in questo modo formata una ricca
raccolta di schede che i redattori della consulenza possono interrogare
in modo sistematico, grazie a un motore che le rende consultabili con
un accesso per parole chiave o con una ricerca libera (di una o più
forme), con la possibilità di applicare un filtro per classificazione, data,
provenienza del quesito, redattore, stato di completamento della risposta. In questo modo è a volte possibile ridurre i tempi di risposta ad
alcuni quesiti, recuperando un testo già pronto e limitandosi soltanto
al suo eventuale aggiornamento.
Le modalità di risposta sono molteplici.
Per i quesiti che non offrono particolari difficoltà, e non necessitano
di una spiegazione argomentata e approfondita, si invia una risposta
personale (una volta completata e salvata la risposta nella banca dati
interna, il sistema consente al redattore di inviare una mail a chi ha posto
il quesito): si tratta di domande che generalmente trovano una risposta
attraverso il semplice ricorso a un vocabolario o a una grammatica.
Quando invece l’argomento sia di particolare interesse, o perché tocca
alcuni settori “in movimento” o “difficili” della nostra lingua, o perché
è evidenziato da molte persone, la redazione prepara una risposta più
articolata da pubblicare sul sito (nella sezione delle “Domande ricor-
200
MARCO BIFFI
renti” o in quella delle “Risposte ai quesiti”, con una cadenza settimanale), o anche su «La Crusca per voi».
La pubblicazione sul sito vuole non solo soddisfare le richieste arrivate in redazione, ma anche prevenire quelle di possibili utenti futuri.
Per facilitarli nella ricerca, le risposte, oltre che in una lista cronologica, sono consultabili attraverso un motore di ricerca interno, rendendo
così facile e diretto l’accesso alle schede linguistiche. Sia a causa dell’abituale “distrazione” e “pigrizia” dell’utente della rete, ma probabilmente anche per il desiderio di stabilire un contatto con l’Accademia,
continuano però ad arrivare moltissimi quesiti relativi a dubbi già dibattuti e spiegati sul sito: esiste pertanto una seconda tipologia di risposta personale, con cui la redazione semplicemente segnala il collegamento alla pagina di una scheda già pubblicata.
Vista la vitalità del servizio di consulenza linguistica in rete, e il suo
collegamento con «La Crusca per voi», nel secondo volume de La Crusca
risponde è stato del tutto naturale proporre anche una piccola antologia delle risposte comparse sul sito web nello stesso arco cronologico
scelto per il semestrale cartaceo (fino al 2005 quindi). Traendone 18
dalla sezione “Domande ricorrenti” e 11 dalla sezione “Risposte ai
quesiti”, si sono scelte quindi 29 risposte, che spaziano da argomenti
generali (come l’uso della punteggiatura, la pronuncia, la corretta grafia) ad argomenti specifici (ad esempio singole parole che hanno suscitato curiosità e perplessità: lodo, euro, perplimere).
Uno degli scopi della consulenza linguistica in rete, lo abbiamo detto, era quello di moltiplicare le occasioni di “conversazione” dell’Accademia con il pubblico esterno. Sicuramente questo è avvenuto: le risposte date in una delle diverse modalità tra il 2002 e il 2011 sono state
oltre 6.000 (di cui 337 sono quelle pubblicate sul sito, 186 nella sezione “Domande ricorrenti” e 151 in “Risposte ai quesiti); un numero
davvero considerevole se si pensa che alla redazione della consulenza
linguistica del sito hanno lavorato a tempo parziale non più di cinque
persone l’anno. Le domande a cui è stata data risposta sono molte di
più di quanto non emerga da questi numeri, perché, come abbiamo
detto, le risposte spesso soddisfano più di una richiesta; ma certamente si tratta di una percentuale bassa rispetto alle oltre 36.000 sollecitazioni che sono arrivate all’Accademia. È tutto quello che è possibile fare:
ma ugualmente ci scusiamo con le persone deluse che non hanno ricevuto risposta e che se ne lamentano.
Marco Biffi
216
IL SITO
NORME DI REDAZIONE PER LE LETTERE
In molti, tra cui Alfredo Fiorini, Alessandra Marchetti, Roberto Muscariello, Gianluca Rezzano, Maria Giovanna Vielli, ci hanno chiesto delucidazioni sui criteri di compilazione di una lettera. Ci limiteremo a trattare le lettere private, a più gradi di formalità, tenendo conto del fatto
che per le lettere di tipo burocratico spesso ormai sono previsti dagli uffici, dagli enti ecc. moduli o facsimili prestampati su cui inserire i dati
necessari.
Sono importanti alcune premesse per tracciare i confini entro cui avviene l’evento di scrivere una lettera, sia cartacea che elettronica.
Il destinatario e la finalità della lettera
Le prime operazioni da compiere sono considerare le caratteristiche
del destinatario e lo scopo del nostro messaggio scritto. Il destinatario
infatti può essere una persona con cui abbiamo confidenza (più o meno)
o un totale sconosciuto; la finalità della nostra lettera deve risultare
evidente, soprattutto se l’intenzione è di tipo informativo, cioè se vogliamo fornire o chiedere informazioni su qualcosa di preciso. In base
a questi parametri è opportuno modulare i registri, non cadere in toni
eccessivamente confidenziali con chi conosciamo poco o niente, in
particolare nelle formule di apertura e di saluto (caro/a andrà bene per
una persona con cui abbiamo una certa familiarità, ma sarà da evitare
in contesti formali: ad esempio un caro professore o caro direttore a
meno che non si tratti della lettera di uno scolaro affezionato o di un
dipendente in rapporti amichevoli con il suo “capo”, oppure quando
le stesse formule siano scritte con intenti ironici a persone amiche),
o, al contrario, utilizzare allocutivi troppo formali con persone vicine
(Gent.mo/a, Spett., Egr. sono ovviamente da evitare con amici o familiari). L’intero registro della lettera dovrà poi adattarsi alle caratteristiche della persona cui ci rivolgiamo: meglio quindi evitare sfoggio di
cultura con citazioni e riferimenti dotti se il destinatario non ha un buon
livello culturale; il testo potrà essere più articolato e complesso se destinato a un interlocutore colto. Un altro elemento che dà una chiara
impronta di formalità a una lettera è l’uso delle maiuscole per i pronomi allocutivi di terza persona singolare (Le chiedo, sono lieto di invitarLa, ecc.): questo uso delle maiuscole, che tende comunque a diminuire
nell’uso, risulta in alcuni casi funzionale per identificare come referente dei pronomi il destinatario e non altri.
Per quel che concerne lo scopo per cui si scrive è opportuno che questo risulti chiaramente dalle nostre parole e, per quanto possibile, sia
formulato sinteticamente. È necessario che contenga i dati e le informazioni essenziali perché il lettore abbia tutti gli elementi necessari a
DOMANDE RICORRENTI
217
capire, non solo la richiesta o la comunicazione che lo scrivente trasmette, ma anche il contesto in cui queste si collocano.
Cosa non deve mancare
- Il luogo e la data d’invio (normalmente in alto a destra). Convenzionalmente si usa scrivere il luogo seguito da una virgola, giorno, mese
(meglio per esteso), anno. Es.: Firenze, 25 maggio 2003.
- L’intestazione. Se si tratta di una lettera destinata ad una singola
persona basterà scegliere l’appellativo secondo i criteri, già visti sopra,
di maggiore o minore formalità (da carissimo/a; caro/a; gent.mo/ma; egr.,
ecc.); se invece la lettera è diretta a un ente, istituzione, azienda, ecc.
la forma più ricorrente non prevede nessun appellativo (es.: Al Ministero della Salute...; Al Provveditorato agli Studi di...), ma si può ricorrere a Spett. soprattutto rivolgendosi ad aziende e ditte private. Per
quest’ultimo caso bisogna ovviamente distinguere i casi in cui la lettera
sia indirizzata ad una persona ben precisa all’interno dell’istituzione o
dell’ufficio cui ci si sta rivolgendo perché, in questi casi, sarà opportuno indicare la qualifica della persona (es.: Gent.mo dott. Rossi Ufficio
relazioni col pubblico...).
- Formula di commiato. Anche qui bisogna modulare la formula di
saluto sul grado di confidenza che lo scrivente ha col destinatario, evitando quindi espressioni troppo affettuose rivolgendosi a persone con
cui non abbiamo molta confidenza e modulando i gradi di formalità
(es.: distinti saluti, cordiali saluti, cari saluti, ecc.).
- La firma deve essere leggibile con particolare attenzione per le lettere burocratiche o comunque indirizzate a sconosciuti, ed è opportuno scrivere sempre prima il nome e poi il cognome.
- Se si aggiungono un p.s. (post scriptum) o un n.b. (nota bene), devono essere collocati dopo la firma ed è meglio, soprattutto per l’efficacia del messaggio, che lo spazio occupato da queste appendici sia
estremamente limitato.
- L’indirizzo del mittente. Normalmente basta scriverlo sul retro della
busta, ma ci sono casi in cui è necessario aggiungerlo in fondo alla lettera
per essere sicuri che il destinatario lo riceva contestualmente al messaggio (la busta, tra l’altro, può essere stracciata o buttata inavvertitamente facendo così perdere al destinatario la possibilità di conservare
l’indirizzo del mittente). In ambedue i casi, sia che si scriva sulla busta
che si aggiunga alla fine della lettera, l’indirizzo dovrà contenere: il titolo
del mittente (quando serva) nome e cognome, via/piazza (scritti con la
minuscola), numero civico, codice di avviamento postale, città (o frazione, comune e provincia). Es.:
Dott. Mario Rossi
via delle ginestre, 24
50030 Bivigliano - Firenze
218
IL SITO
Per approfondimenti:
• S. Fornasiero - S. Tamiozzo Goldmann, Scrivere l’italiano, Bologna, il Mulino, 1999.
• L. Serianni, Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, Milano, Garzanti, 2000,
pp. 47-48.
Raffaella Setti (2003)
SOSTANTIVI FEMMINILI IN -O
Alcuni lettori, tra i quali Pino Piastri che chiede chiarimenti sul genere di eco, sollecitano una risposta sulla particolare categoria dei sostantivi femminili in -o e soprattutto sulla formazione del plurale.
I nomi in -o, che formano solitamente il plurale in -i, sono perlopiù
maschili, ma la declinazione -o/-i vale anche per i pochi femminili in -o
non invariabili, quali eco e mano. Eco deriva da un nome femminile sia
in latino (çcho) sia nel greco da cui il termine ha origine (çkhó da çkhêin
‘rimbombare’); comunque, sebbene meno ricercato, si trova anche un
impiego di eco al maschile singolare. La situazione cambia al plurale: la
forma più diffusa è echi (formato appunto sul modello dei nomi maschili in -o), con rare attestazioni della variante femminile le eco; in
questo caso il nome, per supplire all’anomalia della declinazione, viene
omologato al tipo dei femminili invariabili in -o (la eco-le eco come la
radio-le radio). Quest’ultimo uso è per alcuni “sconsigliabile” (L. Serianni nella sua Grammatica italiana, § III, 98). Già i grammatici dell’Ottocento insegnavano che nel variare del numero il sostantivo cambiava, stranamente, genere: «Che passi prima sotto l’arcobaleno?», si
chiedeva nella sua grammatica del 1878 Moise. Ora ci sentiremmo
autorizzati a consigliare echi per il plurale ed eco al femminile per il
singolare (eco maschile è accettabile ma più informale). Un tempo la
lingua cercava anche altre soluzioni e lo stesso Moise ricorda che molti
nomi in -o «furono dagli antichi fatti femminili», quali la desia, la strazia, la avvisa, la riposa. Qualche esempio letterario si ha sia dell’uso al
femminile: «quasi una Eco consonante» (Marino, Dicerie sacre); «E sorge
una lunga eco» (Pascoli, Nel carcere di Ginevra); «nell’animo solo una
leggera eco» (Svevo, Novella del buon vecchio e della bella fanciulla);
«una lontana eco di insistentissimi applausi» (Pirandello, Trovarsi);
«neppure una fievole eco» (D’Annunzio, Trionfo della morte); sia al
maschile: «farebbe ripeter un buon eco nella concavità della voce»
(Pallavicino, Il corriere svaligiato); «non risonava mai altro che un continovo eco delle loro archibusate» (Parini, Dialogo sopra la nobiltà);
«come un eco lontano di flebili armonie» (Nievo, Confessioni di un
italiano); «un sacro eco rintona» (Carducci, Levia Gravia).
DOMANDE RICORRENTI
219
Per mano, si può segnalare che storicamente fu avvertita l’anomalia
di un femminile in -o e nella lingua antica come in alcuni dialetti italiani si trova il tipo la mana (le mane) e dal plurale latino MANUS si è
avuto le mano, oggi solo in uso dialettale o popolare.
Alcuni nomi in -o sono femminili per spinta etimologica: come, appunto, eco, mano e, tra i cosiddetti invariabili, virago, tutti da femminili latini, mentre eccezionalmente sono trattati come femminili anche
sinodo e parodo derivati dal greco (con molti esempi letterari per il primo sostantivo: Anonimo Romano, Cronica, 18.42: «avea bisuogno a rascionare cose utile allo buono stato nella sinodo romana»; G.B. Ramusio, Viaggio in Etiopia di F. Alvarez, Lett. 5.4: «di Constantinopoli, era
stato chiamato a celebrar la sacrosanta sinodo»; T. Garzoni, La piazza
universale, Disc. 63.2: «alla sesta sinodo in oriente congregata»; P. Sarpi,
Istoria del Concilio tridentino con ben 346 esempi tra cui «tutto l’Imperio, ebbe nome di santa e grande sinodo»; «facendosi ogni decreto
per nome della sinodo, se il papa non interviene in persona»).
Più frequentemente i femminili in -o derivano dall’abbreviazione di
altri nomi, per cui «come la /i/ in analisi ecc., nemmeno la /o/ in queste parole è desinenza, ma parte del morfema lessicale» (Tekavèiæ, Grammatica storica, p. 59) – e in tal caso sono decisamente invariabili tra
singolare e plurale, come alcuni maschili in -a, quali cinema (a sua volta
da cinematografo abbreviato), gorilla, lama, e il genere e numero del
nome emerge in tutti questi casi solo dal determinante (articolo o aggettivo) che lo accompagna: tra i più comuni si possono ricordare l’auto-le auto (da automobile); la metro-le metro (da metropolitana); la motole moto (da motocicletta); la radio-le radio (da radiotrasmettitrice); la
foto-le foto (da fotografia); la dinamo-le dinamo (dal tedesco dynamo abbreviazione di dynamo-elektrische-Maschine).
Per approfondimenti:
• M.L. Altieri Biagi, La grammatica dal testo, Milano, Mursia, 1990.
• G. Moise, Grammatica della lingua italiana, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 18782.
• A. Marcantonio - A.M. Pretto, Il nome, in Grande grammatica italiana di
consultazione, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 315-32.
• L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 1989.
• P. Tekavèiæ, Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 1980 (II,
Morfosintassi).
Mara Marzullo (2004)
INDICE
Nicoletta Maraschio, Prefazione ............................................................
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«LA CRUSCA PER VOI»
Raffaella Setti, Dalle pagine della «Crusca per voi» ..............................
10 (aprile 1995)
Nomi propri di persona e di luogo (C.A. Mastrelli) ............................
“Idiotismi” televisivi e giornalistici (G. Nencioni) ...............................
Apostrofo in fin di rigo (G. Nencioni) .................................................
Su alcuni usi interpuntivi (N. Maraschio) ............................................
Sull’uso di premettere il nome al cognome (G. Nencioni) .................
11 (ottobre 1995)
Classificazione grammaticale e usi sintattici di perché (L. Serianni) .....
Pronuncia dei nomi greci (G. Nencioni) ..............................................
12 (aprile 1996)
Distribuzione delle forme dell’articolo il e lo (L. Serianni) ................
Origine del verbo smarimettere (L. Serianni) .......................................
Significato di inciucio, pastrocchio e non-profit (S. Parodi) .................
Significato della locuzione il posto e l’ora (o il tempo) delle fragole
(S. Parodi) ...........................................................................................
Motivo per cui New York è detta la Grande Mela (S. Parodi) ...........
Perché si dice a priori (S. Parodi) ..........................................................
Uso di parole straniere in documenti pubblici (G. Nencioni) ...........
13 (ottobre 1996)
Uso del pronome te al posto di tu (L. Serianni) ..................................
Coniugazione dei verbi dire, fare, trarre, opporre (G. Nencioni) ........
14 (aprile 1997)
Pensando al plurale di euro (S. Parodi) ................................................
Origine della parola ingravattato (S. Parodi) ........................................
Sui termini per denominare negozi che vendono prodotti per
la pulizia della casa (S. Parodi) ..........................................................
256
INDICE
Origine e usi del verbo esondare (S. Parodi) ........................................
Concordanza a senso tra soggetto e verbo (L. Serianni) .....................
Accordo del participio passato seguito da un nome plurale
(L. Serianni) ........................................................................................
Uso giornalistico di introdurre i titoli con la congiunzione e
(G. Nencioni) ......................................................................................
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15 (ottobre 1997)
L’italiano burocratico (P. Bellucci) ........................................................
Uso della i prostetica (in Isvizzera) (L. Serianni) .................................
Sull’espressione uscire fuori (G. Nencioni) ...........................................
16 (aprile 1998)
L’ordine delle parole in italiano (B. Mortara Garavelli) ......................
Accordo di genere con qualcosa (L. Serianni) ......................................
17 (ottobre 1998)
Sui pronomi personali egli, ella, esso e lui, lei, loro (F. Sabatini) .......
È corretta l’espressione io sono uno che parlo? (G. Nencioni) ...........
18 (aprile 1999)
Proposta dei neologismi neolemma, tecnocida ed equiporre
(G. Nencioni) ......................................................................................
Le grafie sopratutto e sopra tutto (L. Serianni) .....................................
Differenza tra orecchio e orecchia (L. Serianni) ....................................
19 (ottobre 1999)
Su alcuni complementi preposizionali (G. Nencioni) ..........................
Sulla d eufonica e su sia... che e sia... sia (L. Serianni) ........................
20 (aprile 2000)
Uso dei pronomi allocutivi voi e lei (L. Serianni) ................................
Il nome professionale femminile ministra (G. Nencioni) ....................
Come si spiega la doppia q solo in soqquadro? (M. Fanfani) ..............
21 (ottobre 2000)
Plurale dei nomi in -io (G. Nencioni) ...................................................
Genere da attribuire ai forestierismi (G. Nencioni) ............................
22 (aprile 2001)
Aggettivo derivato da provveditore (S.C. Sgroi) ...................................
Vede e guardi con funzione fatica (G. Nencioni) .................................
Parere di Francesco Sabatini sui titoli iunior e senior ........................
23 (ottobre 2001)
Sul verbo accudire transitivo o intransitivo (L. Serianni) ....................
Sintassi del periodo ipotetico (G. Nencioni) ........................................
257
INDICE
24 (aprile 2002)
Uso di piuttosto che con valore disgiuntivo (O. Castellani Pollidori)
Uso televisivo del costrutto andare a + infinito e sulla trovata
pubblicitaria facciamoci del miele (L. Serianni) ...............................
Uso assoluto del verbo transitivo insegnare (L. Serianni) ...................
Differenze tra etiope ed etiopico e olimpico e olimpionico (R. Setti) .....
Usi particolari della virgola (M. Biffi) ...................................................
Accordo di genere con l’allocutivo di cortesia lei (L. Serianni) .........
Le preposizioni a e per introduttive di proposizioni finali implicite
(R. Setti) ...............................................................................................
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25 (ottobre 2002)
Origine della locuzione essere in stato interessante (R. Setti) ..............
Genere del nome Internet e scelta dell’articolo (S. Telve) ..................
Se sia corretto parlare di vecchie lire (R. Setti) ....................................
La preposizione giuridica giusta (B. Mortara Garavelli) .....................
Genere di fine settimana (S. Telve) .......................................................
Storia di papera nel significato di ‘errore linguistico’ (M. Biffi) .........
Spengere e spegnere sono tutti e due corretti? (S. Calamai) ................
Scatola e scatolo (e scatolone) (P. Fiorelli) .............................................
26 (aprile 2003)
Possibili significati del prefisso a- (V. Gheno) ......................................
Considerazioni sulla lingua di Camilleri (U. Vignuzzi) ........................
Regionalità e correttezza di alcuni termini gastronomici
(M. Marzullo) ......................................................................................
Che complemento sono a conoscenza e a ore nelle espressioni venire
a conoscenza e parcheggio a ore? (R. Setti) ........................................
Corretta traduzione in italiano del termine measurement (M. Biffi) .....
A quale coniugazione appartengono i nuovi verbi (L. Serianni) ........
Pronuncia della e tonica di scommettere (P. Fiorelli) ...........................
27 (ottobre 2003)
Uso di ovvero al posto di o (S. Vanvolsem) ..........................................
Origine delle parole privacy e riservatezza (B. Mortara Garavelli) .....
Origine della locuzione a bizzeffe (M. Bongi) ......................................
Origine e significato della parola velina (S. Raffaelli) ..........................
Sui motivi per cui chiamiamo bugiardino il foglio illustrativo
dei farmaci (R. Setti) ..........................................................................
Reperibile al cellulare o sul cellulare? (L. Serianni) ..............................
Etimologia e uso della parola snob (M. Biffi) .......................................
Sul costrutto sia... che invece di sia... sia (L. Serianni) ........................
Uso assoluto dell’avverbio assolutamente (V. Gheno) .........................
Diversi possibili usi della particella ne (T. Matarrese) .........................
28 (aprile 2004)
“Che complemento è?” (F. Sabatini) .....................................................
Scelta del tempo verbale con la locuzione a partire da (L. Serianni) ....
258
INDICE
Chiarimenti sulle denominazioni delle società (L. Merlini Barbaresi)
Origine e significato della parola freschin (V. Gheno) .........................
Traduzione corretta del termine inglese Whistleblower
(C. Giovanardi) ...................................................................................
Diffusione e usi del passato remoto (S. Telve) .....................................
Accentazione della parola regime (L. Serianni) ....................................
Come entrano nell’uso i neologismi (R. Setti) ......................................
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29 (ottobre 2004)
Sebbene con il condizionale in frasi concessive (F. Sabatini) ..............
Sull’uso dell’espressione fare un biscotto nel linguaggio sportivo
(M. Marzullo) ......................................................................................
Possibile uso di determinazione al posto di complemento nell’analisi
logica (E. Atzori) .................................................................................
Uso del verbo venire come ausiliare (F. Sabatini) ................................
Differenza di significato tra dizionario e vocabolario (L. Serianni) .....
Differenze nell’uso di imperfetto, passato prossimo e passato remoto
(E. Mauroni) ........................................................................................
Diffusione del verbo attenzionare (M. Bongi) ......................................
Sulle neoformazioni palestrato e gonnata (N. Binazzi) ........................
Sulla parola macedonia strosa (S. Stefanelli) ........................................
Significato ed esempi di espansione del verbo (F. Sabatini) ...............
30 (aprile 2005)
Etimologia della parola deontologia (M. Biffi) ......................................
Pronomi personali e pronomi riflessivi (L. Serianni) ...........................
Verbi transitivi e intransitivi (E. Jezek) .................................................
Vicino e lontano: aggettivi e funzione preposizionale (L. Serianni) ....
Funzioni del pronome/aggettivo quale (R. Setti) .................................
Organizziamo o organiziamo? (V. Gheno) .............................................
31 (ottobre 2005)
Trattazione delle valenze in grammatiche e dizionari dell’italiano
(F. Sabatini) .........................................................................................
Sulla parola toscana callare (M. Paoli) ..................................................
Uso di mangiato nel senso di ‘che ha già mangiato’ (L. Serianni) ......
Pronomi soggetto di terza persona: egli/ella e lui/lei (P. D’Achille) ....
Uso del condizionale dopo anche se (F. Sabatini) ................................
La doppia negazione in italiano (L. Serianni) ......................................
Etimologia della parola putiferio (R. Setti) ...........................................
Uso dell’imperfetto per indicare un’azione futura (P.M. Bertinetto) ....
Esistenza e significato del termine rammostrare
(B. Mortara Garavelli) ........................................................................
Congiuntivo e condizionale dopo se (L. Serianni) ...............................
Congiuntivo presente e imperfetto nelle completive (L. Serianni) .....
Origine della parola ammiraglio (M. Biffi) ...........................................
259
INDICE
IL SITO
Marco Biffi, La Crusca risponde... anche in rete ...................................
DOMANDE RICORRENTI
Il plurale di euro (R. Setti) .....................................................................
Plurale dei forestierismi non adattati (R. Setti) ....................................
Denominazione e genere delle lettere straniere (J, K, W, X, Y)
(R. Setti) ...............................................................................................
Sulla posizione dell’aggettivo qualificativo in italiano (R. Setti) .........
È più corretto firmare nome + cognome o cognome + nome?
(V. Gheno) ...........................................................................................
L’articolo prima di un prenome (R. Setti) ............................................
Guida all’uso di accenti e apostrofi nell’italiano (M. Marzullo) .........
Uso di gli per loro, a loro e le (V. Gheno) ............................................
Sulla lettera k (M. Marzullo) ..................................................................
Norme di redazione per le lettere (R. Setti) .........................................
Sostantivi femminili in -o (M. Marzullo) ...............................................
Significato del termine lodo (R. Setti) ...................................................
Alcune particolarità sull’uso dei nomi propri (M. Marzullo) ..............
L’uso delle sigle nell’italiano contemporaneo (R. Setti) .......................
La punteggiatura (M. Marzullo) ............................................................
Sulla pronuncia di mass media e summit (V. Gheno) ..........................
Uso della virgola prima della congiunzione e (M. Bongi) ...................
Sul digramma gn e sulla presenza della i in forme verbali come
guadagniamo (V. Gheno) ....................................................................
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RISPOSTE AI QUESITI
Esatta grafia di qual è (R. Setti) .............................................................
Sul genere di e-mail (R. Setti) ................................................................
H etimologica: grafie ànno, à, ò e ài per hanno, ha, ho, hai
(M. Biffi) ..............................................................................................
Scritture tachigrafiche (V. Gheno) ........................................................
Il verbo pensare con i pronomi atoni (R. Setti) ....................................
I concetti di lemma, parola e termine (M. Bongi) ................................
Significato e origine di perplimere (M. Biffi) ........................................
Duecento, duegento e dugento (M. Marzullo) .......................................
Un avverbio: specificamente o specificatamente? (M. Marzullo) .........
Sistola (R. Setti) .......................................................................................
Differenze tra i prefissi dis-, de-, in- e a- (R. Setti) ..............................
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