Socrate (470/469 aC - 399 aC)
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Socrate (470/469 aC - 399 aC)
Socrate (470/469 a.C. - 399 a.C.) Socrate non ha lasciato nulla di scritto. Come sappiamo qualcosa di lui? Attraverso le testimonianze, come quella del commediografo Aristofane (di Socrate parla come di un pericoloso miscredente che corrompe i giovani e come di un filosofo che vive staccato dalla realtà e che ha, metaforicamente, il suo pensatoio posizionato a mezz'aria), e del suo discepolo Platone, che fa di Socrate il protagonista di tutte le sue opere scritte in forma di dialogo. Perché non scrive nulla? Perché la Verità non è qualcosa che si possiede, ma che si ricerca. Come? Attraverso il dialogo vivo. Se una persona possedesse la verità potrebbe metterla per iscritto e trasmetterla ad altri. Invece la Verità non è accessibile all'uomo. In quest'ultima affermazione, Socrate concorda con i Sofisti e vi concorda anche per quanto riguarda ciò di cui dovrebbe occuparsi la filosofia: non della natura (universo fisico), ma dell'uomo. Differisce invece dai sofisti per i seguenti motivi: 1) non condivide l'idea di insegnare a pagamento; 2) non condivide l'idea che il discorso (il linguaggio, la comunicazione) sia separato dai contenuti e che sia quindi uno strumento di potere senza valori; 3) i sofisti hanno la presunzione di sapere, mentre Socrate sa di non sapere, quindi non ha nulla da insegnare. Se si è convinti di sapere non si fa ricerca. La consapevolezza di non sapere mette in moto la ricerca, senza la quale l'uomo non sarebbe uomo (“una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”). Vivere = ricercare = dialogare con se stessi e con gli altri. Il dialogo ha due fasi: 1) Ironia = si tratta della fase decostruttiva. Ironia, secondo l'etimologia greca, significa simulazione, finzione. Socrate finge di condividere il punto di vista dell'avversario, di adularlo e ammirarlo, per poi incalzarlo con una serie di domande, alla quale l'interlocutore cerca di rispondere, ma dopo ogni risposta Socrate ribatte con una nuova domanda, fino a che l'avversario non è costretto a riconoscere che le sue certezze non erano poi così fondate. 2) Maieutica = arte di far partorire, ovvero, metaforicamente, di tirar fuori la verità. Socrate si dice “sterile”: non ha una verità da offrire, ma il suo compito è quello di aiutare l'interlocutore, attraverso il dialogo, a tirar fuori le idee che ha dentro di sé, ma che non era ancora riuscito ad esprimere. La verità non è qualcosa di dato dall'esterno, ma una conquista personale. Conoscere = conoscere se stessi (Socrate riprende il motto dell'oracolo di Delfi: “conosci te stesso”). L'uomo quindi deve interrogarsi su se stesso, ovvero deve chiedersi qual è la sua natura e qual è la virtù che lo rende realmente felice. Secondo Socrate, ciò che davvero conta per essere felici non è ciò che l'uomo ha, ma ciò che l'uomo è: ricchezza, successo, carriera, fama, bellezza del corpo appartengono alla sfera dell'avere; ma ciò che rende l'uomo virtuoso e felice è la bellezza dell'anima. Tale bellezza consiste: a) nell'uso sapiente, razionale, dei beni esteriori. La bellezza esteriore, il successo, la fama, ecc., non sono da disprezzare: si tratta solo di farne un uso intelligente; b) nel controllo razionale dei piaceri sensibili: questi non devono essere negati, ma soddisfatti con intelligenza. C'è bellezza interiore quando vi è autocontrollo: solo l'autodominio porta l'uomo a essere libero. Prendersi cura dell'anima significa imparare l'autocontrollo, sottoporre alla ragione il comportamento umano. La virtù è sapere, si può apprendere e insegnare, anche se richiede un lungo cammino. Questa razionalità virtuosa porta l'uomo alla felicità (eudaimonia): tale felicità non è un premio ultraterreno, ma è intrinseca alla realizzazione dei valori che costituiscono l'essenza stessa dell'uomo. L'uomo prova felicità quando si realizza come uomo, cioè come essere razionale. È questa felicità che gli dà la tranquillità anche di fronte alla morte. La ragione porta a fare il bene e alla felicità, mentre se non si segue la ragione si fa il male e ciò conduce alla infelicità. Secondo Socrate, nessun uomo sceglie il male volontariamente: non è pensabile che un uomo, contro la sua natura, aspiri all'infelicità. Chi agisce male lo fa solo per ignoranza: ciascuno sceglie sempre ciò che ritiene sia bene. Il virtuoso è il sapiente, il malvagio è l'ignorante, colui che non conosce il vero bene, che non sa andare oltre l'apparenza, oltre l'utile o il piacere immediato. A Socrate, nel corso della storia successiva, sono state mosse alcune critiche: – di intellettualismo etico, ovvero di aver sopravvalutato il ruolo dell'intelletto nelle scelte etiche, trascurando la volontà – di formalismo: non definisce quali siano le norme concrete di comportamento, ma si limita ad affermare che il comportamento virtuoso si identifica con il sapere. In realtà Socrate non ha la pretesa di conoscere il Bene e il Male assoluti, perché sono gli uomini concreti e le comunità a stabilire, sulla base della ragione, che cosa è bene fare in ogni circostanza. – Nel XIX secolo Nietzsche accuserà Socrate di aver dato inizio alla decadenza occidentale, subordinando gli impulsi alla ragione: ha ucciso la vita, bloccato le emozioni. Socrate avverte come divina la sua missione e spesso fa riferimento a una voce divina (il demone) che sente dentro di sé, una sorta di oracolo interiore che gli dice ciò che non deve fare, che gli fa provare vergogna se compie ciò che non è giusto; un “alt”, un “attenzione”, un invito a non accontentarsi mai, a non accettare nulla se non attraverso il vaglio critico, volta a volta, secondo ragione. Socrate sente di dover compiere una missione, che egli chiama divina: risvegliare la città, punzecchiarla alla maniera di un “tafano”, smascherare tutti coloro che scambiano per valori il potere, la fama, la bellezza fisica. È una missione pubblica, politica: Socrate ha a cuore il bene della città, ma gli avversari politici faranno ricorso al pretesto religioso per accusarlo di empietà (trascuratezza del culto della religione). Accusato di corrompere i giovani e di voler introdurre nuove divinità, Socrate viene processato nel 399 a.C.1 Il processo è narrato da Platone nella Apologia di Socrate. Anito, un esponente politico democratico è il promotore del processo. Socrate smonta tutte le calunnie contro di lui e chiude la sua difesa chiedendo non pietà, ma giustizia. Il processo si chiude con la condanna di Socrate. Il condannato ha la facoltà di proporre una pena alternativa alla pena di morte, ad esempio l'esilio, ma Socrate si rifiuta perché sa di non aver mai commesso alcuna ingiustizia ed è consapevole che anche in esilio continuerebbe a compiere la sua missione e quindi sarebbe destinato a essere via via cacciato dalle città dove si recherebbe. Provoca anzi i giudici chiedendo di essere mantenuto a spese dello Stato perché nessuno, meglio di lui, ha offerto servizi ai suoi concittadini cercando di renderli davvero felici. Socrate è quindi condannato a morte, ma dimostra di non avere alcuna paura: egli è certo che a un uomo che si è sempre comportato bene non può capitare nulla di male, né in vita né in morte. La condanna a morte non viene eseguita subito. Mentre Socrate è in carcere Critone, amico e discepolo, lo va a trovare con l'intento di proporgli la fuga, ma il filosofo rifiuta: le leggi non vanno mai violate perché è solo grazie ad esse che l'uomo esce dall'animalità e diventa davvero uomo. Mai si deve commettere ingiustizia, neanche quando si subisce ingiustizia. Arriva il carceriere con il veleno (la cicuta). Questi lo porta pestato in una tazza, e informa Socrate che deve passeggiare dopo averlo bevuto finché non sentirà il peso alle gambe: solo allora dovrà coricarsi e aspettare l'effetto. Socrate beve con serenità la cicuta e aspetta l'effetto. Nella Apologia, Platone fa dire a Socrate prima di morire le seguenti parole: “Non dalle ricchezze ma dalle virtù nasce la bellezza. La ricerca porta alla verità. Un'ingiustizia non va commessa mai neppure quando la si riceve. Ad una persona buona non può capitare nulla di male: né in vita né in morte, le cose che lo riguardano non vengono trascurate dal Dio. Ma ormai è giunta l'ora di andare io a morire e voi invece a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio è oscuro a tutti tranne che al Dio”. 1 In questo periodo è stata appena restaurata la democrazia, dopo la parentesi del governo dei Trenta Tiranni, guidati da Crizia, che era stato allievo e amico di Socrate. Pur non avendo nulla a che fare con il governo dei Trenta Tiranni, il restaurato governo democratico diffida di Socrate, reputandolo un intellettuale vicino ai rampolli più brillanti dell'aristocrazia e maestro degli antidemocratici