[1]Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore:

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[1]Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore:
DIOCESI DI RIETI
«DAL VENTRE DEL PESCE»
Riflessione Pastorale per la Chiesa di Rieti
dopo il IV° Convegno Ecclesiale di Verona
Delio Lucarelli
Vescovo
Quaresima 2007
INTRODUZIONE
«Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare,
che è contro di noi?»(Gn. 1, 11)1
1)
L’esperienza esaltante di Verona, nell’ottobre scorso, ha lasciato in chi vi ha preso
parte un segno destinato a rimanere impresso a lungo nel proprio vissuto personale ed
ecclesiale.
La delegazione reatina si è lasciata immergere, in quei giorni di intenso lavoro, nel
clima festoso e nell’opera di approfondimento degli àmbiti che erano stati individuati per
guidare la riflessione.
A distanza di qualche mese, in prossimità della Quaresima, dopo aver riletto
appunti, articoli e relazioni, ho pensato di riorganizzare il materiale per indirizzare al
Clero, ai Religiosi e alle Religiose, ai Diaconi e a tutti i fedeli Laici, questi orientamenti
per ravvivare la pastorale diocesana e parrocchiale, alla luce di quanto emerso nei tre
luoghi cardine di Verona: l’Arena, la Fiera e lo Stadio, i nuovi areopaghi, come li ha
definiti il Santo Padre Benedetto XVI.
Per evitare di ripetere cose anche conosciute e per evitare di esporre semplicemente
dei concetti, mi lascerò guidare da un libro della Bibbia, forse poco conosciuto e molto
breve, che mi sembra di una attualità impressionante: il libro di Giona.
2)
Datato da alcuni studiosi intorno al 700 a. C., secondo recenti ricerche potrebbe
essere successivo all’esilio Babilonese, intorno al 500 a. C.
Lo riassumo brevemente e lo riporto integralmente in calce al presente documento,
nella fiduciosa speranza che sia letto e meditato da molti, assieme agli orientamenti che mi
accingo a dare.
Giona è un Profeta ebreo che viene mandato da Dio a profetare a Ninive, una grande
città assira sul fiume Tigri, molto popolosa ma anche incline al male e lontana da Dio.
Giona si rifiuta e prende una nave per andare nel senso opposto, lontano da Ninive, verso
Tarsis sul mediterraneo.
Durante il suo viaggio una tempesta si scatena contro l’imbarcazione e i marinai
invocano ognuno il proprio dio, ed esortano Giona a pregare il suo Dio, perché non li
faccia perire.
Giona comprende di essere lui la causa della tempesta e si lascia gettare in mare per
placare la furia dei venti e delle acque. Così accade, e una volta immerso nei fondali
marini viene inghiottito da un grosso pesce, nel quale resta per tre giorni e tre notti, per
essere poi vomitato dal cetaceo e obbedire al comando del Signore di andare a Ninive, a
proclamare la Parola di Dio.
1
L’abbreviazione del libro di Giona non è univoca; nella Bibbia di Gerusalemme e nel Grande Commentario Biblico di
Brown, Fitzmyer, Murphy è Gn ed è stata adottata in questo lavoro, anche se potrebbe essere confusa con Genesi che di solito è
Gen, ma che altri, tra cui la traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, abbreviano con Gn. Questi
preferiscono per Giona l’abbreviazione Gio.
2
Dopo che i niniviti si sono pentiti, Dio ritira la minaccia dei suoi castighi e Giona,
anziché essere lieto, si rattrista per la misericordia che Dio ha accordato ai peccatori di
quella città.
I
LA VITA AFFETTIVA
Or dunque, Signore, toglimi la vita,
perché meglio è per me morire che vivere! (Gn. 4, 3)
3)
Il primo ambito del Convegno di Verona è quello della vita affettiva.
Ciò che ci viene trasmesso dai mezzi di comunicazione (maltrattamenti di bambini, di
donne, liti violente, morti sulle strade) deve ricondurci ad un elemento importante, che è
quello della crisi della dimensione affettiva.
Dal momento che tutto viene ricondotto a ciò che è utile, conveniente dal punto di vista
economico, dal momento che tutto è quantificabile e monetizzabile, che è vero e buono
solo ciò che è visibile e percepibile, allora ciò che è sentimento, percezione emotiva, viene
considerato di second’ordine e viene trascurato.
Ma questo recide ogni legame con ciò che è spirituale, termine da intendersi in senso
ampio e non esclusivamente religioso.
La crisi dei sentimenti, dell’identità sessuale, della famiglia, sono conseguenza di una
più vasta crisi spirituale che ha relegato ciò che è intangibile tra ciò che è inutile; ma è
proprio l’intangibile che fonda ciò che è visibile e sperimentabile.
4)
I nostri giovani hanno tanto bisogno che il mondo degli adulti si faccia
«narratore di speranza» e proponga valori alti a cui ispirare la propria vita.
La famiglia è il primo luogo in cui si impara ad amare; è la prima scuola di affettività,
perlopiù caratterizzata dalla testimonianza.
La vita affettiva all’interno della famiglia è in continua evoluzione, da qui l’importanza
di accompagnare i giovani e le coppie nel tempo.
Tutti hanno bisogno di capire, a partire dalla famiglia, che l’amore è creativo perché ha
Dio come sua sorgente.
Senza questo accompagnamento i giovani, senza esserne pienamente consapevoli,
cercano l’emozione superficiale e rischiosa, surrogato di felicità, che può portarli a tristi
conseguenze.
5)
Giona si trova alla fine della sua impresa quando pronuncia la frase che ho posto
all’inizio di questo breve capitolo: «è meglio morire!».
Quando ci vengono a mancare i punti di riferimento in cui abbiamo sempre fermamente
creduto, preferiamo la morte, l’annullamento nichilistico di ogni speranza e di ogni
significato di vita.
Al di là del senso letterale, specifico ed esegetico di questo testo, potremmo quasi dire
che il Profeta, di fronte ad un Dio misericordioso e longanime che perdona persino i
niniviti, non si sente pienamente valorizzato e amato, quasi che un amore generoso e
ampio possa in qualche modo condizionare le singole relazioni e togliere amore a chi è già
pienamente amato; sembra quasi anticipare la reazione del figlio maggiore del Vangelo
3
che si rammarica dell’accoglienza e del perdono che il Padre misericordioso riserva al
figlio minore, che torna a seguito di una vita dissoluta: la cosiddetta parabola del Figliol
prodigo (Lc. 15, 11-32 ).
6)
È necessario recuperare la consapevolezza che una vita affettiva e relazionale
buona è la condizione senza la quale la vita stessa, complessivamente intesa, non può
essere buona, neanche quella spirituale!
Forse la vita frenetica, la necessità anche umanamente comprensibile di arrivare a fare
quanto è nostro dovere compiere, ci fa dimenticare il fine ultimo di ogni nostro agire.
Ciò vale per la società in generale, ma vale anche per la nostra Chiesa locale: sacerdoti,
diaconi, religiosi/e, laici.
Tutti dobbiamo sapere che non ci è consentito in nessun modo scandalizzare,
soprattutto i giovani, con comportamenti non conformi a ciò che crediamo e siamo nella
Chiesa e nella società.
Penso a comportamenti arrivistici, a sfoghi incontrollati delle proprie frustrazioni,
penso a tante persone, anche nel mondo ecclesiale, che parlano di buoni sentimenti, di
comunione, e non sanno tenere in piedi rapporti sociali fraterni e duraturi.
Penso, fra l’altro, a quando compiamo scelte che lasciano amareggiato chi ci stima e ci
rispetta.
È questo il momento di cambiare rotta!
7)
A livello di Chiesa locale auspico un rinnovamento di persone negli organismi e
uffici di Curia che devono occuparsi dell’educazione dei giovani.
In tempi brevi intendo valorizzare religiose, diaconi e laici, oltre che giovani sacerdoti,
anche in ruoli di responsabilità nella nostra Chiesa locale.
Un contributo forte al mondo dell’affettività può essere dato proprio dalla interazione
della pastorale giovanile con la catechesi e il mondo della scuola e dell’università, ma
anche con iniziative del mondo sociale e di associazioni esterne alla Chiesa locale:
dobbiamo prenderci cura dei nostri giovani tentando tutte le possibili vie, senza attendere
tempi troppo lunghi che già hanno danneggiato la vita di coloro che si attendevano da noi
una proposta di verità e di Vangelo: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro
quanto ti dirò»(Gn. 3,2).
II
IL LAVORO E LA FESTA
Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura.
Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni?
Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» (Gn. 1, 8)
8)
La drammatica situazione di coloro che sono in cerca di una prima occupazione
per poter iniziare un dignitoso progetto di vita e di famiglia e di quelli che si ritrovano
dopo alcuni decenni di lavoro senza un’occupazione perché la fabbrica in cui erano
impiegati chiude i battenti o si trasferisce altrove, interpella la coscienza di tutti, nella
Chiesa e fuori.
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Proprio la nostra Diocesi, la città di Rieti in particolare, è stata interessata in questi
anni da un pauroso decremento dei posti di lavoro nel cosiddetto Nucleo, che definire
industriale suona quasi come un’offesa a chi ha perso il posto di lavoro.
La Diocesi non ha fatto molto e, forse, non avrebbe potuto fare più di tanto, ma è
mancato sicuramente un organismo che si prendesse a cuore almeno alcune delle
problematiche del mondo del lavoro, perché la presenza e gli interventi del mondo
ecclesiale fossero pertinenti, appropriati, propositivi e aperti al futuro.
Ma anche il mondo sociale e politico si è rivelato inadeguato; pur tra le tante
difficoltà e con le migliori intenzioni, i risultati ottenuti sono stati modesti.
A volte si ha la sensazione che si sia impegnati solo a provvedere ad occupare quella
o l’altra poltrona, a creare quello o l’altro ufficio, che poi non sembrano produrre frutti e
dare risposte significative a chi ha problemi, possiamo dirlo, di vera e propria
sopravvivenza.
Se manca il lavoro o non è valutato in modo adeguato, vengono a mancare le
coordinate valoriali per una vita degna e il sostegno materiale e morale ad una esistenza
fatta di buone relazioni e intenzioni rette.
9)
Giona si trova nel mezzo della tempesta, sulla nave che deve portarlo lontano da
Ninive e dal compito che Dio gli ha affidato. Si è reso conto di essere lui la causa della
sciagura, e i rozzi marinai, che avevano tirato la sorte su chi era la causa della tempesta,
pongono a Giona delle domande: da dove vieni, che sei, quale è il tuo popolo e che
mestiere fai.
L’identità di una persona va ricercata nella sua famiglia, nel suo popolo, nella sua
religione; il profeta risponderà di essere ebreo, ma non parlerà del suo lavoro, che si può
dedurre dal contesto della risposta: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale
ha fatto il mare e la terra» (Gn. 1, 9)… «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il
mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per
causa mia» (Gn. 1, 12).
Che è un Profeta si capisce proprio dal fatto che venera il Dio che ha creato il mare e la
terra e comprende le ragioni della tempesta.
Il libro è un romanzo anche ironico e a volte duro con l’uomo religioso; quei
marinai rozzi non si liberano subito del Profeta, ma cercano di remare con tutte le loro
forze per andare a riva e mettersi tutti in salvo.
Anche chi non condivide le nostre ragioni e la nostra visione della vita può aiutarci a
raggiungere gli scopi che noi ci prefiggiamo. Essere Profeta non è un lavoro come gli altri,
ma chi fa lavori manuali, anche considerati puramente esecutivi e di basso profilo, può
correre in aiuto di chi ha una missione spirituale da portare a compimento.
10) Il primo capitolo del libro di Giona si conclude con questo versetto: “Quegli
uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti”
(Gn. 1, 16).
La testimonianza del Profeta non è proprio limpida ed esemplare.
Lui sta fuggendo dalle sue responsabilità, va verso la parte opposta a quella che Dio gli
ha indicato, ma riconosce di essere piccolo e rimproverabile da quei marinai che pregano i
loro dèi con tanta fiducia.
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Persino una testimonianza così apparentemente meschina può suscitare un
atteggiamento di fede. Prima di gettare Giona in mare chiedono a un Dio che non è il loro
di perdonare il gesto che compiono e di non imputarglielo.
11) Di fronte al mare che si placa non può che sgorgare il loro canto riconoscente.
Fatto il lavoro non può mancare la lode a Dio per i suoi benefici, non può mancare il
compimento di quel sacrificio che per noi cristiani ha nell’Eucaristia domenicale il
momento culminante.
È la festa la logica conseguenza del lavoro, anzitutto come tempo dedicato al
rapporto con Dio2.
Nelle nostre comunità cristiane, negli ultimi decenni, si è affievolito il senso della
festa, anche da parte di chi frequenta ogni domenica la Messa.
Al recupero del grande significato dell’Eucaristia, il banchetto della famiglia di Dio
che si nutre della Parola e del Pane spezzato, deve unirsi il recupero di quelle buone
relazioni tra parenti e amici, il recupero della gratuità come tempo e danaro dato per chi ha
bisogno del nostro aiuto.
In questo le Parrocchie devono mettere a frutto tutta la creatività di cui sono capaci.
Chi ci guarda deve poter dire che fare e dire le cose che facciamo e diciamo noi è
bello e ne vale la pena.
Per noi credenti la domenica ha un’origine squisitamente religiosa, ma oggi, nella
società secolarizzata, ha assunto altri contorni.
Il riposo settimanale, di regola domenicale, è stato sancito come tutela dei lavoratori
da gran parte dei sistemi giuridici dei paesi industrializzati occidentali, ma in modo
disgiunto dal valore biblico dello “shabbat”.
Il problema della festa ha attinenza alla fede cristiana, ma si interseca con aspetti
economici, etici e culturali. Si tratta di recuperare un rapporto di armonia con il tempo: il
suo essere rottura con la quotidianità, trascendimento del piano economico-produttivo e
quindi memoria di gratuità.
A livello cristiano se non si vive la domenica non si può neppure vivere la realtà
comunitaria. In tal caso la fede rischia di ridursi a riferimento individuale di uomini e
donne a Gesù di Nazaret.
Un aspetto particolare è certamente dato dalla questione del lavoro commerciale
festivo.
Le visite ai vari «mercatoni» e le partite di pallone non possono rimpiazzare e
snaturare il vero senso della festa domenicale o della ricorrenza periodica e annuale!
III
LA FRAGILITÀ
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto, l'alga si è avvinta al mio capo.(…)
Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore.
2
Comitato preparatorio del IV Convegno ecclesiale nazionale, “Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo”, n. 15, lett. b.
6
La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora.
(Gn. 2,6.8)
12) La storia di Giona è quella di un uomo fragile, che sente grave il peso di
annunciare la Parola di Dio ad un popolo peccatore.
Ma ogni uomo, in ogni età della sua esistenza, si scopre fragile, a fronte delle prove e
delle difficoltà della vita; queste prove, se non sono sostenute da una fede forte, da una
grande forza di volontà e da ideali significativi, possono portare alla disperazione.
I marinai non rimproverano Giona per la sciagura che lui ha provocato con la sua
disobbedienza a Dio, mettendo a repentaglio la loro vita; cercano di salvarlo fino
all’ultimo remando verso riva; è questo l’atteggiamento che ha sempre caratterizzato lo
stile cristiano, e in genere dell’uomo religioso, nei confronti di chi si trovi in condizione di
disagio: lottare per porre un argine a ciò che ci piega.
13) Dopo che il Profeta viene gettato in mare dai marinai a malincuore, il mare si
calma e Dio dispone che Giona sia inghiottito da un grosso pesce; da lì, dalle viscere del
cetaceo, quando ormai si sente spacciato, come ogni persona che si trovi a sperimentare la
sconfitta e vede di fronte a sé la morte, eleva a Dio la preghiera da cui ho estratto i versetti
in apertura di questa parte dedicata alla fragilità, un altro degli àmbiti di Verona.
Nella prova e nelle condizioni di disagio l’uomo sperimenta l’abisso della vita, il luogo
di maggior lontananza da Dio.
Ma proprio quando sperimentiamo la fragilità, quando sentiamo venir meno la vita,
allora ci ricordiamo del Signore ed eleviamo a Lui la nostra supplica e non attingiamo da
schemi o da formule, ma dal profondo del nostro essere gridiamo la nostra richiesta con
tutta la fiducia e la speranza di cui siamo capaci.
14) La fragilità la sperimentiamo dalla nascita alla morte.
Già dal momento della gravidanza una donna prova, accanto al desiderio del figlio,
tutte le paure legate alla sua crescita, allo sviluppo, alla salute del bambino, comincia a
proteggerlo e a fare tutte le cure e tutti gli accertamenti; è fragile la madre ed è fragile la
vita che porta in grembo.
Se non si sperimenta la vicinanza non solo della famiglia ma dell’intera comunità, il
peso delle preoccupazioni, ragionevoli o meno, può diventare insopportabile e schiacciare
chi non è riuscito a sostenerlo.
14) Oggi ha assunto una rilevanza non trascurabile la cura degli anziani e dei malati,
a motivo dell’allungamento dell’età media e di farmaci e strumenti tecnici che hanno
risolto tanti problemi; ma in molti casi la tecnologia e la medicina più avanzata ci mettono
in condizione di mal sopportare una malattia che si protrae oltre un ragionevole decorso
naturale.
Ci si ritrova così su un letto di morte, non più per qualche giorno o settimana, come
avveniva un tempo, ma per mesi, se non addirittura per anni.
In molti casi diventa assordante il grido disperato di chi chiede con insistenza di
essere aiutato a morire, come ci attestano fatti di cronaca che hanno suscitato ampi dibattiti
negli ultimi mesi.
L’insegnamento costante della Chiesa in tale materia è chiaro e conosciuto: l’uomo
non può disporre liberamente neppure della sua vita e neppure quando questa diventa
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insopportabile, perché appartiene a Chi l’ha donata e che solo decide i tempi del nascere e
del morire.
La testimonianza della comunità cristiana offre speranza a chi vive situazioni di
fragilità e mette in atto alcune linee di azione all’interno delle stesse comunità, ma anche
al di fuori di esse.
Pastoralmente vanno individuati luoghi di testimonianza cristiana e di speranza ove
avvengano incontri con le fragilità:
- le celebrazioni liturgiche, in particolare la Messa festiva, ove esprimere cordialità e
accoglienza verso le persone più fragili, quasi sempre ignorate o isolate;
- le associazioni, i gruppi, i movimenti e gli altri servizi parrocchiali ove esprimere
attenzione alle varie forme di fragilità di tutte le età che frequentemente vi
approdano o di cui si viene a conoscenza;
- l’ascolto, l’amicizia offerta e non di rado accolta e contraccambiata, possono
diventare stimoli a conoscere la sorgente di una disponibilità inconsueta;
- l’esperienza del volontariato ha una forte valenza testimoniale e di apertura alla
speranza, perché mette insieme la generosità di molti e le necessità di poveri e
sofferenti. Tuttavia le iniziative e le opere di ispirazione cristiana non devono
sostituirsi al servizio dovuto dalle Istituzioni Pubbliche;
- l’incontro con le diverse forme di fragilità è un luogo di speranza e di testimonianza
cristiana, in particolare con la malattia fisica e mentale invalidante e le varie forme
di sofferenza;
- il dialogo fra le varie religioni o con i non credenti;
- sono tanti i modi di seminare speranza, anche l’incontro e il dialogo con i separati e
divorziati è da sostenere: queste persone continuano a far parte della comunità
cristiana e sono membri preziosi del corpo del Signore.
IV
LA TRADIZIONE
Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore.(Gn. 2, 9)
17) Una società può auto-rigenerarsi solo se è in grado di conoscersi fino in fondo,
nella sua dimensione storica, religiosa, culturale.
Questa conoscenza si deve necessariamente ancorare al passato e proiettarsi verso il
futuro; tutto ciò che è stato elaborato da chi ci ha preceduto è il bagaglio imprescindibile a
cui dobbiamo fare riferimento per poter continuare il cammino.
Questo patrimonio vitale e culturale della società viene veicolato dai mezzi di
comunicazione, dalle istituzioni scolastiche e universitarie e dalla famiglia. È in questi
contesti che le giovani generazioni apprendono la loro vera identità, si conoscono e si
comprendono.
18) Giona è dentro il pesce e rivolge a Dio una bella preghiera: è l’orazione di chi si
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Scopre limitato e comprende l’errore commesso.
Capisce che avrebbe dovuto accogliere l’invito di Dio a «trasmettere» ai niniviti
l’annuncio della salvezza che passa attraverso il pentimento.
Il patrimonio che si possiede è la radice della propria identità, ma non può essere
custodito gelosamente fino a nasconderlo; va trasmesso a tutti coloro che possono averne
bene, anche se di altri orientamenti.
Il Profeta è quasi alla fine della sua preghiera, poco prima che Dio disponga che il
pesce lo rigetti sulla terraferma, e proclama:«Quelli che onorano vane nullità
abbandonano il loro amore».
La tradizione non può essere meccanica ripetizione di ciò che si è sempre fatto,
come accade in molti casi nelle nostre Parrocchie, si rischia così di onorare il nulla senza
tenere presente ciò che veramente conta, e che è il fine ultimo del nostro impegno.
19) La famiglia non sempre è in grado di trasmettere i valori su cui si fonda essa
stessa e il luogo in cui è inserita insieme ad altre famiglie.
Sembra che sia piuttosto percepita come realtà legata ad un certo tipo di società che
non è più pensabile e attuabile e quindi è da rimodulare secondo esigenze nuove e pretese
che sono considerate degne di essere garantite.
Ho già trattato ampiamente della famiglia nella lettera che le ho dedicato alcuni anni
fa e a quel testo rimando per l’importanza di alcune intuizioni che vi sono contenute; qui
desidero solo ricordare il grande valore educativo che essa ha per sua stessa natura.
I bambini e i giovani in famiglia apprendono le prime e più importanti lezioni di
vita, l’educazione ai valori religiosi e civici, sperimentano la protezione degli affetti,
colgono il significato dello stare insieme, del mutuo soccorso nelle difficoltà, dell’aiuto
nella sofferenza, dell’ultimo abbraccio alle persone anziane che si congedano da questa
vita.
I bambini e i giovani stabiliscono ancora oggi come nel passato quella complicità
unica e – si potrebbe dire – primordiale con i nonni, autentici «narratori» di fatti veri o
leggendari che appartengono al bagaglio della loro memoria e delle loro esperienze.
Minare alla base l’istituto familiare potrebbe significare la definitiva demolizione di
un intero sistema di trasmissione non solo di memorie e di valori, ma anche di quella
speranza che può dare un autentico aiuto ai giovani, perché vedano come una grazia la
vocazione al matrimonio e all’amore.
20) Gli stessi giovani che ricevono in famiglia la prima educazione sono poi affidati
alla scuola e all’università perché provvedano a completare, anche dal punto di vista
scientifico, la loro formazione integrale.
Anche nella nostra città di Rieti, da qualche anno, è in funzione con un certo
successo l’esperienza universitaria, che garantisce ai nostri giovani la possibilità di una
formazione, prevalentemente tecnica, senza dover affrontare il disagio e le spese di recarsi
altrove.
Ma proprio l’esclusiva offerta formativa di tipo tecnico-scientifico fa emergere in
molti di loro la
domanda di approfondire anche altri aspetti della vita sui quali hanno modo di interrogarsi,
proprio perché sentono la necessità di essere pronti per la vita e non solo per l’attività
lavorativa che pure è importante.
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Sarebbe molto positivo che le autorità accademiche del nostro polo universitario,
d’intesa con gli interlocutori politici, prevedessero momenti di formazione e di dialogo su
temi anche di scottante attualità e particolare interesse.
La nostra Diocesi è orientata a mettere a disposizione energie e personale per
progettare e realizzare percorsi ed esperienze di ampio respiro sui temi di attualità che
richiedono sia competenze tecniche che di ordine etico.
21) Anche i mezzi di comunicazione sono oggi di una utilità troppo spesso
sottovalutata, proprio per la trasmissione di quei valori, non solo religiosi ma anche
squisitamente umani, in ordine all’attività pastorale della Chiesa locale.
Lo sforzo anche economico che la nostra Diocesi sostiene con il periodico
“Frontiera” non è sufficiente per arrivare a tutti, perché a tutti dobbiamo cercare di parlare
del Vangelo e della Chiesa, per trasmettere quel messaggio antico e sempre nuovo che
viene da Gesù, il centro della nostra attività e della nostra vita.
22) Il messaggio centrale del libro di Giona è proprio quello dell’annuncio della
Parola di Dio: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia
è salita fino a me» (Gn. 1,2).
Tradizionalmente l’annuncio è stato sempre inteso come insegnamento della Chiesa
attraverso i modi consolidati della predicazione e della catechesi, che sono e restano
imprescindibili, svolti nei luoghi a ciò deputati.
Ma nel contesto odierno prescindere dai mezzi di comunicazione di massa implica
rinunciare a straordinarie possibilità di far crescere la nostra comunità e dialogare con
coloro che sono lontani. L’impresa del Profeta, che ricorda per certi versi il personaggio
manzoniano dei Promessi Sposi, don Abbondio, con la sua paura di affrontare gli aspetti
più rischiosi del suo ministero, è rivolta proprio ai lontani.
E Dio si serve di una forma di comunicazione nell’antichità molto diffusa:
l’annuncio nelle pubbliche vie, che oggi non deve interpretarsi alla lettera, anche perché
non sembrano esservi le condizioni, ma un annuncio rivolto a tutti con i mezzi che ci sono
messi a disposizione dalla tecnologia, tenendo sempre presente la cultura, il dialogo e il
confronto aperto e accogliente con l’interlocutore: questo dobbiamo farlo!
V
LA CITTADINANZA
«Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.
Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino» (Gn.3,3)
23) Forse come non mai, nel contesto attuale, sentiamo tutti molto forte l’esigenza di
difendere e valorizzare le nostre identità peculiari e al contempo non possiamo prescindere
dal confronto e dalla conoscenza di un più vasto contesto, quello globale.
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Certamente sono gli stessi mass-media che ci danno l’opportunità di conoscere in
tempo reale ciò che accade in ogni “angolo” della terra.
Ci sentiamo cittadini del nostro ambiente particolare, e insieme cittadini del mondo; un
mondo che ci viene dentro casa con la televisione e internet, un mondo che noi possiamo
esplorare con questi mezzi, ma anche raggiungendo luoghi lontani in poche ore e senza
sforzi fisici ed economici particolari, con i mezzi di trasporto più sofisticati. Siamo
cittadini del mondo e del nostro quartiere!
24) Giona finalmente si decide a fare quello che Dio gli ha comandato. Ninive si
poteva percorrere in tre giorni.
Oggi in tre giorni andiamo e torniamo da una parte all’altra del pianeta.
Il numero tre, come i tre giorni di permanenza nel ventre del pesce o di permanenza
di Cristo nel sepolcro, ha una funzione didattica e teologica molto importante: indica la
pienezza, il tempo necessario e sufficiente.
I cittadini di Ninive sono impegnati nelle loro faccende e a compiere il male che
Giona avrebbe dovuto combattere.
L’annuncio del Profeta non è per niente allegro e incoraggiante: «Ancora quaranta
giorni e Ninive sarà distrutta» (Gn. 3, 4).
I niniviti, contrariamente alle previsioni del Profeta svogliato e sfiduciato, credono
al suo annuncio, forse sono colpiti dalla minaccia, forse sanno di aver compiuto troppo
male, e iniziano un digiuno, tutti, compreso il Re e gli animali.
È grottesca e curiosa l’immagine di animali coperti di sacco, come gli uomini, a
digiuno come gli uomini: come il male ha pervaso ogni cosa, così l’espiazione deve
riguardare tutti.
È una provocazione ai profeti che annunciano la Parola: anche se non siete convinti,
Dio può volere che i peccatori si convertano e che il vostro sforzo raggiunga obiettivi che
neppure osate immaginare.
La città, unita nel male e nella violenza, ora è unita nella penitenza e nella
conversione. Nutre la serena fiducia che quel Dio sconosciuto possa ritirare la minaccia
della distruzione.
Tutti prendono coscienza di ciò che sta accadendo, anche il Re: «Giunta la notizia
fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a
sedere sulla cenere.
Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini
e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua». (Gn 3,
6-7).
La città sperimenta la crisi ed è pronta ad adottare l’unica soluzione che sembra
praticabile: cambiare vita, convertirsi, tutti, incluso il Re e i suoi grandi, come dice la
traduzione del testo sacro.
25) La fede non è da tenere chiusa nel cassetto o relegata negli spazi angusti delle
sacrestie, va testimoniata, praticata, difesa, sostenuta, anche in ambienti ostili e
apparentemente impermeabili ad essa.
È troppo comodo e anche presuntuoso, oltre che privo di speranza, pensare che Dio
non possa offrire a tutti, anche ai lontani, il suo perdono e il suo amore.
Ma Giona lo fa.
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Dopo che, con sua grande sorpresa, si accerta che Dio ha perdonato ai niniviti e non
distruggerà più la città, si dispiace, perché la sua predicazione ha avuto successo.
C’è poco da meravigliarsi, perché è spesso un atteggiamento che coglie di sorpresa
anche noi cristiani, uomini e donne di Chiesa e di fede.
CONCLUSIONE
Uscire dal ventre del pesce
Prima di salutare tutte le comunità cristiane che vorranno riflettere aiutate da queste
annotazioni maturate successivamente al Convegno di Verona, vorrei brevemente
sottolineare alcuni aspetti che mi sembrano importanti, in ordine al rinnovamento della
pastorale diocesana alla luce delle conclusioni di Verona.
1) Pastorale della Vicinanza
È stato uno dei motivi conduttori del Convegno ecclesiale.
La Chiesa può veramente essere credibile solo se sa essere vicina ad ogni uomo e
donna che vivono, lottano e sperano.
L’ascolto dei disagi, la condivisione del quotidiano, come naturale habitus, la
condivisione della vita con i più poveri: la comunità cristiana come «locanda
dell’accoglienza», questi sono i nostri obiettivi!
2) Formazione Integrale Permanente
Per la pastorale della vicinanza è necessario “perdere di vista il campanile”, lasciare
le proprie sicurezze e sporcarsi le mani portando fuori la speranza.
Si parte dalla piazza, rilevando le varie urgenze, si entra in Chiesa per l’ascolto della
Parola di Dio, per la preghiera, per una formazione continua mediante la Catechesi, dei
giovani e degli adulti, mediante l’analisi e lo studio, l’arricchimento delle competenze, per
«tornare a provocare la piazza con il valore aggiunto della fede».
Il Convegno di Verona ha richiamato ad una conoscenza più approfondita e
sistematica della Dottrina Sociale della Chiesa, che deve essere uno degli obiettivi che nei
prossimi anni gli uffici pastorali della nostra Chiesa dovranno perseguire.
Presbiteri, religiosi/e e laici non devono mai sentirsi compiutamente formati e
preparati, ma in tutti i settori del sapere teologico, pastorale, culturale, sociale, devono
sentirsi sempre bisognosi di formazione e di aggiornamento. Solo così sapremo affrontare
il futuro!
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3) Progetto Culturale
Il Convegno di Verona ha auspicato che il Progetto Culturale che la Chiesa italiana
ha scelto circa un decennio fa, sia ampliato, arricchito e sviluppato.
Nella nostra Diocesi affiderò ad un ufficio, tra quelli previsti dal Sinodo, il compito
di coordinare e realizzare significative iniziative ed esperienze in tal senso.
L’impegno educativo nella scuola e nell’università, l’impegno politico, la
comunicazione, i beni culturali valorizzati per il loro profondo significato catechetico e
religioso, devono diventare i precisi punti di riferimento per un Progetto Culturale
orientato in senso cristiano, che richiede l’impegno e la collaborazione da parte di tutti i
soggetti pastorali della nostra comunità cristiana.
4) Pastorale Integrata
La realizzazione, o il tentativo di attivare almeno questi processi pastorali, richiede
una pastorale non più divisa per settori, come è stato fino ad oggi, per cui ogni ufficio,
ogni gruppo o movimento, ogni parrocchia, hanno elaborato i loro progetti e hanno tentato
di realizzarli, anche con buoni risultati, ma scollegati dal progetto della Diocesi e da tutti
gli altri progetti e iniziative.
Sarà necessario attivare tutte le iniziative possibili, anche riunendo i vari
responsabili periodicamente e a prescindere da organismi necessariamente istituzionali,
per giungere ad una programmazione sia di obiettivi che di iniziative, con largo anticipo
per ogni anno pastorale. Ciò richiede uno sforzo di programmazione anticipata in sede di
Consigli pastorali e di zone.
L’organismo che si preoccuperà di coordinare la pastorale è il Consiglio Pastorale
Diocesano, che ho recentemente costituito, anche sulla base delle indicazioni sinodali.
Affido queste riflessioni a tutta la comunità diocesana nel giorno della Festa della
Presentazione di Gesù al Tempio, nel decimo anniversario del mio ingresso in Diocesi e in
preparazione alla santa Quaresima.
Voglia il Signore, nella sua Provvidenza, comandare al pesce che ci restituisca
all’asciutto, che dalla chiusura ci apriamo alla speranza, che dall’attesa di fatti straordinari
ci disponiamo a lavorare nel quotidiano, che dal torpore ci impegniamo nell’azione
generosa e appassionata, per testimoniare la nostra speranza che è Cristo Risorto a quanti
incontriamo nel nostro cammino.
Tutti saluto e benedico nel nome del Signore!
Rieti, dal Palazzo Vescovile, 2 febbraio 2007
Festa della Presentazione di Gesù al Tempio
Decimo anniversario del Mio ingresso in Diocesi
 Delio Lucarelli
Vescovo
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Il Libro di Giona
Cap. 1
[1]Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del
Signore:
[2] «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa
proclama che la loro malizia è salita fino a me».
[3]Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis,
lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una
nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto,
s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.
[4]Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne
venne in mare una tempesta tale che la nave stava per
sfasciarsi.
[5]I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio
dio e gettarono a mare quanto avevano sulla nave per
alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto
della nave, si era coricato e dormiva profondamente.
[6]Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse:
«Che cos'hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo
Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo».
[7]Quindi dissero fra di loro: «Venite, gettiamo le sorti
per sapere per colpa di chi ci è capitata questa
sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona.
[8]Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di
chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere?
Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo
appartieni?».
[9]Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del
cielo, il quale ha fatto il mare e la terra».
[10]Quegli uomini furono presi da grande timore e gli
domandarono: «Che cosa hai fatto?». Quegli uomini
infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore,
perché lo aveva loro raccontato.
[11]Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te
perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il
mare infuriava sempre più.
[12]Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e
si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so
che questa grande tempesta vi ha colto per causa
mia».
[13]Quegli uomini cercavano a forza di remi di
raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché il
mare andava sempre più crescendo contro di loro.
[14]Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore,
fa’ che noi non periamo a causa della vita di questo
uomo e non imputarci il sangue innocente poiché tu,
Signore, agisci secondo il tuo volere».
[15]Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare
placò la sua furia.
[16]Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore,
offrirono sacrifici al Signore e fecero voti.
Cap. 2
[1]Ma il Signore dispose che un grosso pesce
inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre
giorni e tre notti.
[2]Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio
[3]e disse: «Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho
gridato e tu hai ascoltato la mia voce.
[4]Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare e le
correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue
onde sono passati sopra di me.
[5]Io dicevo: Sono scacciato lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio.
[6]Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l'abisso
mi ha avvolto, l'alga si è avvinta al mio capo.
[7]Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso
le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai
fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore mio Dio.
[8]Quando in me sentivo venir meno la vita, ho
ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te,
fino alla tua santa dimora.
[9]Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro
amore.
[10]Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e
adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal
Signore».
[11]E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona
sull'asciutto.
Cap. 3
[1]Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola
del Signore:
[2] «Alzati, va’ a Ninive la grande città e annunzia loro
quanto ti dirò».
[3]Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del
Signore. Ninive era una città molto grande, di tre
giornate di cammino.
[4]Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno
di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e
Ninive sarà distrutta».
[5]I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un
digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più
piccolo.
[6]Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal
trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a
sedere sulla cenere.
[7]Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per
ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini e animali,
grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non
bevano acqua.
[8]Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio
con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua
condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue
mani.
[9]Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga
il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?».
[10]Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti
dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì
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riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e
non lo fece.
Cap. 4
[1]Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu
indispettito.
[2]Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che
dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a
fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio
misericordioso e clemente, longanime, di grande amore
e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato.
[3]Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è
per me morire che vivere!».
[4]Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere
sdegnato così?».
[5]Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di
essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise
all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto
nella città.
[6]Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di
ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua
testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande
gioia per quel ricino.
[7]Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò
un verme a rodere il ricino e questo si seccò.
[8]Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento
d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si
sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio
per me morire che vivere».
[9]Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così
sdegnato per una pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì,
è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la
morte!».
[10]Ma il Signore gli rispose: «Tu ti dai pena per quella
pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e
che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è
cresciuta e in una notte è perita:
[11]e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande
città, nella quale sono più di centoventimila persone,
che non sanno distinguere fra la mano destra e la
sinistra, e una grande quantità di animali?».
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