Oltrona il mio paese - Comune di Oltrona di San Mamette

Transcript

Oltrona il mio paese - Comune di Oltrona di San Mamette
Oltrona ... il mio paese
“Vi diedi una terra,
che voi non avevate lavorata,
e abitate in città,
che voi non avete costruite,
e mangiate i frutti delle vigne
e degli oliveti,
che non avete piantati.”
(Gs, 24, 13)
dedicato ai nostri padri e...
ai nostri figli
Oltrona ... il mio paese
Edizione speciale edito dal
Comune di Oltrona S. Mamette
Coordinamento redazionale
Silvano Galimberti, Assessore alla Cultura
Redazione, ricerca iconografica
Luigino Ferrario
Santino Galli
Luciano Luraschi
Impaginazione
Francesco Ferrario,
Presidente Biblioteca Comunale
© 2007 Comune di Oltrona S. Mamette
Copertina
Fernando Mattaboni
Tutti i diritti riservati
Finito di stampare
nel mese di febbraio 2007
in arte da Tecnografica - Lomazzo
Printed in Italy
© Foto Fernando Mattaboni
Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti
coloro che a vario titolo hanno collaborato
alla realizzazione di questo libro, anche il loro
lavoro merita di essere ricordato:
Aurelio Meletto
Biagio Millefanti
Maria di Nuzzo
Maurizio Castelli
Piersandra Galimberti
Sergio Castelli
Sonia Millefanti
Sommario
7
SALUTO Ass. Cult. Prov. di
Como Edgardo Arosio
9
SALUTO sindaco
Dott. Antonio Cesare Giussani
11
PRESENTAZIONE
13
OLTRONA
17
LE
19
UNO
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STORIA:
25
27
29
STORIA: 962 - 1757
STORIA: 1757 - 1797
STORIA: 1798 - 1809
31
RISORGIMENTO
1812 - 1865
32
34
38
STORIA: 1859 - 1911
41
ANDAMENTO
44
IL
TERRITORIO: INTRODUZIONE
45
IL
TERRITORIO:
E I PECÌT
ORIGINI E IL NOME
SGUARDO AL PAESE
INTRODUZIONE
E INDIPENDENZA:
STORIA: 1912 - 1949
STORIA: 1950 - 2005
DEMOGRAFICO
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62
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70
74
76
78
80
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le mappe di Oltrona
nel Catasto Teresiano
90
I
IL TERRITORIO:
risorse idriche e acquedotti ad
Oltrona San Mamette
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VITA
DI CORTILE
ANNI
1920 - 1950
IL
TERRITORIO:
il lavatoio
95
ISTRUZIONE:
scuola Gabriele Castellini
ISTRUZIONE: la scuola materna
96
ISTRUZIONE:
la scuola elementare
101
POESIA:
A gh’ emm pü famm,
di Luciano Luraschi
ATTIVITÀ: l’agricoltura
ATTIVITÀ: i patti colonici
nei primi anni del 1900
ATTIVITÀ: Oltrona San Mamette
senza alloggio
ATTIVITÀ: la fornace di Oltrona
POESIA:
Cinquant’ann fa,
di Luigino Ferrario
LA
VITA NEL CENTRO STORICO
DAL
1920
AL
1950
VITA RELIGIOSA
Cronistoria del santuario di
San Mamette
104
107
108
110
114
ATTIVITÀ: paghe giornaliere
nelle filande
ATTIVITÀ: lo sviluppo
industriale dagli anni ‘50 ad
oggi
CORTILI
116
120
122
Estratto della relazione
di Leonetto Chiavone
La statua di San Mamette
La chiesa parrocchiale
di San Fiovanni Decollato
LA
RELIGIOSITÀ POPOLARE
La Madonna Pellegrina
e la 4a visita pastorale del
Card. Schuster
Confraternita del Santissimo
Sacramento, XVII - XIX sec.
GIUSEPPE BROGGI
BIBLIOGRAFIA
5
“Memor esto, fili,
quam pauperes vitam gerimus.
Habebis multa bona,
si timueris Deum”.
(Ricordati, figlio,
quanto poveramente abbiamo vissuto.
Possiederai molti beni,
se avrai il timor di Dio).
Care/i Oltronesi,
L’occasione della pubblicazione di questo libro è spunto per salutare questo paese che pur essendo di piccole dimensioni suscita ammirazione e benevolenza.
Chi guarda le colline che caratterizzano il paesaggio di Oltrona sovente immagina gente semplice e laboriosa, legata alle proprie tradizioni popolari,
ancora unita per vincoli di parentela o cordiale vicinanza.
Questo libro evidenzia la fortuna di risiedere in un angolo di terra ancora
ricco di verde e di una buona qualità di vita che nessuno mi auguro vuole
perdere.
Sono stato lieto nello scorrere queste pagine di leggervi le caratteristiche
del territorio comasco, i suoi valori e le profonde radici che ci accomunano.
Questa pubblicazione resta concretamente la migliore eredità che possiamo
lasciare ai nostri giovani.
Cordialmente
Assessore alla Cultura
della provincia di Como
Edgardo Arosio
7
Che uomo è colui che non cerca
di migliorare il suo futuro?
“Nel frattempo che la trafelata Europa le cercava,
noi le abbiamo ritrovate
e con te vogliamo condividere… le nostre radici”
Care/i cittadini,
Fin dall’inizio a questa amministrazione è parso importante cercare di
raccogliere in qualcosa di più articolato i tanti e preziosi appunti apparsi
sull’Eco dei Ronchi nelle passate Amministrazioni, arricchendoli con
ulteriori documenti e fotografie .
Oltrona è un piccolo paese schiacciato fra tre grandi centri; le vie di
comunicazione sono arrivate tardi, chi viene qui non ci passa per caso, ma
ci viene proprio per scelta. Penso in particolare alle famiglie di recente
inserimento calate in una nuova realtà .
La semplicità e la tranquillità di questo angolo del comasco che abbiamo
ereditato sia la prerogativa prima da non perdere negli anni futuri.
Un ringraziamento particolare al gruppo di lavoro per la dedizione e la
passione che hanno profuso. Spero che questo libro sia da stimolo ad altri
generosi cittadini affinché proseguano l’opera fin qui compiuta.
In momenti di diffuso disimpegno questo lavoro di “archeologia nostrana”
assume il valore il una perla preziosa, che ognuno di noi dovrà opportunamente valorizzare.
Il Sindaco
Dott. Antonio Cesare Giussani
9
“Tra le mani ho solo questi valori
e spero che tu li accoglierai …
sono ricco solamente
per l’amore che ho ricevuto
e che voglio donarti ….
alla sera della mia esistenza
sarò felice di darti quello
che anch’io ho ricevuto,
spero che tu non lo sciuperai,
ma saprai tramandarlo ai figli,
dei tuoi figli”
.
Cari Amici
Il lavoro che vi presentiamo è il frutto di tanta passione.
Non è stato semplice cercare di realizzare un progetto che facesse sintesi
di tanti punti di vista.
Abbiamo scelto di narrare una storia scritta da persone che per diretta
esperienza, testimonianze tramandate con scritti e documenti fotografici,
hanno avuto memoria di un tempo trascorso.
Le persone più anziane faranno un tuffo nel passato e nei loro ricordi, le
nuove famiglie ed i giovani potranno scoprire le semplici ma robuste radici
dei valori di questo borgo.
È un lavoro che è durato diversi mesi e che volentieri offriamo alla comunità, con la speranza che i lettori ritrovino il gusto e l’interesse che ci hanno
accompagnato nella realizzazione di queste pagine.
Francesco Ferrario
Luigino Ferrario
Silvano Galimberti
Santino Galli
Luciano Luraschi
Fernando Mattaboni
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.
Oltrona e i pecìtt
Occorre sapere e ricordare che i nostri padri solevano distinguersi tra loro,
da paese a paese, con appellativi che richiamavano, tra il serio e il faceto,
con acume ed efficacia, i preminenti aspetti delle comunità in cui vivevano
con riferimento ai luoghi, alle attività, alle vicende, alle debolezze ed alle
doti che più li caratterizzavano.
Questa identità potrebbe oggi parere anacronistica a molti, soprattutto perché vi è sempre meno spazio per badare alla propria essenza umana ed a
quella degli altri, per conoscersi, considerarsi, ed accettarsi, così come si è,
in un contesto di civile convivenza, ricco di reciproca indulgenza e di calore umano.
Oltrona, minuscolo borgo cinto in ogni lato da brughiere e boschi era particolarmente ricco di selvaggina, e tra i volatili, i pettirossi (pecìt in dialetto)
erano senz’altro ricercati per rendere più appetitoso quella magra e immutabile vivanda famigliare che corrisponde al nome di polenta. Per tenere
viva nella memoria l’abilità degli oltronesi dediti alla cattura di questi piccoli uccellini, simpatici, combattivi, individualisti, è giunta fino a noi una
facezia popolare: “gli uccellatori oltronesi quando si dedicavano alla cattura
dei pettirossi erano capaci di far ballare le civette, pur di raggiungere il loro
scopo”.
“fasevan balà i sciguett (civette) per ciapà i pecitt”
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Regio decreto di Sua Maestà
Vittorio Emanuele II con il quale
si autorizza il comune di Oltrona
ad assumere la denominazione
“di San Mamette”
LE ORIGINI DEL NOME
L’etimologia del nome
Per avere un’idea del molteplice e sfuggente significato del toponimo Oltrona, è necessario scomporlo in unità linguistiche minori, relitti di antichissimi idiomi che si sono sovrapposti ed amalgamati nel corso dei secoli,
senza dimenticare la prima versione, scritta in latino-medioevale: Altrona,
e la doppia tradizione dialettale: Ultrona, Vultrona.
쏋
쏋
쏋
OL.: è una radice di parola di matrice indo-europea che significa “oltre”,
“ultimo”, Per alcuni studiosi invece si tratterebbe di un tema celtico con
il significato di “grande”.
TRONA: deriva dalla lingua latina “thronus”, proveniente a sua volta dal
greco “thrònos”, che significa “trono”, Nella lingua etrusca invece il termine “thruna” identificava una “rocca”.
ONA: a parere di molti linguisti i nomi di luogo che terminano con questo suffisso appartengono ad un remoto strato linguistico ligure e significa una notevole presenza dell’elemento “acqua”. Per altri, lo stesso suffisso, potrebbe invece indicare un “cucuzzolo tondeggiante”.
Per quanto riguarda il resto del nome, infine, Oltrona ha acquistato la specifica “di San Mamette” in data 8 febbraio 1863, grazie ad un Regio decreto
del Re Vittorio Emanuele II, questo per distinguerlo dall’omonimo Oltrona
al Lago (ora frazione di Gavirate) in provincia di Varese.
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Veduta aerea
UNO SGUARDO AL PAESE
(1) Così apparivano i cortili delle vie Mazzini e Garibaldi con portici, colonnati e qualche cenno di affresco ormai scomparso.
(2) Grosso mortaio in pietra usato per la
frantumazione dei cereali.
(3) Crusò, Zerbone, Zerbo inferiore e superiore, Cascina Santa Giuliana e Tavorella.
(4) Battista Giamminola (1874-1960), primo sindaco dopo la liberazione, resse il comune dal 1946 al 1955, dando così inizio alle
prime opere di modernizzazione del paese.
Di lui si legge in un bollettino parrocchiale
dell’epoca: “Possidente di varie proprietà immobiliari e benestante, per circa mezzo secolo
si occupò diligentemente della sua diletta terre
di Oltrona, sempre interessato per l’asilo, la
cooperativa ed il municipio”.
(5) Carlo Dominioni (1833-1902), benefattore del comune, avendo donato i terreni per
la costruzione del municipio e dell’asilo.
Il nucleo più antico di Oltrona, posto fra i colli del Ronco e del San Mamette, nella posizione più soleggiata e riparata dai venti, è costituito dalle
classiche corti lombarde, un tempo promiscuamente adibite ad abitazioni
dei contadini, stalle, granai e fienili, chiuse da arcate, portoni o cancelli.
In alcuni di questi cortili si poteva ancora rintracciare, prima delle modifiche apportate nel corso degli anni per ristrutturazioni varie, l’antica impronta di un convento(1) ed incontrare i resti della pila(2) o di vecchi pozzi
artesiani.
L’immagine di Oltrona agli inizi del 1900 è quella che appare nella foto seguente, se si escludono le varie frazioni o cascinali poste fuori dal centro
abitato(3).
L’abitato si è progressivamente esteso a macchia d’olio sui fianchi delle colline e lungo le principali vie d’accesso:
쏋 VIA ROMA (già detta strada del Cèrcc) che gli oltronesi percorrevano a
piedi per raggiungere la fermata della tramvia Como-Appiano inaugurata
nel 1910;
쏋 VIA CADUTI OLTRONESI, realizzata nel 1954, onde permettere il passaggio dell’autolinea per Como in sostituzione del tram;
쏋 VIA GIAMMINOLA(4) realizzata negli anni sessanta con lo scopo di facilitare il passaggio dei mezzi pesanti e dell’autolinea Grattoni, Olgiate-Milano, che incontravano notevoli difficoltà ad attraversare le strettoie del
centro abitato, mettendo direttamente in comunicazione via per Appiano
(tir da la Vigna Lunga) con via Dominioni(5) e via per Olgiate.
Nella piccola vallata del torrente Antiga sono stati edificati diversi capannoni per attività artigianali ed industriali, quasi a ridosso della strada provinciale 23 Lomazzo-Bizzarrone.
Questa importante arteria, asse di collegamento viario tra l’autostrada e il
confine svizzero, delimita in modo netto la gran parte del territorio comunale compreso nel Parco Pineta, finora ben salvaguardato da fenomeni speculativi.
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Oltrona anni ‘20
CENNI STORICI
Il villaggio celtico del Gerbo
Nel. Libro Antiquario della Diocesi di Milano del 1856 possiamo leggere:
“Oltrona è situata su di un colle e ha il vantaggio di un aere purissimo, Si pretende che sia luogo molto antico”.
Durante i lavori di sterro, nel maggio 1989, presso il colle del Gerbo vennero alla luce resti di un insediamento abitato risalente all’età del ferro
(VI-V sec. a.C.) e appartenente all’antica civiltà pre-romana della Lombardia occidentale: la cosiddetta “Civilità di Golasecca”.
Il complesso archeologico è composto da una vasta pavimentazione in ciottoli di fiume, degradante lungo il pendio che volge ad est e da un allineamento di pietre, probabile indizio della base di un muro perimetrale costruito a secco.
Tra i ciottoli vi erano gran quantità di frammenti ceramici: vasi e ciotole di
uso quotidiano, bicchieri ed altre suppellettili con decorazioni di vario tipo,
frammenti di contenitori di grandi dimensioni ed inoltre , un ripiano in terracotta con fori a distanza regolare, nel quale gli archeologi credono di aver
individuato un elemento di forno.
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Ed in effetti numerose scoperte hanno confermato questa opinione. I primi
abitanti delle nostre zone discendevano dall’incrocio di popolazioni balcaniche con altre ibero-francesi. Ad esse si unirono più tardi gruppi di etruschi che vennero però sopraffatti dai Celti, provenienti dal nord-ovest delle
Alpi, che dominarono queste zone fino all’arrivo dei Romani all’inizio del
II secolo a.C. dai quali vennero chiamati Galli Insubrés.
Già nel 1957, a dimostrazione della dominazione Romana che a Como sappiamo essere datata 196 a.C., in località “La Rossa” (Piana Piangiurina), in
via Giamminola, angolo via Ferrario, venne alla luce una tomba romana costituita da tegoloni in cotto racchiudenti ceramiche di più pregiata fattura
in terra sigillata e vasetti vitrei utilizzati come contenitori di unguenti.
Sempre nella stessa zona di epoca romana sono le tombe ritrovate nel 1971.
Alla dominazione romana seguì quella dei longobarda. I Longobardi, scesi
in Italia nel 568 d.C. avevano promosso Castelseprio capoluogo del distretto
militare e giudiziario della Contea omonima, al quel distretto apparteneva
la pieve di Appiano che comprendeva Oltrona. Il primo documento che attesta l’esistenza del borgo di Oltrona risale all’agosto del 962 d.C. e fu trovato nell’Archivio della Chiesa di San Fedele in Milano.
Si tratta di una compravendita di terreni di Oltrona (nel documento “vico
et fundo Altrona”): una tal Adeltruda di Coello (frazione di Gallarate) incassò 33 denari d’argento dal compratore, il presbitero Teodebertus di Geronico. Entrambi questi personaggi, cosi come altri che figurano come testimoni del contratto, portano tipici nomi di origine franco-longobarda.
Risale al 1160 la presenza certa di un fortilizio sul colle di San Mamette,
che servì da baluardo nel sistema difensivo di Milano, contro l’imperatore
Federico Barbarossa. In proposito bisogna ricordare la peculiarità del nostro paese; dal colle dove ora sorge la chiesetta, alto solo 422 metri s.l.m.,
ma che gode di un’ottima visuale, gli oltronesi avevano l’opportunità di tenere sott’occhio un vasto orizzonte: la pianura fino a Milano, la Brianza,
ma soprattutto le importanti torri di avvistamento di Castelseprio, di Rodero e del Baradello.
Per circa 600 anni le sorti di Oltrona seguono quelle del Contado del Seprio, nel 1178 il paese viene confermato feudo dei monaci Benedettini di
San Simpliciano. Nell’anno 1374 per decisione di Papa Urbano IV, Oltrona
viene assoggettata direttamente all’Abate benedettino di Lurate, che aveva
la sua residenza nel monastero fortificato di Castello.
Nel 1384 i Visconti con un’azione di forza condotta dal milite Bertetto si
impossessano del feudo benedettino, ma per poco tempo; infatti con la
bolla di Papa Urbano VI, emanata nel 1389, le terre di Lurate e Oltrona vengono restituite ai monaci benedettini qui residenti, ma sempre vincolati al
monastero milanese di San Simpliciano. Caccivio, più fortunata di noi,
verrà dichiarata qualche anno più tardi “terra libera”.
Dai documenti a disposizione risulta che il territorio di Oltrona contava
4680 pertiche (1 pertica = 654 mq circa), compresi i vigneti delle cascine
Gerbo, Gerbone, Robbiano, Ronco, Bagarello (oggi Tavorella) e Palude che
rifornivano di vino i conventi dei Benedettini.
Oltrona, a differenza dei paesi circostanti, non può vantare personaggi storici di rilevante importanza e nemmeno dimore o ville nobili e prestigiose.
Ragione di ciò era la presenza dei frati che impediva l’ascesa di famiglie di
feudatari laici. Nel 1651, periodo in cui il Ducato di Milano apparteneva
alla Corona di Spagna, si registrò la rivolta dei contadini affittuari che,
spalleggiati dai nobili Castiglioni e Pozzo di Appiano, miravano a rendersi
indipendenti, ma questa aspirazione fu delusa da un ordine emanato dalla
Regia Camera. Fu questo un periodo storico: segnato da carestie e pestilenze come quella famosa del 1630, ma che conobbe anche il diffondersi
della coltura del mais e dell’allevamento del baco da seta con le onnipresenti piante di gelso. Le schiere di questi alberi esotici, frammisti ai filari
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22
Rinvenimenti Archeologici a Oltrona e nei
luoghi immediatamente vicini:
in località La Rossa di Oltrona, il 17
dicembre 1957 in seguito a forti piogge,
alla profondità di due metri venne alla
luce una tomba romana del III secolo.
Nell’aprile del 1976, la famiglia Giamminola
consegnava
al
museo
Archeologico di Como quei reperti
trovati nel 1957 e precisamente: 1
balsamario in vetro, 3 olpi, 2 balsamari
in vetro a forma globulare, 1 balsamario
a fiala, 1 lucernetta, 2 tazze con orlo
sporgente e 1 piatto in ceramica rossa,
una
moneta
e
uno
specchio
rettangolare in bronzo.
Nella primavera del 1971 al mappale
122a della cosidetta Piana Piangiurina,
mentre si scavava per gettare le
fondamenta di una nuova casa,
venivano rinvenuti reperti d’epoca
romana estremamente frammentati e
dunque di scarso interesse archeologico.
Nell’autunno del 1979, anche in questo
caso dopo un periodo di forti piogge,
Valentino
Gerosa
rinviene
una
sepoltura, apertasi spontaneamente,
presso un sentiero al confine con
Oltrona (la ben nota Strada Cavallina).
La tomba conteneva bronzi dell’età del
ferro e fra l’altro una fibula a
sanguisuga, il tutto databile al periodo
Golasecca II.
Nel 1979, in località Benedetta, furono
scoperte 4 tombe d’epoca romana del
tipo a cremazione, all’interno fu
rinvenuto tra i vari reperti un pezzo di
pane carbonizzato e una moneta
dedicata all’Imperatore Domiziano.
A lato: resti di ceramiche ritrovati al Gerbo
d’uva, caratterizzeranno per parecchio tempo il paesaggio agrario del
paese. L’eco del connubio delle due coltivazioni si ritrova in una strofa popolare, cantata nei momenti di allegria collettiva: “A Ultrona i murùn fan
l’üga, leraj quel ciondo, leraj quel ciondo, leraj in sü la riva del mar...”.
Al dominio Spagnolo si sostituì quello Austriaco che dal 1706, se escludiamo il periodo napoleonico, resisterà fino al 1861. Importanti novità, comunque intercorsero con l’avvento della Repubblica Cisalpina, in seguito
alla Rivoluzione francese, negli ultimi anni del 1700.
Le proprietà ecclesiali vennero secolarizzate ed immediatamente acquisite
da alcune famiglie benestanti locali, i terreni di Oltrona vennero da questi,
concessi in affitto ai contadini che già li coltivavano, sotto una particolare
e medioevale forma di contratto detta “di livello”.
Nonostante questi mutamenti, in una visita pastorale l’Arcivescovo di Milano Gaetano Gaysruck rimase impressionato dalla povertà della chiesa
parrocchiale di Oltrona, definita addirittura da Cesare Cantù “forse la più
brutta di tutta la Diocesi di Milano”. Intervennero allora donazioni consistenti di pregevoli marmi, reliquie, quadri e arredi sacri provenienti da
chiese milanesi demolite.
Le condizioni di vita di quei tempi non erano certo quelle di oggi e a ricordarcelo sono due epidemie di colera, che si verificano nel 1836 e nel
1867. Gli affetti dalla malattia venivano segregati in un “casàrich” in via
Umberto I ed i morti sepolti sulle prime ripe della collina del Ronco, all’inizio di via Appiano. Fino a pochi decenni fa, una piccola croce di ferro
ne ricordava il luogo di sepoltura.
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Affresco del XV sec. rappresentante la Vergine tra S. Rocco e S. Antonio Abate, già situato all’esterno di una casa
del centro storico ed ora conservato nel santuario di S. Mamette
Storia
962 - 1757
Compartizione delle fagie, anno 1346.
Estimo di Carlo V, Ducato di Milano,
cart. 2 e 3.
(8) Relazione Opizzone 1644.
(9) Compartimento
Ducato di Milano,
1751.
(10) Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3039.
(11) Indice pievi Stato di Milano, 1753.
(6)
(7)
La comunità di Oltrona risulta citata come entità amministrativa autonoma, a parere dello storico Bognetti, già nel noto documento dell’anno
962, dove Oltrona risulta dotata del “concilibis loci” che si può tradurre: assemblea pubblica dei capi famiglia del villaggio, ovvero una sorta di consiglio comunale. Fu feudo del Monastero di San Simpliciano di Milano per
concessione pontificia, sicuramente fin dal XII secolo.
Negli “Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano” emanati nel
1346 Oltrona risulta incluso nella pieve di Appiano e viene elencato tra le
località cui spetta la manutenzione della “strata da Bolà” sotto il nome di
“el locho da Oltrona”(6). Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del
1552 e dei successivi aggiornamenti sino al XVIII secolo Oltrona risulta ancora compreso nella pieve di Appiano(7), dove ancora lo si ritrova nel 1644(8).
Nel “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 Oltrona
risultava sempre inserito nel Ducato di Milano e aggregato alla pieve di Appiano; il suo territorio comprendeva anche i cassinaggi di Zerbo di sopra,
Zerbo di sotto e Tavorelle(9) . Dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge che il comune è sempre un feudo dell’abate benedettino residente al Castello di Lurate, a sua volta dipendente dal monastero milanese di San Simpliciano. A queste autorità ecclesiastiche
proprietarie del territorio la comunità oltronese, che contava circa 217
anime, non versava alcun tipo di tributo.
In quel tempo Oltrona disponeva di un consiglio che si riuniva nella pubblica piazza. Con l’approvazione di tutta la comunità, e a seguito di incanto
pubblico, venivano eletti il console e l’esattore. Il console prestava giuramento presso un’autorità pubblica di ordine superiore detta “banca criminale” con sede a Gallarate, già capoluogo del Vicariato del Seprio(10). Il nostro comune era sottoposto come tutti gli altri alla giurisdizione di un
podestà feudale e si avvaleva della consulenza di un cancelliere che veniva
retribuito con un salario annuo. Sempre inserito nella pieve di Appiano e
nel territorio del Ducato di Milano, il villaggio di Oltrona compare nell’“Indice delle pievi e comunità dello Stato di Milano” redatto nel 1753(11).
25
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Storico divieto tuttora
visibile in via Manzoni
(seconda metà del XIX
secolo)
Ingresso della curt di Paternoster
restaurato di recente
Storia
1757 - 1797
Nel nuovo compartimento territoriale dello Stato di Milano(12), pubblicato
dopo la “Riforma al governo e amministrazione delle comunità dello Stato
di Milano”(13), Oltrona venne confermata per l’ennesima volta tra le comunità della pieve di Appiano, nel territorio del Ducato di Milano.
Nel 1771 il comune contava 266 abitanti(14). Con la successiva suddivisione
della Lombardia austriaca in province(15) il comune di Oltrona venne inserito nella Provincia di Gallarate.
In forza del nuovo compartimento territoriale per l’anno 1791, la pieve di
Appiano, compresa dunque Oltrona, venne trasferita nel XXXI distretto
censuario della provincia di Milano.
27
Editto 10 giugno 1757.
Riforma Stato di Milano 1755.
(14) Statistica anime Lombardia, 1771.
(15) Editto 26 settembre 1786.
(12)
(13)
28
Disegno a china raffigurante la chiesa di S. Mamette prima dei lavori di restauro
Storia
1798 - 1809
(16)
Quadro distretti dipartimento del
Lario, 1802.
(17) Decreto 8 giugno 1805 a.
(18) Decreto 14 luglio 1807.
(19) Prima della aggregazione Oltrona contava 271 abitanti. Decreto 4 novembre 1809 b.
(20) Decreto 30 luglio 1812.
A seguito della suddivisione del territorio in dipartimenti, prevista dalla costituzione della Repubblica Cisalpina dell’8 luglio 1797 (Costituzione, 20
messidoro - anno V) e con legge del 26 marzo 1798 il comune di Oltrona
venne inserito nel dipartimento del Verbano, distretto di Appiano (legge, 6
germinale - anno VI).
Con successiva legge del 26 settembre 1798 il comune venne aggregato al
dipartimento dell’Olona, distretto XX di Appiano (legge 5 vendemmiale
anno VII). Nel gennaio del 1799 contava 300 abitanti (determinazione, 20
nevoso - anno VII). Secondo quanto disposto dalla legge 13 maggio 1801,
il comune di Oltrona, inserito nel distretto secondo di Varese, venne a far
parte del ricostituito dipartimento del Lario (legge. 23 fiorile - anno IX).
Con la riorganizzazione del dipartimento, avviata a seguito della legge di
riordino delle autorità amministrative (legge, 24 luglio 1802) e resa definitivamente esecutiva durante il Regno d’Italia, Oltrona venne in un primo
tempo inserito nel distretto XXXI ex milanese di Appiano(16), classificato comune di III classe (Elenco comuni dipartimento del Lario, 1803), e successivamente collocato nel distretto I di Como, Cantone VI di Appiano.
Il comune di Oltrona nel 1805 contava 323 abitanti(17). Il successivo intervento di concentrazione disposto per i comuni di II e III classe(18), vide l’aggregazione del comune di Oltrona al comune di Appiano, che fu inserito nel
distretto I di Como, Cantone VI di Appiano(19). Tale aggregazione venne confermata con la successiva compartimentazione del 1812(20).
Come si vede, l’infinito e caotico cambio di dipartimenti, distretti e province, fu indiretta conseguenza della rivoluzione francese; il nuovo “verbo
rivoluzionario” venne diffuso in Lombardia da Napoleone col suo esercito
di soldati e funzionari pubblici. L’alterna fortuna avuta dalle varie giunte di
governo lombarde, succedutesi in così breve tempo al potere, ora filo-francesi dunque innovative, ora filo-austriache e conservatrici, generavano questa perenne e conflittuale instabilità logistico - amministrativa. I milanesi e
con loro tutti i lombardi, si accorsero ben presto che Napoleone e i sui connazionali avevano sì portato: Liberté, Egalité, Fraternité, ma anche che... i
Francées in caròza e nün a pée (i rivoluzionari francesi di stanza in Lombardia proclamano l’uguaglianza, ma loro vanno in carrozza e noi come
sempre a piedi).
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Il garibaldino oltronese Carlo Ferrario (1835 - 1912)
RISORGIMENTO
E INDIPENDENZA
1812-1865
Da uno scritto di Giuseppe Broggi
del 31 gennaio 1944 basato
sui racconti del padre Alessandro
(21) Tra questi si ricorda l’oltronese Carlo
Ferrario nato a Oltrona (1835-1912) il quale
arruolatosi nell’esercito piemontese prese
parte all’assedio di Gaeta, ultima roccaforte
dei Borboni e fu decorato con la medaglia
d’argento al valore militare. In occasione del
centenario dell’unità d’Italia, nel 1961, il
Consiglio Comunale intitolò allo stesso la via
Ferrario (da piazza libertà a via Giamminola).
(22) Parroco dal 1842 al 1866.
“Nel
1848, scacciati gli Austriaci da Milano e Como, il Governo provvisorio di
Lombardia invitava la balda gioventù italiana ad arruolarsi nei corpi dei franchi tiratori per la difesa dei passi alpini.
Nel distretto di Appiano si formò una centuria di 121 volontari, composta da professionisti, artigiani, lavoratori dei campi e delle officine al comando del dott. Giuseppe
Grilloni.
A codesta centuria appartenevano 10 volontari di Oltrona. Più tardi detta centuria fu
sciolta ed i volontari che volevano combattere dovevano arruolarsi nell’esercito piemontese che si era mosso con Carlo Alberto a liberare la Lombardia ed il Veneto. Dodici appianesi e quattro oltronesi (21) si recarono a Milano nell’esercito piemontese.
Dopo l’insuccesso subito, i patrioti lombardi si costituivano in comitati segreti per prepararsi alla riscossa; di questo comitato ne era a capo il dott. Grilloni di Appiano, il
cui padre era amico dei Broggi pure oriundi di Tradate; di Oltrona ne facevano parte
Alessandro Broggi ed il parroco don Catenacci (22), ferventi garibaldini.
Il 21 maggio 1859 il nucleo degli appianesi si recò a Varese nel corpo garibaldino
Cacciatori delle Alpi: il curato Don Catenacci, uomo ardimentoso con la cooperazione del podestà Broggi manteneva il contatto per mezzo di fidenti emissari con il
corpo garibaldino.
La messaggera dei patrioti comaschi la marchesina Giuseppina Raimondi si fermava
ad Oltrona in casa Broggi a cambiarsi d’abito e di cavallo per raggiunger, fra sentieri di pinete, il campo garibaldino e consegnare al generale le notizie della città di
Como.
Durante la battaglia di San Fermo tanto il Broggi che il don Catenacci e il dott.
Grilloni, si prodigarono a curare i feriti nell’ospedaletto da campo a Cavallasca. Sul
campanile di Oltrona sventolava il tricolore, appena che le truppe austriache lasciarono Olgiate incalzate dagli spavaldi garibaldini.
Nel maggio 1865 quando Garibaldi da Varese si recò a Como ad ispezionare il reggimento garibaldino, la guardia nazionale di Appiano alla quale appartenevano anche
gli oltronesi con bandiera si recarono sulla strada provinciale in località Benedetta ad
ossequiare il generale Garibaldi, che strinse la mano al Dott. Grilloni, a don Catenacci e al sindaco Broggi”.
§ Ndr - Gaeta era la roccaforte dei Borboni in cui si era rifugiato anche il Papa Pio IX,
mentre Garibaldi nel 1860 avanzava da Reggio Calabria, un corpo d’armata agli ordini
del generale Cialdini prese d’assedio Gaeta che capitolò dopo tre mesi di bombardamenti mentre le navi francesi di Napoleone III si astenevano dall’intervenire.
31
Storia
1859 - 1911
(23)
Censimento 1861.
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Foto del 1887 che ritrae
un soldato oltronese
tra i suoi commilitoni
nella caserma di Como
(Antonio Galli, terzo in alto da sinistra)
In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Oltrona con 475 abitanti, retto da un consiglio comunale di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel
mandamento XIII di Appiano, circondario I di Como, provincia di Como.
Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia il comune aveva una popolazione residente di 488 abitanti(23). Sino al 1863 il comune mantenne la denominazione di Oltrona e successivamente a tale data assunse la denominazione di Oltrona di San Mamette.
In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva
amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio.
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Fante oltronese della prima guerra Mondiale
Storia
1912 - 1949
Oltrona, fatta di gente semplice, contadini e tessitori, capisce ben presto
che l’unità d’Italia impone doveri che vanno oltre il confine territoriale e
alla grande guerra partecipa con il sacrificio di 20 giovani vite.
Al termine della prima guerra mondiale gli abitanti sono 818(24).
Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Como della provincia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta
nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà.
A bloccare una lenta e faticosa ripresa economica fu la dichiarazione di
guerra del 10 giugno 1940 che fa precipitare di nuovo l’Italia negli orrori di
un secondo conflitto mondiale. Anche in questa occasione Oltrona pagherà
un pesante tributo; al termine della guerra si conteranno sette caduti e
quattro dispersi.
(24)
Censimento 1921.
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Anno 1951: la sezione alpini di Oltrona,
in Piazza Libertà, ricorda i caduti della
seconda guerra mondiale alla presenza
dei familiari del capitano
Gaetano Gianminola
Nel 1946, in seguito alla riforma dell’ordinamento comunale, il comune di
Oltrona di San Mamette veniva amministrato da un sindaco, da una giunta
e da un consiglio.
Storia
GUERRA 1940-1945
GUERRA 1915-1918
Caporale Maggiore
Soldato semplice
Marazzi
Broggi
Ferrario
Fermo
Valentino
Carlo
Capitano
Giamminola Gaetano
Caporale
Finazzi
Alessandro
Dominioni
Arlati
Bianchi
Tettamanzi
Rusconi
Ferrario
Galli
Zaffaroni
Corti
Cappelletti
Luigi
Domenico
Antonio
Lidio
Carlo
Antonio
Luigi di Giovanni
Cesare
Luigi
Giovanni
Soldato
Giamminola
Corti
Tettamanzi
Bollini
Zaffaroni
Giuseppe
Marco
Camillo
Dionigi
Fiorenzo
DISPERSI
Soldato
Ferrario
Galimberti
Grigioni
Luraschi
DISPERSI
Soldato
Roncoroni
Dominioni
MORTI
Diego
Pilade
PER MALATTIA
Paternoster
Tettamanzi
Rusconi
Galli
Seregni
Mognoni
Ferrario
Eugenio
Flaminio
Giulio
Luigi di Carlo
Ernesto
Ambrogio
Alfredo
VITTIME
Suor
DEL
Pierino
Stefano
Francesco
Lorenzo
BOMBARDAMENTO
Evelina
Pagani
Girola
Mario
35
Storia
36
Al cuore Sacro di Maria. Sempre grati a
perenne ricordo dei prodi caduti i fedeli
Oltronesi restaurarono 9-11-1947.
La presente dedica compare all’interno della
Cappelletta di Piazza Libertà
La cappelletta sacrario, edificata non prima del XVIII secolo, ha come arredo sacro un altare a muro sormontato dalla statua di Maria Ausiliatrice.
La parete di fondo è decorata con una scena struggente: a sinistra, compare
il colle di S. Mamette con in primo piano una donna in ginocchio che
prega; a destra, un appena accennato campo di battaglia fa risaltare la figura del soldato ferito sorretto e confortato da un suo commilitone.
37
La fontana di piazza Statuto dopo il recente restauro
voluto dai coscritti del 1950
Scorcio di via Cavour
Storia
1950 - 2005
38
Sono gli anni del così detto miracolo economico nazionale e tutti gli oltronesi concorrono all’impresa; già non è finita la Guerra di Liberazione che
si avviano le costruzioni di nuovi stabilimenti tessili. Nel 1949 vengono edificate ed assegnate a famiglie di operai le prime case popolari, passate alla
storia col nome di “case Tupini”, cui fecero presto seguito le “case Fanfani”:
erano così denominate dal cognome dei parlamentari promotori dell’iniziativa.
Mentre gli oltronesi col lavoro ed il risparmio si davano alla costruzione di
nuove abitazioni per se e per i propri famigliari, nel vecchio centro storico
venivano ad abitare, per il tempo necessario e con la volontà di una migliore sistemazione, nuove famiglie di immigrati specialmente dal meridione d’Italia.
Non di meno tutte le amministrazioni comunali succedutesi nel tempo si
sono impegnate cominciando con la realizzazione di nuove strade come la
via Caduti Oltronesi e la via Giamminola, fu estesa la rete idrica e nel 1966
si scavò il primo vero pozzo per l’approvvigionamento autonomo dell’acqua. Quella fondamentale risorsa idrica, posta in località Margè, divenne
purtroppo inservibile quando nel 1982 fu scoperto nell’acqua un notevole
inquinamento da solventi clorurati. Immediatamente si dovette correre ai
ripari; superata la prima emergenza col ripristino di allacciamenti ai paesi
vicini, nel volgere di breve tempo fu installato un sistema di depurazione a
carboni attivi, all’impianto fu aggiunto nel 2000 un sistema di clorazione
per contrastare inquinamenti di tipo batteriologico.
Fatto tesoro di questa brutta esperienza, venne ben presto collocata una
condotta fognaria industriale, allacciandola con una pompa di sollevamento al depuratore consortile di Bulgarograsso.
Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 viene appaltata e costruita la
strada provinciale Lomazzo-Bizzarone, una grande e utile arteria che facilita la comunicazione tra la Svizzera e l’autostrada Milano - Como; in questo modo il nome ed il paese di Oltrona San Mamette venne conosciuto e
diffuso da una moltitudine di persone come non fu mai prima di allora.
Nel 1979-80 arrivò la metanizzazione, e così venne dato l’addio all’uso del
carbone e delle bombole a gas per il riscaldamento e la cottura dei cibi. All’anno 1982 risale la costruzione delle nuove Scuole Primarie a cui si aggiunse la vicina palestra.
I calciatori oltronesi, prima di utilizzare il nuovo centro sportivo nei pressi
delle scuole elementari, da diversi anni dispongono e si possono divertire
su un piccolo campo di calcio posto alla periferia del paese in località Lusciano.
Per ultimo, ma non meno importante, è da ricordare l’urbanizzazione dell’area dell’ex stabilimento Ravasi (1988 - 1995) che ha trasformato quel
comparto nella scenografica Piazza Europa.
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Foto aerea dello stabilimento Ravasi prima
dell’intervento urbanistico con il quale è stata
realizzata Piazza Europa
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Foto dell’anno 1915 che ritrae una mamma con la sua numerosa prole
Gli anni di nascita dei figli sono 1905,1906,1908,1909, 1910, 1913, 1914 (...) l’ultimo figlio nascerà solo nel 1921
ANDAMENTO
DEMOGRAFICO
Alcune riflessioni sull’andamento demografico esposto in tabella:
1861-1901 incremento dovuto agli effetti dei primi tentativi di industrializzazione e conseguente miglioramento
delle condizioni sociali;
1901-1931 vendita di varie proprietà immobiliari da parte dei pochi e ricchi
possidenti (Broggi, Bonomi e altri) con
l’ingresso di nuove e numerose famiglie, tra cui da Lurago e Limido i Pagani, i Millefanti e i Rudi; dalla Valtel-
Dati desunti da:
Repertorio Toponomastico Lombardo
Compendio statistico provincia di Como
del 1967
Anagrafe Comunale
Nella foto: gita domenicale in giacca
e cravatta
lina i Fomiatti, i De Tocchi, i Mattaboni,
i Piovaso, i Sceresini, i Rinaldi; dal Veneto i De Zaiacomo, i Paternoster, i Trabacchin;
1961-2005 incremento dovuto agli effetti del boom economico, con il fenomeno dell’espansione edilizia prima
con abitazioni monofamiliari e successivamente di cooperative edilizie e società immobiliari; non è da trascurare il
crescente flusso migratorio.
2500
2000
41
1500
1000
500
0
217
266
323
488
505
680
831
813
818
959
1059
1256
1751
1771
1805
1861
1871
1881
1901
1911
1921
1931
1951
1961
1450
1971
1626
1936
2097
2182
1981
1991
2001
2006
42
43
IL TERRITORIO
44
1722: così appariva Oltrona sulle mappe del catasto Teresiano. Dalla simbologia, il vigneto risulta la coltivazione principale del paese
LE MAPPE DI OLTRONA
NEL CATASTO TERESIANO
Nell’archivio di Stato di Como, assieme ad una mole enorme di altri documenti si può visionare, nel fondo U.T.E., catasto mappe, la cartografia dettagliata del nostro territorio, realizzata nell’anno 1722 in occasione della
formazione del primo catasto che fu poi chiamato Teresiano.
In quegli anni, infatti, nell’intento di riorganizzare in modo radicale il sistema tributario, in precedenza basato sull’arbitrio dei potenti e sulla spregiudicatezza dei gabellieri, Carlo VI d’Asburgo diede avvio alle operazioni
di rilevamento del territorio, l’operazione di base che permetteva di determinare in seguito, assegnando ad ogni parcella il relativo reddito, l’imponibile delle varie proprietà. Poiché, però, il tutto entrò in vigore nell’anno
1760, sotto il regno di Maria Teresa d’Austria questo catasto fu chiamato,
appunto, Teresiano. I lavori procedettero fra enormi polemiche e feroci critiche da parte dei proprietari che vedevano pubblicamente esporre i propri
interessi e quindi mettevano in campo ogni possibile ostacolo alla realizzazione del progetto. Ma anche nella realizzazione tecnica dell’opera non
tutto fu facile. In un’epoca in cui l’aerofotogrammetria, il teodolite assistito
dall’elettronica, l’uso dei satelliti per determinare i punti sul terreno erano
ancora nel libro dei sogni, si dovette ricorrere ad uno strumento già conosciuto, semplice da usare ed abbastanza preciso: la tavoletta pretoriana.
In pratica si trattava di una tavoletta quadrangolare, montata su un treppiede, sulla quale veniva fissato il foglio da disegnare. Una riga, poggiata
sulla tavoletta, era munita di goniometro e di 2 traguardi, come il mirino
di un fucile, con i quali si traguardavano i punti da rilevare.
Si eseguivano quindi delle triangolazioni basandosi sul noto teorema che
permette di ricostruire un triangolo conoscendo un lato e due angoli o due
lati ed un angolo.
Prima di decidere quali strumenti usare per i rilievi furono sperimentati diversi metodi, mettendo in concorrenza diverse squadre di rilevatori, nella
nostra zona, per tutto il Regno vennero scelte, per la campionatura, due località, una in pianura ed una in montagna sulle pendici del Bisbino. Ad Oltrona le operazioni topografiche ufficiali furono eseguite dal geom. Giovanni Della Torre e da Carlo Maggiorati che si avvalsero di altre persone
che evidentemente conoscevano bene il territorio e le proprietà. Gli aiutanti
si chiamavano Ambroggio Alfiere, Ambroggio Girola, Gio’ Cattaneo e Pro’
Rimordi. Così è scritto nei documenti dell’epoca.
Tutto il lavoro venne compiuto tra il 13 marzo e il 2 aprile dell’anno 1722
ossia nel periodo più favorevole a questo genere di operazioni sia per il
clima che per l’assenza di vegetazione. Occorre anche dire che i mappali, le
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46
particelle in cui era diviso allora il territorio di Oltrona, erano soltanto circa
400 contro le oltre 2400 attuali, dopo gli innumerevoli frazionamenti eseguiti sulle proprietà. Inoltre le brughiere ad ovest del torrente Rozzeu erano
riunite in un solo mappale di 1063 pertiche perché erano di uso comune
per la legna ed il brugo. Un particolare interessante può essere segnalato al
riguardo di queste brughiere ora integrate nel Parco Pineta. Quando negli
anni successivi furono passate a proprietà privata, la determinazione dei
confini non fu fatta con l’apposizione dei normali cippi, ma con lo scavo di
trincee alcune delle quali molto profonde. Forse si temeva che i cippi venissero spostati oppure si voleva con questi fossi, consolidare ancora di più
il diritto di proprietà in un posto che fino a quel momento era stato pubblico.
Diamo ora uno sguardo alle carte che adesso, dopo quasi 300 anni, hanno
assunto un alto valore documentaristico. Salta subito all’occhio la limitatezza del centro abitato costituito dalle case adiacenti all’ovale delle attuali
vie XX Settembre, Cavour, Vittorio Emanuele con i piccoli comparti esterni
di Via Volta e Mazzini-Garibaldi.
Lontano nei campi le 4 cascine storiche: Zerbo superiore e inferiore, Zerbone, Tavorella oltre alla chiesa di San Mamette. Nient’altro. La viabilità
era ancora costituita dalle carrarecce medioevali per la maggior parte ancora adesso rintracciabili. Due di queste, una ad ovest, l’altra ad est della
collina del Ronco, portavano verso Appiano evitando accuratamente la
zona della palude (al Paü) che sulle carte di quel comune viene denominata
“Mortizia” forse perché malarica. Verso Caccivio il tracciato copiava l’attuale via Roma fino all’incrocio con via Dante per poi voltare a sinistra e
attraversando la Cavallina raggiungere l’abitato con un bel rettifilo. Verso
Olgiate si andava dalla via S. Mamette o dalla via Verdi di oggi. In direzione
di Beregazzo la strada attraversava l’Antiga con un guado (attuale via Robiano), proseguiva nella profonda trincea scavata nei secoli dal passaggio
dei carri e dalle acque piovane, quindi passando dietro il Zerbone raggiungeva l’allora importante strada che collegava l’Olgiatese con Appiano passando per la Cà Bianca (zona confinante con il territorio di Beregazzo).
A proposito del guado suddetto molti ricordano ancora che fino agli anni
‘50, prima della costruzione del ponte, una stretta trave di ferro, posata
sopra il torrente, appena a monte della carreggiata stradale, facilitava, ma
non tanto, l’attraversamento ai pedoni in presenza di acqua.
Non esistevano le odierne strade denominate via Manzoni, via Dominioni,
via Beregazzo che vennero aperte negli ultimi anni di governo austriaco. In
particolare, con il terreno di riporto dello scavo sotto la collina di S. Mamette venne costruito un terrapieno sull’Antiga con il relativo ponte (1848).
Intersecando la stradina acciottolata che collegava la via S. Mamette con
l’ultimo cortile in fondo a via Mazzini passando per un androne ancora esistente, risultò una differenza di quota fra i due piani viabili che venne raccordata con la posa di alcuni scalini (i scalitt). La scarsa affidabilità del
muro di contenimento (in ciottoli di torrente e malta) nella prima parte e
l’alta ripa risultante nella seconda, unita all’inconsistenza del terreno, dettero luogo nel tempo, durante i periodi piovosi, ad una serie innumerevole
di scoscendimenti che creavano allora molti problemi, sia per il ripristino,
fatto unicamente a mano, sia per la viabilità che allora non offriva altre alternative per l’entrata nell’abitato da ovest. I numerosi rappezzi, ancora visibili nel muro, testimoniano quanto detto, anche se con l’urbanizzazione
della zona e la messa in sicurezza delle scarpate tutto sembra risolto e dimenticato.
Un altro particolare interessante emerge osservando le mappe. Il corso del
torrente Antiga, nitidamente disegnato altrove, sparisce del tutto nel tratto
tra la via Robiano ed il ponte sulla Lomazzo-Bizzarone. E’ quindi evidente
che in questo punto il corso era indefinito e quindi l’acqua dilagava nel
piano adiacente senza un alveo stabile, che presumibilmente venne costruito negli anni successivi per poter bonificare e coltivare a prato i terreni
limitrofi.
Infine si ricordano una serie di nomi dei “pezzi” di Oltrona, reperibile in
archivio; nomi che, comunemente usati (direi vissuti) dai nostri genitori
fino a poche anni fa, ora rischiano di essere completamente dimenticati. Ed
è stata veramente un’opera meritoria averne inseriti alcuni nella toponomastica ufficiale. Ecco l’elenco: Zerbo, Roccolo, Apponto, Valle, Lurasca,
Pigozzo, Cantone, Lentiggia, Bozzoli, Roncate, Rogorèe, Valli Chiuse,
Rossa, Lusciano, Fontana, Crosetta, Margèe, Rossum, Vignalunga, Stradone, Monte Vilano, Monte Ghislone, Tobiello, Ronco, Vigna Almasia, Casavico, Ronchetti, Boavescia, prati Magri, Era, Giobb.
Questi toponimi emergono dalla consultazione dei registri delle proprietà,
una visura che fornisce dati interessantissimi Oltrona dell’epoca. Si precisa
sull’argomento, che a parte le 1063 pertiche della brughiera appartenenti
al comune, il resto era di proprietà piena di pochi notabili ed in misura
molto inferiore di alcuni enti religiosi. Fra i possidenti laici si ricordano:
Paolo Retti (pertiche 1267), Giobatta Bagliacca, Giuseppe Biumi, Agostino
Cabiati, rev. Carlo Maria Olgiati. Fra gli enti religiosi: l’abbazia di S. Sim-
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pliciano in Milano, l’abbazia di S. Giovanni Evangelista in Appiano, il Capitolo dei Canonici di S. Stefano di Appiano, la Cura di Oltrona, le Monache di S. Marco di Como. La proprietà più vistosa, quella dei Retti, che abitavano in una palazzetta di fronte alla chiesa parrocchiale, passò
successivamente ai Bonomi, figli di un macellaio di Como, che nel 1792 risultavano intestatari di circa la metà dei terreni di Oltrona, mentre la proprietà Olgiati venne ceduta in affitto perpetuo, nel 1778, a dei Broggi provenienti da Tradate. Gli stessi Broggi, in epoca successiva, avrebbero
acquisito anche i beni dei Bonomi, visto che la loro casa di famiglia divenne
la palazzetta appena citata.
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Foto d’epoca di piazza della Fontana a Oltrona.
Sulla destra è visibile il serbatoio dell’acquedotto con alcuni particolari. Sul fondo si intravvedono gli scalini, ancora oggi esistenti,
anche allora tradizionale punto di ritrovo ove si consumava la prima colazione
RISORSE IDRICHE
E ACQUEDOTTI AD
OLTRONA SAN MAMETTE
50
A Oltrona, ma naturalmente anche nei paesi limitrofi, fino ai primi anni del
1900, fare provvista di acqua per le necessità familiari o per abbeverare gli
animali era una impresa ardua che diventava quasi impossibile durante i
periodi di siccità. Esaurite le poche riserve del pozzo o della cisterna nel
cortile, che raccoglievano l’acqua piovana del tetto, essiccata la “boza”, l’invaso esistente in qualche cascina, bisognava mettersi alla ricerca nelle
poche sorgenti del circondario, oppure attingere al Pravasc, al Paü o affidarsi alla benevolenza di qualche fortunato nei paesi vicini. E le massaie
prendevano i panni da lavare e ...avavano dove si poteva.
Dovevano passare ancora molti anni con l’avvento di epidemie di tifo e colera incentivate dalla scarsa igiene e dall’uso di acque non potabili finché il
cambio di mentalità dovuto al progresso ed ai fermenti sociali dell’Ottocento posero in primo piano la necessità di portare a soluzione il problema
dell’approvvigionamento dell’acqua.
Fino a quegli anni, quindi, anche nella vicina Como non esistevano acquedotti che potevano chiamarsi tali. A metà secolo (1850) prima gli ingegneri
municipali con vari studi e progetti e quindi l’iniziativa privata, che in questo campo intravedeva margini di profitto, realizzarono il primo acquedotto. Fu l’impresario ligure Giovanni Garrè che incanalando le sorgenti del
Refrecc nella valle del Cosia portò l’acqua nella convalle ultimando i lavori
nel 1890.
Ad Oltrona, appunto, come recita la lapide in Piazza Libertà, il salto di qualità si ebbe nel 1893 con la realizzazione dell’acquedotto del Lusciano. Una
condotta di 800 metri circa, con un dislivello utile di circa 10 metri, intercettando anche un’altra piccola sorgente lungo il percorso, portava l’acqua
ad un serbatoio posto nella piazza, “la Ca da l’acqua” le cui cannelle dissetavano, ma non sempre, gli abitanti. Accostata al serbatoio, verso sud, una
vasca lavatoio era alimentata da un’altra cannella. Il progetto di questo acquedotto fu affidato allo stesso ing. Garrè, e per questo la piazza veniva comunemente chiamata dai nostri vecchi “al Garè”.
Anche l’acqua di un’altra piccola sorgente era incanalata fino al “Nivel” in
piazza della chiesa, una fontana che era costituita da un caratteristico
muro a semicerchio sormontato da lastre di granito su cui gli uomini si sedevano a conversare all’uscita dalla messa.
Probabilmente la stessa acqua alimentava anche la fontana, tuttora visibile
in piazza Statuto, ed un’altra in via XX Settembre, ora demolita.
Le due edicole, quella di piazza Statuto e quella di piazza Libertà, abbastanza simili come disegno architettonico, ma diverse nei materiali e quindi
costruite in periodi diversi, sono la testimonianza più accessibile dei vecchi
acquedotti di Oltrona.
Dall’acquedotto del Lusciano fu in seguito derivata una conduttura che portava l’acqua ad una bocca davanti all’ingresso della “Ca Matta” (è ancora visibile il pilastrino che portava la cannella) che costituiva la meta agognata
dai contadini che di lì passavano per l’andata o il ritorno dai campi con la
carriola stracarica o la cavagna sul braccio, durante i mesi estivi di calura.
Ma a volte, durante i periodi di siccità, l’acqua del Lusciano scarseggiava e
le file dei secchi in attesa si allungava a dismisura. Il messo comunale era
allora incaricato della distribuzione che avveniva in proporzione ai componenti delle famiglie mettendo in atto una specie di razionamento. Intorno alla metà degli anni ‘20, per ovviare alla cronica mancanza d’acqua,
in molti cortili di Oltrona si costruirono cisterne che, tra l’altro, erano preziose in caso d’incendio.
La fine del periodo di approvvigionamento dell’acqua alle pubbliche fontane si ebbe intorno al 1931 con l’allacciamento all’acquedotto di Appiano
che, come dice l’altra lapide, “fu fatto con il concorso volontario della popolazione”. Infatti come era consuetudine allora, anche nei paesi vicini, i
richiedenti l’allacciamento prestavano gratuitamente la loro opera per l’esecuzione della canalizzazione per le singole utenze.
Probabilmente durante questi lavori venne demolita la “Ca da l’acqua” e
vennero costruiti sia la nuova fontana sotto via Umberto I che un nuovo lavatoio all’inizio di via Appiano.
Continuando la cronistoria si evidenzia che dopo la costruzione dello stabilimento Noberasco, ora Star, negli anni ‘40 si dovette ricorrere alla posa
di una conduttura dal confine con Caccivio allo stesso stabilimento essendoci stato il rifiuto da parte dell’amministrazione appianese alla fornitura
in quanto avrebbe creato problemi di approvvigionamento anche alla stessa
Appiano.
Questo acquedotto che, come detto, inizialmente soddisfaceva alle necessità idriche del solo stabilimento, fu successivamente intercettato nei pressi
del lavatoio e con la costruzione, dietro il lavatoio stesso, di un nuovo impianto per la messa in pressione, si provvide ad alimentare la rete pubblica
di Oltrona.
Le due alternative di fornitura (da Caccivio e da Appiano) davano ora una
certa sicurezza anche in caso di interruzione o guasto in uno dei due comuni.
Si arriva pertanto agli anni ‘60 quando il “miracolo economico” portò ad
un benessere fino ad allora sconosciuto. L’avvento delle lavabiancheria in
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ogni casa, le accresciute necessità igieniche che portavano ad avere servizi
in ogni casa, ma anche le nuove industrie sorte in quegli anni portarono ad
un vertiginoso aumento dei consumi di acqua e quindi alla necessità di reperire sempre nuove fonti.
Si ricorse così , nel 1966, alla perforazione del nuovo pozzo al Margè (profondità circa 90 metri) e alla successiva costruzione dietro alla chiesa di
S.Mamette di un serbatoio di circa 350 metri cubi che serviva da accumulo
notturno e “polmone - vaso di espansione” per la rete.
Le opere per l’adeguamento della rete seguivano a fasi alterne ed in parte
continuano tuttora anche allo scopo di eliminare le inevitabili perdite in un
impianto ormai datato. Tutto sembrava sistemato anche per gli anni a venire senonchè guai grossi erano in agguato dietro l’angolo.
Le acque luride delle fogne e gli scarichi delle stamperie che per anni avevano appestato il letto dell’Antiga in un terreno molto permeabile, con comportamenti più colpevoli che incoscienti, favoriti da carenze di legislazione
in materia, dovevano per forza portare a delle conseguenze.
Nell’agosto del 1982 si riscontrò nel pozzo del Margè una concentrazione
superiore alle norme di percloroetilene, un componente di solventi altamente inquinante usato nelle stamperie.
L’acqua “DOC” di Oltrona era finita.
Dopo l’immissione in rete di acqua fornita da un pozzo Star non inquinato
si dovette ricorrere precipitosamente alla messa in opera di un impianto di
filtrazione a carboni attivi.
Nel gennaio 1992, per tentare di reperire acqua non inquinata, ma anche
allo scopo di ridurre i costi della filtrazione, si dette mano alla perforazione
di un nuovo pozzo in via Verdi. Nonostante la notevole profondità raggiunta (circa 150 metri) il lavoro non diede i risultati sperati e l’impianto
non venne connesso alla rete.
Alcune considerazioni conclusive: l’aumento dei consumi pro capite, (in 50
anni siamo passati dai pochi litri agli attuali 250 circa), la costante crescita
del numero degli abitanti ed il ripetitivo succedersi di stagioni poco piovose
porrà, in un futuro ormai prossimo, grossi problemi di approvvigionamento di questo bene ambientale prezioso, insostituibile, ma limitato. Si ricorrerà certamente anche a Oltrona, in una rete che già adesso comprende
altri comuni, alle risorse costituite dai laghi prealpini con un probabile scadimento della qualità. Un uso dell’acqua più responsabile da mettere in atto
per evitare l’interruzione di un servizio che oggi sembra così scontato ma
che in futuro potrebbe anche esserlo un po’ meno.
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Scorcio di piazza Garrè, oggi piazza Libertà, durante una manifestazione sportiva negli anni ‘20
IL LAVATOIO
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La costruzione, un semplice portico chiuso da tre lati e aperto verso sud,
venne realizzata negli anni ‘30 in sostituzione della vasca-lavatoio esistente
al Garrè, ora piazza Libertà, in adiacenza alla fontana chiamata “Ca da l’acqua”, alimentata dalla sorgente Lusciano, che venne demolita dopo la costruzione della nuova rete di distribuzione alimentata dal pozzo del comune di Appiano. Il terreno venne donato dalla famiglia Pagani Santino in
opzione alla richiesta del Comune che chiedeva, a pagamento, una dislocazione più vicina all’abitato. Una lapide posta su di un pilastro ricordava
la donazione. Inizialmente il lavatoio era dotato di una doppia fila di bacinelle in cemento, ognuna occupata da una sola lavandaia. In epoca successiva, forse per limitare il consumo di acqua, le vaschette furono sostituite dalle due vasche classiche dei nostri lavatoi, intercomunicanti, con le
pietre inclinate in granito. Alcune di queste bacinelle in cemento si possono
ancora vedere in qualche cortile di Oltrona. Qualcuno ricorda ancora che,
per molto tempo, le vasche erano alimentate da due cannelle, una con l’acqua del Lusciano, l’altra con l’acqua di Appiano. Con l’avvento delle lavatrici nelle case, negli anni ‘60, il lavatoio diventò sempre meno indispensabile alla popolazione, e negli ultimi anni, prima della demolizione, avvenuta
nei primi mesi del 1982, era frequentato solo da poche nostalgiche massaie.
Anche il muro con cui era stata tamponata la parete sud, forse per favorire
la privacy (pare infatti che nessun lavatoio nei dintorni fosse così chiuso).
La porzione di terreno resasi disponibile dopo l’abbattimento fu usata per
l’installazione degli impianti di pompaggio e filtrazione dell’acquedotto. E
un’altra memoria storica del nostro paese cadeva nell’oblio. Questo per
un’arida cronistoria. Se invece si vuole parlare di folclore si può, per esempio, immaginare di quanti e quali argomenti si sia dissertato sotto quel
tetto: il lavatoio è sempre stato, dappertutto, il luogo dove la cronaca paesana ed il pettegolezzo trovavano facile terreno sostituendo le funzioni attualmente svolti dai media. È possibile anche ricordare il piacevole diversivo, per le donne che si trovavano a lavare nelle torride sere d’estate,
rappresentato dal bagno nelle vasche, dei ragazzi che avevano lavorato durante il giorno alla vicina trebbiatrice, la machina da bat, autentiche maschere di polvere. Oppure dell’avventura tragicomica, ma non troppo, vissuta da alcune lavandaie alla fine degli anni ‘60, che durante un furioso
temporale estivo si videro assalite da una enorme fiumana d’acqua proveniente dal paese che le costrinse a salire sulle pietre per lavare o su alcune
cataste di tubi ammonticchiate sulle pareti, aggrappandosi alle travi del
tetto. In effetti la costruzione dell’attuale via Giamminola, con innalza-
mento del terreno circostante, aveva relegato il lavatoio in una buca che impediva il deflusso delle acque meteoriche. Solo dopo ripetute invocazioni di
aiuto le sventurate furono soccorse evacuandole attraverso il tetto. In chiusura si ricorda il potere socializzante che aveva allora la struttura (non solo
pettegolezzi) e di cui oggi si ha così bisogno ma ... non si può tornare indietro.
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Il lavatoio come si presentava prima della demolizione
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ISTRUZIONE
Scuola Gabriele Castellini
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(25) Castellini G., Autobiografia, Como Biblioteca Comunale.
Gabriele Castellini nacque il 26 marzo 1812 nel borgo di San Bartolomeo
in Como da una famiglia “popolana”, così dallo stesso definita, composta
da quattro femmine e tre maschi.
“Il padre di professione postiglione, ossia conducente di diligenza e di altri
mezzi di trasporto dell’epoca, metteva da parte ogni anno piccoli guadagni. La
madre pia, soccorrevole ai poveri e sagace, governava le cose domestiche, onde
in santa pace vivevano tutti senza disagio e contenti del proprio stato”(25).
Nel 1828, a sedici anni, Gabriele lascia Como e con i risparmi della madre
frequenta la scuola Normale di Milano e l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Fatto ritorno tra i suoi: “incominciò il tirocinio magistrale nel villaggio di Oltrona, in una umile casa di educazione retta da quel buon parroco aiutato da
un ottimo prete, maestro di lettere italiane e latine”. Quella casa di educazione era un piccolo collegio che il parroco don Giusto Corbella, con l’aiuto
di don Sebastiano Cadenazzi, aveva iniziato nel 1821 con pochi ragazzi e
che ora aveva una trentina di allievi. Il tirocinio era necessario per ottenere,
in base alle leggi del tempo, la patente di maestro. Il collegio era situato
nell’attuale via XX Settembre, una volta chiamata “Contrada di là”, già sede
della Guardia di Finanza (Curt di Guardi) e, dal 1954, del Circolo Acli.
Sull’arco dell’androne si notava ancora negli anni Cinquanta un’insegna in
muratura che recava la seguente scritta: “Casa privata educazione del rettore
Castellini (proprietà Bonomi) 1836-1842”.
Per ricordare quali fossero le condizioni dell’istruzione nei centri rurali durante la prima metà del secolo scorso, basterà ricordare che Appiano avrà
soltanto nel 1884 il suo primo edificio scolastico. Il “collegetto” di don Corbella costituiva dunque una notevole rarità.
Negli anni 1835-1836 il piccolo collegio di Oltrona fu seriamente minacciato di crisi a causa di due provvedimenti presi dalle autorità ecclesiastiche della diocesi ambrosiana dalla quale dipendeva la parrocchia di Oltrona: prima il maestro-coaudiotore fu promosso parroco a Bareggio, poi
lo stesso parroco don Giusto Corbella venne chiamato a reggere la prepositura di Desio, prospettando così l’impossibilità di tenere ancora aperto il
collegio senza il suo rettore.
Il parroco gli offrì la cessione del collegio, invitandolo ad assumerne la direzione, l’economia e l’insegnamento. “prese consiglio dalla sua famiglia e da
uomini coscienziosi e pratici nell’educazione... e assistito dall’opera di un’affettuosa e diligente sorella per le faccende domestiche, un giovane di 21 anni
diventa ad un tratto educatore, maestro, padre a trenta figliuoli”.
Alla ripresa dell’anno scolastico 1836-1837 gli alunni scesero a venti, con-
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Ingresso della scuola Castellini in via XX settembre come appariva fino agli anni ‘60
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traccolpo del tutto prevedibile dell’ascendente goduto dal sacerdote presso
le famiglie degli allievi e dalla scarsa fiducia che esse potevano accordare
allo sconosciuto neo-rettore. A questo proposito sembra possibile ritenere
che fra Gabriele e don Giusto i rapporti non fossero stati interrotti, ma che
fosse il sacerdote a sostenere con preziosi consigli il giovane rettore al fine
di risollevare le sorti della loro istituzione, adoperandosi nel far conoscere
la volontà dell’insegnamento ivi impartito. Gli allievi tornarono tanto che
negli anni seguenti il numero dei ragazzi registrò continui aumenti e il “rustico colleggetto” di Oltrona si convertì in una vera casa di educazione dove
il dovere dell’insegnare si accompagnava con quello dello studiare e dove
“tutto si svolgeva secondo ragione sul tipo di una savia e operosa famiglia,
con la sorella Maddalena che aveva parte amorosamente materna per i teneri
fanciulli”.
Verso il 1840, a causa delle difficoltà a reperire maestri disposti a trasferirsi
nell’isolamento di Oltrona, Castellini pensò di trasferire il collegio a Como.
Questa operazione fu compiuta negli anni 1842-1843, trasferendo il collegio a Camerlata presso villa Terzaghi. Con la sistemazione a Camerlata egli
poté estendere i corsi d’insegnamento all’agricoltura, alle scienze naturali e
alla ginnastica. Organizzò corsi di lingue estere, danza, canto e musica strumentale assicurandosi eccellenti insegnanti. L’istituto fiorì in alcuni anni gli
alunni aumentarono fino a 120.
Castellini, grato a Oltrona, fece costruire e decorare nella chiesa parrocchiale l’artistica cappella della Madonna Addolorata così cara agli oltronesi.
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Anni ‘40 - Campo Solare con ragazzi e ragazze nati tra il 1930 ed il 1935
La scuola materna
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(26) Le Suore dell’Istituto Maria Consolatrice presenti con la loro opera di educatrici
fin dal 1908 hanno definitivamente lasciato il
nostro Asilo nel 2001. Si ritiene opportuno ricordare che dal 1915 al 1935, ben 15 giovani
ragazze Oltronesi, ora sepolte nel nostro cimitero, sono entrate a far parte di questo benemerito ordine religioso.
Agli inizi del ‘900 era assai sentita tra la popolazione la necessità di un’istituzione che si prendesse cura dei bambini in età prescolare. Le famiglie dell’epoca erano molto numerose ed i genitori dovevano affrontare il duro lavoro dei campi e delle prime fabbriche.
Questa aspirazione si concretizzò nel 1906 su iniziativa della Congregazione di Carità e della Società di mutuo Soccorso tra operai e contadini,
fondata nel 1893, e del circolo familiare.
L’asilo ebbe sede nei primi anni in un edificio prospiciente la piazza della
Chiesa. Dalla sua costituzione fino al 1909 fu retto da una commissione formata dai fondatori: don Francesco Conti, Battista Giamminola, Umberto
Croci e Davide Magni.
Nel 1913 divenuto insufficiente l’edificio in piazza della Chiesa, venne deciso di costruire una propria sede su un terreno adiacente al palazzo comunale donato dal benestante oltronese Carlo Dominioni. Il costo della costruzione fu di lire 15.219.
Nel 1949 il sindaco Giamminola dava inizio alla pratica per la conversione
dell’Asilo in Ente Morale, pratica conclusasi nel 1952 con decreto del presidente della repubblica. Con la trasformazione in Ente Morale l’Asilo
venne retto da un Consiglio di Amministrazione.
Durante il corso degli anni l’Asilo ha dovuto affrontare grossi impegni per
adeguare una ormai vetusta costruzione alle moderne esigenze sociali ed
igieniche. Si è così provveduto alla recinzione della proprietà, e ad importanti lavori di ristrutturazione quali: chiusura del porticato, rifacimento del
tetto, realizzazione degli impianti sanitari, di riscaldamento, di adeguamento dell’impianto elettrico, della creazione di un’area giochi su di
un’area adiacente concessa in comodato dalla parrocchia.
Negli anni 1991-92 è stata realizzata la grande veranda sul lato sud, modificando completamente l’aspetto primitivo e le rampe di accesso, creando
una sala giochi, il guardaroba ed un ufficio a piano terra. Questo grande
progetto è stato finanziato dall’ingente contributo della Ditta STAR, dalle
ditte locali e dai privati oltre che dal contributo dell’amministrazione comunale.
Attualmente il piano superiore dell’edificio, già adibito ad abitazione delle
Suore(26) e del custode è in fase di completa ristrutturazione e verrà adibito,
su prescrizione delle autorità di vigilanza a refettorio, raggiungibile con
ascensore esterno.
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Anni ‘50: ai funerali era d’uso la partecipazione (previa offerta all’ente) dei bambini dell’Asilo che aprivano il corteo
La scuola elementare
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(27) Molti anziani ricorderanno ancora le
sorelle Rosa e Clara Ferraris, di origini piemontesi, che dedicarono all’insegnamento
tanti anni della loro vita in momenti particolarmente difficili.
(28) Da qui il famoso detto “hai studiato il
giovedì”.
Il censimento del 1861 per l’Italia settentrionale, ormai riunita al regno del
Piemonte, rilevava che il 67% della popolazione era analfabeta: percentuale
certamente più elevata se riferita solo ai piccoli centri rurali dove l’insegnamento primario era effettuato dai parroci aiutati da qualche volontario.
Detto insegnamento si limitava per lo più ad impartire quei pochi rudimenti strettamente necessari alla lettura ed alla scrittura del proprio nome.
Ad Oltrona le prime scuole elementari si tennero presumibilmente nei locali già in uso al Collegio Castellini dopo che questo si era trasferito a Camerlata. Giova ricordare che gli alunni del collegio provenivano anche dalle
famiglie più abbienti dei centri vicini.
Successivamente le scuole si trasferirono nel palazzo Comunale, edificato
tra il 1890 ed il 1900, con una sola insegnante e dagli anni ‘30 con due insegnanti(27).
Solo verso il 1940 si aggiunse una terza insegnante dando la possibilità
anche agli oltronesi di frequentare la 5° classe, prima di allora possibile
presso le scuole di Caccivio. Naturalmente ogni insegnante doveva occuparsi di più classi con l’abbinamento di prima e seconda, terza e quarta, o
quarta e quinta, in funzione del numero degli alunni.
L’abbigliamento e l’equipaggiamento degli alunni in quegli anni era il seguente: blusa nera, zoccoli , cartella in legno o cartone con sillabario o sussidiario, due quaderni, un astuccio con cannuccia pennini e matita. Non
esisteva certamente il problema dello zaino pesante né dello scuola-bus.
Le due aule a piano terra ai lati est ed ovest dell’edificio comunale erano riscaldate con grandi stufe in terracotta ed i banchi in legno massiccio dotati
di calamai che il messo comunale nonché bidello e custode provvedeva a
riempire.
Gli orari scolastici erano tassativamente i seguenti: dalle 9 alle 12 e nel pomeriggio dalle 14 alle 16 con il giorno di vacanza di giovedì(28).
Dopo gli anni cinquanta le due grandi aule furono dotate di pareti divisorie in modo da permettere la presenza di cinque aule ed una insegnante per
ogni classe.
Nel 1976 si dette corso alla ristrutturazione del palazzo comunale sopraelevando di un piano le ali dell’edificio adibite a scuola elementare e trasferendo le scuole ai piani superiori dell’edificio.
Negli anni ‘80 la limitata disponibilità degli spazi a disposizione degli uffici
comunali, la ristrettezza delle aule a seguito dell’aumento del numero degli
alunni spinsero l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco ing. Giacomo Bergui a realizzare le nuove scuole elementari di via IV Novembre,
inaugurate nel 1982 e giustamente intitolate a quel Gabriele Castellini che
ad Oltrona aveva iniziato i primi passi della sua brillante carriera di insegnante.
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La scuola Materna
ed il Municipio
con la scuola Elementare
visti dall’oratorio anno 1950
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1912: la maestra Maddalena Sacchi (1859-1924) con gli alunni maschi delle classi 1903, 1904, 1905, 1906 e 1907
A gh’ emm pü famm
A me ma par che adess a vivum ben
anca se un quai vün al dis da no
a mangium tutt i di cunt ul piatt pien
par dì ca le mia vera bisogn ves fö da cò
‘ na volta par fa ‘na gran mangiada
parchè a ghera propi in gir nagott
dopu setimann da pulenta cun quagiada
andavan a spusa par mangià ‘l risott
la carna la mangiavan i sciuritt
parchè la custava tropp e al paisan
la testa par fa l’bröd e dü usitt
e i quart da dree i a mandavan giò a Milan
e quand mazavan ul pulastar
l’è parchè ul regiu a l’era in lecc
o parchè in pulee gh’era un disastar
e ‘l gall l’era dree a murì o l’era vecc
adess a l’incuntrari ai nost fiö
semm li a pregai da mangià sü in dal piatt
e pö ga disum “bravu, te mangià anca incö”
ma ta ga pensat, ma par ca semm tut matt
infatti quai vün a Netal al porta a cà i scirèes
e in primavera la bel’uga bianca
e i tumatis d’invernu e gh’ em pretes
che quai cos a pensag ben ammò ‘l ma manca
e quand ca vegnan fö dal risturant
dopu tri menü g’an sempar su ‘l müsum
e ai disan sempar istess, tra ‘l poc e ‘l tant
“stavolta al ma fregaa quel imbruiumm”
un dì sum andaa in dal Giani macelar
e lü ‘l ma dii “ul me l’è ‘n mistee gramm
a sa sa pü cus’è dag ai gent, disemal ciaar
parchè ga dem da mangià a chi ga minga famm”.
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68
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ATTIVITA’
L’agricoltura
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Si descrive l’agricoltura oltronese iniziando con alcune notizie storiche comuni a tutto il territorio circostante. Dopo il ritiro definitivo verso le Alpi
delle masse glaciali (circa 15000 anni fa) la superficie spoglia del terreno comincia ad essere colonizzata dalle prime piante pioniere come la betulla, il
pino e l’abete, e, più tardi, con l’avvento di un clima più temperato, estese foreste di querce e faggi ospitarono lupi, cinghiali e cervi. Attirati dalla ricchezza di cibo e acqua comparvero nelle nostre zone i primi cacciatori nomadi (circa 9000 anni a.C.), mentre, attorno al 3000 a.C. l’uomo preistorico
sì stabilì, con le sue capanne, sui fianchi delle nostre colline poiché i fondovalle erano acquitrinosi. Solo verso il IX secolo a.C. le tribù dei Celti, provenienti da nord, arrivati qui da noi, aprirono radure nelle foreste, servendosi
anche del fuoco, costruirono capanne abitative ed iniziarono la coltivazione
dei primi campi con cereali primitivi e legumi. Praticarono anche l’allevamento di animali domestici in particolare suini e ovicaprini. In epoca successiva, la conquista romana dei nostri territori portò alla fondazione di
nuovi villaggi, alla costruzione di nuove strade e, con la centuriazione dei terreni, la assegnazione degli stessi ai coloni. Risale a questo periodo l’introduzione nelle nostre zone del castagno e dell’ulivo attorno ai laghi, mentre la
vite era già coltivata in età celtica. In età medioevale, un documento dell’anno
962 inerente la compravendita di terreni a Oltrona, dove vengono citati
campi, prati, frutteti e boschi, lascia immaginare un’agricoltura già organizzata ed anche in fase di espansione economica, dunque una situazione che
attirava nuovi interessi da parte di persone residenti lontano da Oltrona.
Nel 1566, il visitatore apostolico mandato dall’arcivescovo Carlo Borromeo
cita nella sua relazione le rendite di allora della nostra parrocchia che, com’era allora in uso, erano quantificate in cereali: 10 moggia di frumento, segale e miglio in parti uguali. Naturalmente il mais e le patate erano ancora,
da noi, sconosciuti. In quell’epoca, o in periodi di poco antecedenti, i monaci
benedettini dell’abbazia di Castello in Lurate, che possedevano il feudo, organizzavano ad Oltrona alcune loro aziende agricole, disboscando, terrazzando e costruendo le cascine Zerbo, di sopra e di sotto, Zerbone, Tavorelle
e Padule allo scopo di produrre vino per i loro conventi. In effetti, i declivi
esposti al sole delle nostre colline moreniche si prestavano ottimamente alla
coltivazione della vite. Gli stessi monaci introdussero l’uso del torchio e del
mulino (al Tapela, sul Lura). Continuando, merita una citazione l’atto amministrativo del governo austroungarico che all’inizio del 1800 alienava, passandolo a proprietà privata, l’enorme mappale di 1063 pertiche di brughiera
situato ad ovest del torrente Rozzeu fino ad allora (si dice fin da epoca cel-
tica) usato comunitariamente dagli abitanti del paese per procurarsi la legna
e il brugo. La decisione fu seguita dalle proteste di quanti fino a quel momento avevano usufruito gratuitamente di questi prodotti, ma in seguito
cambiò radicalmente l’assetto del territorio, evitando, con la crescita del
bosco, le conseguenti disastrose alluvioni che seguivano dopo periodi di forti
piogge, a sud di Mozzate.
Dopo aver descritto il territorio, con riferimento all’agricoltura, è il momento
di parlare adesso delle condizioni di vita dei contadini. Se il coltivatore medioevale era considerato poco più che una bestia da soma, ancora 200 anni
fa poco era cambiato, anzi, con la secolarizzazione delle proprietà seguite
alla Repubblica Cisalpina, la situazione era peggiorata. Sottomesso al padrone da patti colonici e da consuetudini a dir poco inique, conduceva una
vita grama segnata da fatica, malattie indotte da scarsa igiene, pessima alimentazione, abitazioni malsane, assenza d’istruzione. Bastava una stagione
avversa perché i debiti si accumulassero, e, molte volte, contenziosi col padrone lo costringevano ad andarsene, e “fa S. Martin”. Per la donna era ancora peggio dovendo dividersi fra lunghe ore nei campi, la cura della casa e
dei (sempre numerosi) figli. Forse ad Oltrona non era del tutto così. Infatti,
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Falciatori al lavoro nei prati
agli inizi del 900
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Nella foto compare il vecchio attrezzo
impiegato per tagliare il fieno
moltissimi durante le pause nei lavori agricoli tessevano sul telaio a mano
procurandosi un po’ di contante. Dovevano passare ancora molti anni
prima di un effettivo miglioramento. Solo intorno al 1920 il cambio di mentalità, indotto anche dalle manifestazioni di protesta sempre più frequenti
tra gli operai dell’industria, portò alle prime ribellioni. È storia del nostro
paese che in quell’anno, a seguito dei tumulti, molti contadini furono imprigionati insieme con altri dei comuni vicini. Finalmente, dopo secoli di
passiva subordinazione, i tempi erano maturi per un cambiamento. Pian
piano si diffuse la piccola proprietà (ad Oltrona anche di pochissime pertiche), il cavallo che tirava l’aratro sostituiva il faticosissimo lavoro con la
vanga necessario nella preparazione dei terreni alle semine primaverili.
Dopo decenni in cui erano già in uso in altri stati, forzatamente imposti
dalla necessità di lavorare con minore manodopera grandi estensioni, arrivarono anche da noi le prime falciatrici a trazione animale ed i primi voltafieno. Nei primi anni ‘50 fecero la loro comparsa ad Oltrona i primi trattori guardati con sufficienza o fastidio dai vecchi coltivatori. Si stava
verificando un cambiamento epocale. Infine le mietitrebbie eliminarono
anche l’avvenimento che catalizzava l’interesse dell’intera popolazione per
poche settimane durante l’estate: la
trebbiatura del grano sull’aia con “la
machina da bat”. Il resto è storia di
questi giorni. Dai cortili sono spariti i
carri (erano costruiti da 2 famiglie
d’artigiani oltronesi) sostituiti da un
gran numero d’automobili. “Ultrona
gent catif e tera bona” recitava un antico proverbio, ma ormai di terra da
coltivare n’è rimasta poca.
Gli antichi attrezzi a mano usati per
millenni e portati dai nostri vecchi fino
alla consunzione prima di essere sostituiti (la ranza, la vanga, la furca, ul restèl, ul fulcìn, la sapa, la müsüra) sono
ormai oggetti da museo. A proposito di
“ranza”, qualcuno ricorda ancora il
suono cadenzato del martello picchiato
sulla falce, nei cortili, durante i giorni
caldi della fienagione?
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La brunza del giüus
La Repéga: attrezzo artigianale trainato da un
cavallo che gravato dal peso del conducente
serviva e livellare il terreno dopo l’aratura
I PATTI COLONICI
NEI PRIMI ANNI
DEL 1900
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I terreni in affitto (affitto diretto dal PROPRIETARIO o nella maggior parte
dei casi, attraverso il FITTABILE) erano così suddivisi:
1) un quarto era coltivato a frumento che veniva consegnato tutto al proprietario per l’affitto, dedotta la semente.
2) un quarto era coltivato a granoturco, segale e patate. Questi prodotti servivano al sostentamento della famiglia.
3) un quarto a prato stabile per l’alimentazione del bestiame da lavoro acquistato e curato dal contadino.
4) un quarto a lino e ortaggi che per metà andavano al proprietario.
C’era poi l’obbligo annuale dell’allevamento dei bachi da seta nell’abitazione del contadino. Il raccolto dei bozzoli andava consegnato tutto al proprietario che doveva corrispondere metà del ricavo al colono, trattenendosi
però metà delle spese per seme bachi ed altro, la pigione della casa e quote
di eventuali crediti. (Si ricorda, per inciso, che l’ombra prodotta dei gelsi
riduceva in modo sensibile la produzione delle altre culture per cui si generavano continui contenziosi.)
Ogni famiglia era tenuta a prestare giornate di lavoro per coltivare i terreni
del proprietario non affittati. Tali giornate erano compensate con somme
irrisorie che venivano segnate in “avere” dall’affittuario. Le donne facevano
corvée gratis (ad esempio lavare i panni del padrone). Tali giornate toglievano parecchio tempo e quindi, quando i lavori stagionali incalzavano, si
ricorreva al lavoro delle donne di casa che, tra filanda, casa e campi, conducevano una vita misera e disgraziata.
C’erano infine gli “appendizii” o “regalie” costituite dalla periodica consegna al proprietario di pollame, uova e ortaggi. I conti venivano saldati sempre a S. Martino (11 novembre). Raramente il contadino era in attivo. Sovente, per motivi banali o per controversie, il contadino con tutta la sua
famiglia era costretto a cambiare masseria e a traslocare in questo periodo
dell’anno a ridosso dell’inverno. Le giornate di “appendizio” non effettuate
poiché gli uomini erano al fronte durante la prima guerra mondiale, venivano addebitate (2 o 4 lire al giorno). Gli “appendizii” erano dovuti per contratto, ma anche per consuetudine.
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Foto realizzata nell’odierna piazza Libertà nel sito ove attualmente sorge il negozio di alimentari della Cooperativa
OLTRONA S. MAMETTE
SENZA ALLOGGIO
Giuseppe Broggi
Como, Luglio 1950
Breve cronistoria del primo sviluppo
industriale con descrizione
del modo di vita di quei tempi
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Nel 1880 Oltrona con circa 700 abitanti, con una sola industria serica, il Giulio
Torriani di Como che aveva rilevato fin dal 1864 la tessitura serica Broggi con 100
telai ed aveva messo a dirigerla Isaia Noseda aumentando poi fino a 200 telai.
C’erano molti telai a domicilio che lavoravano per i Bressa; i Bertolotti ed i Stucchi di Como, che venivano semanalmente a sorvegliare il lavoro.
Non esistevano ancora la ferrovia e la tram-via e le corriere e neppure si andava in
bicicletta; si andava a Como, a Saronno ed a Varese a piedi. Medico, levatrice, farmacia, posta, panetteria e macelleria dipendeva tutto da Appiano. La Chiesa era un
salone rettangolare con soffitto di legno. Però aveva due buone osterie con alloggio e
stallazzo.
In piazza, quella delle sorelle Testoni, la Claudia e la Teresòù che avevano anche la
vendita “Sale e Tabacchi” si mangiava molto bene, avevano due camere con tre letti
ben arredate per alloggio. I setaioli di Como che venivano ad ispezionare le loro tessiture si fermavano a colazione ed a riposare i loro cavalli. Alla domenica poi, sapevano preparare una squisita “busecca alla milanese” ed i succulenti tortelli. Molti di
Appiano e di Caccivio venivano ad assaporarli e si ballava fino a ora inoltrata al
suono di un organetto.
L’altra osteria si era installata in un edificio a cento metri dal paese, nell’incrocio della
strada Olgiate - Beregazzo - Oltrona - Appiano - Caccivio. Disponendo di un locale spazioso, due camere con quattro letti per alloggio sempre occupate, poichè era il
punto di riposo di molti venditori ambulanti che venivano da Como, Varese, Saronno
e fin da Milano, con un buon stallazzo. Si mangiava bene si beveva meglio e si giocava alle bocce.
Era pure il raduno dei cacciatori della zona. Una volta al mese si riunivano i cacciatori di Oltrona: I Bonomi ed il Noseda; di Olgiate: i Rossi, i Sala; da Beregazzo: i Villa ed i Monti; da Binago: il Mistò; da Solbiate: i Bianchi; da Appiano: i Cetti; da Caccivio: i Rubini ed i Testoni:
Si mangiava la prelibata lepre con la polenta, che solo la “Bigia” sapeva così bene
preparare. Si parlava di Caccia, di politica ed anche di pettegolezzi che riferiva la
Bigia, che con lo splendore delle sue spadine d’argento ed il suo incantevole sorriso,
troneggiava tra loro.
Ad Oltrona c’erano pure le guardie di finanza, era una nota allegra nelle osterie e
molti di loro sposarono delle oltronesi e si radicarono. Più tardi le sorelle Testoni si
sposarono, l’osteria passò in altre mani e finì languendo. Morì la Bigia, anche quella
osteria sparì. I venditori ambulanti si eclissarono quà e là: I cacciatori trasferirono le
loro riunioni all’albergo Ghioldi di Olgiate, rimpiangendo la saporita lepre e l’incan-
tevole sorriso della formosa Bigia. Le Guardie di Finanza furono soppresse ed il paese
piombò nell’inerzia.
Oggi giorno, benchè gli abitanti siano aumentati, vi sia la ferrovia e il tram, le corriere
e le automobili ed anche le “lambrette ; con cinque stabilimenti serici che producono più
di 300 mila metri di tessuti al mese, una tintoria ed una stamperia, la Chiesa ingrandita e a volte non solo non vi ha ancora un medico nè una levatrice nè farmacia nè telegrafo, ma nemmeno un’osteria decente con camere dove alloggiare e senza un bar.
Oltrona che diede tessitori a tutti i paesi vicini, adesso importa giornalmente impiegati
ed operai da Como, da Camerlata e con pulman fin da Milano poichè non vi sono
case d’abitazione.
Sembra ironia pensare che settant’anni or sono tre donne di Oltrona seppero mantenere l’allegria, il buon vivere e l’alloggio. Ciò che oggi con cinque grandi stabilimenti
ed un immenso transito di persone con produzione di stoffe di seta per centinaia di milioni, non seppero aprire un cinema, istituire un campo sportivo, aprire un bar, un albergo con alloggio e garage.
Oltronesi destatevi da questa sonnolenza! Già che siete buoni lavoratori, che Bertolotti soleva dire: ad Oltrona si nasce tessitori. Oltrona sia messa alla parità e non alla
coda dei paesi circonvicini che impararono cinquant’anni orsono l’arte del tessitore. Oltronesi! Destatevi! In piedi! Fate valere il valore del vostro braccio, l’iportanza della
vostra intelligenza, retaggio di vostri antenati.
Modello di navetta utilizzato in tessitura
fino agli anni ‘60
77
PAGHE GIORNALIERE
NELLE FILANDE
(29) Appunti dalla mostra su don Giulio
Rusconi, Appiano G. 11/11/ 01.
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Vista aerea della stamperia STAR
Nelle filande lavoravano (sempre per 12 ore, anno 1902) ragazze dai 12 ai
16 anni. Le più giovani, addette all’operazione di ricerca del capo del filo
del bozzolo immerso nell’acqua calda con l’aiuto di uno scopino (scuinere),
erano pagate meno. Le filatrici (filere) prendevano di più. Le paghe giornaliere erano di 20 centesimi per le ragazze dai 10 ai 14 anni, 40 centesimi
per quelle dai 14 ai 16 anni. Le filatrici prendevano 80 centesimi. I pochi
uomini della filanda erano pagati 1 lira e 20 centesimi(29).
(Una lira del 1902 è paragonabile a 3,3 euro attuali).
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Moderno reparto di orditura in un’azienda oltronese
LO SVILUPPO
INDUSTRIALE DEGLI
ANNI ‘50 AD OGGI
80
(30) Istituzione della CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio) nonché gli aiuti forniti dagli USA (piano Marshall).
(31) Il primo piano regolatore o di azzonamento fu redatto negli anni ‘70, con grandi
difficoltà e disappunto dei proprietari a seguito dell’eccessivo frazionamento dei terreni.
(32) La forza lavoro complessivamente impiegata nelle industrie oltronesi era di circa
800 addetti.
Consegnati alla storia i tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale
e della lotta di liberazione, l’Italia si riprese dando inizio ad un periodo di
espansione economica senza precedenti, quello che fu poi chiamato “il miracolo economico degli anni ‘60. Fu questo l’origine di una rivoluzione che
stravolse la società intera e le nostre popolazioni avviarono un decennio di
riscossa, con l’espansione dei consumi a seguito di un crescente benessere,
lo sviluppo dei trasporti ed il progressivo tramonto della società rurale. Le
ragioni sono da ricercare nel costo ancora relativamente basso della mano
d’opera, nella disponibilità di materie prime a seguito di importanti accordi
internazionali(30), ma soprattutto da una mentalità che favoriva la “voglia di
fare”, fino a quel momento sconosciuta.
In ambito oltronese erano attive fin dagli anni venti, la fornace per laterizi
e la tessitura Ravasi fondata in quegli anni per la ottima fama di cui avevano sempre goduto gli oltronesi.
In pochi anni, sparse fra nuove case d’abitazione, sorte senza una precisa
pianificazione a causa della mancanza di piani regolatori(31), vennero realizzati numerosi stabilimenti tessili che in seguito avrebbero dato lavoro
oltre che agli oltronesi, anche a maestranze provenienti dai centri vicini, invertendo la direzione del flusso dei pendolari fino ad allora sempre in
uscita.
Si citano lo stabilimento Noberasco, poi Ditta STAR, la tessitura Ferrario
derivata dall’ampliamento di un preesistente laboratorio tessile Zaffaroni,
la tessitura Giamminola, la Vinci, poi Bombix, le tessiture Pagani e Walter,
infine ma non meno importante la fabbrica di mangimi Monti(32). Contemporaneamente fuori dalle fabbriche si sviluppava il lavoro a domicilio con
numerosissimi telai che lavoravano al pian terreno delle nuove abitazioni
appena costruite, ma anche nei locali ristrutturati dei vecchi cortili. Continuava così la secolare tradizione del lavoro in casa degli oltronesi che in
passato tessevano la seta con i telai a mano oppure nelle stesse case allevavano i bachi. Erano questi laboratori artigianali sezioni staccate degli stabilimenti suddetti in quanto questi ultimi fornivano il filato od anche i macchinari, ritirando il tessuto.
Alternandosi i diversi componenti del nucleo familiare alla cura del lavoro
di tessitura, si coprivano una gran numero di ore lavorative realizzando discreti guadagni.
Negli anni ‘70, con i primi sintomi di crisi nel settore tessile l’attività di lavorante a domicilio diventò sempre più rara fino a cessare quasi completamente: molti di questi tessitori trovarono occupazione negli stabilimenti e
81
Maestranze della ditta Ravasi riprese con il proprietario e le autorità politiche dell’epoca
con buona qualifica. Negli anni ‘80-‘90 le difficoltà del settore aumentarono
ulteriormente(33) e si ebbe una drastica riduzione di questa attività, portando alla chiusura definitiva di diverse fabbriche. Sull’area della storica
tessitura Ravasi fa ora bella mostra di sè la nuova piazza Europa mentre
sono stati conservati i locali della direzione adibiti ad abitazioni private, negozi ed una banca.
La situazione odierna si è evoluta verso il cosiddetto terziario avanzato e
non si contano le imprese artigianali oltronesi(34) che abbracciano diversi
campi produttivi; essi spaziano dalla superstite attività tessile o affine, alla
meccanica di precisione, all’elettromeccanica, inoltre vi sono varie officine
di autoriparazione e carrozzerie e grafiche artigiane; tutto questo è ancora
una conferma del notevole senso imprenditoriale della nostra gente.
Nel giro di una generazione, dimenticata una società contadina dalle radici
millenarie, si raggiunse un generalizzato benessere. Una prosperità che
però non è sempre sintomo di progresso civile, a cui si contrappone il declino dell’uso collettivo e socializzante del tempo libero ed una aggressione
indiscriminata all’ambiente ed al paesaggio.
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(33) I paesi emergenti riuscivano a fornire
prodotti a prezzi notevolmente i inferiori a
causa del basso costo della mano d’opera.
(34) Le unità locali iscritte all’albo delle
imprese artigiane alla fine del 2000 risultano
essere 64.
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Foto d’epoca di capitelai e meccanici tessili
LA FORNACE DI OLTRONA
La fornace venne edificata nei primi anni ‘20, utilizzando il sistema
“Hoffmann” con forno anulare a fuoco continuo: un’importante innovazione che, oramai da 50 anni, aveva rivoluzionato il modo di fare mattoni
sostituendo i metodi arcaici in uso da millenni che prevedevano la cottura
dei mattoni in cataste all’aperto. Il ciclo di lavorazione era ancora manuale;
all’impastatura dell’argilla seguivano la formazione dei mattoni, l’essiccazione e la cottura.
La produzione di laterizi con questo sistema era in uso ad Oltrona già da
alcuni anni. L’iniziativa della costruzione della nuova fornace venne presa
da alcuni intraprendenti Oltronesi che avevano maturato esperienza di lavoro nelle fornaci della Svizzera Tedesca.
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All’inizio dell’attività gli edifici produttivi erano semplicemente costituiti da
un capannone coperto da coppi su travi di legno, che serviva da alloggio
per gli operai, dal forno, da altri caratteristici spazi coperti per il lavoro all’aperto e, naturalmente, dalla ciminiera. Tutti i mattoni necessari alla costruzione della fornace furono ottenuti sul posto con l’antico metodo di lavorazione.
Col passare del tempo i proprietari che si sono succeduti nella gestione
della fornace hanno via via modificato la tipologia e l’ampiezza degli edifici spinti dalla necessità di alloggiare nuove macchine seguendo così l’evoluzione della tecnologia. Anche il forno è stato ampliato.
Attualmente il complesso, che si presenta ancora in buone condizioni, è costituito da un vasto capannone sovrastante il forno e dall’area sulla quale
era piazzata la “mattoniera”, mentre l’attiguo edificio adibito a mensa ed a
dormitorio degli operai è oggi diventato un’abitazione privata. I vasti piazzali dove venivano essiccati i mattoni sono adesso coltivati a cereali. Sugli
stessi sorgeva anche il campo di calcio sul quale venivano disputati regolari incontri di campionato dilettantistico di calcio.
Sopra la copertura dei tetti fa bella mostra di sé la ciminiera, simbolo di
un’epoca industriale oramai conclusa, l’unica costruita ad Oltrona. Da rimarcare l’elegante gioco di lesene che ne decora la sommità.
Le numerose buche esistenti nelle vicinanze (alcune interratesi nel corso
dei decenni, altre mascherate con piantagioni di Pino Strobo) testimoniano
l’attività di estrazione dell’argilla. Una collinetta che sorgeva a sud ovest
della fornace è stata asportata dalle successive escavazioni. L’impatto am-
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Operai oltronesi e appianesi in una fornace di Zurigo negli anni ‘30. Erano lavoratori stagionali che tornavano nei loro paesi nei mesi invernali
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bientale della fornace è stato quindi notevole, soprattutto durante il periodo
di attività più intensa; ora permane in alcune pozze un ristagno permanente d’acqua, dovuto all’impermeabilità del terreno, che favorisce la presenza di interessanti piccoli biotopo palustri caratterizzati da specie di
fauna e flora tipiche degli ambienti umidi. In particolare vengono segnalate
sporadicamente alcune specie di uccelli palustri avvistate nei dintorni della
fornace in cerca di cibo e la presenza di numerose specie di anfibi.
Il trascorrere del tempo, l’attività meteorologica e lo sviluppo della vegetazione hanno ben sanato quelle ferite.
La produzione di laterizi, prevalentemente mattoni, è cessata verso la metà
degli anni ‘60. L’impetuoso progresso della tecnologia ha decretato la fine
del ciclo vitale del forno “Hoffmann”, sostituito da altri sistemi di produzione in cui automazione e meccanizzazione sono spinte al massimo per ridurre i costi ed eliminare in gran parte le estenuanti fatiche che nel passato
comportava la movimentazione e la lavorazione dell’argilla e dei manufatti.
Tutte le fornaci della nostra zona hanno chiuso, alcune sono state demolite,
altre si vedono invase da rovi ed erbe infestanti, ma al pari di altri monumenti, religiosi o civili, devono essere considerate oltre che patrimonio storico, un bene culturale, in quanto espressione di un sistema di vita che è
parte integrante delle nostra storia e della nostra tradizione, testimone di
quanto veloci siano i mutamenti che stanno intervenendo, suscitando riflessioni e giudizi su quanto ci ha appena preceduti: per questo meritano
di essere conservate.
Il massiccio del Monte Rosa visto dal campanile della chiesa
di S. Mamette: in primo piano gli edifici della fornace
ed il pianalto del Parco Pineta
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88
89
I CORTILI
90
Mappa del centro storico con i cortili
1
CURT
DI
NOSEDA E BARZEGOTA
15 CURT
DI
RÜBIÀN
2
CURT
DI
MASCÌT
16 CURT
DI
GUÒRDI
3
CURT
DI
GIRÖLA
17 CURT
DI VANGELISTA POI
CURT
DAL
PIU
4
CURT
DI
MINÈLA
18 CURT
DI
MASENÖOF
CURT
DAL
CÙNSUR
5
CURT
DAL
RUÈL
19 CURT
DI
ABISÌT
6
PALAZ BUNOM
20 CURT
DI
ÀNGIAR
7
CURT
21 CURT
DI
CROCI
DI
GERBÙNI
POI CURT
GRANDA
POI
POI
CURT
DI PATERNOSTER
91
8
CURT
DI
CAPÜSC
9
CURT
DI
BUNDI
10 CURT
E PALAZ
11
DI
CURT
POI DI
FIRÀTA
CALATI / BROGGI
BALÈTA
POI
CURT
DI
MUNTAGNÉE
22 CURT
DI
MALINVERNI
23 CURT
DI
BASÒT
24 CURT
DI
DULFITT
25 CURT
DI
CANTÜ
DI
MAGNI
12 CURT
DAL
PIVÈL
26 CURT
13
DAL
‘LEGRÌA
27 LA CAMÀTA
CURT
14 CURT
DI STALÌT
Per quanto riguarda la denominazione dei vecchi cortili, si faceva riferimento a:
1.
luogo di provenienza dei proprietari o di coloro che vi abitavano:
provenienti da Rovello Porro
RUÈL
BASOTT
GERBUN
RUBIAN
cascinali oltronesi i cui abitanti si erano
trasferiti nel centro storico
CANTÜ
provenienti da Cantù
CAPÜSC
località tra Lurate e Villaguardia
FIRATA
cascina Filata di Appiano Gentile
MUNTAGNÉE
provenienti dalla Valtellina
MASCÌT
dalla cascina Mascètt presso Beregazzo
92
2.
cognome o nome degli stessi:
una delle più antiche famiglie oltronesi
GIROLA
(35) Per dare un’idea dei costi dell’epoca,
la CURT di BUNDI, con annesse 36 pertiche
di terreno posto in varie zone del paese fu acquistata, agli inizi del 1900, per la somma di
Lire 36.000.
MALINVERNO
CROCI
BONOMI
CALATI
grossi proprietari che avevano
successivamente venduto i loro beni
MAGNI
da Magni Davide
BUNDI
da Ferrario Abbondio(35)
VANGELISTA
da Ferrario Giovanni Evangelista
DULFITT
da Ferloni Adolfo
(36) Si faceva probabilmente riferimento
alla prima guerra coloniale di Abissinia
(1895/96) conclusasi tragicamente con la caduta del forte di Macallè.
(37) Era la grande strada proveniente dalla
Benedetta che univa il nostro territorio a Milano, passando per Oltrona, Appiano, Veniano, Lurago, Fenegrò, Lomazzo e Saronno.
3.
Soprannome, essendo molto frequente in quell’epoca, per diversi casi
di omonimia, affibiare i più strani soprannomi
PIVÈL, LEGRÌA, MASENÖOF, BALÈTA, ABISÌT
(36)
Facevano eccezione la Curt di Guordi, così chiamata perché vi risiedeva
una stazione della Guardia di Finanza, addetta ai controlli delle merci sulla
strada Cavallina(37) e la Curt di Angiar, residenza del Parroco prima della costruzione della canonica realizzata nell’anno 1906.
Per quanto concerne la denominazione di vie e piazze si ritiene opportuno
notare che:
via 11 Febbraio: fu successivamente intitolata, col nome del benemerito
Parroco, via Don Francesco Conti;
Piazza G. Carducci: denominata Piazza San Giovanni Decollato in quanto
non era ben gradito al Parroco Don Giuseppe Cappelletti l’intitolazione
del piazzale della Chiesa ad un grande poeta di idee anticlericali;
Piazza Fontana: qui faceva bella mostra di sé la costruzione in cotto
dell’acquedotto, poi abbattuto; assunse in seguito il nome di Piazza
Libertà.
Ingresso della curt di Masenöof
poi chiamata Curt dal Cùnsur
93
VITA DI CORTILE
ANNI 1920 - 1950
94
(38) Così la curt di Gerbuni o curt Granda
era stata acquistata dai fratelli Galimberti, la
curt di Capusc dai fratelli Castelli, il Crusò
dai fratelli Millefanti, la curt di Basot dai fratelli Zaffaroni.
(39) In alcuni cortili del centro storico era
meno evidente l’attività agricola in quanto
già abitati fin dall’inizio del ‘900 solo da famiglie di tessitori - vedasi curt di Malinverno,
di Magni, dei Croci o abitate dai ricchi possidenti curt e palaz Calati.
In diversi cortili del centro storico e delle cascine abitavano famiglie strettamente imparentate poiché l’acquisto degli immobili e dei terreni annessi
era stato effettuato unendo i risparmi di più fratelli o parenti stretti(38).
In caso di necessità come la crescita e cura dei numerosi bambini, gravi
malattie, lutti, non mancava l’aiuto dei vicini di casa e, salvo il caso di litigi ed incomprensioni presenti anche nel passato, il cortile era come una
grande famiglia.
Gli anziani si occupavano del lavoro dei campi coadiuvati dai figli che nel
frattempo avevano trovato occupazione nelle tessiture, nell’attività edilizia
o artigianale, contribuendo ad incrementare i magri bilanci familiari(39).
Al piano terreno si trovavano le cucine con camini o stufe, credenza, tavolo
e sedie.
Ai piani superiori una o più camere, prive di riscaldamento, con letti,
grandi armadi ed i comodini con i vasi da notte.
Per i servizi igienici infatti ci si doveva servire di una o più latrine, poste ai
confini delle stalle, costituite da angusti e puzzolenti manufatti privi di
acqua che convogliavano i liquami in apposite cisterne (pozzi neri o pozz
dal giüs), che venivano periodicamente svuotate per la concimazione dei
prati.
Per la pulizia personale erano a disposizione, sotto i porticati, grandi bacinelle in graniglia, sostituite nei mesi estivi da grandi mastelli di lamiera con
l’acqua riscaldata dai raggi solari, nei quali i bambini sguazzavano felici.
All’esterno dei cortili erano posizionate le letamaie, gli orti per la produzione di verdure per l’uso quotidiano ed i pollai per l’allevamento degli animali da cortile.
Poi arrivarono i primi telai a domicilio azionati ad energia elettrica, con il
loro frastuono. La nuova generazione, con la scomparsa dei vecchi capi famiglia, abbandonò definitivamente l’agricoltura ed il miglioramento delle
condizioni economiche portò alla graduale e totale trasformazione dei nostri cari e vecchi cortili. Scomparvero le stalle, le cascine colme di fieno, i
granai, sostituiti da garage, bi e trilocali, mansarde.
Fortunatamente scomparvero anche le latrine ed i pozzi neri, anche se consumismo e motorizzazione hanno portato a nuove forme di inquinamento.
Cinquant’ann fa
Persone semplici nella vita quotidiana
del cortile
Mà regordi anca mò ben, cumè sel füss propri adèss,
quand gh’era minga tucc stu lüsu e stu prugress:
la nostra vita la pasavum in di curt vècc,
d’està a pè biot, d’invernu sempar al frècc.
Ghe n’era minga d’apartament cui sanitari
e de nocc, se la scapava, ghe vureva l’urinari:
a pian teren la stüa, ul tavul, quatar cadregh e una cardenza
de frigurifar, lavatris e televisium an fasevum senza.
Al segund pian, dopu ul lubià gh’era la stanza da lecc,
senza riscaldament, cul cumò e ul guardaroba cul so bel spècc
söta ul portic gh’era un rubinet e un lavandin
duvè i don lavavan i pagn, i fioeu i pè e ul cupin.
In ogni curt gh’era tre o quatar stall
cunt vac, manzö, vedei e un quai caval
ogni famiglia la gh’era ul so pulè e ul so stabiel
cunt pulisit, galin, anatr e un bel purcel.
Sura i stall gh’era la casina cun fenn, legn e föia
d’està la sa impieniva, finì l’invernu l’era sempar vöia:
sura i stanz gh’era ul granè par ul carlum e ul furment
metu su a secà par ul murnè o in atesa d’acquirent.
Ai ses ur de matina gh’era già muviment,
i pusè vecc in campagna, i giuvin in stabliment:
spazà la stala, muncc i vac e catà sü pomm
e se lavuravan no in paes, ciapà ul tram par andà a Comm.
Se cüntavan tucc i machin e i mutur
a rivavum a cinq o sés, di pusé sciuri e del dutur;
ghe n’era minga de spuza de benzina
ma i strad eran sempar pien de buascia e de pulina.
Par tucc gh’era un pasatemp par ogni stagiun:
taià legn, vultà fen, segà furment e spuià carbun.
95
LA VITA
NEL CENTRO STORICO
DAL 1920 AL 1950
96
(40) Rizada: sassi di fiume posati in posizione verticale.
(41) Il mercato era situato in piazza Statuto e poi trasferito in Piazza della Chiesa .
Ogni commerciante o ambulante era chiamato con il nome del paese di provenienza:
ul fiè, ul beregazz, ul ruvelasca, ul fenegrò o
con soprannomi ul Pucia, ul Paciöo.
Le pavimentazioni delle strette vie del centro erano in selciato(40) e trasmettevano lo stridore delle ruote dei carri e lo scalpitìo degli zoccoli dei
cavalli che si mischiavano con il muggito delle mucche, il canto del gallo,
il vociare delle mamme e dei loro bambini.
Passavano con le loro grida ul magnàn, ul cadregàt, l’umbrelàt, ul mulìta,
ul spazacamìn ed ul murnée, che ritirava grano e granoturco e riconsegnava sacchi di crusca, farina gialla e bianca.
Era ancora buio quando transitavano con i loro carichi di ortaggi e frutta
i negozianti di Rovello e Rovellasca, i carri provvisti di una lanterna e diretti verso l’olgiatese ed il varesotto.
Alle 5.30 dava la sveglia il suono dell’Ave Maria e la prima Messa delle sei
ed alle otto un’altra campanella segnalava la presenza del medico presso
l’ambulatorio comunale.
Non mancava il venerdì un piccolo mercato(41) con bancarelle di tessuti e
merci varie ed i venditori ambulanti di frutta e verdura.
Poi arrivarono le prime motociclette, le lambrette, i trattori, le prime utilitarie.
Le sirene della ditta Noberasco, costruita trasportando i materiali con carri
e cavalli, sostituirono quasi il suono delle campane segnalando l’inizio e la
fine dei turni di lavoro. Motivi economici ed igienici fecero sparire stalle,
letamai, allevamenti avicoli e la comparsa delle prime antenne televisive sui
vecchi tetti del centro storico, negli anni ‘55-‘56, segnava l’inizio di una
nuova vita non certo più tranquilla.
97
Caratteristico cortile “curt di Giröla” del centro storico
98
99
VITA RELIGIOSA
100
Così si presentava la chiesa di San Mamette prima dei lavori di restauro,
situata su una ristretta sommità e priva di fondazioni
Cronistoria del santuario
di San Mamette
Chi non ha visto di persona com’era il santuario di San Mamette, prima dei
restauri decisi e fatti realizzare dal parroco Don Giuseppe Cappelletti, tra
il 1960 e il 1967, non può rendersi conto del completo stravolgimento architettonico che l’edificio sacro ha subito; eppure nonostante quel “restauro” da molti criticato, la piccola chiesa è pur sempre lì, adagiata su quel
piccolo cocuzzolo verde e si fa ogni giorno ammirare d’ovunque la si
guardi.
La seguente breve cronologia storica, tratta dall’opuscolo S. Mamette in Oltrona, dice pure l’inevitabile continua lotta per tenere in vita tutte quelle
opere umane che il trascorrere del tempo logora, corrode, seppellisce ed
alle volte fa risorgere sotto nuova forma.
X/XI secolo (d.C.)
Il famoso storico milanese Giampiero Bognetti, in seguito ad una sua visita al santuario avvenuta il 27 settembre del 1946, fa risalire intorno all’anno mille
l’edificazione di una prima cappella.
XIII secolo
Per la prima volta l’edificio sacro è segnalato in antichi documenti scritti. Infatti il cronista Goffredo da
Bussero, compilò verso la metà del secolo un elenco
di tutti i santi venerati nella Diocesi Di Milano. A Oltrona in Monte, così era appellato in quel tempo il nostro paese, la nostra chiesa era intitolata al Santissimo Salvatore, e possedeva al suo interno un
secondo altare dedicato a San Mamette.
XIV secolo
Nel 1398 la chiesa diventa cappellania e da quel momento dipenderà dall’abate benedettino residente a
Castello di Lurate Caccivio.
XVI secolo
Nell’anno 1566 è visitata da un vicario dell’arcivescovo di Milano che la trova in completo stato d’abbandono.
101
102
XVIII secolo
Da documenti milanesi del 1747 appartenenti al cardinale Pozzobonelli, si ha notizia che la chiesa è addirittura interdetta al culto: il tetto e i cornicioni
erano in rovina ed il pavimento in sfacelo, sprofondava a causa delle sottostanti tombe; infatti qui venivano sepolti i monaci Benedettini defunti. Alla fine di
questo secolo l’edificio sacro assume di fatto per tutti
gli oltronesi e non, il titolo di Chiesa di San Mamette,
l’antica dedicazione a San Salvatore viene dimenticata.
XX secolo
Il parroco Don Francesco Conti, all’inizio del ‘900, la
salva da una incombente e definitiva rovina, dotandola di un soffitto a volta e di un piccolo campanile.
Tra il 1960 e il 1967, il parroco Don Giuseppe Cappelletti attua un totale rifacimento del santuario, così
come appare oggi.
XXI secolo
Nell’anno 2002 il parroco Don Luigi Discacciati, provvedeva al consolidamento del tetto, alla tinteggiatura
esterna e faceva dipingere i due cartigli che sono
sotto il pronao, recanti i famosi brani sulla potenza
taumaturgica del santo martire Mamette, brani tratti
dalle omelie di San Basilio Magno e San Gregorio Nazianzeno, suoi concittadini di Cesarea di Cappadocia.
103
Angelo Millefanti 1898-1979 ... “e vuna, e dò e dò e meza e meza trè” ... così sbraitava sul piazzale della chiesa ul ‘N’giulin sacrista, banditore
eccezionale di ogni genere di mercanzia: animali da cortile, prodotti della natura e dolci donati alla parrocchia in occasione
della festa patronale di S. Giovanni Decollato del 29 agosto
... alla fine il povero secrista aveva perso la voce
Estratto dalla relazione di Leonetto Chiavone
visitatore generale dell’arcivescovo
Carlo Borromeo successiva alla visita
alla chiesa parrocchiale di San Salvatore
104
OLTRONA
(f15) 1566 die lunae undecima mensis novembris. Visitavit rev.dus dominus
Leonetus, visitator generalis rev.mi et ill.mi domini domini archiepiscopi Mediolani in plebe Aplani ducatus Mediolani, parochialem ecclesiam sancti Salvlltoris (16) loei Oltronae plebis Aplani suprascriptae, positam super montem
prope dictum locum Oltronae, in qua non adest sacramentum nec olea sacra
nec baptisterium et in qua adsunt duo altaria quorum maius est sacratum;
et non est solata, sed pIena immunditiarum, cooperta cupis, sed parietes male
compositae et perforatae.
Campanille adest cum campanela et hostia ecclesiae sunt sine clavibus et noviter facta. Cimiterium apertum est; cum cassio uno domus dirrupatae in qua
solebat habitare rector ipsius ecclesiae; quae ecclesia est latitudinis brachiorum duodecim circumdata buscho juris ipsius ecclesiae perticarum viginti vel
circa et redditus horum bonorum dictae ecclesiae, prout asserunt hominies
loci Oltronae, ascendunt ad summam modioroum decem, trium bladorum,
videlicet frumenti, sichalias et (f15v) milij equaliter. Rector huius ecclesiae
estvenerabilis dominus presbyter Andrea de Regibus adsens et habitans prope
civitatem Mediolani ad celebrandum aliam ecclesiam et loco cuius celebrat
domunis presbyter Jacobus de Ferrarijs in prefata parochiali ecclesia sancti
Salvatoris, sed, ut aseruerunt homines dicti loci Oltronae, raro, et hodie, precipue, non aderat cum sit festum sancti Martini de praecepto in hijs partibus.
Paramenta autem ipsius ecclesiae sunt infrascripta videlicet (segue elenco dei
paramenti)
Die suprascripto praefatus rev.dus dominus visitator visitavit quamdam capellam parvam constructam in dicto loco Oltronae, quae vocatur sancta
Maria et est aperta et in qua alias (f16) ... la parte successiva risulta mancante.
OLTRONA (1)
(V ed. ff 15 e 15v) Lunedì 11 novembre 1566 il padre Leonetto Chiavone visitò la chiesa parrocchiale di S. Salvatore, posta sopra un monte vicino ad
Oltrona. In essa non si conservano né il Santissimo Sacramento, né gli oli
sacri; manca il fonte battesimale; vi sono due altari. La chiesa, piena di immondizie, non ha pavimento ed è larga 12 braccia; il tetto è ricoperto con
coppi; le pareti sono in cattive condizioni. C’è il campanile con una campanella. Le porte sono state appena rifatte, ma non hanno la chiave. Il cimitero non è recintato. Vi è una casetta diroccata in cui abitava il prete. La
chiesa è circondata da un bosco di 20 pertiche di pertinenza della stessa.
Gli uomini di Oltrona affermano che il reddito di questi beni della chiesa
ammonta a 10 moggia di frumento, segale e miglio in parti uguali. Il parroco, Andrea Re, è assente e sta vicino a Milano; in sua vece celebra, ma di
raro, Giacomo Ferrari, che oggi infatti non c’era, nonostante la ricorrenza
della festività di S. Martino.
Lo stesso giorno fu visitata, sempre in Oltrona, una piccola cappella detta
di S. Maria, aperta e...
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Nella foto in bianco e nero è raffigurata la vecchia statua in gesso di San Mamette realizzata nel 1926.
A fianco la nuova statua in legno attualmente presente in Santuario
La statua
di San Mamette
“Sabato, domenica e lunedì furono tre giorni che rimarranno indimenticabili
in questa laboriosa popolazione.
Il paese scompariva sotto variopinte decorazioni che raggiungevano il colle
dove sorge il santuario di San Mamette che per tre notti risplende su tutta la
pianura lombarda come una nuova costellazione, nel bell’azzurro del plenilunio”.
È questo un pezzo di cronaca dei festeggiamenti avutosi nell’anno 1926 per
il XXV di parrocchia dell’allora parroco Don Francesco Conti, e per l’inaugurazione della statua in gesso di San Mamette donata da due benefattrici(42),
in sostituzione di un vecchio quadro raffigurante il Santo.
Ma più che dalla cronaca si ha l’idea di che cosa furono quei festeggiamenti
dai ricordi dei più anziani; tra bande musicali di Appiano, Lurate ed Olgiate, confraternite di numerosi paesi vicini, case sepolte sotto un manto di
fiori, vie trasformate in pinete, cortili invase dalle carrozze e dai birocci
della fiumana di gente convenuta ad Oltrona.
E qualcuno, profeta in patria disse:
”gli oltronesi non ammireranno più una festa del genere”.
Dopo la ristrutturazione del santuario anche la vecchia statua del Santo
presentava diverse incrinature dovute all’umidità. Il parroco don Giuseppe
Cappelletti trasmise allora, a degli scultori della Val Gardena, una fotografia della stessa per la realizzazione di una nuova scultura in legno. L’opera
che venne consegnata, tuttavia, non rispondeva alle aspettative del committente in quanto poco rassomigliante alla precedente e con un solo leone.
A tal proposito recitava una poesia di allora:
Prima eran dü e adess l’è dumà vün
e mágar cum’è l’è e piscinin
Al par propri no un leun, ma un cagnulin.
Erano due sorelle nubili e benestanti
di Como, d’estate erano solite far campagna
a Oltrona; sono ricordate col nomignolo
“Batistèes”.
(42)
Si pensò allora di far pervenire agli scultori la vecchia statua del Santo, ottenendo una nuova statua molto più simile rispetto alla precedente.
La prima statua, con un solo leone, è stata collocata nell’altare dei santi
della Chiesa Parrocchiale.
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La chiesa parrocchiale
di San Giovanni Decollato
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Chiesa parrocchiale così come appariva
alla fine degli anni ‘60, con il fontanile
(nivèl) al centro della piazza
“Lunedì, 11 novembre 1566... lo stesso giorno fu visitato, sempre in Oltrona,
una piccola cappella detta di Santa Maria, aperta e”, con questo mozzicone
di frase il visitatore diocesano Leonetto Chiavone, molto probabilmente voleva informarci dell’esistenza di un edificio che sarebbe diventato negli anni
a venire, l’odierna chiesa parrocchiale. In mancanza di altri documenti,
questa non è altro che una supposizione seppure plausibile, considerando
che l’edificio viene visitato e descritto immediatamente dopo la chiesa parrocchiale che in quel tempo era quella di San Salvatore, in cima al colle.
Nel 1596 l’edificio sacro compare ufficialmente in un documento e si è in
tal modo venuti a conoscenza dell’esistenza al suo interno di un solo altare
coronato da un dipinto raffigurante la scena del Battesimo di Gesù attorniato da alcuni santi, tra i quali San Mamette.
La chiesa è ampliata e munita di una massiccia torre campanaria nell’anno 1777 data incisa su un blocco di granito fissato sul muro esterno del
campanile e subisce nuove modifiche nel 1880. Nel secolo successivo altre
variazioni portarono al prolungamento verso est dell’edificio sacro; l’ultima
e più importante innovazione fu la predisposizione di una serie di aperture
ad arco nei muri portanti del presbiterio. Questa soluzione architettonica
permise di valorizzare al meglio quell’inconsueto e singolare ambiente chiamato, in architettura, deambulatorio; qui alle spalle dell’altare maggiore vi
era la cantoria con l’organo ora non più in uso.
Il 19 dicembre del 1927, una giornata estremamente gelida, ma confortata
da una corale partecipazione di popolo, così la ricordano gli ultimi sopravvissuti, il vescovo di Como Adolfo Luigi Pagani consacra, per la prima volta
nella sua storia, la chiesa; l’invito a presiedere questa rara cerimonia venne
direttamente dal parroco Don Francesco Conti. Si decise in questo modo in
virtù della vecchia amicizia sorta negli anni di studio in seminario.
Tra i pochi e più preziosi arredi sacri custoditi ancora oggi nella parrocchiale ci sono le reliquie di molti santi; di queste reliquie la più rilevante è
il frammento della Croce di Cristo; da ricordare è inoltre la reliquia del copatrono San Mamette. L’icona più pregevole e soprattutto cara agli oltronesi è la settecentesca statua lignea dell’Addolorata con in grembo il Cristo
morto. Merita particolare attenzione anche il busto reliquiario raffigurante
Santa Giuliana: questa giovane martire vissuta nel III secolo a Nicomedia
(Turchia), è molto venerata in paese e maggiormente invocata dalla popolazione di Caccivio, perché più di altre popolazioni vicine era oppressa da
un endemico e mortifero tifo petecchiale. Notevole dal punto di vista artistico è infine il grande dipinto a olio raffigurante la scena crudele del martirio di San Giovanni Battista; l’opera viene attribuita al pittore secentesco
Ercole Procaccini il Giovane.
Tornado a ritroso nel tempo, a proposito delle molteplici donazioni ricevute
dalla nostra parrocchia è bene ricordare ancora una volta il suo più grande
benefattore, l’austriaco Carlo Gaetano conte di Gaysruck, ovvero il cardinale di Milano che resse la nostra diocesi tra il 1818 e il 1846, quando ad
Oltrona era parroco Don Giusto Corbella. Questo ottimo prete, come ebbe
a sentenziare Gabriele Castellini, era sicuramente ben conosciuto dal generoso ma “todescòn” cardinale nativo della Carinzia; infatti Don Giusto,
lasciata la nostra parrocchia nel 1836, fu chiamato a reggere l’importante
chiesa prepositurale di Desio; pure l’allora Imperial Regio Governo Austriaco che comandava in Lombardia e Veneto, lo nominò Economo e
Ispettore delle Scuole Elementari dello stesso distretto.
Nel 1955, il parroco Don Giuseppe Cappelletti fa dipingere ed abbellisce la
volta del transetto con le insegne araldiche di Papa Pio XII e del cardinale
Giovanni Battista Montini mentre, con intenti catechistici, orna il presbiterio di figure simboliche affiancate da scritte bibliche in latino.
Nei primi anni del 2000, il parroco Don Luigi Discacciati propone e fa effettuare una definitiva rimozione dell’umidità che da secoli impregnava fin
dalle fondamenta tutte le pareti della chiesa, arreda con nuovi marmi e suppellettili sacre il presbiterio e, per ultimo, effettua una completa rinnovazione
delle decorazioni murali, ripristinando fedelmente il disegno originale.
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LA RELIGIOSITA’
POPOLARE
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“Così al mattino di Natale il massaro bagnava con l’acqua santa i graticci
su cui in primavera avrebbe allevato i bachi, e serbava una scheggia del
ciocco di Natale per bruciarla in bigattiera il primo giorno di vita dei bacolini. Sopra la porta della bigattiera appendeva una croce di fieno; di notte
un lumino ardeva davanti all’immagine di S. Giobbe protettore dei bachi”.
Basta la lettura di questo breve brano, tratto da un libro sulla seta, per intuire quanto fosse stretto, nei nostri paesi e nei nostri vecchi, il rapporto
fra le attività agricole e le pratiche religiose. Erano rituali e scadenze, in
sincronismo con i cicli stagionali, che davano una dimensione al tempo, al
calendario, e che si avvalevano di “simboli”, “segni” e “gesti” tramandati nel
tempo che, forse, avevano anche qualcosa di superstizioso e di magico.
Così la croce di paglia posta sulla sommità della bica (il mucchio di covoni
che dopo la mietitura restava nel campo in attesa di essere portato alla trebbiatrice) doveva servire ad allontanare i fulmini, oppure era un segno di ringraziamento per il raccolto ormai riposto. Lo stesso simbolo (due tagli in
croce col coltello) era fatto sul pane prima di essere posto nel forno per la
cottura. E chi non ricorda come, durante un violento temporale estivo, per
evitare una grandinata, si bruciasse sul camino un rametto di ulivo pasquale benedetto, recitando una preghiera. Per S. Biagio protettore contro
il mal di gola, si mangiava il pane portato in chiesa per essere benedetto,
riservandone una piccola porzione anche agli animali domestici.
Il soprannaturale era quindi, allora, l’unica entità amica, quasi un avvocato
difensore che si frapponeva fra la povera gente e le difficoltà della vita esasperata dalle angherie dei potenti e dai capricci delle stagioni. Per implorare, appunto, la clemenza del tempo e “l’abbondanza” dei raccolti si facevano le Rogazioni, reminiscenza di antichi riti pagani. Ad Oltrona ci si
recava processionalmente, cantando le litanie dei santi, al Ronco, al S. Mamette e nelle campagne del Gerbo, in aprile per S. Marco e nei tre giorni
che precedevano l’Assunzione. “A fulgore et tempestate libera nos Domine”.
Altre processioni avevano luogo in festività o ricorrenze più importanti con
la partecipazione di tutte le Confraternite la cui posizione nel corteo doveva
rispettare un rigoroso ordine gerarchico. In alcune, il corteo era aperto da
un drappello di cavalieri, i nostri cavalant. E’ facile immaginare a quali accurate operazioni di toelettatura fossero sottoposti i cavalli dopo settimane
di duro lavoro nei campi, prima di essere infiocchettati e cavalcati. Nelle
occasioni particolarmente importanti, lungo il percorso della processione o
nei crocicchi, erano realizzate, a cura delle famiglie vicine, gareggiando per
la migliore realizzazione, delle spettacolari porte trionfali in cui la grande
Nelle processioni solenni il corteo era
solitamente aperto da un gruppo di cavalieri
che altri non erano se non i nostri contadini
che disponevano di un cavallo
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Processione con la statua
della Beata Vergine Addolorata
intelaiatura in legno era completamente ricoperta dal muschio, allora abbondantissimo nei nostri boschi (oggi sarebbe vietato raccoglierlo) e da
sempreverdi; completavano l’opera: fiori veri e finti, e, sull’arco, scritte inneggianti al santo o al personaggio festeggiato. Nelle vie era tutto un tripudio di drappi, tovaglie ricamate, lumini sulle soglie.
Ed era festa.
Nelle Messe solenni, rigorosamente in latino, gli anziani storpiavano i
canti, ma c’era tanta fede. Era una religiosità più ingenua ma piena di consolante fiducia. Così erano i tempi.
Ma anche dove c’era la cultura (e l’autorità) non si era da meno. Durante
un’epidemia di colera, sulle Istruzioni emanate per allontanare il morbo,
dopo 18 paragrafi concernenti misure profilattiche, un capoverso recitava:
“Gioverà la benefica influenza dei Parroci per risvegliare negli abitanti la fiducia nella Divina Provvidenza”.
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Chiesa parrocchiale
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Interno della chiesa parrocchiale come si presenta dopo i lavori di restauro
La Madonna Pellegrina
e la 4a visita pastorale
del Card. Schuster
Oltrona, 27 agosto 1948
(da una lettera di Stefano Galli)
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Sebbene nell’intenzione precipua dei promotori della Peregrinatio vi sia lo spirito di
penitenza e di preghiere, tuttavia questi nostri paesi chi più chi meno, non abbiamo
saputo esimerci da manifestazioni esterne e, basta cominciare, chi trattiene più dal fare
meglio degli altri? Campanilismo!
Che nel nostro paese assai più che i vicini per la sua posizione preminente ha richiamato l’attenzione delle vaste regioni circostanti. Perchè, immàginati, ora il nostro bel
San Mamete, chissà quale attraente visione da lontano, in queste notti di agosto con
la completa illuminazione elettrica dal campaniletto al cornicione e facciata della aerea
chiesetta. Anche il campanile e la chiesa parrocchiale e poi in tutte le vie del paese illumunazione a giorno. Come già altre feste e celebrazioni in tutte le vie ghirlande e ornati di verde e fiori.
Alle 10 di sera di sabato scorso in processione ci siamo portati ai confini della parrocchia verso Beregazzo, oltre la fornace e da quei parrocchiani abbiamo ricevuto la
grande statua della madonna Pellegrina. Mestizia in essi nel dover lasciare partire la
Madonna da loro, allegrezza in noi perchè finalmente venuto il gran momento di accoglienza.
Novità assoluta e visione singolare questo snodarsi di processioni da paese a paese
oltre l’abitato in aperta campagna alle tenui luci delle fiaccole.
Nella notte da sabato a domenica Santa Messa e Comunione degli uomini e giovani. Nella giornata di domenica varie e predicazione in Chiesa. La domenica sera
solenne Via Crucis predicata in passaggio a tutte le vie del paese con l’immagine venerata; nella notte da domenica a lunedì S.Messa e Comunione delle donne e figliole. Il lunedì dalle 9 alle 12 visita col simulacro ai 4 stabilimenti del paese e consacrazione delle maestranze alla Madonna.
Lunedì sera, alle ore 6, ricevimento solenne del Card. Arcivescovo e funzioni della
sacra Visita Pastorale e conferimento della Santa Cresima.
Martedì mattina alle 5 Santa Messa dell’Arcivescovo e chiusura della S.Visita.
Martedì sera processione con la statua della Madonna a S.Mamete, mercoledì sera
uguale funzione sul colle del Ronco sempre con le fiaccole e devota partecipazione dei
Parrocchiani tutti. nella notte da mercoledì a giovedì mattino Santa Messa e veglia
di suppliche e preghiere.
Giovedì alle 10 del mattino santa Messa solenne cantata da Monsignor Prevosto di
Olgiate.
A sera con viva commozione di tutti ultime preghiere alla Madonna Pellegrina e commiato quindi processione sulla via di Appiano ove quei ferventi parrocchiani da oltre
un’ora erano ad attendere la Madonna Pellegrina.
Solo la nostra parrocchia ha avuto l’ambito privilegio di avere per 5 giorni la
Madonna.
Diventeremo cristiani più fervorosi? Alcuni parrocchiani han preferito andare altrove
per le ferie anzichè rimanere a celebrare questi giorni indimenticabili. A compenso questi giorni e queste sere scorse moltissimi dei vicini paesi devoti o curiosi sono venuti ad
Oltrona.
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Sosta della Madonna Pellegrina
nella piazza Libertà
Sotto il baldacchino di intravede la figura
dell’allora Cardinale di Milano, Beato Alfredo
Ildefonso Schuster. Ora ricordato con una
bella statua lignea nella chiesa parrocchiale
LA VITA RELIGIOSA
Confraternita del Santissimo
Sacramento, XVII - XIX sec.
Nella parrocchia di Oltrona era istituita la confraternita del Santissimo Sacramento, eretta dal cardinale Caccia il 7 marzo 1694, che fu censita nel
1747 durante la visita pastorale dell’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli, visita effettuata nella pieve di Appiano.
La confraternita risulta fondata in forma canonica solo nel 1820.
Gli associati erano donne e uomini adulti, denominati rispettivamente:
Consorelle e Confratelli.
Una terza associazione, solo femminile, ma sempre nell’ambito di questo
tipo di confraternita, era costituita dalle giovani, a tutti note come “Figlie
di Maria”. In Oltrona era pure presente la Compagnia del Santo Rosario a
cui potevano aderire tutti.
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Nelle foto: la confraternita del Santissimo Sacramento apre la processione della Beata Vergine
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Medaglia delle Consorelle appartenenti alla Confraternita del Santissimo Sacramento
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Dettaglio della mantella indossata dai confratelli durante le processioni
GIUSEPPE BROGGI
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(42) Alessandro Broggi (1792-1872), sindaco negli anni dell’unità d’Italia, discendente del primo dei Broggi venuti ad Oltrona
da Tradate, Filippo Broggi (1715-1802).
(43) Questa operazione era possibile in
quanto non erano ancora stati costruiti né
l’ex tessitura Ferrario, né l’attuale oratorio.
Tra i personaggi del passato che hanno dato lustro al nostro paese è doveroso ricordare la figura di Giuseppe Broggi, autore di una breve monografia su Oltrona e di due storici e brillanti articoli compresi in questo volume.
Da una sua autobiografia redatta nel 1923, estraiamo quanto segue:
“Figlio di Alessandro(42) e di Margherita Zolla nacque in Oltrona il 17 settembre 1859.
Suo padre fin dal 1830 fu dei primi che installò la tessitura di seta in questa
zona... Curò i suoi studi a Como fino al 1874 e successivamente al collegio
Maria Hilf in Svizzera impiegandosi successivamente a Milano. Nel 1880 decise di varcare l’oceano in cerca di emozioni americane trasmessegli da giovani sudamericani che studiavano in Svizzera... Arrivato a Buenos Aires conobbe molte famiglie italo-argentine, impiegandosi nel commercio, nella
dogana, nelle banche e nella borsa... Nel 1888 alla morte della madre venne in
Italia per rimanervi, ma la nostalgia di quella grande repubblica lo richiamò
ed al suo ritorno si dedicò a vaste colonizzazioni...Fu uno dei primi che portò
la civilizzazione dell’aratro nell’immensa pampa argentina, trasformando
quelle steppe in ubertosi campi di granaglia e verdeggianti pianure... Corrispondente ufficiale del ministero dell’agricoltura partecipò alle vicissitudini di
quelle fugaci presidenze, ottenendo la medaglia d’oro come collaboratore per
più di vent’anni nella direzione di statistica e agricoltura di quella nazione...
Durante la Prima Guerra Mondiale fu delegato della croce rossa italiana, presidente del comitato Pro-Patria e propagandista nelle colonie, entusiasmando
i giovani connazionali a partire per il fronte italiano... Al ritorno in Italia continuò il suo affetto per l’Argentina come corrispondente onorario del Ministero
dell’Agricoltura e di diversi giornali di Buenos Aires”.
Uomo di grande cultura, ritornato in Italia nel 1920 dopo la morte della
moglie italo-argentina di origine genovese, si interessò delle sorti del comune assumendo anche la carica di podestà. Si racconta che, abituato alle
grandi estensioni argentine ed affascinato dalla grandiosa monumentalità
di città come Roma e Buenos Aires, avesse avuto intenzione di collegare direttamente il palazzo comunale alla via Roma(43), incontrando tuttavia forti
opposizioni dai proprietari dei terreni interessati.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni economiche non certo
agiate presso l’Istituto Don Guanella di Como dove si spense nel 1954.
Come sua ultima volontà donò l’ultimo locale rimastogli delle sue proprietà
alla parrocchia, sede della ex biblioteca parrocchiale ed ora sede
UNITALSI; qui erano conservati i ricordi della sua avventurosa esistenza.
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Diploma attestante l’assegnazione della medaglia di bronzo vinta da Giuseppe Broggi all’Esposizione Universale di Saint Louis (USA) del 1904,
per aver presentato una sua nuova varietà di frumento
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