Oltrona il mio paese - Comune di Oltrona di San Mamette
Transcript
Oltrona il mio paese - Comune di Oltrona di San Mamette
Oltrona ... il mio paese “Vi diedi una terra, che voi non avevate lavorata, e abitate in città, che voi non avete costruite, e mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti, che non avete piantati.” (Gs, 24, 13) dedicato ai nostri padri e... ai nostri figli Oltrona ... il mio paese Edizione speciale edito dal Comune di Oltrona S. Mamette Coordinamento redazionale Silvano Galimberti, Assessore alla Cultura Redazione, ricerca iconografica Luigino Ferrario Santino Galli Luciano Luraschi Impaginazione Francesco Ferrario, Presidente Biblioteca Comunale © 2007 Comune di Oltrona S. Mamette Copertina Fernando Mattaboni Tutti i diritti riservati Finito di stampare nel mese di febbraio 2007 in arte da Tecnografica - Lomazzo Printed in Italy © Foto Fernando Mattaboni Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti coloro che a vario titolo hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, anche il loro lavoro merita di essere ricordato: Aurelio Meletto Biagio Millefanti Maria di Nuzzo Maurizio Castelli Piersandra Galimberti Sergio Castelli Sonia Millefanti Sommario 7 SALUTO Ass. Cult. Prov. di Como Edgardo Arosio 9 SALUTO sindaco Dott. Antonio Cesare Giussani 11 PRESENTAZIONE 13 OLTRONA 17 LE 19 UNO 20 STORIA: 25 27 29 STORIA: 962 - 1757 STORIA: 1757 - 1797 STORIA: 1798 - 1809 31 RISORGIMENTO 1812 - 1865 32 34 38 STORIA: 1859 - 1911 41 ANDAMENTO 44 IL TERRITORIO: INTRODUZIONE 45 IL TERRITORIO: E I PECÌT ORIGINI E IL NOME SGUARDO AL PAESE INTRODUZIONE E INDIPENDENZA: STORIA: 1912 - 1949 STORIA: 1950 - 2005 DEMOGRAFICO 50 54 58 62 64 67 70 74 76 78 80 84 le mappe di Oltrona nel Catasto Teresiano 90 I IL TERRITORIO: risorse idriche e acquedotti ad Oltrona San Mamette 94 VITA DI CORTILE ANNI 1920 - 1950 IL TERRITORIO: il lavatoio 95 ISTRUZIONE: scuola Gabriele Castellini ISTRUZIONE: la scuola materna 96 ISTRUZIONE: la scuola elementare 101 POESIA: A gh’ emm pü famm, di Luciano Luraschi ATTIVITÀ: l’agricoltura ATTIVITÀ: i patti colonici nei primi anni del 1900 ATTIVITÀ: Oltrona San Mamette senza alloggio ATTIVITÀ: la fornace di Oltrona POESIA: Cinquant’ann fa, di Luigino Ferrario LA VITA NEL CENTRO STORICO DAL 1920 AL 1950 VITA RELIGIOSA Cronistoria del santuario di San Mamette 104 107 108 110 114 ATTIVITÀ: paghe giornaliere nelle filande ATTIVITÀ: lo sviluppo industriale dagli anni ‘50 ad oggi CORTILI 116 120 122 Estratto della relazione di Leonetto Chiavone La statua di San Mamette La chiesa parrocchiale di San Fiovanni Decollato LA RELIGIOSITÀ POPOLARE La Madonna Pellegrina e la 4a visita pastorale del Card. Schuster Confraternita del Santissimo Sacramento, XVII - XIX sec. GIUSEPPE BROGGI BIBLIOGRAFIA 5 “Memor esto, fili, quam pauperes vitam gerimus. Habebis multa bona, si timueris Deum”. (Ricordati, figlio, quanto poveramente abbiamo vissuto. Possiederai molti beni, se avrai il timor di Dio). Care/i Oltronesi, L’occasione della pubblicazione di questo libro è spunto per salutare questo paese che pur essendo di piccole dimensioni suscita ammirazione e benevolenza. Chi guarda le colline che caratterizzano il paesaggio di Oltrona sovente immagina gente semplice e laboriosa, legata alle proprie tradizioni popolari, ancora unita per vincoli di parentela o cordiale vicinanza. Questo libro evidenzia la fortuna di risiedere in un angolo di terra ancora ricco di verde e di una buona qualità di vita che nessuno mi auguro vuole perdere. Sono stato lieto nello scorrere queste pagine di leggervi le caratteristiche del territorio comasco, i suoi valori e le profonde radici che ci accomunano. Questa pubblicazione resta concretamente la migliore eredità che possiamo lasciare ai nostri giovani. Cordialmente Assessore alla Cultura della provincia di Como Edgardo Arosio 7 Che uomo è colui che non cerca di migliorare il suo futuro? “Nel frattempo che la trafelata Europa le cercava, noi le abbiamo ritrovate e con te vogliamo condividere… le nostre radici” Care/i cittadini, Fin dall’inizio a questa amministrazione è parso importante cercare di raccogliere in qualcosa di più articolato i tanti e preziosi appunti apparsi sull’Eco dei Ronchi nelle passate Amministrazioni, arricchendoli con ulteriori documenti e fotografie . Oltrona è un piccolo paese schiacciato fra tre grandi centri; le vie di comunicazione sono arrivate tardi, chi viene qui non ci passa per caso, ma ci viene proprio per scelta. Penso in particolare alle famiglie di recente inserimento calate in una nuova realtà . La semplicità e la tranquillità di questo angolo del comasco che abbiamo ereditato sia la prerogativa prima da non perdere negli anni futuri. Un ringraziamento particolare al gruppo di lavoro per la dedizione e la passione che hanno profuso. Spero che questo libro sia da stimolo ad altri generosi cittadini affinché proseguano l’opera fin qui compiuta. In momenti di diffuso disimpegno questo lavoro di “archeologia nostrana” assume il valore il una perla preziosa, che ognuno di noi dovrà opportunamente valorizzare. Il Sindaco Dott. Antonio Cesare Giussani 9 “Tra le mani ho solo questi valori e spero che tu li accoglierai … sono ricco solamente per l’amore che ho ricevuto e che voglio donarti …. alla sera della mia esistenza sarò felice di darti quello che anch’io ho ricevuto, spero che tu non lo sciuperai, ma saprai tramandarlo ai figli, dei tuoi figli” . Cari Amici Il lavoro che vi presentiamo è il frutto di tanta passione. Non è stato semplice cercare di realizzare un progetto che facesse sintesi di tanti punti di vista. Abbiamo scelto di narrare una storia scritta da persone che per diretta esperienza, testimonianze tramandate con scritti e documenti fotografici, hanno avuto memoria di un tempo trascorso. Le persone più anziane faranno un tuffo nel passato e nei loro ricordi, le nuove famiglie ed i giovani potranno scoprire le semplici ma robuste radici dei valori di questo borgo. È un lavoro che è durato diversi mesi e che volentieri offriamo alla comunità, con la speranza che i lettori ritrovino il gusto e l’interesse che ci hanno accompagnato nella realizzazione di queste pagine. Francesco Ferrario Luigino Ferrario Silvano Galimberti Santino Galli Luciano Luraschi Fernando Mattaboni 11 . Oltrona e i pecìtt Occorre sapere e ricordare che i nostri padri solevano distinguersi tra loro, da paese a paese, con appellativi che richiamavano, tra il serio e il faceto, con acume ed efficacia, i preminenti aspetti delle comunità in cui vivevano con riferimento ai luoghi, alle attività, alle vicende, alle debolezze ed alle doti che più li caratterizzavano. Questa identità potrebbe oggi parere anacronistica a molti, soprattutto perché vi è sempre meno spazio per badare alla propria essenza umana ed a quella degli altri, per conoscersi, considerarsi, ed accettarsi, così come si è, in un contesto di civile convivenza, ricco di reciproca indulgenza e di calore umano. Oltrona, minuscolo borgo cinto in ogni lato da brughiere e boschi era particolarmente ricco di selvaggina, e tra i volatili, i pettirossi (pecìt in dialetto) erano senz’altro ricercati per rendere più appetitoso quella magra e immutabile vivanda famigliare che corrisponde al nome di polenta. Per tenere viva nella memoria l’abilità degli oltronesi dediti alla cattura di questi piccoli uccellini, simpatici, combattivi, individualisti, è giunta fino a noi una facezia popolare: “gli uccellatori oltronesi quando si dedicavano alla cattura dei pettirossi erano capaci di far ballare le civette, pur di raggiungere il loro scopo”. “fasevan balà i sciguett (civette) per ciapà i pecitt” 13 14 15 16 Regio decreto di Sua Maestà Vittorio Emanuele II con il quale si autorizza il comune di Oltrona ad assumere la denominazione “di San Mamette” LE ORIGINI DEL NOME L’etimologia del nome Per avere un’idea del molteplice e sfuggente significato del toponimo Oltrona, è necessario scomporlo in unità linguistiche minori, relitti di antichissimi idiomi che si sono sovrapposti ed amalgamati nel corso dei secoli, senza dimenticare la prima versione, scritta in latino-medioevale: Altrona, e la doppia tradizione dialettale: Ultrona, Vultrona. 쏋 쏋 쏋 OL.: è una radice di parola di matrice indo-europea che significa “oltre”, “ultimo”, Per alcuni studiosi invece si tratterebbe di un tema celtico con il significato di “grande”. TRONA: deriva dalla lingua latina “thronus”, proveniente a sua volta dal greco “thrònos”, che significa “trono”, Nella lingua etrusca invece il termine “thruna” identificava una “rocca”. ONA: a parere di molti linguisti i nomi di luogo che terminano con questo suffisso appartengono ad un remoto strato linguistico ligure e significa una notevole presenza dell’elemento “acqua”. Per altri, lo stesso suffisso, potrebbe invece indicare un “cucuzzolo tondeggiante”. Per quanto riguarda il resto del nome, infine, Oltrona ha acquistato la specifica “di San Mamette” in data 8 febbraio 1863, grazie ad un Regio decreto del Re Vittorio Emanuele II, questo per distinguerlo dall’omonimo Oltrona al Lago (ora frazione di Gavirate) in provincia di Varese. 17 18 Veduta aerea UNO SGUARDO AL PAESE (1) Così apparivano i cortili delle vie Mazzini e Garibaldi con portici, colonnati e qualche cenno di affresco ormai scomparso. (2) Grosso mortaio in pietra usato per la frantumazione dei cereali. (3) Crusò, Zerbone, Zerbo inferiore e superiore, Cascina Santa Giuliana e Tavorella. (4) Battista Giamminola (1874-1960), primo sindaco dopo la liberazione, resse il comune dal 1946 al 1955, dando così inizio alle prime opere di modernizzazione del paese. Di lui si legge in un bollettino parrocchiale dell’epoca: “Possidente di varie proprietà immobiliari e benestante, per circa mezzo secolo si occupò diligentemente della sua diletta terre di Oltrona, sempre interessato per l’asilo, la cooperativa ed il municipio”. (5) Carlo Dominioni (1833-1902), benefattore del comune, avendo donato i terreni per la costruzione del municipio e dell’asilo. Il nucleo più antico di Oltrona, posto fra i colli del Ronco e del San Mamette, nella posizione più soleggiata e riparata dai venti, è costituito dalle classiche corti lombarde, un tempo promiscuamente adibite ad abitazioni dei contadini, stalle, granai e fienili, chiuse da arcate, portoni o cancelli. In alcuni di questi cortili si poteva ancora rintracciare, prima delle modifiche apportate nel corso degli anni per ristrutturazioni varie, l’antica impronta di un convento(1) ed incontrare i resti della pila(2) o di vecchi pozzi artesiani. L’immagine di Oltrona agli inizi del 1900 è quella che appare nella foto seguente, se si escludono le varie frazioni o cascinali poste fuori dal centro abitato(3). L’abitato si è progressivamente esteso a macchia d’olio sui fianchi delle colline e lungo le principali vie d’accesso: 쏋 VIA ROMA (già detta strada del Cèrcc) che gli oltronesi percorrevano a piedi per raggiungere la fermata della tramvia Como-Appiano inaugurata nel 1910; 쏋 VIA CADUTI OLTRONESI, realizzata nel 1954, onde permettere il passaggio dell’autolinea per Como in sostituzione del tram; 쏋 VIA GIAMMINOLA(4) realizzata negli anni sessanta con lo scopo di facilitare il passaggio dei mezzi pesanti e dell’autolinea Grattoni, Olgiate-Milano, che incontravano notevoli difficoltà ad attraversare le strettoie del centro abitato, mettendo direttamente in comunicazione via per Appiano (tir da la Vigna Lunga) con via Dominioni(5) e via per Olgiate. Nella piccola vallata del torrente Antiga sono stati edificati diversi capannoni per attività artigianali ed industriali, quasi a ridosso della strada provinciale 23 Lomazzo-Bizzarrone. Questa importante arteria, asse di collegamento viario tra l’autostrada e il confine svizzero, delimita in modo netto la gran parte del territorio comunale compreso nel Parco Pineta, finora ben salvaguardato da fenomeni speculativi. 19 Oltrona anni ‘20 CENNI STORICI Il villaggio celtico del Gerbo Nel. Libro Antiquario della Diocesi di Milano del 1856 possiamo leggere: “Oltrona è situata su di un colle e ha il vantaggio di un aere purissimo, Si pretende che sia luogo molto antico”. Durante i lavori di sterro, nel maggio 1989, presso il colle del Gerbo vennero alla luce resti di un insediamento abitato risalente all’età del ferro (VI-V sec. a.C.) e appartenente all’antica civiltà pre-romana della Lombardia occidentale: la cosiddetta “Civilità di Golasecca”. Il complesso archeologico è composto da una vasta pavimentazione in ciottoli di fiume, degradante lungo il pendio che volge ad est e da un allineamento di pietre, probabile indizio della base di un muro perimetrale costruito a secco. Tra i ciottoli vi erano gran quantità di frammenti ceramici: vasi e ciotole di uso quotidiano, bicchieri ed altre suppellettili con decorazioni di vario tipo, frammenti di contenitori di grandi dimensioni ed inoltre , un ripiano in terracotta con fori a distanza regolare, nel quale gli archeologi credono di aver individuato un elemento di forno. 20 Ed in effetti numerose scoperte hanno confermato questa opinione. I primi abitanti delle nostre zone discendevano dall’incrocio di popolazioni balcaniche con altre ibero-francesi. Ad esse si unirono più tardi gruppi di etruschi che vennero però sopraffatti dai Celti, provenienti dal nord-ovest delle Alpi, che dominarono queste zone fino all’arrivo dei Romani all’inizio del II secolo a.C. dai quali vennero chiamati Galli Insubrés. Già nel 1957, a dimostrazione della dominazione Romana che a Como sappiamo essere datata 196 a.C., in località “La Rossa” (Piana Piangiurina), in via Giamminola, angolo via Ferrario, venne alla luce una tomba romana costituita da tegoloni in cotto racchiudenti ceramiche di più pregiata fattura in terra sigillata e vasetti vitrei utilizzati come contenitori di unguenti. Sempre nella stessa zona di epoca romana sono le tombe ritrovate nel 1971. Alla dominazione romana seguì quella dei longobarda. I Longobardi, scesi in Italia nel 568 d.C. avevano promosso Castelseprio capoluogo del distretto militare e giudiziario della Contea omonima, al quel distretto apparteneva la pieve di Appiano che comprendeva Oltrona. Il primo documento che attesta l’esistenza del borgo di Oltrona risale all’agosto del 962 d.C. e fu trovato nell’Archivio della Chiesa di San Fedele in Milano. Si tratta di una compravendita di terreni di Oltrona (nel documento “vico et fundo Altrona”): una tal Adeltruda di Coello (frazione di Gallarate) incassò 33 denari d’argento dal compratore, il presbitero Teodebertus di Geronico. Entrambi questi personaggi, cosi come altri che figurano come testimoni del contratto, portano tipici nomi di origine franco-longobarda. Risale al 1160 la presenza certa di un fortilizio sul colle di San Mamette, che servì da baluardo nel sistema difensivo di Milano, contro l’imperatore Federico Barbarossa. In proposito bisogna ricordare la peculiarità del nostro paese; dal colle dove ora sorge la chiesetta, alto solo 422 metri s.l.m., ma che gode di un’ottima visuale, gli oltronesi avevano l’opportunità di tenere sott’occhio un vasto orizzonte: la pianura fino a Milano, la Brianza, ma soprattutto le importanti torri di avvistamento di Castelseprio, di Rodero e del Baradello. Per circa 600 anni le sorti di Oltrona seguono quelle del Contado del Seprio, nel 1178 il paese viene confermato feudo dei monaci Benedettini di San Simpliciano. Nell’anno 1374 per decisione di Papa Urbano IV, Oltrona viene assoggettata direttamente all’Abate benedettino di Lurate, che aveva la sua residenza nel monastero fortificato di Castello. Nel 1384 i Visconti con un’azione di forza condotta dal milite Bertetto si impossessano del feudo benedettino, ma per poco tempo; infatti con la bolla di Papa Urbano VI, emanata nel 1389, le terre di Lurate e Oltrona vengono restituite ai monaci benedettini qui residenti, ma sempre vincolati al monastero milanese di San Simpliciano. Caccivio, più fortunata di noi, verrà dichiarata qualche anno più tardi “terra libera”. Dai documenti a disposizione risulta che il territorio di Oltrona contava 4680 pertiche (1 pertica = 654 mq circa), compresi i vigneti delle cascine Gerbo, Gerbone, Robbiano, Ronco, Bagarello (oggi Tavorella) e Palude che rifornivano di vino i conventi dei Benedettini. Oltrona, a differenza dei paesi circostanti, non può vantare personaggi storici di rilevante importanza e nemmeno dimore o ville nobili e prestigiose. Ragione di ciò era la presenza dei frati che impediva l’ascesa di famiglie di feudatari laici. Nel 1651, periodo in cui il Ducato di Milano apparteneva alla Corona di Spagna, si registrò la rivolta dei contadini affittuari che, spalleggiati dai nobili Castiglioni e Pozzo di Appiano, miravano a rendersi indipendenti, ma questa aspirazione fu delusa da un ordine emanato dalla Regia Camera. Fu questo un periodo storico: segnato da carestie e pestilenze come quella famosa del 1630, ma che conobbe anche il diffondersi della coltura del mais e dell’allevamento del baco da seta con le onnipresenti piante di gelso. Le schiere di questi alberi esotici, frammisti ai filari 21 22 Rinvenimenti Archeologici a Oltrona e nei luoghi immediatamente vicini: in località La Rossa di Oltrona, il 17 dicembre 1957 in seguito a forti piogge, alla profondità di due metri venne alla luce una tomba romana del III secolo. Nell’aprile del 1976, la famiglia Giamminola consegnava al museo Archeologico di Como quei reperti trovati nel 1957 e precisamente: 1 balsamario in vetro, 3 olpi, 2 balsamari in vetro a forma globulare, 1 balsamario a fiala, 1 lucernetta, 2 tazze con orlo sporgente e 1 piatto in ceramica rossa, una moneta e uno specchio rettangolare in bronzo. Nella primavera del 1971 al mappale 122a della cosidetta Piana Piangiurina, mentre si scavava per gettare le fondamenta di una nuova casa, venivano rinvenuti reperti d’epoca romana estremamente frammentati e dunque di scarso interesse archeologico. Nell’autunno del 1979, anche in questo caso dopo un periodo di forti piogge, Valentino Gerosa rinviene una sepoltura, apertasi spontaneamente, presso un sentiero al confine con Oltrona (la ben nota Strada Cavallina). La tomba conteneva bronzi dell’età del ferro e fra l’altro una fibula a sanguisuga, il tutto databile al periodo Golasecca II. Nel 1979, in località Benedetta, furono scoperte 4 tombe d’epoca romana del tipo a cremazione, all’interno fu rinvenuto tra i vari reperti un pezzo di pane carbonizzato e una moneta dedicata all’Imperatore Domiziano. A lato: resti di ceramiche ritrovati al Gerbo d’uva, caratterizzeranno per parecchio tempo il paesaggio agrario del paese. L’eco del connubio delle due coltivazioni si ritrova in una strofa popolare, cantata nei momenti di allegria collettiva: “A Ultrona i murùn fan l’üga, leraj quel ciondo, leraj quel ciondo, leraj in sü la riva del mar...”. Al dominio Spagnolo si sostituì quello Austriaco che dal 1706, se escludiamo il periodo napoleonico, resisterà fino al 1861. Importanti novità, comunque intercorsero con l’avvento della Repubblica Cisalpina, in seguito alla Rivoluzione francese, negli ultimi anni del 1700. Le proprietà ecclesiali vennero secolarizzate ed immediatamente acquisite da alcune famiglie benestanti locali, i terreni di Oltrona vennero da questi, concessi in affitto ai contadini che già li coltivavano, sotto una particolare e medioevale forma di contratto detta “di livello”. Nonostante questi mutamenti, in una visita pastorale l’Arcivescovo di Milano Gaetano Gaysruck rimase impressionato dalla povertà della chiesa parrocchiale di Oltrona, definita addirittura da Cesare Cantù “forse la più brutta di tutta la Diocesi di Milano”. Intervennero allora donazioni consistenti di pregevoli marmi, reliquie, quadri e arredi sacri provenienti da chiese milanesi demolite. Le condizioni di vita di quei tempi non erano certo quelle di oggi e a ricordarcelo sono due epidemie di colera, che si verificano nel 1836 e nel 1867. Gli affetti dalla malattia venivano segregati in un “casàrich” in via Umberto I ed i morti sepolti sulle prime ripe della collina del Ronco, all’inizio di via Appiano. Fino a pochi decenni fa, una piccola croce di ferro ne ricordava il luogo di sepoltura. 23 24 Affresco del XV sec. rappresentante la Vergine tra S. Rocco e S. Antonio Abate, già situato all’esterno di una casa del centro storico ed ora conservato nel santuario di S. Mamette Storia 962 - 1757 Compartizione delle fagie, anno 1346. Estimo di Carlo V, Ducato di Milano, cart. 2 e 3. (8) Relazione Opizzone 1644. (9) Compartimento Ducato di Milano, 1751. (10) Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3039. (11) Indice pievi Stato di Milano, 1753. (6) (7) La comunità di Oltrona risulta citata come entità amministrativa autonoma, a parere dello storico Bognetti, già nel noto documento dell’anno 962, dove Oltrona risulta dotata del “concilibis loci” che si può tradurre: assemblea pubblica dei capi famiglia del villaggio, ovvero una sorta di consiglio comunale. Fu feudo del Monastero di San Simpliciano di Milano per concessione pontificia, sicuramente fin dal XII secolo. Negli “Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano” emanati nel 1346 Oltrona risulta incluso nella pieve di Appiano e viene elencato tra le località cui spetta la manutenzione della “strata da Bolà” sotto il nome di “el locho da Oltrona”(6). Nei registri dell’estimo del ducato di Milano del 1552 e dei successivi aggiornamenti sino al XVIII secolo Oltrona risulta ancora compreso nella pieve di Appiano(7), dove ancora lo si ritrova nel 1644(8). Nel “Compartimento territoriale specificante le cassine” del 1751 Oltrona risultava sempre inserito nel Ducato di Milano e aggregato alla pieve di Appiano; il suo territorio comprendeva anche i cassinaggi di Zerbo di sopra, Zerbo di sotto e Tavorelle(9) . Dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge che il comune è sempre un feudo dell’abate benedettino residente al Castello di Lurate, a sua volta dipendente dal monastero milanese di San Simpliciano. A queste autorità ecclesiastiche proprietarie del territorio la comunità oltronese, che contava circa 217 anime, non versava alcun tipo di tributo. In quel tempo Oltrona disponeva di un consiglio che si riuniva nella pubblica piazza. Con l’approvazione di tutta la comunità, e a seguito di incanto pubblico, venivano eletti il console e l’esattore. Il console prestava giuramento presso un’autorità pubblica di ordine superiore detta “banca criminale” con sede a Gallarate, già capoluogo del Vicariato del Seprio(10). Il nostro comune era sottoposto come tutti gli altri alla giurisdizione di un podestà feudale e si avvaleva della consulenza di un cancelliere che veniva retribuito con un salario annuo. Sempre inserito nella pieve di Appiano e nel territorio del Ducato di Milano, il villaggio di Oltrona compare nell’“Indice delle pievi e comunità dello Stato di Milano” redatto nel 1753(11). 25 26 Storico divieto tuttora visibile in via Manzoni (seconda metà del XIX secolo) Ingresso della curt di Paternoster restaurato di recente Storia 1757 - 1797 Nel nuovo compartimento territoriale dello Stato di Milano(12), pubblicato dopo la “Riforma al governo e amministrazione delle comunità dello Stato di Milano”(13), Oltrona venne confermata per l’ennesima volta tra le comunità della pieve di Appiano, nel territorio del Ducato di Milano. Nel 1771 il comune contava 266 abitanti(14). Con la successiva suddivisione della Lombardia austriaca in province(15) il comune di Oltrona venne inserito nella Provincia di Gallarate. In forza del nuovo compartimento territoriale per l’anno 1791, la pieve di Appiano, compresa dunque Oltrona, venne trasferita nel XXXI distretto censuario della provincia di Milano. 27 Editto 10 giugno 1757. Riforma Stato di Milano 1755. (14) Statistica anime Lombardia, 1771. (15) Editto 26 settembre 1786. (12) (13) 28 Disegno a china raffigurante la chiesa di S. Mamette prima dei lavori di restauro Storia 1798 - 1809 (16) Quadro distretti dipartimento del Lario, 1802. (17) Decreto 8 giugno 1805 a. (18) Decreto 14 luglio 1807. (19) Prima della aggregazione Oltrona contava 271 abitanti. Decreto 4 novembre 1809 b. (20) Decreto 30 luglio 1812. A seguito della suddivisione del territorio in dipartimenti, prevista dalla costituzione della Repubblica Cisalpina dell’8 luglio 1797 (Costituzione, 20 messidoro - anno V) e con legge del 26 marzo 1798 il comune di Oltrona venne inserito nel dipartimento del Verbano, distretto di Appiano (legge, 6 germinale - anno VI). Con successiva legge del 26 settembre 1798 il comune venne aggregato al dipartimento dell’Olona, distretto XX di Appiano (legge 5 vendemmiale anno VII). Nel gennaio del 1799 contava 300 abitanti (determinazione, 20 nevoso - anno VII). Secondo quanto disposto dalla legge 13 maggio 1801, il comune di Oltrona, inserito nel distretto secondo di Varese, venne a far parte del ricostituito dipartimento del Lario (legge. 23 fiorile - anno IX). Con la riorganizzazione del dipartimento, avviata a seguito della legge di riordino delle autorità amministrative (legge, 24 luglio 1802) e resa definitivamente esecutiva durante il Regno d’Italia, Oltrona venne in un primo tempo inserito nel distretto XXXI ex milanese di Appiano(16), classificato comune di III classe (Elenco comuni dipartimento del Lario, 1803), e successivamente collocato nel distretto I di Como, Cantone VI di Appiano. Il comune di Oltrona nel 1805 contava 323 abitanti(17). Il successivo intervento di concentrazione disposto per i comuni di II e III classe(18), vide l’aggregazione del comune di Oltrona al comune di Appiano, che fu inserito nel distretto I di Como, Cantone VI di Appiano(19). Tale aggregazione venne confermata con la successiva compartimentazione del 1812(20). Come si vede, l’infinito e caotico cambio di dipartimenti, distretti e province, fu indiretta conseguenza della rivoluzione francese; il nuovo “verbo rivoluzionario” venne diffuso in Lombardia da Napoleone col suo esercito di soldati e funzionari pubblici. L’alterna fortuna avuta dalle varie giunte di governo lombarde, succedutesi in così breve tempo al potere, ora filo-francesi dunque innovative, ora filo-austriache e conservatrici, generavano questa perenne e conflittuale instabilità logistico - amministrativa. I milanesi e con loro tutti i lombardi, si accorsero ben presto che Napoleone e i sui connazionali avevano sì portato: Liberté, Egalité, Fraternité, ma anche che... i Francées in caròza e nün a pée (i rivoluzionari francesi di stanza in Lombardia proclamano l’uguaglianza, ma loro vanno in carrozza e noi come sempre a piedi). 29 30 Il garibaldino oltronese Carlo Ferrario (1835 - 1912) RISORGIMENTO E INDIPENDENZA 1812-1865 Da uno scritto di Giuseppe Broggi del 31 gennaio 1944 basato sui racconti del padre Alessandro (21) Tra questi si ricorda l’oltronese Carlo Ferrario nato a Oltrona (1835-1912) il quale arruolatosi nell’esercito piemontese prese parte all’assedio di Gaeta, ultima roccaforte dei Borboni e fu decorato con la medaglia d’argento al valore militare. In occasione del centenario dell’unità d’Italia, nel 1961, il Consiglio Comunale intitolò allo stesso la via Ferrario (da piazza libertà a via Giamminola). (22) Parroco dal 1842 al 1866. “Nel 1848, scacciati gli Austriaci da Milano e Como, il Governo provvisorio di Lombardia invitava la balda gioventù italiana ad arruolarsi nei corpi dei franchi tiratori per la difesa dei passi alpini. Nel distretto di Appiano si formò una centuria di 121 volontari, composta da professionisti, artigiani, lavoratori dei campi e delle officine al comando del dott. Giuseppe Grilloni. A codesta centuria appartenevano 10 volontari di Oltrona. Più tardi detta centuria fu sciolta ed i volontari che volevano combattere dovevano arruolarsi nell’esercito piemontese che si era mosso con Carlo Alberto a liberare la Lombardia ed il Veneto. Dodici appianesi e quattro oltronesi (21) si recarono a Milano nell’esercito piemontese. Dopo l’insuccesso subito, i patrioti lombardi si costituivano in comitati segreti per prepararsi alla riscossa; di questo comitato ne era a capo il dott. Grilloni di Appiano, il cui padre era amico dei Broggi pure oriundi di Tradate; di Oltrona ne facevano parte Alessandro Broggi ed il parroco don Catenacci (22), ferventi garibaldini. Il 21 maggio 1859 il nucleo degli appianesi si recò a Varese nel corpo garibaldino Cacciatori delle Alpi: il curato Don Catenacci, uomo ardimentoso con la cooperazione del podestà Broggi manteneva il contatto per mezzo di fidenti emissari con il corpo garibaldino. La messaggera dei patrioti comaschi la marchesina Giuseppina Raimondi si fermava ad Oltrona in casa Broggi a cambiarsi d’abito e di cavallo per raggiunger, fra sentieri di pinete, il campo garibaldino e consegnare al generale le notizie della città di Como. Durante la battaglia di San Fermo tanto il Broggi che il don Catenacci e il dott. Grilloni, si prodigarono a curare i feriti nell’ospedaletto da campo a Cavallasca. Sul campanile di Oltrona sventolava il tricolore, appena che le truppe austriache lasciarono Olgiate incalzate dagli spavaldi garibaldini. Nel maggio 1865 quando Garibaldi da Varese si recò a Como ad ispezionare il reggimento garibaldino, la guardia nazionale di Appiano alla quale appartenevano anche gli oltronesi con bandiera si recarono sulla strada provinciale in località Benedetta ad ossequiare il generale Garibaldi, che strinse la mano al Dott. Grilloni, a don Catenacci e al sindaco Broggi”. § Ndr - Gaeta era la roccaforte dei Borboni in cui si era rifugiato anche il Papa Pio IX, mentre Garibaldi nel 1860 avanzava da Reggio Calabria, un corpo d’armata agli ordini del generale Cialdini prese d’assedio Gaeta che capitolò dopo tre mesi di bombardamenti mentre le navi francesi di Napoleone III si astenevano dall’intervenire. 31 Storia 1859 - 1911 (23) Censimento 1861. 32 Foto del 1887 che ritrae un soldato oltronese tra i suoi commilitoni nella caserma di Como (Antonio Galli, terzo in alto da sinistra) In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Oltrona con 475 abitanti, retto da un consiglio comunale di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento XIII di Appiano, circondario I di Como, provincia di Como. Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia il comune aveva una popolazione residente di 488 abitanti(23). Sino al 1863 il comune mantenne la denominazione di Oltrona e successivamente a tale data assunse la denominazione di Oltrona di San Mamette. In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. 33 Fante oltronese della prima guerra Mondiale Storia 1912 - 1949 Oltrona, fatta di gente semplice, contadini e tessitori, capisce ben presto che l’unità d’Italia impone doveri che vanno oltre il confine territoriale e alla grande guerra partecipa con il sacrificio di 20 giovani vite. Al termine della prima guerra mondiale gli abitanti sono 818(24). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Como della provincia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. A bloccare una lenta e faticosa ripresa economica fu la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 che fa precipitare di nuovo l’Italia negli orrori di un secondo conflitto mondiale. Anche in questa occasione Oltrona pagherà un pesante tributo; al termine della guerra si conteranno sette caduti e quattro dispersi. (24) Censimento 1921. 34 Anno 1951: la sezione alpini di Oltrona, in Piazza Libertà, ricorda i caduti della seconda guerra mondiale alla presenza dei familiari del capitano Gaetano Gianminola Nel 1946, in seguito alla riforma dell’ordinamento comunale, il comune di Oltrona di San Mamette veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Storia GUERRA 1940-1945 GUERRA 1915-1918 Caporale Maggiore Soldato semplice Marazzi Broggi Ferrario Fermo Valentino Carlo Capitano Giamminola Gaetano Caporale Finazzi Alessandro Dominioni Arlati Bianchi Tettamanzi Rusconi Ferrario Galli Zaffaroni Corti Cappelletti Luigi Domenico Antonio Lidio Carlo Antonio Luigi di Giovanni Cesare Luigi Giovanni Soldato Giamminola Corti Tettamanzi Bollini Zaffaroni Giuseppe Marco Camillo Dionigi Fiorenzo DISPERSI Soldato Ferrario Galimberti Grigioni Luraschi DISPERSI Soldato Roncoroni Dominioni MORTI Diego Pilade PER MALATTIA Paternoster Tettamanzi Rusconi Galli Seregni Mognoni Ferrario Eugenio Flaminio Giulio Luigi di Carlo Ernesto Ambrogio Alfredo VITTIME Suor DEL Pierino Stefano Francesco Lorenzo BOMBARDAMENTO Evelina Pagani Girola Mario 35 Storia 36 Al cuore Sacro di Maria. Sempre grati a perenne ricordo dei prodi caduti i fedeli Oltronesi restaurarono 9-11-1947. La presente dedica compare all’interno della Cappelletta di Piazza Libertà La cappelletta sacrario, edificata non prima del XVIII secolo, ha come arredo sacro un altare a muro sormontato dalla statua di Maria Ausiliatrice. La parete di fondo è decorata con una scena struggente: a sinistra, compare il colle di S. Mamette con in primo piano una donna in ginocchio che prega; a destra, un appena accennato campo di battaglia fa risaltare la figura del soldato ferito sorretto e confortato da un suo commilitone. 37 La fontana di piazza Statuto dopo il recente restauro voluto dai coscritti del 1950 Scorcio di via Cavour Storia 1950 - 2005 38 Sono gli anni del così detto miracolo economico nazionale e tutti gli oltronesi concorrono all’impresa; già non è finita la Guerra di Liberazione che si avviano le costruzioni di nuovi stabilimenti tessili. Nel 1949 vengono edificate ed assegnate a famiglie di operai le prime case popolari, passate alla storia col nome di “case Tupini”, cui fecero presto seguito le “case Fanfani”: erano così denominate dal cognome dei parlamentari promotori dell’iniziativa. Mentre gli oltronesi col lavoro ed il risparmio si davano alla costruzione di nuove abitazioni per se e per i propri famigliari, nel vecchio centro storico venivano ad abitare, per il tempo necessario e con la volontà di una migliore sistemazione, nuove famiglie di immigrati specialmente dal meridione d’Italia. Non di meno tutte le amministrazioni comunali succedutesi nel tempo si sono impegnate cominciando con la realizzazione di nuove strade come la via Caduti Oltronesi e la via Giamminola, fu estesa la rete idrica e nel 1966 si scavò il primo vero pozzo per l’approvvigionamento autonomo dell’acqua. Quella fondamentale risorsa idrica, posta in località Margè, divenne purtroppo inservibile quando nel 1982 fu scoperto nell’acqua un notevole inquinamento da solventi clorurati. Immediatamente si dovette correre ai ripari; superata la prima emergenza col ripristino di allacciamenti ai paesi vicini, nel volgere di breve tempo fu installato un sistema di depurazione a carboni attivi, all’impianto fu aggiunto nel 2000 un sistema di clorazione per contrastare inquinamenti di tipo batteriologico. Fatto tesoro di questa brutta esperienza, venne ben presto collocata una condotta fognaria industriale, allacciandola con una pompa di sollevamento al depuratore consortile di Bulgarograsso. Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 viene appaltata e costruita la strada provinciale Lomazzo-Bizzarone, una grande e utile arteria che facilita la comunicazione tra la Svizzera e l’autostrada Milano - Como; in questo modo il nome ed il paese di Oltrona San Mamette venne conosciuto e diffuso da una moltitudine di persone come non fu mai prima di allora. Nel 1979-80 arrivò la metanizzazione, e così venne dato l’addio all’uso del carbone e delle bombole a gas per il riscaldamento e la cottura dei cibi. All’anno 1982 risale la costruzione delle nuove Scuole Primarie a cui si aggiunse la vicina palestra. I calciatori oltronesi, prima di utilizzare il nuovo centro sportivo nei pressi delle scuole elementari, da diversi anni dispongono e si possono divertire su un piccolo campo di calcio posto alla periferia del paese in località Lusciano. Per ultimo, ma non meno importante, è da ricordare l’urbanizzazione dell’area dell’ex stabilimento Ravasi (1988 - 1995) che ha trasformato quel comparto nella scenografica Piazza Europa. 39 Foto aerea dello stabilimento Ravasi prima dell’intervento urbanistico con il quale è stata realizzata Piazza Europa 40 Foto dell’anno 1915 che ritrae una mamma con la sua numerosa prole Gli anni di nascita dei figli sono 1905,1906,1908,1909, 1910, 1913, 1914 (...) l’ultimo figlio nascerà solo nel 1921 ANDAMENTO DEMOGRAFICO Alcune riflessioni sull’andamento demografico esposto in tabella: 1861-1901 incremento dovuto agli effetti dei primi tentativi di industrializzazione e conseguente miglioramento delle condizioni sociali; 1901-1931 vendita di varie proprietà immobiliari da parte dei pochi e ricchi possidenti (Broggi, Bonomi e altri) con l’ingresso di nuove e numerose famiglie, tra cui da Lurago e Limido i Pagani, i Millefanti e i Rudi; dalla Valtel- Dati desunti da: Repertorio Toponomastico Lombardo Compendio statistico provincia di Como del 1967 Anagrafe Comunale Nella foto: gita domenicale in giacca e cravatta lina i Fomiatti, i De Tocchi, i Mattaboni, i Piovaso, i Sceresini, i Rinaldi; dal Veneto i De Zaiacomo, i Paternoster, i Trabacchin; 1961-2005 incremento dovuto agli effetti del boom economico, con il fenomeno dell’espansione edilizia prima con abitazioni monofamiliari e successivamente di cooperative edilizie e società immobiliari; non è da trascurare il crescente flusso migratorio. 2500 2000 41 1500 1000 500 0 217 266 323 488 505 680 831 813 818 959 1059 1256 1751 1771 1805 1861 1871 1881 1901 1911 1921 1931 1951 1961 1450 1971 1626 1936 2097 2182 1981 1991 2001 2006 42 43 IL TERRITORIO 44 1722: così appariva Oltrona sulle mappe del catasto Teresiano. Dalla simbologia, il vigneto risulta la coltivazione principale del paese LE MAPPE DI OLTRONA NEL CATASTO TERESIANO Nell’archivio di Stato di Como, assieme ad una mole enorme di altri documenti si può visionare, nel fondo U.T.E., catasto mappe, la cartografia dettagliata del nostro territorio, realizzata nell’anno 1722 in occasione della formazione del primo catasto che fu poi chiamato Teresiano. In quegli anni, infatti, nell’intento di riorganizzare in modo radicale il sistema tributario, in precedenza basato sull’arbitrio dei potenti e sulla spregiudicatezza dei gabellieri, Carlo VI d’Asburgo diede avvio alle operazioni di rilevamento del territorio, l’operazione di base che permetteva di determinare in seguito, assegnando ad ogni parcella il relativo reddito, l’imponibile delle varie proprietà. Poiché, però, il tutto entrò in vigore nell’anno 1760, sotto il regno di Maria Teresa d’Austria questo catasto fu chiamato, appunto, Teresiano. I lavori procedettero fra enormi polemiche e feroci critiche da parte dei proprietari che vedevano pubblicamente esporre i propri interessi e quindi mettevano in campo ogni possibile ostacolo alla realizzazione del progetto. Ma anche nella realizzazione tecnica dell’opera non tutto fu facile. In un’epoca in cui l’aerofotogrammetria, il teodolite assistito dall’elettronica, l’uso dei satelliti per determinare i punti sul terreno erano ancora nel libro dei sogni, si dovette ricorrere ad uno strumento già conosciuto, semplice da usare ed abbastanza preciso: la tavoletta pretoriana. In pratica si trattava di una tavoletta quadrangolare, montata su un treppiede, sulla quale veniva fissato il foglio da disegnare. Una riga, poggiata sulla tavoletta, era munita di goniometro e di 2 traguardi, come il mirino di un fucile, con i quali si traguardavano i punti da rilevare. Si eseguivano quindi delle triangolazioni basandosi sul noto teorema che permette di ricostruire un triangolo conoscendo un lato e due angoli o due lati ed un angolo. Prima di decidere quali strumenti usare per i rilievi furono sperimentati diversi metodi, mettendo in concorrenza diverse squadre di rilevatori, nella nostra zona, per tutto il Regno vennero scelte, per la campionatura, due località, una in pianura ed una in montagna sulle pendici del Bisbino. Ad Oltrona le operazioni topografiche ufficiali furono eseguite dal geom. Giovanni Della Torre e da Carlo Maggiorati che si avvalsero di altre persone che evidentemente conoscevano bene il territorio e le proprietà. Gli aiutanti si chiamavano Ambroggio Alfiere, Ambroggio Girola, Gio’ Cattaneo e Pro’ Rimordi. Così è scritto nei documenti dell’epoca. Tutto il lavoro venne compiuto tra il 13 marzo e il 2 aprile dell’anno 1722 ossia nel periodo più favorevole a questo genere di operazioni sia per il clima che per l’assenza di vegetazione. Occorre anche dire che i mappali, le 45 46 particelle in cui era diviso allora il territorio di Oltrona, erano soltanto circa 400 contro le oltre 2400 attuali, dopo gli innumerevoli frazionamenti eseguiti sulle proprietà. Inoltre le brughiere ad ovest del torrente Rozzeu erano riunite in un solo mappale di 1063 pertiche perché erano di uso comune per la legna ed il brugo. Un particolare interessante può essere segnalato al riguardo di queste brughiere ora integrate nel Parco Pineta. Quando negli anni successivi furono passate a proprietà privata, la determinazione dei confini non fu fatta con l’apposizione dei normali cippi, ma con lo scavo di trincee alcune delle quali molto profonde. Forse si temeva che i cippi venissero spostati oppure si voleva con questi fossi, consolidare ancora di più il diritto di proprietà in un posto che fino a quel momento era stato pubblico. Diamo ora uno sguardo alle carte che adesso, dopo quasi 300 anni, hanno assunto un alto valore documentaristico. Salta subito all’occhio la limitatezza del centro abitato costituito dalle case adiacenti all’ovale delle attuali vie XX Settembre, Cavour, Vittorio Emanuele con i piccoli comparti esterni di Via Volta e Mazzini-Garibaldi. Lontano nei campi le 4 cascine storiche: Zerbo superiore e inferiore, Zerbone, Tavorella oltre alla chiesa di San Mamette. Nient’altro. La viabilità era ancora costituita dalle carrarecce medioevali per la maggior parte ancora adesso rintracciabili. Due di queste, una ad ovest, l’altra ad est della collina del Ronco, portavano verso Appiano evitando accuratamente la zona della palude (al Paü) che sulle carte di quel comune viene denominata “Mortizia” forse perché malarica. Verso Caccivio il tracciato copiava l’attuale via Roma fino all’incrocio con via Dante per poi voltare a sinistra e attraversando la Cavallina raggiungere l’abitato con un bel rettifilo. Verso Olgiate si andava dalla via S. Mamette o dalla via Verdi di oggi. In direzione di Beregazzo la strada attraversava l’Antiga con un guado (attuale via Robiano), proseguiva nella profonda trincea scavata nei secoli dal passaggio dei carri e dalle acque piovane, quindi passando dietro il Zerbone raggiungeva l’allora importante strada che collegava l’Olgiatese con Appiano passando per la Cà Bianca (zona confinante con il territorio di Beregazzo). A proposito del guado suddetto molti ricordano ancora che fino agli anni ‘50, prima della costruzione del ponte, una stretta trave di ferro, posata sopra il torrente, appena a monte della carreggiata stradale, facilitava, ma non tanto, l’attraversamento ai pedoni in presenza di acqua. Non esistevano le odierne strade denominate via Manzoni, via Dominioni, via Beregazzo che vennero aperte negli ultimi anni di governo austriaco. In particolare, con il terreno di riporto dello scavo sotto la collina di S. Mamette venne costruito un terrapieno sull’Antiga con il relativo ponte (1848). Intersecando la stradina acciottolata che collegava la via S. Mamette con l’ultimo cortile in fondo a via Mazzini passando per un androne ancora esistente, risultò una differenza di quota fra i due piani viabili che venne raccordata con la posa di alcuni scalini (i scalitt). La scarsa affidabilità del muro di contenimento (in ciottoli di torrente e malta) nella prima parte e l’alta ripa risultante nella seconda, unita all’inconsistenza del terreno, dettero luogo nel tempo, durante i periodi piovosi, ad una serie innumerevole di scoscendimenti che creavano allora molti problemi, sia per il ripristino, fatto unicamente a mano, sia per la viabilità che allora non offriva altre alternative per l’entrata nell’abitato da ovest. I numerosi rappezzi, ancora visibili nel muro, testimoniano quanto detto, anche se con l’urbanizzazione della zona e la messa in sicurezza delle scarpate tutto sembra risolto e dimenticato. Un altro particolare interessante emerge osservando le mappe. Il corso del torrente Antiga, nitidamente disegnato altrove, sparisce del tutto nel tratto tra la via Robiano ed il ponte sulla Lomazzo-Bizzarone. E’ quindi evidente che in questo punto il corso era indefinito e quindi l’acqua dilagava nel piano adiacente senza un alveo stabile, che presumibilmente venne costruito negli anni successivi per poter bonificare e coltivare a prato i terreni limitrofi. Infine si ricordano una serie di nomi dei “pezzi” di Oltrona, reperibile in archivio; nomi che, comunemente usati (direi vissuti) dai nostri genitori fino a poche anni fa, ora rischiano di essere completamente dimenticati. Ed è stata veramente un’opera meritoria averne inseriti alcuni nella toponomastica ufficiale. Ecco l’elenco: Zerbo, Roccolo, Apponto, Valle, Lurasca, Pigozzo, Cantone, Lentiggia, Bozzoli, Roncate, Rogorèe, Valli Chiuse, Rossa, Lusciano, Fontana, Crosetta, Margèe, Rossum, Vignalunga, Stradone, Monte Vilano, Monte Ghislone, Tobiello, Ronco, Vigna Almasia, Casavico, Ronchetti, Boavescia, prati Magri, Era, Giobb. Questi toponimi emergono dalla consultazione dei registri delle proprietà, una visura che fornisce dati interessantissimi Oltrona dell’epoca. Si precisa sull’argomento, che a parte le 1063 pertiche della brughiera appartenenti al comune, il resto era di proprietà piena di pochi notabili ed in misura molto inferiore di alcuni enti religiosi. Fra i possidenti laici si ricordano: Paolo Retti (pertiche 1267), Giobatta Bagliacca, Giuseppe Biumi, Agostino Cabiati, rev. Carlo Maria Olgiati. Fra gli enti religiosi: l’abbazia di S. Sim- 47 pliciano in Milano, l’abbazia di S. Giovanni Evangelista in Appiano, il Capitolo dei Canonici di S. Stefano di Appiano, la Cura di Oltrona, le Monache di S. Marco di Como. La proprietà più vistosa, quella dei Retti, che abitavano in una palazzetta di fronte alla chiesa parrocchiale, passò successivamente ai Bonomi, figli di un macellaio di Como, che nel 1792 risultavano intestatari di circa la metà dei terreni di Oltrona, mentre la proprietà Olgiati venne ceduta in affitto perpetuo, nel 1778, a dei Broggi provenienti da Tradate. Gli stessi Broggi, in epoca successiva, avrebbero acquisito anche i beni dei Bonomi, visto che la loro casa di famiglia divenne la palazzetta appena citata. 48 49 Foto d’epoca di piazza della Fontana a Oltrona. Sulla destra è visibile il serbatoio dell’acquedotto con alcuni particolari. Sul fondo si intravvedono gli scalini, ancora oggi esistenti, anche allora tradizionale punto di ritrovo ove si consumava la prima colazione RISORSE IDRICHE E ACQUEDOTTI AD OLTRONA SAN MAMETTE 50 A Oltrona, ma naturalmente anche nei paesi limitrofi, fino ai primi anni del 1900, fare provvista di acqua per le necessità familiari o per abbeverare gli animali era una impresa ardua che diventava quasi impossibile durante i periodi di siccità. Esaurite le poche riserve del pozzo o della cisterna nel cortile, che raccoglievano l’acqua piovana del tetto, essiccata la “boza”, l’invaso esistente in qualche cascina, bisognava mettersi alla ricerca nelle poche sorgenti del circondario, oppure attingere al Pravasc, al Paü o affidarsi alla benevolenza di qualche fortunato nei paesi vicini. E le massaie prendevano i panni da lavare e ...avavano dove si poteva. Dovevano passare ancora molti anni con l’avvento di epidemie di tifo e colera incentivate dalla scarsa igiene e dall’uso di acque non potabili finché il cambio di mentalità dovuto al progresso ed ai fermenti sociali dell’Ottocento posero in primo piano la necessità di portare a soluzione il problema dell’approvvigionamento dell’acqua. Fino a quegli anni, quindi, anche nella vicina Como non esistevano acquedotti che potevano chiamarsi tali. A metà secolo (1850) prima gli ingegneri municipali con vari studi e progetti e quindi l’iniziativa privata, che in questo campo intravedeva margini di profitto, realizzarono il primo acquedotto. Fu l’impresario ligure Giovanni Garrè che incanalando le sorgenti del Refrecc nella valle del Cosia portò l’acqua nella convalle ultimando i lavori nel 1890. Ad Oltrona, appunto, come recita la lapide in Piazza Libertà, il salto di qualità si ebbe nel 1893 con la realizzazione dell’acquedotto del Lusciano. Una condotta di 800 metri circa, con un dislivello utile di circa 10 metri, intercettando anche un’altra piccola sorgente lungo il percorso, portava l’acqua ad un serbatoio posto nella piazza, “la Ca da l’acqua” le cui cannelle dissetavano, ma non sempre, gli abitanti. Accostata al serbatoio, verso sud, una vasca lavatoio era alimentata da un’altra cannella. Il progetto di questo acquedotto fu affidato allo stesso ing. Garrè, e per questo la piazza veniva comunemente chiamata dai nostri vecchi “al Garè”. Anche l’acqua di un’altra piccola sorgente era incanalata fino al “Nivel” in piazza della chiesa, una fontana che era costituita da un caratteristico muro a semicerchio sormontato da lastre di granito su cui gli uomini si sedevano a conversare all’uscita dalla messa. Probabilmente la stessa acqua alimentava anche la fontana, tuttora visibile in piazza Statuto, ed un’altra in via XX Settembre, ora demolita. Le due edicole, quella di piazza Statuto e quella di piazza Libertà, abbastanza simili come disegno architettonico, ma diverse nei materiali e quindi costruite in periodi diversi, sono la testimonianza più accessibile dei vecchi acquedotti di Oltrona. Dall’acquedotto del Lusciano fu in seguito derivata una conduttura che portava l’acqua ad una bocca davanti all’ingresso della “Ca Matta” (è ancora visibile il pilastrino che portava la cannella) che costituiva la meta agognata dai contadini che di lì passavano per l’andata o il ritorno dai campi con la carriola stracarica o la cavagna sul braccio, durante i mesi estivi di calura. Ma a volte, durante i periodi di siccità, l’acqua del Lusciano scarseggiava e le file dei secchi in attesa si allungava a dismisura. Il messo comunale era allora incaricato della distribuzione che avveniva in proporzione ai componenti delle famiglie mettendo in atto una specie di razionamento. Intorno alla metà degli anni ‘20, per ovviare alla cronica mancanza d’acqua, in molti cortili di Oltrona si costruirono cisterne che, tra l’altro, erano preziose in caso d’incendio. La fine del periodo di approvvigionamento dell’acqua alle pubbliche fontane si ebbe intorno al 1931 con l’allacciamento all’acquedotto di Appiano che, come dice l’altra lapide, “fu fatto con il concorso volontario della popolazione”. Infatti come era consuetudine allora, anche nei paesi vicini, i richiedenti l’allacciamento prestavano gratuitamente la loro opera per l’esecuzione della canalizzazione per le singole utenze. Probabilmente durante questi lavori venne demolita la “Ca da l’acqua” e vennero costruiti sia la nuova fontana sotto via Umberto I che un nuovo lavatoio all’inizio di via Appiano. Continuando la cronistoria si evidenzia che dopo la costruzione dello stabilimento Noberasco, ora Star, negli anni ‘40 si dovette ricorrere alla posa di una conduttura dal confine con Caccivio allo stesso stabilimento essendoci stato il rifiuto da parte dell’amministrazione appianese alla fornitura in quanto avrebbe creato problemi di approvvigionamento anche alla stessa Appiano. Questo acquedotto che, come detto, inizialmente soddisfaceva alle necessità idriche del solo stabilimento, fu successivamente intercettato nei pressi del lavatoio e con la costruzione, dietro il lavatoio stesso, di un nuovo impianto per la messa in pressione, si provvide ad alimentare la rete pubblica di Oltrona. Le due alternative di fornitura (da Caccivio e da Appiano) davano ora una certa sicurezza anche in caso di interruzione o guasto in uno dei due comuni. Si arriva pertanto agli anni ‘60 quando il “miracolo economico” portò ad un benessere fino ad allora sconosciuto. L’avvento delle lavabiancheria in 51 52 ogni casa, le accresciute necessità igieniche che portavano ad avere servizi in ogni casa, ma anche le nuove industrie sorte in quegli anni portarono ad un vertiginoso aumento dei consumi di acqua e quindi alla necessità di reperire sempre nuove fonti. Si ricorse così , nel 1966, alla perforazione del nuovo pozzo al Margè (profondità circa 90 metri) e alla successiva costruzione dietro alla chiesa di S.Mamette di un serbatoio di circa 350 metri cubi che serviva da accumulo notturno e “polmone - vaso di espansione” per la rete. Le opere per l’adeguamento della rete seguivano a fasi alterne ed in parte continuano tuttora anche allo scopo di eliminare le inevitabili perdite in un impianto ormai datato. Tutto sembrava sistemato anche per gli anni a venire senonchè guai grossi erano in agguato dietro l’angolo. Le acque luride delle fogne e gli scarichi delle stamperie che per anni avevano appestato il letto dell’Antiga in un terreno molto permeabile, con comportamenti più colpevoli che incoscienti, favoriti da carenze di legislazione in materia, dovevano per forza portare a delle conseguenze. Nell’agosto del 1982 si riscontrò nel pozzo del Margè una concentrazione superiore alle norme di percloroetilene, un componente di solventi altamente inquinante usato nelle stamperie. L’acqua “DOC” di Oltrona era finita. Dopo l’immissione in rete di acqua fornita da un pozzo Star non inquinato si dovette ricorrere precipitosamente alla messa in opera di un impianto di filtrazione a carboni attivi. Nel gennaio 1992, per tentare di reperire acqua non inquinata, ma anche allo scopo di ridurre i costi della filtrazione, si dette mano alla perforazione di un nuovo pozzo in via Verdi. Nonostante la notevole profondità raggiunta (circa 150 metri) il lavoro non diede i risultati sperati e l’impianto non venne connesso alla rete. Alcune considerazioni conclusive: l’aumento dei consumi pro capite, (in 50 anni siamo passati dai pochi litri agli attuali 250 circa), la costante crescita del numero degli abitanti ed il ripetitivo succedersi di stagioni poco piovose porrà, in un futuro ormai prossimo, grossi problemi di approvvigionamento di questo bene ambientale prezioso, insostituibile, ma limitato. Si ricorrerà certamente anche a Oltrona, in una rete che già adesso comprende altri comuni, alle risorse costituite dai laghi prealpini con un probabile scadimento della qualità. Un uso dell’acqua più responsabile da mettere in atto per evitare l’interruzione di un servizio che oggi sembra così scontato ma che in futuro potrebbe anche esserlo un po’ meno. 53 Scorcio di piazza Garrè, oggi piazza Libertà, durante una manifestazione sportiva negli anni ‘20 IL LAVATOIO 54 La costruzione, un semplice portico chiuso da tre lati e aperto verso sud, venne realizzata negli anni ‘30 in sostituzione della vasca-lavatoio esistente al Garrè, ora piazza Libertà, in adiacenza alla fontana chiamata “Ca da l’acqua”, alimentata dalla sorgente Lusciano, che venne demolita dopo la costruzione della nuova rete di distribuzione alimentata dal pozzo del comune di Appiano. Il terreno venne donato dalla famiglia Pagani Santino in opzione alla richiesta del Comune che chiedeva, a pagamento, una dislocazione più vicina all’abitato. Una lapide posta su di un pilastro ricordava la donazione. Inizialmente il lavatoio era dotato di una doppia fila di bacinelle in cemento, ognuna occupata da una sola lavandaia. In epoca successiva, forse per limitare il consumo di acqua, le vaschette furono sostituite dalle due vasche classiche dei nostri lavatoi, intercomunicanti, con le pietre inclinate in granito. Alcune di queste bacinelle in cemento si possono ancora vedere in qualche cortile di Oltrona. Qualcuno ricorda ancora che, per molto tempo, le vasche erano alimentate da due cannelle, una con l’acqua del Lusciano, l’altra con l’acqua di Appiano. Con l’avvento delle lavatrici nelle case, negli anni ‘60, il lavatoio diventò sempre meno indispensabile alla popolazione, e negli ultimi anni, prima della demolizione, avvenuta nei primi mesi del 1982, era frequentato solo da poche nostalgiche massaie. Anche il muro con cui era stata tamponata la parete sud, forse per favorire la privacy (pare infatti che nessun lavatoio nei dintorni fosse così chiuso). La porzione di terreno resasi disponibile dopo l’abbattimento fu usata per l’installazione degli impianti di pompaggio e filtrazione dell’acquedotto. E un’altra memoria storica del nostro paese cadeva nell’oblio. Questo per un’arida cronistoria. Se invece si vuole parlare di folclore si può, per esempio, immaginare di quanti e quali argomenti si sia dissertato sotto quel tetto: il lavatoio è sempre stato, dappertutto, il luogo dove la cronaca paesana ed il pettegolezzo trovavano facile terreno sostituendo le funzioni attualmente svolti dai media. È possibile anche ricordare il piacevole diversivo, per le donne che si trovavano a lavare nelle torride sere d’estate, rappresentato dal bagno nelle vasche, dei ragazzi che avevano lavorato durante il giorno alla vicina trebbiatrice, la machina da bat, autentiche maschere di polvere. Oppure dell’avventura tragicomica, ma non troppo, vissuta da alcune lavandaie alla fine degli anni ‘60, che durante un furioso temporale estivo si videro assalite da una enorme fiumana d’acqua proveniente dal paese che le costrinse a salire sulle pietre per lavare o su alcune cataste di tubi ammonticchiate sulle pareti, aggrappandosi alle travi del tetto. In effetti la costruzione dell’attuale via Giamminola, con innalza- mento del terreno circostante, aveva relegato il lavatoio in una buca che impediva il deflusso delle acque meteoriche. Solo dopo ripetute invocazioni di aiuto le sventurate furono soccorse evacuandole attraverso il tetto. In chiusura si ricorda il potere socializzante che aveva allora la struttura (non solo pettegolezzi) e di cui oggi si ha così bisogno ma ... non si può tornare indietro. 55 Il lavatoio come si presentava prima della demolizione 56 57 ISTRUZIONE Scuola Gabriele Castellini 58 (25) Castellini G., Autobiografia, Como Biblioteca Comunale. Gabriele Castellini nacque il 26 marzo 1812 nel borgo di San Bartolomeo in Como da una famiglia “popolana”, così dallo stesso definita, composta da quattro femmine e tre maschi. “Il padre di professione postiglione, ossia conducente di diligenza e di altri mezzi di trasporto dell’epoca, metteva da parte ogni anno piccoli guadagni. La madre pia, soccorrevole ai poveri e sagace, governava le cose domestiche, onde in santa pace vivevano tutti senza disagio e contenti del proprio stato”(25). Nel 1828, a sedici anni, Gabriele lascia Como e con i risparmi della madre frequenta la scuola Normale di Milano e l’Accademia di Belle Arti di Brera. Fatto ritorno tra i suoi: “incominciò il tirocinio magistrale nel villaggio di Oltrona, in una umile casa di educazione retta da quel buon parroco aiutato da un ottimo prete, maestro di lettere italiane e latine”. Quella casa di educazione era un piccolo collegio che il parroco don Giusto Corbella, con l’aiuto di don Sebastiano Cadenazzi, aveva iniziato nel 1821 con pochi ragazzi e che ora aveva una trentina di allievi. Il tirocinio era necessario per ottenere, in base alle leggi del tempo, la patente di maestro. Il collegio era situato nell’attuale via XX Settembre, una volta chiamata “Contrada di là”, già sede della Guardia di Finanza (Curt di Guardi) e, dal 1954, del Circolo Acli. Sull’arco dell’androne si notava ancora negli anni Cinquanta un’insegna in muratura che recava la seguente scritta: “Casa privata educazione del rettore Castellini (proprietà Bonomi) 1836-1842”. Per ricordare quali fossero le condizioni dell’istruzione nei centri rurali durante la prima metà del secolo scorso, basterà ricordare che Appiano avrà soltanto nel 1884 il suo primo edificio scolastico. Il “collegetto” di don Corbella costituiva dunque una notevole rarità. Negli anni 1835-1836 il piccolo collegio di Oltrona fu seriamente minacciato di crisi a causa di due provvedimenti presi dalle autorità ecclesiastiche della diocesi ambrosiana dalla quale dipendeva la parrocchia di Oltrona: prima il maestro-coaudiotore fu promosso parroco a Bareggio, poi lo stesso parroco don Giusto Corbella venne chiamato a reggere la prepositura di Desio, prospettando così l’impossibilità di tenere ancora aperto il collegio senza il suo rettore. Il parroco gli offrì la cessione del collegio, invitandolo ad assumerne la direzione, l’economia e l’insegnamento. “prese consiglio dalla sua famiglia e da uomini coscienziosi e pratici nell’educazione... e assistito dall’opera di un’affettuosa e diligente sorella per le faccende domestiche, un giovane di 21 anni diventa ad un tratto educatore, maestro, padre a trenta figliuoli”. Alla ripresa dell’anno scolastico 1836-1837 gli alunni scesero a venti, con- 59 Ingresso della scuola Castellini in via XX settembre come appariva fino agli anni ‘60 60 traccolpo del tutto prevedibile dell’ascendente goduto dal sacerdote presso le famiglie degli allievi e dalla scarsa fiducia che esse potevano accordare allo sconosciuto neo-rettore. A questo proposito sembra possibile ritenere che fra Gabriele e don Giusto i rapporti non fossero stati interrotti, ma che fosse il sacerdote a sostenere con preziosi consigli il giovane rettore al fine di risollevare le sorti della loro istituzione, adoperandosi nel far conoscere la volontà dell’insegnamento ivi impartito. Gli allievi tornarono tanto che negli anni seguenti il numero dei ragazzi registrò continui aumenti e il “rustico colleggetto” di Oltrona si convertì in una vera casa di educazione dove il dovere dell’insegnare si accompagnava con quello dello studiare e dove “tutto si svolgeva secondo ragione sul tipo di una savia e operosa famiglia, con la sorella Maddalena che aveva parte amorosamente materna per i teneri fanciulli”. Verso il 1840, a causa delle difficoltà a reperire maestri disposti a trasferirsi nell’isolamento di Oltrona, Castellini pensò di trasferire il collegio a Como. Questa operazione fu compiuta negli anni 1842-1843, trasferendo il collegio a Camerlata presso villa Terzaghi. Con la sistemazione a Camerlata egli poté estendere i corsi d’insegnamento all’agricoltura, alle scienze naturali e alla ginnastica. Organizzò corsi di lingue estere, danza, canto e musica strumentale assicurandosi eccellenti insegnanti. L’istituto fiorì in alcuni anni gli alunni aumentarono fino a 120. Castellini, grato a Oltrona, fece costruire e decorare nella chiesa parrocchiale l’artistica cappella della Madonna Addolorata così cara agli oltronesi. 61 Anni ‘40 - Campo Solare con ragazzi e ragazze nati tra il 1930 ed il 1935 La scuola materna 62 (26) Le Suore dell’Istituto Maria Consolatrice presenti con la loro opera di educatrici fin dal 1908 hanno definitivamente lasciato il nostro Asilo nel 2001. Si ritiene opportuno ricordare che dal 1915 al 1935, ben 15 giovani ragazze Oltronesi, ora sepolte nel nostro cimitero, sono entrate a far parte di questo benemerito ordine religioso. Agli inizi del ‘900 era assai sentita tra la popolazione la necessità di un’istituzione che si prendesse cura dei bambini in età prescolare. Le famiglie dell’epoca erano molto numerose ed i genitori dovevano affrontare il duro lavoro dei campi e delle prime fabbriche. Questa aspirazione si concretizzò nel 1906 su iniziativa della Congregazione di Carità e della Società di mutuo Soccorso tra operai e contadini, fondata nel 1893, e del circolo familiare. L’asilo ebbe sede nei primi anni in un edificio prospiciente la piazza della Chiesa. Dalla sua costituzione fino al 1909 fu retto da una commissione formata dai fondatori: don Francesco Conti, Battista Giamminola, Umberto Croci e Davide Magni. Nel 1913 divenuto insufficiente l’edificio in piazza della Chiesa, venne deciso di costruire una propria sede su un terreno adiacente al palazzo comunale donato dal benestante oltronese Carlo Dominioni. Il costo della costruzione fu di lire 15.219. Nel 1949 il sindaco Giamminola dava inizio alla pratica per la conversione dell’Asilo in Ente Morale, pratica conclusasi nel 1952 con decreto del presidente della repubblica. Con la trasformazione in Ente Morale l’Asilo venne retto da un Consiglio di Amministrazione. Durante il corso degli anni l’Asilo ha dovuto affrontare grossi impegni per adeguare una ormai vetusta costruzione alle moderne esigenze sociali ed igieniche. Si è così provveduto alla recinzione della proprietà, e ad importanti lavori di ristrutturazione quali: chiusura del porticato, rifacimento del tetto, realizzazione degli impianti sanitari, di riscaldamento, di adeguamento dell’impianto elettrico, della creazione di un’area giochi su di un’area adiacente concessa in comodato dalla parrocchia. Negli anni 1991-92 è stata realizzata la grande veranda sul lato sud, modificando completamente l’aspetto primitivo e le rampe di accesso, creando una sala giochi, il guardaroba ed un ufficio a piano terra. Questo grande progetto è stato finanziato dall’ingente contributo della Ditta STAR, dalle ditte locali e dai privati oltre che dal contributo dell’amministrazione comunale. Attualmente il piano superiore dell’edificio, già adibito ad abitazione delle Suore(26) e del custode è in fase di completa ristrutturazione e verrà adibito, su prescrizione delle autorità di vigilanza a refettorio, raggiungibile con ascensore esterno. 63 Anni ‘50: ai funerali era d’uso la partecipazione (previa offerta all’ente) dei bambini dell’Asilo che aprivano il corteo La scuola elementare 64 (27) Molti anziani ricorderanno ancora le sorelle Rosa e Clara Ferraris, di origini piemontesi, che dedicarono all’insegnamento tanti anni della loro vita in momenti particolarmente difficili. (28) Da qui il famoso detto “hai studiato il giovedì”. Il censimento del 1861 per l’Italia settentrionale, ormai riunita al regno del Piemonte, rilevava che il 67% della popolazione era analfabeta: percentuale certamente più elevata se riferita solo ai piccoli centri rurali dove l’insegnamento primario era effettuato dai parroci aiutati da qualche volontario. Detto insegnamento si limitava per lo più ad impartire quei pochi rudimenti strettamente necessari alla lettura ed alla scrittura del proprio nome. Ad Oltrona le prime scuole elementari si tennero presumibilmente nei locali già in uso al Collegio Castellini dopo che questo si era trasferito a Camerlata. Giova ricordare che gli alunni del collegio provenivano anche dalle famiglie più abbienti dei centri vicini. Successivamente le scuole si trasferirono nel palazzo Comunale, edificato tra il 1890 ed il 1900, con una sola insegnante e dagli anni ‘30 con due insegnanti(27). Solo verso il 1940 si aggiunse una terza insegnante dando la possibilità anche agli oltronesi di frequentare la 5° classe, prima di allora possibile presso le scuole di Caccivio. Naturalmente ogni insegnante doveva occuparsi di più classi con l’abbinamento di prima e seconda, terza e quarta, o quarta e quinta, in funzione del numero degli alunni. L’abbigliamento e l’equipaggiamento degli alunni in quegli anni era il seguente: blusa nera, zoccoli , cartella in legno o cartone con sillabario o sussidiario, due quaderni, un astuccio con cannuccia pennini e matita. Non esisteva certamente il problema dello zaino pesante né dello scuola-bus. Le due aule a piano terra ai lati est ed ovest dell’edificio comunale erano riscaldate con grandi stufe in terracotta ed i banchi in legno massiccio dotati di calamai che il messo comunale nonché bidello e custode provvedeva a riempire. Gli orari scolastici erano tassativamente i seguenti: dalle 9 alle 12 e nel pomeriggio dalle 14 alle 16 con il giorno di vacanza di giovedì(28). Dopo gli anni cinquanta le due grandi aule furono dotate di pareti divisorie in modo da permettere la presenza di cinque aule ed una insegnante per ogni classe. Nel 1976 si dette corso alla ristrutturazione del palazzo comunale sopraelevando di un piano le ali dell’edificio adibite a scuola elementare e trasferendo le scuole ai piani superiori dell’edificio. Negli anni ‘80 la limitata disponibilità degli spazi a disposizione degli uffici comunali, la ristrettezza delle aule a seguito dell’aumento del numero degli alunni spinsero l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco ing. Giacomo Bergui a realizzare le nuove scuole elementari di via IV Novembre, inaugurate nel 1982 e giustamente intitolate a quel Gabriele Castellini che ad Oltrona aveva iniziato i primi passi della sua brillante carriera di insegnante. 65 La scuola Materna ed il Municipio con la scuola Elementare visti dall’oratorio anno 1950 66 1912: la maestra Maddalena Sacchi (1859-1924) con gli alunni maschi delle classi 1903, 1904, 1905, 1906 e 1907 A gh’ emm pü famm A me ma par che adess a vivum ben anca se un quai vün al dis da no a mangium tutt i di cunt ul piatt pien par dì ca le mia vera bisogn ves fö da cò ‘ na volta par fa ‘na gran mangiada parchè a ghera propi in gir nagott dopu setimann da pulenta cun quagiada andavan a spusa par mangià ‘l risott la carna la mangiavan i sciuritt parchè la custava tropp e al paisan la testa par fa l’bröd e dü usitt e i quart da dree i a mandavan giò a Milan e quand mazavan ul pulastar l’è parchè ul regiu a l’era in lecc o parchè in pulee gh’era un disastar e ‘l gall l’era dree a murì o l’era vecc adess a l’incuntrari ai nost fiö semm li a pregai da mangià sü in dal piatt e pö ga disum “bravu, te mangià anca incö” ma ta ga pensat, ma par ca semm tut matt infatti quai vün a Netal al porta a cà i scirèes e in primavera la bel’uga bianca e i tumatis d’invernu e gh’ em pretes che quai cos a pensag ben ammò ‘l ma manca e quand ca vegnan fö dal risturant dopu tri menü g’an sempar su ‘l müsum e ai disan sempar istess, tra ‘l poc e ‘l tant “stavolta al ma fregaa quel imbruiumm” un dì sum andaa in dal Giani macelar e lü ‘l ma dii “ul me l’è ‘n mistee gramm a sa sa pü cus’è dag ai gent, disemal ciaar parchè ga dem da mangià a chi ga minga famm”. 67 68 69 ATTIVITA’ L’agricoltura 70 Si descrive l’agricoltura oltronese iniziando con alcune notizie storiche comuni a tutto il territorio circostante. Dopo il ritiro definitivo verso le Alpi delle masse glaciali (circa 15000 anni fa) la superficie spoglia del terreno comincia ad essere colonizzata dalle prime piante pioniere come la betulla, il pino e l’abete, e, più tardi, con l’avvento di un clima più temperato, estese foreste di querce e faggi ospitarono lupi, cinghiali e cervi. Attirati dalla ricchezza di cibo e acqua comparvero nelle nostre zone i primi cacciatori nomadi (circa 9000 anni a.C.), mentre, attorno al 3000 a.C. l’uomo preistorico sì stabilì, con le sue capanne, sui fianchi delle nostre colline poiché i fondovalle erano acquitrinosi. Solo verso il IX secolo a.C. le tribù dei Celti, provenienti da nord, arrivati qui da noi, aprirono radure nelle foreste, servendosi anche del fuoco, costruirono capanne abitative ed iniziarono la coltivazione dei primi campi con cereali primitivi e legumi. Praticarono anche l’allevamento di animali domestici in particolare suini e ovicaprini. In epoca successiva, la conquista romana dei nostri territori portò alla fondazione di nuovi villaggi, alla costruzione di nuove strade e, con la centuriazione dei terreni, la assegnazione degli stessi ai coloni. Risale a questo periodo l’introduzione nelle nostre zone del castagno e dell’ulivo attorno ai laghi, mentre la vite era già coltivata in età celtica. In età medioevale, un documento dell’anno 962 inerente la compravendita di terreni a Oltrona, dove vengono citati campi, prati, frutteti e boschi, lascia immaginare un’agricoltura già organizzata ed anche in fase di espansione economica, dunque una situazione che attirava nuovi interessi da parte di persone residenti lontano da Oltrona. Nel 1566, il visitatore apostolico mandato dall’arcivescovo Carlo Borromeo cita nella sua relazione le rendite di allora della nostra parrocchia che, com’era allora in uso, erano quantificate in cereali: 10 moggia di frumento, segale e miglio in parti uguali. Naturalmente il mais e le patate erano ancora, da noi, sconosciuti. In quell’epoca, o in periodi di poco antecedenti, i monaci benedettini dell’abbazia di Castello in Lurate, che possedevano il feudo, organizzavano ad Oltrona alcune loro aziende agricole, disboscando, terrazzando e costruendo le cascine Zerbo, di sopra e di sotto, Zerbone, Tavorelle e Padule allo scopo di produrre vino per i loro conventi. In effetti, i declivi esposti al sole delle nostre colline moreniche si prestavano ottimamente alla coltivazione della vite. Gli stessi monaci introdussero l’uso del torchio e del mulino (al Tapela, sul Lura). Continuando, merita una citazione l’atto amministrativo del governo austroungarico che all’inizio del 1800 alienava, passandolo a proprietà privata, l’enorme mappale di 1063 pertiche di brughiera situato ad ovest del torrente Rozzeu fino ad allora (si dice fin da epoca cel- tica) usato comunitariamente dagli abitanti del paese per procurarsi la legna e il brugo. La decisione fu seguita dalle proteste di quanti fino a quel momento avevano usufruito gratuitamente di questi prodotti, ma in seguito cambiò radicalmente l’assetto del territorio, evitando, con la crescita del bosco, le conseguenti disastrose alluvioni che seguivano dopo periodi di forti piogge, a sud di Mozzate. Dopo aver descritto il territorio, con riferimento all’agricoltura, è il momento di parlare adesso delle condizioni di vita dei contadini. Se il coltivatore medioevale era considerato poco più che una bestia da soma, ancora 200 anni fa poco era cambiato, anzi, con la secolarizzazione delle proprietà seguite alla Repubblica Cisalpina, la situazione era peggiorata. Sottomesso al padrone da patti colonici e da consuetudini a dir poco inique, conduceva una vita grama segnata da fatica, malattie indotte da scarsa igiene, pessima alimentazione, abitazioni malsane, assenza d’istruzione. Bastava una stagione avversa perché i debiti si accumulassero, e, molte volte, contenziosi col padrone lo costringevano ad andarsene, e “fa S. Martin”. Per la donna era ancora peggio dovendo dividersi fra lunghe ore nei campi, la cura della casa e dei (sempre numerosi) figli. Forse ad Oltrona non era del tutto così. Infatti, 71 Falciatori al lavoro nei prati agli inizi del 900 72 Nella foto compare il vecchio attrezzo impiegato per tagliare il fieno moltissimi durante le pause nei lavori agricoli tessevano sul telaio a mano procurandosi un po’ di contante. Dovevano passare ancora molti anni prima di un effettivo miglioramento. Solo intorno al 1920 il cambio di mentalità, indotto anche dalle manifestazioni di protesta sempre più frequenti tra gli operai dell’industria, portò alle prime ribellioni. È storia del nostro paese che in quell’anno, a seguito dei tumulti, molti contadini furono imprigionati insieme con altri dei comuni vicini. Finalmente, dopo secoli di passiva subordinazione, i tempi erano maturi per un cambiamento. Pian piano si diffuse la piccola proprietà (ad Oltrona anche di pochissime pertiche), il cavallo che tirava l’aratro sostituiva il faticosissimo lavoro con la vanga necessario nella preparazione dei terreni alle semine primaverili. Dopo decenni in cui erano già in uso in altri stati, forzatamente imposti dalla necessità di lavorare con minore manodopera grandi estensioni, arrivarono anche da noi le prime falciatrici a trazione animale ed i primi voltafieno. Nei primi anni ‘50 fecero la loro comparsa ad Oltrona i primi trattori guardati con sufficienza o fastidio dai vecchi coltivatori. Si stava verificando un cambiamento epocale. Infine le mietitrebbie eliminarono anche l’avvenimento che catalizzava l’interesse dell’intera popolazione per poche settimane durante l’estate: la trebbiatura del grano sull’aia con “la machina da bat”. Il resto è storia di questi giorni. Dai cortili sono spariti i carri (erano costruiti da 2 famiglie d’artigiani oltronesi) sostituiti da un gran numero d’automobili. “Ultrona gent catif e tera bona” recitava un antico proverbio, ma ormai di terra da coltivare n’è rimasta poca. Gli antichi attrezzi a mano usati per millenni e portati dai nostri vecchi fino alla consunzione prima di essere sostituiti (la ranza, la vanga, la furca, ul restèl, ul fulcìn, la sapa, la müsüra) sono ormai oggetti da museo. A proposito di “ranza”, qualcuno ricorda ancora il suono cadenzato del martello picchiato sulla falce, nei cortili, durante i giorni caldi della fienagione? 73 La brunza del giüus La Repéga: attrezzo artigianale trainato da un cavallo che gravato dal peso del conducente serviva e livellare il terreno dopo l’aratura I PATTI COLONICI NEI PRIMI ANNI DEL 1900 74 I terreni in affitto (affitto diretto dal PROPRIETARIO o nella maggior parte dei casi, attraverso il FITTABILE) erano così suddivisi: 1) un quarto era coltivato a frumento che veniva consegnato tutto al proprietario per l’affitto, dedotta la semente. 2) un quarto era coltivato a granoturco, segale e patate. Questi prodotti servivano al sostentamento della famiglia. 3) un quarto a prato stabile per l’alimentazione del bestiame da lavoro acquistato e curato dal contadino. 4) un quarto a lino e ortaggi che per metà andavano al proprietario. C’era poi l’obbligo annuale dell’allevamento dei bachi da seta nell’abitazione del contadino. Il raccolto dei bozzoli andava consegnato tutto al proprietario che doveva corrispondere metà del ricavo al colono, trattenendosi però metà delle spese per seme bachi ed altro, la pigione della casa e quote di eventuali crediti. (Si ricorda, per inciso, che l’ombra prodotta dei gelsi riduceva in modo sensibile la produzione delle altre culture per cui si generavano continui contenziosi.) Ogni famiglia era tenuta a prestare giornate di lavoro per coltivare i terreni del proprietario non affittati. Tali giornate erano compensate con somme irrisorie che venivano segnate in “avere” dall’affittuario. Le donne facevano corvée gratis (ad esempio lavare i panni del padrone). Tali giornate toglievano parecchio tempo e quindi, quando i lavori stagionali incalzavano, si ricorreva al lavoro delle donne di casa che, tra filanda, casa e campi, conducevano una vita misera e disgraziata. C’erano infine gli “appendizii” o “regalie” costituite dalla periodica consegna al proprietario di pollame, uova e ortaggi. I conti venivano saldati sempre a S. Martino (11 novembre). Raramente il contadino era in attivo. Sovente, per motivi banali o per controversie, il contadino con tutta la sua famiglia era costretto a cambiare masseria e a traslocare in questo periodo dell’anno a ridosso dell’inverno. Le giornate di “appendizio” non effettuate poiché gli uomini erano al fronte durante la prima guerra mondiale, venivano addebitate (2 o 4 lire al giorno). Gli “appendizii” erano dovuti per contratto, ma anche per consuetudine. 75 Foto realizzata nell’odierna piazza Libertà nel sito ove attualmente sorge il negozio di alimentari della Cooperativa OLTRONA S. MAMETTE SENZA ALLOGGIO Giuseppe Broggi Como, Luglio 1950 Breve cronistoria del primo sviluppo industriale con descrizione del modo di vita di quei tempi 76 Nel 1880 Oltrona con circa 700 abitanti, con una sola industria serica, il Giulio Torriani di Como che aveva rilevato fin dal 1864 la tessitura serica Broggi con 100 telai ed aveva messo a dirigerla Isaia Noseda aumentando poi fino a 200 telai. C’erano molti telai a domicilio che lavoravano per i Bressa; i Bertolotti ed i Stucchi di Como, che venivano semanalmente a sorvegliare il lavoro. Non esistevano ancora la ferrovia e la tram-via e le corriere e neppure si andava in bicicletta; si andava a Como, a Saronno ed a Varese a piedi. Medico, levatrice, farmacia, posta, panetteria e macelleria dipendeva tutto da Appiano. La Chiesa era un salone rettangolare con soffitto di legno. Però aveva due buone osterie con alloggio e stallazzo. In piazza, quella delle sorelle Testoni, la Claudia e la Teresòù che avevano anche la vendita “Sale e Tabacchi” si mangiava molto bene, avevano due camere con tre letti ben arredate per alloggio. I setaioli di Como che venivano ad ispezionare le loro tessiture si fermavano a colazione ed a riposare i loro cavalli. Alla domenica poi, sapevano preparare una squisita “busecca alla milanese” ed i succulenti tortelli. Molti di Appiano e di Caccivio venivano ad assaporarli e si ballava fino a ora inoltrata al suono di un organetto. L’altra osteria si era installata in un edificio a cento metri dal paese, nell’incrocio della strada Olgiate - Beregazzo - Oltrona - Appiano - Caccivio. Disponendo di un locale spazioso, due camere con quattro letti per alloggio sempre occupate, poichè era il punto di riposo di molti venditori ambulanti che venivano da Como, Varese, Saronno e fin da Milano, con un buon stallazzo. Si mangiava bene si beveva meglio e si giocava alle bocce. Era pure il raduno dei cacciatori della zona. Una volta al mese si riunivano i cacciatori di Oltrona: I Bonomi ed il Noseda; di Olgiate: i Rossi, i Sala; da Beregazzo: i Villa ed i Monti; da Binago: il Mistò; da Solbiate: i Bianchi; da Appiano: i Cetti; da Caccivio: i Rubini ed i Testoni: Si mangiava la prelibata lepre con la polenta, che solo la “Bigia” sapeva così bene preparare. Si parlava di Caccia, di politica ed anche di pettegolezzi che riferiva la Bigia, che con lo splendore delle sue spadine d’argento ed il suo incantevole sorriso, troneggiava tra loro. Ad Oltrona c’erano pure le guardie di finanza, era una nota allegra nelle osterie e molti di loro sposarono delle oltronesi e si radicarono. Più tardi le sorelle Testoni si sposarono, l’osteria passò in altre mani e finì languendo. Morì la Bigia, anche quella osteria sparì. I venditori ambulanti si eclissarono quà e là: I cacciatori trasferirono le loro riunioni all’albergo Ghioldi di Olgiate, rimpiangendo la saporita lepre e l’incan- tevole sorriso della formosa Bigia. Le Guardie di Finanza furono soppresse ed il paese piombò nell’inerzia. Oggi giorno, benchè gli abitanti siano aumentati, vi sia la ferrovia e il tram, le corriere e le automobili ed anche le “lambrette ; con cinque stabilimenti serici che producono più di 300 mila metri di tessuti al mese, una tintoria ed una stamperia, la Chiesa ingrandita e a volte non solo non vi ha ancora un medico nè una levatrice nè farmacia nè telegrafo, ma nemmeno un’osteria decente con camere dove alloggiare e senza un bar. Oltrona che diede tessitori a tutti i paesi vicini, adesso importa giornalmente impiegati ed operai da Como, da Camerlata e con pulman fin da Milano poichè non vi sono case d’abitazione. Sembra ironia pensare che settant’anni or sono tre donne di Oltrona seppero mantenere l’allegria, il buon vivere e l’alloggio. Ciò che oggi con cinque grandi stabilimenti ed un immenso transito di persone con produzione di stoffe di seta per centinaia di milioni, non seppero aprire un cinema, istituire un campo sportivo, aprire un bar, un albergo con alloggio e garage. Oltronesi destatevi da questa sonnolenza! Già che siete buoni lavoratori, che Bertolotti soleva dire: ad Oltrona si nasce tessitori. Oltrona sia messa alla parità e non alla coda dei paesi circonvicini che impararono cinquant’anni orsono l’arte del tessitore. Oltronesi! Destatevi! In piedi! Fate valere il valore del vostro braccio, l’iportanza della vostra intelligenza, retaggio di vostri antenati. Modello di navetta utilizzato in tessitura fino agli anni ‘60 77 PAGHE GIORNALIERE NELLE FILANDE (29) Appunti dalla mostra su don Giulio Rusconi, Appiano G. 11/11/ 01. 78 Vista aerea della stamperia STAR Nelle filande lavoravano (sempre per 12 ore, anno 1902) ragazze dai 12 ai 16 anni. Le più giovani, addette all’operazione di ricerca del capo del filo del bozzolo immerso nell’acqua calda con l’aiuto di uno scopino (scuinere), erano pagate meno. Le filatrici (filere) prendevano di più. Le paghe giornaliere erano di 20 centesimi per le ragazze dai 10 ai 14 anni, 40 centesimi per quelle dai 14 ai 16 anni. Le filatrici prendevano 80 centesimi. I pochi uomini della filanda erano pagati 1 lira e 20 centesimi(29). (Una lira del 1902 è paragonabile a 3,3 euro attuali). 79 Moderno reparto di orditura in un’azienda oltronese LO SVILUPPO INDUSTRIALE DEGLI ANNI ‘50 AD OGGI 80 (30) Istituzione della CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio) nonché gli aiuti forniti dagli USA (piano Marshall). (31) Il primo piano regolatore o di azzonamento fu redatto negli anni ‘70, con grandi difficoltà e disappunto dei proprietari a seguito dell’eccessivo frazionamento dei terreni. (32) La forza lavoro complessivamente impiegata nelle industrie oltronesi era di circa 800 addetti. Consegnati alla storia i tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale e della lotta di liberazione, l’Italia si riprese dando inizio ad un periodo di espansione economica senza precedenti, quello che fu poi chiamato “il miracolo economico degli anni ‘60. Fu questo l’origine di una rivoluzione che stravolse la società intera e le nostre popolazioni avviarono un decennio di riscossa, con l’espansione dei consumi a seguito di un crescente benessere, lo sviluppo dei trasporti ed il progressivo tramonto della società rurale. Le ragioni sono da ricercare nel costo ancora relativamente basso della mano d’opera, nella disponibilità di materie prime a seguito di importanti accordi internazionali(30), ma soprattutto da una mentalità che favoriva la “voglia di fare”, fino a quel momento sconosciuta. In ambito oltronese erano attive fin dagli anni venti, la fornace per laterizi e la tessitura Ravasi fondata in quegli anni per la ottima fama di cui avevano sempre goduto gli oltronesi. In pochi anni, sparse fra nuove case d’abitazione, sorte senza una precisa pianificazione a causa della mancanza di piani regolatori(31), vennero realizzati numerosi stabilimenti tessili che in seguito avrebbero dato lavoro oltre che agli oltronesi, anche a maestranze provenienti dai centri vicini, invertendo la direzione del flusso dei pendolari fino ad allora sempre in uscita. Si citano lo stabilimento Noberasco, poi Ditta STAR, la tessitura Ferrario derivata dall’ampliamento di un preesistente laboratorio tessile Zaffaroni, la tessitura Giamminola, la Vinci, poi Bombix, le tessiture Pagani e Walter, infine ma non meno importante la fabbrica di mangimi Monti(32). Contemporaneamente fuori dalle fabbriche si sviluppava il lavoro a domicilio con numerosissimi telai che lavoravano al pian terreno delle nuove abitazioni appena costruite, ma anche nei locali ristrutturati dei vecchi cortili. Continuava così la secolare tradizione del lavoro in casa degli oltronesi che in passato tessevano la seta con i telai a mano oppure nelle stesse case allevavano i bachi. Erano questi laboratori artigianali sezioni staccate degli stabilimenti suddetti in quanto questi ultimi fornivano il filato od anche i macchinari, ritirando il tessuto. Alternandosi i diversi componenti del nucleo familiare alla cura del lavoro di tessitura, si coprivano una gran numero di ore lavorative realizzando discreti guadagni. Negli anni ‘70, con i primi sintomi di crisi nel settore tessile l’attività di lavorante a domicilio diventò sempre più rara fino a cessare quasi completamente: molti di questi tessitori trovarono occupazione negli stabilimenti e 81 Maestranze della ditta Ravasi riprese con il proprietario e le autorità politiche dell’epoca con buona qualifica. Negli anni ‘80-‘90 le difficoltà del settore aumentarono ulteriormente(33) e si ebbe una drastica riduzione di questa attività, portando alla chiusura definitiva di diverse fabbriche. Sull’area della storica tessitura Ravasi fa ora bella mostra di sè la nuova piazza Europa mentre sono stati conservati i locali della direzione adibiti ad abitazioni private, negozi ed una banca. La situazione odierna si è evoluta verso il cosiddetto terziario avanzato e non si contano le imprese artigianali oltronesi(34) che abbracciano diversi campi produttivi; essi spaziano dalla superstite attività tessile o affine, alla meccanica di precisione, all’elettromeccanica, inoltre vi sono varie officine di autoriparazione e carrozzerie e grafiche artigiane; tutto questo è ancora una conferma del notevole senso imprenditoriale della nostra gente. Nel giro di una generazione, dimenticata una società contadina dalle radici millenarie, si raggiunse un generalizzato benessere. Una prosperità che però non è sempre sintomo di progresso civile, a cui si contrappone il declino dell’uso collettivo e socializzante del tempo libero ed una aggressione indiscriminata all’ambiente ed al paesaggio. 82 (33) I paesi emergenti riuscivano a fornire prodotti a prezzi notevolmente i inferiori a causa del basso costo della mano d’opera. (34) Le unità locali iscritte all’albo delle imprese artigiane alla fine del 2000 risultano essere 64. 83 Foto d’epoca di capitelai e meccanici tessili LA FORNACE DI OLTRONA La fornace venne edificata nei primi anni ‘20, utilizzando il sistema “Hoffmann” con forno anulare a fuoco continuo: un’importante innovazione che, oramai da 50 anni, aveva rivoluzionato il modo di fare mattoni sostituendo i metodi arcaici in uso da millenni che prevedevano la cottura dei mattoni in cataste all’aperto. Il ciclo di lavorazione era ancora manuale; all’impastatura dell’argilla seguivano la formazione dei mattoni, l’essiccazione e la cottura. La produzione di laterizi con questo sistema era in uso ad Oltrona già da alcuni anni. L’iniziativa della costruzione della nuova fornace venne presa da alcuni intraprendenti Oltronesi che avevano maturato esperienza di lavoro nelle fornaci della Svizzera Tedesca. 84 All’inizio dell’attività gli edifici produttivi erano semplicemente costituiti da un capannone coperto da coppi su travi di legno, che serviva da alloggio per gli operai, dal forno, da altri caratteristici spazi coperti per il lavoro all’aperto e, naturalmente, dalla ciminiera. Tutti i mattoni necessari alla costruzione della fornace furono ottenuti sul posto con l’antico metodo di lavorazione. Col passare del tempo i proprietari che si sono succeduti nella gestione della fornace hanno via via modificato la tipologia e l’ampiezza degli edifici spinti dalla necessità di alloggiare nuove macchine seguendo così l’evoluzione della tecnologia. Anche il forno è stato ampliato. Attualmente il complesso, che si presenta ancora in buone condizioni, è costituito da un vasto capannone sovrastante il forno e dall’area sulla quale era piazzata la “mattoniera”, mentre l’attiguo edificio adibito a mensa ed a dormitorio degli operai è oggi diventato un’abitazione privata. I vasti piazzali dove venivano essiccati i mattoni sono adesso coltivati a cereali. Sugli stessi sorgeva anche il campo di calcio sul quale venivano disputati regolari incontri di campionato dilettantistico di calcio. Sopra la copertura dei tetti fa bella mostra di sé la ciminiera, simbolo di un’epoca industriale oramai conclusa, l’unica costruita ad Oltrona. Da rimarcare l’elegante gioco di lesene che ne decora la sommità. Le numerose buche esistenti nelle vicinanze (alcune interratesi nel corso dei decenni, altre mascherate con piantagioni di Pino Strobo) testimoniano l’attività di estrazione dell’argilla. Una collinetta che sorgeva a sud ovest della fornace è stata asportata dalle successive escavazioni. L’impatto am- 85 Operai oltronesi e appianesi in una fornace di Zurigo negli anni ‘30. Erano lavoratori stagionali che tornavano nei loro paesi nei mesi invernali 86 bientale della fornace è stato quindi notevole, soprattutto durante il periodo di attività più intensa; ora permane in alcune pozze un ristagno permanente d’acqua, dovuto all’impermeabilità del terreno, che favorisce la presenza di interessanti piccoli biotopo palustri caratterizzati da specie di fauna e flora tipiche degli ambienti umidi. In particolare vengono segnalate sporadicamente alcune specie di uccelli palustri avvistate nei dintorni della fornace in cerca di cibo e la presenza di numerose specie di anfibi. Il trascorrere del tempo, l’attività meteorologica e lo sviluppo della vegetazione hanno ben sanato quelle ferite. La produzione di laterizi, prevalentemente mattoni, è cessata verso la metà degli anni ‘60. L’impetuoso progresso della tecnologia ha decretato la fine del ciclo vitale del forno “Hoffmann”, sostituito da altri sistemi di produzione in cui automazione e meccanizzazione sono spinte al massimo per ridurre i costi ed eliminare in gran parte le estenuanti fatiche che nel passato comportava la movimentazione e la lavorazione dell’argilla e dei manufatti. Tutte le fornaci della nostra zona hanno chiuso, alcune sono state demolite, altre si vedono invase da rovi ed erbe infestanti, ma al pari di altri monumenti, religiosi o civili, devono essere considerate oltre che patrimonio storico, un bene culturale, in quanto espressione di un sistema di vita che è parte integrante delle nostra storia e della nostra tradizione, testimone di quanto veloci siano i mutamenti che stanno intervenendo, suscitando riflessioni e giudizi su quanto ci ha appena preceduti: per questo meritano di essere conservate. Il massiccio del Monte Rosa visto dal campanile della chiesa di S. Mamette: in primo piano gli edifici della fornace ed il pianalto del Parco Pineta 87 88 89 I CORTILI 90 Mappa del centro storico con i cortili 1 CURT DI NOSEDA E BARZEGOTA 15 CURT DI RÜBIÀN 2 CURT DI MASCÌT 16 CURT DI GUÒRDI 3 CURT DI GIRÖLA 17 CURT DI VANGELISTA POI CURT DAL PIU 4 CURT DI MINÈLA 18 CURT DI MASENÖOF CURT DAL CÙNSUR 5 CURT DAL RUÈL 19 CURT DI ABISÌT 6 PALAZ BUNOM 20 CURT DI ÀNGIAR 7 CURT 21 CURT DI CROCI DI GERBÙNI POI CURT GRANDA POI POI CURT DI PATERNOSTER 91 8 CURT DI CAPÜSC 9 CURT DI BUNDI 10 CURT E PALAZ 11 DI CURT POI DI FIRÀTA CALATI / BROGGI BALÈTA POI CURT DI MUNTAGNÉE 22 CURT DI MALINVERNI 23 CURT DI BASÒT 24 CURT DI DULFITT 25 CURT DI CANTÜ DI MAGNI 12 CURT DAL PIVÈL 26 CURT 13 DAL ‘LEGRÌA 27 LA CAMÀTA CURT 14 CURT DI STALÌT Per quanto riguarda la denominazione dei vecchi cortili, si faceva riferimento a: 1. luogo di provenienza dei proprietari o di coloro che vi abitavano: provenienti da Rovello Porro RUÈL BASOTT GERBUN RUBIAN cascinali oltronesi i cui abitanti si erano trasferiti nel centro storico CANTÜ provenienti da Cantù CAPÜSC località tra Lurate e Villaguardia FIRATA cascina Filata di Appiano Gentile MUNTAGNÉE provenienti dalla Valtellina MASCÌT dalla cascina Mascètt presso Beregazzo 92 2. cognome o nome degli stessi: una delle più antiche famiglie oltronesi GIROLA (35) Per dare un’idea dei costi dell’epoca, la CURT di BUNDI, con annesse 36 pertiche di terreno posto in varie zone del paese fu acquistata, agli inizi del 1900, per la somma di Lire 36.000. MALINVERNO CROCI BONOMI CALATI grossi proprietari che avevano successivamente venduto i loro beni MAGNI da Magni Davide BUNDI da Ferrario Abbondio(35) VANGELISTA da Ferrario Giovanni Evangelista DULFITT da Ferloni Adolfo (36) Si faceva probabilmente riferimento alla prima guerra coloniale di Abissinia (1895/96) conclusasi tragicamente con la caduta del forte di Macallè. (37) Era la grande strada proveniente dalla Benedetta che univa il nostro territorio a Milano, passando per Oltrona, Appiano, Veniano, Lurago, Fenegrò, Lomazzo e Saronno. 3. Soprannome, essendo molto frequente in quell’epoca, per diversi casi di omonimia, affibiare i più strani soprannomi PIVÈL, LEGRÌA, MASENÖOF, BALÈTA, ABISÌT (36) Facevano eccezione la Curt di Guordi, così chiamata perché vi risiedeva una stazione della Guardia di Finanza, addetta ai controlli delle merci sulla strada Cavallina(37) e la Curt di Angiar, residenza del Parroco prima della costruzione della canonica realizzata nell’anno 1906. Per quanto concerne la denominazione di vie e piazze si ritiene opportuno notare che: via 11 Febbraio: fu successivamente intitolata, col nome del benemerito Parroco, via Don Francesco Conti; Piazza G. Carducci: denominata Piazza San Giovanni Decollato in quanto non era ben gradito al Parroco Don Giuseppe Cappelletti l’intitolazione del piazzale della Chiesa ad un grande poeta di idee anticlericali; Piazza Fontana: qui faceva bella mostra di sé la costruzione in cotto dell’acquedotto, poi abbattuto; assunse in seguito il nome di Piazza Libertà. Ingresso della curt di Masenöof poi chiamata Curt dal Cùnsur 93 VITA DI CORTILE ANNI 1920 - 1950 94 (38) Così la curt di Gerbuni o curt Granda era stata acquistata dai fratelli Galimberti, la curt di Capusc dai fratelli Castelli, il Crusò dai fratelli Millefanti, la curt di Basot dai fratelli Zaffaroni. (39) In alcuni cortili del centro storico era meno evidente l’attività agricola in quanto già abitati fin dall’inizio del ‘900 solo da famiglie di tessitori - vedasi curt di Malinverno, di Magni, dei Croci o abitate dai ricchi possidenti curt e palaz Calati. In diversi cortili del centro storico e delle cascine abitavano famiglie strettamente imparentate poiché l’acquisto degli immobili e dei terreni annessi era stato effettuato unendo i risparmi di più fratelli o parenti stretti(38). In caso di necessità come la crescita e cura dei numerosi bambini, gravi malattie, lutti, non mancava l’aiuto dei vicini di casa e, salvo il caso di litigi ed incomprensioni presenti anche nel passato, il cortile era come una grande famiglia. Gli anziani si occupavano del lavoro dei campi coadiuvati dai figli che nel frattempo avevano trovato occupazione nelle tessiture, nell’attività edilizia o artigianale, contribuendo ad incrementare i magri bilanci familiari(39). Al piano terreno si trovavano le cucine con camini o stufe, credenza, tavolo e sedie. Ai piani superiori una o più camere, prive di riscaldamento, con letti, grandi armadi ed i comodini con i vasi da notte. Per i servizi igienici infatti ci si doveva servire di una o più latrine, poste ai confini delle stalle, costituite da angusti e puzzolenti manufatti privi di acqua che convogliavano i liquami in apposite cisterne (pozzi neri o pozz dal giüs), che venivano periodicamente svuotate per la concimazione dei prati. Per la pulizia personale erano a disposizione, sotto i porticati, grandi bacinelle in graniglia, sostituite nei mesi estivi da grandi mastelli di lamiera con l’acqua riscaldata dai raggi solari, nei quali i bambini sguazzavano felici. All’esterno dei cortili erano posizionate le letamaie, gli orti per la produzione di verdure per l’uso quotidiano ed i pollai per l’allevamento degli animali da cortile. Poi arrivarono i primi telai a domicilio azionati ad energia elettrica, con il loro frastuono. La nuova generazione, con la scomparsa dei vecchi capi famiglia, abbandonò definitivamente l’agricoltura ed il miglioramento delle condizioni economiche portò alla graduale e totale trasformazione dei nostri cari e vecchi cortili. Scomparvero le stalle, le cascine colme di fieno, i granai, sostituiti da garage, bi e trilocali, mansarde. Fortunatamente scomparvero anche le latrine ed i pozzi neri, anche se consumismo e motorizzazione hanno portato a nuove forme di inquinamento. Cinquant’ann fa Persone semplici nella vita quotidiana del cortile Mà regordi anca mò ben, cumè sel füss propri adèss, quand gh’era minga tucc stu lüsu e stu prugress: la nostra vita la pasavum in di curt vècc, d’està a pè biot, d’invernu sempar al frècc. Ghe n’era minga d’apartament cui sanitari e de nocc, se la scapava, ghe vureva l’urinari: a pian teren la stüa, ul tavul, quatar cadregh e una cardenza de frigurifar, lavatris e televisium an fasevum senza. Al segund pian, dopu ul lubià gh’era la stanza da lecc, senza riscaldament, cul cumò e ul guardaroba cul so bel spècc söta ul portic gh’era un rubinet e un lavandin duvè i don lavavan i pagn, i fioeu i pè e ul cupin. In ogni curt gh’era tre o quatar stall cunt vac, manzö, vedei e un quai caval ogni famiglia la gh’era ul so pulè e ul so stabiel cunt pulisit, galin, anatr e un bel purcel. Sura i stall gh’era la casina cun fenn, legn e föia d’està la sa impieniva, finì l’invernu l’era sempar vöia: sura i stanz gh’era ul granè par ul carlum e ul furment metu su a secà par ul murnè o in atesa d’acquirent. Ai ses ur de matina gh’era già muviment, i pusè vecc in campagna, i giuvin in stabliment: spazà la stala, muncc i vac e catà sü pomm e se lavuravan no in paes, ciapà ul tram par andà a Comm. Se cüntavan tucc i machin e i mutur a rivavum a cinq o sés, di pusé sciuri e del dutur; ghe n’era minga de spuza de benzina ma i strad eran sempar pien de buascia e de pulina. Par tucc gh’era un pasatemp par ogni stagiun: taià legn, vultà fen, segà furment e spuià carbun. 95 LA VITA NEL CENTRO STORICO DAL 1920 AL 1950 96 (40) Rizada: sassi di fiume posati in posizione verticale. (41) Il mercato era situato in piazza Statuto e poi trasferito in Piazza della Chiesa . Ogni commerciante o ambulante era chiamato con il nome del paese di provenienza: ul fiè, ul beregazz, ul ruvelasca, ul fenegrò o con soprannomi ul Pucia, ul Paciöo. Le pavimentazioni delle strette vie del centro erano in selciato(40) e trasmettevano lo stridore delle ruote dei carri e lo scalpitìo degli zoccoli dei cavalli che si mischiavano con il muggito delle mucche, il canto del gallo, il vociare delle mamme e dei loro bambini. Passavano con le loro grida ul magnàn, ul cadregàt, l’umbrelàt, ul mulìta, ul spazacamìn ed ul murnée, che ritirava grano e granoturco e riconsegnava sacchi di crusca, farina gialla e bianca. Era ancora buio quando transitavano con i loro carichi di ortaggi e frutta i negozianti di Rovello e Rovellasca, i carri provvisti di una lanterna e diretti verso l’olgiatese ed il varesotto. Alle 5.30 dava la sveglia il suono dell’Ave Maria e la prima Messa delle sei ed alle otto un’altra campanella segnalava la presenza del medico presso l’ambulatorio comunale. Non mancava il venerdì un piccolo mercato(41) con bancarelle di tessuti e merci varie ed i venditori ambulanti di frutta e verdura. Poi arrivarono le prime motociclette, le lambrette, i trattori, le prime utilitarie. Le sirene della ditta Noberasco, costruita trasportando i materiali con carri e cavalli, sostituirono quasi il suono delle campane segnalando l’inizio e la fine dei turni di lavoro. Motivi economici ed igienici fecero sparire stalle, letamai, allevamenti avicoli e la comparsa delle prime antenne televisive sui vecchi tetti del centro storico, negli anni ‘55-‘56, segnava l’inizio di una nuova vita non certo più tranquilla. 97 Caratteristico cortile “curt di Giröla” del centro storico 98 99 VITA RELIGIOSA 100 Così si presentava la chiesa di San Mamette prima dei lavori di restauro, situata su una ristretta sommità e priva di fondazioni Cronistoria del santuario di San Mamette Chi non ha visto di persona com’era il santuario di San Mamette, prima dei restauri decisi e fatti realizzare dal parroco Don Giuseppe Cappelletti, tra il 1960 e il 1967, non può rendersi conto del completo stravolgimento architettonico che l’edificio sacro ha subito; eppure nonostante quel “restauro” da molti criticato, la piccola chiesa è pur sempre lì, adagiata su quel piccolo cocuzzolo verde e si fa ogni giorno ammirare d’ovunque la si guardi. La seguente breve cronologia storica, tratta dall’opuscolo S. Mamette in Oltrona, dice pure l’inevitabile continua lotta per tenere in vita tutte quelle opere umane che il trascorrere del tempo logora, corrode, seppellisce ed alle volte fa risorgere sotto nuova forma. X/XI secolo (d.C.) Il famoso storico milanese Giampiero Bognetti, in seguito ad una sua visita al santuario avvenuta il 27 settembre del 1946, fa risalire intorno all’anno mille l’edificazione di una prima cappella. XIII secolo Per la prima volta l’edificio sacro è segnalato in antichi documenti scritti. Infatti il cronista Goffredo da Bussero, compilò verso la metà del secolo un elenco di tutti i santi venerati nella Diocesi Di Milano. A Oltrona in Monte, così era appellato in quel tempo il nostro paese, la nostra chiesa era intitolata al Santissimo Salvatore, e possedeva al suo interno un secondo altare dedicato a San Mamette. XIV secolo Nel 1398 la chiesa diventa cappellania e da quel momento dipenderà dall’abate benedettino residente a Castello di Lurate Caccivio. XVI secolo Nell’anno 1566 è visitata da un vicario dell’arcivescovo di Milano che la trova in completo stato d’abbandono. 101 102 XVIII secolo Da documenti milanesi del 1747 appartenenti al cardinale Pozzobonelli, si ha notizia che la chiesa è addirittura interdetta al culto: il tetto e i cornicioni erano in rovina ed il pavimento in sfacelo, sprofondava a causa delle sottostanti tombe; infatti qui venivano sepolti i monaci Benedettini defunti. Alla fine di questo secolo l’edificio sacro assume di fatto per tutti gli oltronesi e non, il titolo di Chiesa di San Mamette, l’antica dedicazione a San Salvatore viene dimenticata. XX secolo Il parroco Don Francesco Conti, all’inizio del ‘900, la salva da una incombente e definitiva rovina, dotandola di un soffitto a volta e di un piccolo campanile. Tra il 1960 e il 1967, il parroco Don Giuseppe Cappelletti attua un totale rifacimento del santuario, così come appare oggi. XXI secolo Nell’anno 2002 il parroco Don Luigi Discacciati, provvedeva al consolidamento del tetto, alla tinteggiatura esterna e faceva dipingere i due cartigli che sono sotto il pronao, recanti i famosi brani sulla potenza taumaturgica del santo martire Mamette, brani tratti dalle omelie di San Basilio Magno e San Gregorio Nazianzeno, suoi concittadini di Cesarea di Cappadocia. 103 Angelo Millefanti 1898-1979 ... “e vuna, e dò e dò e meza e meza trè” ... così sbraitava sul piazzale della chiesa ul ‘N’giulin sacrista, banditore eccezionale di ogni genere di mercanzia: animali da cortile, prodotti della natura e dolci donati alla parrocchia in occasione della festa patronale di S. Giovanni Decollato del 29 agosto ... alla fine il povero secrista aveva perso la voce Estratto dalla relazione di Leonetto Chiavone visitatore generale dell’arcivescovo Carlo Borromeo successiva alla visita alla chiesa parrocchiale di San Salvatore 104 OLTRONA (f15) 1566 die lunae undecima mensis novembris. Visitavit rev.dus dominus Leonetus, visitator generalis rev.mi et ill.mi domini domini archiepiscopi Mediolani in plebe Aplani ducatus Mediolani, parochialem ecclesiam sancti Salvlltoris (16) loei Oltronae plebis Aplani suprascriptae, positam super montem prope dictum locum Oltronae, in qua non adest sacramentum nec olea sacra nec baptisterium et in qua adsunt duo altaria quorum maius est sacratum; et non est solata, sed pIena immunditiarum, cooperta cupis, sed parietes male compositae et perforatae. Campanille adest cum campanela et hostia ecclesiae sunt sine clavibus et noviter facta. Cimiterium apertum est; cum cassio uno domus dirrupatae in qua solebat habitare rector ipsius ecclesiae; quae ecclesia est latitudinis brachiorum duodecim circumdata buscho juris ipsius ecclesiae perticarum viginti vel circa et redditus horum bonorum dictae ecclesiae, prout asserunt hominies loci Oltronae, ascendunt ad summam modioroum decem, trium bladorum, videlicet frumenti, sichalias et (f15v) milij equaliter. Rector huius ecclesiae estvenerabilis dominus presbyter Andrea de Regibus adsens et habitans prope civitatem Mediolani ad celebrandum aliam ecclesiam et loco cuius celebrat domunis presbyter Jacobus de Ferrarijs in prefata parochiali ecclesia sancti Salvatoris, sed, ut aseruerunt homines dicti loci Oltronae, raro, et hodie, precipue, non aderat cum sit festum sancti Martini de praecepto in hijs partibus. Paramenta autem ipsius ecclesiae sunt infrascripta videlicet (segue elenco dei paramenti) Die suprascripto praefatus rev.dus dominus visitator visitavit quamdam capellam parvam constructam in dicto loco Oltronae, quae vocatur sancta Maria et est aperta et in qua alias (f16) ... la parte successiva risulta mancante. OLTRONA (1) (V ed. ff 15 e 15v) Lunedì 11 novembre 1566 il padre Leonetto Chiavone visitò la chiesa parrocchiale di S. Salvatore, posta sopra un monte vicino ad Oltrona. In essa non si conservano né il Santissimo Sacramento, né gli oli sacri; manca il fonte battesimale; vi sono due altari. La chiesa, piena di immondizie, non ha pavimento ed è larga 12 braccia; il tetto è ricoperto con coppi; le pareti sono in cattive condizioni. C’è il campanile con una campanella. Le porte sono state appena rifatte, ma non hanno la chiave. Il cimitero non è recintato. Vi è una casetta diroccata in cui abitava il prete. La chiesa è circondata da un bosco di 20 pertiche di pertinenza della stessa. Gli uomini di Oltrona affermano che il reddito di questi beni della chiesa ammonta a 10 moggia di frumento, segale e miglio in parti uguali. Il parroco, Andrea Re, è assente e sta vicino a Milano; in sua vece celebra, ma di raro, Giacomo Ferrari, che oggi infatti non c’era, nonostante la ricorrenza della festività di S. Martino. Lo stesso giorno fu visitata, sempre in Oltrona, una piccola cappella detta di S. Maria, aperta e... 105 106 Nella foto in bianco e nero è raffigurata la vecchia statua in gesso di San Mamette realizzata nel 1926. A fianco la nuova statua in legno attualmente presente in Santuario La statua di San Mamette “Sabato, domenica e lunedì furono tre giorni che rimarranno indimenticabili in questa laboriosa popolazione. Il paese scompariva sotto variopinte decorazioni che raggiungevano il colle dove sorge il santuario di San Mamette che per tre notti risplende su tutta la pianura lombarda come una nuova costellazione, nel bell’azzurro del plenilunio”. È questo un pezzo di cronaca dei festeggiamenti avutosi nell’anno 1926 per il XXV di parrocchia dell’allora parroco Don Francesco Conti, e per l’inaugurazione della statua in gesso di San Mamette donata da due benefattrici(42), in sostituzione di un vecchio quadro raffigurante il Santo. Ma più che dalla cronaca si ha l’idea di che cosa furono quei festeggiamenti dai ricordi dei più anziani; tra bande musicali di Appiano, Lurate ed Olgiate, confraternite di numerosi paesi vicini, case sepolte sotto un manto di fiori, vie trasformate in pinete, cortili invase dalle carrozze e dai birocci della fiumana di gente convenuta ad Oltrona. E qualcuno, profeta in patria disse: ”gli oltronesi non ammireranno più una festa del genere”. Dopo la ristrutturazione del santuario anche la vecchia statua del Santo presentava diverse incrinature dovute all’umidità. Il parroco don Giuseppe Cappelletti trasmise allora, a degli scultori della Val Gardena, una fotografia della stessa per la realizzazione di una nuova scultura in legno. L’opera che venne consegnata, tuttavia, non rispondeva alle aspettative del committente in quanto poco rassomigliante alla precedente e con un solo leone. A tal proposito recitava una poesia di allora: Prima eran dü e adess l’è dumà vün e mágar cum’è l’è e piscinin Al par propri no un leun, ma un cagnulin. Erano due sorelle nubili e benestanti di Como, d’estate erano solite far campagna a Oltrona; sono ricordate col nomignolo “Batistèes”. (42) Si pensò allora di far pervenire agli scultori la vecchia statua del Santo, ottenendo una nuova statua molto più simile rispetto alla precedente. La prima statua, con un solo leone, è stata collocata nell’altare dei santi della Chiesa Parrocchiale. 107 La chiesa parrocchiale di San Giovanni Decollato 108 Chiesa parrocchiale così come appariva alla fine degli anni ‘60, con il fontanile (nivèl) al centro della piazza “Lunedì, 11 novembre 1566... lo stesso giorno fu visitato, sempre in Oltrona, una piccola cappella detta di Santa Maria, aperta e”, con questo mozzicone di frase il visitatore diocesano Leonetto Chiavone, molto probabilmente voleva informarci dell’esistenza di un edificio che sarebbe diventato negli anni a venire, l’odierna chiesa parrocchiale. In mancanza di altri documenti, questa non è altro che una supposizione seppure plausibile, considerando che l’edificio viene visitato e descritto immediatamente dopo la chiesa parrocchiale che in quel tempo era quella di San Salvatore, in cima al colle. Nel 1596 l’edificio sacro compare ufficialmente in un documento e si è in tal modo venuti a conoscenza dell’esistenza al suo interno di un solo altare coronato da un dipinto raffigurante la scena del Battesimo di Gesù attorniato da alcuni santi, tra i quali San Mamette. La chiesa è ampliata e munita di una massiccia torre campanaria nell’anno 1777 data incisa su un blocco di granito fissato sul muro esterno del campanile e subisce nuove modifiche nel 1880. Nel secolo successivo altre variazioni portarono al prolungamento verso est dell’edificio sacro; l’ultima e più importante innovazione fu la predisposizione di una serie di aperture ad arco nei muri portanti del presbiterio. Questa soluzione architettonica permise di valorizzare al meglio quell’inconsueto e singolare ambiente chiamato, in architettura, deambulatorio; qui alle spalle dell’altare maggiore vi era la cantoria con l’organo ora non più in uso. Il 19 dicembre del 1927, una giornata estremamente gelida, ma confortata da una corale partecipazione di popolo, così la ricordano gli ultimi sopravvissuti, il vescovo di Como Adolfo Luigi Pagani consacra, per la prima volta nella sua storia, la chiesa; l’invito a presiedere questa rara cerimonia venne direttamente dal parroco Don Francesco Conti. Si decise in questo modo in virtù della vecchia amicizia sorta negli anni di studio in seminario. Tra i pochi e più preziosi arredi sacri custoditi ancora oggi nella parrocchiale ci sono le reliquie di molti santi; di queste reliquie la più rilevante è il frammento della Croce di Cristo; da ricordare è inoltre la reliquia del copatrono San Mamette. L’icona più pregevole e soprattutto cara agli oltronesi è la settecentesca statua lignea dell’Addolorata con in grembo il Cristo morto. Merita particolare attenzione anche il busto reliquiario raffigurante Santa Giuliana: questa giovane martire vissuta nel III secolo a Nicomedia (Turchia), è molto venerata in paese e maggiormente invocata dalla popolazione di Caccivio, perché più di altre popolazioni vicine era oppressa da un endemico e mortifero tifo petecchiale. Notevole dal punto di vista artistico è infine il grande dipinto a olio raffigurante la scena crudele del martirio di San Giovanni Battista; l’opera viene attribuita al pittore secentesco Ercole Procaccini il Giovane. Tornado a ritroso nel tempo, a proposito delle molteplici donazioni ricevute dalla nostra parrocchia è bene ricordare ancora una volta il suo più grande benefattore, l’austriaco Carlo Gaetano conte di Gaysruck, ovvero il cardinale di Milano che resse la nostra diocesi tra il 1818 e il 1846, quando ad Oltrona era parroco Don Giusto Corbella. Questo ottimo prete, come ebbe a sentenziare Gabriele Castellini, era sicuramente ben conosciuto dal generoso ma “todescòn” cardinale nativo della Carinzia; infatti Don Giusto, lasciata la nostra parrocchia nel 1836, fu chiamato a reggere l’importante chiesa prepositurale di Desio; pure l’allora Imperial Regio Governo Austriaco che comandava in Lombardia e Veneto, lo nominò Economo e Ispettore delle Scuole Elementari dello stesso distretto. Nel 1955, il parroco Don Giuseppe Cappelletti fa dipingere ed abbellisce la volta del transetto con le insegne araldiche di Papa Pio XII e del cardinale Giovanni Battista Montini mentre, con intenti catechistici, orna il presbiterio di figure simboliche affiancate da scritte bibliche in latino. Nei primi anni del 2000, il parroco Don Luigi Discacciati propone e fa effettuare una definitiva rimozione dell’umidità che da secoli impregnava fin dalle fondamenta tutte le pareti della chiesa, arreda con nuovi marmi e suppellettili sacre il presbiterio e, per ultimo, effettua una completa rinnovazione delle decorazioni murali, ripristinando fedelmente il disegno originale. 109 LA RELIGIOSITA’ POPOLARE 110 “Così al mattino di Natale il massaro bagnava con l’acqua santa i graticci su cui in primavera avrebbe allevato i bachi, e serbava una scheggia del ciocco di Natale per bruciarla in bigattiera il primo giorno di vita dei bacolini. Sopra la porta della bigattiera appendeva una croce di fieno; di notte un lumino ardeva davanti all’immagine di S. Giobbe protettore dei bachi”. Basta la lettura di questo breve brano, tratto da un libro sulla seta, per intuire quanto fosse stretto, nei nostri paesi e nei nostri vecchi, il rapporto fra le attività agricole e le pratiche religiose. Erano rituali e scadenze, in sincronismo con i cicli stagionali, che davano una dimensione al tempo, al calendario, e che si avvalevano di “simboli”, “segni” e “gesti” tramandati nel tempo che, forse, avevano anche qualcosa di superstizioso e di magico. Così la croce di paglia posta sulla sommità della bica (il mucchio di covoni che dopo la mietitura restava nel campo in attesa di essere portato alla trebbiatrice) doveva servire ad allontanare i fulmini, oppure era un segno di ringraziamento per il raccolto ormai riposto. Lo stesso simbolo (due tagli in croce col coltello) era fatto sul pane prima di essere posto nel forno per la cottura. E chi non ricorda come, durante un violento temporale estivo, per evitare una grandinata, si bruciasse sul camino un rametto di ulivo pasquale benedetto, recitando una preghiera. Per S. Biagio protettore contro il mal di gola, si mangiava il pane portato in chiesa per essere benedetto, riservandone una piccola porzione anche agli animali domestici. Il soprannaturale era quindi, allora, l’unica entità amica, quasi un avvocato difensore che si frapponeva fra la povera gente e le difficoltà della vita esasperata dalle angherie dei potenti e dai capricci delle stagioni. Per implorare, appunto, la clemenza del tempo e “l’abbondanza” dei raccolti si facevano le Rogazioni, reminiscenza di antichi riti pagani. Ad Oltrona ci si recava processionalmente, cantando le litanie dei santi, al Ronco, al S. Mamette e nelle campagne del Gerbo, in aprile per S. Marco e nei tre giorni che precedevano l’Assunzione. “A fulgore et tempestate libera nos Domine”. Altre processioni avevano luogo in festività o ricorrenze più importanti con la partecipazione di tutte le Confraternite la cui posizione nel corteo doveva rispettare un rigoroso ordine gerarchico. In alcune, il corteo era aperto da un drappello di cavalieri, i nostri cavalant. E’ facile immaginare a quali accurate operazioni di toelettatura fossero sottoposti i cavalli dopo settimane di duro lavoro nei campi, prima di essere infiocchettati e cavalcati. Nelle occasioni particolarmente importanti, lungo il percorso della processione o nei crocicchi, erano realizzate, a cura delle famiglie vicine, gareggiando per la migliore realizzazione, delle spettacolari porte trionfali in cui la grande Nelle processioni solenni il corteo era solitamente aperto da un gruppo di cavalieri che altri non erano se non i nostri contadini che disponevano di un cavallo 111 Processione con la statua della Beata Vergine Addolorata intelaiatura in legno era completamente ricoperta dal muschio, allora abbondantissimo nei nostri boschi (oggi sarebbe vietato raccoglierlo) e da sempreverdi; completavano l’opera: fiori veri e finti, e, sull’arco, scritte inneggianti al santo o al personaggio festeggiato. Nelle vie era tutto un tripudio di drappi, tovaglie ricamate, lumini sulle soglie. Ed era festa. Nelle Messe solenni, rigorosamente in latino, gli anziani storpiavano i canti, ma c’era tanta fede. Era una religiosità più ingenua ma piena di consolante fiducia. Così erano i tempi. Ma anche dove c’era la cultura (e l’autorità) non si era da meno. Durante un’epidemia di colera, sulle Istruzioni emanate per allontanare il morbo, dopo 18 paragrafi concernenti misure profilattiche, un capoverso recitava: “Gioverà la benefica influenza dei Parroci per risvegliare negli abitanti la fiducia nella Divina Provvidenza”. 112 Chiesa parrocchiale 113 Interno della chiesa parrocchiale come si presenta dopo i lavori di restauro La Madonna Pellegrina e la 4a visita pastorale del Card. Schuster Oltrona, 27 agosto 1948 (da una lettera di Stefano Galli) 114 Sebbene nell’intenzione precipua dei promotori della Peregrinatio vi sia lo spirito di penitenza e di preghiere, tuttavia questi nostri paesi chi più chi meno, non abbiamo saputo esimerci da manifestazioni esterne e, basta cominciare, chi trattiene più dal fare meglio degli altri? Campanilismo! Che nel nostro paese assai più che i vicini per la sua posizione preminente ha richiamato l’attenzione delle vaste regioni circostanti. Perchè, immàginati, ora il nostro bel San Mamete, chissà quale attraente visione da lontano, in queste notti di agosto con la completa illuminazione elettrica dal campaniletto al cornicione e facciata della aerea chiesetta. Anche il campanile e la chiesa parrocchiale e poi in tutte le vie del paese illumunazione a giorno. Come già altre feste e celebrazioni in tutte le vie ghirlande e ornati di verde e fiori. Alle 10 di sera di sabato scorso in processione ci siamo portati ai confini della parrocchia verso Beregazzo, oltre la fornace e da quei parrocchiani abbiamo ricevuto la grande statua della madonna Pellegrina. Mestizia in essi nel dover lasciare partire la Madonna da loro, allegrezza in noi perchè finalmente venuto il gran momento di accoglienza. Novità assoluta e visione singolare questo snodarsi di processioni da paese a paese oltre l’abitato in aperta campagna alle tenui luci delle fiaccole. Nella notte da sabato a domenica Santa Messa e Comunione degli uomini e giovani. Nella giornata di domenica varie e predicazione in Chiesa. La domenica sera solenne Via Crucis predicata in passaggio a tutte le vie del paese con l’immagine venerata; nella notte da domenica a lunedì S.Messa e Comunione delle donne e figliole. Il lunedì dalle 9 alle 12 visita col simulacro ai 4 stabilimenti del paese e consacrazione delle maestranze alla Madonna. Lunedì sera, alle ore 6, ricevimento solenne del Card. Arcivescovo e funzioni della sacra Visita Pastorale e conferimento della Santa Cresima. Martedì mattina alle 5 Santa Messa dell’Arcivescovo e chiusura della S.Visita. Martedì sera processione con la statua della Madonna a S.Mamete, mercoledì sera uguale funzione sul colle del Ronco sempre con le fiaccole e devota partecipazione dei Parrocchiani tutti. nella notte da mercoledì a giovedì mattino Santa Messa e veglia di suppliche e preghiere. Giovedì alle 10 del mattino santa Messa solenne cantata da Monsignor Prevosto di Olgiate. A sera con viva commozione di tutti ultime preghiere alla Madonna Pellegrina e commiato quindi processione sulla via di Appiano ove quei ferventi parrocchiani da oltre un’ora erano ad attendere la Madonna Pellegrina. Solo la nostra parrocchia ha avuto l’ambito privilegio di avere per 5 giorni la Madonna. Diventeremo cristiani più fervorosi? Alcuni parrocchiani han preferito andare altrove per le ferie anzichè rimanere a celebrare questi giorni indimenticabili. A compenso questi giorni e queste sere scorse moltissimi dei vicini paesi devoti o curiosi sono venuti ad Oltrona. 115 Sosta della Madonna Pellegrina nella piazza Libertà Sotto il baldacchino di intravede la figura dell’allora Cardinale di Milano, Beato Alfredo Ildefonso Schuster. Ora ricordato con una bella statua lignea nella chiesa parrocchiale LA VITA RELIGIOSA Confraternita del Santissimo Sacramento, XVII - XIX sec. Nella parrocchia di Oltrona era istituita la confraternita del Santissimo Sacramento, eretta dal cardinale Caccia il 7 marzo 1694, che fu censita nel 1747 durante la visita pastorale dell’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli, visita effettuata nella pieve di Appiano. La confraternita risulta fondata in forma canonica solo nel 1820. Gli associati erano donne e uomini adulti, denominati rispettivamente: Consorelle e Confratelli. Una terza associazione, solo femminile, ma sempre nell’ambito di questo tipo di confraternita, era costituita dalle giovani, a tutti note come “Figlie di Maria”. In Oltrona era pure presente la Compagnia del Santo Rosario a cui potevano aderire tutti. 116 Nelle foto: la confraternita del Santissimo Sacramento apre la processione della Beata Vergine 117 118 Medaglia delle Consorelle appartenenti alla Confraternita del Santissimo Sacramento 119 Dettaglio della mantella indossata dai confratelli durante le processioni GIUSEPPE BROGGI 120 (42) Alessandro Broggi (1792-1872), sindaco negli anni dell’unità d’Italia, discendente del primo dei Broggi venuti ad Oltrona da Tradate, Filippo Broggi (1715-1802). (43) Questa operazione era possibile in quanto non erano ancora stati costruiti né l’ex tessitura Ferrario, né l’attuale oratorio. Tra i personaggi del passato che hanno dato lustro al nostro paese è doveroso ricordare la figura di Giuseppe Broggi, autore di una breve monografia su Oltrona e di due storici e brillanti articoli compresi in questo volume. Da una sua autobiografia redatta nel 1923, estraiamo quanto segue: “Figlio di Alessandro(42) e di Margherita Zolla nacque in Oltrona il 17 settembre 1859. Suo padre fin dal 1830 fu dei primi che installò la tessitura di seta in questa zona... Curò i suoi studi a Como fino al 1874 e successivamente al collegio Maria Hilf in Svizzera impiegandosi successivamente a Milano. Nel 1880 decise di varcare l’oceano in cerca di emozioni americane trasmessegli da giovani sudamericani che studiavano in Svizzera... Arrivato a Buenos Aires conobbe molte famiglie italo-argentine, impiegandosi nel commercio, nella dogana, nelle banche e nella borsa... Nel 1888 alla morte della madre venne in Italia per rimanervi, ma la nostalgia di quella grande repubblica lo richiamò ed al suo ritorno si dedicò a vaste colonizzazioni...Fu uno dei primi che portò la civilizzazione dell’aratro nell’immensa pampa argentina, trasformando quelle steppe in ubertosi campi di granaglia e verdeggianti pianure... Corrispondente ufficiale del ministero dell’agricoltura partecipò alle vicissitudini di quelle fugaci presidenze, ottenendo la medaglia d’oro come collaboratore per più di vent’anni nella direzione di statistica e agricoltura di quella nazione... Durante la Prima Guerra Mondiale fu delegato della croce rossa italiana, presidente del comitato Pro-Patria e propagandista nelle colonie, entusiasmando i giovani connazionali a partire per il fronte italiano... Al ritorno in Italia continuò il suo affetto per l’Argentina come corrispondente onorario del Ministero dell’Agricoltura e di diversi giornali di Buenos Aires”. Uomo di grande cultura, ritornato in Italia nel 1920 dopo la morte della moglie italo-argentina di origine genovese, si interessò delle sorti del comune assumendo anche la carica di podestà. Si racconta che, abituato alle grandi estensioni argentine ed affascinato dalla grandiosa monumentalità di città come Roma e Buenos Aires, avesse avuto intenzione di collegare direttamente il palazzo comunale alla via Roma(43), incontrando tuttavia forti opposizioni dai proprietari dei terreni interessati. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in condizioni economiche non certo agiate presso l’Istituto Don Guanella di Como dove si spense nel 1954. Come sua ultima volontà donò l’ultimo locale rimastogli delle sue proprietà alla parrocchia, sede della ex biblioteca parrocchiale ed ora sede UNITALSI; qui erano conservati i ricordi della sua avventurosa esistenza. 121 Diploma attestante l’assegnazione della medaglia di bronzo vinta da Giuseppe Broggi all’Esposizione Universale di Saint Louis (USA) del 1904, per aver presentato una sua nuova varietà di frumento BIBLIOGRAFIA AA.VV., Il XXV di parrocchia di Don Giuseppe Cappelletti, Oltrona S.M. -1965. APD, Repertorio, Archivio della parrocchia di Desio. Bognetti G.P., Studi sulle origini del comune rurale, 1978. Bombognini F., Antiquario della Diocesi di Milano, 1856. Broggi G., Monografia di Oltrona San Mamette, 1925. Cappelletti G., San Mamette in Oltrona, 1968. Cantù C., Storia di Como e sua provincia, 1859. Casanova E., Dizionario Feudale, 1930. Figini C. e Ortolani C., La visita pastorale del padre Leonetto Chiavone alla Pieve di Appiano: Aplanum, 1983. Grammatica M., Gli Etruschi in Traspadana: l’Italia, 7 gennaio 1968. L’Eco dei Rochi, Oltrona S.M., 1995-2005. Notizie e Argomenti Flash, Oltrona S.M., 1999-2006. Olivieri D., Dizionario di toponomastica Lombarda, 1961. Oltrona Visconti G.D., Oltrona di S. Mamette: Dizionario della chiesa ambrosiana, 1990. 122 Porro Lambertenghi G., Codex Diplomaticus Langobardie, 1873. Terzaghi M.C., Oltrona di San Mamette (in Guide della provincia di Como - n. 4), 1999. Verga D., Le proprietà fondiarie a Oltrona: Aplanum, 1982.