I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN

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I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN
LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO
FACOLTÀ DI
SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Corso di laurea quadriennale in
Scienze della Formazione primaria
I CONNETTIVI COME STRUMENTI
DI COESIONE TESTUALE
UN APPROCCIO LABORATORIALE
ALLA GRAMMATICA DEL TESTO
Relatore
Prof. Silvia Dal Negro
presentata da
Maria Cristina Curzi
Parole chiave: connettivi, linguistica testuale,
competenza comunicativa, riflessione grammaticale
Sessione invernale
Anno accademico 2012/2013
2
INDICE
INTRODUZIONE
pag.
5
CAPITOLO I
IL SIGNIFICATO CONDIVISO
pag. 13
I.1 La prospettiva cognitiva sul significato
pag. 13
I.2 La narrazione
pag. 16
I.3 La narrazione nel linguaggio infantile
pag. 18
I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio
pag. 20
I.5 la linguistica testuale
pag. 24
CAPITOLO II
COSTRUIRE LA COESIONE
pag. 29
II.1 C’era una volta un testo
pag. 29
II.2 Il testo coeso
pag. 32
II.3 Le ragioni della coesione
pag. 36
CAPITOLO III
CONNETTIVI:
UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA
pag. 41
III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale
pag. 41
III.2 I connettivi nei dizionari
pag. 48
III.3 I connettivi nelle grammatiche di
consultazione
pag. 53
III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso?
pag. 58
CAPITOLO IV
I CONNETTIVI NELLE STRATEGIE
DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE
pag. 62
IV.1 I connettivi nel testo infantile
pag. 62
IV.2 Connettivi e competenza testuale
pag. 66
3
IV.3 La comprensione del testo scritto
pag. 72
CAPITOLO V
ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE
pag. 78
V.1 Descrizione della prova svolta in classe
pag. 78
V.2 Criteri di scelta dei testi
pag. 81
V.3 Descrizione dei connettivi
pag. 85
V.4 Analisi dei risultati
pag. 89
V.5 Riflessioni conclusive sui risultati
pag. 92
CONCLUSIONI
pag. 102
BIBLIOGRAFIA
pag. 105
APPENDICE
pag. 111
4
INTRODUZIONE
Se si prendono in mano i testi scolastici per l’insegnamento
dell’italiano, la prima osservazione che si impone riguarda la
divisione netta tra la cosiddetta grammatica e l’antologia di testi. La
riflessione
sulla
lingua
si
articola
in
due
momenti
ritenuti
indispensabili, ma separati: un aspetto prescrittivo, riferito alle
strutture morfosintattiche, e un aspetto interpretativo, incentrato
sull’analisi di diversi generi letterari. Completamente diversi anche
gli strumenti di lavoro proposti agli alunni: nello studio della
grammatica si incontrano frasi avulse dal contesto, inventate
appositamente per esemplificare i concetti teorici esposti, mentre
l’approccio al testo si avvale del rapporto diretto con brani tratti
dalla letteratura per l’infanzia o dalla tradizione letteraria. La frase
da un lato e il testo dall’altro sembrano essere due elementi
linguistici separati ed oggetto di discipline diverse.
Per secoli l’oggetto di riferimento nello studio della lingua è stata la
frase, ossia un modello teorico di enunciato che esprime una forma
sintattica completa (Altieri Biagi, 1985). Il grammatico si occupava
di individuare la struttura interna delle parole (morfologia) e le
possibili combinazioni nella frase (sintassi). La valutazione della
correttezza linguistica dipendeva dall’appropriatezza delle strutture
morfosintattiche e dalle scelte lessicali in relazione ad un modello di
lingua definito a priori. Il riferimento teorico era una concezione
statica di lingua, in cui le parole sono classificate come oggetti
naturali. Le grammatiche tradizionali presentavano dunque una serie
di categorie e di possibili paradigmi, che venivano trasmessi agli
alunni attraverso un insegnamento di tipo normativo (De Mauro,
2009).
Nel Novecento gli studi sulla lingua sono stati notevolmente ampliati
da diverse discipline, quali la linguistica, la psicologia, la sociologia,
5
l’antropologia,
la
filosofia
del
linguaggio,
che
hanno
aperto
innumerevoli prospettive teoriche confluite poi in settori ben
delineati. Ogni diversa visuale ha imposto la consapevolezza
condivisa che la lingua non possa essere compresa appieno
limitando lo studio alle singole frasi, ma soltanto all’interno di una
più ampia riflessione sulla comunicazione.
Negli studi teorici hanno acquisito rilevanza gli elementi procedurali
che definiscono il funzionamento di una lingua e il rapporto tra la
lingua e il contesto. In particolare l’approccio descrittivo dei teorici
strutturalisti o funzionalisti ha focalizzato l’attenzione sulle regolarità
interne alla lingua, ricavabili da fatti osservati e generalizzati.
L’approccio costruttivista, invece, ha studiato i processi attraverso i
quali l’uomo inventa il significato della lingua all’interno di un
ambiente culturalmente determinato e attraverso relazioni sociali
significative. Le due concezioni non sono in conflitto tra loro, perché
entrambe sono fondate sull’analisi delle operazioni linguistiche, che
sostituiscono gli stati della grammatica tradizionale (Cambiaghi,
1997).
Il modello elaborato dai linguisti, dunque, cerca di spiegare la
produzione
linguistica
del
parlante
in
un
contesto
reale,
destrutturandola in una serie di livelli contenenti sistemi di regole.
L’apparato morfosintattico è soltanto uno dei livelli della lingua a cui
si affiancano le componenti fonologiche, grafemiche, lessicali,
testuali e pragmatiche. Per utilizzare la lingua in modo da agire sul
contesto, il parlante deve essere in grado di gestirne ogni livello,
padroneggiando abilità diverse. La capacità di agire in tal senso è
definita competenza linguistica (Balboni, 1994).
Il problema del rapporto tra la linguistica teorica e la didattica delle
lingue
diventa
centrale
nell’infuocato
dibattito
sull’educazione
linguistica degli anni ’70. De Mauro (1977) in particolare denunciava
la mancanza di testi scolastici ispirati ai principi della linguistica. La
didattica
avrebbe
dovuto
prendere
in
considerazione
l’ordine
6
gerarchico stabilito dagli studi teorici per ricostruire un nuovo
sistema di insegnamento basato su criteri funzionali. L’assenza di
tale prospettiva era attribuita dall’autore alla mancanza di una
grammatica teorica di riferimento che offrisse una descrizione
strutturale dell’italiano. Un’altra causa fondamentale era la scarsa
preparazione dei docenti di italiano nei campi della linguistica, della
glottologia e della semantica.
Gli anni ’80 videro un’intensa sperimentazione che portò allo
sviluppo di molteplici proposte didattiche ispirate ai nuovi sistemi
teorici. Per ricordarne almeno due tra quelle che hanno avuto una
vasta eco nei corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti,
si possono ricordare gli itinerari proposti da Maria Luisa Altieri Biagi
(1987) e Isabella Poggi (1989), ispirati il primo alla linguistica
funzionalista e il secondo alla grammatica razionale.
Tuttavia le ipotesi formulate in ambito teorico hanno avuto un
impatto limitato sull’insegnamento. Sobrero (1996) ha analizzato
alcune tra le grammatiche più adottate nelle scuole italiane,
arrivando ad una conclusione deludente. I testi hanno aggiunto alla
parte descrittiva che analizza la morfologia e la sintassi, numerose
nozioni di sociolinguistica e di pragmatica, ma l’impostazione
tradizionale mantiene il ruolo predominante e non si presta ad
essere integrata in un modello descrittivo organico. I testi si limitano
ad aggregare nuovi contenuti, in modo che gli insegnanti possano
selezionare gli argomenti in base alle loro preferenze, senza
proporre una scelta esplicita tra le diverse teorie.
Un risultato analogo emerge da una ricerca finalizzata a verificare
come la scuola concepisca la riflessione sulla lingua (Fiorentino et
al., 2009). L’indagine prende in esame sia l’opinione dei docenti,
attraverso un questionario, sia l’analisi di alcune grammatiche
scolastiche. Dei testi si afferma che, pur presentando alcuni concetti
tratti dalle più recenti teorie linguistiche, hanno mantenuto i modelli
tradizionali di analisi delle categorie grammaticali con notevoli
incongruenze. La grammatica è affrontata in modo astratto, senza
7
riferimenti ad un modello glottodidattico coerente. Le conoscenze
relative restano imprigionate in esercizi creati appositamente, ma
non sono trasferite ad altri contesti.
Anche se basate su ricerche limitate, le posizioni ora presentate
confermano che la grammatica nei testi scolastici è ancora intesa
come un insieme di norme da apprendere attraverso lo studio
mnemonico e l’esecuzione di esercizi meccanici appositamente
elaborati. Si preferisce mantenere una rigida distinzione tra l’analisi
delle forme morfologiche e sintattiche e la riflessione sulla lingua nel
suo complesso, pur riconoscendo gli apporti fondamentali dati dalla
linguistica in tal senso. Una tale impostazione presenta forti limiti,
tra i quali due sembrano estremamente negativi per il processo di
apprendimento.
In primo luogo si preferisce un procedimento induttivo dalla regola
all’applicazione, negando la valenza del ruolo attivo dell’alunno sia
per la costruzione di processi cognitivi di ristrutturazione delle
conoscenze sia per la creazione di una motivazione intrinseca. Il
modello normativo non lascia spazio alla formulazione di ipotesi, alla
sperimentazione e all’uso creativo, ponendosi al di fuori delle
indicazioni
didattiche
suggerite
dalla
ricerca
teorica
e
dalla
legislazione. A tal proposito, però, bisogna tener presente che la
progettazione di una didattica efficace non è delegata in nessun caso
al libro di testo, ma dipende essenzialmente dalla programmazione
del docente. Di conseguenza la diffusione di testi tradizionali non
dimostra necessariamente l’assenza di pratiche basate su un
approccio sperimentale.
Il secondo elemento di rischio insito nell’impostazione tradizionale
dipende dal ruolo prevalente dell’analisi morfologica e sintattica
nell’insegnamento della grammatica, che relega le altre dimensioni
della lingua ad un ruolo marginale, riducendole spesso ad un
insieme di nozioni a cui non sono collegate esercitazioni pratiche. La
riflessione grammaticale rischia di essere un momento a sé,
separato dall’acquisizione della competenza linguistica, quasi a
8
suggerire che non esista relazione tra la consapevolezza delle norme
linguistiche e l’acquisizione delle abilità di ricezione e produzione
della lingua.
La questione può essere affrontata da due prospettive diverse.
Innanzitutto ci si può chiedere se la competenza metalinguistica,
che deriva dalla conoscenza delle strutture grammaticali, migliori le
prestazioni linguistiche. La risposta non è incoraggiante: le ricerche
non sembrano dimostrare una ricaduta positiva dello studio della
grammatica formale sulle abilità linguistiche di base (ascoltare,
parlare, leggere e scrivere). Se tali conclusioni si rivelassero
definitive, la riflessione sulle strutture formali della lingua avrebbe
valore solo in quanto esercizio di capacità cognitive di osservazione
e astrazione (Lo Duca, 2004).
La stessa domanda può essere però ribaltata in una seconda
prospettiva: è necessaria la conoscenza dei fenomeni linguistici per
una comunicazione verbale o scritta efficace? Così formulato il
problema non ammette che un’unica risposta. La capacità di
comprendere o produrre messaggi implica la conoscenza dei
meccanismi attraverso cui la lingua esprime i significati, gli scopi, i
destinatari. Tra questi ogni aspetto (fonologico, morfosintattico,
lessicale, testuale, pragmatico) riveste un’importanza fondamentale
per la comprensione. Soltanto la conoscenza razionale delle diverse
modalità con cui la lingua può esprimere funzioni diverse permette
di interagire in un contesto reale (Colombo, 1984).
La necessità della riflessione linguistica risulta evidente proprio nelle
scelte imposte dalla comunicazione, anche le più semplici. Pertanto
la discussione sull’insegnamento della grammatica, ha gradualmente
introdotto nuovi temi relativi ai contenuti da privilegiare. Se
l’attenzione è concentrata solo sulle componenti morfosintattiche si
trascurano molti aspetti della lingua, altrettanto necessari. Inoltre
anche
le
caratteristiche
della
struttura
della
frase
risultano
sicuramente più comprensibili quando sono riferite a situazioni
comunicative reali. Per comprendere come le forme linguistiche
9
rispondano a precise esigenze comunicative, non è sufficiente uno
studio meccanico delle regole, ma occorre lavorare su enunciati
estratti da situazioni significative. Per tale ragione, la frase come
unico ambito di analisi, è uno spazio troppo ristretto, mentre il testo
(orale o scritto) garantisce la possibilità di esplorare la relazione tra
il significato ricercato e la forma scelta dal parlante.
Il testo infatti è un macroatto linguistico, in cui sono espressi atti di
composizione, atti di riferimento, atti di focalizzazione informativa
(Ferrari, 2009). Questi richiedono un complesso di abilità che
utilizzano le conoscenze sul sistema linguistico. Nella produzione e
nella comprensione si integrano dunque abilità procedurali e
conoscenze dichiarative, nella manifestazione di una competenza
altrimenti non valutabile. In conclusione, una didattica che vuole
sviluppare la competenza linguistica lavora necessariamente sui
testi, ponendosi l’obiettivo di utilizzare le conoscenze morfologiche,
sintattiche e lessicali in un compito di lettura o scrittura.
Mettere il testo al centro della riflessione linguistica permette di
costruire un processo didattico centrato sull’alunno e mediato
dall’insegnante.
Al
tradizionale
insegnamento
normativo
della
grammatica, che prevede la presentazione di una “regola”, seguita
da esercizi applicativi, si sostituisce un lavoro attivo su materiali
linguistici reali, attraverso i quali ricostruire i meccanismi di
funzionamento della lingua con un ragionamento induttivo (Brugè,
2000). L’approccio descritto risponde alle caratteristiche di una
didattica epistemologicamente fondata perché l’alunno si avvicina
alla disciplina, appropriandosi gradualmente non solo dei nuclei
concettuali fondamentali, ma anche del metodo scientifico che le è
proprio. Di conseguenza, l’interiorizzazione delle regole avviene
attraverso un processo di osservazione, di generalizzazione, di
raccolta dei dati e di ricerca di principi generali che possano essere
sottoposti a validazione.
10
Lo scopo di questo lavoro è quello di confrontare alcuni degli studi
più recenti sulla testualità con le grammatiche di consultazione, al
fine di ricavare un modello di interpretazione utile per spiegare le
carenze degli alunni nella competenza testuale1. Innanzitutto si
procede a presentare la definizione di testo nelle sue caratteristiche
fondamentali, con particolare attenzione alla coesione, ovvero il
modo in cui le diverse parti sono legate tra loro attraverso relazioni
di tipo grammaticali, perché questa proprietà rappresenta l’anello di
congiunzione tra la comprensione del significato complessivo e le
scelte linguistiche che la esprimono. Si procede poi alla definizione
di un argomento, i connettivi, che hanno la funzione di assicurare o
migliorare la coesione del testo, garantendo i rapporti logici e
sintattici tra le varie parti (Serianni, 2003), allo scopo di esaminare
come sia trattato negli studi linguistici e nelle grammatiche più
diffuse.
La scelta di studiare la coesione nasce dalla costatazione che la
produzione scritta degli alunni è particolarmente carente sotto
questo aspetto (Ellero, 1986; Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003;
Serianni, 2010). Anche le prove di comprensione a cui sono
sottoposti gli alunni nell’ambito del servizio nazionale di valutazione
per l’italiano e la matematica somministrate dall’Istituto Nazionale
per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di
formazione rilevano l’incapacità di riconoscere ed interpretare
adeguatamente i segnali coesivi nei testi (Bertocchi, 2010).
Allo scopo di condurre un’analisi dettagliata, si è scelto di focalizzare
l’attenzione sui connettivi, in quanto nella categoria rientrano
elementi
linguistici,
come
congiunzioni
e
avverbi,
che
sono
ampiamente trattati nella grammatica tradizionale, ma che, per
1
“Per competenza pragmatico-testuale relativa alla lettura si intende la capacità di ricostruire,
a partire dalla lettera del testo e da conoscenze ”enciclopediche”, l’insieme di significati che il
testo veicola, assieme al modo in cui essi sono veicolati: in altri termini, l’organizzazione
logico concettuale e formale del testo stesso, in rapporto comunque con il contesto”
(INVALSI, 2011: 5).
11
essere compresi, necessitano di essere esaminati in relazione alla
funzione svolta rispetto al testo e non solo all’interno della frase.
Dall’analisi teorica, si passa successivamente all’esame di una prova
proposta agli alunni di due classi dell’ultimo anno della scuola
primaria, nella quale è stata analizzata la capacità di riconoscere il
ruolo svolto dai connettivi nel testo. L’ipotesi da verificare è se la
presenza di un connettivo faciliti o meno il riconoscimento delle
relazioni tra le proposizioni. Sulla base di alcuni studi sulla
comprensione del testo (Kintsch e van Dijk, 1978), si parte dal
presupposto che la capacità di riconoscere i legami coesivi sia un
indice dell’adeguata comprensione della struttura complessiva in cui
sono articolati i diversi concetti espressi. Lo studio delle difficoltà
incontrate dai ragazzi aiuta, dunque, a comprendere meglio un
aspetto fondamentale della competenza testuale, ovvero la capacità
di cogliere la rete strutturale dei significati veicolati da un testo e i
meccanismi linguistici attraverso i quali la rete è stata intessuta.
L’osservazione delle competenze linguistiche dell’alunno, fondata su
rigorosi modelli teorici, permette di valutare criticamente le scelte
didattiche nell’insegnamento della lingua, con l’ottica di promuovere
un apprendimento attivo e consapevole.
12
CAPITOLO I
IL SIGNIFICATO CONDIVISO
I.1. La prospettiva cognitiva sul significato
La visione della lingua è stata modificata profondamente dagli studi
sulla comunicazione che hanno introdotto il concetto di “codice”,
come un sistema complesso di trasformazione delle informazioni
condiviso tra trasmittente e ricevente. Il codice è composto da
segni, in cui si combinano un elemento percepibile attraverso i sensi
(significante) e il suo aspetto intelligibile (significato). Tra i segni
assumono una rilevanza particolare nella storia umana i simboli,
ovvero segni dal significato arbitrario. La lingua è un codice
linguistico che seleziona un insieme limitato di simboli lessicali,
costituiti da componenti fonetiche e grammaticali. I suoni che
compongono le parole e le parole stesse hanno innumerevoli varianti
contestuali e situazionali, che possono essere riconosciute in modo
univoco dal decifratore soltanto grazie ai modelli della propria
comunità linguistica (Jakobson, 2012).
Il carattere duplice del segno ha rivoluzionato
la linguistica
imponendo di considerare il rapporto tra forma e significato ad ogni
livello, dal fonema al testo. Contemporaneamente è emerso appieno
come non sia possibile alcuna riflessione sul senso delle parole che
non tenga in considerazione il contesto in cui è emesso il messaggio.
Il linguaggio come sistema non può essere compreso se è
considerato un codice indipendente dalla comunicazione effettiva. La
definizione
dei processi di codificazione
e
decodificazione
ha
costretto i linguisti ad accettare il fatto che qualunque modello di
lingua che volesse spiegarne le costituenti strutturali, non poteva
prescindere dal trasmittente e dal ricevente e, conseguentemente,
dal contesto.
13
Il dibattito degli anni ’60 sull’introduzione del “senso” nell’analisi di
ogni componente della lingua si situa all’interno di una rivoluzione
che ha coinvolto nello stesso periodo tutte le scienze umanistiche. Il
cambiamento che si è verificato nella prospettiva linguistica non è
limitato a studi settoriali, ma è frutto di una convergenza negli studi
teorici di matrice cognitivista, che si sono allontanati dal modello di
elaborazione dell’informazione2. Secondo il nuovo approccio i dati
che l’uomo ricava dall’ambiente non possono essere intesi come
stimoli neutri, ma devono essere considerati dotati di significato. Il
punto cruciale dunque consiste nella comprensione dei processi
attraverso cui l’uomo attribuisce un senso all’esperienza.
Nel saggio La ricerca del significato, Bruner (1992) riassume alcune
delle posizioni che hanno dato un contributo importante alla
riflessione. Gli psicologi cognitivisti avevano abbandonato il concetto
di
pensiero
o
mente,
seguendo
i
principi
metodologici
del
positivismo, secondo il quale, le cause del comportamento umano
sono da ricercare esclusivamente nell’ambito del substrato biologico
dell’uomo.
Al
contrario
gli
stati
mentali,
ovvero
i
processi
intenzionali soggettivi come credere, desiderare, intendere, non
erano considerati come origine delle azioni individuali ed erano
conseguentemente
esclusi
da
qualunque
indagine
scientifica.
L’oggetto di studio della psicologia erano quindi i comportamenti e
non le spiegazioni che una persona poteva offrire per le proprie
azioni.
In realtà i gesti quotidiani sono interpretati comunemente alla luce
del significato che attribuiscono loro le persone coinvolte: un atto
giudicato involontario, ad esempio, non provoca le stesse reazioni di
un’offesa. Per determinare quale sia l’intenzione di chi agisce, ci si
2
La prima fase del cognitivismo, indicativamente tra gli anni cinquanta e sessanta, indaga i
processi cognitivi che trasformano i segnali provenienti dall’ambiente e inducono
comportamenti. L’interesse è centrato esclusivamente sul modo in cui l’informazione, intesa
come semplice input dall’esterno, viene elaborata all’interno della mente. Cfr Cicogna e
Occhionero (2009).
14
basa in larga parte sulle informazioni verbali che questi offre: se
qualcuno mi urta, ma si scusa, non interpreterò il suo gesto come
una spinta. In conclusione il rapporto tra azione e discorso è
considerato interpretabile nella vita quotidiana. Il principio funziona
nei due sensi: il significato dell’azione è interpretato in relazione alle
espressioni
verbali,
come
nell’esempio
precedente,
e
contemporaneamente il discorso assume un senso nel contesto delle
azioni in cui si colloca.
La
psicologia
tradizionale
occupandosi
esclusivamente
di
comportamenti e non di stati intenzionali non indaga sulla relazione
tra le azioni e il significato attribuito loro dagli individui. Ad
introdurre tale tema nella riflessione teorica hanno contribuito altre
discipline, in primis la filosofia del linguaggio. La teoria degli atti
linguistici ha affermato l’interdipendenza tra gli enunciati, il contesto
e gli stati psicologici del parlante (Searle, 2009). In sostanza, anche
le parole costituiscono un’azione, per cui non ha senso dividere la
forma verbale che assume un enunciato dall’intenzione che esprime.
Per comprendere qualunque enunciato è necessario interpretare lo
scopo con cui è stata emesso.
Bruner (1992), dunque, con un’operazione di sintesi su numerosi
contributi teorici, arriva alla conclusione che qualunque atto di
comprensione implichi un’interpretazione degli stati intenzionali. Se
l’azione dell’uomo ha dei vincoli oggettivi dati dalla sua natura
biologica,
essa
è
comunque
diretta
da
credenze,
desideri,
interpretazioni. Gli stati intenzionali non appartengono al patrimonio
biologico, bensì a quello culturale, sono cioè il prodotto di
un’interazione dell’individuo con una comunità sociale definita. La
cultura plasma la mente dell’uomo, fornendogli gli strumenti
interpretativi per la propria esperienza. I modelli di interpretazione
sono veicolati dai sistemi simbolici elaborati nella comunicazione,
nella spiegazione della realtà, nella vita sociale.
15
I.2
La narrazione
Le persone organizzano le loro conoscenze relative al mondo e alla
società attraverso costruzioni culturalmente determinate. Secondo
Bruner (1992), la spiegazione degli stati intenzionali è costruita in
forma narrativa. Le azioni umane sono interpretate con uno schema
che vede un soggetto agente, cioè dotato di uno scopo, in una
determinata situazione e in un preciso arco temporale.
La capacità interpretativa è una risorsa che la specie umana ha
sviluppato nel corso della sua evoluzione per riconoscere le credenze
e i desideri degli appartenenti alla specie. In ogni cultura esistono
dei ruoli ben definiti per ogni situazione e delle regole che guidano la
conversazione secondo condizioni di appropriatezza ed economia3.
Quando si verifica un’eccezione alla norma, si avverte l’esigenza di
spiegare
quanto
avvenuto,
cercando
una
ragione
per
il
comportamento anomalo, normalmente attraverso l’attribuzione di
uno
stato
intenzionale
(credenza,
desiderio,
bisogno)
al
protagonista. La spiegazione è significativa se è verosimile, ovvero
se
riesce
ad
inserire
l’elemento
estraneo
nel
contesto.
La
propensione dell’uomo a spiegare la diversità in modo congruente
con la morale e le istituzioni consente di mantenere la stabilità della
vita sociale.
La
funzione
della
narrazione
è
dunque
quella
di
rendere
comprensibile una deviazione rispetto ad un modello culturale
canonico. Anche la ricostruzione dell’esperienza personale segue lo
stesso schema culturalmente determinato, in cui l’individuo ordina
gli eventi in modo conforme alla rappresentazione canonica del
mondo sociale. Nel processo di memoria le informazioni non sono
immagazzinate
indiscriminatamente,
sono
invece
selezionate
seguendo strutture stabili, che forniscono un contesto interpretativo.
3
La trattazione di Bruner degli schemi culturali e linguistici in cui si inquadra il
comportamento umano si riferisce a Barker (1978) e Grice (1989)
16
La narrazione è un processo strutturato attraverso quattro proprietà
fondamentali:
1. mette in rilevo l’azione di esseri umani in situazioni che
cambiano (agentività);
2. è composta da una sequenza di eventi o stati mentali
(sequenzialità);
3. esprime il punto di vista del narratore (prospettiva);
4. stabilisce legami tra l’eccezionale e l’ordinario (canonicità).
Il rapporto tra la narrazione e la realtà è metaforico e non
referenziale. Il racconto è plausibile, non grazie alla relazione
speculare tra la trama e i fatti narrati, ma quando la sequenza dei
fatti e le relazioni tra gli eventi e i personaggi sono organizzati in
modo significativo.
Le caratteristiche individuate si esprimono attraverso un uso preciso
del linguaggio, ricco di “trasformazioni congiuntivizzanti”, come le
metafore, i traslati, i verbi dichiarativi, ovvero usi lessicali e
grammaticali che mettono in evidenza gli stati soggettivi, le
circostanti attenuanti, le possibilità alternative (Bruner, 1992: 63). Il
significato del discorso è dunque allusivo e passibile di giudizi di
valore, estremamente sensibili al contesto, perciò non è esprimibile
attraverso la logica formale del linguaggio scientifico. Mentre le
proposizioni logiche mirano ad offrire un’unica interpretazione
possibile, il linguaggio narrativo si caratterizza attraverso il ricorso
costante alla polisemia e al punto di vista soggettivo, obbligando
l’ascoltatore ad un’opera continua di interpretazione. Sono proprio
queste forme che, pur aumentando l’elusività e l’indeterminatezza
del racconto, permettono un attivo coinvolgimento di chi ascolta.
La narrazione presuppone dunque un contesto di riferimento ed un
destinatario, caratterizzandosi così come una struttura tipicamente
dialogica, anche nelle sue forme più rigide, quali ad esempio le
opere letterarie. Il significato è costruito nella relazione tra il
parlante e l’ascoltatore, che hanno come riferimento comune non la
realtà, ma l’interpretazione della realtà fornita dalla cultura di
17
appartenenza, e come strumento di comunicazione la lingua
condivisa. La comprensione del messaggio dipende dunque dalla
capacità di decifrare i riferimenti al contesto e le forme linguistiche
che esprimono l’intenzione del parlante.
I.3
La narrazione nel linguaggio infantile
La ricostruzione di Bruner (1992) conclude che la specie umana ha
sviluppato la capacità di ricostruire il significato delle azioni umane
attraverso
la
narrazione,
creando
schemi
di
interpretazione
trasmessi dalla cultura. L’acquisizione delle forme narrative è una
pratica sociale a cui ogni individuo è sottoposto fin dalla nascita. Il
bambino impara a riconoscere le strutture canoniche in cui si
esprime un’azione e spiegare le possibili deviazioni partecipando ad
un processo di negoziazione di significati condivisi. Affinché ciò
avvenga, egli deve avere accesso al sistema di simboli che la propria
cultura utilizza per esprimersi.
Bruner, individuando il ruolo cruciale della cultura nella costruzione
del significato, pone così l’attenzione sull’acquisizione dei codici
simbolici:
i simboli dipendono dall’esistenza di un “linguaggio” che contenga
un sistema di segni ordinato e governato da regole. Il significato
simbolico, dunque, dipende in qualche modo cruciale dalla capacità
umana di interiorizzare un tale linguaggio e di usare il suo sistema
di segni come un interpretante in questa relazione rappresentativa
(Bruner, 1992: 75).
I numerosi studi sull’acquisizione del linguaggio hanno evidenziato
tre nodi cruciali nel processo. Primo, il linguaggio è appreso
all’interno di una relazione tra il bambino e chi se ne prende cura, in
cui l’uso in situazione è molto più importante della semplice
esposizione alle parole. Secondo, alcune funzioni comunicative, tra
18
cui almeno gli atti di indicare, di qualificare, di fare delle richieste,
sono presenti molto prima della comparsa del linguaggio verbale.
Infine, proprio come conseguenza delle due caratteristiche esposte,
l’acquisizione della prima lingua dipende molto dal contesto, il che
significa che essa progredisce molto meglio quando il bambino già
afferra, in un modo per così dire prelinguistico, il significato
dell’argomento di cui si sta trattando o della situazione nella quale il
discorso si trova inserito. Tramite una valutazione del contesto,
sembra che il bambino sia meglio in grado di afferrare non solo il
lessico, ma anche gli aspetti grammaticali appropriati di una lingua
(Bruner, 1992: 77).
Anche il sistema grammaticale infatti esprime funzioni precise della
comunicazione, perciò tra le pratiche prelinguistiche e le regole
sintattiche è possibile stabilire una relazione, anche se non diretta,
dato che le norme sono arbitrarie.
Bruner ipotizza poi che l’acquisizione del linguaggio sia spinta dalla
motivazione a narrare. Le forme grammaticali sarebbero assimilate
dal bambino in un ordine di priorità determinato dall’esigenza di
costruire una narrazione efficace. Tale affermazione è in aperto
contrasto con molte teorie linguistiche che sostengono invece che
l’acquisizione
complesse.
proceda
A
dalle
sostegno
di
forma
più
semplici a
questa
ipotesi,
si
quelle
ritrovano
più
negli
esperimenti sul linguaggio infantile numerose prove della capacità di
cogliere le strutture narrative fin dalla nascita.
Innanzitutto, il bambino, fin dai suoi primi sguardi, focalizza la sua
attenzione principalmente sull’azione umana e i suoi risultati,
dimostrandosi sensibile alla caratteristica denominata “agentività” .
Un altro comportamento caratteristico è l’interesse verso l’insolito,
che compare sia come forma di attenzione nei neonati sia come
spinta al racconto nei bambini piccoli, per i quali gli eventi inusuali
inducono una maggiore produzione verbale. La narrazione allo
19
stesso
modo
stabilisce
legami
tra
l’ordinario
e
l’eccezionale
(canonicità).
Uno dei primi meccanismi grammaticali padroneggiati nell’infanzia è
l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto. Inoltre i bambini iniziano molto
presto a stabilire legami tra le diverse sequenze di un racconto per
ricostruire
l’ordine
tendenza
riflette
temporale
la
forma
e,
in
seguito,
strutturale
della
causale.
Questa
narrazione,
la
sequenzialità, attraverso cui personaggi, eventi e stati mentali sono
messi in relazione nella trama.
Infine nel linguaggio infantile compaiono nei primi soliloqui forme di
autoconsapevolezza, che dimostrano la capacità di distinguere tra le
proprie opinioni e i fatti osservati. La capacità di descrivere i propri
dubbi e le aspettative sul mondo e di accettare l’incertezza di alcune
situazioni dimostra l’esistenza di una prospettiva analoga a quella
del narratore esperto.
I bambini dunque hanno un ampio bagaglio che permette loro di
comprendere e raccontare storie, molto prima di acquisire la
capacità di gestire il pensiero logico. I discorsi degli adulti forniscono
loro i modelli di riferimento, che ben presto (già a partire dai tre
anni) i bambini rielaborano ed utilizzano non solo per raccontare,
ma anche per ottenere qualcosa, ingannare, adulare. Si dimostrano
cioè in grado di comprendere i sentimenti e le aspettative degli
interlocutori ed utilizzare la lingua nelle sue molteplici funzioni
comunicative.
I.4
La narrazione nell’acquisizione del linguaggio
L’ipotesi di Bruner (1992) fornisce un quadro generale sul complesso
rapporto
tra
comunicazione
e
cultura
nell’acquisizione
del
linguaggio. Se l’ipotesi dell’acquisizione delle forme grammaticali
determinata dalla struttura narrativa del discorso umano non si può
dare per certa, senza ulteriori indagini sperimentali, tuttavia è
20
assodato
che
la
narrazione
rappresenti
uno
dei
processi
fondamentali del linguaggio.
La produzione linguistica, sia orale che scritta, rientra nell’attività
più ampia del discorso, che è regolato da meccanismi specifici, quali
ad esempio l’inferenza e la conoscenza condivisa, che evitano la
ripetizione
di
ogni
dettaglio.
Il
parlante
dunque
considera
contemporaneamente il contenuto del racconto e le conoscenze
dell’interlocutore. Il parlante considera simultaneamente il tempo, il
luogo, la causalità degli eventi; il modo in cui viene presentata
l’informazione; le conoscenze pregresse condivise dagli interlocutori;
gli strumenti coesivi che forniscono informazioni sulle relazioni tra gli
eventi e tra i personaggi (Karmiloff, Karmiloff - Smith, 2002).
Una delle forme principali del discorso è la narrazione, che
costruisce sia una struttura a livello di argomento che una a livello
interenunciativo. La prima organizza il contenuto (topic) in modo
coerente, mentre la seconda seleziona gli strumenti linguistici per
collegare gli enunciati con un criterio gerarchico. Per costruire tali
strutture, il parlante ricorre a meccanismi sintattici che permettono
di collegare le informazioni nuove a quelle note o già dette,
rendendo
meccanismi
scorrevole
la
rappresenta
narrazione.
uno
dei
Acquisire
passaggi
più
tali
complessi
complessi
nel
processo di acquisizione del linguaggio, che viene affrontato a
partire dai sei, sette anni.
I bambini sono in grado già precedentemente di generare racconti
basati su un sequenza coerente di eventi, in cui la coesione è
mantenuta grazie alla ripetizione o ai riferimenti al contesto
extralinguistico, attraverso un uso deittico dei pronomi. In un
successivo stadio dello sviluppo si rendono conto che la storia ha
bisogno di una struttura intralinguistica, per riferirsi a cose o eventi
già menzionati precedentemente. Tali relazioni sono istaurate
principalmente attraverso i pronomi, i connettivi temporali e causali
e l’elissi. Nello stadio finale l’uso dei diversi strumenti di coesione
21
permette di riferirsi a tutti i personaggi e di distinguere i loro ruoli
nella storia.
La ricerca ha sviluppato modelli sperimentali per valutare non la
produzione, ma la competenza linguistica del bambino ad un dato
momento del suo sviluppo. L’attenzione è puntata principalmente sui
processi di comprensione, perché questi sono più facilmente
indagabili
in
laboratorio
attraverso
prassi
verificabili.
Queste
sperimentazioni sostengono l’idea secondo cui i bambini utilizzano la
loro conoscenza del mondo, cioè la loro conoscenza non linguistica,
per migliorare la loro abilità linguistica. Ad esempio il bambino può
commettere errori di interpretazione nella frase “il bambino è
baciato dalla ragazza”, in cui l’agente non coincide con il soggetto.
In questo caso l’unico criterio possibile per attribuire il ruolo di
agente ad uno dei due elementi nominali è esclusivamente di tipo
morfosintattico, implica cioè il riconoscimento della struttura passiva
del verbo, forma sintatticamente complessa da padroneggiare.
Tuttavia l’enunciato “la pianta è innaffiata dalla ragazza” non
presenta difficoltà, dato che per riconoscere l’agente, il bambino si
affida alla propria esperienza, in cui sono sempre le persone che
innaffiano le piante e mai viceversa.
Per interpretare il significato, oltre a ricorrere al proprio bagaglio di
conoscenze, i bambini sono capaci di utilizzare le informazioni
fornite da altri elementi presenti nel contesto linguistico, definito
anche cotesto. La frase “l’anatroccolo è morsicato dalla scimmia” è
interpretata con più facilità, se è seguita o preceduta da un’altra
frase (“povero anatroccolo!”), coerente con la prima (Harris,
Coltheart, 1991).
Nel primo caso preso in considerazione, dunque, l’ascoltatore deve
risolvere
un
problema
puramente
linguistico,
ovvero
deve
riconoscere gli strumenti morfosintattici attraverso cui la lingua
esprime una relazione tra due elementi. I risultati della ricerca di
Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) dimostrano che i bambini sono
capaci anche a tre anni di scoprire le coerenze interne nel contesto
22
linguistico, anche quando tali modelli non coincidono con il contesto
non linguistico. Questa capacità permette al bambino di capire in
che modo il modello linguistico esprima gli avvenimenti non
linguistici, ad esempio l’esistenza di segnali che esprimono il plurale
in modo diverso nei verbi e nei sostantivi. Esiste comunque una
notevole differenza nell’uso dei sistemi grammaticali del linguaggio e
nella competenza linguistica. I bambini attraversano uno stadio di
comprensione parziale che comporta strategie specifiche, prima di
arrivare ad una comprensione completa.
La competenza linguistica, dunque, comprende l’abilità di decifrare
le componenti grammaticali. A questa si affianca la capacità di
ricorrere alla propria enciclopedia, ovvero alle conoscenze relative
all’oggetto in questione. Le informazioni non devono essere soltanto
recuperate dalla memoria, ma devono anche essere collegate al
discorso. Esistono poi dei riferimenti al contesto extralinguistico che
devono essere decifrati esercitando la competenza pragmatica4. In
tal caso la comprensione richiede anche l’interpretazione delle
intenzioni del parlante.
All’interno del testo sono presenti numerose relazioni tra le parole o
tra le frasi, che contribuiscono a determinare il significato. L’esempio
riportato in precedenza presentava due frasi distinte: L’anatroccolo
è stato morso dalla scimmia. Povero anatroccolo! Lo stesso testo
potrebbe
essere
riscritto
evitando
la
ripetizione
del
nome
anatroccolo: L’anatroccolo è stato morso dalla scimmia. Povero lui!
La sostituzione del nome con il pronome istituisce un legame di tipo
anaforico che richiede un’interpretazione dell’ascoltatore. Può essere
istituita anche una relazione tra frasi o parti più ampie del testo
attraverso l’uso di congiunzioni, avverbi e locuzioni anaforiche, che
allo stesso modo influisce sulla comprensione.
Tutte le operazioni descritte permettono di ricostruire il significato
del messaggio ed individuare con precisione il suo referente. Come
4
La competenza pragmatica è la capacità di esprimere e comprendere i significati in relazione
agli aspetti contestuali (Cicogna e Occhionero, 2009).
23
risulta
evidente
dall’esperimento
illustrato
sopra,
l’ascoltatore
esercita contemporaneamente le diverse abilità che formano la
competenza linguistica.
L’acquisizione del linguaggio dunque deve essere considerata in una
prospettiva sistemica molto ampia in cui interagiscono diverse abilità
interrelate tra loro. Ognuna di tali abilità è a sua volta costituita da
un insieme di processi interdipendenti. La comprensione esaminata
nel paragrafo precedente è uno di tali processi che richiede una
serie di operazioni di memoria, di interpretazione, di collegamento.
L’attività richiede di cogliere il contesto situazionale, in particolare in
relazione all’argomento e all’intenzione dell’interlocutore (Balboni,
1994).
Sapere una lingua dunque è soltanto un aspetto della competenza
comunicativa, in cui si integrano la capacità di padroneggiare le
abilità linguistiche, la capacità di usare la lingua come strumento di
azione in un dato contesto, la capacità di usare le grammatiche
linguistiche e di integrarle con altri linguaggi. Ognuna di queste
dimensioni si realizza soltanto in interazione con le altre5.
1.5
La linguistica testuale
Qualunque atto di produzione e comprensione linguistica richiede
processi cognitivi elaborati di decifrazione delle informazioni e di
interpretazione delle referenze contestuali. Tra questi processi
riveste un’importanza determinante la narrazione, che organizza in
una
struttura
sovraordinata
gli
eventi
attraverso
meccanismi
linguistici determinati. L’esito dell’attività di raccontare è il testo (o
discorso), in cui le singole frasi si combinano per costruire un
significato condivisibile tra gli interlocutori.
5
Con competenza comunicativa si intende la capacita di saper fare lingua (abilità), saper fare
con la lingua (funzioni), sapere la lingua (grammatiche). La competenza linguistica è l’ultima
delle tre dimensioni descritte che gestisce i sistemi fonologici, morfosintattici, lessicali, testuali
della lingua (Balboni, 1994).
24
La differenza tra la frase e il testo è determinata dalla rete di
relazioni istaurata tra gli elementi del discorso, tra tali elementi e i
loro referenti oggettuali, tra i referenti e il contesto. Il senso del
testo non può essere ricostruito senza prendere in considerazione
tutte
le
dimensioni
coinvolte
nella
comunicazione:
mittente,
destinatario, messaggio, codice, canale e contesto6.
Il significato è veicolato attraverso l’interpretazione di ognuna delle
dimensioni enunciate e si concretizza nelle scelte linguistiche
operate dal codice prescelto. Seguendo le premesse enunciate
finora, si deve ricercare una definizione di testo capace di accogliere
la complessità dell’atto linguistico che ne è all’origine. Così è
presentata nell’introduzione alla linguistica di Altieri Biagi:
la definizione di testo indica un complesso di elementi verbali
(semantici, sintattici, lessicali, morfofonemici, metrici, ritmici) che si
comporta come un tutto unico e che si determina in base a certi
criteri, la maggior parte dei quali extra-linguistici (Altieri Biagi,
1985: 292).
Lo studio dei criteri che costituiscono il testo è stato affrontato da un
ramo della linguistica detto testuale, secondo cui l’analisi della frase
non poteva spiegare le complesse interrelazioni tra gli elementi, in
particolare quelle con valore semantico. Le categorie morfologiche
tradizionali risultano insufficienti per spiegare i rapporti tra i diversi
elementi, in particolare tra enunciati diversi, che garantiscono
l’unitarietà del discorso.
Il testo non è una semplice sequenza di enunciati, ma ha una
propria struttura unitaria, che richiede all’ascoltatore di riconoscere
le relazioni che si instaurano superando i limiti della frase. Tra questi
fenomeni,
assume
un
valore
fondamentale
il
concetto
di
6
I fattori costitutivi del processo linguistico sono elencati seguendo l’enunciazione di
Jakobson, che a sua volta si riferisce al modello di Sapir (Jakobson, 2012).
25
coreferenza, ovvero il fatto che più elementi linguistici denotino la
stessa entità.
Ogni entità o evento che entra a far parte del discorso in atto e ne
diventa oggetto è indicato come referente testuale. I referenti
possono essere identificati grazie a fattori di natura diversi, in
particolare grazie a
loro specifiche proprietà semantiche (ad
esempio, inerenti ai nomi comuni che identificano una classe di
oggetti come cane) o a riferimenti pragmatici alle conoscenze
dell’ascoltatore
(il
mio
cane).
Le
conoscenze
condivise
dagli
interlocutori possono formarsi e accrescersi all’interno del testo: un
referente testuale diventa così identificabile dopo che è entrato a far
parte dell’universo del discorso in atto (- Ieri un cane mi ha morso.Che
fine
ha
fatto
il
cane?).
Affinché
il
ricevente
interpreti
correttamente un messaggio è necessario che egli sappia se il
referente di cui si sta parlando è identificabile e se è già apparso nel
testo (Andorno, 2003).
Ogni testo istaura una complessa rete di relazioni attraverso la
coreferenza, ma anche grazie a collegamenti extralinguistici o a
legami logici tra i diversi enunciati, tra i quali ad esempio tutte le
connessioni interfrastiche, come quindi o perciò, che richiedono il
riferimento ad un enunciato precedente. La comprensione del
messaggio
richiede
dunque
il
riconoscimento
del
referente
attraverso la decodificazione delle conoscenze implicite, dei rapporti
con il contesto, della relazione tra gli interlocutori, dei riferimenti
intertestuali.
La
descrizione
delle
forme
linguistiche
che
caratterizzano ognuna di queste dimensioni richiede una grammatica
che renda ragione dei principi che regolano la comunicazione. La
grammatica testuale si pone dunque ad un livello superiore alla
morfosintassi, perché descrive la capacità di un parlante
di
selezionare le opzioni linguistiche appropriate di un messaggio e la
capacità richiesta a un ascoltatore per riconoscerne il valore.
Affinché questo avvenga, considera come suo dominio il testo e non
26
l’enunciato e prende in esame anche i fenomeni che non sono
spiegati dalla sintassi classica (Conte, 1977).
La linguistica testuale considera dunque il testo come prodotto di un
atto comunicativo, analizzando le scelte linguistiche imposte dalla
situazione.
Le
strutture
manifeste
sono
costruite
mediante
operazioni di selezione e decisione condizionate dall’interazione
comunicativa. Il senso complessivo è compreso solo considerando le
connessioni fra gli avvenimenti comunicativi.
De Beaugrande e Dressler (1984), in uno dei testi classici della
linguistica testuale, hanno riassunto i principi che definiscono il
valore comunicativo di un testo. I primi due, coesione e coerenza, si
riferiscono direttamente alla struttura del testo, all’interno della
quale
i
diversi
elementi
sono
collegati
attraverso
relazioni
grammaticali e semantiche. Il principio della coesione descrive le
dipendenze grammaticali che legano le parole tra loro al livello della
superficie. La coerenza invece definisce l’organizzazione dei concetti
e delle relazioni tra questi.
Altre due caratteristiche del testo, intenzionalità e accettabilità,
dipendono strettamente dal rapporto istaurato tra emittente e
destinatario. La prima esprime la capacità del parlante di produrre
un messaggio adeguato ai propri scopi comunicativi; la seconda
descrive la disponibilità dell’ascoltatore a riconoscere l’esistenza di
un senso, collaborando attivamente all’interpretazione attraverso
l’inferenza
delle
dell’informatività
informazioni
implica
un
sottaciute.
riferimento
Anche
alle
il
criterio
conoscenze
del
ricevente. L’informatività è la distribuzione di informazioni nuove e
note. Il testo per essere interessante deve presentare elementi
inattesi,
ma
contemporaneamente
deve
fornire
gli
elementi
necessari alla comprensione.
Infine, situazionalità e intertestualità descrivono il rapporto tra testo
e contesto. Il sesto criterio riguarda i fattori che rendono un testo
rilevante e congruente per una situazione data. L’intertestualità è la
27
condizione per cui la corretta interpretazione del testo dipende dalla
conoscenza di altri testi correlati.
I criteri sono tutti relazionali perché considerano le connessioni tra
le occorrenze nel testo o nei testi. Così i concetti di coerenza e
coesione, pur essendo condizioni indispensabili, sono utili nell’esame
dei testi solo se sono analizzati tenendo presenti le relazioni fra gli
avvenimenti comunicativi.
Linguistica
e
psicologia
concordano
nel
sostenere
il
ruolo
fondamentale del discorso nel linguaggio. Sia analizzando i processi
cognitivi alla base della selezione delle scelte linguistiche, sia
analizzando il testo come prodotto di tali operazioni si evince la
struttura unitaria del discorso. Tale struttura risulta comprensibile
solo in relazione alla comunicazione in cui è inserita, con tutte le
dimensioni implicate.
Le ricerche psicologiche sull’acquisizione del linguaggio dimostrano
come non sia possibile esaminare la competenza linguistica in modo
indipendente da quella comunicativa. La lingua è un codice culturale
che si apprende solo all’interno di una relazione interpersonale. Il
significato di ogni messaggio così come quello dei simboli usati per
esprimerlo è costruito
attraverso una mediazione culturale tra
individui e tra l’individuo e la società.
La linguistica testuale ripropone le stesse conclusioni definendo i
principi generali dei processi di comprensione e produzione dei testi.
L’atto di comunicazione quale specifica forma di interazione sociale
diviene l’explicandum della linguistica. La competenza che è la base
empirica della teoria del testo è non più la competenza testuale, ma
la competenza comunicativa (ossia la capacità del parlante di
impiegare
adeguatamente
il
linguaggio
nelle
varie
situazioni)
(Conte, 1977:29).
28
CAPITOLO II
COSTRUIRE LA COESIONE
II.1 C’era una volta un testo
“C’ERA UNA VOLTA… una principessa molto bella che era triste
perché era rinchiusa nella torre e voleva andarsene perché c’era un
drago e decise così di rimanere affaccata alla finestra così qualcuno la
vedesse e UN GIORNO… un principe che venne a sapere questa storia
e decise di liberarla un giorno partì e andò da una fata sua amica che
gli da una polvere per renderlo invisibile dopo giorni arrivò alla torre e
imediatamente si mise la polvere e divento invisibile colpì il drago e
salì sulla torre e liberò la principessa FU COSÌ CHE…
ritornò al
castello e così sposo la principessa e contenti regnarono insieme”
(Ambra, 8 anni).
In una classe di terza elementare è stato chiesto di inventare una
fiaba e, per facilitare il compito, sono state suggerite alcune
espressioni da inserire liberamente (c’era una volta, un giorno, fu
così che). Gli alunni hanno dovuto comporre un testo scritto,
fissando sul foglio bianco la struttura dei racconti tramandati
oralmente per secoli nella tradizione di innumerevoli culture e nei
dormiveglia di milioni di bambini.
La fiaba riportata sopra è il compito svolto in classe da un’alunna. Il
testo si presenta come un unico lunghissimo periodo, in cui le frasi
sono legate da una sequenza di e o introdotte da così e perché. Se
si separano le singole frasi, si ottiene una sequenza lineare di fatti e
si osserva che gli eventi sono narrati seguendo l’ordine cronologico
in cui sono avvenuti. Inoltre il testo può essere diviso in tre
sequenze, segnalate opportunamente: l’inizio della fiaba, indicato
dalla formula canonica c’era una volta, racconta la situazione
iniziale; la parte centrale, introdotta da un giorno, narra la
29
risoluzione della vicenda a opera del principe; l’ultima frase, che
inizia con fu così che, spiega la conclusione felice della storia. Anche
i personaggi, l’oggetto magico utilizzato, l’aiutante e l’antagonista
appartengono al repertorio classico delle fiabe. La bambina dimostra
di avere ben chiara la struttura del genere letterario in questione e
di saper organizzare conseguentemente la narrazione.
Nei termini della linguistica testuale, il testo è coerente, ovvero è
dotato di un significato intellegibile sul piano semantico (Infanti e
Martari, 2005). Le frasi, pur nella loro indeterminatezza, esprimono
la ricerca di unità attorno a un tema e di una progressione logicotemporale negli eventi. La piccola autrice sembra riconoscere
l’unitarietà come una caratteristica imprescindibile del testo e tenta
di costruirla mettendo in ordine le frasi e agganciandole tra loro
attraverso la congiunzione e. La debolezza strutturale nel brano
riguarda un’altra delle proprietà costitutive del testo, la coesione,
che garantisce l’unitarietà attraverso il sistema di collegamenti
linguistici istituiti tra le frasi a livello
morfologico, lessicale,
sintattico, interpuntivo (Ferrari, 2009). È possibile analizzare la
coesione in ognuno di questi livelli, per giungere ad identificare gli
elementi problematici.
Nel brano in questione si rileva una sostanziale correttezza nella
morfologia, in particolare le forme verbali esprimono correttamente
sia la collocazione temporale degli eventi narrati in un passato
remoto, sia la scansione temporale interna (espressa nella scelta tra
il passato remoto e l’imperfetto), finanche la valutazione della
probabilità degli eventi (uso del congiuntivo). Inoltre ogni frase è
costruita attorno ad un referente ben individuato (la principessa
nelle prime proposizioni, il principe nelle seguenti) con un giusto
utilizzo
della
concordanza
e
dei
pronomi.
Nell’ambito
della
costruzione sintattica la coesione è espressa attraverso l’accordo sul
verbo e nell’uso di alcune subordinate. A questo livello le scelte
lessicali sono corrette sia nelle frasi relative (introdotte dal pronome
che) che nelle causali (introdotte dalla congiunzione perché). È
30
adeguata anche la consecutiva (così qualcuno la vedesse), pur con
una locuzione avverbiale imprecisa (così invece di così che).
Nonostante le considerazioni precedenti è evidente la traballante
impalcatura su cui è stato costruito il brano in esame: manca
completamente l’interpunzione e la connessione tra le diverse frasi è
affidata esclusivamente alla ripetizione ad libitum della congiunzione
e. Il deficit si presenta dunque non al livello della frase, ma nelle
relazioni tra frasi sintatticamente autonome e nella costruzione di
periodi complessi. Secondo Ferrari (2010), le proprietà coesive di un
testo si manifestano principalmente proprio nei legami tra frasi, che
devono rispondere sia a principi grammaticali, perché le singole frasi
sono soggette a restrizioni dettate da regole sintattiche (ad esempio
l’uso del congiuntivo con determinate congiunzioni), sia a principi
testuali. Infatti è la struttura complessiva del testo che determina la
scelta delle congiunzioni e degli avverbi che collegano porzioni di
testo e la distribuzione delle subordinate. Si può concludere quindi
che il brano in esame, pur rispettando le regole morfosintattiche
all’interno delle singole frasi, non risponde in modo adeguato ai
principi di organizzazione testuale.
Per definire le carenze della fiaba inventata dalla bambina, abbiamo
svolto un’analisi di tipo testuale, con riferimento alla complessa
definizione di testo elaborata nell’ambito della moderna linguistica,
in particolare per le proprietà di coerenza e coesione. Limitando la
riflessione alle categorie descritte dalla grammatica tradizionale, le
conclusioni non sarebbero state altrettanto chiare: esaminando
ortografia, punteggiatura, morfologia e sintassi, si riconoscono
alcuni errori o imprecisioni in questi ambiti, che tuttavia non
spiegano l’insufficienza del testo nel suo complesso.
Molto spesso, correggendo i testi scritti, gli insegnanti segnalano in
modo generico l’inadeguatezza della struttura, ma senza motivare le
correzioni operate, se non con vaghe indicazioni sullo stile. Il
riferimento ad un modello teorico, come quello offerto dalla
linguistica testuale, permette al contrario di considerare l’efficacia
31
comunicativa del testo, secondo categorie ben individuate, per le
quali è possibile individuare alcuni criteri di riferimento (Lo Duca,
2003). Nel caso in esame la coesione del testo è stata valutata
attraverso la presenza di vari dispositivi quali l’accordo morfologico,
la coreferenza, la giunzione. Per esaminare questi aspetti si
considerano le interconnessioni linguistiche presenti tra le frasi. In
alcuni casi, sono espresse attraverso i pronomi o con rapporti di
subordinazione tra proposizioni, categorie ampiamente studiate nella
grammatica tradizionale. Altre volte, invece, è necessario prendere
in
esame
fenomeni
linguistici
che
escono
dall’ambito
della
morfosintassi, come ad esempio l’ellissi, o elementi di congiunzione
difficilmente classificabili, ad esempio malgrado ciò. Per questo
motivo, è stato introdotta la categoria di “connettivo”, ovvero il
dispositivo che segnala relazioni tra avvenimenti e situazioni (De
Beaugrande e Dressler, 1984), nella quale sono raggruppati avverbi,
congiunzioni e locuzioni di diverso tipo morfologico e lessicale, ma
con una funzione comune.
L’utilizzo degli strumenti descritti presuppone un approccio al testo
in
cui
si
esercitano
contemporaneamente
la
competenza
grammaticale e la competenza comunicativa. La questione che si
pone ora è se il modello di riferimento per l’interpretazione del testo
elaborato dalla linguistica testuale sia utile nell’insegnamento della
lingua.
II.2 Il testo coeso
L’esempio portato nel paragrafo precedente ha messo in luce come
l’analisi testuale non possa prescindere dall’analisi grammaticale. I
due aspetti non si differenziano infatti per il livello di lingua, ma per
l’ambito su cui operano, la frase o il testo. L’organizzazione del testo
impone scelte ulteriori rispetto a quelle grammaticali affinché la
struttura risponda ad una funzione comunicativa. De Beugrande e
32
Dressler (1984), operando una sintesi sui primi studi di linguistica
testuale, hanno costruito un modello di analisi del processo
attraverso cui si costruisce un testo, indicando con precisione i
diversi meccanismi linguistici in cui si esplicano i principi testuali. Si
tratta in sostanza di un primo tentativo di costruire una grammatica
testuale,
che
è
stato
ampiamente
ripreso
nella
letteratura
successiva (Andorno, 2003).
La riflessione, in seguito, si è estesa anche alla didattica della
lingua. La sfida di affrontare il testo da un nuovo punto di vista è
stata raccolta in prima istanza in quegli ambienti in cui era già in
corso un dibattito sul rinnovamento dell’educazione linguistica,
stimolato dall’istituzione della scuola media unica7. Una prima
prospettiva sugli interventi teorico-applicativi ispirati alla linguistica
testuale è stata offerta dal GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio
nel Campo dell’Educazione Linguistica), un’associazione di docenti
nata in stretto rapporto con la Società Linguistica Italiana8. I
ricercatori sostennero con forza la necessità di porre il testo al
centro delle pratiche didattiche, sviluppando negli alunni la capacità
di riconoscere i diversi tipi di testo, di collocarlo nel contesto più
ampio della comunicazione, di destrutturarlo nei suoi elementi
fondamentali.
Secondo i protagonisti di quella fase storica, la ricerca ebbe un
impatto positivo sulla successiva rielaborazione dei programmi
scolastici, in cui è possibile rintracciare alcune delle istanze portate
avanti dalla nuova educazione linguistica (Lo Duca, 2003). Nelle
Indicazioni per il curricolo si trovano le seguenti affermazioni:
La frequentazione assidua di testi di diverso genere permetterà
all’alunno di individuare i modelli che ne sono alla base e di assumerli
come riferimento nelle proprie produzioni comunicative. Ogni tipo
7
L. 1859/1962
Nella collana di Quaderni curati dal GISCEL due in particolare sono stati dedicati
interamente al tema: Cargnel, Colmelet, Deon (1986); Altieri Biagi (1984)
8
33
testuale sarà appreso come una forma comunicativa storicamente
determinata dalle convenzioni, dalle tradizioni culturali, letterarie e
linguistiche, quindi variabile nel tempo. […]
La riflessione sulla lingua partirà dall’osservazione degli usi linguistici
per
giungere
a
generalizzazioni
astratte.
Essa
contribuirà
ad
apprendere a riformulare frasi e testi e a una maggiore duttilità nel
capire e produrre enunciati e testi (MPI, 2007: 51).
Il testo programmatico riconosce la complessità dei rapporti che si
instaura
tra
linguistiche
comprendere
abilità
e
di
produzione
competenze
un
testo
è
e
recezione,
comunicative.
necessario
Per
conoscere
competenze
produrre
la
o
situazione
comunicativa in cui ci si colloca ed adottare gli strumenti linguistici
ad essa adeguati. Si fornisce inoltre una precisa indicazione di
metodo per l’insegnamento della lingua e della grammatica (definita
con il termine politically correct, “riflessione sulla lingua”): si deve
costruire con gli alunni un percorso di tipo deduttivo basato
sull’osservazione dei fenomeni linguistici alla ricerca delle regolarità
del sistema linguistico.
L’importanza di un lavoro diretto sui testi è dunque riconosciuta da
due punti di vista: sia come fondamento teorico sia come approccio
metodologico.
fondamentale
L’apporto
anche
fornito
nella
prassi
dagli
studi
didattica
teorici
risulta
quotidiana:
alla
professionalità dell’insegnante spetta il compito di declinare gli
obiettivi di apprendimento generali in obiettivi didattici specifici e di
scegliere i mezzi più adatti per perseguirli. L’altro punto di appoggio
su cui fondare la programmazione è la conoscenza dell’alunno reale
con cui interagisce quotidianamente e di cui deve considerare i
bisogni educativi più urgenti.
Si muove in questa direzione un’indagine svolta dall’Iprase del
Trentino (2011) sulle competenze di scrittura degli studenti. Il
progetto La scrittura degli adolescenti e la didattica della scrittura
cerca di riempire una lacuna nella letteratura scientifica, rilevando la
34
mancanza di dati significativi sia sul livello di competenza in scrittura
sia sulle pratiche didattiche di insegnamento in questo ambito. Lo
studio ha coinvolto studenti quindicenni delle scuole trentine di ogni
ordine, dei quali ha valutato le abilità nella redazione di un testo di
sintesi, realizzato a partire da due testi diversi sullo stesso
argomento, e di un testo argomentativo.
Le prove elaborate dagli studenti, secondo i ricercatori, non sono
vere unità testuali, in cui i concetti sono correlati tra loro ed
organizzati coerentemente rispetto ad un quadro unitario, ma
piuttosto frammenti accostati senza nessi logici. Il passaggio dalla
frase al testo, inteso come insieme organico, rappresenta un
momento problematico nella redazione.
Le
conclusioni
della
ricerca
evidenziano
una
difficoltà
nella
costruzione sintattica e nell’organizzazione delle diverse parti del
testo, comprovata dall’analisi di alcuni parametri oggettivi9. In
particolare risulta carente l’integrazione delle informazioni, ovvero la
capacità
di
connettere
informazioni
ricavate
dalle
fonti,
sintetizzandole in un unico concetto, attraverso l’uso di nessi
grammaticali o testuali. Altri risultati non soddisfacenti emergono
nella coesione (intesa come il modo in cui i vari periodi sono
collegati tra loro) e nella punteggiatura, da cui si deduce la difficoltà
di attribuire il corretto valore ai connettivi e alle congiunzioni.
Gli autori individuano quindi nel concetto stesso di testo uno dei
nodi problematici dell’apprendimento e suggeriscono di focalizzare la
didattica
della
scrittura
sulla
pianificazione
e
l’organizzazione
testuale. L’unitarietà del testo deve essere perseguita attraverso
una riflessione sul principio di coesione, in particolare sui nessi
sintattici e semantici tra le parole, tra cui si deve riconoscere il
valore di quelle che rivestono la peculiare funzione di connettivi. Per
9
In entrambe le prove sono state considerate la lunghezza, l’organizzazione, la coesione, la
punteggiatura, l’ortografia, il lessico. Per la sintesi sono state valutate informazione,
informatività e integrazione; per il testo argomentativo l’argomentatività, ovvero la presenza di
prove a sostegno della tesi.
35
porre rimedio alla scarsa conoscenza di tale categoria si consiglia di
dedicare tempo ad appositi esercizi.
La ricerca sostiene che gli alunni, che sono ormai alla fine del
percorso nella scuola dell’obbligo, non abbiano ancora compreso
pienamente che cosa rende tale un testo, differenziandolo da un
insieme sconnesso di frasi. Questa lacuna impedisce di selezionare e
organizzare i concetti attorno ad una tema centrale per costruire un
discorso razionale. La scrittura non è affrontata come un compito di
problem solving, in cui bisogna in primo luogo riconoscere il
problema e definire una strategia di risoluzione. Le osservazioni
riportate, per quanto relative ad un campione limitato di studenti,
suggeriscono la necessità di portare il testo al centro della didattica
della lingua non solo come strumento, ma anche come oggetto di
studio in sé. Solo chi è consapevole della struttura di un testo, può
porsi il problema di intrecciare le varie informazioni in un insieme
ben organizzato e comprensibile per un lettore. La conoscenza dei
principi costitutivi del testo fornisce infatti dei parametri oggettivi
per valutare l’adeguatezza del prodotto finale rispetto all’efficacia
comunicativa. Tra tali principi, la coesione costituisce un ambito di
studio, particolarmente interessante in linguistica, per esplicare le
relazioni tra le proprietà grammaticali delle classi di parole e la loro
funzione all’interno del testo.
II.3 Le ragioni della coesione
Le definizioni di coesione presenti in letteratura sono in larga parte
ispirate dalla teoria funzionalista di Halliday (1994) e dalla sintesi
sulla linguistica testuale operata da De Beaugrande e Dressler
(1984)10. Halliday (1994) definisce la coesione come un processo
10
I riferimenti si rintracciano ad esempio nei lavori di Andorno (2003), Conte (1977), Lo Duca
(2003), Mortara Garavelli (1977), Serianni (2003), Simone (1994).
36
interattivo attraverso il quale il significato è condiviso tra l’emittente
e il destinatario:
[la coesione] è una relazione semantica tra un elemento nel testo e
un altro elemento cruciale per la sua interpretazione (Halliday,
1994: 8).
Queste relazioni costituiscono la struttura del testo e non possono
essere spiegate all’interno dell’unità grammaticale della frase.
La definizione di de Beaugrande e Dressler (1984) pone l’accento in
particolare sul carattere grammaticale di questa proprietà:
[la coesione] concerne il modo in cui le componenti del testo di
superficie, ossia le parole che effettivamente udiamo o vediamo,
sono collegate fra di loro. E dal momento che le componenti di
superficie vengono a dipendere l’una dall’altra in base a forme e
convenzioni grammaticali, la coesione di fonda su dipendenze
grammaticali (de Beaugrande e Dressler, 1984: 18).
Le diverse componenti già utilizzate possono essere reimpiegate o
modificate nel discorso, in modo da contribuire alla stabilità e
all’economia di informazioni del testo, favorendone l’elaborazione.
Ciò avviene attraverso un numero limitato di meccanismi linguistici:
la ricorrenza (ripetizione di elementi o pattern); la ricorrenza
parziale (ripetizione di componenti di parole con cambio di classe); il
parallelismo (ripetizione di strutture sintattiche di superficie, dotate
di espressioni differenti, ad esempio ha bevuto dai nostri bicchieri,
mangiato dai nostri piatti); la parafrasi (ricorrenza del contenuto con
una modifica dell’espressione); l’uso di pro-forme ( principalmente
pronomi,
ma
anche
aggettivi o
particelle
avverbiali);
l’ellissi
(omissione di alcuni elementi già noti); l’accordo morfologico
(espresso generalmente attraverso il tempo, l’aspetto e la persona
nelle forme verbali); la giunzione (espressioni che segnalano
relazioni tra avvenimenti e situazioni).
37
Halliday (1994) riconosce essenzialmente gli stessi legami coesivi,
ma preferisce suddividerli in base alla funzione che svolgono nel
testo,
ovvero
coesione
referenza,
lessicale
sostituzione,
(ripetizione,
ellissi,
sinonimia
congiunzione
o
e
iperonimia,
generalizzazione). Sottolinea inoltre come i primi tre tipi abbiano
una valenza puramente grammaticale, mentre i meccanismi di
congiunzione
combinano
elementi
lessicali
con
elementi
grammaticali: le parole identificate come elementi di congiunzione,
cioè, svolgono il proprio ruolo in virtù del proprio significato
specifico.
Ferrari (2010) sintetizza le due visioni in un’unica definizione: la
coesione si manifesta in un sistema di reti di collegamenti linguistici
tra le frasi che indicano dipendenze e sintonie interpretative tra
diversi elementi nel co-testo. I dispositivi di coesione quindi
istaurano un rapporto di coreferenza, ma rispondono anche a
principi grammaticali (ad esempio nella scelta di un pronome, è la
forma stessa del pronome che condiziona la declinazione in persona,
genere e caso in accordo con il referente che sostituisce e con la
funzione che il pronome svolge nella frase). L’autrice delinea con
precisione il dominio di manifestazione dei legami coesivi nelle
relazioni tra frasi autonome o tra porzioni più ampie di testo, come
periodi, paragrafi o addirittura capitoli. Estende inoltre l’ambito di
manifestazione della proprietà della coesione anche all’interno della
frase complessa, ovvero alle connessioni fra frasi reggenti, frasi
coordinate e un particolare gruppo di frasi subordinate, le avverbiali
e le relative (ovvero le frasi non argomentali)11. Tale scelta è
coerente con l’affermazione di Halliday, secondo cui i legami coesivi
11
La distinzione introdotta nelle subordinate tra argomentali e non argomentali ricalca la
distinzione tra argomenti ed espansioni proposta dalla grammatica strutturale di Tesnière, dove
un argomento è un complemento necessario al verbo affinché la frase non risulti
agrammaticale, mentre un’espansione è un elemento facoltativo. All’interno di un periodo
complesso le frasi che svolgono la funzione di argomento di un predicato sono dette
argomentative o completive; le frasi che aggiungono un’informazione indipendente dal
processo principale sono dette avverbiali o circostanziali, le frasi che sono espansioni di nomi
sono dette relative (cfr Prandi, 2006).
38
non hanno nulla a che vedere con i limiti delle frasi e con gli esempi
proposti in cui sono compresi anche i legami tra frasi in periodi
complessi.
La scelta fra i diversi legami coesivi e la loro distribuzione non
risponde a regole grammaticali, ma alla struttura e alla natura del
testo: il testo argomentativo, ad esempio, che veicola molte
informazioni,
richiede
un’organizzazione
ben
definita
che
si
manifesta attraverso un uso di connettori logici. Anche altri aspetti
della comunicazione influenzano la scelta: un testo destinato a
bambini predilige una struttura semplice con ripetizioni frequenti. La
coesione dunque ha una funzione precisa nel processo di produzione
del testo: il parlante offre un insieme di istruzioni relative alle
informazioni fornite e alla loro organizzazione. L’esplicitazione dei
nessi coesivi diminuisce di conseguenza lo sforzo di interpretazione
richiesto all’interlocutore (Halliday, 1994). Il rapporto di coesione
può essere istaurato sia tra i significati espressi dalle forma
linguistiche (funzione semantica, come nell’esempio 1), sia nelle
relazioni realizzate dal parlante all’interno del suo discorso (funzione
pragmatica, come nell’esempio 2):
(1) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi ha iniziato ha produrre
rumori preoccupanti.
(2) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi non mi appartiene.
Questo lavoro si propone di analizzare i processi che portano
l’alunno dalla produzione di frasi alla redazione di un testo. Dovendo
scegliere
un
ambito
limitato
per
poter
svolgere
osservazioni
significative, il principio della coesione è stato selezionato in quanto
permette
l’individuazione
di
indicatori
specifici
rintracciabili
facilmente in ogni testo. Come rilevato sia nell’analisi del brano
presentata all’inizio del capitolo sia nei criteri di valutazioni descritti
nella ricerca trentina, i legami di coesione si manifestano attraverso
forme lessicali e grammaticali individuabili con precisione e quindi
39
misurabili. Inoltre, per esser adeguatamente descritti, richiedono un
riferimento costante sia al livello morfosintattico della lingua che a
quello pragmatico, consentendo una visione complessa del testo.
Infine l’estensione della rete di connessioni nel testo sembra essere
un’indicazione della presenza di una strutturazione logico-formale
delle
informazioni
e
delle
argomentazioni.
Introducendo
una
riflessione consapevole sull’organizzazione testuale si potrebbe
fornire agli alunni uno strumento per migliorare le proprie capacità
di comprensione, sintesi e produzione scritta.
In particolare, tra i diversi meccanismi di coesione presentati, quello
che più contribuisce a segnalare i legami logici tra le diverse parti
del testo è l’uso di elementi di giunzione o congiunzione detti anche
connettori o connettivi12. Essi spiegano in che modo gli elementi
linguistici sono collegati tra loro attraverso una relazione semantica,
costruendo così una gerarchia logico-temporale tra le informazioni
presentate.
12
Nel testo originale di De Beaugrande e Dressler (1984) il termine utilizzato per la relazione è
Konnexion, quello per gli elementi lessicali Konnektoren, in Halliday (1994) troviamo
rispettivamente conjunction e conjunctive adjuncts. I termini sono stati variamente tradotti nei
saggi italiani.
40
CAPITOLO III
CONNETTIVI:
UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA
III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale
Tra i diversi processi di coesione, Halliday e Hasan (1994)
individuano la “congiunzione”, ovvero
specification of the way in which what is to follow is systematically
connected to what has gone before (Halliday, Hasan, 1994: 227).
La relazione, realizzata attraverso numerosi elementi che rientrano
in
diverse
compound
categorie
adverbs,
grammaticali
prepositional
(coordinating
phrases,
conjunctions,
prepositional
expressions), è al confine tra il piano grammaticale e il piano
semantico. Infatti queste parole o espressioni creano coesione tra le
diverse parti del testo in virtù del proprio specifico significato
lessicale. Non sono meccanismi che rimandano direttamente ad un
altro elemento linguistico del testo, ma piuttosto presuppongono la
presenza di altre componenti nel discorso a cui fanno riferimento:
strutturano il testo in modo da costruire un ordine logico tra le
diverse parti. Possono essere divise in quattro categorie generali,
riconducibili a precise funzioni: additiva (and), avversativa (but),
causale (so) e temporale (then) (Halliday e Hasan, 1994).
Per de Beaugrande e Dressler la “giunzione” è
un dispositivo per segnalare le relazioni tra avvenimenti e situazioni
attraverso espressioni giuntive (De Beaugrande e Dressler, 1981:
18).
41
Le relazioni tra avvenimenti e situazioni espresse dai connettori
sono classificabili come congiunzione, disgiunzione, contro-giunzione
e subordinazione. La congiunzione (vd. e) è una relazione che
collega due avvenimenti o situazioni interdipendenti citate sia dentro
un enunciato che al di là dei suoi limiti. La disgiunzione (vd. o),
all’interno
dell’enunciato,
connette
due
alternative,
entrambe
presenti nella memoria a breve termine, delle quali una sola si
realizza nel mondo testuale; fra due enunciati, invece, tende a
esprimere un’alternativa non considerata in precedenza. La controgiunzione (vd. ma) ha la funzione di agevolare punti problematici di
transizione
nei
quali
compaiono
combinazioni
di
situazioni
o
avvenimenti apparentemente improbabili. La subordinazione, infine,
rende
esplicite
relazioni
di
coerenza,
ad
esempio
di
causa,
agevolazione, ragione, scopo, tempo, localizzazione.
Le
forme
descritte
contemporaneamente
il
sono
loro
ruolo
individuate
sintattico
considerando
e
l’intenzione
comunicativa del parlante. La funzione coesiva di tali elementi aiuta
chi produce il testo ad esercitare un controllo sul modo in cui questo
viene recepito dal ricevente.
Le definizioni ora presentate sono state riprese in molte opere
italiane. Berruto (1997) propone il termine “connettivo” per gli
elementi che realizzano i rapporti di coordinazione o subordinazione
tra le frasi, tra cui segnala le congiunzioni che hanno il valore di
operatori logici, ossia che favoriscono l’interpretazione del valore
degli enunciati. Telve (2008) ha allargato ulteriormente la categoria
includendo al suo interno qualunque elemento grammaticale che
stabilisca una relazione tra sintagmi, tra clausole, tra periodi. I
connettivi
garantiscono
una
funzione
“strutturante”
e
di
coordinamento all’interno delle frasi semplici e complesse (connettivi
frasali) o in unità testuali superiori (connettivi testuali). Nel secondo
caso hanno la funzione di conferire al testo un ordine tematico,
logico-consequenziale e temporale; di specificare il senso delle
42
affermazioni;
di
segnalare
un
momento
di
passaggio,
una
conclusione o un rinvio interno o esterno al testo.
Una definizione più ristretta è presente nel manuale di linguistica di
Simone (1994), per il quale i connettivi sono tutti gli elementi che
svolgono la funzione di connettere porzioni diverse del testo (sia
all’interno della stessa clausola sia di clausole diverse), pur senza
aver necessariamente un punto d’attacco in un’altra parte del testo.
In pratica sono connettivi quasi tutte le congiunzioni e una parte
notevole degli avverbi, ma anche un numero difficilmente definibile
di sintagmi preposizionali e di clausole (es. come abbiamo visto)
(Simone, 1994: 424).
L’autore specifica che i connettivi possono avere sia la funzione di
indicare relazioni sia la funzione di modulare l’enunciato, creando
enfasi o focalizzando un elemento rispetto ad altri, evidenziando la
dimensione pragmatica della comunicazione.
Alcuni autori hanno focalizzato l’attenzione sui connettivi definiti
pragmatici, che operano al di fuori della frase mettendo in relazione
atti linguistici autonomi. Berretta (1984), nel saggio Connettivi
testuali in italiano e pianificazione del discorso, esamina gli elementi
linguistici espliciti che esprimono relazioni tra parti del discorso in
alcuni testi espositivi orali. Analizza in primo luogo i connettivi che
legano atti linguistici distinguendoli in base alla funzione: possono
esprimere relazioni di carattere semantico-discorsivo o essere
segnali
di
articolazione
della
struttura
interna
del
testo
(demarcativi). Questi elementi svolgono la funzione di strutturare il
testo e possono esplicitare una relazione semantica, sintattica o una
sovrapposizione
di
entrambe.
Le
loro
caratteristiche
sono
l’appartenenza al livello del discorso e l’autonomia rispetto alla
struttura frasale in cui sono inseriti. Nei connettivi frasali la
distinzione tra livello semantico e livello pragmatico o discorsivo è
più
complessa
e
largamente
intuitiva.
Le
relazioni
a
livello
43
pragmatico, ovvero relazioni istituite dal parlante nel e per il suo
discorso, sono spiegate attraverso alcune esemplificazioni: spiegare
(cioè);
esemplificare
(per
esempio);
autocorreggersi
(anzi);
riassumere (insomma); demarcare la struttura del testo (ora).
Commentando la classificazione di Halliday (additivi, avversativi,
causali e temporali), l’autrice non accetta il parallelismo tra i
connettivi frasali e quelli testuali, dato che riferisce i primi a “fatti”
del mondo e i secondi a “fatti” discorsivi. Sulla stessa linea teorica,
si pongono anche la Linguistica testuale di Andorno (2003), che
tratta i connettivi testuali all’interno del capitolo dedicato alla
pragmatica, e il manuale di educazione linguistica di Lo Duca
(2003).
Anche Bazzanella (1995), nella trattazione dei segnali discorsivi13
che svolge per la Grande grammatica italiana di consultazione
(Renzi, Salvi, Cardinaletti, 1995), individua un gruppo particolare di
“operatori di coordinazione” che realizzano valori speciali o effetti
pragmatici, esprimendo relazioni tra atti linguistici. Uno stesso
elemento può assumere un valore primario, caratterizzato dal
significato letterale, ed un valore pragmatico che assume un
significato dipendente dal contesto linguistico ed extralinguistico:
(1) Abbiamo messo cento millilitri di sabbia, poi la professoressa ha
messo l’acqua
(2) Non siamo poi così lontani dalla verità.
Nel secondo caso gli operatori si caratterizzano come un gruppo
tonale separato, senza una posizione fissa e con la possibilità di
essere
di
essere
sostituiti
da
altre
parole
dal
significato
corrispondente.
13
“elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori
aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi
frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione
interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione (Bazzanella, 1995:
225)”
44
Ellero (1986), tenta una classificazione dei connettivi in relazione
alla loro funzione semantica o pragmatica. In particolare prende in
esame le più abusate forme di congiunzione e e ma, portando
esempi di come sia possibile distinguere tra relazioni coordinanti e
relazioni coesive. La congiunzione usata come relazione coesiva non
collega due elementi linguistici sullo stesso piano, ma congiunge gli
enunciati creando una prospettiva sequenziale, ad esempio l’uso di e
focalizza
l’attenzione
sulle
nuove
informazioni
per
cambiare
l’argomento o la prospettiva del lettore, mentre il ma ad inizio della
frase mette in rilievo un supplemento di informazione o nega una
tesi che potrebbe essere avanzata dall’interlocutore14.
Sabatini e Coletti (2008), nell’introduzione al Dizionario da loro
curato, propongono una definizione ampia di “connettivi” come
elementi che collegano parti del testo, all’interno della quale gli
elementi indicati da Berretta (1984) e Bazzanella (1995) siano
individuati come “congiunzioni testuali”, che così definiscono:
Si tratta di parole molto comuni e importanti come dunque, ebbene,
infatti, inoltre, insomma, oltretutto, peraltro, perciò, sennò, tuttavia,
o di espressioni composite altrettanto frequenti, come ad ogni modo,
14
La classificazione è interessante perché fornisce una spiegazione linguistica ad un uso di e e
ma ad inizio di frase largamente presente nella letteratura italiana, di cui l’insegnamento
tradizionalista, secondo il quale le congiunzioni hanno solo un valore sintattico di unione tra
sintagmi o proposizioni, non dà giustificazione.
Riportiamo alcuni esempi illustri, solo come provocazione per tutti quegli insegnanti che
sanzionano e e ma ad inizio di frase in base a non ben identificati criteri di “stile”.
E volta nostra poppa nel mattino,
de remi facemmo ali al folle volo.
(Dante, Divina Commedia, canto XXVI)
Ma Giovanna fu irremovibile.
(Boccaccio, Federigo degli Alberighi, Decameron)
Ma né quella, né scure, né bipenne
Era bisogno al suo vigore immenso.
(Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII)
E non aggiunsero altro, correndo col vento e colle onde, nella notte che era venuta tutt’a un
tratto nera come la pece.
(Verga, I Malavoglia)
45
con ciò, del resto, in realtà ecc. Tutti questi elementi non svolgono
una funzione all’interno di una struttura frasale: non sono cioè
avverbi che si legano strettamente a un altro elemento della frase
(come quelli presenti in sono qui o studia intensamente) e non sono
congiunzioni che collegano due predicati (come accade per le
congiunzioni che legano due frasi coordinate o una reggente a una
dipendente, regolando anche il modo verbale di questa). Essi invece
collegano tra loro entità testuali di qualsiasi conformazione (anche
blocchi di più sequenze), conferendo all’entità in cui sono collocati un
determinato
valore
(avversativo,
deduttivo,
confermativo,
riformulativo ecc.) rispetto a quanto detto in precedenza. […]
Vengono classificati come congiunzioni testuali. […] Anche altri
elementi, che hanno una loro funzione primaria all’interno della frase,
possono passare a svolgere una funzione testuale: sono usati cioè in
funzione di congiunzione testuale. Questi connettivi testuali sono
di norma isolati da pause e molti di essi sono anche di libera
collocazione
nell’ambito
della
seconda
sequenza
di
testo
(vd.
comunque, dopotutto, infatti ecc.) (Sabatini e Coletti, 2008: XIII).
Si tratta di forme che sono variamente classificate dalla grammatica
come avverbi o congiunzioni o addirittura non sono riconosciuti
come unità lessicali.
Ferrari (2010) nella voce “Connettivo” dell’Enciclopedia Treccani
presenta le diverse posizioni finora esaminate, ma opera una sintesi
interessante. Definisce i connettivi come una categoria ampia di tipo
sovragrammaticale
invariabili che
in
cui
indicano
sono
incluse
le
forme
relazioni tra eventi o
linguistiche
asserzioni.
Un
connettivo può legare una frase e un sintagma con funzione
circostanziale, una frase reggente e una subordinata, due frasi
coordinate,
due
frasi
sintatticamente
autonome,
semplici
o
complesse. Il suo valore semantico è espresso dal tipo di relazione
che
istaurano
(temporale,
causale,
consecutiva,
concessiva,
condizionale, di rielaborazione linguistica, di opposizione, di aggiunta
di dispositio. Il significato intrinseco è un’istruzione offerta a chi
46
riceve la comunicazione per interpretare la relazione intesa dal
parlante, ma tale istruzione può essere povera o specifica. Quando
esprime un collegamento con il contesto e non con altri elementi
linguistici (valore pragmatico) il connettivo perde in parte il suo
significato intrinseco, come negli esempi con e e ma descritti da
Ellero (1986). In casi come questo i connettivi diventano “segnali
discorsivi”, nel senso descritto da Bazzanella (1995).
I connettivi, come tutti gli altri meccanismi di coesione, manifestano
i collegamenti linguistici che attraversano il testo, perciò il loro
ambito naturale di manifestazione è quello delle relazioni tra frasi o
tra porzioni più ampie di testo. Tuttavia vanno considerate come
relazioni coesive anche quelle istaurate tra frasi reggenti, frasi
coordinate e frasi subordinate non argomentali, perché sono
governate contemporaneamente da principi grammaticali e da
principi testuali. Ad esempio nelle due frasi:
(1)
Restò a casa perché era stanco
(2)
Siccome era stanco, restò a casa
è un principio grammaticale che impone la posizione della causale
prima della reggente nella frase (2), ma è la struttura del testo che
determina la scelta di una o dell’altra congiunzione.
L’ultima caratteristica descritta da Ferrari rappresenta senz’altro la
meno conciliabile con le definizioni proposte precedentemente, in cui
prevale la dimensione interfrastica dei connettivi. Nella trattazione
successiva
si
prenderanno
in
considerazione
principalmente
connettivi interfrasali, dato che la definizione dei rapporti coesivi tra
clausole risulta estremamente controversa. Per il resto, l’articolata
definizione riprende e chiarisce sia la funzione svolta dai connettivi
nel rendere esplicita la rete di legami coesivi che percorre il testo ed
il suo rapporto con la struttura complessiva che collega le
informazioni. In particolare evidenzia il ruolo dei connettivi come
47
segnali per favorire la corretta interpretazione delle relazioni tra fatti
o asserzioni presupposta dall’emittente.
III.2 I connettivi nei dizionari
Dalla ricerca nei saggi di linguistica, emerge come, pur riconoscendo
la funzione peculiare svolta dai connettivi come operatori di coesione
testuale, non è ancora entrata in uso una terminologia condivisa. La
situazione
risulta
ancora
più
confusa
nelle
grammatiche
di
consultazione e nei dizionari, dove le stesse parole sono classificate
in modo diverso o incluse in più categorie. È possibile verificare la
complessità delle specificazioni grammaticali, cercando ad esempio i
termini quindi e allora.
Tra i dizionari, solo il Sabatini-Coletti (2008) ritiene necessario
introdurre una nuova categoria, che definisce congiunzioni testuali,
nella quale troviamo appunto catalogato quindi15:
(1) congiunzione testuale con valore deduttivo conclusivo,
perciò: ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare
discussioni. Con lo stesso valore opera, come congiunzione, tra
due termini della stessa frase: è una persona distratta, quindi
inaffidabile || in un dialogo per sollecitare una deduzione: e
quindi?
(2) congiunzione testuale con valore temporale, poi: percorri la
strada fino in fondo, quindi gira a sinistra.
L’introduzione della categoria “congiunzione testuale” permette di
riunire sotto un’unica voce le occorrenze tra due frasi coordinate
(ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare discussioni),
all’interno della frase (è una persona distratta, quindi inaffidabile) e
15
Il dizionario presenta anche l’accezione di avverbio, ma solo come caso particolare dell’uso
letterario arcaico con valore spaziale (di qui): “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante).
Questo uso, segnalato anche in altri vocabolari, non sarà preso in considerazione nella seguente
trattazione.
48
isolate (E quindi?), perché in ciascuno dei casi citati si esplica un
nesso di tipo coesivo.
In altri casi, ad esempio nella definizione di allora, il dizionario
mantiene invece la specificazione grammaticale tradizionale di
avverbio, quando il termine specifica un verbo, un aggettivo o un
nome, e aggiunge una variante d’uso in funzione di congiunzione
testuale, quando evidenzia un fenomeno di coesione:
(1) avverbio, in quel preciso momento: arrivava allora da Torino
(2) in funzione di congiunzione testuale, dunque: il film era noioso
e allora uscii.
Nel Sabatini-Coletti (2008), dunque, il preciso riferimento alla
linguistica testuale, palesato nell’introduzione generale, permette
una
classificazione
chiara,
dettagliata
e
basata
su
criteri
grammaticali interni al sistema linguistico.
Quando, al contrario, la classificazione è basata sul valore semantico
delle parole o su criteri sintattici senza riferimenti ad una teoria
esplicita, le definizioni risultano meno chiare.
Ad esempio, nelle avvertenze del dizionario Devoto-Oli (2012), si
scrive esplicitamente che le distinzioni presentate all’interno di ogni
singola voce vogliono documentare e illustrare gli usi linguistici, con
esempi tratti dalla letteratura e dalla lingua quotidiana, senza
imporre una norma. Tuttavia esaminando le singole voci si rilevano
considerazioni
di
tipo
sintattico
e
semantico,
non
sempre
adeguatamente motivate.
In questo dizionario sia allora che quindi sono presentate sotto due
accezioni
distinte,
come
avverbio
e
come
congiunzione.
La
distinzione sembra essere basata sul valore semantico della parola,
perché quindi è presentata come avverbio con valore temporale o
come congiunzione con valore conclusivo:
(1) avverbio con valore temporale, da allora: quindi a pochi dì
49
(2) congiunzione con valore conclusivo o causale, perciò: arrivai in
ritardo, quindi presi un tassì; quindi successe che…
Nella definizione di allora, invece, si introduce un criterio di tipo
sintattico,
basato
sulla
distinzione
tra
coordinazione
e
subordinazione:
(1) avverbio di tempo, in quel momento: allora regnò finalmente la
pace || Usato in senso interrogativo sollecita una conclusione: allora
ci muoviamo?
(2) congiunzione correlativa (temporale o conclusiva) che afferma il
parallelismo della proposizione principale con la dipendente: visto
che insisti, allora verrò.
Oltre alla confusione nei criteri adottati, risulta discutibile anche la
distinzione basata sul valore temporale o conclusivo: nella frase
allora regnò finalmente la pace, in cui allora è definito come
avverbio di tempo, è altrettanto plausibile un’interpretazione come
relazione consecutiva con i fatti narrati in precedenza. Risulta inoltre
incomprensibile la collocazione sotto la voce “avverbio di tempo” per
l’esempio allora ci muoviamo?, in cui allora è indiscutibilmente un
segnale discorsivo.
Una situazione analoga si ritrova anche consultando il vocabolario
Zingarelli (2012) in cui quindi è definito sia avverbio con valore
temporale
sia
congiunzione
con
valore
conclusivo.
Allora
è
catalogato come avverbio, con l’avvertenza che può essere usato in
funzione di congiunzione con valore conclusivo o con valore
discorsivo ad inizio frase. Si pone attenzione dunque alla funzione
pragmatica in un caso, ma non nell’altro. Inoltre, si trova la formula
“in funzione di”, che in molti casi è l’escamotage linguistico con il
quale si risolve il problema della doppia appartenenza a due classi
del discorso distinte (in questo caso avverbio e congiunzione).
De Mauro (2007) nell’introduzione al Grande dizionario italiano
dell’uso avverte che la categoria degli avverbi convive con le altre
50
categorie (congiunzione, preposizione, sostantivo, pronome, ecc.)
all’interno di uno stesso lemma con un’unica etimologia. È questo il
caso sia di quindi che di allora. In particolare nella definizione di
allora si evidenzia che il ruolo di congiunzione è riconoscibile proprio
grazie alle relazione istaurate con altri elementi del discorso:
(1) avverbio, in quel momento
(2) congiunzione con valore conclusivo, usata in correlazione con altre
congiunzioni indica un rapporto temporale: quando ti sarai deciso,
allora fammelo sapere || In forma interrogativa per sollecitare una
conclusione, per cominciare o riprendere un discorso: allora, stavi
dicendo?
Come in De Mauro (2007), in molti altri dizionari i termini sono
catalogati come avverbi in relazione al valore temporale e come
congiunzioni in relazione al valore conclusivo, includendo in questa
seconda categoria anche i casi in cui svolgono una funzione
discorsiva. Non sempre, però a questa divisione corrispondono
esempi coerenti, al contrario si ritrovano spesso esempi di dubbia
interpretazione.
Ad esempio nel dizionario Gabrielli (2011), si trovano i seguenti
esempi per allora:
(1) avverbio, in quel momento: lui apparve, e allora gli corsi incontro;
era uscito allora allora; fino allora non si era mai vista una cosa
simile; diventerai grande anche tu, e allora capirai
(2) congiunzione con valore conclusivo, in tal caso: allora non parlo
più; se non ti fidi di me, allora fallo da solo || ebbene, dunque (in
proposizioni interrogative dirette ed esclamazioni): allora, che
facciamo? Fallo, allora!
Anche qui per dare ragione dell’uso pragmatico di allora, si ricorre
ad un’analisi sintattica del tipo di preposizioni, che non tiene in
considerazione la dimensione comunicativa più ampia del discorso.
51
Nei due esempi citati (allora, che facciamo? Fallo, allora!), infatti il
ruolo di allora si spiega come segnale per l’interlocutore, più che
come espressione tipica di una forma interrogativa o esclamativa.
La stessa presentazione di dubbia interpretazione si trova anche per
quindi: avverbio se ha valore temporale e congiunzione se ha valore
consecutivo o discorsivo:
(1) avverbio, in seguito: insisté un po’, quindi tacque
(2) congiunzione, perciò: non mi interessa, quindi non seccarmi || si
usa per sollecitare una conclusione o una risposta:
quindi? Che
aspetti a parlare?
In modo analogo quindi e allora sono definiti anche nel dizionario
Garzanti (2009), con l’unica differenza che in quest’ultima opera
quindi è considerato solo avverbio.
Abbiamo così trovato tutte le varianti possibili per i due lessemi
esaminati:
avverbio
e
congiunzione,
solo
congiunzione,
solo
avverbio, avverbio con funzione di congiunzione. Dagli esempi
presentati risulta che tutti i vocabolari, con l’eccezione del SabatiniColetti, mantengono la tradizionale classificazione in avverbi e
congiunzioni, utilizzando ora una ora l’altra senza spiegare con quale
criterio. In questo panorama si distingue il dizionario Palazzi-Folena
(1995), che presenta una divisione netta tra teoria e applicazione: la
definizione di connettivo è presente nelle pagine conclusive di sintesi
grammaticale, inclusa nella trattazione degli avverbi, ma non nella
definizione dei termini: allora è definito come congiunzione o
avverbio, senza ulteriori chiarimenti, mentre quindi è presentato
solo come congiunzione. È evidente dunque che le scelte operate
non nascono dall’accettazione o dal rifiuto delle conclusioni emerse
dalla ricerca linguistica, ma piuttosto dalla difficoltà nel rivedere una
terminologia nota e rassicurante, seppur confusa. Il fatto di
mantenere
i
termini
consueti
come
etichette
delle
classi
52
grammaticali, però, non garantisce affatto che ci sia accordo rispetto
all’attribuzione delle parole alle diverse categorie.
III.3 I connettivi nelle grammatiche di consultazione
Se nei dizionari non è previsto che si lasci spazio ad una trattazione
delle questioni grammaticali, si può cercare un’esposizione più
approfondita nelle grammatiche. Tuttavia, sebbene generalmente le
grammatiche presentino una divisione degli argomenti che rispetta
la tradizionale classificazione delle parti del discorso, anche in
questo campo non sempre si riscontra una riflessione esplicita sui
criteri che l’hanno ispirata.
Andorno (2003) nota, ad esempio, che le grammatiche non sono
sempre d’accordo su come e se tracciare una distinzione fra
congiunzioni e connettivi. Nella sua grammatica propone quindi una
distinzione basata su un criterio sintattico: la definizione di
connettivi va riservata ad avverbi di tipo frasale, che cioè modificano
l’enunciazione della frase, con precise caratteristiche distribuzionali.
Gli
avverbi
posizionale
connettivi
nella
sono
frase,
quelli
mentre
che
le
hanno
ampia
congiunzioni
libertà
precedono
obbligatoriamente il secondo congiunto. Avverbi con funzione
connettiva
sono
ad
esempio
dunque
e
quindi
(con
valore
conclusivo), che pur avendo una funzione simile a quella delle
congiunzioni coordinanti, possono presentarsi in posizione isolata o
parentetica. Il merito della precedente definizione è rendere esplicito
il criterio sulla base del quale è stata effettuata la divisione tra le
due categorie.
Anche nella grammatica di Dardano e Trifone (2007), tra le diverse
categorie di avverbi si identificano gli avverbi connettivi, in base,
però, alla loro funzione di collegamento tra diverse sequenze
testuali. La funzione testuale in molti casi si accompagna alla
funzione di base (di modo, di luogo, di tempo, di giudizio, ecc.):
53
(1) allora era un atleta di primo piano, ora ha abbandonato l’attività
agonistica (avverbio di tempo)
(2) allora vogliamo andarcene o restiamo qui tutta la sera? (avverbio
testuale)
Naturalmente anche per gli avverbi testuali è possibile indicare le
diverse
modalità
precedente
(di
con
cui
istaurano
prosecuzione,
relazioni
con
enumerazione,
il
discorso
conclusione,
contrapposizione).
Questi avverbi, detti anche “operatori di subordinazione avverbiale”
rientrano nella categoria più ampia dei connettivi, ovvero parole o
espressioni che svolgono funzione di raccordo nel testo. Nella
sezione dedicata alle congiunzioni, si definiscono congiunzioni
testuali
le congiunzioni che collegano tra loro porzioni di testo più ampie
della singola frase e talvolta fungono da segnali di apertura parziale
o totale di un testo (Dardano e Trifone 2007: 173)
includendovi congiunzioni coordinative e subordinative, locuzioni
congiuntive e avverbi. La definizione risulta più ampia di quella di
Andorno (2003), ma meno precisa sia nei termini scelti (avverbi
connettivi, avverbi testuali, operatori di subordinazione avverbiale,
connettivi, congiunzioni testuali) sia nei criteri per identificare tali
elementi.
Nella grammatica di Prandi (2006), che pure dedica ampio spazio
alla coesione, manca completamente un termine per individuare gli
elementi linguistici che la esprimono. Nella sezione dedicata agli
avverbi si segnalano gli avverbi anaforici, cioè
le parole e le locuzioni che, senza creare connessioni grammaticali,
tracciano relazioni anaforiche tra processi o frammenti di testo più
ampi, contribuendo alla coesione testuale. Oltre a locuzioni come
54
per questo, di conseguenza, ciononostante, lo stesso, hanno questa
funzione alcune parole classificate di solito come congiunzioni
coordinative: tuttavia, dunque, quindi, però, allora (Prandi, 2006:
327).
Tali avverbi, grazie al loro valore anaforico, mettono in relazione
porzioni
di
testo
attraverso
processi
intertestuali
e,
contemporaneamente, orientano il destinatario nell’interpretazione
del testo.
Un avverbio come dunque o quindi, per esempio, è in grado sia di
esprimere una relazione di causa, sia di collegare la premessa e la
conclusione di un ragionamento (Prandi, 2006: 327).
Nel
secondo
caso
la
coesione
di
un
testo
che
sviluppa
un’argomentazione, con lo scopo di convincere l’interlocutore, non è
garantita da una relazione tra i diversi enunciati, ma dalla loro
appartenenza alla stessa strategia di ragionamento: l’avverbio ha
pertanto la funzione di segnale testuale.
Anche nelle pagine dedicate alla connessione transfrastica, Prandi
(2006) segnala la differenza tra le congiunzioni e altre modalità di
connessione
tra
frasi
giustapposte,
che
utilizzano
espressioni
indicate genericamente come “locuzioni anaforiche”, come negli
esempi:
(1) Ha piovuto molto. Malgrado ciò il grano non è ancora spuntato.
(2) Ha piovuto molto. Tuttavia il grano non è ancora spuntato.
Gli avverbi e le locuzioni anaforiche hanno lo stesso potere di
coesione delle congiunzioni, ma si differenziano sul piano sintattico:
le seconde creano legami grammaticali tra gli enunciati, mentre le
prime creano relazioni solo sul piano del contenuto. Inoltre le
congiunzioni non possono cumularsi tra loro e hanno una posizione
fissa all’inizio della frase, mentre le espressioni anaforiche possono
aggregarsi e hanno una posizione libera.
55
Una distinzione analoga si ritrova anche in Salvi e Vanelli (2004)
nella quale gli avverbi connettivi sono definiti come elementi che
mettono in relazione il contenuto della frase in cui si trovano con il
contenuto
del
discorso
precedente,
le
congiunzioni
invece
funzionano come operatori logici e sintattici nella costruzione di
strutture coordinate.
Gli avverbi connettivi possono ricorrere tra due frasi che si
susseguono, rendendo esplicito il rapporto tra i contenuti espressi
(vd. 1) oppure possono esplicitare anche i rapporti tra subordinata e
principale in strutture di tipo correlativo (vd. 2):
(1) Piero le aveva scritto più volte. Allora Maria lo aveva invitato
(2) Se Piero le ha scritto, allora Maria lo inviterà
L’attribuzione alla categoria degli avverbi è determinata dal loro
comportamento sintattico. Ricorrono ad esempio tra ausiliare e
participio (vd. 3). Ciò non avviene nel caso in cui allora significa “in
quel tempo” (vd. 4):
(3) Piero le aveva scritto più volte. Maria lo aveva allora invitato
(4) * Lo aveva allora (= in quel tempo) invitato spesso.
Completamente opposta la posizione di Sensini (1990) che invece
separa dagli avverbi tutte le parole che svolgono una funzione di
congiunzione tra due proposizioni o tra due elementi anche lontani
nel testo. Allora e quindi, utilizzati un tal senso, sono da considerarsi
congiunzioni coordinanti conclusive, perché uniscono due parole o
due proposizioni di cui la seconda è la logica conseguenza della
prima.
Per Schwarze (2009)16 gli avverbi di cui si è discusso sopra sono
“connettori”, ovvero forme linguistiche che collegano intere frasi
16
La grammatica di Schwarze ha una struttura diversa da quelle finora presentate, dato che non
opera distinzioni tra l’ambito della morfologia e della sintassi, ma analizza la struttura della
56
senza imporre una specifica relazione sintattica. Tra i connettori
rientrano sintagmi avverbiali (prima e poi in dimmi prima, poi
vedremo), sintagmi preposizionali con valore di connettori causali
(per
questo),
semplici
congiunzioni
designano
relazioni
(anche,
pure,
nemmeno,
successione
temporale,
invece).
I
connettori
di
conclusione logica (è il caso di allora e quindi), connessione causale.
I costituenti introdotti da un coordinatore possono anche comparire
come indipendenti:
(1) E allora?
ma in tali casi non creano una coordinazione tra due elementi della
frase, bensì operano sul piano della costituzione dl testo.
Dal punto di vista della costituenda e della prosodia questo uso dei
connettivi
è
esclusivamente
testuale,
ma
funzionalmente
e
semanticamente si tratta di coordinazioni (Schwarze, 2009: 319).
Anche nella grammatica di Serianni (1997) i connettivi sono citati
nel
capitolo
relativo
a
congiunzioni
e
segnali
discorsivi.
Le
congiunzioni sono una classe aperta, i cui elementi possono trovare
impiego ora come congiunzioni, ora come preposizioni, ora come
avverbi. Se tali elementi si pongono come elemento di raccordo tra
due proposizioni coordinate sono congiunzioni: quindi, posizionato in
una proposizione che si presenta come una deduzione logica o come
sintesi conclusiva di ciò che è stato detto in precedenza, è una
coordinazione conclusiva. Quando invece le congiunzioni svolgono
funzione di raccordo tra le varie parti del testo, contribuendo alla
pianificazione sintattica del discorso, confluiscono nella categoria dei
“connettivi”, che è parte a sua volta dei cosiddetti “segnali
discorsivi”.
frase attraverso la descrizione delle sue unità minori (sintagmi) e dei rapporti tra queste. Deriva
in modo diretto dalla teoria linguistica di De Saussure.
57
Le caratteristiche di questo gruppo sono la provenienza da categorie
grammaticali diverse; la possibilità di essere adoperati sia come
demarcativi sia come connettivi; il largo impiego nel discorso orale.
Gli avverbi come allora e le congiunzioni come dunque hanno
perlopiù valore demarcativo, messo in risalto dal fatto che possono
essere sostituiti con forme analoghe:
(1) allora che facciamo?
(2) quindi che facciamo?
Alcune di queste forme sono adoperate per segnalare che si sta
ponendo fine alla conversazione:
(3) allora, a risentirci presto.
In
generale
comunque
Serianni
(1997)
evidenzia
che
la
classificazione non è semplice e che le opinioni dei grammatici
sull’argomento sono discordi.
III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso?
Secondo Lo Duca (2003), l’impossibilità di incasellare i connettivi
nelle tradizionali classificazioni delle “parti del discorso”, li esclude
spesso dalle grammatiche tradizionali, creando un grave vuoto e
una notevole confusione nella definizione di alcune parole, che sono
presentate in modo discordante, talvolta come avverbi, talvolta
come congiunzioni da testi scolastici e dizionari.
La difficoltà di classificazione non deve, però, essere attribuita alla
categoria dei connettivi, in quanto elemento nuovo rispetto alle
impostazioni tradizionali della sintassi. Infatti Colombo (1984)
denuncia le stesse incongruenze svolgendo una ricerca nelle
grammatiche
scolastiche
più
diffuse
sulla
definizione
di
“congiunzione”. In tutti i casi le grammatiche presentano la
58
congiunzione come un elemento che unisce costituenti di uguale
rango e funzione, ma presentano poi liste di congiunzioni che non
rispondono completamente a questa definizione. Alcune delle parole
elencate
non
hanno
necessariamente
una
funzione
analoga
all’elemento che li introduce, sono invece utilizzate più spesso come
riferimento anaforico ad un altro elemento all’interno della frase o
del testo17. In alcuni casi, si riferiscono ad elementi extratestuali o
anche alla struttura stessa del processo di enunciazione, ad esempio
quando dunque significa “avendo detto a, posso dire b”. Proprio in
considerazione di queste osservazioni, Colombo ritiene necessario
introdurre nelle grammatiche ad uso didattico il concetto di
coesione,
come
fenomeno
testuale,
e
distinguerlo
dalla
coordinazione, che invece è un fenomeno strutturale del periodo.
I problemi e le incertezze che si incontrano nella definizione delle
categorie grammaticali derivano essenzialmente da un’adesione
dogmatica ad una classificazione delle “parti del discorso” storica,
che non è sostenuta dall’osservazione dei fenomeni linguistici.
Manca in sostanza il rigore teorico che caratterizza la ricerca
linguistica, così come è venuta delineandosi in età contemporanea.
Una parte del discorso o classe di parole è un insieme di lessemi
caratterizzati dalle stesse proprietà. Le diverse parti del discorso si
combinano tra di loro secondo regole precise per formare sintagmi e
frasi. La grammatica scolastica individua nove parti del discorso:
nome, aggettivo, articolo, pronome, verbo, avverbio, preposizione,
congiunzione, interiezione.
I criteri per assegnare ogni parola ad una specifica classe sono
essenzialmente tre: in base al significato (criterio nozionale o
semantico), in base alla flessione (criterio morfologico), in base alle
funzioni che le parole svolgono nella frase o alla loro distribuzione
sintattica (criterio sintattico-funzionale). Le nove parti del discorso
non sono, tuttavia, classi parallele, perché alcune categorie sono
17
La congiunzione anche riveste generalmente questo ruolo, ad esempio nella frase “è causa
dell’abbassamento della guardia anche dove la diossina non c’è”.
59
trasversali: i possessivi, ad esempio, sono una classe chiusa
strettamente legata funzionalmente ai pronomi personali, ma hanno
le stesse proprietà morfologiche e sintattiche degli aggettivi; gli
interrogativi sono presenti sia tra gli aggettivi, sia tra gli avverbi, sia
tra pronomi (Salvi, 2013).
Questi problemi sono stati registrati anche dalla grammatica
tradizionale che ha cercato di risolverli creando delle sottoclassi (ad
esempio “aggettivi pronominali”) o classificando le stesse parole in
classi diverse, a seconda della funzione, con risultati non del tutto
coerenti. La classificazione tradizionale è il frutto di una lunga
evoluzione che comincia nell’antichità classica e raggiunge la forma
attuale nel Settecento, come parte della teoria della grammatica
della lingua greca, estesa successivamente al latino e alle lingue
moderne. La tenuta della grammatica classica si dimostra forte per
quelle categorie il cui corrispondente nozionale è più evidente
(nome, aggettivo, verbo), che sono caratterizzate da una morfologia
distintiva
marcata.
La
classificazione
delle
parti
del
discorso
invariabili presenta molti più problemi perché non ci sono aspetti
nozionali
e
morfologici
così
evidenti,
quindi
le
grammatiche
tradizionali fanno ricorso a criteri generici che mostrano varie
debolezze (Salvi, 2013).
Secondo
Salvi,
le
incongruenze
possono
essere
affrontate
applicando un criterio sintattico-funzionale, collegando cioè ogni
classe di parole alla funzione grammaticale che svolge nella frase.
Per fornire una descrizione completa delle relazioni tra due o più
elementi della frase è però necessario elaborare una teoria generale
delle strutture sintattiche e, dato che la teoria della grammatica
cambia, anche la classificazione delle parti del discorso può
cambiare.
60
In questa prospettiva innovativa si sono posti alcuni degli studi
linguistici presentati nei paragrafi precedenti18, che pur cercando di
mantenere una terminologia rispettosa della tradizione, hanno
riconosciuto la necessità di riconoscere un ruolo definito a quegli
elementi che attuano la coesione di un testo. Alcuni meccanismi
linguistici, tra cui appunto i connettivi, possono infatti essere
spiegati
solo
in
riferimento
al
testo
inteso
come
macroatto
linguistico.
Il testo presentato all’inizio del capitolo precedente, la ricerca svolta
sui testi prodotti dagli studenti trentini (IPRASE Trentino, 2011) e,
più in generale, la letteratura (Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003)
attestano gravi difficoltà nell’uso dei connettivi tra bambini e
adolescenti. Per definire le cause del problema non è sufficiente
limitarsi ad un’analisi della struttura morfosintattica delle singole
frasi, ma bisogna considerare il testo come il prodotto di un
processo
linguistico
complesso.
Nel
capitolo
seguente
sono
presentati alcuni studi sulla comprensione del testo nei bambini per
comprendere quale ruolo giochi in questo processo la ricostruzione
della coesione testuale, e in particolare il riconoscimento dei
connettivi.
18
Vd. Colombo (1984), Bazzanella (1995), Dardano e Trifone (1997), Andorno (1999),
Schwarze (2009)
61
CAPITOLO IV
IL RUOLO DEI CONNETTIVI NELLE STRATEGIE
DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE
IV.1 I connettivi nel testo infantile
Per rendere scorrevole la narrazione, il parlante deve costruire una
struttura complessa, collegando gli enunciati attraverso meccanismi
linguistici che permettono di riferirsi a cose dette in precedenza.
Acquisire tali complessi meccanismi rappresenta uno dei passaggi
più complessi nel processo di acquisizione del linguaggio, che
secondo Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) viene affrontato a
partire dai sei, sette anni. In questo stadio dello sviluppo, i bambini
si rendono conto che la narrazione ha bisogno di una struttura
intralinguistica, ma il loro uso degli strumenti di coesione non è
ancora adeguato. L’osservazione sistematica del discorso infantile
mette quindi in relazione la comparsa dei nessi coesivi con
l’esigenza di spiegare eventi complessi, di cui si percepisce lo
svolgimento nel tempo.
A questo proposito, Fayol e Mouchon (1997) sostengono che la
mancanza di connettivi, che non compaiono nei testi scritti da
bambini di età inferiore ai nove anni, con l’eccezione dell’abusata
congiunzione e, dipenda dalla struttura stessa della narrazione
infantile. I bambini dai sette ai nove anni producono, infatti, quasi
esclusivamente testi composti da una sequenza lineare di fatti con
uno svolgimento altamente prevedibile, in cui non c’è necessità di
connettivi.
Fayol e Mouchon (1997) ipotizzano che i bambini siano in grado di
utilizzare e di comprendere i connettivi, quando la struttura della
narrazione richiede uno schema più complesso, con l’inserimento di
62
eventi
inattesi.
Per
verificare
l’ipotesi,
hanno
elaborato
due
esperimenti, uno incentrato sulla produzione di storie, un altro sulla
comprensione.
Lo scopo del primo esperimento è determinare se i bambini
avrebbero fatto uso di connettivi come ma, dovendo ricostruire un
testo in cui compariva un imprevisto o una complicazione. A
trentasei alunni francesi di terza e quinta elementare sono state
proposte oralmente tre diverse versioni di una storia, formulate
come una sequenza di frasi semplici accompagnate da immagini.
La prima storia è una narrazione di azioni sequenziali senza
imprevisti.
VERSIONE A
1. Eric riteneva triste la propria stanza.
2. Decise di ripitturarla.
3. Prese un barattolo di vernice e un pennello.
4. Salì sulla scala.
5. Pitturò tutto il giorno.
6. Eric non trovò più triste la sua stanza.
Nella seconda versione il protagonista nel mezzo dell’azione si
ferma, perché il colore della pittura non gli sembra adatto (ostacolo
statico).
VERSIONE B
…
4. Il colore della pittura gli sembrò troppo triste.
5. Non ripitturò la sua stanza.
6. La stanza sembrò ancora triste a Eric.
Nella terza storia il protagonista ha un incidente, che gli impedisce
di continuare il lavoro (ostacolo dinamico):
63
VERSIONE C
…
4. Rovesciò la pittura salendo sulla scala..
5. Non aveva più vernice..
6. La stanza sembrò ancora triste a Eric.
Avendo chiesto ai bambini di riformulare la storia con parole proprie,
Fayol e Mouchon (1997) hanno osservato delle scelte diverse
nell’uso di connettivi correlate con le diverse versioni: nella storia
lineare (VERSIONE A) di solito non erano presenti connettivi, fatta
eccezione per la congiunzione e (et), collocata dalla maggior parte
dei soggetti prima dell’ultima frase, mentre un maggior numero di
connettivi compariva nelle due versioni con un imprevisto (B e C).
Nelle narrazioni con un ostacolo statico (VERSIONE B) apparivano
ma (mais) davanti alla frase in cui si narra l’evento avverso, cioè la
delusione provata di fronte al colore della vernice, e così (alors)
nella frase finale. Nella versione in cui il protagonista fa cadere
inavvertitamente il barattolo di vernice (C), si ritrovavano e (et), ma
(mais), improvvisamente (soudain). Da questi risultati, i ricercatori
concludono che effettivamente i bambini usano i connettivi, quando
l’organizzazione della successione di eventi è determinata a priori,
dimostrando che sono in grado di stabilire relazioni tra gli eventi e di
esprimerle attraverso l’uso dei connettivi.
Nel secondo esperimento, Fayol e Mouchon (1997) prendono in
esame il ruolo dei connettivi nella comprensione dei testi scritti,
esaminando due ipotesi diverse. Secondo la prima, i connettivi
avrebbero facilitato l’integrazione del significato semantico della
nuova
informazione
nel
modello
mentale
che
il
lettore
sta
costruendo; mentre per la seconda, i connettivi sarebbero indicatori
che forniscono informazioni su come trattare gli elementi successivi
nella frase. L’esperimento richiedeva ai soggetti coinvolti di leggere
brevi testi narrativi contenenti un evento inatteso. Lo stesso
racconto poteva essere presentato in tre diverse versioni che
64
differivano esclusivamente per la presenza o l’assenza di un
connettivo davanti alla proposizione in cui compariva l’imprevisto,
come nei seguenti esempi:
(1)
La porta sbatté contro il muro.
(2)
Ma la porta sbatté contro il muro.
(3)
Improvvisamente la porta sbatté contro il muro.
Il compito è stato proposto a lettori di età diverse: un gruppo di
studenti universitari, un gruppo di alunni di classe terza primaria e
un gruppo di classe quinta primaria. Misurando il tempo di lettura
delle singole proposizioni, risultò una relazione significativa tra
questo
e
la
presenza
improvvisamente
di
un
connettivo:
aumentava la velocità
l’uso
di
ma
di lettura delle
o
frasi
contenenti l’evento inatteso. Inoltre esaminando il tempo di lettura
dei singoli sintagmi, l’accelerazione nella lettura risultò concentrata
nel segmento immediatamente successivo al connettivo, quindi
prima che il lettore potesse comprendere l’evento descritto. Il
risultato era lo stesso per i gruppi di età diversa, a dimostrare
l’ininfluenza
del
livello
di
scolarizzazione.
Fayol
e
Mouchon
concludono quindi che la presenza dei connettivi influenza la velocità
di lettura perché fornisce informazioni sulla costruzione della frase,
suggerendo che gli elementi seguenti il connettivo appartengono alla
stessa struttura dei precedenti.
L’uso dei connettivi sarebbe dunque in relazione con la capacità di
comprendere le relazioni tra eventi, agenti e azioni, sia nella
produzione che nella comprensione. Un testo in cui i meccanismi di
coesione
siano
stati
correttamente
selezionati
dimostra
un’organizzazione strutturata dei contenuti da parte dell’autore.
Dalla prospettiva di chi riceve il messaggio, i connettivi facilitano la
comprensione, esplicitando le relazioni tra le informazioni.
65
IV.2 Connettivi e competenza testuale
Grazie agli studi più recenti, la riflessione metacognitiva sulle
caratteristiche strutturali di un testo è ormai ritenuta una delle
competenze fondamentali nella padronanza linguistica, in quanto si
tratta del processo che presiede al controllo consapevole della
produzione e della comprensione dei testi. La competenza testuale
è, in sintesi, la capacità di intendere e produrre messaggi che
realizzino pienamente l’intenzione comunicativa (INVALSI, 2011).
Per
questa
sua
valenza
globale,
che
riassume
i
traguardi
fondamentali dell’acquisizione linguistica, la competenza testuale è
stata assunta come uno dei parametri di valutazione delle facoltà
linguistiche che si formano durante il processo di istruzione. È stata
infatti definita come uno dei criteri fondamentali per la valutazione
sia nella ricerca svolta dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del
Sistema educativo (INVALSI, 2010) sugli elaborati di italiano
nell’Esame di Stato, sia nella compilazione delle prove INVALSI per
la rilevazione delle competenze di lettura. Nel primo caso, si vuole
definire il livello di competenze linguistiche nella produzione di testi
scritti degli alunni in uscita dalla scuola secondaria; nel secondo
caso, si esamina invece la comprensione di testi narrativi ed
espositivi in ogni ordine di scuola. La competenza testuale, quindi, è
stata ritenuta valutabile sia nella produzione che nella comprensione
dei testi scritti.
In particolare il Quadro di riferimento per la prova di italiano
elaborato dallo stesso Istituto definisce con esattezza le conoscenze
e le abilità sottese alla capacità di lettura di un testo, sintetizzandole
in
tre
competenze
chiave:
pragmatico-testuale,
lessicale
e
grammaticale. La competenza pragmatico-testuale è definita come
la capacità di ricostruire
l’insieme dei significati che il testo veicola (il suo senso), assieme al
modo in cui essi sono veicolati, in altri termini, l’organizzazione
66
logico-concettuale e formale del testo stesso in rapporto comunque
con il contesto (INVALSI, 2011: 6).
La competenza è poi descritta attraverso un insieme di abilità
specifiche
che
sono
individuate
grazie
a
descrittori,
ovvero
prestazioni misurabili. Il primo tra i descrittori individuati è proprio
“saper riconoscere i segnali di coesione testuale”.
Per valutare tale abilità, i ricercatori dell’INVALSI hanno selezionato
all’interno dei testi degli indicatori specifici (elementi osservabili),
ovvero catene anaforiche, connettivi e segni di interpunzione, di cui
il lettore deve comprendere il ruolo svolto. I quesiti proposti nelle
prove nazionali chiedono di sostituire, ad esempio, un connettivo
con uno analogo o di individuare il referente di un pronome. Il
rapporto sui risultati dei questionari evidenzia espressamente che
questi item sono stati quelli che hanno creato le maggiori difficoltà
in tutti gli ordini di scuola. Secondo Bertocchi (2010) le prove
segnalano che l’aspetto dell’organizzazione testuale rappresenta uno
degli
aspetti
particolare
problematici
proprio
nel
della
comprensione
riconoscimento
delle
del
testo,
relazioni
in
logiche
segnalate dai connettivi. Gli alunni non sarebbero capaci di utilizzare
le conoscenze sulla sintassi nella comprensione, perché queste sono
apprese in modo nozionistico, senza essere inserite in un lavoro di
analisi testuale. Il valore logico-semantico dei connettivi, però, non
può essere compreso se non all’interno di un contesto comunicativo.
Serianni (2010), commentando le prestazioni degli alunni negli
esami di stato, sottolinea come i risultati della ricerca presentino
una realtà parzialmente in contrasto con i pregiudizi comuni sulle
scarse competenze ortografiche degli alunni. Le maggiori carenze
nella formazione scolastica si rintracciano nella mancanza di una
visione
strutturale
del
testo
come
un
insieme
ordinato
e
gerarchizzato di idee. Intervenire su questo aspetto è sicuramente
più complesso che insegnare qualche regola di ortografia, ma è
appunto il compito principale che dovrebbe assumersi la scuola,
67
realizzando percorsi mirati ad affrontare le difficoltà linguistiche più
frequenti, come quelli previsti per l’insegnamento delle lingue
straniere. Tra gli esempi che Serianni cita come esercizi utili, c’è il
completamento di testi (cloze) in cui siano stati preventivamente
eliminati i connettivi.
Anche per Sabatini (2010), i risultati estremamente insoddisfacenti
sono il risultato di un insegnamento della grammatica inteso come
un
travaso
di
classificazioni
e
regole,
senza
una
riflessione
sistematica sui fatti linguistici. Le cause di questa prassi didattica
inadeguata sono da rintracciare nella mancanza di un modello
esplicativo coerente costruito sui principi della moderna linguistica.
La prevalenza di una concezione spontaneistica della lingua,
estremamente
distante
dalla
visione
scientifica,
inducono
gli
insegnanti a sottovalutare l’importanza di un tirocinio lungo e
strutturato per gradi in cui esercitare la lettura e la scrittura.
Raccogliendo i suggerimenti degli esperti, risulta evidente come sia
necessario portare al centro della riflessione sulla lingua nella scuola
i principi costitutivi del testo. Per farlo si deve ripristinare un filo
diretto tra le attività presentate in classe e le teorie linguistiche. Per
quanto riguarda la competenza testuale, il Quadro di riferimento già
citato si riferisce espressamente alla linguistica testuale, come
ambito di riferimento teorico principale. A partire dalla definizione di
testo elaborata da de Beaugrande e Dressler (1984), il documento
riconosce nella coesione testuale uno dei campi di lavoro da
privilegiare nell’analisi del testo. La difficoltà generalizzata nel
riconoscere la rete di legami logici, semantici e sintattici nel testo,
emersa nelle prove INVALSI, induce a pensare che questo aspetto
sia sottovalutato nella didattica quotidiana. Dato che si tratta di una
competenza, questa può essere esercitata solo in un rapporto attivo
con testi il più possibile vari e stimolanti, attraverso una ricerca
critica che procede per prove ed errori. In questa prospettiva la
riflessione
metalinguistica
si
sviluppa
a
partire
da
un’analisi
68
oggettiva e metodica di testi reali per arrivare a sintetizzare le
regole della lingua attraverso l’osservazione dei fenomeni linguistici.
Progettare un tirocinio da apprendista scrittore (o lettore) impone di
concentrare l’attenzione di volta in volta su un singolo aspetto
attraverso cui è possibile riconoscere la coesione testuale. Tra i
diversi meccanismi coesivi quello che ritorna con una certa costanza
nella letteratura esaminata finora, sia come indicatore per la
valutazione sia come argomento per esercizi di addestramento, è
proprio l’uso dei connettivi.
I connettivi permettono di visualizzare concretamente le relazioni
che lo scrivente ha inteso istaurare tra le informazioni selezionate.
Ci danno degli indizi da seguire per ricostruire il ragionamento
seguito dall’autore nella pianificazione del testo, aiutandoci a
concepire la scrittura come un processo dinamico e non come un
prodotto
finito.
Bereiter
e
Scardamalia
(1995),
che
hanno
interpretato il processo di scrittura come una modalità di problem
solving, hanno enfatizzato nel loro metodo tutte quelle strategie che
impongono di revisionare costantemente il testo, integrando nuove
idee nella struttura complessiva. Proponendo alcuni esercizi per
stimolare nei bambini la produzione di schemi più complessi di quelli
aperti tipici del parlato, gli autori suggeriscono di proporre, in fase di
ideazione, alcuni connettivi con la funzione di anticipatori logici. Così
i bambini sarebbero stimolati a ramificare il proprio discorso,
intuendo la possibilità di derivare da alcuni concetti conseguenze,
esemplificazioni, definizioni più precise. I connettivi non sono intesi
solo come dei “ganci” per collegare diversi argomenti già definiti, ma
come indicazioni utili per far procedere il ragionamento. Potrebbero,
quindi, essere inseriti non solo nella fase di stesura finale del testo,
in cui si sviluppano gli argomenti in ordine lineare, ma anche nei
momenti di ideazione e pianificazione.
L’attività suggerita per far approfondire ai bambini il proprio
ragionamento richiama un processo naturale che è stato osservato
nell’acquisizione del linguaggio. Bruner (1992), riferisce che già
69
verso i tre anni i bambini introducono connettori che definiscono in
modo più rigoroso i rapporti tra gli eventi descritti. Le prime
espressioni di questo tipo sono semplici congiunzioni (e), che in
seguito si evolvono in locuzioni temporali (e poi) ed infine diventano
nessi causali (perché). I bambini, scegliendo in modo corretto tra le
diverse relazioni possibili, dimostrano di ragionare su uno schema
complesso in cui i diversi fatti e personaggi devono essere inseriti.
Selezionano quindi coerentemente forme linguistiche che esprimono
una relazione temporale, tipica della narrazione o una relazione
causale, coerente con una sequenza logica di tipo paradigmatica. Il
bambino è in grado di esprimere la propria esperienza in modo
realistico e strutturato, spiegando il ruolo di avvenimenti esterni e le
proprie scelte in merito, dimostrando di utilizzare due modalità
contraddistinte del pensiero.
Per Bruner (2003) il pensiero paradigmatico ed il pensiero narrativo
rappresentano due punti di vista diversi sulla realtà, che rispondono
a processi cognitivi propri. Il primo è un pensiero nomotetico che
cerca di trascendere l’esperienza per arrivare a leggi universali e che
si esprime attraverso l’argomentazione, basata sulla verificabilità
delle ipotesi. Il pensiero narrativo invece si concentra sul particolare,
cercando di dare un significato all’esperienza all’interno di un preciso
contesto
culturale,
costruendo
un
racconto
il
più
possibile
verosimile. I processi di interpretazione della realtà hanno sempre
una visione duale, in grado di valutare una molteplicità di possibilità.
Le
narrazioni
comprensibile
spiegano
rispetto
gli
allo
avvenimenti
sfondo
collocandoli
culturale,
ma,
in
modo
laddove
la
narrazione si spezza a causa di un evento insolito, interviene il
pensiero paradigmatico per risolvere il problema che si è creato,
attraverso soluzioni logiche. In una retorica efficace, capace di
spiegare nel modo più convincente la posizione del narratore, il
modo narrativo ed il modo paradigmatico si intersecano, senza
fondersi, svolgendo funzioni diverse, affinché il discorso risulti
verosimile e consequenziale.
70
L’esperimento di Fayol e Mouchon (1997) conferma l’intuizione di
Bruner, in quanto dimostra che, nonostante i bambini non usino
abitualmente i connettivi nella propria produzione linguistica, li
introducono quando devono raccontare una storia in cui compare un
evento inaspettato. Sono quindi in grado di comprendere la funzione
puramente linguistica svolta dai connettivi, come elemento che
segnala una relazione tra parti diverse del testo. Nei testi presentati
ai bambini sottoposti alla prova, la storia era formata da frasi
estremamente brevi, che descrivevano azioni semplici, cioè era
strutturata in modo analogo ai racconti infantili. Il passo successivo
è determinare se i bambini in età scolastica siano in grado di
comprendere i nessi coesivi anche all’interno di testi più complessi,
in particolare in quelli scritti, su cui si basa una buona parte
dell’apprendimento formale.
IV.3 La comprensione del testo scritto
Fin dalla scuola primaria, i bambini incontrano testi scritti, che
presentano concetti complessi, formati da sequenze complesse di
informazioni. Ad una maggiore complessità concettuale corrisponde
una struttura linguistica più elaborata, con differenze significative
rispetto alla lingua parlata. La mancanza di un rapporto diretto tra
emittente e destinatario impone di organizzare il testo in modo
preciso e coerente per evitare fraintendimenti. Anche l’impossibilità
di
ricorrere
al
contesto
e
agli
elementi
pragmatici
della
comunicazione richiede di definire con esattezza i rapporti tra gli
elementi citati (Bereiter e Scardamalia, 1995). La necessità di
esporre in modo chiaro le relazione tra gli argomenti costringe ad
elaborare una struttura formale complessa, in modo che le relazioni
tra le idee si riflettano nelle dipendenze tra frasi, periodi e paragrafi,
che compongono una rappresentazione unitaria. Il testo scritto, per i
motivi esposti, è caratterizzato da coerenza e coesione più marcate
71
rispetto al testo orale: le frasi sono mediamente più lunghe e
complesse, con un uso frequente della subordinazione; c’è una
presenza maggiore delle forme anaforiche; sono frequenti gli
elementi linguistici che segnalano relazioni tra parole o frasi (Della
Casa, 1994).
Per procedere oltre nell’analisi sul ruolo dei connettivi nella
comprensione del testo è necessario prendere come riferimento un
modello teorico che ricostruisca i processi cognitivi che ne sono alla
base. Il modello scelto e descritto nel seguito del paragrafo è quello
di Kintsch e van DijK (1978), che si propone di ricostruire la
rappresentazione mentale di un testo che si forma nel lettore19,
quando la comprensione è stata adeguata. La teoria si basa sulla
struttura semantica del testo, a partire dalla quale ricava i processi
cognitivi: i principi di coesione e di coerenza, che caratterizzano la
struttura del testo, sono considerati gli stessi principi che il ricevente
mette in atto quando ricostruisce il significato complessivo del
discorso nel processo di comprensione.
La comprensione del testo è percepita come un’esperienza diretta e
unitaria, ma in realtà, a livello psicologico e fisiologico, può essere
scomposta
in
numerose
operazioni
che
attivano
attenzione,
consapevolezza, risoluzione di problemi e memoria. È dunque un
processo di tipo sistemico formato da tre sottosistemi di operazioni
cognitive, che procedono in parallelo o in interconnessione. Il primo
sottosistema è un insieme di operazioni che memorizzano e
organizzano coerentemente gli elementi significativi del testo; il
secondo riduce alla sua essenza il significato globale; il terzo genera
nuovi testi attraverso inferenze mnemoniche.
19
Nel testo useremo indifferentemente il termine lettore o ricevente, considerato che l’autore
afferma che il modello si applica indifferentemente alla lettura e all’ascolto di testi, anche se è
stato derivato da sperimentazioni volte con testi scritti.
72
Si assume che la struttura superficiale del discorso sia formata da
un insieme strutturato di proposizioni20, ordinato attraverso relazioni
semantiche. Il significato e l’oggetto delle singole frasi sono
comprensibili non solo in base agli elementi che le costituiscono, ma
anche grazie all’interpretazioni delle altre frasi del testo. Alcune di
queste relazioni sono espresse esplicitamente attraverso meccanismi
linguistici, altre devono essere inferite attraverso riferimenti al
contesto o a conoscenze di ordine generale. Da questa osservazione
consegue che chi usa il linguaggio deve collegare le nuove
informazioni a quelle che già ha ricevuto dal testo, dal contesto o dal
suo bagaglio di conoscenze generali.
La struttura semantica del testo si esprime su due livelli: nelle
microstrutture, cioè le strutture delle singole proposizioni, e nelle
macrostrutture che definiscono il testo come un’unità. Un testo è
tale solo se clausole e proposizioni sono collegate tra loro e se le
proposizioni
sono
organizzate
globalmente.
Il
processo
di
comprensione ricostruisce, a partire dal testo dato, un nucleo
tematico (detto text base), formato dalle proposizioni che spiegano
di
che
cosa
parla
il
testo
(livello
microstrutturale)
e
dalle
proposizioni che riassumono e collegano i punti cardine del discorso
(livello macrostrutturale). Individuare singole proposizioni non è
sufficiente, se non le si inserisce in una mappa che ricostruisce il
significato globale del discorso, ovvero ciò che il testo intende dire.
Le macrostrutture garantiscono il senso solo se sono coese e
coerenti, ovvero se sono derivate dalle microstrutture e preservano i
legami necessari all’interpretazione. Se costruendo il text base, il
ricevente elimina una proposizione necessaria alla comprensione
delle proposizioni seguenti, modifica il significato complessivo.
La selezione dei nuclei centrali del discorso non avviene alla fine
della lettura, ma procede attraverso addizioni successive, a causa
20
Con il termine proposizione ci si riferisce alla nozione derivata dalla logica di elemento
unitario del discorso che coincide con un’unità sintattica. Ogni proposizione deve includere un
predicato e uno o più argomenti, che dipendono dalla natura del predicato.
73
delle limitazioni della memoria di lavoro a breve termine. La
memoria immagazzina solo un numero limitato di proposizioni,
inoltre
quando
incontra
una
nuova
informazione
prima
di
selezionarla la confronta con il materiale già presente e la include
solo se coerente con il resto. Se il legame tra le due proposizioni è di
tipo inferenziale è richiesto un intervento della memoria di lungo
termine, che rende più complesso il processo.
In tal modo il lettore esamina attraverso letture cicliche l’intero testo
al fine di ricostruire una rete di proposizioni. Nel processo queste
possono essere lasciate inalterate, cancellate, generalizzate o unite
in un periodo complesso. Quando una proposizione (o il risultato
della sua trasformazione) viene inclusa nella macrostruttura, è
definita macroproposizione. La rete macrostrutturale può essere
immaginata
come
un
diagramma
in
cui
i
nodi
sono
le
macroproposizioni e le frecce sono le relazioni istaurate.
Le relazioni tra macroproposizioni sono di diverso tipo. Alcune
istaurano
una
coreferenza,
laddove
diversi
elementi
della
proposizione si riferiscono allo stesso oggetto, che può essere un
individuo, una cosa, una proprietà, un evento. Un esempio tipico è il
rapporto istaurato da un pronome o da un articolo determinativo con
un altro elemento già nominato. In secondo luogo, le proposizioni
possono essere collegate perché esprimono fatti collegati tra loro da
relazioni di necessità, compatibilità o di possibilità. Tali connessioni
sono tipicamente espresse dai connettivi. Infine è possibile definire
relazioni tra proposizioni di tipo funzionale al livello pragmatico della
comunicazione.
Le macrostrutture sono sotto il controllo di uno schema, ovvero della
struttura convenzionale del discorso che ne esprime lo scopo. Ciò
significa che per selezionare le proposizioni significative per la
comprensione, il lettore deve prefiggersi uno scopo al momento
della lettura. Esempi tipici di schema sono la struttura narrativa e la
struttura
argomentativa.
I
testi
di
questo
tipo
hanno
delle
caratteristiche convenzionali precise che permettono di riconoscerli,
74
di giudicarne la correttezza, di decidere se un’informazione è
rilevante o meno per la comprensione globale. Quando il lettore non
è in grado di definire gli scopi del testo, ad esempio perché non
appartiene ad una categoria definita in modo convenzionale, crea
dei
propri
schemi
di
interpretazione
che
danno
luogo
a
macrostrutture non prevedibili. Al contrario, nei testi in cui lo
schema è riconosciuto all’interno di un dato gruppo culturale, si
otterrà un text base condiviso.
Il problema della coesione è centrale nel modello di Kintsch e van
Dijk, perché afferma che la comprensione è adeguata solo se il
lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che sono espressi
attraverso diversi meccanismi coesivi. Tra questi, i connettivi
svolgono, secondo gli autori, la funzione di collegare le frasi in unità
sovraordinate, attraverso cui si esprimono le relazioni fattuali.
Il modello Kintsch e van Dijk è stato utilizzato da Bereiter e
Scardamalia (1995) per interpretare i dati raccolti nelle prove
realizzate per studiare le strategie efficaci di lettura. Nei compiti
sperimentali si propone ai soggetti coinvolti di ragionare ad alta
voce mentre leggono un brano. L’analisi dei resoconti registrati ha
permesso di capire come i lettori affrontano le difficoltà di
comprensione. In particolare la ricerca ha osservato le strategie
adottate da bambini e adolescenti di diversa età per valutare se ad
una maggiore esperienza corrispondano strategie più efficaci.
L’analisi dei diversi tipi di rappresentazione mentale del testo
costruiti dagli studenti ha permesso di ricostruire le strategie
adottate nella lettura21.
I lettori che dimostrano un’adeguata competenza sono quelli che
cercano di ricostruire il significato generale. I risultati sono a
sostegno del tipo di competenza rappresentata da Kintsch e van
Dijk, secondo i quali il processo di comprensione è un processo
sistemico, in cui diverse operazioni devono essere integrate. Le
21
Diverse ricerche dimostrano che le operazioni mentali sono le stesse nei processi di
comprensione e produzione. In questa sede si limita l’analisi alla prima.
75
difficoltà di comprensione potrebbero essere quindi causate da una
rappresentazione incompleta o scorretta, in cui non sono state
messe in atto quelle operazioni che permettono l’integrazione delle
informazioni. I lettori esperti procedono ad una sintesi dei contenuti
e ne valutano la coerenza, mettendo in atto processi di problem
solving,
se
evidenziano
incongruenze.
Inoltre
si
interrogano
esplicitamente sui legami interfrastici, focalizzando l’attenzione sugli
elementi di coesione. Non si limitano a raccogliere particolari, ma
costruiscono enunciati riepilogativi che riassumono i punti focali del
messaggio.
Inoltre, la teoria esposta sostiene che la comprensione opera
attraverso processi ciclici, con operazioni di cancellatura, selezione e
costruzione di nuove proposizioni che vengono riviste e modificate in
momenti successivi di rielaborazione e integrazione di nuove
proposizioni. I lettori esperti dimostrano di operare costantemente
processi di rilettura e verifica delle proprie ipotesi. Ogni nuova
informazione è confrontata sia con quelle ricavate precedentemente
dal testo che con le conoscenze già possedute.
I dati da raccolti da gruppi di età diversa dimostrano che i ragazzi
più
giovani
possiedono
strategie
inadeguate
che
tendono
a
concentrarsi solo sui particolari, trascurano i collegamenti, non
mettono in discussione le informazioni acquisite. Tuttavia alcune
ricerche stabiliscono che in alcuni casi le strategie immature
persistono oltre l’età in cui dovrebbero essere superate e ne
deducono che la competenza testuale non è intrinseca al sistema
umano di elaborazione dell’informazione, ma deve essere acquisita.
Dai risultati teorici sono stati tratte indicazioni per migliorare le
strategie di elaborazione testuale attraverso interventi didattici
mirati. Ma la programmazione di qualunque attività didattica parte
dal riconoscimento delle competenze acquisite e dall’individuazione
delle incoerenze nell’esecuzione dei compiti, nelle quali si può
individuare lo spazio per un miglioramento. Perciò, prima di
procedere ad illustrare le implicazioni educative che derivano dagli
76
studi sulla competenza testuale, si presenta nelle prossime pagine
un’esperienza svolta in classe per definire con precisione le difficoltà
incontrate dagli alunni nel riconoscere il ruolo dei connettivi e di
conseguenza l’importanza del principio di coesione nella costruzione
del testo.
77
CAPITOLO V
ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE
V.1
Descrizione della prova svolta in classe
Come si è visto, il problema della coesione è centrale nel modello di
Kintsch e van Dijk (1978), in cui si afferma che la comprensione è
adeguata solo se il lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che
sono espressi attraverso diversi meccanismi coesivi. La capacità di
riconoscere queste relazioni è una componente importante della
competenza testuale, in quanto è indice della comprensione della
struttura complessiva in cui si articola il tema generale. La
comprensione dei singoli concetti, infatti, non garantisce che il
messaggio complessivo del discorso sia stato adeguatamente
compreso.
La presenza di relazioni fattuali o pragmatiche può essere segnalata
esplicitamente dai connettivi, che svolgono la funzione di collegare
le frasi in unità sovraordinate. Il connettivo è un indicatore
attraverso cui l’autore del testo segnala al lettore come interpretare
correttamente
il
tipo
di
relazione
presente
tra
i
concetti.
Un’interpretazione adeguata favorisce dunque la costruzione della
rappresentazione mentale su cui si basa la comprensione.
In base a questi presupposti, ci si propone di verificare se gli alunni
al termine della scuola primaria siano in grado di riconoscere la
funzione dei connettivi in un dato testo. A questo scopo è stata
elaborata una prova di comprensione di testi complessi, in cui
compaiono diverse forme di connettivi. La prova richiede di
ricostruire il testo, reinserendo delle frasi che sono state tolte
precedentemente. Per svolgere il compito, ovviamente è necessario
riconoscere le relazioni che legano le frasi da inserire a quelle
precedenti. L’ipotesi da verificare è se la presenza di un connettivo
78
facilita il riconoscimento delle relazioni tra proposizioni e quindi la
corretta ricomposizione del testo oppure se si ottengono risultati
equivalenti fornendo frasi prive di connettivi.
La ricostruzione di un testo a partire da alcune frasi date è un
compito che si pone nell’intersezione tra lettura e scrittura, perché,
come la prima, presuppone di comprendere espressioni già formate
e, come la seconda, presuppone la creazione di un testo a partire da
informazioni non lineari. Le ricerche dimostrano che gli studenti
esperti considerano il compito di riordinamento come un compito
che richiede di ricostruire un messaggio generale coerente, in modo
cioè analogo alla lettura. Tale conclusione è stata elaborata
osservando le strategie adottate per la risoluzione in un contesto
sperimentale
(Bereiter
e
Scardamalia,
1995).
Le
strategie
inadeguate permettono di comprendere i contenuti, analizzando
separatamente i diversi argomenti, ma non producono enunciati
riepilogativi che codificano i legami proposizionali tra le frasi del
testo collegate tra loro. I lettori che adottano queste strategie,
quindi, mettono insieme le frasi che contengono gli stessi termini e
poi cercano di metterle in sequenza, i lettori esperti, invece, cercano
di ricostruire il tema centrale e poi combinano le frasi per ottenerlo.
Nella lettura gli inesperti procedono fissando in modo definitivo le
conoscenze appena le registrano, mentre gli esperti riescono a
ricordare e a riconsiderare informazioni acquisite in precedenza in
funzione delle nuove informazioni che incontrano procedendo nella
lettura del testo. Nei problemi di combinazione di frasi si verifica lo
stesso processo: le strategie efficaci sono quelle che formano
raggruppamenti provvisori e procedono alla rilettura di sequenze già
formate e alla verifica del significato globale. Risulta
inadeguata
invece la scelta di collocare gli enunciati appena letti in modo
definitivo, senza riconsiderare in seguito le proprie valutazioni sul
collocamento.
In considerazione delle conclusioni esposte, si è ritenuto che la
prova di ricostruzione del testo fosse la più adeguata per valutare la
79
capacità di riconoscere le relazioni istaurate dai connettivi. Infatti il
compito richiede le stesse operazioni mentali della comprensione e
contemporaneamente permette di verificare se le relazioni sono
state individuate, semplicemente verificando se la frase è stata
inserita nel posto giusto.
La prova è stata somministrata a 44 alunni provenienti da due classi
quinte della stessa scuola primaria di Trento. Il compito è stato
presentato come un normale esercizio da svolgere durante l’attività
scolastica. Le istruzioni, estremamente semplici, erano scritte in
testa al foglio utilizzato e non hanno richiesto ulteriori spiegazioni. Il
tempo concesso per completarla è stato di un’ora22.
Lo scopo era ricostruire due testi dai quali erano state tagliate
alcune frasi. I testi erano brevi (572 e 807 parole), continui, senza
riferimenti ad un eventuale cotesto. In ogni brano sono state
selezionate dieci frasi, nelle quali era presente un connettivo. Si è
ritenuto
necessario
garantire
che
il
testo
rimasto
fosse
comprensibile, ma che comunque ci fosse un certo numero di
opzioni verosimili tra cui scegliere per completarlo.
Nella prova i ragazzi hanno ricevuto due pagine per ogni testo. Nella
prima era riportato il testo privato delle dieci frasi selezionate. Le
lacune
erano
segnalate
visivamente
da
uno
spazio
vuoto
sottolineato, come nell’esempio:
La Terra attira l’ago della bussola sempre verso lo stesso punto, il
nord. ________________ . La bussola fu inventata probabilmente
dai cinesi e portata in Europa nel XII secolo dagli arabi.
Nella seconda pagina erano riportate in ordine casuale le frasi
eliminate, precedute da una lettera dell’alfabeto per individuarle. La
22
Per controllare che il tempo a disposizione fosse adeguato, la prova era stata svolta
preventivamente da una ragazza della stessa età. Nella correzione degli elaborati,
effettivamente non è stata trovata nessuna prova non terminata.
80
consegna chiedeva di indicare negli spazi vuoti del testo la frase
mancante.
I soggetti sono stati divisi in modo casuale in due gruppi,
denominati A e B. Entrambi i gruppi hanno ricevuto gli stessi testi da
completare, ma gli alunni del gruppo A hanno ricevuto le frasi da
inserire così come erano nel testo originale, cioè con i connettivi,
mentre quelli del gruppo B hanno ricevuto le stesse frasi senza
connettivi:
GRUPPO A:
(h) Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono anche
gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le
nuvole, di giorno o di notte.
GRUPPO B:
(h) Sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti
cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di
giorno o di notte.
V.2
Criteri di scelta dei testi
Il primo testo scelto per la prova si intitola Come orientarsi? ed è
uno dei primi capitoli di un manuale di geografia per la scuola
secondaria di primo grado23. Vi si spiega il concetto di orientamento
prima attraverso una semplice definizione etimologica, poi con la
descrizione
dei
punti
cardinali
ed
infine
con
alcuni
esempi.
L’argomento trattato fa parte delle nozioni introduttive necessarie
per lo studio della disciplina.
Il secondo, Il nascondino, è un racconto estratto da un romanzo di
Matilde Serao24. Narra come si svolgeva abitualmente il gioco tra i
bambini in una grande casa di campagna e come finì una della
23
Il testo, tratto dal manuale di De Marchi, Dottori e Ferrara (2010), è riportato in Appendice.
Il testo è stato estratto dall’antologia per la scuola secondaria di primo grado curata da Bosio
e Schiapparelli (2003) ed è riportato in Appendice.
24
81
partite più interessanti, nella quale i bambini restarono imprigionati
in un enorme canestro.
Dato che la prova si proponeva di focalizzare l’attenzione su un
elemento particolare della comprensione, cioè l’uso dei connettivi,
sono stati scelti due testi che non presentassero particolari difficoltà
nel lessico e nel contenuto. Si voleva infatti evitare che eventuali
difficoltà di comprensione potessero essere attribuite ad una
mancata conoscenza di termini specifici.
Entrambi i brani selezionati per la prova sono stati estratti da
manuali scolastici per la prima media, perché i ragazzi che hanno
affrontato la prova erano alla fine della scuola primaria e quindi di lì
a pochi mesi avrebbero dovuto confrontarsi con quel genere di testi.
Per avere un’ulteriore conferma che il livello linguistico fosse
adeguato, i testi sono stati fatti leggere alle insegnanti delle due
classi coinvolte, che li hanno ritenuti di facile comprensione, in
particolare in relazione al lessico utilizzato.
I temi trattati erano già noti ai ragazzi, in un caso perché si
presenta un argomento basilare nello studio della geografia, che era
stato affrontato approfonditamente in classe, e nell’altro caso perché
si descrive un gioco ampiamente noto. La comprensione doveva
risultare
facilitata
presupponeva
dalla
nessun
familiarità
tipo
di
con
i
conoscenza
contenuti,
pregressa,
ma
non
perché
l’argomento trattato iniziava e si concludeva in modo compiuto
all’interno del testo. Di conseguenza la comprensione non richiedeva
inferenze complesse con un contesto extratestuale o con le proprie
conoscenze enciclopediche, ma necessitava soltanto della capacità di
ricostruire la rete di relazioni tra concetti espressa all’interno del
testo.
Il testo Come orientarsi? è composto da ventisette frasi brevi, con
una preponderanza di proposizioni coordinate. Il nascondino è
composto da trentotto frasi di lunghezza variabile, ma in genere
sintatticamente più complesse. Sono presenti molte subordinate
temporali introdotte da dopo, quando, mentre, ecc. Ci sono inoltre
82
alcune sequenze di discorso diretto che riportano le esclamazioni dei
bambini durante il gioco.
I due testi appartengono a due tipologie diverse: il primo ha una
struttura espositiva, il secondo narrativa. La scelta è stata così fatta,
perché in questi tipi di testi è possibile individuare con precisione lo
scopo dell’autore e riconoscere dei caratteri linguistici ben definiti.
Come stabilito dal modello di van Dijk (1978) questo tipo di
struttura propone uno schema noto che facilita le operazioni
cognitive necessarie alla comprensione.
Lo
studio
dei
testi,
fin
dalla
retorica
classica,
ha
operato
classificazioni proponendosi di spiegare il rapporto tra il contenuto e
la forma. Esistono numerose tipologie, realizzate a partire da criteri
che individuano aspetti diversi del testo, ad esempio il mezzo di
comunicazione o la destinazione. La classificazione più diffusa
nell’ambito
dell’educazione
linguistica
si
basa
su
un
criterio
funzionale-cognitivo, cioè si interroga sul rapporto che l’autore
stabilisce con la propria esperienza quando intende esprimerla. Per
definire
il
tipo
macrofunzioni
di
testo
si
comunicative:
parte
dal
riconoscimento
descrivere,
narrare,
delle
esporre,
argomentare, prescrivere (Lala, 2011).
Queste funzioni possono essere associate a precise operazioni
cognitive, attraverso cui il soggetto ha interrogato e ricostruito la
realtà: cogliere le percezioni relative agli oggetti o ai fenomeni in un
contesto spaziale statico; comprendere e spiegare eventi e azioni in
una
sequenza
dinamico-temporale;
analizzare
e
sintetizzare
concetti; selezionare e collegare argomenti allo scopo di persuadere;
pianificare
il
comportamento
futuro
(Lavinio,
1990).
La
classificazione presentata è utile in ambito didattico perché permette
di comprendere che cosa renda un testo efficace, ovvero coerente
con lo scopo che si prefigge. Si possono così guidare gli alunni nel
riconoscimento delle forme linguistiche che l’autore ha selezionato
83
per esprimere un dato argomento attraverso una preciso processo
cognitivo (Della Casa, 1994).
Per valutare le capacità di comprensione dei ragazzi, si è ritenuto
opportuno selezionare due testi con caratteristiche molto marcate,
uno di tipo espositivo ed uno di tipo narrativo. Secondo la
classificazione
di Lala
(2011),
al tipo
espositivo
è
correlata
l’operazione cognitiva di scomporre o ricomporre gli elementi
costituivi di un concetto; al tipo narrativo quella di cogliere le
differenze e le interrelazioni di percezioni relative a eventi e azioni
situati in un contesto temporale. In questi termini, parlando cioè di
competenze e non di modalità astratte di pensiero, si può
riconoscere che il primo adotta strategie tipiche del pensiero
paradigmatico, mentre il secondo adotta schemi del pensiero
narrativo. In ognuno di questi testi è importante segnalare l’ordine
degli eventi o delle informazioni secondo un criterio temporale o
logico, di conseguenza si potrà rilevare una differenza nell’uso dei
connettivi che segnalano queste relazioni.
Lo scopo dei testi espositivi è la trasmissione di un sapere, che
richiede l’analisi di concetti generali o la sintesi di concetti
particolari. L’emittente si propone di fornire informazioni ad un
destinatario non completamente competente, cercando di rendere il
testo fruibile attraverso un lessico non troppo tecnico e con l’uso
frequente di definizioni. Nella struttura testuale assume un ruolo
fondamentale la selezione delle informazioni, che devono essere
presentate in un ordine coerente e ben riconoscibile: per questo
motivo spesso il testo espositivo è suddiviso graficamente in blocchi
in cui sono presentati i diversi temi. I connettivi svolgono un ruolo
particolarmente significativo perché sottolineano l’organizzazione
degli argomenti rendendo espliciti i legami tra i concetti. Il testo
espositivo è generalmente più semplice del testo argomentativo, che
impone di riconoscere le diverse argomentazioni a favore o contro
una tesi, ma richiede comunque di cogliere le diverse informazioni e
di capire le relazioni che le collegano (Lavinio, 1990). È il tipo di
84
testo che caratterizza i manuali scolastici, perciò la capacità di
comprenderne
i
meccanismi
è
fondamentale
per
lo
studio
individuale.
Nel testo narrativo il principale criterio di organizzazione dei
contenuti
è
la
sequenza
temporale
degli
eventi,
che
può
corrispondere alla sequenza cronologica o essere alterata in funzione
di scelte stilistiche. I connettivi sono ugualmente importanti ma
sono
principalmente
di
tipo
temporale,
specificano,
cioè
la
successione in cui si sono svolti gli eventi e la loro relazione con il
tempo interno del testo (Lavinio, 1990). Come è stato già
ampiamente discusso nel primo capitolo, risponde alla necessità di
interpretare la realtà attraverso schemi noti. Il testo narrativo, oltre
ad
essere
estremamente
presente
nel
linguaggio
comune,
caratterizza la prosa letteraria che è al centro della programmazione
didattica.
La riflessione sul testo narrativo e sul testo espositivo è riconosciuta
come un elemento fondamentale del percorso di apprendimento
linguistico in ogni livello della programmazione didattica (MPI, 2007)
ed è ben rappresentata nei testi in uso nelle scuole. Anche l’INVALSI
propone questi tipi di testo per la valutazione delle competenze di
lettura nella la scuola primaria e secondaria di primo grado. Il testo
di tipo espositivo è proposto solo a partire dalla quinta primaria,
perché è considerato più complesso. I risultati hanno confermato
questa previsione, dato che gli alunni ottengono punteggi migliori
nel testo narrativo (Bertocchi, 2010).
V.3
Descrizione dei connettivi
Le frasi che gli alunni dovevano ricollocare nella prova sono
sintatticamente autonome, ma collegate al resto del testo attraverso
85
un connettivo25. Nella maggior parte dei casi considerati, i connettivi
si trovano all’inizio della frase, in ogni caso sono sintatticamente
autonomi rispetto alle altre parole della frase e quindi possono
essere cancellati senza modificare né il valore informativo né la
forma del messaggio. In tre casi, tutti nel testo espositivo, i
connettivi (dunque, di solito, però) sono posizionati in una posizione
parentetica tra due parole:
(3e)
[Orientarsi permette dunque di sapere dove ci si trova e quale
percorso
si
deve
compiere
per
raggiungere
il
luogo
desiderato].
La relazione istaurata collega quasi sempre due frasi adiacenti.
Nell’esempio seguente la frase eliminata (Allora quello sotto…)
istaura una relazione temporale con la frase immediatamente
precedente:
(1n)
Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano,
stridulo, prolungato:- Vieni! [Allora quello sotto si muoveva
con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto,
guardando a dritta, a sinistra, camminando a piccoli passi].
Solo in pochi casi il connettivo svolge una funzione conclusiva che si
riferisce ad un insieme di informazioni presentate precedentemente
nel testo, come per la frase (7e), che riassume tutti gli altri metodi
di orientamento già descritti nei paragrafi precedenti:
(7e)
[Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né
della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul
mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la
bussola].
25
Le frasi citate in questo paragrafo e nei successivi sono indicate con una sigla, ad esempio
1n: il numero rappresenta la loro posizione nel testo (come è riportato in Appendice) e la
lettera indica da quale testo sono state estratte (e = espositivo; n = narrativo). Con le parentesi
quadre si indica la frase che è stata eliminata dal testo redatto per la prova.
86
Pur eliminando il connettivo la relazione semantica tra le due parti
permane, ma non è più esplicita. A volte sono presenti altri
meccanismi coesivi, quali ad esempio l’accordo morfologico o i
pronomi. Nell’esempio (8n), la coesione tra le due frasi è garantita
dalla ripetizione del nome Michele e dalla ricorrenza del verbo
trovare:
(8n)
Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci
trova – dicevamo sottovoce ridendo. [Poi cominciammo a
seccarci: poiché Michele non ci trovava, era meglio uscire di lì
e andargli a dire che era uno scemo, uno scemone, che
gliel’avevamo fatta].
Le funzioni svolte dai connettivi sono molto varie. Nel testo
espositivo i connettivi segnalano relazioni di opposizione (tuttavia,
ma,
però),
di
deduzione
o
conclusione
(così,
dunque,
di
conseguenza, infine), di esemplificazione (ad esempio, di solito), di
tempo (successivamente). Tutti i termini marcano dunque una
precisa relazione tra i fatti esposti nelle diverse proposizioni.
Nel testo narrativo i connettivi sono prevalentemente di tipo
temporale (allora, finalmente, infine, sino a che, prima, poi), ma in
alcuni casi enfatizzano un cambio nel discorso (allora, e, ma,). In
questo caso svolgono una funzione demarcativa, ovvero articolano e
segnalano il rapporto tra le diverse parti del testo (Bazzanella,
1995). I due ma presenti nel testo indicano una transizione a livello
metatestuale, indicando un momento di rottura nella narrazione. Il
primo ma sottolinea il momento in cui l’attenzione si sposta dalla
descrizione del comportamento del gruppo di bambini al racconto
delle gesta di uno di loro:
(5n)
[Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava
sotto era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è
87
diventato medico.].
Il secondo ma segnala una conclusione imprevista del racconto.
(10n)
[Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di
Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che
noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente,
prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda
con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto].
In entrambi gli esempi, il valore semantico della congiunzione che
esprime opposizione o limitazione non è del tutto svanito, ma si
riferisce in modo generico a quanto detto nella sequenza precedente
del testo.
Lo stesso connettivo può svolgere due funzioni diverse, come si
vede nel caso di allora. La funzione di indicatore temporale è
chiaramente espressa nella frase (1n), già citata, nella quale ha il
significato di “in quel momento, quando tutti erano nascosti”. La
funzione demarcativa, invece, si ritrova nella frase (3n), nella quale
indica la conclusione degli eventi narrati nelle righe precedenti:
(3n)
[Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a guardar
sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che non
aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in
trappola, chinando il capo e allungando il muso].
La congiunzione e compare all’interno di una battuta, riportata
attraverso il discorso diretto:
(3n)
[E non potevi scappare quando lui è passato?].
Il testo imita una modalità di espressione tipica del parlato in cui e
svolge una funzione interazionale tra il parlante e l’interlocutore.
88
V.4
Analisi dei risultati
In ogni testo proposto agli alunni erano presenti dieci vuoti da
colmare con le frasi mancanti. Sono state considerate risposte
errate quelle in cui era indicata una frase diversa da quella originale.
I casi in cui l’alunno non ha indicato nessuna risposta sono stati
estremamente rari, ma più numerosi nel testo di tipo espositivo (11
su 220 risposte) che nel testo narrativo (3 su 220). In tutti i casi le
risposte mancanti sono distribuite su diverse prove e su diverse
domande e non sono quindi indice di un compito non terminato. Non
ci sono state prove non valide per cui si dispone nel complesso di 44
testi narrativi e 44 testi espositivi da analizzare. Di queste la metà
sono state svolte dal gruppo che aveva a disposizione le frasi con i
connettivi (gruppo A) e l’altra metà dal gruppo di controllo (gruppo
B).
Il primo risultato da considerare è senz’altro la media delle risposte
esatte: il 49% nel caso del testo espositivo e il 42% per il testo
narrativo.
Le
prove
completamente
corrette
sono
tre
su
quarantaquattro nel primo caso e cinque nel secondo. Più della metà
delle frasi dunque non sono state collocate esattamente o non sono
state inserite.
Testo espositivo Come orientarsi?
Risposte
esatte
214
Risposte
errate
215
Risposte
mancanti
11
49%
Totale errate e
mancanti
226
51%
Totale
440
100%
Testo narrativo Il nascondino
Risposte
esatte
183
Risposte
errate
255
42%
Risposte
mancanti
2
Totale errate e
mancanti
257
58%
Totale
440
100%
TAB. 1 Risultati della prova
89
Considerando separatamente i risultati dei due gruppi (tab. 2 e tab.
3), si osserva che il gruppo A, cioè il gruppo che aveva a
disposizione le frasi con i connettivi, ha una percentuale di risposte
esatte pari al 43% nel testo espositivo e al 38% nel testo narrativo,
mentre il gruppo B ottiene rispettivamente il 54% e il 45%.
Il gruppo A ottiene dunque risultati peggiori in entrambi i casi, ma
più marcati nel testo espositivo: la differenza è di 11 punti
percentuali nel testo espositivo e di 7 punti percentuali nel testo
narrativo.
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
gruppo A (frasi con connettivi)
gruppo B
TAB. 2 Risposte esatte nel testo espositivo Come orientarsi?
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
gruppo A (frasi con connettivi)
gruppo B
TAB. 3 Risposte esatte nel testo narrativo Il nascondino
90
L’analisi degli errori in ogni singola frase, permette di evidenziare le
differenze tra i due gruppi (tab. 4 e tab. 5)26.
NR. FRASE
CONNETTIVO
GRUPPO A
GRUPPO B
1e
tuttavia
50%
59%
2e
così
41%
32%
3e
dunque
77%
86%
4e
ma
55%
55%
5e
ad esempio
27%
18%
6e
di solito
45%
14%
7e
infine
77%
68%
8e
però
50%
32%
9e
di conseguenza
91%
64%
10e
successivamente
55%
32%
TAB. 4 Percentuale di risposte errate nel testo espositivo Come orientarsi?
NR. FRASE
CONNETTIVO
GRUPPO A
GRUPPO B
1n
allora
41%
55%
2n
finalmente
73%
73%
3n
allora
82%
59%
4n
e
59%
32%
5n
ma
77%
64%
6n
infine
64%
59%
7n
sino a che
68%
68%
8n
poi
41%
45%
9n
prima
50%
45%
10n
ma
64%
50%
TAB. 5 Percentuale di risposte errate nel testo narrativo Il nascondino
26
In questa analisi sono state accorpate le risposte errate e le risposte mancanti
91
Le frasi sono numerate in base all’ordine che avevano nel testo da
completare e per ognuna è indicato il connettivo che compariva nella
versione originale, dunque solo per il gruppo A.
Le frasi che hanno creato maggiori difficoltà, ovvero quelle che
hanno una percentuale di errori superiore al 50%27, sono quasi
sempre le stesse per i due gruppi, tranne che nei casi descritti di
seguito. Nel testo narrativo la frase (4n), con connettivo e, e la frase
(10n), con connettivo ma, hanno creato difficoltà significative per il
primo gruppo, ma non per il secondo. Il gruppo B, invece,
diversamente dal gruppo A, ha una percentuale alta di errori nella
frase (1n) del testo narrativo e nella frase (1e) del testo espositivo.
Dalla comparazione dei dati si identificano anche le frasi in cui c’è
stata una percentuale di errori significativamente superiore in un
gruppo, rispetto ad un altro. Il gruppo A registra più errori del
gruppo B nelle frasi (6e), (8e), (9e), (10e) del testo espositivo e
nelle frasi (3n (4n) e (10n) del testo narrativo. Il gruppo B ha una
percentuale di errori significativamente superiore al gruppo A solo
nella frase (1n) del testo narrativo.
V.5
Riflessioni conclusive sui risultati
La prima considerazione riguarda la prestazione nel suo complesso
che non ha raggiunto livelli accettabili. La maggior parte dei ragazzi
non ha saputo ricostruire l’ordine corretto delle frasi, osservando i
legami coesivi che si istauravano. Il dato è in linea con i risultati
ottenuti nelle prove INVALSI negli item relativi alla coesione, in cui
si registrano percentuali di errore molto alte. Le difficoltà emergono
sia nei quesiti di tipo grammaticale, in cui si focalizza l’attenzione su
un elemento all’interno di un periodo, sia in quelli di comprensione
del testo. La comprensione risulta ancora più difficile quando la
27
La soglia di errori significativa è stata posta al 50% dato che la media di risposte esatte è del
46%.
92
domanda richiede di spiegare i legami inter- o intrafrasali all’interno
del testo, in particolare se questi sono impliciti (Bertocchi, 2010).
Naturalmente il confronto è soltanto indicativo, dato che le due
prove hanno una natura profondamente diversa, in quanto le prove
nazionali propongono quesiti a risposta multipla o cloze in cui
inserire il connettivo mancante. Senza pretendere di fare un’analisi
di tipo quantitativo, è comunque possibile riconoscere che la prova
svolta in classe conferma che esistono serie difficoltà nel riconoscere
il principio della coesione come un elemento imprescindibile della
testualità. Il tutto rientra in un problema più ampio: gli alunni hanno
facilità a rispondere a quelle domande in cui possono ricavare
direttamente le informazioni da una singola frase, mentre non
riescono a rispondere quando la risposta richiede una lettura di parti
più estese del testo o una sintesi.
Il compito di inserire frasi nel testo è un’attività che richiede di
capire il significato globale del testo e lo scopo per cui è stato
scritto. Il lettore che cerca la soluzione osservando soltanto una
frase alla volta non riesce ad intuire le relazioni che collegano le
frasi. La strategia efficace è quella che ritorna continuamente sulle
informazioni già note e cerca di integrarle con le nuove informazioni.
Il processo può essere descritto attraverso le operazioni cognitive
identificate nel modello di Kintsch e van Dijk (1978). L’alunno, per
eseguire il compito, deve costruire una rappresentazione mentale
del testo attraverso l’interpretazione della macrostruttura del testo.
Una
comprensione
corretta
parte
dal
livello
microstrutturale,
riconoscendo il contenuto di ogni proposizione, ma costruisce
successivamente un livello superiore dal quale ricava i contenuti
generali del testo. Per arrivare alla rappresentazione complessiva si
passa attraverso la costruzione delle macroproposizione, in cui i
diversi contenuti sono interconnessi. L’operazione è ciclica, cioè
composta da diversi cicli, in cui si riesamina tutta la struttura e si
cancellano o si reintegrano particolari noti. Le difficoltà emerse in
questa prova dimostrano che non sono state attivate le operazioni di
93
controllo e revisione, perché i testi ricostruiti in modo non corretto
presentano una serie di incoerenze e di errori di coesione che non
permettono di ricostruire il significato complessivo. Evidentemente
gli alunni non hanno tenuto in considerazione il testo come unità.
Un secondo aspetto contribuisce a confortare le affermazioni fatte:
la scarsa capacità dimostrata nel riconoscere i tratti dello schema
narrativo o espositivo. Nella teoria di Kintsch e van Dijk (1978), si
afferma che il lettore confronta la propria interpretazione del testo
con le forme canoniche dei testi. Lo schema narrativo, ad esempio,
aiuta a riconoscere alcune macroproposizioni che corrispondono alla
situazione iniziale, alla complicazione e alla risoluzione.
Il testo narrativo in esame presenta inizialmente la descrizione di
una normale situazione di gioco e, in seguito, il racconto di un
episodio particolare, dove si verifica un evento inatteso. Un numero
estremamente alto di errori (68%) è presente nella collocazione
della frase (7n), che segnala l’inizio della seconda sequenza del
racconto:
(7n)
[Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele,
pensammo di giocargli un tiro].
I ragazzi evidentemente non hanno riconosciuto un punto focale
della narrazione, nel quale si segnala l’inizio di una complicazione.
Un dato ancora più interessante in questa prova è quello relativo
all’ultima frase mancante:
(10n)
[Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di
Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che
noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente,
prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda
con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto].
94
In questo caso la frase era da collocare alla fine del testo, perché
coincide con il finale del racconto. È particolarmente significativo il
fatto che non sia stata individuata in più della metà delle prove, dato
che nel testo narrativo la conclusione è di solito facilmente
riconoscibile,
proprio
perché
rappresenta
uno
dei
suoi
tratti
caratteristici.
Anche nel testo espositivo si possono ritrovare caratteristiche
peculiari che aiutano ad inserire le informazioni in una cornice
predeterminata. Nel brano in esame c’era un tema sovraordinato
(orientarsi) e quattro diverse esemplificazioni (orientarsi con il sole,
con le stelle, con il muschio sugli alberi, con la bussola).
Una caratteristica del testo espositivo è che i concetti sono esposti
secondo un ordine logico definito a priori. Nel testo in esame, ad
esempio, si parte dal metodo di orientamento basato sul sole, per
poi spiegare la necessità di trovare altri sistemi nei casi in cui il sole
non sia visibile. La bussola è presentata come ultima alternativa,
proprio perché funziona in qualunque situazione. Questa relazione
tra
l’invenzione
della
bussola
e
gli
altri
metodi
adottati
precedentemente era spiegata nella frase (7e):
(7e)
[Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né
della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul
mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la
bussola].
La collocazione di questa frase dunque era dopo i paragrafi che
parlavano del sole, della Stella polare e del muschio, all’inizio del
paragrafo sulla bussola. La percentuale di errori molto alta (77%)
dimostra che gli alunni non hanno capito la concatenazione logica
degli argomenti presentati.
L’ultimo paragrafo, nel quale si spiega il funzionamento della
bussola, presentava quattro spazi vuoti da colmare. Quasi tutte le
frasi collocate nello spazio sbagliato sono state comunque inserite in
95
questo paragrafo: solo in 2 casi su 44 risposte la frase si trova in
un’altra sezione del testo.
Si può quindi concludere che gli alunni hanno riconosciuto la
divisione del testo in quattro sezioni, corrispondenti ad argomenti
diversi, ma non hanno capito la struttura logica che legava tra loro
gli argomenti.
Il terzo e ultimo punto da considerare riguarda il ruolo specifico dei
connettivi nella comprensione. La struttura della prova permette di
confrontare i risultati ottenuti dai due gruppi, da cui si deduce che la
presenza dei connettivi non ha aiutato gli alunni a ricostruire
correttamente il testo. Per comprendere meglio questo aspetto,
analizziamo alcuni casi specifici.
La frase che è risultata la più semplice da inserire (34 risposte
esatte su 44) è la (5e):
(1e)
[Ad esempio, se vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare
la Stella polare].
Il risultato positivo non è stato determinato dal connettivo, perché i
risultati sono uguali nei due gruppi, ma probabilmente dal rapporto
semantico istaurato con la frase successiva, nella quale si spiegava
qual è la Stella polare (È una stella che appartiene alla costellazione
dell’Orsa minore, chiamata anche Piccolo carro). Questa operazione
è definita sovrapposizione dagli psicologi cognitivi ed è un tratto
tipico dei lettori inesperti, i quali collegano le frasi in cui compaiono
le stesse parole (Bereiter e Scardamalia, 1995).
Allo stesso modo nella risposta (8e), che presenta un numero di
risultati esatti superiore alla media (27 su 44, di cui 15 nel gruppo
B) è presente una parola (magnete) ripetuta nella frase successiva:
(8e)
[Per comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli
oggetti chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita
96
il ferro]. La Terra è un enorme magnete e la bussola è
costituita da un ago calamitato girevole.
Si può inoltre notare che esiste un altro legame, stavolta di tipo
anaforico, istaurato dal pronome lo con una parola della frase
precedente (strumento). Neanche in questo caso, perciò, la giusta
collocazione è stata individuata grazie al connettivo.
Anche negli altri item per i quali c’è stato un risultato positivo si
ritrova una sostanziale equivalenza nelle risposte tra i due gruppi e
la presenza di ripetizioni che hanno facilitato il compito. Si tratta
della frase (8n), già esaminata nel paragrafo V.3, e della frase (9n).
In modo speculare si rileva che i connettivi non hanno aiutato i
ragazzi nella comprensione, analizzando gli errori più frequenti.
Una delle frasi da inserire nel testo espositivo che ha creato
maggiori problemi è la seguente:
(1e)
[Tuttavia
fin
dall’antichità
l’uomo
ha
osservato
il
moto
apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa
parte, a oriente, e tramonta dal lato opposto, l’occidente].
La
frase
doveva
essere
inserita
nel
primo
paragrafo
dopo
l’affermazione:
(1) Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri
intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché
sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira
intorno al Sole. ___________.
In moltissimi casi (23 su 44) invece è stata collocata qualche riga
più in basso, dopo la frase:
(2) Oltre all’oriente (est) e all’occidente (ovest), sono stati individuati: il
sud, cioè la direzione in cui si trova il Sole a mezzogiorno, e il nord,
ossia la direzione esattamente opposta al sud. ___________.
97
Si può notare che in entrambe le frasi (1) e (2) compare la parola
Sole, che è presente anche nella frase da inserire (1e), ma nella
seconda ci sono anche i termini occidente e oriente. È logico
presupporre che gli alunni abbiano operato una semplice deduzione:
avendo individuato che tra due frasi esistevano ben tre elementi
lessicali in comune, hanno pensato che dovessero essere collegate.
Il ragionamento può rivelarsi corretto quando la ripetizione ha
effettivamente una funzione di meccanismo coesivo, ma in questo
caso era necessario osservare altre relazioni presenti tra le frasi.
Nella seconda frase si trova
l’espressione oltre all’oriente e
all’occidente, che fa capire che questi concetti sono stati citati in
precedenza. Se la frase (1e) è collocata dopo la seconda frase, il
testo non ha più significato.
Nella frase da inserire era presente il connettivo tuttavia, che
esprime una relazione di opposizione rispetto a quanto detto in
precedenza nel testo. La relazione oppositiva ha senso solo se si
inserisce tra la frase (1) e la frase (1e) ed è incoerente invece tra
(2) e (1e). Gli studenti che avevano a disposizione la frase (1e) con
il connettivo avevano quindi un elemento in più per stabilire la
corretta relazione tra le frasi rispetto agli studenti che hanno
ricevuto le stesse frasi senza connettivi. Eppure non ci sono
differenze nel numero di risposte sbagliate date dai due gruppi,
quindi il significato della relazione stabilita dal connettivo non è
stato interpretato correttamente.
A volte è proprio la presenza, all’interno della stessa frase, di parole
che suggeriscono riferimenti a più concetti che può indurre in errore.
La funzione del connettivo in questi casi è proprio quella di rendere
esplicita la relazione istaurata tra i concetti. Ad esempio nella frase
(9e) compaiono molti termini presenti in altri punti nel testo (nord,
punti cardinali, nuvole, notte):
(9e)
[Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono
98
anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole
o senza nuvole, di giorno o di notte].
Mentre la frase (1e) è stata scambiata da chi ha sbagliato con una
simile nello stesso paragrafo, la frase (9e) è stata inserita in molti
spazi diversi, sparsi in tutto il testo, probabilmente proprio a causa
dei numerosi riferimenti presenti. Per rispondere correttamente era
necessario cogliere la relazione tra il fatto “trovare il nord grazie alla
bussola”, espresso nella frase precedente, e il fatto “riconoscere i
punti cardinali anche senza riferimenti naturali”. La relazione
consecutiva è resa esplicita dalla locuzione di conseguenza, ma i
ragazzi che potevano leggere il connettivo, non ne hanno tratto le
conclusioni giuste, commettendo più errori di chi aveva la frase
senza connettivo.
Osservando le singole risposte, si deduce che le frasi problematiche
sono le stesse, con o senza connettivo, perché il numero di errori è
molto simile tra i due gruppi. In alcuni casi, i risultati ottenuti dal
gruppo che ha ricevuto le frasi con i connettivi sono addirittura
nettamente peggiori. Prendendo in considerazione questo aspetto, si
ricava un ulteriore spunto di riflessione.
Nella prova sul testo narrativo ci sono quattro item, (3n), (4n),
(5n),(10n), nei quali la quantità di risposte errate del gruppo A è
superiore al gruppo di controllo rispettivamente di 23, 27, 13 e 14
punti percentuale. In tutti gli altri casi la differenza è compresa tra 0
e 5 punti e in uno il risultato del gruppo B è peggiore. L’insieme
degli errori commessi in queste frasi, quindi, rende conto della
differenza complessiva tra i due gruppi.
Come è stato già spiegato nella descrizione dei connettivi svolta nel
paragrafo V.3, i connettivi presenti in queste quattro frasi svolgono
una funzione demarcativa, funzionano cioè come segnali discorsivi,
realizzando valori diversi da quelli espressi negli usi primari, perché
esprimono un relazione tra atti linguistici (Bazzanella, 1995). È
99
lecito concludere che l’interpretazione di questa forme peculiari di
connettivi è ancora più complessa per i bambini, tanto da aumentare
l’insicurezza nella comprensione del testo.
Attraverso gli esempi riportati, l’analisi scende dal livello della
macrostruttura globale al livello delle macroproposizioni. Kintsch e
Van Dijk (1978) spiegano che la rappresentazione semantica che il
lettore costruisce della frase non è composta da una lista di
proposizioni semplici accostate tra loro, ma ha la struttura di un
diagramma in cui sono rese esplicite le relazioni tra predicato,
argomenti e elementi circostanziali, ovvero si presenta come la
rappresentazione mentale di un fatto, di cui si identificano le
relazioni tra elementi costituenti. Le informazioni necessarie per
ricostruire la struttura non sempre sono fornite dalla sola frase, ma
devono essere ricavate dal testo, dal contesto e dalle conoscenze
pregresse. Ad esempio per comprendere la frase
(10e)
[Successivamente i navigatori di Amalfi, una delle repubbliche
marinare, la diffusero nel Mediterraneo.
Il lettore deve riconoscere l’oggetto del discorso, qui espresso con
un
pronome,
nella
parola
bussola
che
compare
nella
frase
precedente e deve sapere che il Mediterraneo è un mare. Oltre a
queste relazioni ce ne sono altre che non collegano singoli elementi
linguistici, ma gli stessi fatti descritti nelle frasi. Nella frase in esame
il fatto che la bussola sia stata diffusa nel Mediterraneo dagli
amalfitani, deve essere collegato al fatto che è stata inventata dai
cinesi e al fatto che è stata portata in Europa dagli arabi, espressi
nel periodo precedente. Si tratta di una successione temporale di
fatti che può essere riconosciuta interpretando correttamente il
connettivo successivamente.
Anche in questo caso come negli altri esaminati il connettivo non è
stato di aiuto per ricostruire il testo. Ciò significa che gli alunni non
100
hanno svolto l’operazione che avrebbe dovuto collegare i tre fatti in
un’unica macroproposizione che esprime una relazione temporale tra
fatti
diversi.
I
singoli
eventi
sono
stati
quindi
registrati
separatamente, perdendo una parte importante del contenuto
informativo. La rappresentazione mentale del testo di questi lettori
di conseguenza risulterà lacunosa, perché mancano alcune delle
relazioni che collegano le proposizioni, in particolare quelle che
collegano i fatti, espresse attraverso i connettivi.
Le conseguenze di questa comprensione parziale sono negative
anche per lo studio, perché la rappresentazione mentale che vede il
testo come una rete di nodi (concetti) e connessioni (relazioni) è
necessaria anche per conservare le informazioni nella memoria a
lungo termine. Quando le informazioni sono legate tra loro e con le
conoscenze precedentemente immagazzinate sono più facilmente
memorizzabili e recuperabili. Gli studenti più esperti dimostrano di
possedere rappresentazioni complesse dei testi in grado di fare
riferimento non solo ai singoli argomenti, ma alla struttura del testo
(ad esempio alla disposizione delle sue parti), alla sintesi e
all’intenzione dell’autore (Bereiter e Scardamalia 1995).
Dato che fin dalla scuola primaria, ma in particolare nella scuola
secondaria si utilizzano testi disciplinari complessi, è necessario
assicurarsi che gli alunni abbiano un livello di comprensione
adeguato. Dalla prova esaminata in questo capitolo emerge invece
che, alla fine della primaria, non hanno ancora sviluppato i processi
cognitivi alla base della comprensione, in particolare mancano loro
le strategie che permettono di creare una sintesi del testo in cui
siano presenti sia le informazioni principali che i collegamenti
attraverso cui si ricostruisce il senso complessivo. Dall’analisi della
situazione in classe, nasce una domanda sulle implicazioni educative
che comporta una scarsa competenza testuale, che impone di
valutare quali siano le impostazioni didattiche che permettono agli
alunni di migliorare in tale ambito.
101
CONCLUSIONI
La competenza grammaticale è l’insieme delle conoscenze e delle
capacità di utilizzare le strutture grammaticali della lingua e di
comprendere
e
formulare
messaggi,
strutturati
e
dotati
di
significato, in base all’insieme di regole che stabiliscono come i vari
elementi possano combinarsi (Council of Europe, 2002). Grazie alle
ricerche sull’apprendimento del linguaggio svolte nella cornice del
paradigma cognitivo, è diventato evidente che la comprensione e la
produzione del messaggio non può prescindere dal riconoscimento
del significato in relazione al contesto, alle intenzioni del parlante,
alle conoscenze dell’interlocutore. La competenza grammaticale è,
dunque, solo una componente della competenza linguistica (Altieri
Biagi 1985).
Per l’insegnamento della grammatica questo significa che i fatti della
lingua non si possono ridurre ad una classificazione formale di parti
della frase, ma devono essere compresi all’interno del processo della
comunicazione
e
nel
complesso
di
elementi
che
determina
l’unitarietà del testo. I principi che definiscono un testo come tale,
definiti dalla linguistica testuale, sono stati recepiti dall’educazione
linguistica, che ha spostato la propria attenzione dai prodotti della
comunicazione ai processi che portano alla produzione e alla
comprensione dei testi (Corno, 1999). Tuttavia la centralità del testo
nell’insegnamento dell’italiano, auspicata anche dalle indicazioni
ministeriali per la progettazione curricolare nelle scuole (MIUR,
2012), è stata tradotta dai manuali scolastici nella scelta di
presentare l’organizzazione globale del testo e le sue macroproprietà
nell’ambito
dell’analisi
dei
testi
letterari,
mentre
l’insegnamento della grammatica è rimasto ancorato a modelli
tradizionali, a volte privi di un riferimento chiaro ad una teoria
scientifica
(Bertocchi,
2000).
Per
quanto
fondamentale,
la
102
prospettiva macrolinguistica dà una visione parziale e dunque errata
della testualità: l’attenzione al testo non può prescindere dallo
studio delle relazioni sintattiche e semantiche nella frase, tra le frasi
e
nel
testo.
Ciò
non
significa
un
ritorno
all’insegnamento
tradizionale, con le sue etichette di analisi grammaticale e logica: le
strutture morfo-sintattiche della frase vanno considerate dal punto
di vista del significato che veicolano. La definizione delle proprietà
grammaticali non è un fine, ma un mezzo per giungere al significato
della frase e alla strutturazione complessiva del testo (Manzotti e
Ferrari, 1994).
La riflessione sulla lingua deve rendere consapevoli gli alunni dei
meccanismi linguistici attraverso i quali si esprime la testualità.
Perciò è fondamentale che la didattica della lingua individui alcuni
nodi tematici, per guidare l’apprendimento in tale direzione. In
questo lavoro è stato indicato come lo studio dei legami coesivi, ed
in particolare dei connettivi, rappresenti uno dei temi centrali nella
grammatica del testo. Dalla trattazione teorica si è passati all’analisi
di una ricerca svolta tra gli alunni della scuola primaria per valutare
il ruolo dei connettivi nella comprensione di testi tratti da manuali
scolastici. La presenza o l’assenza dei connettivi è risultata
irrilevante nella risoluzione del compito, dimostrando che gli alunni
non hanno colto la funzione dei connettivi come indicatori dei
rapporti
logici
e
semantici,
che
orientano
il
lettore
nella
comprensione.
L’interpretazione dei risultati attraverso un modello cognitivo della
comprensione (Kintsch e Van Dijk, 1978), suggerisce che la difficoltà
emersa sia il segnale di una mancata comprensione del significato
complessivo del testo, che è ricostruito dal destinatario attraverso
l’elaborazione di un complesso schema costituito dall’intersezione di
concetti e relazioni.
Il ruolo dell’educazione linguistica è primario affinché si sviluppino
strategie di comprensione e produzione adeguate ad un testo
complesso. Il processo di acquisizione del linguaggio del bambino si
103
intreccia durante la scolarizzazione con quello di apprendimento
della lettura e della scrittura. La scrittura non è un semplice
processo di trascrizione del discorso orale, ma un sistema di
pensiero che può fornire gli strumenti per riflettere consapevolmente
su strutture linguistiche, che altrimenti resterebbero implicite
(Olson, 1997). Dato che chi scrive svolge un processo di analisi e di
ricostruzione dell’esperienza, in cui la mente è costretta a lavorare
in modo strutturato, una didattica che si prefigga di migliorare la
competenza testuale è chiamata a progettare percorsi nei quali
l’alunno possa scoprire, attraverso l’esercizio e l’osservazione, i
meccanismi linguistici su cui si basano coesione e coerenza.
Ragionando in termini di competenza, si pone la necessità di
progettare attività laboratoriali, nelle quali l’alunno sia protagonista
attivo e consapevole. Una didattica così impostata vuole essere
funzionale, ovvero basata sulla descrizione dei mezzi linguistici in
relazione ai loro usi reali nello scambio comunicativo, e operativa,
cioè
finalizzata
a
facilitare
l’alunno
nel
suo
processo
di
apprendimento (Andorno, Bosc, Ribotta, 2003). La riflessione
grammaticale costruita sul testo e sui suoi principi fondanti
contribuisce a formare la consapevolezza metalinguistica, all’interno
di un approccio più ampio basato sulla competenza comunicativa.
Si tratta di un traguardo ambizioso, ma necessario per affrontare in
modo efficace lo studio e soprattutto per migliorare la propria
capacità di comprendere testi di ogni tipo, perché
comprendere questi testi vuol dire interpolare tra i predicati della
nostra situazione tutti i significati che di un semplice ambiente fanno
un mondo (Ricoeur, 1983:130).
104
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110
APPENDICE
Risultati delle prove di comprensione
111
Testo originale
COME ORIENTARSI?
Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri
intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché
sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira
intorno al Sole. 1[Tuttavia fin dall’antichità l’uomo ha osservato il
moto apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa
parte, a oriente (dal latino orior = nascere), e tramonta dal lato
opposto, l’occidente (da occido = cadere)]. Orientarsi significa,
perciò, individuare l’oriente.
2[Così per sapere esattamente dove ci si trova, sono stati identificati
quattro punti cardinali, cioè quattro punti fondamentali da
prendere come riferimento]. Oltre all’oriente (est) e all’occidente
(ovest), sono stati individuati: il sud, cioè la direzione in cui si
trova il Sole a mezzogiorno, e il nord, ossia la direzione
esattamente opposta al sud. 3[Orientarsi permette dunque di sapere
dove ci si trova e quale percorso si deve compiere per raggiungere il
luogo desiderato].
4[Ma come orientarsi di notte, quando è impossibile individuare i
punti cardinali in base alla posizione del Sole?] L’uomo ha osservato
il cielo e ha trovato una soluzione: le stelle. 5[Ad esempio, se
vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare la Stella polare]. È
una stella che appartiene alla costellazione dell’Orsa minore,
chiamata anche Piccolo carro. Per trovare la Stella polare ci si basa
sulla posizione dell’Orsa maggiore, o Grande carro, che è formata da
stelle più luminose e più facilmente visibili. Le stelle dell’Orsa
maggiore sono sette: quattro formano un quadrilatero, il carro
appunto, mentre le altre formano il timone. Se si prolunga per
cinque volte la distanza fra le due stelle posteriori del carro, si
incontra la Stella polare. Se ci rivolgiamo verso la Stella polare,
avremo il braccio destro a est, il sinistro a ovest e dietro le spalle il
sud.
Se il cielo è nuvoloso e ci troviamo in un bosco, possiamo cercare di
orientarci osservando attentamente il tronco degli alberi. 6[La parte
esposta a nord è di solito coperta da uno strato verdastro, cioè da
muschio]. È la parte del tronco più umida, proprio perché è quella
che non viene mai raggiunta dai raggi del Sole. Scoperto dove si
trova il nord, sapremo che al lato opposto c’è il sud e che, se
volgiamo lo sguardo a nord, l’est è situato a destra e l’ovest a
sinistra.
7[Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né della
Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul mare, per
orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la bussola]. Il
meccanismo su cui si basa questo strumento è semplice. 8[Per
comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli oggetti,
chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita il ferro]. La
Terra è un enorme magnete e la bussola è costituita da un
112
agocalamitato girevole. La Terra attira l’ago della bussola sempre
verso lo stesso punto, il nord. 9[Di conseguenza, sapendo dove si
trova il nord si conoscono anche gli altri punti cardinali e si sa dove
andare, con le nuvole o senza le nuvole, di giorno o di notte]. La
bussola fu inventata probabilmente dai cinesi e portata in Europa nel
XII secolo dagli arabi. 10[Successivamente i navigatori di Amalfi, una
delle repubbliche marinare, la diffusero nel Mediterraneo]. Oggi
come allora la bussola si presenta come una specie di scatoletta
rotonda, simile a un orologio, in cui sono indicati non solo i quattro
punti cardinali, ma anche le direzioni intermedie: nord-est, sud-est,
sud-ovest, nord-ovest.
De Marchi R., Dottori G., Ferrara F. (2010), Geografia: popoli e
territori, vol. 1, Edizioni Il Capitello, Torino
113
RISULTATI: Come orientarsi? (testo espositivo)
Gruppo A
PROVE SVOLTE
PROVE VALIDE
PROVE COMPLETAMENTE ERRATE
PROVE CORRETTE
22
22
1
1
RISPOSTE ESATTE:
95/220 (43%)
RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 125/220 (57%)
NR. FRASE
1e
2e
3e
4e
5e
6e
7e
8e
9e
10e
CONNETTIVO
tuttavia
così
dunque
ma
ad esempio
di solito
infine
però
di conseguenza
successivamente
errate
11
9
16
11
4
9
16
10
19
11
MEDIA ESATTE 4,3/10
mancanti
0
0
1
1
2
1
1
1
1
1
totale
11
9
17
12
6
10
17
11
20
12
%
50%
41%
77%
55%
27%
45%
77%
50%
91%
55%
Gruppo B
PROVE SVOLTE
PROVE VALIDE
PROVE COMPLETAMENTE ERRATE
PROVE CORRETTE
22
22
0
2
RISPOSTE ESATTE:
119/220 (54%)
RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 101/220 (46%)
NR. FRASE
1e
2e
3e
4e
5e
6e
7e
8e
9e
10e
CONNETTIVO
/
/
/
/
/
/
/
/
/
/
errate
12
7
19
12
4
3
15
7
13
7
MEDIA ESATTE: 5,4/10
mancanti
1
0
0
0
0
0
0
0
1
0
totale
13
7
19
12
4
3
15
7
14
7
%
59%
32%
86%
55%
18%
14%
68%
32%
64%
32%
114
GRAFICI: Come orientarsi? (testo espositivo)
Risposte esatte
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
gruppo A (frasi con connettivi)
gruppo B
risposte errate
Risposte errate per ogni frase
22
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
gruppo A
gruppo B
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
frase
115
Testo originale
IL NASCONDINO
Con molta gravità ci mettevamo in cerchio nella stanza da pranzo e
tiravamo a sorte quello che doveva star sotto. Se capitava a una
bambina, faceva il muso e se ne andava borbottando a mettersi in
un angolo, col viso rivolto al muro, con gli occhi chiusi per non
vedere; se era un maschio faceva il disinvolto e il sicuro di sé.
Dopo esserci assicurati che quello sotto non poteva vederci,
partivamo in punta di piedi, in gruppi di due, di tre, per nasconderci:
ed era una ricerca muta e nervosa, inquieta e taciturna di un
nascondiglio impossibile. […] Quando tutti erano nascosti, si sentiva
un griduccio lontano, stridulo, prolungato: - Vieni…i!
1[Allora quello sotto si moveva con precauzione, non allontanandosi
molto dal suo posto, guardando a dritta, a sinistra, camminando a
piccoli passi]. Palpitavano i piccoli cuori nei nascondigli: dove erano
nascosti due l’uno diceva all’altro: - Non ci trova, no; è troppo
scemo.
2[Finalmente quello sotto si risolveva a lasciare il posto e la stanza
da pranzo: allora si schiudevano le porte, gli armadi, si scostavano
le sedie, le scrivanie, e i nascosti fuggivano al posto strillando la loro
vittoria]. Mentre quello sotto ne perseguitava uno, invano, gli altri
sbucavano da tutte le parti, gridando felici di non essere stati presi,
correndo al posto. 3[Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a
guardar sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che
non aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in
trappola, chinando il capo e allungando il muso]. Noi gli dicevamo
ridendo: - Stupido, perché ti sei messo sotto il letto? 4[E non potevi
scappare quando lui è passato?]
- Sapevo questo io, che lui mi trovava – borbottava lo scemo,
andandosi a metter sotto.
5[Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava sotto
era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è diventato medico].
Allora noi ci riscaldavamo, facevamo un complotto nell’anticamera,
per trovare un nascondiglio assurdo. Michele, dalla stanza da
pranzo, diceva con voce canzonatoria: - Posso venire?
E noi, in coro, impazientiti: - Non ancora, non ancora!
6[Infine decidevamo di ficcarci due o tre nel gallinaio, paventando le
galline; un altro paio dentro l’arca, dove s’impastava il pane,
tenendone un po’ sollevato il coperchio per respirare; e qualcun
altro saliva sopra gli armadi, a rischio di rompersi il collo: la più
piccola, Adelina, si andava maliziosamente a ficcare dietro
Mariagrazia, la serva che filava e che non si muoveva più per non
scoprire Adelina].
Allora quel furbo di Michele stava un poco a pensare, poi
direttamente, come se qualcuno glielo avesse detto, andava al
gallinaio e ne prendeva due pel collo, apriva l’arca e ne prendeva un
altro paio, diceva a quelli sull’armadio di scendere: e noi restavamo
116
mortificati, chiedendogli: - Come ci hai trovati? Chi te l’ha detto?
Quella birbona di Concetta, la cameriera?
– Ho capito – diceva lui, modestamente glorioso.
– Ma me, non m’hai chiappato – gridava Adelina, spuntando di
dietro a Mariagrazia.
–
T’avevo vista, ma non t’ho voluta prendere – diceva lui,
sdegnoso e trionfante.
7[Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele,
pensammo di giocargli un tiro]. In un granaio pieno di quadri vecchi
vi era un canestrone rotondo, alto tre metri, come due botti di
vimini, una sovrapposta all’altra. Ci si metteva la biancheria sporca.
Per entrarvi dentro lo facemmo traboccare per terra e vi entrammo
in sei, come nella bocca di un forno: poi premendo sul fondo, lo
facemmo rialzare e restammo immobili, in fondo a questo pozzo
rotondo. Ridevamo tra noi, perché certo Michele non ci avrebbe mai
trovati. Stavamo allo stretto, uno addosso all’altro, ma felici di aver
burlato Michele. Appena Adelina si lamentava che le doleva un
piede, qualcuno le mormorava:
- Zitta, bestia! Ci farai scoprire.
Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci trova –
dicevamo sottovoce ridendo.
8[Poi cominciammo a seccarci: poiché Michele non ci trovava, era
meglio uscire di lì e andargli a dire che era uno scemo, uno
scemone, che gliel’avevamo fatta]. Ma che! Noi premevamo sul
fondo e il canestrone rimaneva ritto, con le sue pareti alte, come
quelle di una torre: non sapevamo rovesciarlo più per uscirne. Le
pareti contro cui battevamo per farlo voltare scricchiolavano, ma noi
pesavamo troppo sulla base. 9[Prima ci guardammo tutti spaventati:
poi Adelina pianse e strillò; poi piangemmo e strillammo tutti]. Dopo
un quarto d’ora in quella desolazione in fondo al canestro, vennero a
liberarci Mariagrazia e Concetta, le serve che rovesciarono il
canestro e ci trassero fuori, esse ridendo, noi piangendo. 10[Ma il più
terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di Michele era
venuto piano piano nel granaio, aveva capito che noi eravamo nel
canestro e se n’era andato placidamente, prevedendo la nostra
impossibilità di uscirne, a far merenda con un pezzo di pane e una
fetta di prosciutto].
Serao M. (2010), Piccole anime, Albus, Napoli
117
RISULTATI: Il nascondino (testo narrativo)
Gruppo A
PROVE SVOLTE
PROVE VALIDE
PROVE COMPLETAMENTE ERRATE
PROVE CORRETTE
22
22
3
3
RISPOSTE ESATTE:
84/220 (38%)
RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 136/220 (62%)
NR. FRASE
1n
2n
3n
4n
5n
6n
7n
8n
9n
10n
CONNETTIVO
allora
finalmente
allora
e
ma
infine
sino a che
poi
prima
ma
errate
9
16
18
13
17
14
15
9
10
14
MEDIA ESATTE:
mancanti
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
3,8/10
totale
9
16
18
13
17
14
15
9
11
14
%
41%
73%
82%
59%
77%
64%
68%
41%
50%
64%
Gruppo B
PROVE SVOLTE
PROVE VALIDE
PROVE COMPLETAMENTE ERRATE
PROVE CORRETTE
22
22
0
2
RISPOSTE ESATTE:
99/220 (45%)
RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 121/220 (55%)
NR. FRASE
1n
2n
3n
4n
5n
6n
7n
8n
9n
10n
CONNETTIVO
/
/
/
/
/
/
/
/
/
/
errate
12
15
13
7
14
13
15
10
9
11
MEDIA ESATTE:
mancanti
0
1
0
0
0
0
0
0
1
0
totale
12
16
13
7
14
13
15
10
10
11
4,5/10
%
55%
73%
59%
32%
64%
59%
68%
45%
45%
50%
118
GRAFICI: Il nascondino (testo narrativo)
Risposte esatte
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
gruppo A (frasi con connettivi)
gruppo B
risposte errate
Risposte errate per ogni frase
22
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
gruppo A
gruppo B
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
frasi
119
120