Che si dice sull`amore? Dieci racconti d`amore spiegati bene

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Che si dice sull`amore? Dieci racconti d`amore spiegati bene
Che si dice sull’amore?
Dieci racconti d’amore spiegati bene
Antonio Pascale
Editodanoi
gennaio 2016
Editodanoi
di Voltapagina Srl
via Piave, 18 – 00187 Roma
[email protected]
06-42014726
www.libreriaviapiave.it
in copertina illustrazione di Maurizio Esposito
Indice
1. Mark Twain:
Il diario di Adamo ed Eva
pag.
5
2. Platone:
Il Simposio
pag.
19
3. Anton P. Cechov:
La signora con il cagnolino
pag.
30
4. Alice Munro:
Quello che si ricorda
pag.
40
5. Scott Fitzgerald:
Sogni invernali
pag.
50
6. Roald Dahl:
Genesi e catastrofe. Una storia vera
pag.
61
7. J.M. Coetzee:
Elizabeth Costello.
Le scienze umanistiche in Africa
pag.
72
8. David Means:
I travagli della vedova
pag.
87
9. Lindo Ferretti:
Annarella
pag.
96
10. Steven Pinker:
Il declino della violenza
pag.
103
pag.
115
pag.
129
1. Mark Twain: Il diario di Adamo ed Eva
amore.
Per iniziare un viaggio, qualunque viaggio, è meglio,
ormai si sa, portare un bagaglio leggero. A maggior
ragione, dovendo percorrere l’accidentata strada
dell’amore dice Mick Jagger nella
sua Streets Of Love
- per evitare i fastidiosi sobbalzi che affaticano la
schiena - alleggerire il carico: tanto sarà di guadagnato
se eliminiamo quell’aurea nobile e sacrale, insomma
se smontiamo, e da subito, la parola amore.
C’è un vantaggio e uno svantaggio: a smontaggio
concluso ci troveremo a maneggiare forze elementari,
certo meno poetiche ma più umane e, chissà, più
facili da comprendere.
Lo svantaggio? Non siamo certi che queste forze,
denudate e crude, ci piaceranno.
È il grande paradosso dell’amore: proviamo a
smontarlo per meglio dominarlo, ma poi i pezzi sparsi
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ci sembrano troppo miseri e banali, e così, spaventati,
li rimontiamo, anzi con un eccesso di zelo costruiamo
immagini poetiche.
io. Anzi, giusto per chiarire - in fondo mi sto
attribuendo, sia pure per interposte persone, il ruolo
di guida, e già temo di essere Caronte e non Virgilio
- quando ero più giovane parlavo tanto, spesso e
troppo d’amore, e non ero il solo.
Siccome leggevamo qualche saggio in più, eravamo
davvero convinti di sapere quel quid sull’amore
che alla maggioranza delle persone sfuggiva. Eh!
parlavamo, sì che parlavamo, e citavamo Ovidio,
Saffo, Fromm.
Una strategia. Sì, perché le nostre discussioni erano
sempre tese (come diceva un politico democristiano
in un famoso sketch del programma Come Alice,
interpretato da Verdone nel 1982) a mostrare che:
a) in amore, eravamo dei veri intenditori;
b) se le ragazze sceglievano noi ovviamente facevano
un affare: siccome conoscevamo l’amore sapevamo
anche, per sillogismo, amare.
Tuttavia, dopo qualche mese, tutta la prosopopea
veniva meno e il partner cominciava a chiedersi:
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Altro paradosso: su 10 coppie che si innamoravano
a forza di parlare d’amore, 9 seguivano questa
dinamica. Solo 1 manteneva le promesse: restava
insieme a lungo e continuava anche a parlare
d’amore come all’inizio.
Non per questo ho mollato. Crescendo, l’interesse
per il viaggio d’amore mi è rimasto. Non che ne
sappia più di prima, ho solo maturato, appunto, la
suddetta convinzione che, per partire è necessario un
bagaglio leggero.
Sull’amore si possono dire troppe cose nobili e fuori
contesto, basta un attimo e tutti ci cadiamo.
Prendi un libro, per esempio, Io Amo, di Vito
Mancuso. Fin dall’inizio promette di parlare,
appunto, di ontologia dell’amore. Lo fa con
un’ipotesi, secondo me, azzardata, che tuttavia se
fosse dimostrata porterebbe Mancuso al Nobel.
Ecco l’ipotesi:
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Come ho invidiato Mancuso per questa ipotesi.
L’avessi detta io a tempo debito chissà quante
conquiste.
Sì, d’accordo, è la vecchia strategia del destino che
ha scelto per noi, mica possiamo opporci al destino,
quantistica suona meglio. Che importa quanto sia
precisa la descrizione del vuoto quantistico: conta
solo che sia suggestiva.
Ecco, meglio precisare: è proprio per evitare fastidiose
suggestioni che ritengo necessario smontare la parola
amore, costi quel che costi, anche se poi otteniamo
del materiale grezzo.
Come si fa?
meglio seguire quegli scrittori che hanno cercato di
individuare delle linee tematiche semplici, appunto,
casi e declinazioni d’amore particolari: riassumere
la loro poetica, commentarli in breve e provare
vorrei cercare di capire se l’amore è una variabile
indipendente o una variabile dipendente.
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Nel primo caso ognuno di noi - e chissà, anche in
d’amore da distribuire al prossimo. Quindi la parola
amore rende la vita migliore. Nel secondo caso
la dose d’amore è soggetta a varie forze, dunque
la dose si presenta con misure diverse a seconda
dell’età, del caso, del tempo che passa e di svariati
accidenti, non tutti sotto il ferreo controllo della
nostra volontà. Diremo allora che, tutto sommato,
l’amore perlomeno rende la vita possibile.
Se siete pronti a procedere con lo smontaggio e
se, allo stesso tempo, vi sentite abbastanza saggi,
o cinici, per affrontare il materiale grezzo, tanto
vale partire dall’inizio e poi procedere via via per
successive declinazioni.
E allora:
di Mark Twain.
La domanda a cui cerca di rispondere il racconto è:
qual è stata l’evoluzione dell’amore: dove è nato,
come (e se) è cambiato?
Il racconto è (comicamente) ambientato nel
Giardino dell’Eden e affronta di petto il nostro mito
di fondazione: Adamo ed Eva.
umorismo di Mark Twain - i sentimenti delle
prime due persone che hanno abitato la Terra?
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Cosa ha spinto l’uno nelle braccia dell’altra? E sì,
naturalmente un po’ prende in giro la Bibbia. Tra
l’altro, il Giardino dell’Eden si troverebbe, secondo
Twain, vicino alle cascate del Niagara, e questo
perché
, il primo a uscire, faceva
parte di un volume sulle cascate del Niagara, uno
sponsor insomma è del 1905, scritto
dopo un periodo di lutti: Twain perse nel 1896 la
Dunque, chi è Adamo?
anche se Twain lo
descrive come un bambino un po’ buffoncello e
credulone, tutto concentrato sulle sue attività, ama
vuole starsene per contro proprio.
Tanto è vero che all’inizio non sopporta Eva, questa
strana creatura dalla buffa criniera che fa cose
strane: come piangere spesso dalle fessure fatte per
guardare e poi si ostina a dare un nome alle cose.
E quelle cose, d’ora in poi, si chiameranno proprio
così, come dice lei.
Un tormento: infatti, Adamo scappa lontano da Eva,
ma lei addestra un animale che chiama
e lo
ritrova.
Eva invece lo guarda, lo scruta, lo cerca. È sola, ha
paura, è una sognatrice e, in fondo, vuole qualcuno
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con cui condividere la materia di cui sono fatti i
sogni.
Poi la storia è nota: perdono il Giardino dell’Eden.
Cadono, diventano mortali, hanno paura, provano
vergogna e solo allora lui si avvicina a lei.
Non proprio per amore. Bisogna dirlo meglio,
perché Twain ci tiene a questo passaggio: Adamo
sente che gli conviene innamorarsi, così almeno
possiede qualcosa ora che il paradiso è perduto.
Eva lo lascia fare. Anzi, dopo qualche tempo gli fa
trovare due specie di cuccioli strani, che emettono
versi e piangono, e hanno sempre fame: Adamo li
guarda e li studia, ma non capisce cosa sono, dei
pesci? Vorrebbe buttarli in acqua per vedere se sanno
nuova specie, Cangurum Adamiensis.
Poi lei li chiama: Caino e Abele.
L’amore come proprietà? La proprietà è necessaria
per preservare e portare avanti la specie? Del resto, la
vita, fuori dal giardino, è faticosa e piena di pericoli,
si sa, il mondo è freddo, così Adamo ed Eva trovano
conveniente la vita in coppia. Come altrimenti
ricostruire un nucleo di calore e a portare avanti la
vita? Adamo sotto sotto la pensa così e anche Eva.
Tanto è vero che quando Eva si interroga sul perché
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dormire (…).
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.
Sì, d’accordo, Eva ci tiene a mettere le mani avanti:
sono la prima donna che ha esaminato la questione,
forse altri e altre, meglio di me, risponderanno.
Però, all’inizio di tutto, quando i sentimenti erano
ancora in nuce, già si evidenziavano forze poco
nobili, egoiste.
Adamo in fondo pensa: tu, Eva, sei un sostituto della
proprietà perduta.
intelligente, ma sei Mio e tanto basta.
Da queste forze elementari, poco nobili, grezze, poi
assistiamo al miracolo, all’evoluzione dell’amore,
sì perché i due,
perdutamente innamorati: il diario di Eva si chiude
40 anni dopo, con una preghiera, struggente,
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C’è poi anche un post scriptum, leggiamo quello che
Adamo ha scritto sulla tomba di Eva:
.
Quindi, perdutamente innamorati, ma ecco la
domanda infame: è solo perché l’uno sta perdendo
l’altra e viceversa? E dunque, senza quella sensazione
di unicità il mondo non esiste, il tutto è niente?
Adamo ed Eva sono unici l’uno per l’altra? Anime
gemelle? Sono anche le prime persone che hanno
esaminato la questione, quindi è probabile che i loro
giudizi siano ingenui, noi ne sappiamo certamente
Oppure è vero il contrario: proprio perché Adamo
ed Eva sono così vicini al momento zero, anzi
diciamo che l’amore comincia con loro, ecco, forse
la loro percezione dell’amore - per quanto semplice
e ingenua - è più precisa della nostra?
Post scriptum
scossi per la questione posta dai nostri progenitori:
, viene tuttavia
da chiederci, in contrasto, se esista un’altra formula
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più altruistica: insomma, l’amore, in origine, è solo
una forma di dono? Dunque sono forme di dono
tutte le relazioni d’aiuto? Adamo ed Eva scelgono di
donarsi qualcosa l’uno con l’altra?
In fondo, sempre a proposito di bambini, (come
Adamo ed Eva nel racconto) è facile per esempio
osservare, appunto, un bambino, magari all’asilo,
regalare una caramella a un bambino che piange
disperatamente: chi gliel’ha detto a quel bambino/a
di fare così? Appunto, si dice: è un dono! Gli occhi
si illuminano, e sorridiamo.
E l’amore, prima o poi, assume questa forma? Fosse
anche per un breve periodo di tempo.
Tuttavia, una prima considerazione ci dovrebbe
far scartare quelle concezioni ingenue del dono,
là dove si ripete che donare è bello, chi dona si
arricchisce spiritualmente e raggiunge nobili vette di
generosità. È necessario chiedersi, più cinicamente
(e realisticamente) per esempio, quale sia l’essenza
di questo fenomeno, quando, in che circostanze, si
sceglie di donare, e soprattutto a cosa serva donare?
Il dono si potrebbe inserire in un processo più ampio,
una sorta di gioco relazionale collettivo.
Se l’atto del donare piace è perché il donare (non
serve prima di tutto agli interessi di chi dona. E
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allora, senza dubbio, questo contrasta con la retorica
sul dono.
Se analizziamo il momento nel quale qualcuno
decide di donare possiamo arrivare alla conclusione
che l’atto del donare serve o a ripianare un debito
e fare la pace, oppure a creare un sentimento di
obbligazione.
Nel primo caso, l’atto di ripianare un debito porta
a creare una dimensione di armonia, laddove c’è
disarmonia, il regalo, o qualunque cosa possiamo
intendere per dono, serve a uscire da una situazione
pianto del bambino è stressante per gli altri bambini,
segnala un pericolo).
Nel secondo caso l’intenzione è opposta, si cerca
di creare (attraverso il dono) una dimensione di
squilibrio, che va a tutto vantaggio del donatore.
Infatti, oltre a creare una certa sorpresa (perché mi
regali questo?) si crea, altresì, un debito morale,
in quanto il donatore vincola psicologicamente il
È il noto effetto Potlatch.
Sempre per analizzare il dono nelle sue dimensioni
in nuce, se un capo tribù ha fatto un grosso dono a un
nipote, magari perché questi ha manifestato doti di
guerriero, lo ha, in effetti, legato a sé. Stessa cosa se
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un capo tribù dona qualcosa a una giovane vergine,
quest’ultimo ha il potere di restituire il dono, e
quindi potrà evitare di trovarsi in una situazione di
svantaggio psicologico.
L’amore, dunque, è una funzione del dono?
Potremo rispondere di sì, l’amore è il dono di sé
o delle proprie risorse prolungato nel tempo per
ottenere dei vantaggi. Se è così, bisogna ammettere
che è necessario uno scambio equo. Dunque,
prima bilanciare i rapporti di forza, poi amare.
Se facciamo la tara delle situazioni contingenti e
sociali, economiche, antropologiche che potrebbero
un modo per procedere al bilanciamento: conoscere
l’altro approfonditamente.
L’avverbio approfonditamente più che far pensare
a un gioco di domande e risposte attraverso le quali
conosciamo l’altro e ci bilanciamo, rimanda alla
capacità di abbandonarsi.
le nostre forze, e dunque le rispettive capacità di
guidare, sono equilibrate?
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l’abbandono. Ci vuole una speciale disciplina,
anni di apprendistato, e tuttavia nel frattempo non
mancheranno gli squilibri: come ne usciamo?
Citazioni tratte da:
- Ho capito che ti amo, a cura di Fabiano Massimi,
Einaudi, 2009, traduzione di Marilia Strazzeri.
- V. Mancuso,
,
Garzanti, 2014.
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