l`europa dei trasporti: regole per le imprese
Transcript
l`europa dei trasporti: regole per le imprese
Speciale TAVOLA ROTONDA L’EUROPA DEI TRASPORTI: REGOLE PER LE IMPRESE, OPPORTUNITÀ PER IL LAVORO FRANCO GIUFFRIDA Segretario Generale FILT Lombardia Gentili ospiti, amici, care compagne e compagni, la FILT-CGIL della Lombardia ha inserito nel programma del congresso questa iniziativa con l'obiettivo di approfondire un tema attuale e fare discutere soggetti tra loro diversi, ma al tempo stesso portatori di utili e valide esperienze. Il contributo di ciascuno si rende necessario per verificare se esistono convergenze, per far fronte alle novità che stanno interessando, e interesseranno con sempre maggiore insistenza, il settore dei trasporti. Il tema di questa mattina è inserito, a grandi linee, nei documenti congressuali e quindi il dibattito che svilupperemo contribuirà a completare le linee programmatiche che la nostra organizzazione si darà. Il processo di globalizzazione Il processo di globalizzazione in atto sta mutando in profondità il vivere degli esseri umani: cambiano i rapporti economici, culturali, sociali. Fattori determinanti della globalizzazione sono, per un verso, ciò che è stato chiamato “la morte delle distanze”, per l’altro verso il declino del ruolo dello Stato nazionale. Così come afferma lo storico Massimo L. Salvadori in un suo recente libro. La globalizzazione è inarrestabile. Il punto è: quali strumenti utilizzare per governare il processo, per difendere e consolidare i diritti di coloro che rappresentiamo. I confini tradizionali stanno saltando e perdendo di peso con un ritmo rapidissimo. Indietro non si torna. In particolare i trasporti, per loro definizione, non hanno mai avuto un confine, una demarcazione, se non per imposizione di leggi restrittive ed antidemocratiche. Infatti, il processo di globalizzazione ha inizio quando cominciano a circolare persone e merci. Il libero accesso nei mercati e negli stati nazionali avviene con un sistema di relazioni basato sulle modalità di trasporto. Le merci trasportate da Tir, navi, aerei e treni si muovono da una realtà produttiva ad altra realtà produttiva o di scambio, superando diversi confini geografici e rappresentando un’idea originaria di globalizzazione. Quindi il nostro settore, più di altri, ha conosciuto pregi e difetti di un’economia aperta, fuori dagli ambiti prettamente nazionali. Questo ha determinato, pur in presenza di regole protezionistiche di ogni singolo Stato, la messa a confronto di organizzazioni del lavoro diverse, di diverse condizioni tra lavoratori che svolgono uno stesso lavoro. L’apertura dei mercati ha palesato le differenze rendendo evidenti le disparità più macroscopiche fra paese e paese, fra mercato e mercato. Si è reso immediatamente chiaro dove sarebbero sorte le criticità per ogni singolo stato al momento della fine delle politiche protezionistiche e di monopolio. L’Europa disegna e rappresenta un’idea di processo di globalizzazione per superare quelle criticità e per portare ad indirizzi comuni l’organizzazione del servizio legato ai trasporti. Molte sono le direttive che in questi anni sono state emanate dall’Unione Europea per il nostro settore, recepite dagli Stati nazionali che le hanno rese operative. Tutti i nostri settori hanno abbandonato oggi la condizione monopolistica, che aveva caratterizzato la storia recente di molte aziende del nostro Paese e sono passate ad un ambito liberalizzato, generando un sistema di concorrenza tra le diverse imprese di trasporto. In questo quadro, il processo di integrazione e di armonizzazione deve andare rapidamente a compimento, superando resistenze che ancora sono presenti in alcune realtà dei Paesi europei. A questo proposito, è di vitale importanza tendere alla costruzione di normative chiare e coerenti che regolamentino il sistema dei trasporti in questa fase cruciale. Il Commissario dei trasporti dell’Unione Europea ha già fatto molto in direzione dell'adozione di regole di comportamento per i soggetti titolari della programmazione, ma bisogna fare altro per avere in tutte le fasi e in tutti settori regole comuni. Regole per le Imprese La scorsa estate, la Commissione dell’Unione Europea ha approvato le linee guida del Libro Bianco sui trasporti. Sono state individuate le priorità per aiutare il sistema dei trasporti ad invertire la marcia, aumentando la velocità e migliorando la qualità del suo sviluppo, per 1 Speciale allinearlo al ritmo della crescita economica. Se questo rilancio non dovesse verificarsi ci sarebbero sicuramente, per l’insieme dei Paesi dell’Unione, enormi problemi, non solo di risorse finanziarie (i costi della congestione raggiungerebbero nel 2010 gli 80 miliardi di Euro), ma di qualità del vivere. In questi anni il vettore dominante è stata la strada, mentre la ferrovia non ha saputo stare al passo con i tempi, perdendo notevoli quote di mercato, mentre il trasporto marittimo non è stato adeguatamente potenziato. Si dovrà procedere al riequilibrio modale, assicurando maggiore competitività alle ferrovie e creando una vera intermodalità. Per fare questo occorre rivedere le priorità infrastrutturali e le metodologie di finanziamento delle opere. Occorre lavorare sulla sicurezza e sulla tutela dell’utente. L’Unione Europea indica nella maggiore concorrenza tra le imprese la possibilità di migliorare la qualità del trasporto. Infatti, le ferrovie europee dovranno aprirsi al mercato. Viene indicata la data del 2003 per il libero transito delle merci sulle linee transeuropee e del 2008 per il resto. Per garantire trasparenza nell’accesso all’infrastruttura, viene istituita in ogni paese un’Authority indipendente, con la prospettiva di istituirne una di livello europeo. Per il trasporto aereo si prospettano due priorità: creare entro il 2004 il “Cielo Unico Europeo” e rivedere il regolamento per l’assegnazione degli slot orari. Si punta al programma Marco Polo per creare una vera intermodalità; in esso sono previsti finanziamenti di circa 90 milioni di Euro all’anno per le iniziative che propongono alternative alla strada. Il progetto più ambizioso per quanto riguarda le infrastrutture è quello di creare una rete ferroviaria interamente dedicata alle merci, sul modello degli Stati Uniti. E’ previsto, inoltre, il completamento dell’Alta Capacità italiana nel tratto Torino – Milano – Bologna – Napoli, in tutto 830 Km. Per i finanziamenti si propone una soluzione innovativa e cioè utilizzare i fondi dei pedaggi, raccolti nell’utilizzo delle infrastrutture, per finanziarne di nuove. In questo caso, la strada finanzierebbe una modalità alternativa, la ferrovia. Il nostro Paese dovrà rapportarsi alle indicazioni previste dal Libro Bianco e procedere celermente al superamento dell’attuale gap tecnologico ed infrastrutturale rispetto agli altri paesi. In particolare, esiste un problema relativo alle nostre imprese che hanno bisogno di interventi mirati alla implementazione di una vera organizzazione industriale per rapportarsi in ambito europeo e vincere la competizione nel mercato UE. Conosciamo le ragioni oggettive da cui derivano i ritardi delle nostre aziende: esse sono in difficoltà soprattutto per aver operato (anzi vivacchiato) più a lungo in un mercato chiuso e in regime di monopolio. Questo ha generato una scarsa capacità imprenditoria- 2 le, una resistenza al cambiamento ed alla creazione di condizioni nuove per aggredire il mercato sempre più affollato da imprese non italiane. Vi è però una capacità intrinseca dell’impresa di trasporto legata alle caratteristiche peculiari e alla complessità del ciclo produttivo. Esistono professionalità dirigenziali, Know how, che non devono andare disperse nel cambiamento e nella ristrutturazione competitiva e che, invece, devono accompagnare e sorreggere il trasformarsi delle nostre imprese con piani industriali capaci di aggredire il mercato. Accanto a questo ragionamento, occorre riflettere sulla disparità nei trattamenti fiscali, che genera differenti opportunità per le imprese di trasporto. Su questo punto è necessario stabilire delle regole per non favorire alcune imprese a discapito di altre. L’impresa può avere la sua base sociale in qualsiasi paese ma ha l’obbligo di adempiere ad una norma fondamentale: quando sceglie di svolgere servizio di trasporto in un altro stato deve adeguarsi alle leggi fiscali vigenti in quello stato. Nel settore del trasporto aereo i processi di liberalizzazione hanno spinto, all’inizio, nell'ambito della gestione aeroportuale complessiva, le società di gestione alla ricerca di alleanze con gli altri gestori degli aeroporti del nostro Paese e, per quanto riguarda la gestione delle attività di handling, tra le stesse società di gestione e le compagnie di bandiera. Questo processo ha prima subito un arresto, poi è fallito miseramente. Oggi siamo in presenza di iniziative che tendono a scorporare le attività di handling dalle restanti attività, con l’introduzione di quote societarie di privati. La crisi del sistema aeroportuale, seguita agli attentati dell’11 settembre, sta rendendo tutto più difficile e pensiamo che, in questo settore, i processi abbiano bisogno di una più attenta e puntuale riorganizzazione e che sia fondamentale, su queste materie, la ricerca del consenso dei lavoratori e del sindacato. Anche i vettori hanno seguito la strada delle alleanze per meglio competere in un mercato che tende sempre più verso la liberalizzazione. La nostra compagnia di bandiera è in forte ritardo su questo fronte. Il fallimento dell’alleanza con KLM sta lì a dimostrare le difficoltà finanziarie derivate da una errata strategia. Per essere vettore globale bisogna attrezzarsi con una flotta capace di competere. La strada della ricerca di un partner che compensasse il deficit della propria produzione era la condizione per vincere la concorrenza ed affermarsi nel settore aereo. Questo del trasporto aereo in Europa rimane ancora un mercato protetto. Infatti, le compagnie di ogni singola nazione europea hanno il loro hub di riferimento e difficilmente in quelle realtà si liberalizzano i voli. Alitalia ha scelto due hub di riferimento: Fiumicino e Malpensa. Quest’ultimo doveva rappresentare l’insediamento produttivo della nostra compagnia di bandiera per il Sud dell’Europa. Speciale Ma i fatti recentemente accaduti, con l’aggravamento delle rovinose scelte strategiche di Alitalia, spingono autorevoli rappresentanti istituzionali a richiedere la liberalizzazione dei voli su Malpensa. Si vede chiaramente che il problema è più complessivo ed interessa il “Cielo Unico Europeo”. E si capisce che sono urgenti linee d'indirizzo e supporto normativo dell’Unione Europea, finalizzati alla liberalizzazione del settore in tutto il territorio dell’Unione. Altrimenti, ci potranno essere Paesi che diventano terra di conquista perché liberalizzano le loro attività e altri che mantengono un sistema protezionistico. Sotto questo aspetto, ci è sembrata emblematica la decisione dell’Assemblea di Strasburgo in materia di Trasporto Pubblico Locale. Contrariamente agli orientamenti espressi dalla Commissione Europea, che aveva licenziato un determinato testo, è stato messo in discussione il principio generale dell’indizione delle gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto pubblico. La scelta tra l’affidamento diretto e la gara viene rimessa, secondo il principio della sussidiarietà, nelle mani delle autorità locali, libere quindi di spingere sulla leva della competitività e del mercato o, al contrario, di mantenere in vita un sistema protetto e chiuso. Da qui potrebbe configurarsi un sistema misto che produrrebbe evidenti difficoltà nella gestione complessiva. Il risultato sarebbe un freno ai processi di liberalizzazione e di competitività. Questo esempio dimostra che ci sono alcuni paesi che vogliono mantenere situazioni protezionistiche in Europa, che non tutti marciano con la stessa velocità e che chi non ha liberalizzato può aggredire con successo mercati di altri paesi che hanno liberalizzato. Ecco perché, ripetiamo ancora una volta, che sono necessari indirizzi dell’Unione, unici ed applicabili senza interpretazioni localistiche, altrimenti il processo subirà uno stop pericoloso. Le opportunità per il lavoro La scorsa settimana, il giorno prima del vertice dei Paesi dell’Unione, si è svolta a Laeken una grande manifestazione dei sindacati aderenti alla CES, Confederazione Europea del sindacati. L’iniziativa aveva l'obiettivo di chiedere al Consiglio Europeo un impegno in direzione di sistemi di protezione sociale, di rivendicare il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e dei lavoratori, di richiedere migliori condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e servizi pubblici efficienti. Con la stessa forza i sindacati chiedono che la Carta dei Diritti, approvata nel precedente vertice di Nizza, rappresenti la base della futura Costituzione dell’Unione. Il sindacato, inoltre, spinge per un vero governo dell’economia, con lo scopo di coordinare le politiche economiche e di bilancio dei Paesi membri e per giungere ad una regolamentazione delle diverse politiche fiscali. Il lavoro, in un mercato più libero, ha bisogno di un sistema di protezione contrattuale diverso da quello costruito in presenza di aziende monopolistiche e nazionali. Giusta e lungimirante è stata la scelta di una sostanziale riforma del sistema contrattuale definito dalla FILT nell’Assemblea Programmatica di Malpensa 1999. In quell’occasione abbiamo costruito un innovativo modello contrattuale per governare i cambiamenti intervenuti nel nostro settore. Contratti più larghi, inclusivi di differenti attività lavorative, per evitare di avere, a parità di lavoro, diversi contratti di riferimento. Ritardi oggettivi, per responsabilità delle controparti, stanno creando situazioni, da noi verificate, di attività di servizio analoghe svolte da aziende che applicano contratti di riferimento diversi. Un esempio lampante è presente nella nostra Regione (ancora una volta interessante laboratorio in negativo) ed interessa la modalità di trasporto ferroviaria. Da qualche mese, sull’infrastruttura delle Ferrovie dello Stato, circolano convogli che appartengono a due imprese ferroviarie: Ferrovie Nord Milano e Trenitalia Cargo. I contratti dei lavoratori che vi operano fanno riferimento, per la prima impresa, a quello degli autoferrotranvieri e per la seconda, a quello dei ferrovieri. Diversi sono il salario, l’orario e la normativa di lavoro. Nonostante questa esperienza diretta eclatante (e lacerante per i lavoratori) non esiste, ancora oggi, nei gruppi dirigenti, un grado di consapevolezza e di preoccupazione tale da spingere con urgenza verso la ricerca di soluzioni di governo e di armonizzazione dei trattamenti contrattuali. Spesso verifichiamo una chiusura aziendale che riesce a dare risposte immediate, ma solo approssimative e parziali. Manca al management la capacità di una visione generale e, soprattutto, il respiro per affrontare le condizioni future. Le differenze contrattuali, in un mercato libero, danno alle controparti un’importante leva nella decisione su quale contratto applicare. E tutti noi abbiamo capito che la scelta si indirizza sempre e comunque verso il contratto che costa di meno. Lungo questa strada ci sarà sempre un riferimento contrattuale inferiore. Uguale problema si verificherà nel momento in cui si attiveranno, a partire dal 2003, le gare nel Trasporto Pubblico Locale per l’assegnazione del Servizio Ferroviario Regionale. E’ importante, quindi, conquistare uno strumento regolatore, quale il contratto delle Attività Ferroviarie, per difendere il lavoro e i lavoratori del settore. Infine, rileviamo che, dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre, l’economia dell’Europa ha subito un duro colpo e come conseguenza si prevede, per il 2002, un calo dell’occupazione, cosa che non accadeva dal 1997. E’ necessario realizzare un coordinamento delle politiche rivendicative e contrattuali affinché non si verifichi una perdita nel potere d’acquisto dei salari. Allo 3 Speciale stesso tempo, sono necessarie misure di stimolo a sostegno dell’economia, in particolare nel settore direttamente colpito dagli ultimi avvenimenti: quello dell’Aviazione Civile. L’Europa deve giocare un ruolo determinante per lo sviluppo dell’economia e per affermare diritti per i lavoratori vecchi e nuovi, che operano e che opereranno nei Paesi dell’Unione. Questi sono i temi che poniamo all’attenzione dei nostri interlocutori. Chiediamo il loro contributo per affrontare la nuova realtà dei trasporti con l’auspicio che l’iniziativa odierna porti ad una fruttuosa convergenza. MORENA PIVETTI Giornalista de “Il Sole-24 ore” Buongiorno, sono Morena Pivetti, mi occupo di trasporti a “Il Sole-24 ore” e ho il compito di moderare la tavola rotonda di questa mattina. Vi vorrei presentare i nostri ospiti: Marco Piuri, vicepresidente di ASSTRA (Associazione Società di trasporto) e, come voi ben sapete, Direttore Generale di Ferrovie Nord Milano Esercizio; Nicola Mandarino, Responsabile Direzione Strategie Qualità e Sistemi di Rete Ferroviaria Italiana, la società del gruppo FS che si occupa delle infrastrutture; Susanna Camusso, Segretaria generale CGIL Lombardia; Mario Sommariva, Segretario nazionale FILT; Betty Leone, Segretaria nazionale CGIL. Io mi rifaccio a quello che ha detto nell’introduzione il vostro segretario. La UE è molto decisa nel proporre l’apertura dei mercati e la liberalizzazione nel settore dei trasporti, vuole rompere i monopoli. Particolarmente determinata mi sembra la commissaria De Palacio che ha fatto battaglie anche rispetto al suo stesso paese di provenienza, cioè la Spagna. Meno determinati mi sembrano in realtà i Paesi e probabilmente anche il Parlamento di Strasburgo che, come ricordava Giuffrida, ogni volta che si trovano a discutere di direttive di liberalizzazione e di apertura dei mercati inseriscono degli elementi di freno, a volte comprensibili a volte meno. L’Italia in questo campo, in realtà, è un Paese all’avanguardia fra virgolette, cioè noi in questo settore non siamo il fanalino di coda dell’Europa anzi, i governi del centro sinistra, i ministri Burlando e Bersani soprattutto, hanno spinto sull’acceleratore delle liberalizzazioni e hanno cominciato a introdurre elementi di riforma generale nei vari comparti, dal trasporto aereo con l’istituzione dell’Enav alla legge che apre al mercato il trasporto pubblico locale. In qualche modo, finora, l’Italia ha espresso una volontà simile a quella della commissaria di proseguire sull’apertura dei mercati, vedasi per esempio l’ultima direttiva sui servizi portuali. Quindi diciamo che il primo punto di riferimento è l’Europa; il secondo sono le regioni perché in realtà, sia con le leggi di riforma sia con l’ultima legge costituzionale sul federalismo, le regioni sono oggi le titolari dei poteri che riguardano la program- 4 mazione del trasporto pubblico locale e delle risorse finanziarie. C’è poi un problema di armonizzazione. Infatti, se ogni regione assume scelte diverse, diventa difficile per le imprese operare in un mercato che ha regole disomogenee e per il sindacato darsi dei contratti nazionali. Questo per delineare il quadro nel quale ci muoviamo, gravato dal fatto che oggi, ne siamo tutti consapevoli, ci troviamo in un periodo di recessione e affrontare l’apertura dei mercati in una fase in cui non c’è crescita è un’operazione ancora più complicata. Io partirei quindi dai rappresentanti delle imprese, cominciando da Marco Piuri nella sua doppia veste. Come Direttore generale di Ferrovie Nord Milano Esercizio, l’unico altro operatore di merci sui binari FS oggi presente in Italia, (era partita anche RTC sul versante del triveneto ma poi si è fermata perché ha dei problemi coi locomotori, e questo sta a indicare come, pur essendoci 12 società ferroviarie che hanno avuto dal ministero la licenza e 5 che hanno avuto il certificato di sicurezza, FNME è oggi l’unico operatore partito) vorrei chiedergli se a suo parere le regole sono sufficienti o se c’è la necessità di un’ulteriore definizione, per esempio dell’istituzione di un’autorità terza nell’assegnazione delle tracce e nel controllo che non sia RFI. Come vice presidente di ASSTRA, gli chiederei se, sul versante del trasporto pubblico locale, le regole sono sufficienti oppure se, anche lì, sono necessarie integrazioni normative. MARCO PIURI Vicepresidente ASSTRA e Direttore Generale FNME Le considerazioni che ha fatto Giuffrida nella sua introduzione hanno dato la giusta prospettiva allo scenario. Allora, diciamo subito che le regole certamente non sono sufficienti, non sono in linea con le nostre richieste e sollecitazioni su due versanti. Cominciamo dal trasporto merci. Il trasporto merci è un’attività di mercato, nel senso che lì è sufficiente avere un’autorizzazione, poi se uno ha i clienti, i mezzi, le persone, il traffico, l’attività la organizza. Ma è un mercato molto particolare, cioè è un mercato dove, fino ad oggi, gli attori erano pochi, conosciuti e molto interconnessi tra di loro. Questi, inevitabilmente, non perché fossero cattivi, hanno costruito un sistema molto vischioso, complesso. Un sistema che mette un nuovo entrante, ad ogni passo, di fronte a una rete di relazioni, consuetudini, sistemi, poteri, rapporti, che ne rendono oggettivamente difficile l’attività. Infatti non è un caso che, a fronte di tante licenze concesse, di tanti certificati di sicurezza rilasciati, gli unici che sono riusciti a partire - ne siamo ovviamente molto orgogliosi - siamo noi FNME, forse perché siamo, e qui pecco un po’ di immodestia, l’unica vera ferrovia diversa di una certa consistenza che esiste in questo Paese. Dico questo non per dire che siamo particolarmente bravi, ma per dire che in un settore così si riesce ad Speciale entrare solo se alle spalle si hanno esperienza, conoscenza, competenza e una struttura di un certo tipo. Perché le regole non sono sufficienti? Qui non è tanto un problema di Rete Ferroviaria Italiana. Anzi, dobbiamo dire che l’atteggiamento di RFI nei confronti di Ferrovie Nord Milano è stato più che ineccepibile. Abbiamo trovato in loro degli interlocutori che si sono fatti carico del fatto che stavamo insieme disegnando alcune cose nuove, definendo procedure nuove e aprendo alcuni spazi. In questo senso devo dire che la collaborazione è stata assolutamente positiva. Ciascuno per la sua parte, ovviamente, ma ciascuno consapevole che stavamo scrivendo un pezzettino di storia, per quanto di settore, certamente significativa. Il problema non sta tanto lì, sta nell’impianto generale. Faccio due esempi: la questione di invocare da parte nostra una authority nasce dal fatto che gli interlocutori con i quali abbiamo lavorato così bene, domani potrebbero cambiare oppure questi stessi interlocutori potrebbero ricevere una pressione da parte dei cugini (non più fratelli) di Trenitalia particolarmente rilevante, cosa che sta già accadendo. Allora è chiaro che avere la garanzia che ci sia un soggetto terzo, non coinvolto in questo tipo di situazione e che possa garantire le regole fondamentali, è per noi assolutamente necessario. E provo a fare alcuni esempi per maggiore chiarezza. Come hanno diviso in casa FS i confini fra RFI e Trenitalia è discutibile, perché RFI deve garantire agli operatori e ai vettori una serie di prestazioni. Peccato che per garantire queste prestazioni, in molti casi, in base alla divisione dei compiti stabiliti tra i due soggetti, debba avvalersi di persone e risorse di Trenitalia. E qui comincia il giochino, per cui ogni tanto Trenitalia non ha le persone, non può, punisce quelli che hanno fatto alcune cose. Io ho i casi, non sto raccontando storie. Questo è un problema serio perché, di fronte a un comportamento assolutamente corretto di RFI, e considero RFI anche a livello operativo, abbiamo dall’altra parte l’impraticabilità di applicazione di alcune regole perché, la distinzione dei compiti, delle funzioni e delle attribuzioni di risorse non è stata disegnata in maniera, diciamo così, totalmente efficace. Se si richiede ai nuovi entranti e ai vettori di avere disponibilità tali per cui in ogni terminale noi dovremmo collocare i nostri mezzi di soccorso, le persone per fare le manovre, capite bene che il piano della liberalizzazione è impraticabile; se questi mezzi sono di Trenitalia, capite che qualche problema nasce. Sto esemplificando, forse un po’ banalizzando, ma ci sono altre questioni. Se dovesse sorgere un problema di circolazione lungo la linea, che evidentemente ha ripercussioni nei rapporti contrattuali con i clienti, come facciamo a capire se la responsabilità è del conduttore della rete o del gestore dell’infrastruttura? La risposta è stata: facciamo la commissione. Bene, chi la fa la commissione? RFI da sola no, perché se dobbiamo capire se la responsabilità è del vettore o della rete, non può essere uno dei due attori che definisce di chi è la responsabilità. Potremmo andare avanti così per capire l’assoluta necessità di immaginare un soggetto terzo, certamente di mettere mano un po’ alle regole. Ma ci sono questioni anche più rilevanti, per esempio i meccanismi attraverso cui è possibile chiedere le tracce e fare abilitare i mezzi, secondo me non vanno bene. E’ un’anomalia che le tracce possano essere richieste solo dal vettore ferroviario. Esistono oggi nella catena del trasporto merci degli attori che hanno i clienti, organizzano il traffico e il mercato, ai quali dovrebbe essere garantita la possibilità di chiedere tracce, perché la richiesta della traccia e la costruzione dell’offerta sono elementi decisivi per questi attori nel rapporto col mercato. Questo è un altro meccanismo che non facilita l’apertura ma crea anzi qualche problema, perché alla fine i signori che fanno attività per UPAC, CEMAT, ecc. devono passare necessariamente dagli operatori che hanno la licenza e quant’altro. Ma questo vale anche nel trasporto locale. Per esempio, secondo me, nel trasporto locale le tracce dovrebbe chiederle la Regione perché è la Regione che deve fare la programmazione, definire i servizi minimi, trattare con RFI per dire: per i trasporti locali questo è un pacchetto di tracce di cui abbiamo bisogno. RFI deve poi combinarlo adeguatamente, facendo i conti con la parte Cargo, con la parte Passeggeri a lunga percorrenza. Oggi non è così, oggi le Regioni non possono chiedere tracce. Allora, ci sono degli elementi nel sistema che evidentemente vanno messi a punto. Certamente il fatto che possa esistere un’authority o comunque dei meccanismi terzi che garantiscano, è condizione assolutamente necessaria perché il processo di liberalizzazione, quanto meno sul versante cargo, possa proseguire. E questo ovviamente vale anche, e qui tocco un altro punto, per quello che riguarda il contratto di lavoro e quindi l’organizzazione del lavoro. Io non so se è così lacerante la decisione di prevedere due contratti diversi per persone che fanno lo stesso mestiere. Come ASSTRA noi abbiamo sempre posto la questione e dichiarato la disponibilità per un contratto unico di settore, a due condizioni: la prima, il contratto unico di settore non è quello delle Ferrovie dello Stato perché è un contratto assolutamente non economico e non competitivo, che ha una serie di impostazioni che nessuno può permettersi; la seconda, dobbiamo capire che cosa vogliamo che contenga il contratto unico di settore. Per noi, il contratto unico di settore è un contratto nazionale leggero che contiene le regole fondamentali, certamente di tipo normativo, le regole fondamentali di tipo economico e lasci poi spazio alla contrattazione aziendale. Questo per la legittima previsione che, in una logica di mercato, le aziende devono essere messe in condizione di essere più brave o meno brave tra di loro. Questo è uno dei fattori, non è l’unico ma forse il più rilevante e costoso, che inci- 5 Speciale de sul bilancio aziendale in un certo modo. Noi avvertiamo l’esigenza di un contratto unico di settore, di alcune regole definite per tutti, in particolare la prevista normativa della sicurezza. Far girare un treno, lo sapete meglio di me, non è esattamente così semplice, così facile come far girare un camion piuttosto che un’auto. Però bisogna capire che significato dobbiamo attribuire al contratto di settore. Direi innanzi tutto che il tema è relativo alla normativa e alla sicurezza più ancora che alla componente economica, mi riferisco alla situazione degli autoferrotranvieri che tutti conoscete bene. Esistono differenze dal punto di vista economico molto rilevanti fra Ferrovie Nord Milano e altre aziende del settore che applicano lo stesso contratto perché lì entra in gioco, ovviamente, la dinamica di tipo aziendale. Se paragonate, dal punto di vista economico, il contratto di Ferrovie Nord con quello di Ferrovie dello Stato, le differenze non sono così rilevanti. Il problema non è tanto di tipo economico ma è proprio di regolazione del sistema e di normativa, di possibilità di utilizzo delle risorse. Qui noi siamo disponibilissimi, interessati al fatto che ci sia un tavolo, un luogo dove si discuta e si possa, insieme, creare un contenitore contrattuale rispondente alle esigenze di entrambi. Perché, ha perfettamente ragione Giuffrida: quando un mercato è sempre più aperto, è necessario che i meccanismi di salvaguardia verso i lavoratori siano ben definiti. Occorre evitare però che siano messi in atto meccanismi incontrollati che portino poi a condizioni di monopolio simili a quelli del passato, ad imbrigliare il sistema, determinando quelle situazioni di inefficienza e inefficacia. a tutti note. Quindi, sotto questo aspetto, colgo ancora l’occasione per rilanciare e per dire che, da parte di ASSTRA, c’è tutto l’interesse e la disponibilità ad aprire un confronto, purché, non ci sia ripetuto che il contratto è quello delle Ferrovie dello Stato perché non apriremmo nemmeno la discussione. Quello delle Ferrovie dello Stato sia il contratto aziendale di Trenitalia, se così vogliamo dire, ma facciamo un contratto di settore in cui le aziende possano definire i loro spazi di azione. Faccio solo una battuta ed è veramente l’ultima. Mi rendo conto che in 10 minuti uno tende a semplificare e apparire anche banalizzante o a tranciare alcune valutazioni che poi, in realtà, sono più complesse, ma è vera la contraddizione che Giuffrida ha messo in evidenza nella sua relazione. A fronte della enorme portata della trasformazione a cui si sta lavorando in questo settore, ci sono un’infinità di comportamenti diversi e scoordinati tra le parti in causa, soprattutto istituzionali. Dobbiamo far capire a tutti, in tutti i modi che, posta una regola generale, devono esserci poi gli spazi per cui le caratteristiche proprie del settore siano salvaguardate. Così come è scritto l’articolo nella Finanziaria, diciamo che forse più o meno ci siamo, anche se non siamo soddisfattissimi. Ma in questa fase i problemi e le contraddizioni stanno interessando ovviamente tutti. 6 Vi posso garantire che, in ambito ASSTRA, i problemi sono enormi perché abbiamo una piccola questione da affrontare: imprese che, fino ad oggi, erano monopoliste a casa loro e che si trovavano al tavolo per fare lobby sui vari fronti dei livelli istituzionali e portare a casa i soldi, avendo attenzione solo al proprio ambito e quindi col fortissimo intreccio con il livello locale della politica, oggi cominciamo a guardarci come imprese concorrenti. Questo cambia radicalmente il rapporto fra le imprese, cambia radicalmente quella che doveva essere l’essenza di missione di una associazione di imprese. Noi siamo nel pieno di questo guado difficilissimo, spero che ne usciremo. Oggi in ASSTRA si ritrovano ancora realtà che, derivando da aziende di trasporto, si sono trasformate in agenzie, alle quali sono attribuiti compiti diversi. Certamente la sfida che abbiamo di fronte è enorme perché stanno cambiando, in maniera radicale, i connotati del nostro sistema. Io credo che qui bisogna avere molto coraggio e un po’ di incoscienza; bisogna cercare, a partire da rapporti di stima personale e di credibilità personale, di provare a costruire dei percorsi certamente difficili ma che, personalmente, considero irrinunciabili e irreversibili. Non abbiamo alternative. Immaginare che il sistema così com’è si possa difendere è come immaginare di fermare una diga che comincia a creparsi; ci mettiamo un turacciolo, poi ci mettiamo una mano ma quando la diga crolla, crolla. Noi abbiamo la possibilità, invece, fra soggetti diversi, di costruire dei percorsi più adatti al contesto che dobbiamo fronteggiare. Se non facciamo questo non perdiamo solo un’occasione storica, creiamo un danno enorme alle nostre imprese, ai lavoratori, al Paese. MORENA PIVETTI Grazie al dott. Piuri. Chiarisco che lui faceva riferimento all’ATAC, l’agenzia che a Roma ha adesso la proprietà delle reti e delle infrastrutture a cui il Comune sta passando tutto il patrimonio, che ha bandito l’ultima gara per un certo numero di chilometri aggiuntivi e che è stata scorporata da TRAMBUS, società di gestione che fa solo la gestione, così come si cominciano a definire i quadri di alleanza. In Lombardia ancora non si è capito cosa ATM voglia fare, probabilmente ATM è così grande e importante che pensa di stare da sola, vedremo. Certamente a Torino ATM e SATI che sono le due aziende di extraurbano e urbano lo hanno fatto, si sono unite tra di loro, insieme a loro c’è TRANSDEC, una società francese che sta cercando di entrare in più punti in Italia; hanno fatto un accordo con tutte le imprese private della provincia di Torino, così, quando faranno le gare in quella provincia, ci sarà un soggetto unico. Queste sono le contraddizioni tra il vecchio monopolio e le nuove gare. Così come a Roma TRAMBUS ha fatto l’alleanza con Firenze, con Bologna, adesso si è aggiunta Cagliari. SITA, che è privata tra virgolette perché è comunque di Speciale Ferrovie dello Stato, ha fatto un raggruppamento con Perugia. Insomma c’è tutto un movimento sul fronte delle alleanze nel trasporto pubblico locale molto interessante. Per tornare invece al dottor Mandarino, ovviamente avrà da rispondere a Piuri, ma volevo aggiungergli qualche domanda anch’io. Naturalmente la cosa che ci interessa è sempre questa delle regole. Quindi RFI è regolatore, la commissaria europea dice che bisogna fare l’autorità per la sicurezza ferroviaria, che è cosa diversa da un’autorità che vigila sulle regole e sulla uguaglianza di accesso alla rete e qui chiediamo: come si sente RFI in questa fase tenendo conto appunto che, poiché l’unico soggetto oggi è Ferrovie Nord Milano, noi rischiamo che arrivino gli stranieri a fare il trasporto ferroviario locale, che parte per primo con le gare 2003? (Dice poi la commissaria che nel 2008 toccherà a passeggeri lunga percorrenza). Poi volevo porre un altro quesito. La UE insiste molto sulla necessità di spostare quote di traffico dalla strada alla ferrovia (anche perché, con la crescita prevista, del 4% all’anno per 10 anni, l’Europa si ferma, non si ferma solo l’Italia); i soldi per costruire nuove infrastrutture non ci sono, quindi la commissaria dice “usiamo quello che abbiamo, soprattutto usiamo le ferrovie, però questa è l’ultima chance per le ferrovie in Europa. O la vinciamo adesso o non ce la facciamo più”. So che RFI ha elaborato un grosso programma di questo circuito alternativo per le merci, quindi chiederei anche di fare un punto su questo. NICOLA MANDARINO Direttore Strategie Qualità e Sistemi - RFI Buon giorno a tutti, permettetemi di cominciare portando i saluti dell’Ing. Mauro Moretti che, come certamente saprete, per lunga tradizione personale avrebbe gradito essere qui oggi e avrebbe sicuramente risposto meglio alle domande e alle osservazioni che cominciano ad essere messe in campo. Io proverò a rispondere alle diverse questioni poste. Mi corre l’obbligo di ringraziare il dott. Piuri per le cose carine che ha detto nei nostri confronti. Cercherò di chiarire un po’ meglio i contorni degli aspetti legati al problema delle regole e poi, se il dibattito in qualche modo lo consentirà, ci sono degli spunti di ragionamento che mi farebbe piacere porre. Le regole: è evidente, ne abbiamo tutti coscienza, che siamo in un processo di grandissima trasformazione, molto magmatico e complicato e che ci sono comportamenti assolutamente non coerenti da parte dei vari attori in campo. Partendo da quello che diceva il dott. Piuri, ci sono alcuni problemi legati alla necessità di forzare il processo avviato per la effettiva liberalizzazione, e badate bene liberalizzazione non privatizzazione, del settore trasporto ferroviario. I problemi riguardano la possibilità di far partecipare ai meccanismi di allocazione delle tracce soggetti che non sono imprese ferroviarie. Questo è il tema conosciuto a livello europeo come la tematica dell’authorize applicant, cioè del soggetto che, imprenditorialmente messo in campo, può fare richiesta di tracce, non avendo direttamente i mezzi di produzione per poter esercire direttamente il traffico una volta acquisite le tracce stesse. E questo pone un problema sia per quanto riguarda interlocutori istituzionali, ad esempio le regioni, sia nel settore merci per operatori di tipo trasportistico che non siano imprese ferroviarie. Questa figura era già prevista nelle prime direttive, quelle che hanno aperto il mercato, cioè le direttive della 440: si sta parlando di questo tema dal 1980. Questo tema è stato bloccato più volte a livello di Parlamento europeo, in particolare per l’opposizione della Francia e della Germania che, non a caso, sono i paesi che hanno fatto la finta liberalizzazione. I francesi hanno costruito una RFF, una rete ferroviaria che è dentro, semplicemente una struttura finanziaria che dipende direttamente dal ministero e che utilizza invece in maniera completa i servizi, gli uomini, i mezzi di SNCF. Il mondo tedesco ha costruito sulla carta una struttura simile alla nostra, con un gruppo sostanzialmente e fortemente integrato in cui la rete ferroviaria tedesca, di fatto, si muove come punta di diamante della DB Cargo, cioè dell’impresa di trasporto ferroviaria merci tedesca. Si è creata dunque una situazione di disparità di trattamento e di impostazione mentre noi, invece, nell’impostare un vero mercato ferroviario abbiamo fatto grossissimi passi avanti dal punto di vista normativo e di regolamentazione del settore. Le strutture che sono oggi in campo, la definizione dei rapporti attraverso l’atto di concessione, il contratto di programma con il ministero, le strutture di contrattualistica che sono state scritte nei confronti delle imprese ferroviarie, le metodologie, la chiarezza di responsabilità tra la concessione delle licenze e l’allocazione delle tracce credo che costituiscano un insieme di regole e di meccanismi di rapporti contrattuali estremamente avanzato, non ancora perfetto, ovviamente, ma in grado di avviare un processo di buona entrata. Tant’è vero che qualche esperienza comincia ad esserci e iniziano i problemi collegati all’apertura di un sistema produttivo abbastanza complesso. Noi ci troviamo di fronte a questa situazione, grazie anche all’articoletto introdotto dalla finanziaria dello scorso anno, l’art. 138, che consentiva a imprese ferroviarie straniere che avessero aperto una sede in Italia di effettuare traffici non soltanto di tipo merci ma anche di tipo passeggeri, non in condizione di impresa internazionale. Quindi, in sostanza, con quell’articolo noi potenzialmente liberalizzavamo anche il mercato interno, oltre a quelli che sono i vincoli della 440, a patto che lo stato straniero in cui l’impresa era residente attuasse condizioni di reciprocità nei nostri confronti. Quindi, come vedete, il nostro impianto interno, sia come legislazione sia come strumenti realizzati dal punto di vista del gestore di infrastruttura, è sufficientemente aperto per accogliere e 7 Speciale far avanzare il processo di liberalizzazione. Se passiamo dal fronte delle regole al fronte delle applicazioni concrete, ci sono sicuramente molti problemi operativi, però va fatta una distinzione tra l’evidente difficoltà legata alla complessità delle attività produttive che si svolgono nel settore e i problemi di contrattualizzazione da mettere a posto, da migliorare nel corso della pratica concreta. In particolare, faccio riferimento all’introduzione che avverrà in via sperimentale con il prossimo anno, da parte di RFI, del controllo del livello di puntualità sulla circolazione, merci e passeggeri. Sarà realizzato attraverso un sistema speriamo trasparente, equo e non discriminatorio che consentirà, con un meccanismo finanziario, il bonus e penalties, di dare evidenza, visibilità e trasparenza ai danni che una gestione sbagliata e poco attenta del traffico può dare quotidianamente a tutti coloro che utilizzano il mezzo ferroviario. E questa è una completa novità, non solo per il settore ferroviario, ma per tutti gli altri settori del trasporto. Non mi risulta che una cosa del genere esista altrove e nemmeno a livello europeo, tant’è vero che l’introduzione di questo nuovo meccanismo, che l’atto di concessione ci impone a partire dal 1° gennaio 2002, è da noi avviata con estrema prudenza, anche per vedere che tipo di risultati possa portare all’interno del corretto svolgimento delle operazioni quotidiane. Sulle merci non dimentichiamo la tradizione che il trasporto ferroviario merci ha nel nostro Paese. Riferendomi alla situazione strutturale della nostra rete, essa è definita tecnicamente una rete banalizzata, cioè abbiamo binari su cui può correre qualsiasi tipo di traffico, a differenza di altri paesi che hanno impostato fin dall’inizio circuiti alternativi specificamente dedicati a tipologie di traffico definite, cioè circuito specifico per passeggeri, circuito specifico per merci. Noi abbiamo fatto una scelta diversa e, di conseguenza, abbiamo oggi un problema molto più difficile e rilevante, nel momento in cui vogliamo passare a orientare specificamente dei traffici merci su circuiti direttamente a loro riservati. In secondo luogo è tradizione, non svelo certo altarini, che la priorità rispetto al traffico passeggeri è sempre stata maggiore rispetto a quella che era messa in campo verso le merci, priorità sia rispetto all’allocazione delle tracce sia rispetto alle allocazioni dei mezzi produttivi. Nella ferrovia fino a ieri unificata, le macchine migliori, i mezzi migliori e le tracce migliori andavano al passeggeri, al merci andavano gli elementi produttivi meno qualificati. Così oggi non è più, o quanto meno le dinamiche oggi sono tali da corresponsabilizzare direttamente Cargo sui propri mezzi di produzione, non c’è più qualcun altro che agisce o che decide su come debbono essere allocate tracce, macchine, uomini; Cargo è in grado di gestirsi direttamente la propria flotta, i propri mezzi, le proprie persone. Già questa impostazione, responsabilizzando di più la 8 struttura, dovrebbe consentire di aprire dinamiche più importanti. In prospettiva poi, il cambio di logica impostato sul discorso alta velocità, passando da un’idea di alta velocità ad un’idea di alta capacità, dovrebbe anche consentire un profondo miglioramento della capacità a disposizione delle merci perché il sistema di alta velocità sta ridisegnando anche per accompagnare al suo interno un utilizzo di quelle tracce da parte di treni merci. Anche in questo caso, la prospettiva è di forte espansione della capacità a disposizione del traffico. Il problema è: che facciamo da oggi fino a quando il sistema di alta velocità sarà in piedi? Come ci muoviamo da qui ai prossimi 5 anni all’interno di quella che è l’ultima occasione, che correttamente veniva riportata all’interno del libro bianco? L’idea che c’è dentro il libro bianco è un’idea tutto sommato conservativa rispetto al traffico ferroviario. Si dice che, se vogliamo fare in modo che la modalità ferroviaria sostanzialmente non scompaia ma mantenga il livello di penetrazione che ha oggi, deve crescere a ritmi spaventosi quindi non poniamoci obiettivi irraggiungibili e di ulteriore crescita ma poniamoci almeno obiettivi raggiungibili di mantenimento della situazione di attuale occupazione di quote di mercato. La soluzione degli itinerari alternativi o l’ipotesi di costruzione di itinerari specificamente dedicati al settore merci, sono investimenti importanti anche in termini di cifre complessive nell’arco del piano d’impresa approvato dall’azionista, il Ministro del Tesoro, l’anno scorso. Il piano prevede obiettivi di circa 2000 nuovi chilometri di itinerari alternativi merci che arrivano, nell’orizzonte di piano, a garantire un’offerta complessiva di oltre 11 milioni di treni chilometro specificamente legati alle merci. In termini di soldi investiti, abbiamo in piedi progetti che si aggirano intorno ai 400 miliardi con riferimento ai finanziamenti al vecchio contratto di programma; nel nuovo contratto di programma la tabella 3 prevede, dal 2001 al 2005, altri 350 miliardi per questa tipologia di investimenti. Investimenti che sono orientati sia a collegare i mercati del sud con il nord e quindi con l’Europa (in particolare la direttrice adriatica Bari Taranto), sia in qualche modo a decongestionare i nodi importanti del nord Italia, quindi tutta la rete delle linee secondarie del nord Italia intorno ai nodi di Verona, Modena, Bologna (con l’acquisizione della Parma-Suzzara), tutti gli itinerari padani e lo sbottigliamento del nodo di Genova, anche nella logica della cosiddetta autostrada viaggiante richiamata più volte nel libro bianco, che dovrebbe collegare il Sempione, Novara fino al porto di Genova col nuovo servizio all cube. Dietro questo tipo di iniziativa c’è una logica nuova che deve guidare il modo in cui facciamo gli investimenti nei grandi nodi metropolitani, specificamente per quanto riguarda il traffico merci. Innanzi tutto traffici specializzati e poi l’idea che le merci non devono più arrivare direttamente dentro le grandi città, ma Speciale devono essere in qualche modo accolte all’interno di gronde che evitano l’imbottigliamento del nodo stesso. Questo comporta la ricollocazione dei grandi centri intermodali e una ricomposizione della produzione dell’intero sistema perché poi, ovviamente, dai grandi centri intermodali bisogna in qualche modo penetrare nelle città, e quindi c’è bisogno di ricostruire la filiera in modo tale che il rapporto intermodale tra treno e altri mezzi di trasporto, in questo caso trasporti più leggeri, sia costruito in maniera organica e logisticamente efficace. Chiudo con una riflessione che può essere forse collegata anche agli ultimi ragionamenti che si facevano in termini di omogeneità dei contratti di lavoro. Con il gestore di infrastruttura nasce una figura nuova all’interno del settore che corre però un grande rischio, quello di essere rifagocitata all’interno di una logica tutta pubblica. Una lettura semplificata del meccanismo di liberalizzazione del settore potrebbe far dire: abbiamo capito che vogliamo liberalizzare in prospettiva un pezzo di settore, ma il gestore rimane all’interno del mondo pubblico ed è quello che poi fa gli investimenti e, in qualche modo, continua a essere il braccio armato della politica ferroviaria degli Stati. Questa è una visione vecchia che non ci porterebbe da nessuna parte e che già oggi è contraddittoria rispetto alle norme che sono in campo. Tenete presente che la normativa europea e quella già tradotta nella normativa italiana, impongono al gestore di muoversi in una logica che è quella dell’impresa, non quella del vecchio ente di stato. La visione diversa, che ci sembra sia funzionale a un’ulteriore crescita e sviluppo dell’intero settore, è quella che vede nel gestore il soggetto che riesce ad aprire veramente il mercato, avendo innanzi tutto comportamenti non burocratici verso i nuovi entranti. Che garantisce a tutti livelli di sicurezza e garanzie sulla tenuta dell’intero sistema, tali da tranquillizzare l’utente finale e gli operatori professionali. Che governa in prospettiva gli investimenti, in una logica che non è più soltanto quella del mantenimento o dello sfruttamento delle tratte puramente commerciali ma anche quella dell’equilibrio territoriale perché questo è, chiaramente, un compito che rimane tutto nelle mani del gestore. MORENA PIVETTI Ringrazio il dottor Mandarino e rimarrei sul tema della logistica delle merci con Mario Sommaria. Questo è il settore diciamo più di frontiera, più innovativo, quello da cui ci si aspetta la maggiore crescita. E’ anche il settore che dovrebbe riorganizzare le infrastrutture esistenti usandole al meglio e quindi efficientare il sistema, perché il trasporto non è solo infrastruttura ma è anche utilizzo di tutte le modalità in maniera combinata. Qui di logistica si parla moltissimo, non è chiaro bene quanta se ne faccia davvero e quindi gli chiede- rei un po’ quali misure secondo lui vanno messe in campo per aiutare il combinato e la logistica. Altri paesi, per esempio l’Austria, stanno studiando sistemi piuttosto pesanti per sostenere le ferrovie, cioè chi utilizza la strada paga una quota che poi serve ad incentivare il trasporto delle merci per ferrovia L’Italia pensa invece a dare incentivi agli autotrasportatori per mettere i camion sui treni. L’ultima considerazione che vorrei sottoporre a Sommariva è questa: noi su questo fronte siamo in realtà una terra di conquista, cioè siamo un paese molto appetibile perché produciamo molto trasporto (sul versante aereo questo dato è clamoroso), però i grandi gruppi che operano non sono gruppi italiani e noi rischiamo. Altri fanno business sul nostro bisogno di trasporto e noi italiani fatichiamo. MARIO SOMMARIVA, Segretario nazionale FILT I temi posti sono sostanzialmente due. Il primo: come fare una politica di riequilibrio modale e come far sì che il trasporto merci sia un fattore di razionalizzazione dell’intero sistema. Il secondo: un’analisi della situazione italiana dal punto di vista della qualità degli operatori. Tema molto importante, quest'ultimo, per gli interessi nazionali dato l’ingresso di svariati soggetti internazionali nel mercato italiano. Sul primo punto direi che il problema è sostanzialmente legato all’azione di governo. Occorre coniugare, in maniera anche efficace, il tema della liberalizzazione col tema della programmazione e in questo campo il mercato, come vuole la tradizione scolastica, non è il migliore allocatore delle risorse al punto giusto, secondo la migliore modalità, secondo la migliore razionalità. Il mercato del trasporto delle merci, per sua natura, tende a crescere in maniera anarchica secondo regole che non sono né le più razionali, né le più economiche, né le più adeguate all’interesse generale, altrimenti non sarebbe all’ordine del giorno il tema del sistema di trasporti sostenibile. Se il mercato, l’organizzazione degli operatori, fosse tale che, da solo, per suoi meccanismi intrinseci, riuscisse a rispondere anche al tema dell’interesse generale e della sostenibilità del sistema dei trasporti, non avremmo avuto le iniziative che, specialmente dall’Europa, ci sono venute in questi anni. Dunque, noi dobbiamo affermare, con chiarezza, che, da alcuni mesi, non abbiamo più un riferimento generale di programmazione per la politica dei trasporti nazionali in quanto il piano generale dei trasporti, varato da pochi mesi, mi pare sostanzialmente accantonato dal nuovo responsabile del dicastero, oggi ministero delle infrastrutture. Tra l’altro, questa scelta del Governo, di mantenere insieme infrastrutture e trasporti, doveva appunto avere un forte connotato programmatorio, cioè un’unica regia che sapesse tenere insieme sia la politica delle infrastrutture, sia la politica della gestione delle modalità di trasporto, con una visione globa- 9 Speciale le della dinamica di questo mercato. Le scelte avviate dal Governo in questi primi mesi sono basate quindi su una politica dei trasporti tutta centrata su una scelta, molto opinabile e disordinata, di rilancio di una politica infrastrutturale tout court: la politica delle grandi opere. Quindi il primo elemento di riflessione che farei riguardo alla politica dei trasporti è sulla necessità di aiutare il processo di riequilibrio modale con un’azione necessariamente lunga, profonda, che tenda a modificare strutturalmente il sistema dei trasporti. Ricordava la dottoressa Pivetti le previsioni di crescita del trasporto merci che vi sono nel libro bianco. Questa crescita, secondo le previsioni di tutti gli operatori e di osservatori qualificati di questo settore, porterà ad una situazione di paralisi dell’infrastruttura europea, del sistema dei trasporti europei entro il 2010. Pensiamo che cosa sarebbe il 50% di mezzi pesanti sulle nostre strade rispetto alle situazioni che quotidianamente conosciamo, il 50% in più entro otto anni all’interno delle grandi aree urbane. Significa qualcosa di drammatico che inciderebbe direttamente sulla vita quotidiana delle persone con effetti di peso straordinario. Allora, di fronte a questo, noi verifichiamo l’assenza di una politica di programmazione, con un piano generale dei trasporti generico, che non indica misure efficaci che vadano nel senso del riequilibrio modale. Anche su questo terreno rileviamo che il Governo, in modo preoccupante, si colloca ai margini dell’Europa e, sostanzialmente, esercita la propria attività in maniera contradditoria rispetto agli indirizzi europei. E’ evidente che i tempi lunghi di una seria politica intermodale cozzano con i tempi brevi dell’emergenza che ha questi riscontri drammatici. Questo significa saper effettuare scelte dolorose e, in qualche modo, sviluppare un’azione non di dirigismo, però sicuramente di programmazione forte. Occorrerebbe introdurre subito, anziché una politica di incentivi all’autotrasporto, una politica molto più intelligente, come hanno fatto in Svizzera e in qualche modo anche in Austria. Si tratta di scelte indicate nel libro bianco europeo, che inducono la modalità stradale a finanziare le proprie alternative. Ricordo che in Svizzera viene indirizzato al finanziamento della costruzione di infrastrutture ferroviarie il 20 % del pedaggio del mezzo pesante, così come il 25% della tassa sugli oli minerali, anche l’1% dell’IVA globale è indirizzata al riequilibrio modale. Qui mi pare che si faccia esattamente il contrario. C’è una cosa che poi riprenderò legandomi alla questione degli operatori stranieri. Oggi, ad esempio, il gruppo Autostrade che è privatizzato ed è uno dei più grandi soggetti economici presenti nel nostro Paese in termini di capacità finanziaria, ha unicamente la missione di riprodurre se stesso ricostruendo altre autostrade. Trovo che questa sia una cosa sciagurata. Potrebbe essere una scelta lungimirante per il gruppo Autostrade destinare parte dei pedaggi autostradali al finanziamento di iniziative di intermodalità, alternati- 10 ve al traffico stradale. Fare il 35% in più di utili e non finalizzarli a nulla risponde a un modello di privatizzazione fatto senza pensare ad una politica industriale complessiva. E ciò, indubbiamente, crea molti problemi. Io non trovo alternative, in alcune situazioni, anche a disincentivi e a contingentamenti. Penso alla questione del Monte Bianco e del Frejus con i sensi unici alternati ed all’effetto dirompente sulle popolazioni di quei territori. Nello stesso tempo, i circuiti ferroviari e alternativi hanno tempi lunghissimi. Io questa questione la devo risolvere oggi. In alcune situazioni non ho altro da fare che imporre determinati comportamenti e soluzioni, anche se mi rendo conto che oggi il mercato e l’organizzazione della circolazione delle merci non accettano imposizioni violente. Siamo, come dire, in presenza di un animale che non si riesce in alcun modo a domare, però abbiamo il problema, in alcune situazioni, di effettuare interventi a mio avviso di forte azione e di coercizione, anche in positivo. Io faccio sempre questo esempio perché è una delle misure di più semplice adozione ma che non è mai presa in considerazione da nessuno, salvo che da qualche studioso di minoranza dal punto di vista della cittadinanza delle idee. Uno dei temi centrali per ridurre l’impatto del trasporto delle merci è la riduzione del numero dei viaggi degli autotrasportatori, cosa che sarebbe possibile con un minimo di investimento, parliamo di pochi milioni di lire, in termini di gestione comune dei pieni e dei vuoti e la razionalizzazione dei viaggi, attraverso il consorziamento delle imprese, non tanto per farli consorziare in toto ma quanto meno per consorziarli rispetto a questo tema. Da solo non lo farà nessuno, non è all’ordine del giorno in alcun dibattito il tema che potrebbe magari ridurre del 20%, ma fosse anche del 10%, il numero dei viaggi. Sappiamo infatti che l’80% dei viaggi sono al di sotto dei 200 km, quindi, per esempio, uno degli indirizzi programmatori delle regioni rispetto al territorio potrebbe essere quello di costringere le imprese di autotrasporto a gestire vuoti e pieni attraverso delle autorità di bacino, ovvero altri soggetti economici o imprese costituite ad hoc. Queste cose vanno realizzate oggi perché l’emergenza è qui ed adesso, non domani. Credo sia anche assolutamente necessario pensare in grande, pensare al finanziamento di infrastrutture alternative ed alla riorganizzazione del vettore ferroviario. Quest’ultimo ha comunque un limite di flessibilità invalicabile, perché uno dei problemi delle ferrovie, oltre alle cose che ci diceva il dott. Mandarino, è determinato anche dalla modifica della struttura del trasporto delle merci in Italia. Si è ridotto il numero delle grandi industrie pesanti mentre, un tempo, siderurgia e chimica pesante rappresentavano le tradizionali e più importanti merceologie trasportate via ferro. Il just in time e tutte le modalità attuali di organizzazione della produzione del commercio (pensiamo cosa vogliono dire i Speciale centri commerciali aperti 7 giorni su 7 tutto l’anno, non solo a Natale) creano problemi di logistica, di distribuzione delle merci con un impatto bestiale. Per cui credo che qui si dovrebbe esercitare veramente il ruolo di governo, delle regioni, dei comuni, di autorità di bacino per imporre comportamenti alle imprese, semplicemente perché le imprese non possono farlo in quanto, giustamente, agiscono secondo altre logiche che non sono quelle di un’organizzazione generale dei trasporti. Alla domanda se a mio avviso il sistema del trasporto merci non razionalizza niente di per sé, ma ha bisogno di soggetti di programmazione che indirizzino i comportamenti delle imprese, rispondo rifacendomi alla questione dell'Italia come terra di conquista. Intanto, i buoi sono già scappati dalla stalla abbondantemente, per cui questa domanda non ha una risposta nel senso che oggi l’unica cosa possibile, ma non so quanto praticabile, è l’intervento dei grandi soggetti economici italiani privatizzati, comprendendo fra essi anche le ferrovie, seppure ancora in mano pubblica. Io sono stato molto critico sulla gestione Necci, però Necci aveva un’idea di ferrovia molto innovativa, cioè come soggetto intermodale. Poi probabilmente quest’idea ha travalicato, nel senso che un conto è pensarsi come soggetto intermodale, un conto è pensarsi come editore, albergatore o quant’altro. Però c’è da riflettere su un dato; indubbiamente, attorno alle ferrovie potrebbe crearsi un polo forte di logistica e di intermodalità, tale da contrapporsi ai grandi operatori internazionali. Il problema qual è stato? Prima si diceva che Francia e Germania hanno sostanzialmente avuto un approccio molto diverso al tema della liberalizzazione e anche della privatizzazione. Il dato con cui facciamo i conti è che il sistema logistico italiano oggi, fondamentalmente, è in mano a due o tre operatori, diciamone due, le poste tedesche e le poste olandesi, che altro non sono che grandi soggetti pubblici che attraverso la loro attività pubblica in monopolio, cioè i francobolli. fanno uno shopping di decine di migliaia di miliardi in tutta Europa. Con l’introito dei francobolli le poste olandesi sono state indirizzate a creare una conglomerata di proporzioni gigantesche che in qualche modo governa il sistema logistico e qui si sente davvero poco l'opera dell'antitrust, nel senso che ormai sono due tre gruppi che governano il sistema. Allora, domanda: noi abbiamo fatto delle privatizzazioni in Italia allo scopo di risanare il debito pubblico, quindi in maniera anche affrettata, sotto la spinta di fare cassa, sotto la spinta di fare l’operazione virtuosa (che per fortuna abbiamo fatto) dell’entrata nell’euro, però facendo quelle operazioni non abbiamo avuto un occhio accorto, come dire, alle conseguenze di politica industriale che questo tipo di politica aveva. In Europa, infatti, le grandi Aziende di pubblica utilità non sono state privatizzate granché. Esse si comportano da soggetti privati pur essendo pubbliche, sono gestite in maniera efficiente e vanno alla conquista del mondo. Se ci sono regole forti per il lavoro non mi preoccupo moltissimo di questa conquista perché preferisco la TNT gestita da KPN che non dal finanziere d'assalto Giribaldi, che la gestiva qualche anno fa con esiti fallimentari. Vorrei però dire anche che il vero problema italiano, che è un grande problema sociale, oltre che economico, è il problema dell’autotrasporto. Questo è il punto. E’ sociale perché rappresenta una realtà di 160mila imprenditori individuali. Dobbiamo riconoscere che in questi anni vi è stata una crescita di molte aziende italiane di autotrasporto nel senso della dimensione e dell’innovazione tecnologica, cioè vi sono ormai mille aziende nell’albo degli autotrasportatori italiani con più di 100 camion. Questo in Europa è nulla, però per l’Italia si tratta di grandi aziende, quindi c’è un’evoluzione positiva. Ma accanto a questo, abbiamo una miriade di operatori individuali, un fenomeno socialmente rilevante che non possiamo trattare con snobismo dicendo che sono buzzurroni ignoranti, chiamandoli con sufficienza "padroncini". Non bisogna, d’altra parte, vellicarne gli istinti peggiori, come invece ha fatto il Governo con la legge sciagurata sui patti non scritti, su cui persino Confindustria, solitamente così incline a magnificare l'operato del governo, si è scandalizzata. Abbiamo un problema da aggredire in profondità. La finisco qui: serve bastone e carota, quindi una politica di disincentivi, per accompagnare nel settore una trasformazione ma, in ultima analisi, serve una politica di programmazione seria per governare questo insieme di problemi. Sotto il governo del centro sinistra, pur con grande difficoltà, una certa idea di politica dei trasporti c’è stata; oggi vediamo tutto ripiombare nel vuoto di idee, nell’assenza di programmazione e di politica. Insomma, ci sono tutte le condizioni per vedere un futuro estremamente difficile. MORENA PIVETTI Grazie a Mario Sommaria, passerei a un altro argomento. Se tutto il mondo dei trasporti è in una fase di grande trasformazione ed è forse il settore dove ci saranno le sfide maggiori perché nell’arco di alcuni anni si aprirà e cambierà faccia, sicuramente c’è un pezzo dei trasporti che è già in emergenza, che è già in una crisi drammatica, il settore del trasporto aereo, perché noi in Italia abbiamo una situazione assai più complicata che nel resto del mondo. L’11 settembre ha prodotto dei guasti profondi per cui, probabilmente, saranno necessari alcuni mesi e forse alcuni anni, sperando che si fermi qua dato che nessuno sa dove e come potrà colpire il terrorismo internazionale. In Italia c’è stato l’aggravante dell’incidente di Linate, che è una vicenda tutta italiana che riguarda la sicurezza degli aeroporti e c’è, in aggiunta, la presenza di una ex compagnia di bandiera, il principale vettore nazionale, che se la passa assai peggio delle ex compagnie di 11 Speciale bandiera dei paesi di forza economica analoga alla nostra, Gran Bretagna, Germania e Francia che invece hanno 3 compagnie aeree e si candidano a fare i tre leader in Europa e, probabilmente, assorbiranno in qualche modo tutti gli altri. La Lombardia sicuramente ha la presenza del maggiore sistema aeroportuale italiano con Malpensa e Linate. C’è un nuovo piano Alitalia che forse penalizzerà questa Regione, quindi a Susanna Camuso io chiederei una valutazione sulla situazione del trasporto aereo. Da più parti si è chiesto lo stato di crisi; per adesso non è stato deciso ancora niente ma bisognerà fare qualcosa, anche perché ci sono già le lettere di licenziamento e poi è un settore ampio, non solo le compagnie aeree, ma c’è anche tutto l’indotto, i servizi, l’handling. Se vuole fare anche qualche riflessione sulla Lombardia io le lascio assolutamente libertà di dire. SUSANNA CAMUSSO, Segretaria Generale CGIL Lombardia La prima cosa che direi sul trasporto aereo è che bisognerebbe chiedere al nostro Governo, una volta tanto, di imitare Bush. Invece di farlo sullo scudo spaziale e su altre cose forse sarebbe bene lo facesse su come si affrontano gli effetti che conosciamo fino a un certo punto, ma che intanto abbiamo già incominciato a vedere, del post 11 settembre. C’è un problema di scelta nazionale che può fare solo questo governo: decidere che Alitalia è un patrimonio nazionale fondamentale e che si possono fare delle politiche keinesiane anche in piena ventata liberalista. Io credo che sia l’unica strada. Se si ripiegasse sulla scelta di fare un po’ di turismo, un po’ di piccolo cabotaggio, rinunciando alla dimensione che si potrebbe avere, sarebbe grave non solo dal punto di vista dell’identità nazionale e del patrimonio. Infatti, un’ulteriore perdita di competitività e di qualità del paese ci costringerebbe, come troppo spesso ci costringe la politica del Governo ma anche le scelte di Confindustria, a pensare che la nostra competitività è sempre sui costi, in definitiva sul costo del lavoro, mentre sul piano della qualità, dell’efficienza delle infrastrutture, non si compete mai perché si sceglie di rinunciare. E’ a partire da questo che occorre ricominciare a discutere di Malpensa per confermare il fatto che abbiamo bisogno di un hub, infrastruttura fondamentale per questa regione e per l’Italia più in generale. Io vorrei che la regione Lombardia avesse un po’ più forza, come ce l’ha quando urla sulla scuola e su altre cose, magari sul sistema dei trasporti che, per la nostra regione, è fondamentale. Infatti, questa è una regione collassata, è una regione in cui Bocca si può permettere di dire sui giornali che noi difendiamo l’occupazione e ciò non è utile perché in Lombardia c’è la piena occupazione. La cosa vera è che, se questa regione non ritrova rapidamente ragioni di competitività sul terreno delle infrastruttura, pur 12 essendo una regione ricca e che mantiene l’occupazione, perderà progressivamente capacità di sviluppo e qualità. Se la guardiamo in una prospettiva di competizione europea, questa regione è in calo in quanto, per lo stato delle infrastrutture e per le scelte di politica di sviluppo che si stanno facendo, ci rimette in qualità e possibilità di investimenti. Da questo punto di vista, Malpensa è per noi una scelta che va confermata come dimensione di hub. Siamo come sempre disposti a discutere di tutto: quali sono le dimensioni ottimali degli hub rispetto ai problemi che emergono dopo l’11 settembre, quali sono gli incroci tra compagnie nazionali ed altre compagnie. Il punto è la scelta strategica: serve o non serve nel nord dell’Italia un hub, serve o non serve essere competitivi rispetto a Zurigo, Parigi, Francoforte? Noi pensiamo anche che l’Italia ha bisogno di confermare Fiumicino come hub che guarda al sud e al Mediterraneo, anche qui facendo una scelta di qualità per lo sviluppo del nostro paese. La nostra è una regione collassata, come ho già detto: le politiche programmatorie, le regioni, lo stato, l’Europa e le emergenze trasporto merci ma non solo. Noi siamo in una grande confusione. C’è un processo federalista avviato ma non si capisce dove sta, come si muove, chi si assume alcune responsabilità. Tutti si dichiarano disponibili, pronti a invocare il trasferimento dei poteri, ma tutti meno pronti ad assumersi le responsabilità che conseguono a tali trasferimenti. Lo dico perché, tra il livello di affermazione a cui ci ha abituati il nostro presidente governatore e la pratica delle scelte, c’è un divario che si allarga sempre di più. Faccio un esempio, non sul trasporto aereo. Tutte le associazioni imprenditoriali, fra cui due molto importanti, Assolombarda e Assobrescia, hanno spiegato che la condizione di sopravvivenza dei loro associati era che ci fosse la nuova autostrada Milano Brescia, dicendo che erano disposti a pagarla loro, facendo una grande propaganda contro l’inefficienza del governo di centro sinistra e la necessità delle grandi infrastrutture. Il governo di centro sinistra è passato, la Milano Brescia è diventata una cosa pericolosissima perché se l’idea delle associazioni industriali e della Regione è che si fa un bel raddoppio della strada centrale ma poi si imbottiglia Brescia e si imbottiglia Melzo su Milano, preferisco non la facciano. L’ingresso in città a Milano è bloccato su tutte le autostrade e su tutte le tangenziali. I cittadini “cattivi” continuano a usare la macchina? Per carità, c’è sicuramente un paese che ha favorito un certo modello di sviluppo che privilegiava l’utilizzo del mezzo privato, della macchina, anche come forma di stato sociale; è chiaro però che queste cose si stabilizzano se non c’è altro che supplisce. L’ultima osservazione che vorrei fare è sulla produzione, i servizi e la distribuzione. Questa è una delle regioni più avanti in termini di cambiamento delle politiche di grande distribuzione, ha i maggiori centri commerciali, non c’è più la dimensione del negozio ma della distribuzione che tende ad allungare gli orari Speciale durante il giorno e durante la settimana. Si tratta di una trasformazione che non è solo nel trasporto, è anche negli orari di produzione delle aziende perché, dentro il trasporto, ci sono cose che hanno tempi lunghi ma anche tante cose che hanno tempi brevi di rifornimento, non solo nel periodo natalizio ma anche normalmente. Cos’è la logistica, come si fanno i magazzini, dove si fanno i centri di smistamento per le imprese, come si distribuisce sulla piccola traiettoria e sulla lunga traiettoria è questione di sopravvivenza per i cittadini milanesi e per i cittadini di questa regione che non possono più circolare, ma spesso è anche questione di competitività delle imprese. Noi abbiamo visto in due settori fondamentali nella regione, il settore metalmeccanico e il settore alimentare, due tendenze che hanno continuato a convivere: la tendenza delle grandi multinazionali che hanno deciso appunto di rivolgersi a TNT piuttosto che ai grandi big e hanno appaltato tutto (penso a multinazionali come Kraft che ha appaltato tutto a Danzas e ha quasi rinunciato ad avere proprie piattaforme) e altrettanti grandi multinazionali che hanno invece deciso di fare in casa propria il sistema di logistica e di distribuzione. Questi secondi, che pure sono stati per noi, nelle rispettive categorie, quelli che hanno salvato l’occupazione, non ce la fanno più e stanno cercando soluzioni di integrazione con altri produttori per fare le operazioni che nessuno programma, cioè per non andare in giro semi vuoti perché, siccome i tempi di consegna sono sempre più lunghi, aumentano i costi. Io credo che bisognerebbe fare delle politiche adeguate di programmazione, così come bisognerebbe dire, con nettezza, che serve Malpensa e serve una scelta forte di finanziamento della compagnia nazionale. Concludo dicendo che il nocciolo della questione credo sia questo: finché si è convinti che il mercato si regola da sé, e il mercato fa meglio di tutti, è difficile pensare a politiche effettive di programmazione. MORENA PIVETTI La parola per le conclusioni a Betty Leone della Segreteria Nazionale CGIL. Ma prima vorrei introdurre un tema del quale abbiamo parlato poco oggi: il trasporto pubblico locale, sia ferroviario sia su gomma, che è il primo che andrà a gara nell’arco dei prossimi due anni. Non solo, in Lombardia la legge regionale prevede che vada a gara entro il prossimo anno, quindi presumibilmente nei primi mesi del 2002 cominceranno a farsi le gare. C’è il problema dei diversi contratti, ma c’è anche un problema dentro i contratti, per quel che si è visto nelle gare romane, che hanno assegnato 21 milioni di km aggiuntivi, che sono tanti, più di tutta la rete urbana di Bologna, più di tutta la rete urbana di Firenze. All’ultima gara chi ha vinto, cioè il gruppo SITA, si è aggiudicato la gara a un prezzo per chilometro di 3300 lire; oggi TRAMBUS, l’azienda romana che esercita servizio di trasporto pubblico, nel proprio contratto di servizio prende 7800 lire (la stessa TRAMBUS aveva fatto un’offerta di 3200 lire, addirittura più bassa di quella di SITA). Alla domanda “come riuscite a fare queste offerte così basse” rispondono che hanno già l’infrastruttura, la rete, ma dicono anche che il nuovo contratto di lavoro degli autoferrotranvieri consente di assumere con contratto di formazione lavoro, con l’apprendistato, venendosi così ad abbassare il costo del lavoro. Allora, siccome nel TPL il costo del lavoro è il 70-80% del costo complessivo, vorrei chiedere a Betty Leone se noi rischiamo che, nella prossima fase delle gare, la concorrenza si faccia solo sul costo del lavoro e, soprattutto, che si creino lavoratori di serie A, quelli già oggi nelle aziende del trasporto pubblico locale e lavoratori di serie B, i nuovi assunti che partono da una situazione molto diversa. BETTY LEONE Segretaria nazionale CGIL Se, come è emerso dal dibattito di oggi, c’è una carenza di programmazione e di incentivi per compensare, in qualche modo, i costi dentro un’idea di competizione con gli altri paesi europei, è evidente che l’unico elemento che rimane è il costo del lavoro; allora si è competitivi solo se si abbassano i diritti dei lavoratori. Questo è il modello di sviluppo italiano che ci viene proposto negli ultimi anni e che ha avuto un’impennata con questo governo che ha fatto una scelta chiara: stare dalla parte dell’impresa rompendo l’equilibrio tra diritti dell’impresa e diritti dei lavoratori. Questo appiattisce completamente la discussione e, soprattutto, ci pone fuori dai ragionamenti dai quali siamo partiti oggi con questa tavola rotonda su “come si sta dentro la nuova Europa”. Io trovo molto interessante che voi abbiate deciso di chiudere il Congresso Regionale della FILT parlando del rapporto tra Europa e Italia. Europa e Lombardia, naturalmente, è ancora più intrigante perché la Lombardia e Milano sono storicamente considerati il tratto d’unione fra l’Italia e l’Europa. Mi sembra emblematico che questo discorso si faccia alla vigilia di un fatto importante, la moneta unica, che sancirà l’unità monetaria d’Europa e quindi renderà ancora più visibile la distanza che esiste tra unificazione monetaria e unificazione di regole e di programmazione generale che permetta anche all’Italia di stare dentro l’idea della globalizzazione, senza che a pagarne il prezzo siano le donne e gli uomini che lavorano. I trasporti sono quasi l’emblema di che cosa è cambiato nell’epoca della globalizzazione. In realtà, la capacità di adeguare i trasporti è lo strumento per una globalizzazione democratica, che si traduce in maggiori diritti per le persone e una maggiore mobilità delle persone e delle merci. Nella globalizzazione, che è caratterizzata dalla grande trasformazione degli strumenti di comunicazione e anche degli strumenti della velocità di trasporto delle notizie, il trasporto diventa uno degli elemen- 13 Speciale ti che rende fruibili le innovazioni tecnologiche. Diventa strategica la discussione del trasporto proprio perché è dalla qualità del trasporto che discende la qualità della globalizzazione, cioè la possibilità per tutti di fruire delle grandi opportunità offerte, che sono economiche ma anche culturali e politiche. C’è un elemento, oggi, che fa del trasporto una questione che deve interessare la politica generale, cioè il trasporto non è più solo funzione della libertà economica ma è anche funzione della libertà delle persone. E qui viene la discussione sull’Europa politica: come si governa questo processo, come si fa un patto che porti a stabilire regole anche sovranazionali che aiutino le nazioni come l’Italia a competere con un’idea alta di economia, a stare dentro un processo di sviluppo più rispettoso della qualità non solo ambientale ma sociale, nel solco della grande tradizione europea che ha sempre coniugato sviluppo economico con sviluppo sociale. Si può oggi ragionare di questo o l’unica strada che ci rimane è la riduzione dei costi agendo soltanto su una diversificazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici per stare dentro la competizione? Questo problema non può essere risolto ovviamente solo dall’Italia. E’ evidente che la questione che ci poneva il rappresentante di ASSTRA dell’armonizzazione dei contratti, che necessariamente nella sua visione comporta l’abbassamento delle tutele per altri lavoratori, è questione non indifferente nel mondo della competizione, cioè non può essere sottovalutata o banalizzata perché è evidente che, attraverso questa discussione, passa anche l’idea di competizione che abbiamo. Il problema che dobbiamo porci è: esiste la possibilità di competere veramente sulla qualità dello sviluppo, sulla qualità sociale, senza tenere conto delle condizioni di sviluppo sociale, delle condizioni di chi lavora, cioè di chi produce quel servizio o di chi produce quella merce? E’ possibile che una società che produce sempre più ricchezza, come le società occidentali, è sempre più incapace di ridistribuire questa ricchezza in qualità della vita delle persone che la producono? L’unica prospettiva che abbiamo è la finanziarizzazione? Una quota di quello che produciamo non può essere destinata a migliorare le condizioni di vita della gente che lavora? Quello che riusciamo a proporre ai nostri giovani è sempre più insicurezza, non solo in termini di precariato. La flessibilità, che non è adeguamento della capacità di vita alla modificazione del modello produttivo (oggi il modello produttivo è cambiato quindi la flessibilità non è una scelta, ma una necessità), si deve poi accompagnare a precarietà del mercato del lavoro, precarietà dei contratti, precarietà delle aspettative di vita? Questi giovani, come fanno a progettare il loro futuro quando non hanno alcun parametro sicuro, né l’impiego, né le tutele sociali, né lo stato sociale? Oggi addirittura il Governo dice che dallo stato sociale dobbiamo tornare alla filantropia, perché ormai la 14 gente capisce che è utile aiutare gli altri. Ma noi eravamo abituati a pensare che lo Stato dovesse dare una serie di garanzie e se perfino questo viene a cadere e ciò che garantisce la vita delle persone è sempre più l’appartenenza all’azienda, a una comunità, a un’associazione di volontariato, ritorniamo al vecchio modello. Come si fa a conciliare ciò con la flessibilità della produzione che, invece, è un dato della modernità della tecnologia? E’ possibile che ai giovani sappiamo proporre solo una vita sempre più caotica e sempre più passata per le strade imbottigliati nel traffico (tempo perso della propria vita!), l’impossibilità di sapere se tra un anno o due anni avranno ancora un lavoro, se con la fine del lavoro avranno una pensione e quale pensione, se ci sarà ancora un sistema sanitario pubblico? E’ questo è il frutto dell’aumento della capacità di produrre e di arricchirsi di una società avanzata come la nostra? Per chiudere questo ragionamento, noi non possiamo più pensare di agire solo sulle regole economiche senza darci degli affidamenti politici anche in campo europeo perché è evidente che l’Italia da sola non può scegliere questa strada perché rimarrebbe fuori dal meccanismo della competizione. Dopo l’Europa monetaria noi dobbiamo mettere in piedi un’Europa politica, che significa un Europa con regole fiscali comuni, con regole contrattuali comuni e la questione dei contratti europei è il vero elemento al quale bisogna arrivare per agire sulla competizione, non intervenendo sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici ma dandosi delle regole anche di politica economica e di politica sociale comune. Oggi discutiamo di quello che in Europa sta avvenendo rispetto alla progressiva armonizzazione delle politiche sociali. Si parla sempre delle pensioni dicendo anche cose non veritiere perché sui giornali ci dipingono come il paese più arretrato sulla questione delle pensioni. Poi, in realtà, mentre si fa questo progetto di unificazione delle pensioni in Europa, un progetto di armonizzazione lenta delle politiche nazionali, si scopre che il punto di riferimento è la riforma italiana, che l’Italia è l’unico paese che ha avuto fino a oggi il coraggio di fare una riforma di tipo contributivo e di applicarla gradualmente. Ma bisogna guardare oltre e utilizzare la politica per darci cornici che ci impediscano di competere in basso. L’Europa ha fatto già due atti importanti: da una parte la scelta di cominciare a ragionare sull’armonizzazione delle politiche sociali, che è fondamentale perché riguarda le tutele sociali, quindi la contribuzione; dall’altra parte la scelta precisa con la carta dei diritti europei, che abbiamo rivendicato a Nizza e deve servire di base alla costituzione europea, per la quale abbiamo manifestato l’altro giorno a Bruxelles. In questa carta dei diritti dell’Europa, anche grazie all’azione dei sindacati europei, sono stati messi, cosa che all’inizio non si voleva fare, i diritti sociali. E’ così sancita l’universalità e l’indivisibilità dei diritti. Indivisibilità Speciale dei diritti significa che quella carta mette insieme i diritti civili e i diritti politici, quelli che costituiscono, dalla Rivoluzione francese in poi, la cultura comune europea, con i diritti sociali e con i diritti economici. La carta sancisce appunto il diritto al lavoro come obiettivo politico, la libertà di associazione sindacale, il diritto di informazione e consultazione nell’ambito dell’impresa, il diritto di negoziazione e azione collettiva dei lavoratori, a livello nazionale e a livello europeo, cioè il diritto di darsi una struttura contrattuale e di negoziare, il diritto di accesso gratuito ai servizi di collocamento, la tutela in fase di licenziamento ingiustificato. Quest’ultimo, lo avrete letto in questi giorni, è più noto degli altri diritti perché oggi in Italia stiamo discutendo, invece, della riduzione della tutela rispetto al licenziamento per cause non giustificate, il famoso art. 18, esattamente in tendenza contraria a quella dell’Europa. Mentre in Europa, per la prima volta, si sancisce il diritto alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato rispettando le leggi nazionali, noi che abbiamo già una legge nazionale che tutela, vogliamo eliminarla. Ma questo fa parte del difficile rapporto fra l’Europa e il nostro Governo, che più volte è stato ricordato. La carta europea, ancora, sancisce il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici ad avere condizioni di lavoro giuste ed eque. Dentro questo c’è la specificazione del diritto alla salute nei luoghi di lavoro che qui diventa un diritto europeo sulla base del quale bisogna armonizzare le regole e le leggi dei paesi. Poi c’è il diritto alla sicurezza sociale: salute, pensioni, ammortizzatori sociali. Il diritto alla sicurezza sociale non era un diritto comune in Europa, infatti tanti paesi non volevano sottoscrivere questa carta. In Italia abbiamo una costituzione particolare, che da sempre riconosce i diritti sociali come diritti di cittadinanza indivisibili, cioè non separabili dai diritti politici e civili. La carta europea ha dovuto fare un percorso difficile per arrivare a questo, perché tanti paesi europei hanno un’altra concezione dei diritti sociali. Naturalmente la carta europea sancisce anche i diritti dell’impresa, principalmente il diritto alla libertà d’impresa e qui è il punto vero della discussione: come la politica trova un equilibrio tra il diritto alla libertà d’impresa e i diritti delle donne e degli uomini che lavorano, esattamente quello che il Governo italiano non sta facendo, perché ha scelto di rompere questo equilibrio a favore dell’impresa. Ne sono prova la legge finanziaria e il documento di programmazione economica finanziaria. Se è vero, come abbiamo detto all’inizio, che nella globalizzazione la fruibilità dei trasporti diventa uno degli elementi della democrazia dei cittadini del mondo, allora questo riguarda ovviamente non solo il diritto dei lavoratori ma anche il diritto degli utenti ad avere un servizio efficace per poter essere liberi dentro un mondo globalizzato. Quindi libertà e democrazia sono in relazione alla possibilità di accesso ai mezzi di tra- sporto, sia per le persone sia per le merci. Il trasporto diventa così lo snodo tra diritti economici e diritti personali e sociali delle persone. L’equilibrio fra il diritto delle imprese e il diritto dei lavoratori si trova solo se rimettiamo al centro la possibilità di essere agenti forti contrattuali, non solo dentro il sistema nazionale, ma dentro quello internazionale. Questo significa due cose: la prima, non ci può bastare l’idea di un dialogo sociale, in cui al sindacato non si riconosce più il ruolo di soggetto politico in grado di governare i processi dell’economia, in quanto rappresentante degli interessi di chi produce la ricchezza di un paese in servizi e beni; la seconda, se diciamo che per non competere sui costi bassi dobbiamo darci delle regole condivise in Europa che ci permettano di competere non sul costo ma sulla qualità, sull’efficienza, sull’innovazione, dobbiamo diventare un vero sindacato europeo, cioè la CEE si deve trasformare da associazione di sindacati in soggetto contrattuale. Questo è un altro degli elementi necessari per poter arrivare al contratto europeo che sia, quello sì, il contratto di cornice, non il contratto nazionale leggero come qui ci veniva detto e poi tutto all’azienda perché così abbassiamo sempre di più il punto in cui garantiamo tutele e diritti unificatori per il mondo del lavoro. Allora il problema è anche diventare un sindacato europeo in grado di contrattare con la banca europea, cioè di intervenire nella scelta delle politiche economiche e di investimento perché, se non si contratta questo nel modello di sviluppo, è difficile poi contrattare che cos’è la modernità degli investimenti nelle infrastrutture. Ma io dico di più: se il mondo è quello che noi vediamo in questi giorni, c’è ormai un interrelazione forte tra l’economia dell’Europa e l’economia del mondo. E’ diverso quello che si fa da quello che si prova sulla propria pelle. Allora l’11 settembre ci ha resi ancora più coscienti che dobbiamo darci regole anche per l’economia mondiale, non più solo per l’economia europea, quindi dobbiamo creare un soggetto economico in grado di interagire con le politiche economiche dalla parte dei lavoratori. Il sindacato internazionale vuol essere in grado di interloquire con le banche internazionali, con i meccanismi di ridistribuzione della ricchezza perché noi, che abbiamo cominciato con l’ambizione di ridistribuire la ricchezza attraverso i salari, dunque solo attraverso il lavoro, per essere fedeli alla missione del sindacato – ridistribuire ricchezza per garantire giustizia ed equità a quelli che rappresenta – oggi dobbiamo affrontare un’altra frontiera, cioè come si costruisce un soggetto contrattuale in grado di interloquire con i soggetti economici internazionali e non più solo europei. Quindi l’Europa come un fatto non astratto, non futuro, non lontano dalle nostre condizioni, ma un fatto che dobbiamo costruire anche con maggior impegno nostro, perché un sindacato europeo vero ci dà la possibilità di difendere i nostri diritti e di non competere 15 Speciale soltanto sul costo del lavoro, altrimenti la domanda che qui gli imprenditori dei trasporti ci ponevano diventa di difficile risposta e noi siamo costretti a contrattare di rimessa, come è avvenuto in questi anni. Spesso è il ricatto che ci pesa sulle spalle nella contrattazione, questo soprattutto nei settori in grande ristrutturazione come il vostro. Noi dobbiamo uscire da questo e per farlo dobbiamo darci delle regole internazionali, come soggetto politico e non solo soggetto della contrattazione economica. Quindi l’Europa e il mondo non solo come un’utopia ma come la necessità di ragionare oggi sui parametri meno angusti di quelli a cui siamo abituati. Io penso che la prima questione è mettere, per esempio, questo governo di fronte alla crudezza del rapporto con l’Europa, con quello che succede in Europa. Noi non possiamo tollerare che ci sia una mancanza di progettazione, di programmazione appunto su un terreno nodale come quello delle infrastrutture e dei trasporti. E’ da un po’ che diciamo che bisogna riequilibrare in Italia il trasporto su gomma ed il trasporto su rotaia e che questo presuppone politiche diverse, incentivi diversi. Sono anni che lo diciamo e non solo noi sindacato; anche forze politiche l’hanno detto ma non l’hanno mai attuato, poi ci sono sempre i ricatti, ci sono sempre le vie più facili e meno facili, ci sono le discussioni. Questo è il punto sul quale, io credo, dobbiamo interrogare la politica di questo governo, la politica di questo paese e forse anche interrogarci noi quando pensiamo alle politiche contrattuali ma anche ai modelli contrattuali. C’è ormai da anni una discussione sui modelli contrattuali e la posizione della CGIL è nota: noi non pensiamo che il problema dei modelli contrattuali sia la riduzione di forza del contratto nazionale, pensiamo invece che bisogna ragionare di più sul rapporto tra contratto nazionale e contratti europei e tra contratto nazionale e contratti aziendali e territoriali. I primi per la ridistribuzione del salario, i secondi per la costruzione e lo sviluppo locale per potere in qualche modo armonizzare la crescita del nostro paese con la crescita più in generale dell’Europa, ma anche per darci il traguardo di uno sviluppo sostenibile. Questa questione non è secondaria per chi si deve occupare di politica dei trasporti. E’ l’altra grande questione contraddittoria, che oggi non abbiamo affrontato perché c’era un altro punto in discussione, cioè come lo sviluppo dei trasporti può avvenire con il rispetto dell’ambiente senza consumare sempre più le fonti energetiche. Oggi abbiamo affrontato la contraddizione tra Europa, contratti, organizzazione, programmazione dei trasporti e credo che ci sia abbastanza per passare dalla discussione dei congressi regionali a quella del congresso nazionale della FILT e della CGIL, perché tutta la confederazione si interroga sulla questione che oggi è diventata nodale per la vita dei lavoratori e delle persone in generale. 16 RESPONSABILE DI REDAZIONE Vittoria SCORDO GRUPPO DI REDAZIONE Vincenzo MAZZEO Americo PAGLIARA Ivan PANZICA Francesco TRUNFIO PROGETTO GRAFICO Armando Artibio FANFONI Redazione NOSTOP Via S. Gregorio 48 - 20124 Milano Tel. 026715834 Fax 0266987098 [email protected] http://www.lomb.cgil.it/filt-milomb/ Supplemento a “Il lavoro nei trasporti” Mensile della FILT Nazionale Direzione e Amministrazione EDITRICE EDITRASPORTI Via Morgagni 27 - 00161 Roma Iscritto al n°92/82 del Registro delle Pubblicazioni periodiche del Trib. di Roma il 10/3/82 Testata registrata presso il Registro Nazionale della Stampa Direttore Responsabile Marilisa Monaco Sped. in abb. postale c26 art.20 lett. B art.2 della legge 23/12/96 n°662 Roma Chiuso in tipografia: 14 maggio 2002 BINE EDITORE srl - C.so di Porta Vittoria, 43 Milano Videoimpaginazione e fotolito PRG Via Gaffurio 2, Milano - [email protected]