Tempo perso - FORMart Didattica

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Tempo perso - FORMart Didattica
“Self Empowerment – Time management”
Episodio numero 8: Tempo perso
Testo dell’episodio “Tempo perso”
Contenuto
Ar. : Ciao Andrea cosa ne dici se oggi cambiamo lo schema del nostro dialogo?
An. : Ciao Arianna, sei arrivata carica e propositiva. Cosa proponi?
Ar. : Vorrei cominciare facendoti io una domanda. Nelle nostre conversazioni abbiamo parlato
spesso di come utilizzare al meglio il tempo, del fatto che il tempo è una risorsa finita e che
deve essere gestita. Ma l’esperienza quotidiana è un comune sentire che il tempo ci manca. Ci
manca per fare quello che vogliamo, ci manca per finire un lavoro, ci manca per arrivare
preparati ad un esame, ad un importante appuntamento di lavoro. Sono sicura che anche a te
capita e allora la domanda è diretta: cosa è che ti fa perdere più tempo? Quali situazioni ti
mettono più in difficoltà quando si tratta di gestirlo il tuo tempo?
An. : La risposta è immediata. Le persone. Sono le persone che mi si mangiano il tempo, e sono
quelle più difficili da gestire, perché chiamano in causa componenti relazionali, doveri,
educazione, senso morale e senso civico. Insomma siamo fatti di relazione e il significato di ciò
che facciamo si costruisce nei rapporti con gli altri. Ma sono rapporti che si mangiano il nostro
tempo.
Ar. : Oddio, sei un misantropo! Non sembravi.
An. : Niente affatto. Mi riferisco alle persone che interrompono il lavoro, che interrompono la
concentrazione, che si frappongono tra me e la programmazione delle mie attività.
Ar. : Perché ti infastidiscono così tanto? A me pare normale; non credo ci sia niente di male nel
dire una parola al proprio collega, o chiedergli qualcosa.
An. : Ti faccio qualche esempio di frase tipica: “Posso parlarti un attimo? Avrei un problemino
con il capo…”. Oppure: “Prendiamo un caffè? Devo assolutamente raccontarti della mia serata
con Lara”. O ancora: “Possiamo fermarci per qualche minuto? Ho dei problemi con un cliente”.
Sono tutte situazioni tipiche, banali forse, che sperimentiamo ogni giorno sul lavoro. Sai cosa
hanno in comune?
Ar. : La gentilezza. Sono tutti così carini nel fare queste domande. E poi sono occasioni di
socializzazione, no?
An. : Molto raramente sono occasioni di socializzazione. Ma andiamo per ordine. Primo
elemento in comune: il centro di interesse è la persona che chiede. Mi spiego meglio. In tutti e
tre i casi la persona che chiede lo fa su cose che la riguardano, che sono suoi interessi. Nel
primo esempio l’interlocutore ha problemi con il capo. Il tempo che gli dedicherai gli
permetterà forse di risolvere una sua difficoltà. Nel secondo caso, il vanitoso, il centro di
interesse è ancora più evidente.
Ar. : Ok, è chiaro, anche il terzo caso. Quindi il problema degli altri è in primo luogo che sono
egocentrati!
An. : Esatto e tu sei costretto ad impiegare del tempo per aiutare gli altri nei loro obiettivi. Ma
abbiamo una vita sola non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno…
Ar. : Lascia perdere Guccini. Che male c’è ad essere altruisti? In fondo si tratta di aiutare
qualcuno o anche solo di concedere un po’ del proprio tempo per qualcosa che è importante
per un’altra persona.
An. : Mi ricorda la tua reazione quando parlavamo della puntualità. Tu dicevi che in fondo
capita a tutti di arrivare in ritardo e non c’era niente di male. Sbaglio?
Ar. : Sì, è vero. Temo come andrà a finire: mi convincerai anche stavolta che la mia percezione
era troppo semplicistica.
An. : Cerchiamo di spiegare meglio. Per una efficace gestione del tempo occorre pianificare i
propri obiettivi e cercare di raggiungerli il più rapidamente possibile. Il premio, per così dire,
non è solo il risultato raggiunto, ma anche il tempo residuo, che si rende disponibile e libero
per gli altri obiettivi, quelli personali. Mi riferisco ai propri interessi, alle persone che contano, in
sintesi alla propria vita. Ogni volta che decidiamo di aiutare gli altri a raggiungere i loro di
obiettivi, certamente facciamo un’azione encomiabile, ma rallentiamo il nostro percorso verso
la meta. In tutto questo non c’è niente di sbagliato quando siamo noi a sceglierlo: in fondo
quando decidiamo, in coscienza, di dedicare del tempo agli altri, stiamo perseguendo un
nostro obiettivo.
Ar. : Aspetta sono confusa. Insomma si deve prestare del tempo agli altri o no. Qual è la
differenza?
An. : La differenza sta in chi prende la decisione. Se tra i tuoi obiettivi c’è anche essere
benvoluto dagli altri e avere amici sul lavoro, se non ti preoccupa allungare i tuoi tempi di
lavoro, se ritieni importante, per poter lavorare al meglio, essere sempre disponibile per i tuoi
colleghi, allora puoi interrompere quello che fai e ascoltare le storie sentimentali dei tuoi
colleghi o i loro guai con il capo o con i clienti.
Ar. : Altrimenti?
An. : Altrimenti, occorre smarcarsi, e vedremo come. Secondo elemento: in nessuno dei tre casi
ti viene chiesto un appuntamento. Qualcuno si intromette nel tuo spazio e ti chiede immediata
attenzione. Tu non hai scelta, sei costretto a dire un sì oppure un no. O a trovare un’altra via
d’uscita. Sarebbe diverso se ti fosse chiesto: “quando hai un attimo avrei bisogno di parlarti”
oppure “quando decidi di fare una pausa andiamo a prendere un caffè insieme”.
Ar. : In effetti…
An. : Fai attenzione perché questo è un punto importante. Perché anche a noi può capitare di
far perdere del tempo agli altri, di esporre un problema, chiedere aiuto, aver voglia di distrarci o
rilassarci prendendo un caffè con un collega. In questi casi è sempre opportuno chiedere agli
altri di scegliere il tempo da riservarci, sempre che ne abbiano voglia. Saranno loro a inserire il
tempo per noi quando sarà più opportuno. In fondo se ho problemi con il capo o con un cliente,
o se ho voglia di raccontare la mia grande serata, posso aspettare che il mio interlocutore
scelga quando dedicarmi attenzione, no? Terzo elemento: tu per caso stavi facendo qualcosa?
Ar. : Scusa, stavo mandando un sms…
An. : Non tu, in questo momento. Intendevo dire: la persona che viene interrotta stava
lavorando, era impegnata, concentrata su una attività? Nel momento in cui viene interrotto dal
suo collega, l’attenzione viene distolta da ciò che stava facendo. Se decide di dare ascolto alla
richiesta poi dovrà ricominciare e questo crea una ulteriore perdita di tempo.
Ar. : E perché?
An. : Perché si interrompe un flusso, perché occorre del tempo per concentrarsi, perché la
nostra attenzione è sottoposta a cicli di alti e bassi e non si raggiunge il livello ottimale in modo
immediato. È come per un’automobile: se vogliamo viaggiare a 100 all’ora, occorre un po’ di
tempo per raggiungere quella velocità. E se ci fermiamo all’autogrill, dobbiamo rallentare,
parcheggiare, scendere dalla macchina e poi risalire, mettere in moto, accelerare e finalmente
raggiungere di nuovo la velocità voluta. Ogni volta che interrompiamo il nostro lavoro dobbiamo
mettere in conto anche questo.
Ar. : Lo sapevo mi hai di nuovo convinta.
An. : Aggiungo un quarto elemento. Questo genere di richieste, di attenzione intendo, ti mette in
una posizione difficile: se dici sì, magari controvoglia, rafforzi l’idea che la tua porta sia sempre
aperta e che del tuo tempo tutti possano disporre. Se dici di no passi per quello scorbutico,
poco socievole o disponibile.
Ar. : Comunque fai, sbagli… E cosa si fa allora?
An. : Si dicono dei no, si adottano strategie dilatorie, si programmano i momenti per gli altri, si
cerca di ricavare da quei momenti informazioni o spunti per il proprio lavoro, si usano per
stringere alleanze…
Ar. : Ah, allora c’è una via di uscita.
An. : Più di una. È importante però che la modalità sia scelta con accuratezza in funzione degli
obiettivi che si vogliono raggiungere e in funzione del ruolo che si ricopre. È certamente diverso
essere un manager rispetto ad essere un neoassunto. La prima soluzione, dire un “no, non ho
tempo”, è quella più drastica; i no ripetuti rafforzano l’idea di essere irraggiungibili e
determinano un giudizio su di noi che va attentamente gestito perché hai suoi pro e i suoi
contro.
Ar. : Immagino. Se dici sempre “no, non ho tempo” difficilmente ti farai degli amici!
An. : Certamente potrai lavorare con più tranquillità, ma potrebbe essere più difficile
collaborare con i colleghi, o trovare aiuto e sostegno in caso di necessità. Come ti dicevo le
scelte dipendono anche dal ruolo svolto e dal settore di lavoro. Se lavori in staff con altre
persone, un po’ di tempo agli altri dovrai dedicarlo per non creare situazioni di sfiducia nel
gruppo.
Ar. : Dicevi che si può anche adottare una strategia dilatoria. Cosa intendi?
An. : “Guarda in questo momento non posso ascoltarti, entro mezzora devo mandare via un
documento importante. Ti cerco più tardi.” Può essere vero e magari a volte lo è. Ma può
essere sufficiente per declinare con gentilezza un invito rimandandolo ad un momento che, si
spera non ci sarà mai.
Ar. : Non male come idea, il problema è se lo scocciatore torna alla carica!
An. : Lo scocciatore! E pensare che avevo fatto tanta attenzione finora a non classificarlo in
maniera così negativa. Hai ragione, in fondo, forse il mio pudore è dovuto al fatto che a tutti noi
capita, prima o poi, di essere degli scocciatori. Comunque se torna alla carica, saremo ancora
più cortesi, magari accampando la scusa di un’urgenza inaspettata e rimandando al giorno
dopo. L’importante è rendere difficile agli altri prendersi il nostro tempo, se non siamo noi a
volerlo.
Ar. : Dicevi che si possono programmare i tempi per gli altri.
An. : Certamente. Partiamo dall’osservazione che tutti noi, come ti dicevo, siamo sottoposti a
quella che tecnicamente si chiama curva dell’attenzione. Semplicemente ci sono momenti
della giornata in cui siamo più produttivi, e il nostro livello di concentrazione è soggetto a ciclici
alti e bassi. Oppure ci sono momenti in cui siamo oggettivamente meno impegnati, momenti di
sosta, in cui non dobbiamo rispondere a clienti, produrre documenti, scrivere progetti, eseguire
lavori. In tutti questi momenti il tempo che eventualmente perdiamo con chi ci chiede
attenzione ha un costo più basso. Per tornare alla precedente metafora dell’automobile, sono i
momenti in cui stiamo viaggiando non a cento all’ora ma a quaranta all’ora, o che siamo già
fermi all’autogrill. Sono tutti momenti ai quali rimandare quelli che tu chiami gli scocciatori.
Sono tempi che possiamo concedere. Ed è importante conoscere bene questi momenti.
Ar. : Questa soluzione mi piace di più. Mi incuriosisce un’altra delle possibilità che hai
prospettato: utilizzare questi momenti per ricavare informazioni o spunti di lavoro.
An. : Si tratta di volgere a proprio favore una criticità. In fondo una delle regole base che i
consulenti ripetono costantemente è trasformare gli eventi negativi in opportunità, le crisi in
occasione di sviluppo. Ascoltando i problemi di un nostro collega con il capo o con un cliente,
seguendo sempre i precedenti esempi, si possono ricavare notizie utili. In fondo anche noi
potremmo avere difficoltà con il capo o con un cliente e il tempo dedicato ad ascoltare le
difficoltà vissute dal nostro collega potrebbe essere un buon investimento per il futuro. Occorre
uno sforzo per valorizzare questi momenti e usarli con intelligenza.
Ar. : Mi sa di sfruttamento dei problemi altrui.
An. : Non hai mai l’idea che chi ti cerca per parlare e sfogarsi in fondo non ha bisogno proprio
di te, ma solo di un pubblico a cui rivolgersi?
Ar. : Forse per abitudine ho l’impressione che in questi casi si recitino delle parti. Il deluso, il
frustrato, la vittima, l’innocente o, in positivo, l’ambizioso, il vincente, il professionista, il
seduttore.
An. : Infine un’ultima strategia. Il tempo che gli altri ci chiedono non è del tutto perso se serve a
stringere alleanze che in futuro possono essere utili a raggiungere i propri obiettivi. Può
sembrare cinico, di nuovo, in realtà, come nell’esempio precedente, è una sorta di scambio; se
tu mi chiedi di investire del tempo su di te, devo cercare di avere un ritorno, immediato o
differito nel tempo. Ma è importante che porti un’utilità, che contribuisca ai miei obiettivi.
Ar. : Insomma gli scocciatori possono essere gestiti, in fondo.
An. : Certamente. C’è bisogno di un mix equilibrato mix fatto di secchi dinieghi, garbati rifiuti,
sapienti rimandi e qualche “sì” interessato. Ricordiamoci che il tempo è irripetibile e finito e
come tale deve avere un senso.