I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN
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I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN
LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea quadriennale in Scienze della Formazione primaria I CONNETTIVI COME STRUMENTI DI COESIONE TESTUALE UN APPROCCIO LABORATORIALE ALLA GRAMMATICA DEL TESTO Relatore Prof. Silvia Dal Negro presentata da Maria Cristina Curzi Parole chiave: connettivi, linguistica testuale, competenza comunicativa, riflessione grammaticale Sessione invernale Anno accademico 2012/2013 2 INDICE INTRODUZIONE pag. 5 CAPITOLO I IL SIGNIFICATO CONDIVISO pag. 13 I.1 La prospettiva cognitiva sul significato pag. 13 I.2 La narrazione pag. 16 I.3 La narrazione nel linguaggio infantile pag. 18 I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio pag. 20 I.5 la linguistica testuale pag. 24 CAPITOLO II COSTRUIRE LA COESIONE pag. 29 II.1 C’era una volta un testo pag. 29 II.2 Il testo coeso pag. 32 II.3 Le ragioni della coesione pag. 36 CAPITOLO III CONNETTIVI: UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA pag. 41 III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale pag. 41 III.2 I connettivi nei dizionari pag. 48 III.3 I connettivi nelle grammatiche di consultazione pag. 53 III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso? pag. 58 CAPITOLO IV I CONNETTIVI NELLE STRATEGIE DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE pag. 62 IV.1 I connettivi nel testo infantile pag. 62 IV.2 Connettivi e competenza testuale pag. 66 3 IV.3 La comprensione del testo scritto pag. 72 CAPITOLO V ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE pag. 78 V.1 Descrizione della prova svolta in classe pag. 78 V.2 Criteri di scelta dei testi pag. 81 V.3 Descrizione dei connettivi pag. 85 V.4 Analisi dei risultati pag. 89 V.5 Riflessioni conclusive sui risultati pag. 92 CONCLUSIONI pag. 102 BIBLIOGRAFIA pag. 105 APPENDICE pag. 111 4 INTRODUZIONE Se si prendono in mano i testi scolastici per l’insegnamento dell’italiano, la prima osservazione che si impone riguarda la divisione netta tra la cosiddetta grammatica e l’antologia di testi. La riflessione sulla lingua si articola in due momenti ritenuti indispensabili, ma separati: un aspetto prescrittivo, riferito alle strutture morfosintattiche, e un aspetto interpretativo, incentrato sull’analisi di diversi generi letterari. Completamente diversi anche gli strumenti di lavoro proposti agli alunni: nello studio della grammatica si incontrano frasi avulse dal contesto, inventate appositamente per esemplificare i concetti teorici esposti, mentre l’approccio al testo si avvale del rapporto diretto con brani tratti dalla letteratura per l’infanzia o dalla tradizione letteraria. La frase da un lato e il testo dall’altro sembrano essere due elementi linguistici separati ed oggetto di discipline diverse. Per secoli l’oggetto di riferimento nello studio della lingua è stata la frase, ossia un modello teorico di enunciato che esprime una forma sintattica completa (Altieri Biagi, 1985). Il grammatico si occupava di individuare la struttura interna delle parole (morfologia) e le possibili combinazioni nella frase (sintassi). La valutazione della correttezza linguistica dipendeva dall’appropriatezza delle strutture morfosintattiche e dalle scelte lessicali in relazione ad un modello di lingua definito a priori. Il riferimento teorico era una concezione statica di lingua, in cui le parole sono classificate come oggetti naturali. Le grammatiche tradizionali presentavano dunque una serie di categorie e di possibili paradigmi, che venivano trasmessi agli alunni attraverso un insegnamento di tipo normativo (De Mauro, 2009). Nel Novecento gli studi sulla lingua sono stati notevolmente ampliati da diverse discipline, quali la linguistica, la psicologia, la sociologia, 5 l’antropologia, la filosofia del linguaggio, che hanno aperto innumerevoli prospettive teoriche confluite poi in settori ben delineati. Ogni diversa visuale ha imposto la consapevolezza condivisa che la lingua non possa essere compresa appieno limitando lo studio alle singole frasi, ma soltanto all’interno di una più ampia riflessione sulla comunicazione. Negli studi teorici hanno acquisito rilevanza gli elementi procedurali che definiscono il funzionamento di una lingua e il rapporto tra la lingua e il contesto. In particolare l’approccio descrittivo dei teorici strutturalisti o funzionalisti ha focalizzato l’attenzione sulle regolarità interne alla lingua, ricavabili da fatti osservati e generalizzati. L’approccio costruttivista, invece, ha studiato i processi attraverso i quali l’uomo inventa il significato della lingua all’interno di un ambiente culturalmente determinato e attraverso relazioni sociali significative. Le due concezioni non sono in conflitto tra loro, perché entrambe sono fondate sull’analisi delle operazioni linguistiche, che sostituiscono gli stati della grammatica tradizionale (Cambiaghi, 1997). Il modello elaborato dai linguisti, dunque, cerca di spiegare la produzione linguistica del parlante in un contesto reale, destrutturandola in una serie di livelli contenenti sistemi di regole. L’apparato morfosintattico è soltanto uno dei livelli della lingua a cui si affiancano le componenti fonologiche, grafemiche, lessicali, testuali e pragmatiche. Per utilizzare la lingua in modo da agire sul contesto, il parlante deve essere in grado di gestirne ogni livello, padroneggiando abilità diverse. La capacità di agire in tal senso è definita competenza linguistica (Balboni, 1994). Il problema del rapporto tra la linguistica teorica e la didattica delle lingue diventa centrale nell’infuocato dibattito sull’educazione linguistica degli anni ’70. De Mauro (1977) in particolare denunciava la mancanza di testi scolastici ispirati ai principi della linguistica. La didattica avrebbe dovuto prendere in considerazione l’ordine 6 gerarchico stabilito dagli studi teorici per ricostruire un nuovo sistema di insegnamento basato su criteri funzionali. L’assenza di tale prospettiva era attribuita dall’autore alla mancanza di una grammatica teorica di riferimento che offrisse una descrizione strutturale dell’italiano. Un’altra causa fondamentale era la scarsa preparazione dei docenti di italiano nei campi della linguistica, della glottologia e della semantica. Gli anni ’80 videro un’intensa sperimentazione che portò allo sviluppo di molteplici proposte didattiche ispirate ai nuovi sistemi teorici. Per ricordarne almeno due tra quelle che hanno avuto una vasta eco nei corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti, si possono ricordare gli itinerari proposti da Maria Luisa Altieri Biagi (1987) e Isabella Poggi (1989), ispirati il primo alla linguistica funzionalista e il secondo alla grammatica razionale. Tuttavia le ipotesi formulate in ambito teorico hanno avuto un impatto limitato sull’insegnamento. Sobrero (1996) ha analizzato alcune tra le grammatiche più adottate nelle scuole italiane, arrivando ad una conclusione deludente. I testi hanno aggiunto alla parte descrittiva che analizza la morfologia e la sintassi, numerose nozioni di sociolinguistica e di pragmatica, ma l’impostazione tradizionale mantiene il ruolo predominante e non si presta ad essere integrata in un modello descrittivo organico. I testi si limitano ad aggregare nuovi contenuti, in modo che gli insegnanti possano selezionare gli argomenti in base alle loro preferenze, senza proporre una scelta esplicita tra le diverse teorie. Un risultato analogo emerge da una ricerca finalizzata a verificare come la scuola concepisca la riflessione sulla lingua (Fiorentino et al., 2009). L’indagine prende in esame sia l’opinione dei docenti, attraverso un questionario, sia l’analisi di alcune grammatiche scolastiche. Dei testi si afferma che, pur presentando alcuni concetti tratti dalle più recenti teorie linguistiche, hanno mantenuto i modelli tradizionali di analisi delle categorie grammaticali con notevoli incongruenze. La grammatica è affrontata in modo astratto, senza 7 riferimenti ad un modello glottodidattico coerente. Le conoscenze relative restano imprigionate in esercizi creati appositamente, ma non sono trasferite ad altri contesti. Anche se basate su ricerche limitate, le posizioni ora presentate confermano che la grammatica nei testi scolastici è ancora intesa come un insieme di norme da apprendere attraverso lo studio mnemonico e l’esecuzione di esercizi meccanici appositamente elaborati. Si preferisce mantenere una rigida distinzione tra l’analisi delle forme morfologiche e sintattiche e la riflessione sulla lingua nel suo complesso, pur riconoscendo gli apporti fondamentali dati dalla linguistica in tal senso. Una tale impostazione presenta forti limiti, tra i quali due sembrano estremamente negativi per il processo di apprendimento. In primo luogo si preferisce un procedimento induttivo dalla regola all’applicazione, negando la valenza del ruolo attivo dell’alunno sia per la costruzione di processi cognitivi di ristrutturazione delle conoscenze sia per la creazione di una motivazione intrinseca. Il modello normativo non lascia spazio alla formulazione di ipotesi, alla sperimentazione e all’uso creativo, ponendosi al di fuori delle indicazioni didattiche suggerite dalla ricerca teorica e dalla legislazione. A tal proposito, però, bisogna tener presente che la progettazione di una didattica efficace non è delegata in nessun caso al libro di testo, ma dipende essenzialmente dalla programmazione del docente. Di conseguenza la diffusione di testi tradizionali non dimostra necessariamente l’assenza di pratiche basate su un approccio sperimentale. Il secondo elemento di rischio insito nell’impostazione tradizionale dipende dal ruolo prevalente dell’analisi morfologica e sintattica nell’insegnamento della grammatica, che relega le altre dimensioni della lingua ad un ruolo marginale, riducendole spesso ad un insieme di nozioni a cui non sono collegate esercitazioni pratiche. La riflessione grammaticale rischia di essere un momento a sé, separato dall’acquisizione della competenza linguistica, quasi a 8 suggerire che non esista relazione tra la consapevolezza delle norme linguistiche e l’acquisizione delle abilità di ricezione e produzione della lingua. La questione può essere affrontata da due prospettive diverse. Innanzitutto ci si può chiedere se la competenza metalinguistica, che deriva dalla conoscenza delle strutture grammaticali, migliori le prestazioni linguistiche. La risposta non è incoraggiante: le ricerche non sembrano dimostrare una ricaduta positiva dello studio della grammatica formale sulle abilità linguistiche di base (ascoltare, parlare, leggere e scrivere). Se tali conclusioni si rivelassero definitive, la riflessione sulle strutture formali della lingua avrebbe valore solo in quanto esercizio di capacità cognitive di osservazione e astrazione (Lo Duca, 2004). La stessa domanda può essere però ribaltata in una seconda prospettiva: è necessaria la conoscenza dei fenomeni linguistici per una comunicazione verbale o scritta efficace? Così formulato il problema non ammette che un’unica risposta. La capacità di comprendere o produrre messaggi implica la conoscenza dei meccanismi attraverso cui la lingua esprime i significati, gli scopi, i destinatari. Tra questi ogni aspetto (fonologico, morfosintattico, lessicale, testuale, pragmatico) riveste un’importanza fondamentale per la comprensione. Soltanto la conoscenza razionale delle diverse modalità con cui la lingua può esprimere funzioni diverse permette di interagire in un contesto reale (Colombo, 1984). La necessità della riflessione linguistica risulta evidente proprio nelle scelte imposte dalla comunicazione, anche le più semplici. Pertanto la discussione sull’insegnamento della grammatica, ha gradualmente introdotto nuovi temi relativi ai contenuti da privilegiare. Se l’attenzione è concentrata solo sulle componenti morfosintattiche si trascurano molti aspetti della lingua, altrettanto necessari. Inoltre anche le caratteristiche della struttura della frase risultano sicuramente più comprensibili quando sono riferite a situazioni comunicative reali. Per comprendere come le forme linguistiche 9 rispondano a precise esigenze comunicative, non è sufficiente uno studio meccanico delle regole, ma occorre lavorare su enunciati estratti da situazioni significative. Per tale ragione, la frase come unico ambito di analisi, è uno spazio troppo ristretto, mentre il testo (orale o scritto) garantisce la possibilità di esplorare la relazione tra il significato ricercato e la forma scelta dal parlante. Il testo infatti è un macroatto linguistico, in cui sono espressi atti di composizione, atti di riferimento, atti di focalizzazione informativa (Ferrari, 2009). Questi richiedono un complesso di abilità che utilizzano le conoscenze sul sistema linguistico. Nella produzione e nella comprensione si integrano dunque abilità procedurali e conoscenze dichiarative, nella manifestazione di una competenza altrimenti non valutabile. In conclusione, una didattica che vuole sviluppare la competenza linguistica lavora necessariamente sui testi, ponendosi l’obiettivo di utilizzare le conoscenze morfologiche, sintattiche e lessicali in un compito di lettura o scrittura. Mettere il testo al centro della riflessione linguistica permette di costruire un processo didattico centrato sull’alunno e mediato dall’insegnante. Al tradizionale insegnamento normativo della grammatica, che prevede la presentazione di una “regola”, seguita da esercizi applicativi, si sostituisce un lavoro attivo su materiali linguistici reali, attraverso i quali ricostruire i meccanismi di funzionamento della lingua con un ragionamento induttivo (Brugè, 2000). L’approccio descritto risponde alle caratteristiche di una didattica epistemologicamente fondata perché l’alunno si avvicina alla disciplina, appropriandosi gradualmente non solo dei nuclei concettuali fondamentali, ma anche del metodo scientifico che le è proprio. Di conseguenza, l’interiorizzazione delle regole avviene attraverso un processo di osservazione, di generalizzazione, di raccolta dei dati e di ricerca di principi generali che possano essere sottoposti a validazione. 10 Lo scopo di questo lavoro è quello di confrontare alcuni degli studi più recenti sulla testualità con le grammatiche di consultazione, al fine di ricavare un modello di interpretazione utile per spiegare le carenze degli alunni nella competenza testuale1. Innanzitutto si procede a presentare la definizione di testo nelle sue caratteristiche fondamentali, con particolare attenzione alla coesione, ovvero il modo in cui le diverse parti sono legate tra loro attraverso relazioni di tipo grammaticali, perché questa proprietà rappresenta l’anello di congiunzione tra la comprensione del significato complessivo e le scelte linguistiche che la esprimono. Si procede poi alla definizione di un argomento, i connettivi, che hanno la funzione di assicurare o migliorare la coesione del testo, garantendo i rapporti logici e sintattici tra le varie parti (Serianni, 2003), allo scopo di esaminare come sia trattato negli studi linguistici e nelle grammatiche più diffuse. La scelta di studiare la coesione nasce dalla costatazione che la produzione scritta degli alunni è particolarmente carente sotto questo aspetto (Ellero, 1986; Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003; Serianni, 2010). Anche le prove di comprensione a cui sono sottoposti gli alunni nell’ambito del servizio nazionale di valutazione per l’italiano e la matematica somministrate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di formazione rilevano l’incapacità di riconoscere ed interpretare adeguatamente i segnali coesivi nei testi (Bertocchi, 2010). Allo scopo di condurre un’analisi dettagliata, si è scelto di focalizzare l’attenzione sui connettivi, in quanto nella categoria rientrano elementi linguistici, come congiunzioni e avverbi, che sono ampiamente trattati nella grammatica tradizionale, ma che, per 1 “Per competenza pragmatico-testuale relativa alla lettura si intende la capacità di ricostruire, a partire dalla lettera del testo e da conoscenze ”enciclopediche”, l’insieme di significati che il testo veicola, assieme al modo in cui essi sono veicolati: in altri termini, l’organizzazione logico concettuale e formale del testo stesso, in rapporto comunque con il contesto” (INVALSI, 2011: 5). 11 essere compresi, necessitano di essere esaminati in relazione alla funzione svolta rispetto al testo e non solo all’interno della frase. Dall’analisi teorica, si passa successivamente all’esame di una prova proposta agli alunni di due classi dell’ultimo anno della scuola primaria, nella quale è stata analizzata la capacità di riconoscere il ruolo svolto dai connettivi nel testo. L’ipotesi da verificare è se la presenza di un connettivo faciliti o meno il riconoscimento delle relazioni tra le proposizioni. Sulla base di alcuni studi sulla comprensione del testo (Kintsch e van Dijk, 1978), si parte dal presupposto che la capacità di riconoscere i legami coesivi sia un indice dell’adeguata comprensione della struttura complessiva in cui sono articolati i diversi concetti espressi. Lo studio delle difficoltà incontrate dai ragazzi aiuta, dunque, a comprendere meglio un aspetto fondamentale della competenza testuale, ovvero la capacità di cogliere la rete strutturale dei significati veicolati da un testo e i meccanismi linguistici attraverso i quali la rete è stata intessuta. L’osservazione delle competenze linguistiche dell’alunno, fondata su rigorosi modelli teorici, permette di valutare criticamente le scelte didattiche nell’insegnamento della lingua, con l’ottica di promuovere un apprendimento attivo e consapevole. 12 CAPITOLO I IL SIGNIFICATO CONDIVISO I.1. La prospettiva cognitiva sul significato La visione della lingua è stata modificata profondamente dagli studi sulla comunicazione che hanno introdotto il concetto di “codice”, come un sistema complesso di trasformazione delle informazioni condiviso tra trasmittente e ricevente. Il codice è composto da segni, in cui si combinano un elemento percepibile attraverso i sensi (significante) e il suo aspetto intelligibile (significato). Tra i segni assumono una rilevanza particolare nella storia umana i simboli, ovvero segni dal significato arbitrario. La lingua è un codice linguistico che seleziona un insieme limitato di simboli lessicali, costituiti da componenti fonetiche e grammaticali. I suoni che compongono le parole e le parole stesse hanno innumerevoli varianti contestuali e situazionali, che possono essere riconosciute in modo univoco dal decifratore soltanto grazie ai modelli della propria comunità linguistica (Jakobson, 2012). Il carattere duplice del segno ha rivoluzionato la linguistica imponendo di considerare il rapporto tra forma e significato ad ogni livello, dal fonema al testo. Contemporaneamente è emerso appieno come non sia possibile alcuna riflessione sul senso delle parole che non tenga in considerazione il contesto in cui è emesso il messaggio. Il linguaggio come sistema non può essere compreso se è considerato un codice indipendente dalla comunicazione effettiva. La definizione dei processi di codificazione e decodificazione ha costretto i linguisti ad accettare il fatto che qualunque modello di lingua che volesse spiegarne le costituenti strutturali, non poteva prescindere dal trasmittente e dal ricevente e, conseguentemente, dal contesto. 13 Il dibattito degli anni ’60 sull’introduzione del “senso” nell’analisi di ogni componente della lingua si situa all’interno di una rivoluzione che ha coinvolto nello stesso periodo tutte le scienze umanistiche. Il cambiamento che si è verificato nella prospettiva linguistica non è limitato a studi settoriali, ma è frutto di una convergenza negli studi teorici di matrice cognitivista, che si sono allontanati dal modello di elaborazione dell’informazione2. Secondo il nuovo approccio i dati che l’uomo ricava dall’ambiente non possono essere intesi come stimoli neutri, ma devono essere considerati dotati di significato. Il punto cruciale dunque consiste nella comprensione dei processi attraverso cui l’uomo attribuisce un senso all’esperienza. Nel saggio La ricerca del significato, Bruner (1992) riassume alcune delle posizioni che hanno dato un contributo importante alla riflessione. Gli psicologi cognitivisti avevano abbandonato il concetto di pensiero o mente, seguendo i principi metodologici del positivismo, secondo il quale, le cause del comportamento umano sono da ricercare esclusivamente nell’ambito del substrato biologico dell’uomo. Al contrario gli stati mentali, ovvero i processi intenzionali soggettivi come credere, desiderare, intendere, non erano considerati come origine delle azioni individuali ed erano conseguentemente esclusi da qualunque indagine scientifica. L’oggetto di studio della psicologia erano quindi i comportamenti e non le spiegazioni che una persona poteva offrire per le proprie azioni. In realtà i gesti quotidiani sono interpretati comunemente alla luce del significato che attribuiscono loro le persone coinvolte: un atto giudicato involontario, ad esempio, non provoca le stesse reazioni di un’offesa. Per determinare quale sia l’intenzione di chi agisce, ci si 2 La prima fase del cognitivismo, indicativamente tra gli anni cinquanta e sessanta, indaga i processi cognitivi che trasformano i segnali provenienti dall’ambiente e inducono comportamenti. L’interesse è centrato esclusivamente sul modo in cui l’informazione, intesa come semplice input dall’esterno, viene elaborata all’interno della mente. Cfr Cicogna e Occhionero (2009). 14 basa in larga parte sulle informazioni verbali che questi offre: se qualcuno mi urta, ma si scusa, non interpreterò il suo gesto come una spinta. In conclusione il rapporto tra azione e discorso è considerato interpretabile nella vita quotidiana. Il principio funziona nei due sensi: il significato dell’azione è interpretato in relazione alle espressioni verbali, come nell’esempio precedente, e contemporaneamente il discorso assume un senso nel contesto delle azioni in cui si colloca. La psicologia tradizionale occupandosi esclusivamente di comportamenti e non di stati intenzionali non indaga sulla relazione tra le azioni e il significato attribuito loro dagli individui. Ad introdurre tale tema nella riflessione teorica hanno contribuito altre discipline, in primis la filosofia del linguaggio. La teoria degli atti linguistici ha affermato l’interdipendenza tra gli enunciati, il contesto e gli stati psicologici del parlante (Searle, 2009). In sostanza, anche le parole costituiscono un’azione, per cui non ha senso dividere la forma verbale che assume un enunciato dall’intenzione che esprime. Per comprendere qualunque enunciato è necessario interpretare lo scopo con cui è stata emesso. Bruner (1992), dunque, con un’operazione di sintesi su numerosi contributi teorici, arriva alla conclusione che qualunque atto di comprensione implichi un’interpretazione degli stati intenzionali. Se l’azione dell’uomo ha dei vincoli oggettivi dati dalla sua natura biologica, essa è comunque diretta da credenze, desideri, interpretazioni. Gli stati intenzionali non appartengono al patrimonio biologico, bensì a quello culturale, sono cioè il prodotto di un’interazione dell’individuo con una comunità sociale definita. La cultura plasma la mente dell’uomo, fornendogli gli strumenti interpretativi per la propria esperienza. I modelli di interpretazione sono veicolati dai sistemi simbolici elaborati nella comunicazione, nella spiegazione della realtà, nella vita sociale. 15 I.2 La narrazione Le persone organizzano le loro conoscenze relative al mondo e alla società attraverso costruzioni culturalmente determinate. Secondo Bruner (1992), la spiegazione degli stati intenzionali è costruita in forma narrativa. Le azioni umane sono interpretate con uno schema che vede un soggetto agente, cioè dotato di uno scopo, in una determinata situazione e in un preciso arco temporale. La capacità interpretativa è una risorsa che la specie umana ha sviluppato nel corso della sua evoluzione per riconoscere le credenze e i desideri degli appartenenti alla specie. In ogni cultura esistono dei ruoli ben definiti per ogni situazione e delle regole che guidano la conversazione secondo condizioni di appropriatezza ed economia3. Quando si verifica un’eccezione alla norma, si avverte l’esigenza di spiegare quanto avvenuto, cercando una ragione per il comportamento anomalo, normalmente attraverso l’attribuzione di uno stato intenzionale (credenza, desiderio, bisogno) al protagonista. La spiegazione è significativa se è verosimile, ovvero se riesce ad inserire l’elemento estraneo nel contesto. La propensione dell’uomo a spiegare la diversità in modo congruente con la morale e le istituzioni consente di mantenere la stabilità della vita sociale. La funzione della narrazione è dunque quella di rendere comprensibile una deviazione rispetto ad un modello culturale canonico. Anche la ricostruzione dell’esperienza personale segue lo stesso schema culturalmente determinato, in cui l’individuo ordina gli eventi in modo conforme alla rappresentazione canonica del mondo sociale. Nel processo di memoria le informazioni non sono immagazzinate indiscriminatamente, sono invece selezionate seguendo strutture stabili, che forniscono un contesto interpretativo. 3 La trattazione di Bruner degli schemi culturali e linguistici in cui si inquadra il comportamento umano si riferisce a Barker (1978) e Grice (1989) 16 La narrazione è un processo strutturato attraverso quattro proprietà fondamentali: 1. mette in rilevo l’azione di esseri umani in situazioni che cambiano (agentività); 2. è composta da una sequenza di eventi o stati mentali (sequenzialità); 3. esprime il punto di vista del narratore (prospettiva); 4. stabilisce legami tra l’eccezionale e l’ordinario (canonicità). Il rapporto tra la narrazione e la realtà è metaforico e non referenziale. Il racconto è plausibile, non grazie alla relazione speculare tra la trama e i fatti narrati, ma quando la sequenza dei fatti e le relazioni tra gli eventi e i personaggi sono organizzati in modo significativo. Le caratteristiche individuate si esprimono attraverso un uso preciso del linguaggio, ricco di “trasformazioni congiuntivizzanti”, come le metafore, i traslati, i verbi dichiarativi, ovvero usi lessicali e grammaticali che mettono in evidenza gli stati soggettivi, le circostanti attenuanti, le possibilità alternative (Bruner, 1992: 63). Il significato del discorso è dunque allusivo e passibile di giudizi di valore, estremamente sensibili al contesto, perciò non è esprimibile attraverso la logica formale del linguaggio scientifico. Mentre le proposizioni logiche mirano ad offrire un’unica interpretazione possibile, il linguaggio narrativo si caratterizza attraverso il ricorso costante alla polisemia e al punto di vista soggettivo, obbligando l’ascoltatore ad un’opera continua di interpretazione. Sono proprio queste forme che, pur aumentando l’elusività e l’indeterminatezza del racconto, permettono un attivo coinvolgimento di chi ascolta. La narrazione presuppone dunque un contesto di riferimento ed un destinatario, caratterizzandosi così come una struttura tipicamente dialogica, anche nelle sue forme più rigide, quali ad esempio le opere letterarie. Il significato è costruito nella relazione tra il parlante e l’ascoltatore, che hanno come riferimento comune non la realtà, ma l’interpretazione della realtà fornita dalla cultura di 17 appartenenza, e come strumento di comunicazione la lingua condivisa. La comprensione del messaggio dipende dunque dalla capacità di decifrare i riferimenti al contesto e le forme linguistiche che esprimono l’intenzione del parlante. I.3 La narrazione nel linguaggio infantile La ricostruzione di Bruner (1992) conclude che la specie umana ha sviluppato la capacità di ricostruire il significato delle azioni umane attraverso la narrazione, creando schemi di interpretazione trasmessi dalla cultura. L’acquisizione delle forme narrative è una pratica sociale a cui ogni individuo è sottoposto fin dalla nascita. Il bambino impara a riconoscere le strutture canoniche in cui si esprime un’azione e spiegare le possibili deviazioni partecipando ad un processo di negoziazione di significati condivisi. Affinché ciò avvenga, egli deve avere accesso al sistema di simboli che la propria cultura utilizza per esprimersi. Bruner, individuando il ruolo cruciale della cultura nella costruzione del significato, pone così l’attenzione sull’acquisizione dei codici simbolici: i simboli dipendono dall’esistenza di un “linguaggio” che contenga un sistema di segni ordinato e governato da regole. Il significato simbolico, dunque, dipende in qualche modo cruciale dalla capacità umana di interiorizzare un tale linguaggio e di usare il suo sistema di segni come un interpretante in questa relazione rappresentativa (Bruner, 1992: 75). I numerosi studi sull’acquisizione del linguaggio hanno evidenziato tre nodi cruciali nel processo. Primo, il linguaggio è appreso all’interno di una relazione tra il bambino e chi se ne prende cura, in cui l’uso in situazione è molto più importante della semplice esposizione alle parole. Secondo, alcune funzioni comunicative, tra 18 cui almeno gli atti di indicare, di qualificare, di fare delle richieste, sono presenti molto prima della comparsa del linguaggio verbale. Infine, proprio come conseguenza delle due caratteristiche esposte, l’acquisizione della prima lingua dipende molto dal contesto, il che significa che essa progredisce molto meglio quando il bambino già afferra, in un modo per così dire prelinguistico, il significato dell’argomento di cui si sta trattando o della situazione nella quale il discorso si trova inserito. Tramite una valutazione del contesto, sembra che il bambino sia meglio in grado di afferrare non solo il lessico, ma anche gli aspetti grammaticali appropriati di una lingua (Bruner, 1992: 77). Anche il sistema grammaticale infatti esprime funzioni precise della comunicazione, perciò tra le pratiche prelinguistiche e le regole sintattiche è possibile stabilire una relazione, anche se non diretta, dato che le norme sono arbitrarie. Bruner ipotizza poi che l’acquisizione del linguaggio sia spinta dalla motivazione a narrare. Le forme grammaticali sarebbero assimilate dal bambino in un ordine di priorità determinato dall’esigenza di costruire una narrazione efficace. Tale affermazione è in aperto contrasto con molte teorie linguistiche che sostengono invece che l’acquisizione complesse. proceda A dalle sostegno di forma più semplici a questa ipotesi, si quelle ritrovano più negli esperimenti sul linguaggio infantile numerose prove della capacità di cogliere le strutture narrative fin dalla nascita. Innanzitutto, il bambino, fin dai suoi primi sguardi, focalizza la sua attenzione principalmente sull’azione umana e i suoi risultati, dimostrandosi sensibile alla caratteristica denominata “agentività” . Un altro comportamento caratteristico è l’interesse verso l’insolito, che compare sia come forma di attenzione nei neonati sia come spinta al racconto nei bambini piccoli, per i quali gli eventi inusuali inducono una maggiore produzione verbale. La narrazione allo 19 stesso modo stabilisce legami tra l’ordinario e l’eccezionale (canonicità). Uno dei primi meccanismi grammaticali padroneggiati nell’infanzia è l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto. Inoltre i bambini iniziano molto presto a stabilire legami tra le diverse sequenze di un racconto per ricostruire l’ordine tendenza riflette temporale la forma e, in seguito, strutturale della causale. Questa narrazione, la sequenzialità, attraverso cui personaggi, eventi e stati mentali sono messi in relazione nella trama. Infine nel linguaggio infantile compaiono nei primi soliloqui forme di autoconsapevolezza, che dimostrano la capacità di distinguere tra le proprie opinioni e i fatti osservati. La capacità di descrivere i propri dubbi e le aspettative sul mondo e di accettare l’incertezza di alcune situazioni dimostra l’esistenza di una prospettiva analoga a quella del narratore esperto. I bambini dunque hanno un ampio bagaglio che permette loro di comprendere e raccontare storie, molto prima di acquisire la capacità di gestire il pensiero logico. I discorsi degli adulti forniscono loro i modelli di riferimento, che ben presto (già a partire dai tre anni) i bambini rielaborano ed utilizzano non solo per raccontare, ma anche per ottenere qualcosa, ingannare, adulare. Si dimostrano cioè in grado di comprendere i sentimenti e le aspettative degli interlocutori ed utilizzare la lingua nelle sue molteplici funzioni comunicative. I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio L’ipotesi di Bruner (1992) fornisce un quadro generale sul complesso rapporto tra comunicazione e cultura nell’acquisizione del linguaggio. Se l’ipotesi dell’acquisizione delle forme grammaticali determinata dalla struttura narrativa del discorso umano non si può dare per certa, senza ulteriori indagini sperimentali, tuttavia è 20 assodato che la narrazione rappresenti uno dei processi fondamentali del linguaggio. La produzione linguistica, sia orale che scritta, rientra nell’attività più ampia del discorso, che è regolato da meccanismi specifici, quali ad esempio l’inferenza e la conoscenza condivisa, che evitano la ripetizione di ogni dettaglio. Il parlante dunque considera contemporaneamente il contenuto del racconto e le conoscenze dell’interlocutore. Il parlante considera simultaneamente il tempo, il luogo, la causalità degli eventi; il modo in cui viene presentata l’informazione; le conoscenze pregresse condivise dagli interlocutori; gli strumenti coesivi che forniscono informazioni sulle relazioni tra gli eventi e tra i personaggi (Karmiloff, Karmiloff - Smith, 2002). Una delle forme principali del discorso è la narrazione, che costruisce sia una struttura a livello di argomento che una a livello interenunciativo. La prima organizza il contenuto (topic) in modo coerente, mentre la seconda seleziona gli strumenti linguistici per collegare gli enunciati con un criterio gerarchico. Per costruire tali strutture, il parlante ricorre a meccanismi sintattici che permettono di collegare le informazioni nuove a quelle note o già dette, rendendo meccanismi scorrevole la rappresenta narrazione. uno dei Acquisire passaggi più tali complessi complessi nel processo di acquisizione del linguaggio, che viene affrontato a partire dai sei, sette anni. I bambini sono in grado già precedentemente di generare racconti basati su un sequenza coerente di eventi, in cui la coesione è mantenuta grazie alla ripetizione o ai riferimenti al contesto extralinguistico, attraverso un uso deittico dei pronomi. In un successivo stadio dello sviluppo si rendono conto che la storia ha bisogno di una struttura intralinguistica, per riferirsi a cose o eventi già menzionati precedentemente. Tali relazioni sono istaurate principalmente attraverso i pronomi, i connettivi temporali e causali e l’elissi. Nello stadio finale l’uso dei diversi strumenti di coesione 21 permette di riferirsi a tutti i personaggi e di distinguere i loro ruoli nella storia. La ricerca ha sviluppato modelli sperimentali per valutare non la produzione, ma la competenza linguistica del bambino ad un dato momento del suo sviluppo. L’attenzione è puntata principalmente sui processi di comprensione, perché questi sono più facilmente indagabili in laboratorio attraverso prassi verificabili. Queste sperimentazioni sostengono l’idea secondo cui i bambini utilizzano la loro conoscenza del mondo, cioè la loro conoscenza non linguistica, per migliorare la loro abilità linguistica. Ad esempio il bambino può commettere errori di interpretazione nella frase “il bambino è baciato dalla ragazza”, in cui l’agente non coincide con il soggetto. In questo caso l’unico criterio possibile per attribuire il ruolo di agente ad uno dei due elementi nominali è esclusivamente di tipo morfosintattico, implica cioè il riconoscimento della struttura passiva del verbo, forma sintatticamente complessa da padroneggiare. Tuttavia l’enunciato “la pianta è innaffiata dalla ragazza” non presenta difficoltà, dato che per riconoscere l’agente, il bambino si affida alla propria esperienza, in cui sono sempre le persone che innaffiano le piante e mai viceversa. Per interpretare il significato, oltre a ricorrere al proprio bagaglio di conoscenze, i bambini sono capaci di utilizzare le informazioni fornite da altri elementi presenti nel contesto linguistico, definito anche cotesto. La frase “l’anatroccolo è morsicato dalla scimmia” è interpretata con più facilità, se è seguita o preceduta da un’altra frase (“povero anatroccolo!”), coerente con la prima (Harris, Coltheart, 1991). Nel primo caso preso in considerazione, dunque, l’ascoltatore deve risolvere un problema puramente linguistico, ovvero deve riconoscere gli strumenti morfosintattici attraverso cui la lingua esprime una relazione tra due elementi. I risultati della ricerca di Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) dimostrano che i bambini sono capaci anche a tre anni di scoprire le coerenze interne nel contesto 22 linguistico, anche quando tali modelli non coincidono con il contesto non linguistico. Questa capacità permette al bambino di capire in che modo il modello linguistico esprima gli avvenimenti non linguistici, ad esempio l’esistenza di segnali che esprimono il plurale in modo diverso nei verbi e nei sostantivi. Esiste comunque una notevole differenza nell’uso dei sistemi grammaticali del linguaggio e nella competenza linguistica. I bambini attraversano uno stadio di comprensione parziale che comporta strategie specifiche, prima di arrivare ad una comprensione completa. La competenza linguistica, dunque, comprende l’abilità di decifrare le componenti grammaticali. A questa si affianca la capacità di ricorrere alla propria enciclopedia, ovvero alle conoscenze relative all’oggetto in questione. Le informazioni non devono essere soltanto recuperate dalla memoria, ma devono anche essere collegate al discorso. Esistono poi dei riferimenti al contesto extralinguistico che devono essere decifrati esercitando la competenza pragmatica4. In tal caso la comprensione richiede anche l’interpretazione delle intenzioni del parlante. All’interno del testo sono presenti numerose relazioni tra le parole o tra le frasi, che contribuiscono a determinare il significato. L’esempio riportato in precedenza presentava due frasi distinte: L’anatroccolo è stato morso dalla scimmia. Povero anatroccolo! Lo stesso testo potrebbe essere riscritto evitando la ripetizione del nome anatroccolo: L’anatroccolo è stato morso dalla scimmia. Povero lui! La sostituzione del nome con il pronome istituisce un legame di tipo anaforico che richiede un’interpretazione dell’ascoltatore. Può essere istituita anche una relazione tra frasi o parti più ampie del testo attraverso l’uso di congiunzioni, avverbi e locuzioni anaforiche, che allo stesso modo influisce sulla comprensione. Tutte le operazioni descritte permettono di ricostruire il significato del messaggio ed individuare con precisione il suo referente. Come 4 La competenza pragmatica è la capacità di esprimere e comprendere i significati in relazione agli aspetti contestuali (Cicogna e Occhionero, 2009). 23 risulta evidente dall’esperimento illustrato sopra, l’ascoltatore esercita contemporaneamente le diverse abilità che formano la competenza linguistica. L’acquisizione del linguaggio dunque deve essere considerata in una prospettiva sistemica molto ampia in cui interagiscono diverse abilità interrelate tra loro. Ognuna di tali abilità è a sua volta costituita da un insieme di processi interdipendenti. La comprensione esaminata nel paragrafo precedente è uno di tali processi che richiede una serie di operazioni di memoria, di interpretazione, di collegamento. L’attività richiede di cogliere il contesto situazionale, in particolare in relazione all’argomento e all’intenzione dell’interlocutore (Balboni, 1994). Sapere una lingua dunque è soltanto un aspetto della competenza comunicativa, in cui si integrano la capacità di padroneggiare le abilità linguistiche, la capacità di usare la lingua come strumento di azione in un dato contesto, la capacità di usare le grammatiche linguistiche e di integrarle con altri linguaggi. Ognuna di queste dimensioni si realizza soltanto in interazione con le altre5. 1.5 La linguistica testuale Qualunque atto di produzione e comprensione linguistica richiede processi cognitivi elaborati di decifrazione delle informazioni e di interpretazione delle referenze contestuali. Tra questi processi riveste un’importanza determinante la narrazione, che organizza in una struttura sovraordinata gli eventi attraverso meccanismi linguistici determinati. L’esito dell’attività di raccontare è il testo (o discorso), in cui le singole frasi si combinano per costruire un significato condivisibile tra gli interlocutori. 5 Con competenza comunicativa si intende la capacita di saper fare lingua (abilità), saper fare con la lingua (funzioni), sapere la lingua (grammatiche). La competenza linguistica è l’ultima delle tre dimensioni descritte che gestisce i sistemi fonologici, morfosintattici, lessicali, testuali della lingua (Balboni, 1994). 24 La differenza tra la frase e il testo è determinata dalla rete di relazioni istaurata tra gli elementi del discorso, tra tali elementi e i loro referenti oggettuali, tra i referenti e il contesto. Il senso del testo non può essere ricostruito senza prendere in considerazione tutte le dimensioni coinvolte nella comunicazione: mittente, destinatario, messaggio, codice, canale e contesto6. Il significato è veicolato attraverso l’interpretazione di ognuna delle dimensioni enunciate e si concretizza nelle scelte linguistiche operate dal codice prescelto. Seguendo le premesse enunciate finora, si deve ricercare una definizione di testo capace di accogliere la complessità dell’atto linguistico che ne è all’origine. Così è presentata nell’introduzione alla linguistica di Altieri Biagi: la definizione di testo indica un complesso di elementi verbali (semantici, sintattici, lessicali, morfofonemici, metrici, ritmici) che si comporta come un tutto unico e che si determina in base a certi criteri, la maggior parte dei quali extra-linguistici (Altieri Biagi, 1985: 292). Lo studio dei criteri che costituiscono il testo è stato affrontato da un ramo della linguistica detto testuale, secondo cui l’analisi della frase non poteva spiegare le complesse interrelazioni tra gli elementi, in particolare quelle con valore semantico. Le categorie morfologiche tradizionali risultano insufficienti per spiegare i rapporti tra i diversi elementi, in particolare tra enunciati diversi, che garantiscono l’unitarietà del discorso. Il testo non è una semplice sequenza di enunciati, ma ha una propria struttura unitaria, che richiede all’ascoltatore di riconoscere le relazioni che si instaurano superando i limiti della frase. Tra questi fenomeni, assume un valore fondamentale il concetto di 6 I fattori costitutivi del processo linguistico sono elencati seguendo l’enunciazione di Jakobson, che a sua volta si riferisce al modello di Sapir (Jakobson, 2012). 25 coreferenza, ovvero il fatto che più elementi linguistici denotino la stessa entità. Ogni entità o evento che entra a far parte del discorso in atto e ne diventa oggetto è indicato come referente testuale. I referenti possono essere identificati grazie a fattori di natura diversi, in particolare grazie a loro specifiche proprietà semantiche (ad esempio, inerenti ai nomi comuni che identificano una classe di oggetti come cane) o a riferimenti pragmatici alle conoscenze dell’ascoltatore (il mio cane). Le conoscenze condivise dagli interlocutori possono formarsi e accrescersi all’interno del testo: un referente testuale diventa così identificabile dopo che è entrato a far parte dell’universo del discorso in atto (- Ieri un cane mi ha morso.Che fine ha fatto il cane?). Affinché il ricevente interpreti correttamente un messaggio è necessario che egli sappia se il referente di cui si sta parlando è identificabile e se è già apparso nel testo (Andorno, 2003). Ogni testo istaura una complessa rete di relazioni attraverso la coreferenza, ma anche grazie a collegamenti extralinguistici o a legami logici tra i diversi enunciati, tra i quali ad esempio tutte le connessioni interfrastiche, come quindi o perciò, che richiedono il riferimento ad un enunciato precedente. La comprensione del messaggio richiede dunque il riconoscimento del referente attraverso la decodificazione delle conoscenze implicite, dei rapporti con il contesto, della relazione tra gli interlocutori, dei riferimenti intertestuali. La descrizione delle forme linguistiche che caratterizzano ognuna di queste dimensioni richiede una grammatica che renda ragione dei principi che regolano la comunicazione. La grammatica testuale si pone dunque ad un livello superiore alla morfosintassi, perché descrive la capacità di un parlante di selezionare le opzioni linguistiche appropriate di un messaggio e la capacità richiesta a un ascoltatore per riconoscerne il valore. Affinché questo avvenga, considera come suo dominio il testo e non 26 l’enunciato e prende in esame anche i fenomeni che non sono spiegati dalla sintassi classica (Conte, 1977). La linguistica testuale considera dunque il testo come prodotto di un atto comunicativo, analizzando le scelte linguistiche imposte dalla situazione. Le strutture manifeste sono costruite mediante operazioni di selezione e decisione condizionate dall’interazione comunicativa. Il senso complessivo è compreso solo considerando le connessioni fra gli avvenimenti comunicativi. De Beaugrande e Dressler (1984), in uno dei testi classici della linguistica testuale, hanno riassunto i principi che definiscono il valore comunicativo di un testo. I primi due, coesione e coerenza, si riferiscono direttamente alla struttura del testo, all’interno della quale i diversi elementi sono collegati attraverso relazioni grammaticali e semantiche. Il principio della coesione descrive le dipendenze grammaticali che legano le parole tra loro al livello della superficie. La coerenza invece definisce l’organizzazione dei concetti e delle relazioni tra questi. Altre due caratteristiche del testo, intenzionalità e accettabilità, dipendono strettamente dal rapporto istaurato tra emittente e destinatario. La prima esprime la capacità del parlante di produrre un messaggio adeguato ai propri scopi comunicativi; la seconda descrive la disponibilità dell’ascoltatore a riconoscere l’esistenza di un senso, collaborando attivamente all’interpretazione attraverso l’inferenza delle dell’informatività informazioni implica un sottaciute. riferimento Anche alle il criterio conoscenze del ricevente. L’informatività è la distribuzione di informazioni nuove e note. Il testo per essere interessante deve presentare elementi inattesi, ma contemporaneamente deve fornire gli elementi necessari alla comprensione. Infine, situazionalità e intertestualità descrivono il rapporto tra testo e contesto. Il sesto criterio riguarda i fattori che rendono un testo rilevante e congruente per una situazione data. L’intertestualità è la 27 condizione per cui la corretta interpretazione del testo dipende dalla conoscenza di altri testi correlati. I criteri sono tutti relazionali perché considerano le connessioni tra le occorrenze nel testo o nei testi. Così i concetti di coerenza e coesione, pur essendo condizioni indispensabili, sono utili nell’esame dei testi solo se sono analizzati tenendo presenti le relazioni fra gli avvenimenti comunicativi. Linguistica e psicologia concordano nel sostenere il ruolo fondamentale del discorso nel linguaggio. Sia analizzando i processi cognitivi alla base della selezione delle scelte linguistiche, sia analizzando il testo come prodotto di tali operazioni si evince la struttura unitaria del discorso. Tale struttura risulta comprensibile solo in relazione alla comunicazione in cui è inserita, con tutte le dimensioni implicate. Le ricerche psicologiche sull’acquisizione del linguaggio dimostrano come non sia possibile esaminare la competenza linguistica in modo indipendente da quella comunicativa. La lingua è un codice culturale che si apprende solo all’interno di una relazione interpersonale. Il significato di ogni messaggio così come quello dei simboli usati per esprimerlo è costruito attraverso una mediazione culturale tra individui e tra l’individuo e la società. La linguistica testuale ripropone le stesse conclusioni definendo i principi generali dei processi di comprensione e produzione dei testi. L’atto di comunicazione quale specifica forma di interazione sociale diviene l’explicandum della linguistica. La competenza che è la base empirica della teoria del testo è non più la competenza testuale, ma la competenza comunicativa (ossia la capacità del parlante di impiegare adeguatamente il linguaggio nelle varie situazioni) (Conte, 1977:29). 28 CAPITOLO II COSTRUIRE LA COESIONE II.1 C’era una volta un testo “C’ERA UNA VOLTA… una principessa molto bella che era triste perché era rinchiusa nella torre e voleva andarsene perché c’era un drago e decise così di rimanere affaccata alla finestra così qualcuno la vedesse e UN GIORNO… un principe che venne a sapere questa storia e decise di liberarla un giorno partì e andò da una fata sua amica che gli da una polvere per renderlo invisibile dopo giorni arrivò alla torre e imediatamente si mise la polvere e divento invisibile colpì il drago e salì sulla torre e liberò la principessa FU COSÌ CHE… ritornò al castello e così sposo la principessa e contenti regnarono insieme” (Ambra, 8 anni). In una classe di terza elementare è stato chiesto di inventare una fiaba e, per facilitare il compito, sono state suggerite alcune espressioni da inserire liberamente (c’era una volta, un giorno, fu così che). Gli alunni hanno dovuto comporre un testo scritto, fissando sul foglio bianco la struttura dei racconti tramandati oralmente per secoli nella tradizione di innumerevoli culture e nei dormiveglia di milioni di bambini. La fiaba riportata sopra è il compito svolto in classe da un’alunna. Il testo si presenta come un unico lunghissimo periodo, in cui le frasi sono legate da una sequenza di e o introdotte da così e perché. Se si separano le singole frasi, si ottiene una sequenza lineare di fatti e si osserva che gli eventi sono narrati seguendo l’ordine cronologico in cui sono avvenuti. Inoltre il testo può essere diviso in tre sequenze, segnalate opportunamente: l’inizio della fiaba, indicato dalla formula canonica c’era una volta, racconta la situazione iniziale; la parte centrale, introdotta da un giorno, narra la 29 risoluzione della vicenda a opera del principe; l’ultima frase, che inizia con fu così che, spiega la conclusione felice della storia. Anche i personaggi, l’oggetto magico utilizzato, l’aiutante e l’antagonista appartengono al repertorio classico delle fiabe. La bambina dimostra di avere ben chiara la struttura del genere letterario in questione e di saper organizzare conseguentemente la narrazione. Nei termini della linguistica testuale, il testo è coerente, ovvero è dotato di un significato intellegibile sul piano semantico (Infanti e Martari, 2005). Le frasi, pur nella loro indeterminatezza, esprimono la ricerca di unità attorno a un tema e di una progressione logicotemporale negli eventi. La piccola autrice sembra riconoscere l’unitarietà come una caratteristica imprescindibile del testo e tenta di costruirla mettendo in ordine le frasi e agganciandole tra loro attraverso la congiunzione e. La debolezza strutturale nel brano riguarda un’altra delle proprietà costitutive del testo, la coesione, che garantisce l’unitarietà attraverso il sistema di collegamenti linguistici istituiti tra le frasi a livello morfologico, lessicale, sintattico, interpuntivo (Ferrari, 2009). È possibile analizzare la coesione in ognuno di questi livelli, per giungere ad identificare gli elementi problematici. Nel brano in questione si rileva una sostanziale correttezza nella morfologia, in particolare le forme verbali esprimono correttamente sia la collocazione temporale degli eventi narrati in un passato remoto, sia la scansione temporale interna (espressa nella scelta tra il passato remoto e l’imperfetto), finanche la valutazione della probabilità degli eventi (uso del congiuntivo). Inoltre ogni frase è costruita attorno ad un referente ben individuato (la principessa nelle prime proposizioni, il principe nelle seguenti) con un giusto utilizzo della concordanza e dei pronomi. Nell’ambito della costruzione sintattica la coesione è espressa attraverso l’accordo sul verbo e nell’uso di alcune subordinate. A questo livello le scelte lessicali sono corrette sia nelle frasi relative (introdotte dal pronome che) che nelle causali (introdotte dalla congiunzione perché). È 30 adeguata anche la consecutiva (così qualcuno la vedesse), pur con una locuzione avverbiale imprecisa (così invece di così che). Nonostante le considerazioni precedenti è evidente la traballante impalcatura su cui è stato costruito il brano in esame: manca completamente l’interpunzione e la connessione tra le diverse frasi è affidata esclusivamente alla ripetizione ad libitum della congiunzione e. Il deficit si presenta dunque non al livello della frase, ma nelle relazioni tra frasi sintatticamente autonome e nella costruzione di periodi complessi. Secondo Ferrari (2010), le proprietà coesive di un testo si manifestano principalmente proprio nei legami tra frasi, che devono rispondere sia a principi grammaticali, perché le singole frasi sono soggette a restrizioni dettate da regole sintattiche (ad esempio l’uso del congiuntivo con determinate congiunzioni), sia a principi testuali. Infatti è la struttura complessiva del testo che determina la scelta delle congiunzioni e degli avverbi che collegano porzioni di testo e la distribuzione delle subordinate. Si può concludere quindi che il brano in esame, pur rispettando le regole morfosintattiche all’interno delle singole frasi, non risponde in modo adeguato ai principi di organizzazione testuale. Per definire le carenze della fiaba inventata dalla bambina, abbiamo svolto un’analisi di tipo testuale, con riferimento alla complessa definizione di testo elaborata nell’ambito della moderna linguistica, in particolare per le proprietà di coerenza e coesione. Limitando la riflessione alle categorie descritte dalla grammatica tradizionale, le conclusioni non sarebbero state altrettanto chiare: esaminando ortografia, punteggiatura, morfologia e sintassi, si riconoscono alcuni errori o imprecisioni in questi ambiti, che tuttavia non spiegano l’insufficienza del testo nel suo complesso. Molto spesso, correggendo i testi scritti, gli insegnanti segnalano in modo generico l’inadeguatezza della struttura, ma senza motivare le correzioni operate, se non con vaghe indicazioni sullo stile. Il riferimento ad un modello teorico, come quello offerto dalla linguistica testuale, permette al contrario di considerare l’efficacia 31 comunicativa del testo, secondo categorie ben individuate, per le quali è possibile individuare alcuni criteri di riferimento (Lo Duca, 2003). Nel caso in esame la coesione del testo è stata valutata attraverso la presenza di vari dispositivi quali l’accordo morfologico, la coreferenza, la giunzione. Per esaminare questi aspetti si considerano le interconnessioni linguistiche presenti tra le frasi. In alcuni casi, sono espresse attraverso i pronomi o con rapporti di subordinazione tra proposizioni, categorie ampiamente studiate nella grammatica tradizionale. Altre volte, invece, è necessario prendere in esame fenomeni linguistici che escono dall’ambito della morfosintassi, come ad esempio l’ellissi, o elementi di congiunzione difficilmente classificabili, ad esempio malgrado ciò. Per questo motivo, è stato introdotta la categoria di “connettivo”, ovvero il dispositivo che segnala relazioni tra avvenimenti e situazioni (De Beaugrande e Dressler, 1984), nella quale sono raggruppati avverbi, congiunzioni e locuzioni di diverso tipo morfologico e lessicale, ma con una funzione comune. L’utilizzo degli strumenti descritti presuppone un approccio al testo in cui si esercitano contemporaneamente la competenza grammaticale e la competenza comunicativa. La questione che si pone ora è se il modello di riferimento per l’interpretazione del testo elaborato dalla linguistica testuale sia utile nell’insegnamento della lingua. II.2 Il testo coeso L’esempio portato nel paragrafo precedente ha messo in luce come l’analisi testuale non possa prescindere dall’analisi grammaticale. I due aspetti non si differenziano infatti per il livello di lingua, ma per l’ambito su cui operano, la frase o il testo. L’organizzazione del testo impone scelte ulteriori rispetto a quelle grammaticali affinché la struttura risponda ad una funzione comunicativa. De Beugrande e 32 Dressler (1984), operando una sintesi sui primi studi di linguistica testuale, hanno costruito un modello di analisi del processo attraverso cui si costruisce un testo, indicando con precisione i diversi meccanismi linguistici in cui si esplicano i principi testuali. Si tratta in sostanza di un primo tentativo di costruire una grammatica testuale, che è stato ampiamente ripreso nella letteratura successiva (Andorno, 2003). La riflessione, in seguito, si è estesa anche alla didattica della lingua. La sfida di affrontare il testo da un nuovo punto di vista è stata raccolta in prima istanza in quegli ambienti in cui era già in corso un dibattito sul rinnovamento dell’educazione linguistica, stimolato dall’istituzione della scuola media unica7. Una prima prospettiva sugli interventi teorico-applicativi ispirati alla linguistica testuale è stata offerta dal GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica), un’associazione di docenti nata in stretto rapporto con la Società Linguistica Italiana8. I ricercatori sostennero con forza la necessità di porre il testo al centro delle pratiche didattiche, sviluppando negli alunni la capacità di riconoscere i diversi tipi di testo, di collocarlo nel contesto più ampio della comunicazione, di destrutturarlo nei suoi elementi fondamentali. Secondo i protagonisti di quella fase storica, la ricerca ebbe un impatto positivo sulla successiva rielaborazione dei programmi scolastici, in cui è possibile rintracciare alcune delle istanze portate avanti dalla nuova educazione linguistica (Lo Duca, 2003). Nelle Indicazioni per il curricolo si trovano le seguenti affermazioni: La frequentazione assidua di testi di diverso genere permetterà all’alunno di individuare i modelli che ne sono alla base e di assumerli come riferimento nelle proprie produzioni comunicative. Ogni tipo 7 L. 1859/1962 Nella collana di Quaderni curati dal GISCEL due in particolare sono stati dedicati interamente al tema: Cargnel, Colmelet, Deon (1986); Altieri Biagi (1984) 8 33 testuale sarà appreso come una forma comunicativa storicamente determinata dalle convenzioni, dalle tradizioni culturali, letterarie e linguistiche, quindi variabile nel tempo. […] La riflessione sulla lingua partirà dall’osservazione degli usi linguistici per giungere a generalizzazioni astratte. Essa contribuirà ad apprendere a riformulare frasi e testi e a una maggiore duttilità nel capire e produrre enunciati e testi (MPI, 2007: 51). Il testo programmatico riconosce la complessità dei rapporti che si instaura tra linguistiche comprendere abilità e di produzione competenze un testo è e recezione, comunicative. necessario Per conoscere competenze produrre la o situazione comunicativa in cui ci si colloca ed adottare gli strumenti linguistici ad essa adeguati. Si fornisce inoltre una precisa indicazione di metodo per l’insegnamento della lingua e della grammatica (definita con il termine politically correct, “riflessione sulla lingua”): si deve costruire con gli alunni un percorso di tipo deduttivo basato sull’osservazione dei fenomeni linguistici alla ricerca delle regolarità del sistema linguistico. L’importanza di un lavoro diretto sui testi è dunque riconosciuta da due punti di vista: sia come fondamento teorico sia come approccio metodologico. fondamentale L’apporto anche fornito nella prassi dagli studi didattica teorici risulta quotidiana: alla professionalità dell’insegnante spetta il compito di declinare gli obiettivi di apprendimento generali in obiettivi didattici specifici e di scegliere i mezzi più adatti per perseguirli. L’altro punto di appoggio su cui fondare la programmazione è la conoscenza dell’alunno reale con cui interagisce quotidianamente e di cui deve considerare i bisogni educativi più urgenti. Si muove in questa direzione un’indagine svolta dall’Iprase del Trentino (2011) sulle competenze di scrittura degli studenti. Il progetto La scrittura degli adolescenti e la didattica della scrittura cerca di riempire una lacuna nella letteratura scientifica, rilevando la 34 mancanza di dati significativi sia sul livello di competenza in scrittura sia sulle pratiche didattiche di insegnamento in questo ambito. Lo studio ha coinvolto studenti quindicenni delle scuole trentine di ogni ordine, dei quali ha valutato le abilità nella redazione di un testo di sintesi, realizzato a partire da due testi diversi sullo stesso argomento, e di un testo argomentativo. Le prove elaborate dagli studenti, secondo i ricercatori, non sono vere unità testuali, in cui i concetti sono correlati tra loro ed organizzati coerentemente rispetto ad un quadro unitario, ma piuttosto frammenti accostati senza nessi logici. Il passaggio dalla frase al testo, inteso come insieme organico, rappresenta un momento problematico nella redazione. Le conclusioni della ricerca evidenziano una difficoltà nella costruzione sintattica e nell’organizzazione delle diverse parti del testo, comprovata dall’analisi di alcuni parametri oggettivi9. In particolare risulta carente l’integrazione delle informazioni, ovvero la capacità di connettere informazioni ricavate dalle fonti, sintetizzandole in un unico concetto, attraverso l’uso di nessi grammaticali o testuali. Altri risultati non soddisfacenti emergono nella coesione (intesa come il modo in cui i vari periodi sono collegati tra loro) e nella punteggiatura, da cui si deduce la difficoltà di attribuire il corretto valore ai connettivi e alle congiunzioni. Gli autori individuano quindi nel concetto stesso di testo uno dei nodi problematici dell’apprendimento e suggeriscono di focalizzare la didattica della scrittura sulla pianificazione e l’organizzazione testuale. L’unitarietà del testo deve essere perseguita attraverso una riflessione sul principio di coesione, in particolare sui nessi sintattici e semantici tra le parole, tra cui si deve riconoscere il valore di quelle che rivestono la peculiare funzione di connettivi. Per 9 In entrambe le prove sono state considerate la lunghezza, l’organizzazione, la coesione, la punteggiatura, l’ortografia, il lessico. Per la sintesi sono state valutate informazione, informatività e integrazione; per il testo argomentativo l’argomentatività, ovvero la presenza di prove a sostegno della tesi. 35 porre rimedio alla scarsa conoscenza di tale categoria si consiglia di dedicare tempo ad appositi esercizi. La ricerca sostiene che gli alunni, che sono ormai alla fine del percorso nella scuola dell’obbligo, non abbiano ancora compreso pienamente che cosa rende tale un testo, differenziandolo da un insieme sconnesso di frasi. Questa lacuna impedisce di selezionare e organizzare i concetti attorno ad una tema centrale per costruire un discorso razionale. La scrittura non è affrontata come un compito di problem solving, in cui bisogna in primo luogo riconoscere il problema e definire una strategia di risoluzione. Le osservazioni riportate, per quanto relative ad un campione limitato di studenti, suggeriscono la necessità di portare il testo al centro della didattica della lingua non solo come strumento, ma anche come oggetto di studio in sé. Solo chi è consapevole della struttura di un testo, può porsi il problema di intrecciare le varie informazioni in un insieme ben organizzato e comprensibile per un lettore. La conoscenza dei principi costitutivi del testo fornisce infatti dei parametri oggettivi per valutare l’adeguatezza del prodotto finale rispetto all’efficacia comunicativa. Tra tali principi, la coesione costituisce un ambito di studio, particolarmente interessante in linguistica, per esplicare le relazioni tra le proprietà grammaticali delle classi di parole e la loro funzione all’interno del testo. II.3 Le ragioni della coesione Le definizioni di coesione presenti in letteratura sono in larga parte ispirate dalla teoria funzionalista di Halliday (1994) e dalla sintesi sulla linguistica testuale operata da De Beaugrande e Dressler (1984)10. Halliday (1994) definisce la coesione come un processo 10 I riferimenti si rintracciano ad esempio nei lavori di Andorno (2003), Conte (1977), Lo Duca (2003), Mortara Garavelli (1977), Serianni (2003), Simone (1994). 36 interattivo attraverso il quale il significato è condiviso tra l’emittente e il destinatario: [la coesione] è una relazione semantica tra un elemento nel testo e un altro elemento cruciale per la sua interpretazione (Halliday, 1994: 8). Queste relazioni costituiscono la struttura del testo e non possono essere spiegate all’interno dell’unità grammaticale della frase. La definizione di de Beaugrande e Dressler (1984) pone l’accento in particolare sul carattere grammaticale di questa proprietà: [la coesione] concerne il modo in cui le componenti del testo di superficie, ossia le parole che effettivamente udiamo o vediamo, sono collegate fra di loro. E dal momento che le componenti di superficie vengono a dipendere l’una dall’altra in base a forme e convenzioni grammaticali, la coesione di fonda su dipendenze grammaticali (de Beaugrande e Dressler, 1984: 18). Le diverse componenti già utilizzate possono essere reimpiegate o modificate nel discorso, in modo da contribuire alla stabilità e all’economia di informazioni del testo, favorendone l’elaborazione. Ciò avviene attraverso un numero limitato di meccanismi linguistici: la ricorrenza (ripetizione di elementi o pattern); la ricorrenza parziale (ripetizione di componenti di parole con cambio di classe); il parallelismo (ripetizione di strutture sintattiche di superficie, dotate di espressioni differenti, ad esempio ha bevuto dai nostri bicchieri, mangiato dai nostri piatti); la parafrasi (ricorrenza del contenuto con una modifica dell’espressione); l’uso di pro-forme ( principalmente pronomi, ma anche aggettivi o particelle avverbiali); l’ellissi (omissione di alcuni elementi già noti); l’accordo morfologico (espresso generalmente attraverso il tempo, l’aspetto e la persona nelle forme verbali); la giunzione (espressioni che segnalano relazioni tra avvenimenti e situazioni). 37 Halliday (1994) riconosce essenzialmente gli stessi legami coesivi, ma preferisce suddividerli in base alla funzione che svolgono nel testo, ovvero coesione referenza, lessicale sostituzione, (ripetizione, ellissi, sinonimia congiunzione o e iperonimia, generalizzazione). Sottolinea inoltre come i primi tre tipi abbiano una valenza puramente grammaticale, mentre i meccanismi di congiunzione combinano elementi lessicali con elementi grammaticali: le parole identificate come elementi di congiunzione, cioè, svolgono il proprio ruolo in virtù del proprio significato specifico. Ferrari (2010) sintetizza le due visioni in un’unica definizione: la coesione si manifesta in un sistema di reti di collegamenti linguistici tra le frasi che indicano dipendenze e sintonie interpretative tra diversi elementi nel co-testo. I dispositivi di coesione quindi istaurano un rapporto di coreferenza, ma rispondono anche a principi grammaticali (ad esempio nella scelta di un pronome, è la forma stessa del pronome che condiziona la declinazione in persona, genere e caso in accordo con il referente che sostituisce e con la funzione che il pronome svolge nella frase). L’autrice delinea con precisione il dominio di manifestazione dei legami coesivi nelle relazioni tra frasi autonome o tra porzioni più ampie di testo, come periodi, paragrafi o addirittura capitoli. Estende inoltre l’ambito di manifestazione della proprietà della coesione anche all’interno della frase complessa, ovvero alle connessioni fra frasi reggenti, frasi coordinate e un particolare gruppo di frasi subordinate, le avverbiali e le relative (ovvero le frasi non argomentali)11. Tale scelta è coerente con l’affermazione di Halliday, secondo cui i legami coesivi 11 La distinzione introdotta nelle subordinate tra argomentali e non argomentali ricalca la distinzione tra argomenti ed espansioni proposta dalla grammatica strutturale di Tesnière, dove un argomento è un complemento necessario al verbo affinché la frase non risulti agrammaticale, mentre un’espansione è un elemento facoltativo. All’interno di un periodo complesso le frasi che svolgono la funzione di argomento di un predicato sono dette argomentative o completive; le frasi che aggiungono un’informazione indipendente dal processo principale sono dette avverbiali o circostanziali, le frasi che sono espansioni di nomi sono dette relative (cfr Prandi, 2006). 38 non hanno nulla a che vedere con i limiti delle frasi e con gli esempi proposti in cui sono compresi anche i legami tra frasi in periodi complessi. La scelta fra i diversi legami coesivi e la loro distribuzione non risponde a regole grammaticali, ma alla struttura e alla natura del testo: il testo argomentativo, ad esempio, che veicola molte informazioni, richiede un’organizzazione ben definita che si manifesta attraverso un uso di connettori logici. Anche altri aspetti della comunicazione influenzano la scelta: un testo destinato a bambini predilige una struttura semplice con ripetizioni frequenti. La coesione dunque ha una funzione precisa nel processo di produzione del testo: il parlante offre un insieme di istruzioni relative alle informazioni fornite e alla loro organizzazione. L’esplicitazione dei nessi coesivi diminuisce di conseguenza lo sforzo di interpretazione richiesto all’interlocutore (Halliday, 1994). Il rapporto di coesione può essere istaurato sia tra i significati espressi dalle forma linguistiche (funzione semantica, come nell’esempio 1), sia nelle relazioni realizzate dal parlante all’interno del suo discorso (funzione pragmatica, come nell’esempio 2): (1) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi ha iniziato ha produrre rumori preoccupanti. (2) Prima di tutto la macchina si è guastata, poi non mi appartiene. Questo lavoro si propone di analizzare i processi che portano l’alunno dalla produzione di frasi alla redazione di un testo. Dovendo scegliere un ambito limitato per poter svolgere osservazioni significative, il principio della coesione è stato selezionato in quanto permette l’individuazione di indicatori specifici rintracciabili facilmente in ogni testo. Come rilevato sia nell’analisi del brano presentata all’inizio del capitolo sia nei criteri di valutazioni descritti nella ricerca trentina, i legami di coesione si manifestano attraverso forme lessicali e grammaticali individuabili con precisione e quindi 39 misurabili. Inoltre, per esser adeguatamente descritti, richiedono un riferimento costante sia al livello morfosintattico della lingua che a quello pragmatico, consentendo una visione complessa del testo. Infine l’estensione della rete di connessioni nel testo sembra essere un’indicazione della presenza di una strutturazione logico-formale delle informazioni e delle argomentazioni. Introducendo una riflessione consapevole sull’organizzazione testuale si potrebbe fornire agli alunni uno strumento per migliorare le proprie capacità di comprensione, sintesi e produzione scritta. In particolare, tra i diversi meccanismi di coesione presentati, quello che più contribuisce a segnalare i legami logici tra le diverse parti del testo è l’uso di elementi di giunzione o congiunzione detti anche connettori o connettivi12. Essi spiegano in che modo gli elementi linguistici sono collegati tra loro attraverso una relazione semantica, costruendo così una gerarchia logico-temporale tra le informazioni presentate. 12 Nel testo originale di De Beaugrande e Dressler (1984) il termine utilizzato per la relazione è Konnexion, quello per gli elementi lessicali Konnektoren, in Halliday (1994) troviamo rispettivamente conjunction e conjunctive adjuncts. I termini sono stati variamente tradotti nei saggi italiani. 40 CAPITOLO III CONNETTIVI: UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale Tra i diversi processi di coesione, Halliday e Hasan (1994) individuano la “congiunzione”, ovvero specification of the way in which what is to follow is systematically connected to what has gone before (Halliday, Hasan, 1994: 227). La relazione, realizzata attraverso numerosi elementi che rientrano in diverse compound categorie adverbs, grammaticali prepositional (coordinating phrases, conjunctions, prepositional expressions), è al confine tra il piano grammaticale e il piano semantico. Infatti queste parole o espressioni creano coesione tra le diverse parti del testo in virtù del proprio specifico significato lessicale. Non sono meccanismi che rimandano direttamente ad un altro elemento linguistico del testo, ma piuttosto presuppongono la presenza di altre componenti nel discorso a cui fanno riferimento: strutturano il testo in modo da costruire un ordine logico tra le diverse parti. Possono essere divise in quattro categorie generali, riconducibili a precise funzioni: additiva (and), avversativa (but), causale (so) e temporale (then) (Halliday e Hasan, 1994). Per de Beaugrande e Dressler la “giunzione” è un dispositivo per segnalare le relazioni tra avvenimenti e situazioni attraverso espressioni giuntive (De Beaugrande e Dressler, 1981: 18). 41 Le relazioni tra avvenimenti e situazioni espresse dai connettori sono classificabili come congiunzione, disgiunzione, contro-giunzione e subordinazione. La congiunzione (vd. e) è una relazione che collega due avvenimenti o situazioni interdipendenti citate sia dentro un enunciato che al di là dei suoi limiti. La disgiunzione (vd. o), all’interno dell’enunciato, connette due alternative, entrambe presenti nella memoria a breve termine, delle quali una sola si realizza nel mondo testuale; fra due enunciati, invece, tende a esprimere un’alternativa non considerata in precedenza. La controgiunzione (vd. ma) ha la funzione di agevolare punti problematici di transizione nei quali compaiono combinazioni di situazioni o avvenimenti apparentemente improbabili. La subordinazione, infine, rende esplicite relazioni di coerenza, ad esempio di causa, agevolazione, ragione, scopo, tempo, localizzazione. Le forme descritte contemporaneamente il sono loro ruolo individuate sintattico considerando e l’intenzione comunicativa del parlante. La funzione coesiva di tali elementi aiuta chi produce il testo ad esercitare un controllo sul modo in cui questo viene recepito dal ricevente. Le definizioni ora presentate sono state riprese in molte opere italiane. Berruto (1997) propone il termine “connettivo” per gli elementi che realizzano i rapporti di coordinazione o subordinazione tra le frasi, tra cui segnala le congiunzioni che hanno il valore di operatori logici, ossia che favoriscono l’interpretazione del valore degli enunciati. Telve (2008) ha allargato ulteriormente la categoria includendo al suo interno qualunque elemento grammaticale che stabilisca una relazione tra sintagmi, tra clausole, tra periodi. I connettivi garantiscono una funzione “strutturante” e di coordinamento all’interno delle frasi semplici e complesse (connettivi frasali) o in unità testuali superiori (connettivi testuali). Nel secondo caso hanno la funzione di conferire al testo un ordine tematico, logico-consequenziale e temporale; di specificare il senso delle 42 affermazioni; di segnalare un momento di passaggio, una conclusione o un rinvio interno o esterno al testo. Una definizione più ristretta è presente nel manuale di linguistica di Simone (1994), per il quale i connettivi sono tutti gli elementi che svolgono la funzione di connettere porzioni diverse del testo (sia all’interno della stessa clausola sia di clausole diverse), pur senza aver necessariamente un punto d’attacco in un’altra parte del testo. In pratica sono connettivi quasi tutte le congiunzioni e una parte notevole degli avverbi, ma anche un numero difficilmente definibile di sintagmi preposizionali e di clausole (es. come abbiamo visto) (Simone, 1994: 424). L’autore specifica che i connettivi possono avere sia la funzione di indicare relazioni sia la funzione di modulare l’enunciato, creando enfasi o focalizzando un elemento rispetto ad altri, evidenziando la dimensione pragmatica della comunicazione. Alcuni autori hanno focalizzato l’attenzione sui connettivi definiti pragmatici, che operano al di fuori della frase mettendo in relazione atti linguistici autonomi. Berretta (1984), nel saggio Connettivi testuali in italiano e pianificazione del discorso, esamina gli elementi linguistici espliciti che esprimono relazioni tra parti del discorso in alcuni testi espositivi orali. Analizza in primo luogo i connettivi che legano atti linguistici distinguendoli in base alla funzione: possono esprimere relazioni di carattere semantico-discorsivo o essere segnali di articolazione della struttura interna del testo (demarcativi). Questi elementi svolgono la funzione di strutturare il testo e possono esplicitare una relazione semantica, sintattica o una sovrapposizione di entrambe. Le loro caratteristiche sono l’appartenenza al livello del discorso e l’autonomia rispetto alla struttura frasale in cui sono inseriti. Nei connettivi frasali la distinzione tra livello semantico e livello pragmatico o discorsivo è più complessa e largamente intuitiva. Le relazioni a livello 43 pragmatico, ovvero relazioni istituite dal parlante nel e per il suo discorso, sono spiegate attraverso alcune esemplificazioni: spiegare (cioè); esemplificare (per esempio); autocorreggersi (anzi); riassumere (insomma); demarcare la struttura del testo (ora). Commentando la classificazione di Halliday (additivi, avversativi, causali e temporali), l’autrice non accetta il parallelismo tra i connettivi frasali e quelli testuali, dato che riferisce i primi a “fatti” del mondo e i secondi a “fatti” discorsivi. Sulla stessa linea teorica, si pongono anche la Linguistica testuale di Andorno (2003), che tratta i connettivi testuali all’interno del capitolo dedicato alla pragmatica, e il manuale di educazione linguistica di Lo Duca (2003). Anche Bazzanella (1995), nella trattazione dei segnali discorsivi13 che svolge per la Grande grammatica italiana di consultazione (Renzi, Salvi, Cardinaletti, 1995), individua un gruppo particolare di “operatori di coordinazione” che realizzano valori speciali o effetti pragmatici, esprimendo relazioni tra atti linguistici. Uno stesso elemento può assumere un valore primario, caratterizzato dal significato letterale, ed un valore pragmatico che assume un significato dipendente dal contesto linguistico ed extralinguistico: (1) Abbiamo messo cento millilitri di sabbia, poi la professoressa ha messo l’acqua (2) Non siamo poi così lontani dalla verità. Nel secondo caso gli operatori si caratterizzano come un gruppo tonale separato, senza una posizione fissa e con la possibilità di essere di essere sostituiti da altre parole dal significato corrispondente. 13 “elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione (Bazzanella, 1995: 225)” 44 Ellero (1986), tenta una classificazione dei connettivi in relazione alla loro funzione semantica o pragmatica. In particolare prende in esame le più abusate forme di congiunzione e e ma, portando esempi di come sia possibile distinguere tra relazioni coordinanti e relazioni coesive. La congiunzione usata come relazione coesiva non collega due elementi linguistici sullo stesso piano, ma congiunge gli enunciati creando una prospettiva sequenziale, ad esempio l’uso di e focalizza l’attenzione sulle nuove informazioni per cambiare l’argomento o la prospettiva del lettore, mentre il ma ad inizio della frase mette in rilievo un supplemento di informazione o nega una tesi che potrebbe essere avanzata dall’interlocutore14. Sabatini e Coletti (2008), nell’introduzione al Dizionario da loro curato, propongono una definizione ampia di “connettivi” come elementi che collegano parti del testo, all’interno della quale gli elementi indicati da Berretta (1984) e Bazzanella (1995) siano individuati come “congiunzioni testuali”, che così definiscono: Si tratta di parole molto comuni e importanti come dunque, ebbene, infatti, inoltre, insomma, oltretutto, peraltro, perciò, sennò, tuttavia, o di espressioni composite altrettanto frequenti, come ad ogni modo, 14 La classificazione è interessante perché fornisce una spiegazione linguistica ad un uso di e e ma ad inizio di frase largamente presente nella letteratura italiana, di cui l’insegnamento tradizionalista, secondo il quale le congiunzioni hanno solo un valore sintattico di unione tra sintagmi o proposizioni, non dà giustificazione. Riportiamo alcuni esempi illustri, solo come provocazione per tutti quegli insegnanti che sanzionano e e ma ad inizio di frase in base a non ben identificati criteri di “stile”. E volta nostra poppa nel mattino, de remi facemmo ali al folle volo. (Dante, Divina Commedia, canto XXVI) Ma Giovanna fu irremovibile. (Boccaccio, Federigo degli Alberighi, Decameron) Ma né quella, né scure, né bipenne Era bisogno al suo vigore immenso. (Ariosto, Orlando furioso, canto XXIII) E non aggiunsero altro, correndo col vento e colle onde, nella notte che era venuta tutt’a un tratto nera come la pece. (Verga, I Malavoglia) 45 con ciò, del resto, in realtà ecc. Tutti questi elementi non svolgono una funzione all’interno di una struttura frasale: non sono cioè avverbi che si legano strettamente a un altro elemento della frase (come quelli presenti in sono qui o studia intensamente) e non sono congiunzioni che collegano due predicati (come accade per le congiunzioni che legano due frasi coordinate o una reggente a una dipendente, regolando anche il modo verbale di questa). Essi invece collegano tra loro entità testuali di qualsiasi conformazione (anche blocchi di più sequenze), conferendo all’entità in cui sono collocati un determinato valore (avversativo, deduttivo, confermativo, riformulativo ecc.) rispetto a quanto detto in precedenza. […] Vengono classificati come congiunzioni testuali. […] Anche altri elementi, che hanno una loro funzione primaria all’interno della frase, possono passare a svolgere una funzione testuale: sono usati cioè in funzione di congiunzione testuale. Questi connettivi testuali sono di norma isolati da pause e molti di essi sono anche di libera collocazione nell’ambito della seconda sequenza di testo (vd. comunque, dopotutto, infatti ecc.) (Sabatini e Coletti, 2008: XIII). Si tratta di forme che sono variamente classificate dalla grammatica come avverbi o congiunzioni o addirittura non sono riconosciuti come unità lessicali. Ferrari (2010) nella voce “Connettivo” dell’Enciclopedia Treccani presenta le diverse posizioni finora esaminate, ma opera una sintesi interessante. Definisce i connettivi come una categoria ampia di tipo sovragrammaticale invariabili che in cui indicano sono incluse le forme relazioni tra eventi o linguistiche asserzioni. Un connettivo può legare una frase e un sintagma con funzione circostanziale, una frase reggente e una subordinata, due frasi coordinate, due frasi sintatticamente autonome, semplici o complesse. Il suo valore semantico è espresso dal tipo di relazione che istaurano (temporale, causale, consecutiva, concessiva, condizionale, di rielaborazione linguistica, di opposizione, di aggiunta di dispositio. Il significato intrinseco è un’istruzione offerta a chi 46 riceve la comunicazione per interpretare la relazione intesa dal parlante, ma tale istruzione può essere povera o specifica. Quando esprime un collegamento con il contesto e non con altri elementi linguistici (valore pragmatico) il connettivo perde in parte il suo significato intrinseco, come negli esempi con e e ma descritti da Ellero (1986). In casi come questo i connettivi diventano “segnali discorsivi”, nel senso descritto da Bazzanella (1995). I connettivi, come tutti gli altri meccanismi di coesione, manifestano i collegamenti linguistici che attraversano il testo, perciò il loro ambito naturale di manifestazione è quello delle relazioni tra frasi o tra porzioni più ampie di testo. Tuttavia vanno considerate come relazioni coesive anche quelle istaurate tra frasi reggenti, frasi coordinate e frasi subordinate non argomentali, perché sono governate contemporaneamente da principi grammaticali e da principi testuali. Ad esempio nelle due frasi: (1) Restò a casa perché era stanco (2) Siccome era stanco, restò a casa è un principio grammaticale che impone la posizione della causale prima della reggente nella frase (2), ma è la struttura del testo che determina la scelta di una o dell’altra congiunzione. L’ultima caratteristica descritta da Ferrari rappresenta senz’altro la meno conciliabile con le definizioni proposte precedentemente, in cui prevale la dimensione interfrastica dei connettivi. Nella trattazione successiva si prenderanno in considerazione principalmente connettivi interfrasali, dato che la definizione dei rapporti coesivi tra clausole risulta estremamente controversa. Per il resto, l’articolata definizione riprende e chiarisce sia la funzione svolta dai connettivi nel rendere esplicita la rete di legami coesivi che percorre il testo ed il suo rapporto con la struttura complessiva che collega le informazioni. In particolare evidenzia il ruolo dei connettivi come 47 segnali per favorire la corretta interpretazione delle relazioni tra fatti o asserzioni presupposta dall’emittente. III.2 I connettivi nei dizionari Dalla ricerca nei saggi di linguistica, emerge come, pur riconoscendo la funzione peculiare svolta dai connettivi come operatori di coesione testuale, non è ancora entrata in uso una terminologia condivisa. La situazione risulta ancora più confusa nelle grammatiche di consultazione e nei dizionari, dove le stesse parole sono classificate in modo diverso o incluse in più categorie. È possibile verificare la complessità delle specificazioni grammaticali, cercando ad esempio i termini quindi e allora. Tra i dizionari, solo il Sabatini-Coletti (2008) ritiene necessario introdurre una nuova categoria, che definisce congiunzioni testuali, nella quale troviamo appunto catalogato quindi15: (1) congiunzione testuale con valore deduttivo conclusivo, perciò: ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare discussioni. Con lo stesso valore opera, come congiunzione, tra due termini della stessa frase: è una persona distratta, quindi inaffidabile || in un dialogo per sollecitare una deduzione: e quindi? (2) congiunzione testuale con valore temporale, poi: percorri la strada fino in fondo, quindi gira a sinistra. L’introduzione della categoria “congiunzione testuale” permette di riunire sotto un’unica voce le occorrenze tra due frasi coordinate (ero piuttosto nervoso, quindi ho preferito evitare discussioni), all’interno della frase (è una persona distratta, quindi inaffidabile) e 15 Il dizionario presenta anche l’accezione di avverbio, ma solo come caso particolare dell’uso letterario arcaico con valore spaziale (di qui): “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (Dante). Questo uso, segnalato anche in altri vocabolari, non sarà preso in considerazione nella seguente trattazione. 48 isolate (E quindi?), perché in ciascuno dei casi citati si esplica un nesso di tipo coesivo. In altri casi, ad esempio nella definizione di allora, il dizionario mantiene invece la specificazione grammaticale tradizionale di avverbio, quando il termine specifica un verbo, un aggettivo o un nome, e aggiunge una variante d’uso in funzione di congiunzione testuale, quando evidenzia un fenomeno di coesione: (1) avverbio, in quel preciso momento: arrivava allora da Torino (2) in funzione di congiunzione testuale, dunque: il film era noioso e allora uscii. Nel Sabatini-Coletti (2008), dunque, il preciso riferimento alla linguistica testuale, palesato nell’introduzione generale, permette una classificazione chiara, dettagliata e basata su criteri grammaticali interni al sistema linguistico. Quando, al contrario, la classificazione è basata sul valore semantico delle parole o su criteri sintattici senza riferimenti ad una teoria esplicita, le definizioni risultano meno chiare. Ad esempio, nelle avvertenze del dizionario Devoto-Oli (2012), si scrive esplicitamente che le distinzioni presentate all’interno di ogni singola voce vogliono documentare e illustrare gli usi linguistici, con esempi tratti dalla letteratura e dalla lingua quotidiana, senza imporre una norma. Tuttavia esaminando le singole voci si rilevano considerazioni di tipo sintattico e semantico, non sempre adeguatamente motivate. In questo dizionario sia allora che quindi sono presentate sotto due accezioni distinte, come avverbio e come congiunzione. La distinzione sembra essere basata sul valore semantico della parola, perché quindi è presentata come avverbio con valore temporale o come congiunzione con valore conclusivo: (1) avverbio con valore temporale, da allora: quindi a pochi dì 49 (2) congiunzione con valore conclusivo o causale, perciò: arrivai in ritardo, quindi presi un tassì; quindi successe che… Nella definizione di allora, invece, si introduce un criterio di tipo sintattico, basato sulla distinzione tra coordinazione e subordinazione: (1) avverbio di tempo, in quel momento: allora regnò finalmente la pace || Usato in senso interrogativo sollecita una conclusione: allora ci muoviamo? (2) congiunzione correlativa (temporale o conclusiva) che afferma il parallelismo della proposizione principale con la dipendente: visto che insisti, allora verrò. Oltre alla confusione nei criteri adottati, risulta discutibile anche la distinzione basata sul valore temporale o conclusivo: nella frase allora regnò finalmente la pace, in cui allora è definito come avverbio di tempo, è altrettanto plausibile un’interpretazione come relazione consecutiva con i fatti narrati in precedenza. Risulta inoltre incomprensibile la collocazione sotto la voce “avverbio di tempo” per l’esempio allora ci muoviamo?, in cui allora è indiscutibilmente un segnale discorsivo. Una situazione analoga si ritrova anche consultando il vocabolario Zingarelli (2012) in cui quindi è definito sia avverbio con valore temporale sia congiunzione con valore conclusivo. Allora è catalogato come avverbio, con l’avvertenza che può essere usato in funzione di congiunzione con valore conclusivo o con valore discorsivo ad inizio frase. Si pone attenzione dunque alla funzione pragmatica in un caso, ma non nell’altro. Inoltre, si trova la formula “in funzione di”, che in molti casi è l’escamotage linguistico con il quale si risolve il problema della doppia appartenenza a due classi del discorso distinte (in questo caso avverbio e congiunzione). De Mauro (2007) nell’introduzione al Grande dizionario italiano dell’uso avverte che la categoria degli avverbi convive con le altre 50 categorie (congiunzione, preposizione, sostantivo, pronome, ecc.) all’interno di uno stesso lemma con un’unica etimologia. È questo il caso sia di quindi che di allora. In particolare nella definizione di allora si evidenzia che il ruolo di congiunzione è riconoscibile proprio grazie alle relazione istaurate con altri elementi del discorso: (1) avverbio, in quel momento (2) congiunzione con valore conclusivo, usata in correlazione con altre congiunzioni indica un rapporto temporale: quando ti sarai deciso, allora fammelo sapere || In forma interrogativa per sollecitare una conclusione, per cominciare o riprendere un discorso: allora, stavi dicendo? Come in De Mauro (2007), in molti altri dizionari i termini sono catalogati come avverbi in relazione al valore temporale e come congiunzioni in relazione al valore conclusivo, includendo in questa seconda categoria anche i casi in cui svolgono una funzione discorsiva. Non sempre, però a questa divisione corrispondono esempi coerenti, al contrario si ritrovano spesso esempi di dubbia interpretazione. Ad esempio nel dizionario Gabrielli (2011), si trovano i seguenti esempi per allora: (1) avverbio, in quel momento: lui apparve, e allora gli corsi incontro; era uscito allora allora; fino allora non si era mai vista una cosa simile; diventerai grande anche tu, e allora capirai (2) congiunzione con valore conclusivo, in tal caso: allora non parlo più; se non ti fidi di me, allora fallo da solo || ebbene, dunque (in proposizioni interrogative dirette ed esclamazioni): allora, che facciamo? Fallo, allora! Anche qui per dare ragione dell’uso pragmatico di allora, si ricorre ad un’analisi sintattica del tipo di preposizioni, che non tiene in considerazione la dimensione comunicativa più ampia del discorso. 51 Nei due esempi citati (allora, che facciamo? Fallo, allora!), infatti il ruolo di allora si spiega come segnale per l’interlocutore, più che come espressione tipica di una forma interrogativa o esclamativa. La stessa presentazione di dubbia interpretazione si trova anche per quindi: avverbio se ha valore temporale e congiunzione se ha valore consecutivo o discorsivo: (1) avverbio, in seguito: insisté un po’, quindi tacque (2) congiunzione, perciò: non mi interessa, quindi non seccarmi || si usa per sollecitare una conclusione o una risposta: quindi? Che aspetti a parlare? In modo analogo quindi e allora sono definiti anche nel dizionario Garzanti (2009), con l’unica differenza che in quest’ultima opera quindi è considerato solo avverbio. Abbiamo così trovato tutte le varianti possibili per i due lessemi esaminati: avverbio e congiunzione, solo congiunzione, solo avverbio, avverbio con funzione di congiunzione. Dagli esempi presentati risulta che tutti i vocabolari, con l’eccezione del SabatiniColetti, mantengono la tradizionale classificazione in avverbi e congiunzioni, utilizzando ora una ora l’altra senza spiegare con quale criterio. In questo panorama si distingue il dizionario Palazzi-Folena (1995), che presenta una divisione netta tra teoria e applicazione: la definizione di connettivo è presente nelle pagine conclusive di sintesi grammaticale, inclusa nella trattazione degli avverbi, ma non nella definizione dei termini: allora è definito come congiunzione o avverbio, senza ulteriori chiarimenti, mentre quindi è presentato solo come congiunzione. È evidente dunque che le scelte operate non nascono dall’accettazione o dal rifiuto delle conclusioni emerse dalla ricerca linguistica, ma piuttosto dalla difficoltà nel rivedere una terminologia nota e rassicurante, seppur confusa. Il fatto di mantenere i termini consueti come etichette delle classi 52 grammaticali, però, non garantisce affatto che ci sia accordo rispetto all’attribuzione delle parole alle diverse categorie. III.3 I connettivi nelle grammatiche di consultazione Se nei dizionari non è previsto che si lasci spazio ad una trattazione delle questioni grammaticali, si può cercare un’esposizione più approfondita nelle grammatiche. Tuttavia, sebbene generalmente le grammatiche presentino una divisione degli argomenti che rispetta la tradizionale classificazione delle parti del discorso, anche in questo campo non sempre si riscontra una riflessione esplicita sui criteri che l’hanno ispirata. Andorno (2003) nota, ad esempio, che le grammatiche non sono sempre d’accordo su come e se tracciare una distinzione fra congiunzioni e connettivi. Nella sua grammatica propone quindi una distinzione basata su un criterio sintattico: la definizione di connettivi va riservata ad avverbi di tipo frasale, che cioè modificano l’enunciazione della frase, con precise caratteristiche distribuzionali. Gli avverbi posizionale connettivi nella sono frase, quelli mentre che le hanno ampia congiunzioni libertà precedono obbligatoriamente il secondo congiunto. Avverbi con funzione connettiva sono ad esempio dunque e quindi (con valore conclusivo), che pur avendo una funzione simile a quella delle congiunzioni coordinanti, possono presentarsi in posizione isolata o parentetica. Il merito della precedente definizione è rendere esplicito il criterio sulla base del quale è stata effettuata la divisione tra le due categorie. Anche nella grammatica di Dardano e Trifone (2007), tra le diverse categorie di avverbi si identificano gli avverbi connettivi, in base, però, alla loro funzione di collegamento tra diverse sequenze testuali. La funzione testuale in molti casi si accompagna alla funzione di base (di modo, di luogo, di tempo, di giudizio, ecc.): 53 (1) allora era un atleta di primo piano, ora ha abbandonato l’attività agonistica (avverbio di tempo) (2) allora vogliamo andarcene o restiamo qui tutta la sera? (avverbio testuale) Naturalmente anche per gli avverbi testuali è possibile indicare le diverse modalità precedente (di con cui istaurano prosecuzione, relazioni con enumerazione, il discorso conclusione, contrapposizione). Questi avverbi, detti anche “operatori di subordinazione avverbiale” rientrano nella categoria più ampia dei connettivi, ovvero parole o espressioni che svolgono funzione di raccordo nel testo. Nella sezione dedicata alle congiunzioni, si definiscono congiunzioni testuali le congiunzioni che collegano tra loro porzioni di testo più ampie della singola frase e talvolta fungono da segnali di apertura parziale o totale di un testo (Dardano e Trifone 2007: 173) includendovi congiunzioni coordinative e subordinative, locuzioni congiuntive e avverbi. La definizione risulta più ampia di quella di Andorno (2003), ma meno precisa sia nei termini scelti (avverbi connettivi, avverbi testuali, operatori di subordinazione avverbiale, connettivi, congiunzioni testuali) sia nei criteri per identificare tali elementi. Nella grammatica di Prandi (2006), che pure dedica ampio spazio alla coesione, manca completamente un termine per individuare gli elementi linguistici che la esprimono. Nella sezione dedicata agli avverbi si segnalano gli avverbi anaforici, cioè le parole e le locuzioni che, senza creare connessioni grammaticali, tracciano relazioni anaforiche tra processi o frammenti di testo più ampi, contribuendo alla coesione testuale. Oltre a locuzioni come 54 per questo, di conseguenza, ciononostante, lo stesso, hanno questa funzione alcune parole classificate di solito come congiunzioni coordinative: tuttavia, dunque, quindi, però, allora (Prandi, 2006: 327). Tali avverbi, grazie al loro valore anaforico, mettono in relazione porzioni di testo attraverso processi intertestuali e, contemporaneamente, orientano il destinatario nell’interpretazione del testo. Un avverbio come dunque o quindi, per esempio, è in grado sia di esprimere una relazione di causa, sia di collegare la premessa e la conclusione di un ragionamento (Prandi, 2006: 327). Nel secondo caso la coesione di un testo che sviluppa un’argomentazione, con lo scopo di convincere l’interlocutore, non è garantita da una relazione tra i diversi enunciati, ma dalla loro appartenenza alla stessa strategia di ragionamento: l’avverbio ha pertanto la funzione di segnale testuale. Anche nelle pagine dedicate alla connessione transfrastica, Prandi (2006) segnala la differenza tra le congiunzioni e altre modalità di connessione tra frasi giustapposte, che utilizzano espressioni indicate genericamente come “locuzioni anaforiche”, come negli esempi: (1) Ha piovuto molto. Malgrado ciò il grano non è ancora spuntato. (2) Ha piovuto molto. Tuttavia il grano non è ancora spuntato. Gli avverbi e le locuzioni anaforiche hanno lo stesso potere di coesione delle congiunzioni, ma si differenziano sul piano sintattico: le seconde creano legami grammaticali tra gli enunciati, mentre le prime creano relazioni solo sul piano del contenuto. Inoltre le congiunzioni non possono cumularsi tra loro e hanno una posizione fissa all’inizio della frase, mentre le espressioni anaforiche possono aggregarsi e hanno una posizione libera. 55 Una distinzione analoga si ritrova anche in Salvi e Vanelli (2004) nella quale gli avverbi connettivi sono definiti come elementi che mettono in relazione il contenuto della frase in cui si trovano con il contenuto del discorso precedente, le congiunzioni invece funzionano come operatori logici e sintattici nella costruzione di strutture coordinate. Gli avverbi connettivi possono ricorrere tra due frasi che si susseguono, rendendo esplicito il rapporto tra i contenuti espressi (vd. 1) oppure possono esplicitare anche i rapporti tra subordinata e principale in strutture di tipo correlativo (vd. 2): (1) Piero le aveva scritto più volte. Allora Maria lo aveva invitato (2) Se Piero le ha scritto, allora Maria lo inviterà L’attribuzione alla categoria degli avverbi è determinata dal loro comportamento sintattico. Ricorrono ad esempio tra ausiliare e participio (vd. 3). Ciò non avviene nel caso in cui allora significa “in quel tempo” (vd. 4): (3) Piero le aveva scritto più volte. Maria lo aveva allora invitato (4) * Lo aveva allora (= in quel tempo) invitato spesso. Completamente opposta la posizione di Sensini (1990) che invece separa dagli avverbi tutte le parole che svolgono una funzione di congiunzione tra due proposizioni o tra due elementi anche lontani nel testo. Allora e quindi, utilizzati un tal senso, sono da considerarsi congiunzioni coordinanti conclusive, perché uniscono due parole o due proposizioni di cui la seconda è la logica conseguenza della prima. Per Schwarze (2009)16 gli avverbi di cui si è discusso sopra sono “connettori”, ovvero forme linguistiche che collegano intere frasi 16 La grammatica di Schwarze ha una struttura diversa da quelle finora presentate, dato che non opera distinzioni tra l’ambito della morfologia e della sintassi, ma analizza la struttura della 56 senza imporre una specifica relazione sintattica. Tra i connettori rientrano sintagmi avverbiali (prima e poi in dimmi prima, poi vedremo), sintagmi preposizionali con valore di connettori causali (per questo), semplici congiunzioni designano relazioni (anche, pure, nemmeno, successione temporale, invece). I connettori di conclusione logica (è il caso di allora e quindi), connessione causale. I costituenti introdotti da un coordinatore possono anche comparire come indipendenti: (1) E allora? ma in tali casi non creano una coordinazione tra due elementi della frase, bensì operano sul piano della costituzione dl testo. Dal punto di vista della costituenda e della prosodia questo uso dei connettivi è esclusivamente testuale, ma funzionalmente e semanticamente si tratta di coordinazioni (Schwarze, 2009: 319). Anche nella grammatica di Serianni (1997) i connettivi sono citati nel capitolo relativo a congiunzioni e segnali discorsivi. Le congiunzioni sono una classe aperta, i cui elementi possono trovare impiego ora come congiunzioni, ora come preposizioni, ora come avverbi. Se tali elementi si pongono come elemento di raccordo tra due proposizioni coordinate sono congiunzioni: quindi, posizionato in una proposizione che si presenta come una deduzione logica o come sintesi conclusiva di ciò che è stato detto in precedenza, è una coordinazione conclusiva. Quando invece le congiunzioni svolgono funzione di raccordo tra le varie parti del testo, contribuendo alla pianificazione sintattica del discorso, confluiscono nella categoria dei “connettivi”, che è parte a sua volta dei cosiddetti “segnali discorsivi”. frase attraverso la descrizione delle sue unità minori (sintagmi) e dei rapporti tra queste. Deriva in modo diretto dalla teoria linguistica di De Saussure. 57 Le caratteristiche di questo gruppo sono la provenienza da categorie grammaticali diverse; la possibilità di essere adoperati sia come demarcativi sia come connettivi; il largo impiego nel discorso orale. Gli avverbi come allora e le congiunzioni come dunque hanno perlopiù valore demarcativo, messo in risalto dal fatto che possono essere sostituiti con forme analoghe: (1) allora che facciamo? (2) quindi che facciamo? Alcune di queste forme sono adoperate per segnalare che si sta ponendo fine alla conversazione: (3) allora, a risentirci presto. In generale comunque Serianni (1997) evidenzia che la classificazione non è semplice e che le opinioni dei grammatici sull’argomento sono discordi. III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso? Secondo Lo Duca (2003), l’impossibilità di incasellare i connettivi nelle tradizionali classificazioni delle “parti del discorso”, li esclude spesso dalle grammatiche tradizionali, creando un grave vuoto e una notevole confusione nella definizione di alcune parole, che sono presentate in modo discordante, talvolta come avverbi, talvolta come congiunzioni da testi scolastici e dizionari. La difficoltà di classificazione non deve, però, essere attribuita alla categoria dei connettivi, in quanto elemento nuovo rispetto alle impostazioni tradizionali della sintassi. Infatti Colombo (1984) denuncia le stesse incongruenze svolgendo una ricerca nelle grammatiche scolastiche più diffuse sulla definizione di “congiunzione”. In tutti i casi le grammatiche presentano la 58 congiunzione come un elemento che unisce costituenti di uguale rango e funzione, ma presentano poi liste di congiunzioni che non rispondono completamente a questa definizione. Alcune delle parole elencate non hanno necessariamente una funzione analoga all’elemento che li introduce, sono invece utilizzate più spesso come riferimento anaforico ad un altro elemento all’interno della frase o del testo17. In alcuni casi, si riferiscono ad elementi extratestuali o anche alla struttura stessa del processo di enunciazione, ad esempio quando dunque significa “avendo detto a, posso dire b”. Proprio in considerazione di queste osservazioni, Colombo ritiene necessario introdurre nelle grammatiche ad uso didattico il concetto di coesione, come fenomeno testuale, e distinguerlo dalla coordinazione, che invece è un fenomeno strutturale del periodo. I problemi e le incertezze che si incontrano nella definizione delle categorie grammaticali derivano essenzialmente da un’adesione dogmatica ad una classificazione delle “parti del discorso” storica, che non è sostenuta dall’osservazione dei fenomeni linguistici. Manca in sostanza il rigore teorico che caratterizza la ricerca linguistica, così come è venuta delineandosi in età contemporanea. Una parte del discorso o classe di parole è un insieme di lessemi caratterizzati dalle stesse proprietà. Le diverse parti del discorso si combinano tra di loro secondo regole precise per formare sintagmi e frasi. La grammatica scolastica individua nove parti del discorso: nome, aggettivo, articolo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione. I criteri per assegnare ogni parola ad una specifica classe sono essenzialmente tre: in base al significato (criterio nozionale o semantico), in base alla flessione (criterio morfologico), in base alle funzioni che le parole svolgono nella frase o alla loro distribuzione sintattica (criterio sintattico-funzionale). Le nove parti del discorso non sono, tuttavia, classi parallele, perché alcune categorie sono 17 La congiunzione anche riveste generalmente questo ruolo, ad esempio nella frase “è causa dell’abbassamento della guardia anche dove la diossina non c’è”. 59 trasversali: i possessivi, ad esempio, sono una classe chiusa strettamente legata funzionalmente ai pronomi personali, ma hanno le stesse proprietà morfologiche e sintattiche degli aggettivi; gli interrogativi sono presenti sia tra gli aggettivi, sia tra gli avverbi, sia tra pronomi (Salvi, 2013). Questi problemi sono stati registrati anche dalla grammatica tradizionale che ha cercato di risolverli creando delle sottoclassi (ad esempio “aggettivi pronominali”) o classificando le stesse parole in classi diverse, a seconda della funzione, con risultati non del tutto coerenti. La classificazione tradizionale è il frutto di una lunga evoluzione che comincia nell’antichità classica e raggiunge la forma attuale nel Settecento, come parte della teoria della grammatica della lingua greca, estesa successivamente al latino e alle lingue moderne. La tenuta della grammatica classica si dimostra forte per quelle categorie il cui corrispondente nozionale è più evidente (nome, aggettivo, verbo), che sono caratterizzate da una morfologia distintiva marcata. La classificazione delle parti del discorso invariabili presenta molti più problemi perché non ci sono aspetti nozionali e morfologici così evidenti, quindi le grammatiche tradizionali fanno ricorso a criteri generici che mostrano varie debolezze (Salvi, 2013). Secondo Salvi, le incongruenze possono essere affrontate applicando un criterio sintattico-funzionale, collegando cioè ogni classe di parole alla funzione grammaticale che svolge nella frase. Per fornire una descrizione completa delle relazioni tra due o più elementi della frase è però necessario elaborare una teoria generale delle strutture sintattiche e, dato che la teoria della grammatica cambia, anche la classificazione delle parti del discorso può cambiare. 60 In questa prospettiva innovativa si sono posti alcuni degli studi linguistici presentati nei paragrafi precedenti18, che pur cercando di mantenere una terminologia rispettosa della tradizione, hanno riconosciuto la necessità di riconoscere un ruolo definito a quegli elementi che attuano la coesione di un testo. Alcuni meccanismi linguistici, tra cui appunto i connettivi, possono infatti essere spiegati solo in riferimento al testo inteso come macroatto linguistico. Il testo presentato all’inizio del capitolo precedente, la ricerca svolta sui testi prodotti dagli studenti trentini (IPRASE Trentino, 2011) e, più in generale, la letteratura (Bertocchi, 1991; Lo Duca, 2003) attestano gravi difficoltà nell’uso dei connettivi tra bambini e adolescenti. Per definire le cause del problema non è sufficiente limitarsi ad un’analisi della struttura morfosintattica delle singole frasi, ma bisogna considerare il testo come il prodotto di un processo linguistico complesso. Nel capitolo seguente sono presentati alcuni studi sulla comprensione del testo nei bambini per comprendere quale ruolo giochi in questo processo la ricostruzione della coesione testuale, e in particolare il riconoscimento dei connettivi. 18 Vd. Colombo (1984), Bazzanella (1995), Dardano e Trifone (1997), Andorno (1999), Schwarze (2009) 61 CAPITOLO IV IL RUOLO DEI CONNETTIVI NELLE STRATEGIE DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE IV.1 I connettivi nel testo infantile Per rendere scorrevole la narrazione, il parlante deve costruire una struttura complessa, collegando gli enunciati attraverso meccanismi linguistici che permettono di riferirsi a cose dette in precedenza. Acquisire tali complessi meccanismi rappresenta uno dei passaggi più complessi nel processo di acquisizione del linguaggio, che secondo Karmiloff e Karmiloff-Smith (2002) viene affrontato a partire dai sei, sette anni. In questo stadio dello sviluppo, i bambini si rendono conto che la narrazione ha bisogno di una struttura intralinguistica, ma il loro uso degli strumenti di coesione non è ancora adeguato. L’osservazione sistematica del discorso infantile mette quindi in relazione la comparsa dei nessi coesivi con l’esigenza di spiegare eventi complessi, di cui si percepisce lo svolgimento nel tempo. A questo proposito, Fayol e Mouchon (1997) sostengono che la mancanza di connettivi, che non compaiono nei testi scritti da bambini di età inferiore ai nove anni, con l’eccezione dell’abusata congiunzione e, dipenda dalla struttura stessa della narrazione infantile. I bambini dai sette ai nove anni producono, infatti, quasi esclusivamente testi composti da una sequenza lineare di fatti con uno svolgimento altamente prevedibile, in cui non c’è necessità di connettivi. Fayol e Mouchon (1997) ipotizzano che i bambini siano in grado di utilizzare e di comprendere i connettivi, quando la struttura della narrazione richiede uno schema più complesso, con l’inserimento di 62 eventi inattesi. Per verificare l’ipotesi, hanno elaborato due esperimenti, uno incentrato sulla produzione di storie, un altro sulla comprensione. Lo scopo del primo esperimento è determinare se i bambini avrebbero fatto uso di connettivi come ma, dovendo ricostruire un testo in cui compariva un imprevisto o una complicazione. A trentasei alunni francesi di terza e quinta elementare sono state proposte oralmente tre diverse versioni di una storia, formulate come una sequenza di frasi semplici accompagnate da immagini. La prima storia è una narrazione di azioni sequenziali senza imprevisti. VERSIONE A 1. Eric riteneva triste la propria stanza. 2. Decise di ripitturarla. 3. Prese un barattolo di vernice e un pennello. 4. Salì sulla scala. 5. Pitturò tutto il giorno. 6. Eric non trovò più triste la sua stanza. Nella seconda versione il protagonista nel mezzo dell’azione si ferma, perché il colore della pittura non gli sembra adatto (ostacolo statico). VERSIONE B … 4. Il colore della pittura gli sembrò troppo triste. 5. Non ripitturò la sua stanza. 6. La stanza sembrò ancora triste a Eric. Nella terza storia il protagonista ha un incidente, che gli impedisce di continuare il lavoro (ostacolo dinamico): 63 VERSIONE C … 4. Rovesciò la pittura salendo sulla scala.. 5. Non aveva più vernice.. 6. La stanza sembrò ancora triste a Eric. Avendo chiesto ai bambini di riformulare la storia con parole proprie, Fayol e Mouchon (1997) hanno osservato delle scelte diverse nell’uso di connettivi correlate con le diverse versioni: nella storia lineare (VERSIONE A) di solito non erano presenti connettivi, fatta eccezione per la congiunzione e (et), collocata dalla maggior parte dei soggetti prima dell’ultima frase, mentre un maggior numero di connettivi compariva nelle due versioni con un imprevisto (B e C). Nelle narrazioni con un ostacolo statico (VERSIONE B) apparivano ma (mais) davanti alla frase in cui si narra l’evento avverso, cioè la delusione provata di fronte al colore della vernice, e così (alors) nella frase finale. Nella versione in cui il protagonista fa cadere inavvertitamente il barattolo di vernice (C), si ritrovavano e (et), ma (mais), improvvisamente (soudain). Da questi risultati, i ricercatori concludono che effettivamente i bambini usano i connettivi, quando l’organizzazione della successione di eventi è determinata a priori, dimostrando che sono in grado di stabilire relazioni tra gli eventi e di esprimerle attraverso l’uso dei connettivi. Nel secondo esperimento, Fayol e Mouchon (1997) prendono in esame il ruolo dei connettivi nella comprensione dei testi scritti, esaminando due ipotesi diverse. Secondo la prima, i connettivi avrebbero facilitato l’integrazione del significato semantico della nuova informazione nel modello mentale che il lettore sta costruendo; mentre per la seconda, i connettivi sarebbero indicatori che forniscono informazioni su come trattare gli elementi successivi nella frase. L’esperimento richiedeva ai soggetti coinvolti di leggere brevi testi narrativi contenenti un evento inatteso. Lo stesso racconto poteva essere presentato in tre diverse versioni che 64 differivano esclusivamente per la presenza o l’assenza di un connettivo davanti alla proposizione in cui compariva l’imprevisto, come nei seguenti esempi: (1) La porta sbatté contro il muro. (2) Ma la porta sbatté contro il muro. (3) Improvvisamente la porta sbatté contro il muro. Il compito è stato proposto a lettori di età diverse: un gruppo di studenti universitari, un gruppo di alunni di classe terza primaria e un gruppo di classe quinta primaria. Misurando il tempo di lettura delle singole proposizioni, risultò una relazione significativa tra questo e la presenza improvvisamente di un connettivo: aumentava la velocità l’uso di ma di lettura delle o frasi contenenti l’evento inatteso. Inoltre esaminando il tempo di lettura dei singoli sintagmi, l’accelerazione nella lettura risultò concentrata nel segmento immediatamente successivo al connettivo, quindi prima che il lettore potesse comprendere l’evento descritto. Il risultato era lo stesso per i gruppi di età diversa, a dimostrare l’ininfluenza del livello di scolarizzazione. Fayol e Mouchon concludono quindi che la presenza dei connettivi influenza la velocità di lettura perché fornisce informazioni sulla costruzione della frase, suggerendo che gli elementi seguenti il connettivo appartengono alla stessa struttura dei precedenti. L’uso dei connettivi sarebbe dunque in relazione con la capacità di comprendere le relazioni tra eventi, agenti e azioni, sia nella produzione che nella comprensione. Un testo in cui i meccanismi di coesione siano stati correttamente selezionati dimostra un’organizzazione strutturata dei contenuti da parte dell’autore. Dalla prospettiva di chi riceve il messaggio, i connettivi facilitano la comprensione, esplicitando le relazioni tra le informazioni. 65 IV.2 Connettivi e competenza testuale Grazie agli studi più recenti, la riflessione metacognitiva sulle caratteristiche strutturali di un testo è ormai ritenuta una delle competenze fondamentali nella padronanza linguistica, in quanto si tratta del processo che presiede al controllo consapevole della produzione e della comprensione dei testi. La competenza testuale è, in sintesi, la capacità di intendere e produrre messaggi che realizzino pienamente l’intenzione comunicativa (INVALSI, 2011). Per questa sua valenza globale, che riassume i traguardi fondamentali dell’acquisizione linguistica, la competenza testuale è stata assunta come uno dei parametri di valutazione delle facoltà linguistiche che si formano durante il processo di istruzione. È stata infatti definita come uno dei criteri fondamentali per la valutazione sia nella ricerca svolta dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo (INVALSI, 2010) sugli elaborati di italiano nell’Esame di Stato, sia nella compilazione delle prove INVALSI per la rilevazione delle competenze di lettura. Nel primo caso, si vuole definire il livello di competenze linguistiche nella produzione di testi scritti degli alunni in uscita dalla scuola secondaria; nel secondo caso, si esamina invece la comprensione di testi narrativi ed espositivi in ogni ordine di scuola. La competenza testuale, quindi, è stata ritenuta valutabile sia nella produzione che nella comprensione dei testi scritti. In particolare il Quadro di riferimento per la prova di italiano elaborato dallo stesso Istituto definisce con esattezza le conoscenze e le abilità sottese alla capacità di lettura di un testo, sintetizzandole in tre competenze chiave: pragmatico-testuale, lessicale e grammaticale. La competenza pragmatico-testuale è definita come la capacità di ricostruire l’insieme dei significati che il testo veicola (il suo senso), assieme al modo in cui essi sono veicolati, in altri termini, l’organizzazione 66 logico-concettuale e formale del testo stesso in rapporto comunque con il contesto (INVALSI, 2011: 6). La competenza è poi descritta attraverso un insieme di abilità specifiche che sono individuate grazie a descrittori, ovvero prestazioni misurabili. Il primo tra i descrittori individuati è proprio “saper riconoscere i segnali di coesione testuale”. Per valutare tale abilità, i ricercatori dell’INVALSI hanno selezionato all’interno dei testi degli indicatori specifici (elementi osservabili), ovvero catene anaforiche, connettivi e segni di interpunzione, di cui il lettore deve comprendere il ruolo svolto. I quesiti proposti nelle prove nazionali chiedono di sostituire, ad esempio, un connettivo con uno analogo o di individuare il referente di un pronome. Il rapporto sui risultati dei questionari evidenzia espressamente che questi item sono stati quelli che hanno creato le maggiori difficoltà in tutti gli ordini di scuola. Secondo Bertocchi (2010) le prove segnalano che l’aspetto dell’organizzazione testuale rappresenta uno degli aspetti particolare problematici proprio nel della comprensione riconoscimento delle del testo, relazioni in logiche segnalate dai connettivi. Gli alunni non sarebbero capaci di utilizzare le conoscenze sulla sintassi nella comprensione, perché queste sono apprese in modo nozionistico, senza essere inserite in un lavoro di analisi testuale. Il valore logico-semantico dei connettivi, però, non può essere compreso se non all’interno di un contesto comunicativo. Serianni (2010), commentando le prestazioni degli alunni negli esami di stato, sottolinea come i risultati della ricerca presentino una realtà parzialmente in contrasto con i pregiudizi comuni sulle scarse competenze ortografiche degli alunni. Le maggiori carenze nella formazione scolastica si rintracciano nella mancanza di una visione strutturale del testo come un insieme ordinato e gerarchizzato di idee. Intervenire su questo aspetto è sicuramente più complesso che insegnare qualche regola di ortografia, ma è appunto il compito principale che dovrebbe assumersi la scuola, 67 realizzando percorsi mirati ad affrontare le difficoltà linguistiche più frequenti, come quelli previsti per l’insegnamento delle lingue straniere. Tra gli esempi che Serianni cita come esercizi utili, c’è il completamento di testi (cloze) in cui siano stati preventivamente eliminati i connettivi. Anche per Sabatini (2010), i risultati estremamente insoddisfacenti sono il risultato di un insegnamento della grammatica inteso come un travaso di classificazioni e regole, senza una riflessione sistematica sui fatti linguistici. Le cause di questa prassi didattica inadeguata sono da rintracciare nella mancanza di un modello esplicativo coerente costruito sui principi della moderna linguistica. La prevalenza di una concezione spontaneistica della lingua, estremamente distante dalla visione scientifica, inducono gli insegnanti a sottovalutare l’importanza di un tirocinio lungo e strutturato per gradi in cui esercitare la lettura e la scrittura. Raccogliendo i suggerimenti degli esperti, risulta evidente come sia necessario portare al centro della riflessione sulla lingua nella scuola i principi costitutivi del testo. Per farlo si deve ripristinare un filo diretto tra le attività presentate in classe e le teorie linguistiche. Per quanto riguarda la competenza testuale, il Quadro di riferimento già citato si riferisce espressamente alla linguistica testuale, come ambito di riferimento teorico principale. A partire dalla definizione di testo elaborata da de Beaugrande e Dressler (1984), il documento riconosce nella coesione testuale uno dei campi di lavoro da privilegiare nell’analisi del testo. La difficoltà generalizzata nel riconoscere la rete di legami logici, semantici e sintattici nel testo, emersa nelle prove INVALSI, induce a pensare che questo aspetto sia sottovalutato nella didattica quotidiana. Dato che si tratta di una competenza, questa può essere esercitata solo in un rapporto attivo con testi il più possibile vari e stimolanti, attraverso una ricerca critica che procede per prove ed errori. In questa prospettiva la riflessione metalinguistica si sviluppa a partire da un’analisi 68 oggettiva e metodica di testi reali per arrivare a sintetizzare le regole della lingua attraverso l’osservazione dei fenomeni linguistici. Progettare un tirocinio da apprendista scrittore (o lettore) impone di concentrare l’attenzione di volta in volta su un singolo aspetto attraverso cui è possibile riconoscere la coesione testuale. Tra i diversi meccanismi coesivi quello che ritorna con una certa costanza nella letteratura esaminata finora, sia come indicatore per la valutazione sia come argomento per esercizi di addestramento, è proprio l’uso dei connettivi. I connettivi permettono di visualizzare concretamente le relazioni che lo scrivente ha inteso istaurare tra le informazioni selezionate. Ci danno degli indizi da seguire per ricostruire il ragionamento seguito dall’autore nella pianificazione del testo, aiutandoci a concepire la scrittura come un processo dinamico e non come un prodotto finito. Bereiter e Scardamalia (1995), che hanno interpretato il processo di scrittura come una modalità di problem solving, hanno enfatizzato nel loro metodo tutte quelle strategie che impongono di revisionare costantemente il testo, integrando nuove idee nella struttura complessiva. Proponendo alcuni esercizi per stimolare nei bambini la produzione di schemi più complessi di quelli aperti tipici del parlato, gli autori suggeriscono di proporre, in fase di ideazione, alcuni connettivi con la funzione di anticipatori logici. Così i bambini sarebbero stimolati a ramificare il proprio discorso, intuendo la possibilità di derivare da alcuni concetti conseguenze, esemplificazioni, definizioni più precise. I connettivi non sono intesi solo come dei “ganci” per collegare diversi argomenti già definiti, ma come indicazioni utili per far procedere il ragionamento. Potrebbero, quindi, essere inseriti non solo nella fase di stesura finale del testo, in cui si sviluppano gli argomenti in ordine lineare, ma anche nei momenti di ideazione e pianificazione. L’attività suggerita per far approfondire ai bambini il proprio ragionamento richiama un processo naturale che è stato osservato nell’acquisizione del linguaggio. Bruner (1992), riferisce che già 69 verso i tre anni i bambini introducono connettori che definiscono in modo più rigoroso i rapporti tra gli eventi descritti. Le prime espressioni di questo tipo sono semplici congiunzioni (e), che in seguito si evolvono in locuzioni temporali (e poi) ed infine diventano nessi causali (perché). I bambini, scegliendo in modo corretto tra le diverse relazioni possibili, dimostrano di ragionare su uno schema complesso in cui i diversi fatti e personaggi devono essere inseriti. Selezionano quindi coerentemente forme linguistiche che esprimono una relazione temporale, tipica della narrazione o una relazione causale, coerente con una sequenza logica di tipo paradigmatica. Il bambino è in grado di esprimere la propria esperienza in modo realistico e strutturato, spiegando il ruolo di avvenimenti esterni e le proprie scelte in merito, dimostrando di utilizzare due modalità contraddistinte del pensiero. Per Bruner (2003) il pensiero paradigmatico ed il pensiero narrativo rappresentano due punti di vista diversi sulla realtà, che rispondono a processi cognitivi propri. Il primo è un pensiero nomotetico che cerca di trascendere l’esperienza per arrivare a leggi universali e che si esprime attraverso l’argomentazione, basata sulla verificabilità delle ipotesi. Il pensiero narrativo invece si concentra sul particolare, cercando di dare un significato all’esperienza all’interno di un preciso contesto culturale, costruendo un racconto il più possibile verosimile. I processi di interpretazione della realtà hanno sempre una visione duale, in grado di valutare una molteplicità di possibilità. Le narrazioni comprensibile spiegano rispetto gli allo avvenimenti sfondo collocandoli culturale, ma, in modo laddove la narrazione si spezza a causa di un evento insolito, interviene il pensiero paradigmatico per risolvere il problema che si è creato, attraverso soluzioni logiche. In una retorica efficace, capace di spiegare nel modo più convincente la posizione del narratore, il modo narrativo ed il modo paradigmatico si intersecano, senza fondersi, svolgendo funzioni diverse, affinché il discorso risulti verosimile e consequenziale. 70 L’esperimento di Fayol e Mouchon (1997) conferma l’intuizione di Bruner, in quanto dimostra che, nonostante i bambini non usino abitualmente i connettivi nella propria produzione linguistica, li introducono quando devono raccontare una storia in cui compare un evento inaspettato. Sono quindi in grado di comprendere la funzione puramente linguistica svolta dai connettivi, come elemento che segnala una relazione tra parti diverse del testo. Nei testi presentati ai bambini sottoposti alla prova, la storia era formata da frasi estremamente brevi, che descrivevano azioni semplici, cioè era strutturata in modo analogo ai racconti infantili. Il passo successivo è determinare se i bambini in età scolastica siano in grado di comprendere i nessi coesivi anche all’interno di testi più complessi, in particolare in quelli scritti, su cui si basa una buona parte dell’apprendimento formale. IV.3 La comprensione del testo scritto Fin dalla scuola primaria, i bambini incontrano testi scritti, che presentano concetti complessi, formati da sequenze complesse di informazioni. Ad una maggiore complessità concettuale corrisponde una struttura linguistica più elaborata, con differenze significative rispetto alla lingua parlata. La mancanza di un rapporto diretto tra emittente e destinatario impone di organizzare il testo in modo preciso e coerente per evitare fraintendimenti. Anche l’impossibilità di ricorrere al contesto e agli elementi pragmatici della comunicazione richiede di definire con esattezza i rapporti tra gli elementi citati (Bereiter e Scardamalia, 1995). La necessità di esporre in modo chiaro le relazione tra gli argomenti costringe ad elaborare una struttura formale complessa, in modo che le relazioni tra le idee si riflettano nelle dipendenze tra frasi, periodi e paragrafi, che compongono una rappresentazione unitaria. Il testo scritto, per i motivi esposti, è caratterizzato da coerenza e coesione più marcate 71 rispetto al testo orale: le frasi sono mediamente più lunghe e complesse, con un uso frequente della subordinazione; c’è una presenza maggiore delle forme anaforiche; sono frequenti gli elementi linguistici che segnalano relazioni tra parole o frasi (Della Casa, 1994). Per procedere oltre nell’analisi sul ruolo dei connettivi nella comprensione del testo è necessario prendere come riferimento un modello teorico che ricostruisca i processi cognitivi che ne sono alla base. Il modello scelto e descritto nel seguito del paragrafo è quello di Kintsch e van DijK (1978), che si propone di ricostruire la rappresentazione mentale di un testo che si forma nel lettore19, quando la comprensione è stata adeguata. La teoria si basa sulla struttura semantica del testo, a partire dalla quale ricava i processi cognitivi: i principi di coesione e di coerenza, che caratterizzano la struttura del testo, sono considerati gli stessi principi che il ricevente mette in atto quando ricostruisce il significato complessivo del discorso nel processo di comprensione. La comprensione del testo è percepita come un’esperienza diretta e unitaria, ma in realtà, a livello psicologico e fisiologico, può essere scomposta in numerose operazioni che attivano attenzione, consapevolezza, risoluzione di problemi e memoria. È dunque un processo di tipo sistemico formato da tre sottosistemi di operazioni cognitive, che procedono in parallelo o in interconnessione. Il primo sottosistema è un insieme di operazioni che memorizzano e organizzano coerentemente gli elementi significativi del testo; il secondo riduce alla sua essenza il significato globale; il terzo genera nuovi testi attraverso inferenze mnemoniche. 19 Nel testo useremo indifferentemente il termine lettore o ricevente, considerato che l’autore afferma che il modello si applica indifferentemente alla lettura e all’ascolto di testi, anche se è stato derivato da sperimentazioni volte con testi scritti. 72 Si assume che la struttura superficiale del discorso sia formata da un insieme strutturato di proposizioni20, ordinato attraverso relazioni semantiche. Il significato e l’oggetto delle singole frasi sono comprensibili non solo in base agli elementi che le costituiscono, ma anche grazie all’interpretazioni delle altre frasi del testo. Alcune di queste relazioni sono espresse esplicitamente attraverso meccanismi linguistici, altre devono essere inferite attraverso riferimenti al contesto o a conoscenze di ordine generale. Da questa osservazione consegue che chi usa il linguaggio deve collegare le nuove informazioni a quelle che già ha ricevuto dal testo, dal contesto o dal suo bagaglio di conoscenze generali. La struttura semantica del testo si esprime su due livelli: nelle microstrutture, cioè le strutture delle singole proposizioni, e nelle macrostrutture che definiscono il testo come un’unità. Un testo è tale solo se clausole e proposizioni sono collegate tra loro e se le proposizioni sono organizzate globalmente. Il processo di comprensione ricostruisce, a partire dal testo dato, un nucleo tematico (detto text base), formato dalle proposizioni che spiegano di che cosa parla il testo (livello microstrutturale) e dalle proposizioni che riassumono e collegano i punti cardine del discorso (livello macrostrutturale). Individuare singole proposizioni non è sufficiente, se non le si inserisce in una mappa che ricostruisce il significato globale del discorso, ovvero ciò che il testo intende dire. Le macrostrutture garantiscono il senso solo se sono coese e coerenti, ovvero se sono derivate dalle microstrutture e preservano i legami necessari all’interpretazione. Se costruendo il text base, il ricevente elimina una proposizione necessaria alla comprensione delle proposizioni seguenti, modifica il significato complessivo. La selezione dei nuclei centrali del discorso non avviene alla fine della lettura, ma procede attraverso addizioni successive, a causa 20 Con il termine proposizione ci si riferisce alla nozione derivata dalla logica di elemento unitario del discorso che coincide con un’unità sintattica. Ogni proposizione deve includere un predicato e uno o più argomenti, che dipendono dalla natura del predicato. 73 delle limitazioni della memoria di lavoro a breve termine. La memoria immagazzina solo un numero limitato di proposizioni, inoltre quando incontra una nuova informazione prima di selezionarla la confronta con il materiale già presente e la include solo se coerente con il resto. Se il legame tra le due proposizioni è di tipo inferenziale è richiesto un intervento della memoria di lungo termine, che rende più complesso il processo. In tal modo il lettore esamina attraverso letture cicliche l’intero testo al fine di ricostruire una rete di proposizioni. Nel processo queste possono essere lasciate inalterate, cancellate, generalizzate o unite in un periodo complesso. Quando una proposizione (o il risultato della sua trasformazione) viene inclusa nella macrostruttura, è definita macroproposizione. La rete macrostrutturale può essere immaginata come un diagramma in cui i nodi sono le macroproposizioni e le frecce sono le relazioni istaurate. Le relazioni tra macroproposizioni sono di diverso tipo. Alcune istaurano una coreferenza, laddove diversi elementi della proposizione si riferiscono allo stesso oggetto, che può essere un individuo, una cosa, una proprietà, un evento. Un esempio tipico è il rapporto istaurato da un pronome o da un articolo determinativo con un altro elemento già nominato. In secondo luogo, le proposizioni possono essere collegate perché esprimono fatti collegati tra loro da relazioni di necessità, compatibilità o di possibilità. Tali connessioni sono tipicamente espresse dai connettivi. Infine è possibile definire relazioni tra proposizioni di tipo funzionale al livello pragmatico della comunicazione. Le macrostrutture sono sotto il controllo di uno schema, ovvero della struttura convenzionale del discorso che ne esprime lo scopo. Ciò significa che per selezionare le proposizioni significative per la comprensione, il lettore deve prefiggersi uno scopo al momento della lettura. Esempi tipici di schema sono la struttura narrativa e la struttura argomentativa. I testi di questo tipo hanno delle caratteristiche convenzionali precise che permettono di riconoscerli, 74 di giudicarne la correttezza, di decidere se un’informazione è rilevante o meno per la comprensione globale. Quando il lettore non è in grado di definire gli scopi del testo, ad esempio perché non appartiene ad una categoria definita in modo convenzionale, crea dei propri schemi di interpretazione che danno luogo a macrostrutture non prevedibili. Al contrario, nei testi in cui lo schema è riconosciuto all’interno di un dato gruppo culturale, si otterrà un text base condiviso. Il problema della coesione è centrale nel modello di Kintsch e van Dijk, perché afferma che la comprensione è adeguata solo se il lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che sono espressi attraverso diversi meccanismi coesivi. Tra questi, i connettivi svolgono, secondo gli autori, la funzione di collegare le frasi in unità sovraordinate, attraverso cui si esprimono le relazioni fattuali. Il modello Kintsch e van Dijk è stato utilizzato da Bereiter e Scardamalia (1995) per interpretare i dati raccolti nelle prove realizzate per studiare le strategie efficaci di lettura. Nei compiti sperimentali si propone ai soggetti coinvolti di ragionare ad alta voce mentre leggono un brano. L’analisi dei resoconti registrati ha permesso di capire come i lettori affrontano le difficoltà di comprensione. In particolare la ricerca ha osservato le strategie adottate da bambini e adolescenti di diversa età per valutare se ad una maggiore esperienza corrispondano strategie più efficaci. L’analisi dei diversi tipi di rappresentazione mentale del testo costruiti dagli studenti ha permesso di ricostruire le strategie adottate nella lettura21. I lettori che dimostrano un’adeguata competenza sono quelli che cercano di ricostruire il significato generale. I risultati sono a sostegno del tipo di competenza rappresentata da Kintsch e van Dijk, secondo i quali il processo di comprensione è un processo sistemico, in cui diverse operazioni devono essere integrate. Le 21 Diverse ricerche dimostrano che le operazioni mentali sono le stesse nei processi di comprensione e produzione. In questa sede si limita l’analisi alla prima. 75 difficoltà di comprensione potrebbero essere quindi causate da una rappresentazione incompleta o scorretta, in cui non sono state messe in atto quelle operazioni che permettono l’integrazione delle informazioni. I lettori esperti procedono ad una sintesi dei contenuti e ne valutano la coerenza, mettendo in atto processi di problem solving, se evidenziano incongruenze. Inoltre si interrogano esplicitamente sui legami interfrastici, focalizzando l’attenzione sugli elementi di coesione. Non si limitano a raccogliere particolari, ma costruiscono enunciati riepilogativi che riassumono i punti focali del messaggio. Inoltre, la teoria esposta sostiene che la comprensione opera attraverso processi ciclici, con operazioni di cancellatura, selezione e costruzione di nuove proposizioni che vengono riviste e modificate in momenti successivi di rielaborazione e integrazione di nuove proposizioni. I lettori esperti dimostrano di operare costantemente processi di rilettura e verifica delle proprie ipotesi. Ogni nuova informazione è confrontata sia con quelle ricavate precedentemente dal testo che con le conoscenze già possedute. I dati da raccolti da gruppi di età diversa dimostrano che i ragazzi più giovani possiedono strategie inadeguate che tendono a concentrarsi solo sui particolari, trascurano i collegamenti, non mettono in discussione le informazioni acquisite. Tuttavia alcune ricerche stabiliscono che in alcuni casi le strategie immature persistono oltre l’età in cui dovrebbero essere superate e ne deducono che la competenza testuale non è intrinseca al sistema umano di elaborazione dell’informazione, ma deve essere acquisita. Dai risultati teorici sono stati tratte indicazioni per migliorare le strategie di elaborazione testuale attraverso interventi didattici mirati. Ma la programmazione di qualunque attività didattica parte dal riconoscimento delle competenze acquisite e dall’individuazione delle incoerenze nell’esecuzione dei compiti, nelle quali si può individuare lo spazio per un miglioramento. Perciò, prima di procedere ad illustrare le implicazioni educative che derivano dagli 76 studi sulla competenza testuale, si presenta nelle prossime pagine un’esperienza svolta in classe per definire con precisione le difficoltà incontrate dagli alunni nel riconoscere il ruolo dei connettivi e di conseguenza l’importanza del principio di coesione nella costruzione del testo. 77 CAPITOLO V ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE V.1 Descrizione della prova svolta in classe Come si è visto, il problema della coesione è centrale nel modello di Kintsch e van Dijk (1978), in cui si afferma che la comprensione è adeguata solo se il lettore riconosce i legami tra le proposizioni, che sono espressi attraverso diversi meccanismi coesivi. La capacità di riconoscere queste relazioni è una componente importante della competenza testuale, in quanto è indice della comprensione della struttura complessiva in cui si articola il tema generale. La comprensione dei singoli concetti, infatti, non garantisce che il messaggio complessivo del discorso sia stato adeguatamente compreso. La presenza di relazioni fattuali o pragmatiche può essere segnalata esplicitamente dai connettivi, che svolgono la funzione di collegare le frasi in unità sovraordinate. Il connettivo è un indicatore attraverso cui l’autore del testo segnala al lettore come interpretare correttamente il tipo di relazione presente tra i concetti. Un’interpretazione adeguata favorisce dunque la costruzione della rappresentazione mentale su cui si basa la comprensione. In base a questi presupposti, ci si propone di verificare se gli alunni al termine della scuola primaria siano in grado di riconoscere la funzione dei connettivi in un dato testo. A questo scopo è stata elaborata una prova di comprensione di testi complessi, in cui compaiono diverse forme di connettivi. La prova richiede di ricostruire il testo, reinserendo delle frasi che sono state tolte precedentemente. Per svolgere il compito, ovviamente è necessario riconoscere le relazioni che legano le frasi da inserire a quelle precedenti. L’ipotesi da verificare è se la presenza di un connettivo 78 facilita il riconoscimento delle relazioni tra proposizioni e quindi la corretta ricomposizione del testo oppure se si ottengono risultati equivalenti fornendo frasi prive di connettivi. La ricostruzione di un testo a partire da alcune frasi date è un compito che si pone nell’intersezione tra lettura e scrittura, perché, come la prima, presuppone di comprendere espressioni già formate e, come la seconda, presuppone la creazione di un testo a partire da informazioni non lineari. Le ricerche dimostrano che gli studenti esperti considerano il compito di riordinamento come un compito che richiede di ricostruire un messaggio generale coerente, in modo cioè analogo alla lettura. Tale conclusione è stata elaborata osservando le strategie adottate per la risoluzione in un contesto sperimentale (Bereiter e Scardamalia, 1995). Le strategie inadeguate permettono di comprendere i contenuti, analizzando separatamente i diversi argomenti, ma non producono enunciati riepilogativi che codificano i legami proposizionali tra le frasi del testo collegate tra loro. I lettori che adottano queste strategie, quindi, mettono insieme le frasi che contengono gli stessi termini e poi cercano di metterle in sequenza, i lettori esperti, invece, cercano di ricostruire il tema centrale e poi combinano le frasi per ottenerlo. Nella lettura gli inesperti procedono fissando in modo definitivo le conoscenze appena le registrano, mentre gli esperti riescono a ricordare e a riconsiderare informazioni acquisite in precedenza in funzione delle nuove informazioni che incontrano procedendo nella lettura del testo. Nei problemi di combinazione di frasi si verifica lo stesso processo: le strategie efficaci sono quelle che formano raggruppamenti provvisori e procedono alla rilettura di sequenze già formate e alla verifica del significato globale. Risulta inadeguata invece la scelta di collocare gli enunciati appena letti in modo definitivo, senza riconsiderare in seguito le proprie valutazioni sul collocamento. In considerazione delle conclusioni esposte, si è ritenuto che la prova di ricostruzione del testo fosse la più adeguata per valutare la 79 capacità di riconoscere le relazioni istaurate dai connettivi. Infatti il compito richiede le stesse operazioni mentali della comprensione e contemporaneamente permette di verificare se le relazioni sono state individuate, semplicemente verificando se la frase è stata inserita nel posto giusto. La prova è stata somministrata a 44 alunni provenienti da due classi quinte della stessa scuola primaria di Trento. Il compito è stato presentato come un normale esercizio da svolgere durante l’attività scolastica. Le istruzioni, estremamente semplici, erano scritte in testa al foglio utilizzato e non hanno richiesto ulteriori spiegazioni. Il tempo concesso per completarla è stato di un’ora22. Lo scopo era ricostruire due testi dai quali erano state tagliate alcune frasi. I testi erano brevi (572 e 807 parole), continui, senza riferimenti ad un eventuale cotesto. In ogni brano sono state selezionate dieci frasi, nelle quali era presente un connettivo. Si è ritenuto necessario garantire che il testo rimasto fosse comprensibile, ma che comunque ci fosse un certo numero di opzioni verosimili tra cui scegliere per completarlo. Nella prova i ragazzi hanno ricevuto due pagine per ogni testo. Nella prima era riportato il testo privato delle dieci frasi selezionate. Le lacune erano segnalate visivamente da uno spazio vuoto sottolineato, come nell’esempio: La Terra attira l’ago della bussola sempre verso lo stesso punto, il nord. ________________ . La bussola fu inventata probabilmente dai cinesi e portata in Europa nel XII secolo dagli arabi. Nella seconda pagina erano riportate in ordine casuale le frasi eliminate, precedute da una lettera dell’alfabeto per individuarle. La 22 Per controllare che il tempo a disposizione fosse adeguato, la prova era stata svolta preventivamente da una ragazza della stessa età. Nella correzione degli elaborati, effettivamente non è stata trovata nessuna prova non terminata. 80 consegna chiedeva di indicare negli spazi vuoti del testo la frase mancante. I soggetti sono stati divisi in modo casuale in due gruppi, denominati A e B. Entrambi i gruppi hanno ricevuto gli stessi testi da completare, ma gli alunni del gruppo A hanno ricevuto le frasi da inserire così come erano nel testo originale, cioè con i connettivi, mentre quelli del gruppo B hanno ricevuto le stesse frasi senza connettivi: GRUPPO A: (h) Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di giorno o di notte. GRUPPO B: (h) Sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di giorno o di notte. V.2 Criteri di scelta dei testi Il primo testo scelto per la prova si intitola Come orientarsi? ed è uno dei primi capitoli di un manuale di geografia per la scuola secondaria di primo grado23. Vi si spiega il concetto di orientamento prima attraverso una semplice definizione etimologica, poi con la descrizione dei punti cardinali ed infine con alcuni esempi. L’argomento trattato fa parte delle nozioni introduttive necessarie per lo studio della disciplina. Il secondo, Il nascondino, è un racconto estratto da un romanzo di Matilde Serao24. Narra come si svolgeva abitualmente il gioco tra i bambini in una grande casa di campagna e come finì una della 23 Il testo, tratto dal manuale di De Marchi, Dottori e Ferrara (2010), è riportato in Appendice. Il testo è stato estratto dall’antologia per la scuola secondaria di primo grado curata da Bosio e Schiapparelli (2003) ed è riportato in Appendice. 24 81 partite più interessanti, nella quale i bambini restarono imprigionati in un enorme canestro. Dato che la prova si proponeva di focalizzare l’attenzione su un elemento particolare della comprensione, cioè l’uso dei connettivi, sono stati scelti due testi che non presentassero particolari difficoltà nel lessico e nel contenuto. Si voleva infatti evitare che eventuali difficoltà di comprensione potessero essere attribuite ad una mancata conoscenza di termini specifici. Entrambi i brani selezionati per la prova sono stati estratti da manuali scolastici per la prima media, perché i ragazzi che hanno affrontato la prova erano alla fine della scuola primaria e quindi di lì a pochi mesi avrebbero dovuto confrontarsi con quel genere di testi. Per avere un’ulteriore conferma che il livello linguistico fosse adeguato, i testi sono stati fatti leggere alle insegnanti delle due classi coinvolte, che li hanno ritenuti di facile comprensione, in particolare in relazione al lessico utilizzato. I temi trattati erano già noti ai ragazzi, in un caso perché si presenta un argomento basilare nello studio della geografia, che era stato affrontato approfonditamente in classe, e nell’altro caso perché si descrive un gioco ampiamente noto. La comprensione doveva risultare facilitata presupponeva dalla nessun familiarità tipo di con i conoscenza contenuti, pregressa, ma non perché l’argomento trattato iniziava e si concludeva in modo compiuto all’interno del testo. Di conseguenza la comprensione non richiedeva inferenze complesse con un contesto extratestuale o con le proprie conoscenze enciclopediche, ma necessitava soltanto della capacità di ricostruire la rete di relazioni tra concetti espressa all’interno del testo. Il testo Come orientarsi? è composto da ventisette frasi brevi, con una preponderanza di proposizioni coordinate. Il nascondino è composto da trentotto frasi di lunghezza variabile, ma in genere sintatticamente più complesse. Sono presenti molte subordinate temporali introdotte da dopo, quando, mentre, ecc. Ci sono inoltre 82 alcune sequenze di discorso diretto che riportano le esclamazioni dei bambini durante il gioco. I due testi appartengono a due tipologie diverse: il primo ha una struttura espositiva, il secondo narrativa. La scelta è stata così fatta, perché in questi tipi di testi è possibile individuare con precisione lo scopo dell’autore e riconoscere dei caratteri linguistici ben definiti. Come stabilito dal modello di van Dijk (1978) questo tipo di struttura propone uno schema noto che facilita le operazioni cognitive necessarie alla comprensione. Lo studio dei testi, fin dalla retorica classica, ha operato classificazioni proponendosi di spiegare il rapporto tra il contenuto e la forma. Esistono numerose tipologie, realizzate a partire da criteri che individuano aspetti diversi del testo, ad esempio il mezzo di comunicazione o la destinazione. La classificazione più diffusa nell’ambito dell’educazione linguistica si basa su un criterio funzionale-cognitivo, cioè si interroga sul rapporto che l’autore stabilisce con la propria esperienza quando intende esprimerla. Per definire il tipo macrofunzioni di testo si comunicative: parte dal riconoscimento descrivere, narrare, delle esporre, argomentare, prescrivere (Lala, 2011). Queste funzioni possono essere associate a precise operazioni cognitive, attraverso cui il soggetto ha interrogato e ricostruito la realtà: cogliere le percezioni relative agli oggetti o ai fenomeni in un contesto spaziale statico; comprendere e spiegare eventi e azioni in una sequenza dinamico-temporale; analizzare e sintetizzare concetti; selezionare e collegare argomenti allo scopo di persuadere; pianificare il comportamento futuro (Lavinio, 1990). La classificazione presentata è utile in ambito didattico perché permette di comprendere che cosa renda un testo efficace, ovvero coerente con lo scopo che si prefigge. Si possono così guidare gli alunni nel riconoscimento delle forme linguistiche che l’autore ha selezionato 83 per esprimere un dato argomento attraverso una preciso processo cognitivo (Della Casa, 1994). Per valutare le capacità di comprensione dei ragazzi, si è ritenuto opportuno selezionare due testi con caratteristiche molto marcate, uno di tipo espositivo ed uno di tipo narrativo. Secondo la classificazione di Lala (2011), al tipo espositivo è correlata l’operazione cognitiva di scomporre o ricomporre gli elementi costituivi di un concetto; al tipo narrativo quella di cogliere le differenze e le interrelazioni di percezioni relative a eventi e azioni situati in un contesto temporale. In questi termini, parlando cioè di competenze e non di modalità astratte di pensiero, si può riconoscere che il primo adotta strategie tipiche del pensiero paradigmatico, mentre il secondo adotta schemi del pensiero narrativo. In ognuno di questi testi è importante segnalare l’ordine degli eventi o delle informazioni secondo un criterio temporale o logico, di conseguenza si potrà rilevare una differenza nell’uso dei connettivi che segnalano queste relazioni. Lo scopo dei testi espositivi è la trasmissione di un sapere, che richiede l’analisi di concetti generali o la sintesi di concetti particolari. L’emittente si propone di fornire informazioni ad un destinatario non completamente competente, cercando di rendere il testo fruibile attraverso un lessico non troppo tecnico e con l’uso frequente di definizioni. Nella struttura testuale assume un ruolo fondamentale la selezione delle informazioni, che devono essere presentate in un ordine coerente e ben riconoscibile: per questo motivo spesso il testo espositivo è suddiviso graficamente in blocchi in cui sono presentati i diversi temi. I connettivi svolgono un ruolo particolarmente significativo perché sottolineano l’organizzazione degli argomenti rendendo espliciti i legami tra i concetti. Il testo espositivo è generalmente più semplice del testo argomentativo, che impone di riconoscere le diverse argomentazioni a favore o contro una tesi, ma richiede comunque di cogliere le diverse informazioni e di capire le relazioni che le collegano (Lavinio, 1990). È il tipo di 84 testo che caratterizza i manuali scolastici, perciò la capacità di comprenderne i meccanismi è fondamentale per lo studio individuale. Nel testo narrativo il principale criterio di organizzazione dei contenuti è la sequenza temporale degli eventi, che può corrispondere alla sequenza cronologica o essere alterata in funzione di scelte stilistiche. I connettivi sono ugualmente importanti ma sono principalmente di tipo temporale, specificano, cioè la successione in cui si sono svolti gli eventi e la loro relazione con il tempo interno del testo (Lavinio, 1990). Come è stato già ampiamente discusso nel primo capitolo, risponde alla necessità di interpretare la realtà attraverso schemi noti. Il testo narrativo, oltre ad essere estremamente presente nel linguaggio comune, caratterizza la prosa letteraria che è al centro della programmazione didattica. La riflessione sul testo narrativo e sul testo espositivo è riconosciuta come un elemento fondamentale del percorso di apprendimento linguistico in ogni livello della programmazione didattica (MPI, 2007) ed è ben rappresentata nei testi in uso nelle scuole. Anche l’INVALSI propone questi tipi di testo per la valutazione delle competenze di lettura nella la scuola primaria e secondaria di primo grado. Il testo di tipo espositivo è proposto solo a partire dalla quinta primaria, perché è considerato più complesso. I risultati hanno confermato questa previsione, dato che gli alunni ottengono punteggi migliori nel testo narrativo (Bertocchi, 2010). V.3 Descrizione dei connettivi Le frasi che gli alunni dovevano ricollocare nella prova sono sintatticamente autonome, ma collegate al resto del testo attraverso 85 un connettivo25. Nella maggior parte dei casi considerati, i connettivi si trovano all’inizio della frase, in ogni caso sono sintatticamente autonomi rispetto alle altre parole della frase e quindi possono essere cancellati senza modificare né il valore informativo né la forma del messaggio. In tre casi, tutti nel testo espositivo, i connettivi (dunque, di solito, però) sono posizionati in una posizione parentetica tra due parole: (3e) [Orientarsi permette dunque di sapere dove ci si trova e quale percorso si deve compiere per raggiungere il luogo desiderato]. La relazione istaurata collega quasi sempre due frasi adiacenti. Nell’esempio seguente la frase eliminata (Allora quello sotto…) istaura una relazione temporale con la frase immediatamente precedente: (1n) Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano, stridulo, prolungato:- Vieni! [Allora quello sotto si muoveva con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto, guardando a dritta, a sinistra, camminando a piccoli passi]. Solo in pochi casi il connettivo svolge una funzione conclusiva che si riferisce ad un insieme di informazioni presentate precedentemente nel testo, come per la frase (7e), che riassume tutti gli altri metodi di orientamento già descritti nei paragrafi precedenti: (7e) [Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la bussola]. 25 Le frasi citate in questo paragrafo e nei successivi sono indicate con una sigla, ad esempio 1n: il numero rappresenta la loro posizione nel testo (come è riportato in Appendice) e la lettera indica da quale testo sono state estratte (e = espositivo; n = narrativo). Con le parentesi quadre si indica la frase che è stata eliminata dal testo redatto per la prova. 86 Pur eliminando il connettivo la relazione semantica tra le due parti permane, ma non è più esplicita. A volte sono presenti altri meccanismi coesivi, quali ad esempio l’accordo morfologico o i pronomi. Nell’esempio (8n), la coesione tra le due frasi è garantita dalla ripetizione del nome Michele e dalla ricorrenza del verbo trovare: (8n) Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci trova – dicevamo sottovoce ridendo. [Poi cominciammo a seccarci: poiché Michele non ci trovava, era meglio uscire di lì e andargli a dire che era uno scemo, uno scemone, che gliel’avevamo fatta]. Le funzioni svolte dai connettivi sono molto varie. Nel testo espositivo i connettivi segnalano relazioni di opposizione (tuttavia, ma, però), di deduzione o conclusione (così, dunque, di conseguenza, infine), di esemplificazione (ad esempio, di solito), di tempo (successivamente). Tutti i termini marcano dunque una precisa relazione tra i fatti esposti nelle diverse proposizioni. Nel testo narrativo i connettivi sono prevalentemente di tipo temporale (allora, finalmente, infine, sino a che, prima, poi), ma in alcuni casi enfatizzano un cambio nel discorso (allora, e, ma,). In questo caso svolgono una funzione demarcativa, ovvero articolano e segnalano il rapporto tra le diverse parti del testo (Bazzanella, 1995). I due ma presenti nel testo indicano una transizione a livello metatestuale, indicando un momento di rottura nella narrazione. Il primo ma sottolinea il momento in cui l’attenzione si sposta dalla descrizione del comportamento del gruppo di bambini al racconto delle gesta di uno di loro: (5n) [Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava sotto era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è 87 diventato medico.]. Il secondo ma segnala una conclusione imprevista del racconto. (10n) [Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente, prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto]. In entrambi gli esempi, il valore semantico della congiunzione che esprime opposizione o limitazione non è del tutto svanito, ma si riferisce in modo generico a quanto detto nella sequenza precedente del testo. Lo stesso connettivo può svolgere due funzioni diverse, come si vede nel caso di allora. La funzione di indicatore temporale è chiaramente espressa nella frase (1n), già citata, nella quale ha il significato di “in quel momento, quando tutti erano nascosti”. La funzione demarcativa, invece, si ritrova nella frase (3n), nella quale indica la conclusione degli eventi narrati nelle righe precedenti: (3n) [Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a guardar sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che non aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in trappola, chinando il capo e allungando il muso]. La congiunzione e compare all’interno di una battuta, riportata attraverso il discorso diretto: (3n) [E non potevi scappare quando lui è passato?]. Il testo imita una modalità di espressione tipica del parlato in cui e svolge una funzione interazionale tra il parlante e l’interlocutore. 88 V.4 Analisi dei risultati In ogni testo proposto agli alunni erano presenti dieci vuoti da colmare con le frasi mancanti. Sono state considerate risposte errate quelle in cui era indicata una frase diversa da quella originale. I casi in cui l’alunno non ha indicato nessuna risposta sono stati estremamente rari, ma più numerosi nel testo di tipo espositivo (11 su 220 risposte) che nel testo narrativo (3 su 220). In tutti i casi le risposte mancanti sono distribuite su diverse prove e su diverse domande e non sono quindi indice di un compito non terminato. Non ci sono state prove non valide per cui si dispone nel complesso di 44 testi narrativi e 44 testi espositivi da analizzare. Di queste la metà sono state svolte dal gruppo che aveva a disposizione le frasi con i connettivi (gruppo A) e l’altra metà dal gruppo di controllo (gruppo B). Il primo risultato da considerare è senz’altro la media delle risposte esatte: il 49% nel caso del testo espositivo e il 42% per il testo narrativo. Le prove completamente corrette sono tre su quarantaquattro nel primo caso e cinque nel secondo. Più della metà delle frasi dunque non sono state collocate esattamente o non sono state inserite. Testo espositivo Come orientarsi? Risposte esatte 214 Risposte errate 215 Risposte mancanti 11 49% Totale errate e mancanti 226 51% Totale 440 100% Testo narrativo Il nascondino Risposte esatte 183 Risposte errate 255 42% Risposte mancanti 2 Totale errate e mancanti 257 58% Totale 440 100% TAB. 1 Risultati della prova 89 Considerando separatamente i risultati dei due gruppi (tab. 2 e tab. 3), si osserva che il gruppo A, cioè il gruppo che aveva a disposizione le frasi con i connettivi, ha una percentuale di risposte esatte pari al 43% nel testo espositivo e al 38% nel testo narrativo, mentre il gruppo B ottiene rispettivamente il 54% e il 45%. Il gruppo A ottiene dunque risultati peggiori in entrambi i casi, ma più marcati nel testo espositivo: la differenza è di 11 punti percentuali nel testo espositivo e di 7 punti percentuali nel testo narrativo. 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B TAB. 2 Risposte esatte nel testo espositivo Come orientarsi? 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B TAB. 3 Risposte esatte nel testo narrativo Il nascondino 90 L’analisi degli errori in ogni singola frase, permette di evidenziare le differenze tra i due gruppi (tab. 4 e tab. 5)26. NR. FRASE CONNETTIVO GRUPPO A GRUPPO B 1e tuttavia 50% 59% 2e così 41% 32% 3e dunque 77% 86% 4e ma 55% 55% 5e ad esempio 27% 18% 6e di solito 45% 14% 7e infine 77% 68% 8e però 50% 32% 9e di conseguenza 91% 64% 10e successivamente 55% 32% TAB. 4 Percentuale di risposte errate nel testo espositivo Come orientarsi? NR. FRASE CONNETTIVO GRUPPO A GRUPPO B 1n allora 41% 55% 2n finalmente 73% 73% 3n allora 82% 59% 4n e 59% 32% 5n ma 77% 64% 6n infine 64% 59% 7n sino a che 68% 68% 8n poi 41% 45% 9n prima 50% 45% 10n ma 64% 50% TAB. 5 Percentuale di risposte errate nel testo narrativo Il nascondino 26 In questa analisi sono state accorpate le risposte errate e le risposte mancanti 91 Le frasi sono numerate in base all’ordine che avevano nel testo da completare e per ognuna è indicato il connettivo che compariva nella versione originale, dunque solo per il gruppo A. Le frasi che hanno creato maggiori difficoltà, ovvero quelle che hanno una percentuale di errori superiore al 50%27, sono quasi sempre le stesse per i due gruppi, tranne che nei casi descritti di seguito. Nel testo narrativo la frase (4n), con connettivo e, e la frase (10n), con connettivo ma, hanno creato difficoltà significative per il primo gruppo, ma non per il secondo. Il gruppo B, invece, diversamente dal gruppo A, ha una percentuale alta di errori nella frase (1n) del testo narrativo e nella frase (1e) del testo espositivo. Dalla comparazione dei dati si identificano anche le frasi in cui c’è stata una percentuale di errori significativamente superiore in un gruppo, rispetto ad un altro. Il gruppo A registra più errori del gruppo B nelle frasi (6e), (8e), (9e), (10e) del testo espositivo e nelle frasi (3n (4n) e (10n) del testo narrativo. Il gruppo B ha una percentuale di errori significativamente superiore al gruppo A solo nella frase (1n) del testo narrativo. V.5 Riflessioni conclusive sui risultati La prima considerazione riguarda la prestazione nel suo complesso che non ha raggiunto livelli accettabili. La maggior parte dei ragazzi non ha saputo ricostruire l’ordine corretto delle frasi, osservando i legami coesivi che si istauravano. Il dato è in linea con i risultati ottenuti nelle prove INVALSI negli item relativi alla coesione, in cui si registrano percentuali di errore molto alte. Le difficoltà emergono sia nei quesiti di tipo grammaticale, in cui si focalizza l’attenzione su un elemento all’interno di un periodo, sia in quelli di comprensione del testo. La comprensione risulta ancora più difficile quando la 27 La soglia di errori significativa è stata posta al 50% dato che la media di risposte esatte è del 46%. 92 domanda richiede di spiegare i legami inter- o intrafrasali all’interno del testo, in particolare se questi sono impliciti (Bertocchi, 2010). Naturalmente il confronto è soltanto indicativo, dato che le due prove hanno una natura profondamente diversa, in quanto le prove nazionali propongono quesiti a risposta multipla o cloze in cui inserire il connettivo mancante. Senza pretendere di fare un’analisi di tipo quantitativo, è comunque possibile riconoscere che la prova svolta in classe conferma che esistono serie difficoltà nel riconoscere il principio della coesione come un elemento imprescindibile della testualità. Il tutto rientra in un problema più ampio: gli alunni hanno facilità a rispondere a quelle domande in cui possono ricavare direttamente le informazioni da una singola frase, mentre non riescono a rispondere quando la risposta richiede una lettura di parti più estese del testo o una sintesi. Il compito di inserire frasi nel testo è un’attività che richiede di capire il significato globale del testo e lo scopo per cui è stato scritto. Il lettore che cerca la soluzione osservando soltanto una frase alla volta non riesce ad intuire le relazioni che collegano le frasi. La strategia efficace è quella che ritorna continuamente sulle informazioni già note e cerca di integrarle con le nuove informazioni. Il processo può essere descritto attraverso le operazioni cognitive identificate nel modello di Kintsch e van Dijk (1978). L’alunno, per eseguire il compito, deve costruire una rappresentazione mentale del testo attraverso l’interpretazione della macrostruttura del testo. Una comprensione corretta parte dal livello microstrutturale, riconoscendo il contenuto di ogni proposizione, ma costruisce successivamente un livello superiore dal quale ricava i contenuti generali del testo. Per arrivare alla rappresentazione complessiva si passa attraverso la costruzione delle macroproposizione, in cui i diversi contenuti sono interconnessi. L’operazione è ciclica, cioè composta da diversi cicli, in cui si riesamina tutta la struttura e si cancellano o si reintegrano particolari noti. Le difficoltà emerse in questa prova dimostrano che non sono state attivate le operazioni di 93 controllo e revisione, perché i testi ricostruiti in modo non corretto presentano una serie di incoerenze e di errori di coesione che non permettono di ricostruire il significato complessivo. Evidentemente gli alunni non hanno tenuto in considerazione il testo come unità. Un secondo aspetto contribuisce a confortare le affermazioni fatte: la scarsa capacità dimostrata nel riconoscere i tratti dello schema narrativo o espositivo. Nella teoria di Kintsch e van Dijk (1978), si afferma che il lettore confronta la propria interpretazione del testo con le forme canoniche dei testi. Lo schema narrativo, ad esempio, aiuta a riconoscere alcune macroproposizioni che corrispondono alla situazione iniziale, alla complicazione e alla risoluzione. Il testo narrativo in esame presenta inizialmente la descrizione di una normale situazione di gioco e, in seguito, il racconto di un episodio particolare, dove si verifica un evento inatteso. Un numero estremamente alto di errori (68%) è presente nella collocazione della frase (7n), che segnala l’inizio della seconda sequenza del racconto: (7n) [Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele, pensammo di giocargli un tiro]. I ragazzi evidentemente non hanno riconosciuto un punto focale della narrazione, nel quale si segnala l’inizio di una complicazione. Un dato ancora più interessante in questa prova è quello relativo all’ultima frase mancante: (10n) [Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente, prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto]. 94 In questo caso la frase era da collocare alla fine del testo, perché coincide con il finale del racconto. È particolarmente significativo il fatto che non sia stata individuata in più della metà delle prove, dato che nel testo narrativo la conclusione è di solito facilmente riconoscibile, proprio perché rappresenta uno dei suoi tratti caratteristici. Anche nel testo espositivo si possono ritrovare caratteristiche peculiari che aiutano ad inserire le informazioni in una cornice predeterminata. Nel brano in esame c’era un tema sovraordinato (orientarsi) e quattro diverse esemplificazioni (orientarsi con il sole, con le stelle, con il muschio sugli alberi, con la bussola). Una caratteristica del testo espositivo è che i concetti sono esposti secondo un ordine logico definito a priori. Nel testo in esame, ad esempio, si parte dal metodo di orientamento basato sul sole, per poi spiegare la necessità di trovare altri sistemi nei casi in cui il sole non sia visibile. La bussola è presentata come ultima alternativa, proprio perché funziona in qualunque situazione. Questa relazione tra l’invenzione della bussola e gli altri metodi adottati precedentemente era spiegata nella frase (7e): (7e) [Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la bussola]. La collocazione di questa frase dunque era dopo i paragrafi che parlavano del sole, della Stella polare e del muschio, all’inizio del paragrafo sulla bussola. La percentuale di errori molto alta (77%) dimostra che gli alunni non hanno capito la concatenazione logica degli argomenti presentati. L’ultimo paragrafo, nel quale si spiega il funzionamento della bussola, presentava quattro spazi vuoti da colmare. Quasi tutte le frasi collocate nello spazio sbagliato sono state comunque inserite in 95 questo paragrafo: solo in 2 casi su 44 risposte la frase si trova in un’altra sezione del testo. Si può quindi concludere che gli alunni hanno riconosciuto la divisione del testo in quattro sezioni, corrispondenti ad argomenti diversi, ma non hanno capito la struttura logica che legava tra loro gli argomenti. Il terzo e ultimo punto da considerare riguarda il ruolo specifico dei connettivi nella comprensione. La struttura della prova permette di confrontare i risultati ottenuti dai due gruppi, da cui si deduce che la presenza dei connettivi non ha aiutato gli alunni a ricostruire correttamente il testo. Per comprendere meglio questo aspetto, analizziamo alcuni casi specifici. La frase che è risultata la più semplice da inserire (34 risposte esatte su 44) è la (5e): (1e) [Ad esempio, se vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare la Stella polare]. Il risultato positivo non è stato determinato dal connettivo, perché i risultati sono uguali nei due gruppi, ma probabilmente dal rapporto semantico istaurato con la frase successiva, nella quale si spiegava qual è la Stella polare (È una stella che appartiene alla costellazione dell’Orsa minore, chiamata anche Piccolo carro). Questa operazione è definita sovrapposizione dagli psicologi cognitivi ed è un tratto tipico dei lettori inesperti, i quali collegano le frasi in cui compaiono le stesse parole (Bereiter e Scardamalia, 1995). Allo stesso modo nella risposta (8e), che presenta un numero di risultati esatti superiore alla media (27 su 44, di cui 15 nel gruppo B) è presente una parola (magnete) ripetuta nella frase successiva: (8e) [Per comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli oggetti chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita 96 il ferro]. La Terra è un enorme magnete e la bussola è costituita da un ago calamitato girevole. Si può inoltre notare che esiste un altro legame, stavolta di tipo anaforico, istaurato dal pronome lo con una parola della frase precedente (strumento). Neanche in questo caso, perciò, la giusta collocazione è stata individuata grazie al connettivo. Anche negli altri item per i quali c’è stato un risultato positivo si ritrova una sostanziale equivalenza nelle risposte tra i due gruppi e la presenza di ripetizioni che hanno facilitato il compito. Si tratta della frase (8n), già esaminata nel paragrafo V.3, e della frase (9n). In modo speculare si rileva che i connettivi non hanno aiutato i ragazzi nella comprensione, analizzando gli errori più frequenti. Una delle frasi da inserire nel testo espositivo che ha creato maggiori problemi è la seguente: (1e) [Tuttavia fin dall’antichità l’uomo ha osservato il moto apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa parte, a oriente, e tramonta dal lato opposto, l’occidente]. La frase doveva essere inserita nel primo paragrafo dopo l’affermazione: (1) Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira intorno al Sole. ___________. In moltissimi casi (23 su 44) invece è stata collocata qualche riga più in basso, dopo la frase: (2) Oltre all’oriente (est) e all’occidente (ovest), sono stati individuati: il sud, cioè la direzione in cui si trova il Sole a mezzogiorno, e il nord, ossia la direzione esattamente opposta al sud. ___________. 97 Si può notare che in entrambe le frasi (1) e (2) compare la parola Sole, che è presente anche nella frase da inserire (1e), ma nella seconda ci sono anche i termini occidente e oriente. È logico presupporre che gli alunni abbiano operato una semplice deduzione: avendo individuato che tra due frasi esistevano ben tre elementi lessicali in comune, hanno pensato che dovessero essere collegate. Il ragionamento può rivelarsi corretto quando la ripetizione ha effettivamente una funzione di meccanismo coesivo, ma in questo caso era necessario osservare altre relazioni presenti tra le frasi. Nella seconda frase si trova l’espressione oltre all’oriente e all’occidente, che fa capire che questi concetti sono stati citati in precedenza. Se la frase (1e) è collocata dopo la seconda frase, il testo non ha più significato. Nella frase da inserire era presente il connettivo tuttavia, che esprime una relazione di opposizione rispetto a quanto detto in precedenza nel testo. La relazione oppositiva ha senso solo se si inserisce tra la frase (1) e la frase (1e) ed è incoerente invece tra (2) e (1e). Gli studenti che avevano a disposizione la frase (1e) con il connettivo avevano quindi un elemento in più per stabilire la corretta relazione tra le frasi rispetto agli studenti che hanno ricevuto le stesse frasi senza connettivi. Eppure non ci sono differenze nel numero di risposte sbagliate date dai due gruppi, quindi il significato della relazione stabilita dal connettivo non è stato interpretato correttamente. A volte è proprio la presenza, all’interno della stessa frase, di parole che suggeriscono riferimenti a più concetti che può indurre in errore. La funzione del connettivo in questi casi è proprio quella di rendere esplicita la relazione istaurata tra i concetti. Ad esempio nella frase (9e) compaiono molti termini presenti in altri punti nel testo (nord, punti cardinali, nuvole, notte): (9e) [Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono 98 anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza nuvole, di giorno o di notte]. Mentre la frase (1e) è stata scambiata da chi ha sbagliato con una simile nello stesso paragrafo, la frase (9e) è stata inserita in molti spazi diversi, sparsi in tutto il testo, probabilmente proprio a causa dei numerosi riferimenti presenti. Per rispondere correttamente era necessario cogliere la relazione tra il fatto “trovare il nord grazie alla bussola”, espresso nella frase precedente, e il fatto “riconoscere i punti cardinali anche senza riferimenti naturali”. La relazione consecutiva è resa esplicita dalla locuzione di conseguenza, ma i ragazzi che potevano leggere il connettivo, non ne hanno tratto le conclusioni giuste, commettendo più errori di chi aveva la frase senza connettivo. Osservando le singole risposte, si deduce che le frasi problematiche sono le stesse, con o senza connettivo, perché il numero di errori è molto simile tra i due gruppi. In alcuni casi, i risultati ottenuti dal gruppo che ha ricevuto le frasi con i connettivi sono addirittura nettamente peggiori. Prendendo in considerazione questo aspetto, si ricava un ulteriore spunto di riflessione. Nella prova sul testo narrativo ci sono quattro item, (3n), (4n), (5n),(10n), nei quali la quantità di risposte errate del gruppo A è superiore al gruppo di controllo rispettivamente di 23, 27, 13 e 14 punti percentuale. In tutti gli altri casi la differenza è compresa tra 0 e 5 punti e in uno il risultato del gruppo B è peggiore. L’insieme degli errori commessi in queste frasi, quindi, rende conto della differenza complessiva tra i due gruppi. Come è stato già spiegato nella descrizione dei connettivi svolta nel paragrafo V.3, i connettivi presenti in queste quattro frasi svolgono una funzione demarcativa, funzionano cioè come segnali discorsivi, realizzando valori diversi da quelli espressi negli usi primari, perché esprimono un relazione tra atti linguistici (Bazzanella, 1995). È 99 lecito concludere che l’interpretazione di questa forme peculiari di connettivi è ancora più complessa per i bambini, tanto da aumentare l’insicurezza nella comprensione del testo. Attraverso gli esempi riportati, l’analisi scende dal livello della macrostruttura globale al livello delle macroproposizioni. Kintsch e Van Dijk (1978) spiegano che la rappresentazione semantica che il lettore costruisce della frase non è composta da una lista di proposizioni semplici accostate tra loro, ma ha la struttura di un diagramma in cui sono rese esplicite le relazioni tra predicato, argomenti e elementi circostanziali, ovvero si presenta come la rappresentazione mentale di un fatto, di cui si identificano le relazioni tra elementi costituenti. Le informazioni necessarie per ricostruire la struttura non sempre sono fornite dalla sola frase, ma devono essere ricavate dal testo, dal contesto e dalle conoscenze pregresse. Ad esempio per comprendere la frase (10e) [Successivamente i navigatori di Amalfi, una delle repubbliche marinare, la diffusero nel Mediterraneo. Il lettore deve riconoscere l’oggetto del discorso, qui espresso con un pronome, nella parola bussola che compare nella frase precedente e deve sapere che il Mediterraneo è un mare. Oltre a queste relazioni ce ne sono altre che non collegano singoli elementi linguistici, ma gli stessi fatti descritti nelle frasi. Nella frase in esame il fatto che la bussola sia stata diffusa nel Mediterraneo dagli amalfitani, deve essere collegato al fatto che è stata inventata dai cinesi e al fatto che è stata portata in Europa dagli arabi, espressi nel periodo precedente. Si tratta di una successione temporale di fatti che può essere riconosciuta interpretando correttamente il connettivo successivamente. Anche in questo caso come negli altri esaminati il connettivo non è stato di aiuto per ricostruire il testo. Ciò significa che gli alunni non 100 hanno svolto l’operazione che avrebbe dovuto collegare i tre fatti in un’unica macroproposizione che esprime una relazione temporale tra fatti diversi. I singoli eventi sono stati quindi registrati separatamente, perdendo una parte importante del contenuto informativo. La rappresentazione mentale del testo di questi lettori di conseguenza risulterà lacunosa, perché mancano alcune delle relazioni che collegano le proposizioni, in particolare quelle che collegano i fatti, espresse attraverso i connettivi. Le conseguenze di questa comprensione parziale sono negative anche per lo studio, perché la rappresentazione mentale che vede il testo come una rete di nodi (concetti) e connessioni (relazioni) è necessaria anche per conservare le informazioni nella memoria a lungo termine. Quando le informazioni sono legate tra loro e con le conoscenze precedentemente immagazzinate sono più facilmente memorizzabili e recuperabili. Gli studenti più esperti dimostrano di possedere rappresentazioni complesse dei testi in grado di fare riferimento non solo ai singoli argomenti, ma alla struttura del testo (ad esempio alla disposizione delle sue parti), alla sintesi e all’intenzione dell’autore (Bereiter e Scardamalia 1995). Dato che fin dalla scuola primaria, ma in particolare nella scuola secondaria si utilizzano testi disciplinari complessi, è necessario assicurarsi che gli alunni abbiano un livello di comprensione adeguato. Dalla prova esaminata in questo capitolo emerge invece che, alla fine della primaria, non hanno ancora sviluppato i processi cognitivi alla base della comprensione, in particolare mancano loro le strategie che permettono di creare una sintesi del testo in cui siano presenti sia le informazioni principali che i collegamenti attraverso cui si ricostruisce il senso complessivo. Dall’analisi della situazione in classe, nasce una domanda sulle implicazioni educative che comporta una scarsa competenza testuale, che impone di valutare quali siano le impostazioni didattiche che permettono agli alunni di migliorare in tale ambito. 101 CONCLUSIONI La competenza grammaticale è l’insieme delle conoscenze e delle capacità di utilizzare le strutture grammaticali della lingua e di comprendere e formulare messaggi, strutturati e dotati di significato, in base all’insieme di regole che stabiliscono come i vari elementi possano combinarsi (Council of Europe, 2002). Grazie alle ricerche sull’apprendimento del linguaggio svolte nella cornice del paradigma cognitivo, è diventato evidente che la comprensione e la produzione del messaggio non può prescindere dal riconoscimento del significato in relazione al contesto, alle intenzioni del parlante, alle conoscenze dell’interlocutore. La competenza grammaticale è, dunque, solo una componente della competenza linguistica (Altieri Biagi 1985). Per l’insegnamento della grammatica questo significa che i fatti della lingua non si possono ridurre ad una classificazione formale di parti della frase, ma devono essere compresi all’interno del processo della comunicazione e nel complesso di elementi che determina l’unitarietà del testo. I principi che definiscono un testo come tale, definiti dalla linguistica testuale, sono stati recepiti dall’educazione linguistica, che ha spostato la propria attenzione dai prodotti della comunicazione ai processi che portano alla produzione e alla comprensione dei testi (Corno, 1999). Tuttavia la centralità del testo nell’insegnamento dell’italiano, auspicata anche dalle indicazioni ministeriali per la progettazione curricolare nelle scuole (MIUR, 2012), è stata tradotta dai manuali scolastici nella scelta di presentare l’organizzazione globale del testo e le sue macroproprietà nell’ambito dell’analisi dei testi letterari, mentre l’insegnamento della grammatica è rimasto ancorato a modelli tradizionali, a volte privi di un riferimento chiaro ad una teoria scientifica (Bertocchi, 2000). Per quanto fondamentale, la 102 prospettiva macrolinguistica dà una visione parziale e dunque errata della testualità: l’attenzione al testo non può prescindere dallo studio delle relazioni sintattiche e semantiche nella frase, tra le frasi e nel testo. Ciò non significa un ritorno all’insegnamento tradizionale, con le sue etichette di analisi grammaticale e logica: le strutture morfo-sintattiche della frase vanno considerate dal punto di vista del significato che veicolano. La definizione delle proprietà grammaticali non è un fine, ma un mezzo per giungere al significato della frase e alla strutturazione complessiva del testo (Manzotti e Ferrari, 1994). La riflessione sulla lingua deve rendere consapevoli gli alunni dei meccanismi linguistici attraverso i quali si esprime la testualità. Perciò è fondamentale che la didattica della lingua individui alcuni nodi tematici, per guidare l’apprendimento in tale direzione. In questo lavoro è stato indicato come lo studio dei legami coesivi, ed in particolare dei connettivi, rappresenti uno dei temi centrali nella grammatica del testo. Dalla trattazione teorica si è passati all’analisi di una ricerca svolta tra gli alunni della scuola primaria per valutare il ruolo dei connettivi nella comprensione di testi tratti da manuali scolastici. La presenza o l’assenza dei connettivi è risultata irrilevante nella risoluzione del compito, dimostrando che gli alunni non hanno colto la funzione dei connettivi come indicatori dei rapporti logici e semantici, che orientano il lettore nella comprensione. L’interpretazione dei risultati attraverso un modello cognitivo della comprensione (Kintsch e Van Dijk, 1978), suggerisce che la difficoltà emersa sia il segnale di una mancata comprensione del significato complessivo del testo, che è ricostruito dal destinatario attraverso l’elaborazione di un complesso schema costituito dall’intersezione di concetti e relazioni. Il ruolo dell’educazione linguistica è primario affinché si sviluppino strategie di comprensione e produzione adeguate ad un testo complesso. Il processo di acquisizione del linguaggio del bambino si 103 intreccia durante la scolarizzazione con quello di apprendimento della lettura e della scrittura. La scrittura non è un semplice processo di trascrizione del discorso orale, ma un sistema di pensiero che può fornire gli strumenti per riflettere consapevolmente su strutture linguistiche, che altrimenti resterebbero implicite (Olson, 1997). Dato che chi scrive svolge un processo di analisi e di ricostruzione dell’esperienza, in cui la mente è costretta a lavorare in modo strutturato, una didattica che si prefigga di migliorare la competenza testuale è chiamata a progettare percorsi nei quali l’alunno possa scoprire, attraverso l’esercizio e l’osservazione, i meccanismi linguistici su cui si basano coesione e coerenza. Ragionando in termini di competenza, si pone la necessità di progettare attività laboratoriali, nelle quali l’alunno sia protagonista attivo e consapevole. Una didattica così impostata vuole essere funzionale, ovvero basata sulla descrizione dei mezzi linguistici in relazione ai loro usi reali nello scambio comunicativo, e operativa, cioè finalizzata a facilitare l’alunno nel suo processo di apprendimento (Andorno, Bosc, Ribotta, 2003). La riflessione grammaticale costruita sul testo e sui suoi principi fondanti contribuisce a formare la consapevolezza metalinguistica, all’interno di un approccio più ampio basato sulla competenza comunicativa. Si tratta di un traguardo ambizioso, ma necessario per affrontare in modo efficace lo studio e soprattutto per migliorare la propria capacità di comprendere testi di ogni tipo, perché comprendere questi testi vuol dire interpolare tra i predicati della nostra situazione tutti i significati che di un semplice ambiente fanno un mondo (Ricoeur, 1983:130). 104 BIBLIOGRAFIA ALTIERI BIAGI M.L. (1985), Linguistica essenziale, Milano: Garzanti ALTIERI BIAGI M. L. et al. 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(2007), Comprendere, Trento: Erickson 110 APPENDICE Risultati delle prove di comprensione 111 Testo originale COME ORIENTARSI? Se osserviamo il Sole e il suo movimento, ci pare che esso giri intorno alla Terra: questo è un movimento apparente, perché sappiamo che in realtà accade il contrario, cioè è la Terra che gira intorno al Sole. 1[Tuttavia fin dall’antichità l’uomo ha osservato il moto apparente del Sole e ha notato che sorge sempre dalla stessa parte, a oriente (dal latino orior = nascere), e tramonta dal lato opposto, l’occidente (da occido = cadere)]. Orientarsi significa, perciò, individuare l’oriente. 2[Così per sapere esattamente dove ci si trova, sono stati identificati quattro punti cardinali, cioè quattro punti fondamentali da prendere come riferimento]. Oltre all’oriente (est) e all’occidente (ovest), sono stati individuati: il sud, cioè la direzione in cui si trova il Sole a mezzogiorno, e il nord, ossia la direzione esattamente opposta al sud. 3[Orientarsi permette dunque di sapere dove ci si trova e quale percorso si deve compiere per raggiungere il luogo desiderato]. 4[Ma come orientarsi di notte, quando è impossibile individuare i punti cardinali in base alla posizione del Sole?] L’uomo ha osservato il cielo e ha trovato una soluzione: le stelle. 5[Ad esempio, se vogliamo andare verso nord, dobbiamo trovare la Stella polare]. È una stella che appartiene alla costellazione dell’Orsa minore, chiamata anche Piccolo carro. Per trovare la Stella polare ci si basa sulla posizione dell’Orsa maggiore, o Grande carro, che è formata da stelle più luminose e più facilmente visibili. Le stelle dell’Orsa maggiore sono sette: quattro formano un quadrilatero, il carro appunto, mentre le altre formano il timone. Se si prolunga per cinque volte la distanza fra le due stelle posteriori del carro, si incontra la Stella polare. Se ci rivolgiamo verso la Stella polare, avremo il braccio destro a est, il sinistro a ovest e dietro le spalle il sud. Se il cielo è nuvoloso e ci troviamo in un bosco, possiamo cercare di orientarci osservando attentamente il tronco degli alberi. 6[La parte esposta a nord è di solito coperta da uno strato verdastro, cioè da muschio]. È la parte del tronco più umida, proprio perché è quella che non viene mai raggiunta dai raggi del Sole. Scoperto dove si trova il nord, sapremo che al lato opposto c’è il sud e che, se volgiamo lo sguardo a nord, l’est è situato a destra e l’ovest a sinistra. 7[Infine se non possiamo servirci della presenza del Sole né della Stella polare e ci troviamo in un luogo deserto o sul mare, per orientarci dobbiamo ricorrere a uno strumento, la bussola]. Il meccanismo su cui si basa questo strumento è semplice. 8[Per comprenderlo bisogna però sapere che esistono degli oggetti, chiamati magneti, capaci di attirare come una calamita il ferro]. La Terra è un enorme magnete e la bussola è costituita da un 112 agocalamitato girevole. La Terra attira l’ago della bussola sempre verso lo stesso punto, il nord. 9[Di conseguenza, sapendo dove si trova il nord si conoscono anche gli altri punti cardinali e si sa dove andare, con le nuvole o senza le nuvole, di giorno o di notte]. La bussola fu inventata probabilmente dai cinesi e portata in Europa nel XII secolo dagli arabi. 10[Successivamente i navigatori di Amalfi, una delle repubbliche marinare, la diffusero nel Mediterraneo]. Oggi come allora la bussola si presenta come una specie di scatoletta rotonda, simile a un orologio, in cui sono indicati non solo i quattro punti cardinali, ma anche le direzioni intermedie: nord-est, sud-est, sud-ovest, nord-ovest. De Marchi R., Dottori G., Ferrara F. (2010), Geografia: popoli e territori, vol. 1, Edizioni Il Capitello, Torino 113 RISULTATI: Come orientarsi? (testo espositivo) Gruppo A PROVE SVOLTE PROVE VALIDE PROVE COMPLETAMENTE ERRATE PROVE CORRETTE 22 22 1 1 RISPOSTE ESATTE: 95/220 (43%) RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 125/220 (57%) NR. FRASE 1e 2e 3e 4e 5e 6e 7e 8e 9e 10e CONNETTIVO tuttavia così dunque ma ad esempio di solito infine però di conseguenza successivamente errate 11 9 16 11 4 9 16 10 19 11 MEDIA ESATTE 4,3/10 mancanti 0 0 1 1 2 1 1 1 1 1 totale 11 9 17 12 6 10 17 11 20 12 % 50% 41% 77% 55% 27% 45% 77% 50% 91% 55% Gruppo B PROVE SVOLTE PROVE VALIDE PROVE COMPLETAMENTE ERRATE PROVE CORRETTE 22 22 0 2 RISPOSTE ESATTE: 119/220 (54%) RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 101/220 (46%) NR. FRASE 1e 2e 3e 4e 5e 6e 7e 8e 9e 10e CONNETTIVO / / / / / / / / / / errate 12 7 19 12 4 3 15 7 13 7 MEDIA ESATTE: 5,4/10 mancanti 1 0 0 0 0 0 0 0 1 0 totale 13 7 19 12 4 3 15 7 14 7 % 59% 32% 86% 55% 18% 14% 68% 32% 64% 32% 114 GRAFICI: Come orientarsi? (testo espositivo) Risposte esatte 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B risposte errate Risposte errate per ogni frase 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 gruppo A gruppo B 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 frase 115 Testo originale IL NASCONDINO Con molta gravità ci mettevamo in cerchio nella stanza da pranzo e tiravamo a sorte quello che doveva star sotto. Se capitava a una bambina, faceva il muso e se ne andava borbottando a mettersi in un angolo, col viso rivolto al muro, con gli occhi chiusi per non vedere; se era un maschio faceva il disinvolto e il sicuro di sé. Dopo esserci assicurati che quello sotto non poteva vederci, partivamo in punta di piedi, in gruppi di due, di tre, per nasconderci: ed era una ricerca muta e nervosa, inquieta e taciturna di un nascondiglio impossibile. […] Quando tutti erano nascosti, si sentiva un griduccio lontano, stridulo, prolungato: - Vieni…i! 1[Allora quello sotto si moveva con precauzione, non allontanandosi molto dal suo posto, guardando a dritta, a sinistra, camminando a piccoli passi]. Palpitavano i piccoli cuori nei nascondigli: dove erano nascosti due l’uno diceva all’altro: - Non ci trova, no; è troppo scemo. 2[Finalmente quello sotto si risolveva a lasciare il posto e la stanza da pranzo: allora si schiudevano le porte, gli armadi, si scostavano le sedie, le scrivanie, e i nascosti fuggivano al posto strillando la loro vittoria]. Mentre quello sotto ne perseguitava uno, invano, gli altri sbucavano da tutte le parti, gridando felici di non essere stati presi, correndo al posto. 3[Allora quello sotto se ne stava tranquillamente a guardar sotto i letti e trovava il bambino sciocco, accovacciato, che non aveva osato fuggire e che si faceva prendere come un sorcio in trappola, chinando il capo e allungando il muso]. Noi gli dicevamo ridendo: - Stupido, perché ti sei messo sotto il letto? 4[E non potevi scappare quando lui è passato?] - Sapevo questo io, che lui mi trovava – borbottava lo scemo, andandosi a metter sotto. 5[Ma le partite più interessanti erano quando colui che stava sotto era molto furbo: Michele, per esempio, che poi è diventato medico]. Allora noi ci riscaldavamo, facevamo un complotto nell’anticamera, per trovare un nascondiglio assurdo. Michele, dalla stanza da pranzo, diceva con voce canzonatoria: - Posso venire? E noi, in coro, impazientiti: - Non ancora, non ancora! 6[Infine decidevamo di ficcarci due o tre nel gallinaio, paventando le galline; un altro paio dentro l’arca, dove s’impastava il pane, tenendone un po’ sollevato il coperchio per respirare; e qualcun altro saliva sopra gli armadi, a rischio di rompersi il collo: la più piccola, Adelina, si andava maliziosamente a ficcare dietro Mariagrazia, la serva che filava e che non si muoveva più per non scoprire Adelina]. Allora quel furbo di Michele stava un poco a pensare, poi direttamente, come se qualcuno glielo avesse detto, andava al gallinaio e ne prendeva due pel collo, apriva l’arca e ne prendeva un altro paio, diceva a quelli sull’armadio di scendere: e noi restavamo 116 mortificati, chiedendogli: - Come ci hai trovati? Chi te l’ha detto? Quella birbona di Concetta, la cameriera? – Ho capito – diceva lui, modestamente glorioso. – Ma me, non m’hai chiappato – gridava Adelina, spuntando di dietro a Mariagrazia. – T’avevo vista, ma non t’ho voluta prendere – diceva lui, sdegnoso e trionfante. 7[Sino a che un giorno, a questo malizioso e dispettoso Michele, pensammo di giocargli un tiro]. In un granaio pieno di quadri vecchi vi era un canestrone rotondo, alto tre metri, come due botti di vimini, una sovrapposta all’altra. Ci si metteva la biancheria sporca. Per entrarvi dentro lo facemmo traboccare per terra e vi entrammo in sei, come nella bocca di un forno: poi premendo sul fondo, lo facemmo rialzare e restammo immobili, in fondo a questo pozzo rotondo. Ridevamo tra noi, perché certo Michele non ci avrebbe mai trovati. Stavamo allo stretto, uno addosso all’altro, ma felici di aver burlato Michele. Appena Adelina si lamentava che le doleva un piede, qualcuno le mormorava: - Zitta, bestia! Ci farai scoprire. Passava il tempo, Michele non veniva. – Non ci trova, non ci trova – dicevamo sottovoce ridendo. 8[Poi cominciammo a seccarci: poiché Michele non ci trovava, era meglio uscire di lì e andargli a dire che era uno scemo, uno scemone, che gliel’avevamo fatta]. Ma che! Noi premevamo sul fondo e il canestrone rimaneva ritto, con le sue pareti alte, come quelle di una torre: non sapevamo rovesciarlo più per uscirne. Le pareti contro cui battevamo per farlo voltare scricchiolavano, ma noi pesavamo troppo sulla base. 9[Prima ci guardammo tutti spaventati: poi Adelina pianse e strillò; poi piangemmo e strillammo tutti]. Dopo un quarto d’ora in quella desolazione in fondo al canestro, vennero a liberarci Mariagrazia e Concetta, le serve che rovesciarono il canestro e ci trassero fuori, esse ridendo, noi piangendo. 10[Ma il più terribile dell’avventura fu questo: che quell’infame di Michele era venuto piano piano nel granaio, aveva capito che noi eravamo nel canestro e se n’era andato placidamente, prevedendo la nostra impossibilità di uscirne, a far merenda con un pezzo di pane e una fetta di prosciutto]. Serao M. (2010), Piccole anime, Albus, Napoli 117 RISULTATI: Il nascondino (testo narrativo) Gruppo A PROVE SVOLTE PROVE VALIDE PROVE COMPLETAMENTE ERRATE PROVE CORRETTE 22 22 3 3 RISPOSTE ESATTE: 84/220 (38%) RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 136/220 (62%) NR. FRASE 1n 2n 3n 4n 5n 6n 7n 8n 9n 10n CONNETTIVO allora finalmente allora e ma infine sino a che poi prima ma errate 9 16 18 13 17 14 15 9 10 14 MEDIA ESATTE: mancanti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 3,8/10 totale 9 16 18 13 17 14 15 9 11 14 % 41% 73% 82% 59% 77% 64% 68% 41% 50% 64% Gruppo B PROVE SVOLTE PROVE VALIDE PROVE COMPLETAMENTE ERRATE PROVE CORRETTE 22 22 0 2 RISPOSTE ESATTE: 99/220 (45%) RISPOSTE ERRATE O MANCANTI: 121/220 (55%) NR. FRASE 1n 2n 3n 4n 5n 6n 7n 8n 9n 10n CONNETTIVO / / / / / / / / / / errate 12 15 13 7 14 13 15 10 9 11 MEDIA ESATTE: mancanti 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 totale 12 16 13 7 14 13 15 10 10 11 4,5/10 % 55% 73% 59% 32% 64% 59% 68% 45% 45% 50% 118 GRAFICI: Il nascondino (testo narrativo) Risposte esatte 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% gruppo A (frasi con connettivi) gruppo B risposte errate Risposte errate per ogni frase 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 gruppo A gruppo B 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 frasi 119 120