strasburgo - estetica della citta

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strasburgo - estetica della citta
STRASBURGO
Agli inizi del Seicento uno spettro si aggira per l’Europa, a minacciare il
paesaggio di monarchie e di principati che sta ormai sostituendo quasi dovunque
quello delle città e dei comuni: non è tanto l’esempio della repubblica di Venezia
– il cui governo oligarchico appare radicato nell’ambito della tradizione politica
italiana – bensì quello delle repubbliche della Svizzera e della Germania, la cui
pericolosa influenza sembra avere contagiato la rivolta contemporanea degli
olandesi e dei zelandesi contro il dominio spagnolo nel nome della libertà.
E questa libertà repubblicana della città è poi la sfera appropriata dove ogni suo
cittadino è in condizione di fondare la propria stessa libertà – secondo le
convinzioni di Leonardo Bruni e di Nicolò Machiavelli – che Traiano Boccalini
ne I ragguagli del Parnaso sostiene manifestarsi nell’eguaglianza.
Strasburgo, dopo l’indipendenza dal vescovo conseguita nel 1262, è una città
libera di ventimila abitanti governata dalle famiglie patrizie della nobiltà e dei
grandi mercanti – come Venezia – sostituite alla metà del Trecento da un
consiglio di trecento cittadini rappresentanti le corporazioni, dai mercanti ai
macellai, alla testa di una città libera che l’imperatore riconoscerà giuridicamente
quasi subito.
Se un negoziante o persino un conciatore potrà diventare scabino e addirittura
sindaco di fatto la città sarà poi governata da una élite socialmente chiusa e
culturalmente bigotta sicché questa percezione dell’eguaglianza non consiste
affatto nella sfera della democrazia politica (che come nella nostra società
costituisce poi il quasi inaccessibile campo di uno specifico gruppo, tanto che
molti illustri cittadini, da Grünevald a Gutenberg, trascureranno l’iscrizione alle
liste elettorali), quanto nelle regole del comportamento pubblico quotidiano dove
– accanto alle rigorose prescrizioni suntuarie su quasi ogni cosa, come del resto
era consuetudine negli statuti municipali di tutta Europa, dai vestiti ai ricevimenti
al tessuto delle lenzuola per evitare l’arroganza visibile della ricchezza – doveva
essere offerta a tutti sia la medesima sfera di welfare, l’assistenza ospedaliera e le
scuole di ogni grado, sia quella di un innocuo divertimento collettivo.
Accanto a qualche giostra o a qualche raro torneo tutte le repubbliche dell’alto
Reno coltivavano la passione popolare per il tiro alla balestra e all’archibugio, i
cui campi – attrezzati con osterie e sale di ritrovo – erano veri e propri temi di un
confronto tra le città, sicché le cronache raccontano di un famoso torneo nel 1576
cui parteciperanno concorrenti arrivati dall’Austria, dalla Germania, dalla
Svizzera e vinto da un modesto bracconiere, temprato dal mestiere, e rallegrato da
un’epica lotteria dove tra settantamila biglietti quello vincente toccherà a una
fanciulletta di modestissima condizione, cui il premio sarà consegnato alla
maggiore età.
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Il campo degli archibugieri
Questo clima di solidarietà sociale – cui ovviamente non corrispondeva una
società egualitaria – ha forse suggerito nel Quattrocento a Gutenberg di stabilirsi a
Strasburgo per darvi inizio alla stampa della sua Bibbia o a Sebastian Brandt,
segretario generale della città, la compilazione di quell’incredibile successo
editoriale che divenne La nave dei folli, ma certo fu una condizione favorevole
alla conversione dell’intera città alla Riforma, con un solo voto contrario su
trecento consiglieri, e alla adozione di un duro programma di moralizzazione
sociale il cui integralismo ridurrà le nascite illegittime annuali da 243 a 8.
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La Strasburgo di Sebastian Brandt
Ma noi sappiamo che questa percezione egualitaria della civitas viene poi
vistosamente contraddetta dalla disposizione delle case, quelle dei maggiorenti in
genere più prossime al palazzo municipale e quelle dei poveri lontano, accanto
alle porte e comunque prive di quel riconoscimento della dignità dei cittadini che
le abitano costituito dalla protettiva presenza dei temi collettivi. E poiché
sappiamo anche che le città hanno sempre fatto il possibile per attenuare questa
differenza, questa clamorosa e visibile sconfessione della pretesa di eguaglianza
della democrazia cittadina, come si sarà provveduto a Strasburgo?
La strada principale della città è disposta, come di consueto, tra la porta
considerata più importante e la piazza principale, scandita vicino alla porta dagli
stretti lotti gotici dei meno abbienti e poi, dopo il fosso dei Conciatori – che
costituisce una sorta di barriera interna alla città – dalle case dei mercanti più
cospicui prossime alla piazza.
Il tracciato occidentale della Grande Rue, la strada principale, tra la porta di
San Pietro e la piazza principale
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Dalla parte opposta della piazza principale la via continua con la medesima
giacitura ma diventata ora strada monumentale, dove i maggiorenti costruiscono
le proprie case che comprendono più lotti gotici, qualcuna pretenziosamente
arricchita da una merlatura e da una torretta – quasi a voler evocare una incongrua
appartenenza alla sfera aristocratica – come quella dove Conrad Meyer ebbe
l’onore di imbandire un memorabile pranzo in onore di CarloV: che rifiutò di
dormire poi in una città protestante e la lasciò nella notte, sotto la pioggia,
La strada monumentale e le casa di Conrad Meyer
La piazza principale, a metà di questa lunga sequenza di strada principale e
monumentale, è a sua volta il cuore di una cospicua sequenza trasversale che è
andata formandosi nel corso dei secoli e che costituisce l’anima simbolica della
città, messa in evidenza dal piano di Morant.
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La pianta di Morant (1548)
Sulla sponda del ramo meridionale dell’Ill – il fiume che circonda la città e che,
secondo molti viaggiatori, la rende simile a, e forse più bella di, Venezia – i
pescatori, il cui quartiere è più a valle, hanno da tempo dato vita al mercato del
pesce che una consistente cortina di case separa dalla cattedrale, un largo spiazzo
porticato il cui ruolo di cuore della repubblica sarà sottolineato per secoli dalla
presenza sullo sfondo della Zecca, a sua volta allineata alla croce con la strada
principale, vistoso simbolo dell’autonomia repubblicana fino a quando, nel 1321,
le verrà costruito proprio davanti lo Pfalz, il palazzo municipale, facendo così a
tutti gli effetti di questo spiazzo la piazza principale.
La veduta più antica, il quai dei battellieri e il quello dei pescatori
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Dietro alla Zecca la sequenza prosegue con il mercato dei grani – anch’esso
circondato da portici – per allargarsi poi nella grande piazza davanti alla chiesa
dei francescani e concludersi con la torre dello Pfennig, dove per secoli verrà
custodito il ricco tesoro della città.
La sequenza centrale e la torre dello Pfennig, in una città dominata dalla
guglia della cattedrale
Questa sequenza, così rappresentativa, è ovviamente massima e continua cura del
consiglio che, qualche tempo dopo, deciderà di ampliare la piazza principale
demolendo prima gli isolati occidentali – compresa l’antica chiesa di San Martino
– e beninteso tutte le bancarelle dei pescatori che ne occupano il centro, poi la
piazza del mercato demolendo la Zecca, e infine la piazza davanti alla
Pfennigthurm demolendo nel fervore della riforma anche il convento francescano.
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La piazza davanti alla Pfennigthurm dopo la demolizione del convento
francescano nel 1529
Rese ora così più ampie le piazze la sequenza viene arricchita verso l’Ill dai
cospicui edifici della dogana e della Grande Boucherie – il macello civico –
mentre sul fronte occidentale della piazza principale verrà costruita (per la
cancelleria e per la camera di commercio) una lunga facciata rinascimentale,
proprio di fronte alla strada trionfale che da sempre inquadra il portale della
cattedrale.
Il palazzo della cancelleria in piazza Gutenberg e la strada di fronte alla
cattedrale
Se la sequenza trasversale è il cuore simbolico dell’urbs, nel tratto della strada
principale più vicino alla piazza principale sono addensate le sedi delle
corporazioni – che per esempio a Bruxelles saranno invece concentrate nella
piazza principale – e dunque le case dei borghesi di maggiore rilievo (mercanti,
orefici, drappieri) sotto la protezione simbolica della chiesa di San Tommaso,
l’unica ad avere sul fianco un’altra piazza prima che nel 1527 l’abolizione dei
cimiteri parrocchiali le provvedesse dovunque, mentre più lontano, oltre il canale
dei Conciatori, il quartiere solcato dalla strada principale diventa popolare, con il
fitto pettine delle strade dei mestieri artigiani più modesti e con quasi tutti i
mulini, a sua volta protetto dall’antica chiesa di San Pietro il Vecchio che
conclude la strada principale.
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La città alla fine del Quattrocento con la croce di strade
Verso oriente la strada monumentale, che prosegue la strada principale fino alla
chiesa di Sant’Andrea, è vigorosamente tematizzata dalla croce con la sequenza
nord-sud (che contrappunta quella centrale delle quattro piazze) con la cattedrale e
il palazzo episcopale, con la breve strada principale di secondo rango che
frequentiamo tuttora – resa trionfale dal portale laterale della chiesa di San
Domenico che, trasformata in tempio protestante, domina il piano di Morant – e
oltre il canale dei Conciatori, ritmata dall’innesto del molto allungato prato della
fiera con il mercato dei cavalli ma anche lizza per qualche modesto torneo e con
sullo sfondo il granaio municipale che, ricordiamo, è un rilevante tema collettivo
– a Mulhouse nella piazza principale – viene conclusa dalla chiesa di San Pietro il
Giovane.
La rue des Orfévres
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Come altre città repubblicane del Reno anche Strasburgo declina lentamente nel
corso del Seicento, travagliata dalla guerra dei Trent’anni ma soprattutto
emarginata dalle correnti culturali più vivaci che fioriscono ormai nelle capitali,
all’ombra protettiva dei sovrani ma anche dei principi tedeschi, finché alla fine del
secolo la forzata annessione alla Francia non costringerà la sua borghesia – che
molti vantaggi materiali inducono a convertirsi al cattolicesimo – a frequentare
Parigi assorbendone il clima.
Da un anno con l’altro, nei primi decenni del Settecento, i cittadini più abbienti
vengono presi da una vera febbre di rinnovamento edilizio che fa dei quartieri
orientali quasi una replica delle lottizzazioni parigine intorno a rue de Varenne,
dove il ruolo generatore assunto a Parigi dal palazzo Borbone verrà affidato a
Strasburgo al palazzo del cardinale di Rohan tra la cattedrale e l’Ill, che avvia una
sequenza nord sud – contrappunto ancora una volta delle precedenti – verso
l’antico prato della fiera, sequenza arricchita da due strade monumentali con i
palazzi dei maggiorenti, a sud la rue des Veaux, dove le case più fortunate
avranno sul retro un giardino digradante sul fiume, ma soprattutto a nord la rue
Brulée, dove saranno affacciati alla moda parigina sui cortili anteriori, le due
strade che racchiudono il quartiere dei mercanti più prestigiosi, orefici e
drappieri, nel cui centro verrà in seguito aperta una grande piazza di mercato
quadrata, suggerita da Blondel.
La città alla fine del Settecento con le strade monumentali
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La rue Brulée e la piazza quadrata, place su marché Cayot
Questa rinnovata volontà estetica cittadina prende corpo nel desiderio di rendere
deliberatamente monumentale la sequenza più cospicua della città, per il cui
ridisegno verrà cortesemente inviato dal sovrano, nel 1765, Jacques François
Blondel, che aveva vent’anni prima realizzato un analogo piano per il centro di
Metz, vivamente apprezzato da Voltaire.
Progetto di Blondel
Il filo conduttore adottato da Blondel per rendere monumentale la sequenza
trasversale della città sarà di promuovere l’immenso e incerto spiazzo rimasto
vuoto dopo la demolizione del convento francescano a piazza architettonicamente
unitaria – con una forma ellittica sul lato orientale, secondo un suggerimento
diffuso dieci anni prima nel concorso per piazza Luigi XV a Parigi – destinata da
un lato alle parate della guarnigione militare acquartierata nelle future immense
caserme, che intravediamo al fondo di una strada trionfale, ma dall’altro anche a
diventare il cuore della città moderna, con i grand hotel – il vecchio hotel du
Corbeau, frequentato incognito persino da Federico II di Prussia, era sull’altra
sponda dell’Ill – e forse con il teatro, circondata tutta intorno da un filare di tigli
come piazza Bellecour a Lione.
Di lì verso sud il mercato dei grani verrà appena ripulito, mentre la piazza
principale dovrebbe diventare una vera e propria place royale, con sullo sfondo il
nuovo palazzo municipale e al centro la statua del re, e la sequenza concludersi
sull’altra sponda del fiume con un lontano arco trionfale.
Il progetto è poi arricchito da un lato dalla sottolineatura dell’antica sequenza che
coinvolge la chiesa dei domenicani, arricchendone la piazza con il contrappunto
di una seconda piazza di mercato – non così insensata, se verrà in seguito
realizzata – e distinguendola così meglio da quella dei mercanti più facoltosi,
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immediatamente a ovest e ricordata più sopra, a sua volta esaltata dalla piazza
quadrata accennata prima (qui fuori dal disegno) – che Blondel avrebbe voluto
monumentale e porticata – e dall’altro lato dalla rettifica della piazza di San
Tommaso, resa anch’essa monumentale: oltre a non lesinare qualsiasi minore
rettifica stradale che sembri rendere la città più bella.
La sequenza messa a punto qualche tempo prima nella vicina Nancy da
Emmanuel Héré per Stanislao Leszczynski, con il contrappunto di place de la
Carrière e della place royale, sembra aver costituito un suggerimento per il
progetto di Blondel
Questo progetto verrà ferocemente avversato nel clima di quella rivendicazione
romantica delle tradizioni locali che comincia a opporsi nella seconda metà del
Settecento alla pretesa illuminista di un principio estetico universale, quella
rivendicazione romantica che sta allora serpeggiando proprio nell’ambiente
tedesco dello sturm und drang – nelle tesi di Herder – che ogni città abbia un suo
proprio linguaggio, una sua storia e una specifica cultura, sicché, se lo stile
architettonico della Reggenza, che prende piede negli anni Quaranta, costituirà un
motivo di distinzione e verrà correntemente adottato dalle élite, l’ammirazione per
il palazzo di Rohan sulla piazza del castello andrà di pari passo con il culto della
decorazione lignea della Kammerzelle nella contigua piazza della cattedrale.
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La Kammerzelle
e il palazzo di Rohan
L’unificazione delle facciate non sembra costituire a Strasburgo – come del resto
nelle repubbliche dei Paesi Bassi – un particolare motivo di apprezzamento,
sembrando fuori luogo dover irreggimentare la libera espressione del gusto
estetico di ogni cittadino nell’aspetto della propria casa, sicché, se verrà subito
realizzata la facciata settentrionale della piazza d’armi con il lungo palazzo
dell’Aubette, una caserma, nessuno darà corso alla sua replica sul lato meridionale
né tantomeno su quello occidentale – dove del resto l’emiciclo di Blondel parrà
troppo grandioso e verrà rettificato – così come rimarrà sulla carta la sua
trasformazione in una place royale, e rimarrà sulla carta anche che la piazza di
mercato quadrata suggerita dietro alla cattedrale – poi realizzata – avesse portici e
facciate unificate.
Ma anche il continuo ricorso a rettificare le strade per renderle appena possibile
trionfali sembra troppo enfatico, nel nome di una più sottile visione estetica delle
sequenze come successione di temi legati al filo di una sensibilità più modulata
sul ritmo lieve di singoli ambienti, e incorporata nella lunga tradizione risalente al
tardo Cinquecento, quando a Daniel Speckle – autore di un noto trattato di
fortificazioni militare – verrà chiesto di sovrintendere all’edilizia cittadina,
istituzionalizzando così il ruolo dell’architetto municipale coperto ai tempi di
Blondel da Samuel Werner, che a questa opposizione di principio diffusa nella
cittadinanza darà solide argomentazioni tecniche, soprattutto sottolineando i costi
connessi alla consuetudine di acquistare le case da demolire con trattative private,
mancando in Francia una legge generale che consentisse di espropriarle allo
scopo di migliorare il decoro urbano, legislazione invece diffusa in tutta Italia fin
dal tardo Quattrocento.
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Lo schema di città militare disegnato da Daniel Speckle (1589) è simile al
contemporaneo progetto di Giulio Savorgnan per Palmanova, peraltro assai
più sofisticato
Città dunque di stile misurato, dove la concentrazione stessa all’interno del fiume
e il persistere del ruolo di fortezza sul confine francese, con la vistosa permanenza
delle mura, sembra rendere per ora lontano il ricorso a quelle strade tematizzate –
la strada trionfale e i boulevard – cui viene altrove affidata la tematizzazione dei
quartieri accanto alle porte. Ma come il brontolio del tuono annuncia la tempesta,
così una nuova sequenza verrà annunciata da una grandiosa passeggiata fuori le
mura verso il lontano parco della Robertsau – risalente alla fine del Seicento e più
o meno contemporaneo a quello di Digione – e soprattutto dal contrappunto con la
passeggiata ricavata da de Broglie alla metà del Settecento, prima ancora del
progetto di Blondel, sul sito del prato della fiera, alberata di tigli, dove le famiglie
più cospicue ribalteranno il fronte dei propri palazzi sulla rue Brulée e facendone
una piazza monumentale, resa trionfale dal nuovo teatro costruito sullo sfondo, e
dove verrà trasferito il municipio rendendola così il nuovo cuore cittadino: dove
dunque costruire a metà Ottocento il Grand hotel e la banca di Francia, lasciando
all’antica piazza principale, che costituiva il motivo dominante del progetto di
Blondel, soltanto il suo ruolo simbolico nella memoria della città.
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Pianta del 1822, con la passeggiata della Robertsau e la passeggiata del
maresciallo de Broglie
La passeggiata di de Broglie nel piano di Blondel, prima della costruzione del
teatro, con i palazzi sulla rue Brulée, a sinistra le piazze della sequenza di San
Domenico e in basso, in rosa, la nuova piazza di mercato; la passeggiata oggi
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L’hotel de Paris e la passeggiata de Broglie, vista anche dal teatro
Questo lavorio sulla passeggiata farà tuttavia emergere, sottolineandola, una più
ampia sequenza che alla metà dell’Ottocento contrappunta quella antica della
strada principale, dalla piazza del mercato del vino, accanto alla chiesa di San
Pietro il Vecchio, alla grande piazza dell’Aubette, sotto la Pfennigthurm,
promossa ora, con la statua del maresciallo Kléber, eroe napoleonico, a piazza
nazionale francese.
La nuova sequenza vista da Guesdon verso il 1860, dalla chiesa di San Pietro
a destra, alla piazza Kléber, alla passeggiata de Broglie con il teatro
Sarà su questa sequenza che Conrath innesterà nel 1875 il disegno della città
nuova, la Neustadt, che da un lato riprende il tema dei nuovi piani regolatori
instaurato dieci anni prima da quello di Hobrecht per Berlino e poi in quelli della
Renania, di Mannheim e di Magonza, in quello contemporaneo di Colonia, e
dall’altro intende rappresentare in modo vistoso l’annessione dell’Alsazia alla
Germania dopo il 1870.
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Il piano per Colonia di Stübben
Dietro al teatro sul fondo della passeggiata di de Broglie Conrath disegna una
immensa e nuova piazza nazionale – con il palazzo dell’imperatore, il palazzo del
governo regionale e del parlamento dell’Alsazia-Lorena, la grande biblioteca, i
due ministeri, e sottolineata dal monumento all’imperatore – pendant a quello a
Kléber – sostituito ovviamente, dopo il ritorno della città alla Francia nel 1918, da
un monumento ai Caduti che non ne nega tuttavia il clamoroso tema di piazza
nazionale.
Questa nuova piazza costituisce il motivo dominante dell’intero disegno, costruito
come il crescere dell’orchestrazione musicale nel corso dell’Ottocento: dapprima,
dalla piazza de Broglie e dal suo teatro d’opera settecentesco alla nuova piazza
nazionale, e di lì da un lato con il largo della sequenza di una nuova grandiosa
strada resa doppiamente trionfale dal palazzo imperiale e da quello dell’università
– e nazionale dal fulgore neogotico germanico del palazzo delle poste e della
chiesa di San Paolo specchiata sulla confluenza dei due rami dell’Ill – e subito di
fronte con una grande croce di boulevard conclusi dalle tre porte – come nel piano
quattrocentesco di Ferrara –, un braccio dritto come strada trionfale centrata verso
l’interno della città sulla guglia della cattedrale e verso l’esterno dal parco di
Contade (la parte destra sul sito del vecchio campo di tiro, ma in realtà poi mai
raddoppiato) e concluso nella piazza di Bordeaux, oggi con il discutibile fondale
del moderno palazzo dei congressi, mentre il braccio traverso verrà tematizzato
nella sua parte orientale dalla chiesa di San Paolo e dalla strada trionfale alle sue
spalle, dalla passeggiata della Robertsau, e infine esaltato dalla prospettiva
trionfale sullo stadio.
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La sequenza nazionale con il palazzo imperiale e la biblioteca nazionale,
l’università sullo sfondo, e la guglia della cattedrale come fondale della croce
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La Strasburgo di Conrath e la Ferrara di Biagio Rossetti
Ora tutta l’orchestra è chiamata a modulare i suoi temi compositivi: il lungo
braccio traverso sarà il ramo di una Y – eco di quella disegnata da Klenze ad
Atene – sul cui ramo simmetrico viene disposta la piazza semicircolare della
stazione ferroviaria, che riprende e conclude a sua volta la sequenza instaurata
nell’Ottocento con la passeggiata di de Broglie; poi verso l’esterno un lungo arco
semicircolare di boulevard sembra suggerire la conclusione della città, ancora una
volta racchiusa in una più larga cinta di mura e di porte, con altri minori disegni
stradali di croci e di stelle e soprattutto con l’antico parco della Robertsau, agli
inizi dell’Ottocento arricchito dalle serre dell’Orangerie, dalle quali prenderà il
nome e, abbandonato il geometrico disegno secentesco di Le Notre, dal nuovo
gusto del giardino all’inglese.
Il piano di Conrath
All’ombra di un irredentismo discreto Strasburgo prospera, reputata per il suo
clima dolce nell’ambito del Reich e a due passi dalla Francia, dalla Svizzera, e
una ricca borghesia, attenuati i conflitti nell’ambito dello Stato dalla politica
sociale bismarckiana e nell’ambito locale da energici programmi di edilizia
popolare perseguiti da un municipio socialista – forse memore dell’austerità
protestante – costruisce le proprie ville e i propri palazzi lungo la passeggiata
della Robertsau e agli inizi del Novecento lungo il braccio traverso della croce,
che diventano così nuove strade monumentali, attraente scenario anche per un
visitatore contemporaneo.
Tuttavia la città nuova ha in qualche modo trascurato quella antica, ora a rischio di
una progressiva emarginazione, sicché serpeggia il desiderio di ricondurre la
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nuova sequenza est-ovest entro una croce più ampia che la coinvolga per intero,
contrappuntando così ancora una volta la croce delle piazze originarie e della
Grande Rue, costituendo una sorta di alternativa municipale alle monumentali
sequenze della Neustadt. Sarà – scomparsi i vecchi bastioni alberati, scenario dei
balli e degli amori delle cameriere con i militari di guarnigione, che forse non
parlavano neppure la medesima lingua –, tracciato demolendo i quartieri popolari
più antichi e più malsani, il Grande Sventramento, fatto proseguire fino al porto
canale ben oltre l’Ill e concluso con una piazza tematizzata dalla Borsa, dalla
Maison de la Famille e oltre il canale – su un improbabile spiazzo pomposamente
denominato place de l’Etoile – dal moderno palazzo della Comunità strasburghese
perduto in un prato, e ancora più lontano dal nuovo stadio, lungo l’avenue di
Colmar, la cui giacitura riprende il fondale della guglia della cattedrale, quasi a
riecheggiare quel medesimo tema nel piano di Conrath dalla parte opposta della
città.
La guglia della cattedrale nel paesaggio cittadino e come fuoco dell’avenue di
Colmar
Meno forse di un vero e proprio irredentismo – dopotutto era stata la Francia a
porre fine nel 1681 alla sua indipendenza repubblicana – serpeggia a Strasburgo la
rivendicazione della propria specificità che prenderà corpo nella riscoperta, ai
primi del Novecento, dell’architettura popolare alsaziana e nell’aderire degli
architetti municipali – gli Ott, i Conrath, i Beblo, eredi lontani di Daniel Speckle –
alle tesi di Sitte, di Henrici, di Buls, che le strade sinuose delle città antiche siano
più belle delle strade diritte delle città moderne, e tanto più preferibili quando
occorra aprirle nel cuore dei quartieri medievali: sicché il Grande Sventramento
verrà tracciato con un pittoresco andamento curvilineo anziché semplicemente
diritto.
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Il tracciato del Grande Sventramento dalla chiesa di San Pietro a piazza
Kléber e poi verso l’Ill
Le vecchie case riattate nell’ultimo secolo
Del resto era questo lo stile adottato in quegli anni nella città giardino di
Stockfeld, più lontano ancora nel sud della città, anche se in seguito le altre – la
cité Jules Siegfried accanto al nuovo stadio, la cité Georges Risler poco distante –
riprenderanno tra le due guerre i suggerimenti neoclassici che andavano
diffondendosi in Europa.
Ed ecco che settant’anni fa la Francia uscirà dalla guerra con un forte potere
centrale e con la pretesa – impersonata da quell’energico ministro dell’urbanistica
che affiderà a le Corbusier l’unité d’habitation di Marsiglia – di un “progetto
moderno” che faccia piazza pulita delle tradizioni locali, quello stesso evocato
senza troppo successo dagli illuministi duecent’anni prima.
Così ora le città francesi verranno colonizzate dagli architetti della capitale – il
sogno di Blondel – e dalla loro sigla uniforme, dove la paziente ricerca di uno stile
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tradizionale solo appena aggiornato e di un disegno delle sequenze cittadine
innestato su quello depositato da secoli verranno cancellati; ora verranno costruiti
immensi quartieri moderni del tutto simili a quelli di Tolosa o di Nancy, del tutto
avulsi dalla città della quale dovrebbero far parte, i cui emarginati abitanti
vengono da decenni nella notte di Capodanno a incendiare nella città vera le
automobili dei cittadini a pieno titolo e appena possono votano per Le Pen, contro
il proprio governo e contro quelle istituzioni europee che dopotutto aiutano la città
a campare.
I nuovi quartieri orientali, Citè Rotterdam e l’Esplanade (a destra), e
Hautepierre a occidente
Che queste scelte fossero disastrose i costituenti europei l’hanno subito visto,
sicché la sede del parlamento verrà disposta davanti al parco dell’Orangerie, un
sito privilegiato costruito dai nostri avveduti antenati nei tre secoli precedenti,
mentre subito oltre il canale che chiudeva la Strasburgo di Conrath il palazzo dei
diritti dell’uomo, come la sua architettura moderna senza radici e senza avvenire,
ci induce a dubitare che gli stessi diritti dell’uomo siano altrettanto fragili e
comunque destinati a una vita grama.
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L’Orangerie e il Palazzo dei diritti dell’uomo
Traccia complessiva delle sequenze di Strasburgo
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